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Presentazione
Solone "Impara a ubbidire e imparerai a comandare" 1 Σόλων nacque ad Atene nel 638 a.C. e morì nel 558 a.C. Atene 2 Tra politica e poesia La sua poesia risente spesso del suo impegno politico. Fra i testi a lui attribuiti compaiono anche testi di carattere autobiografico, ma egli trattò principalmente di politica. La triade concettuale da egli introdotta, fu fondamentale per la letteratura greca (venne riproposta da Eschilo): 3 ὕβρις (hýbris): il peccato di presunzione. Il male, inteso come tracotanza, è una scelta dell'uomo; ἄτη (ate): è un procedimento di degradazione (accecamento) a cui gli dei sottopongono chi si è macchiato di ὕβρις; δίκη (dike): è il motore del processo di giustizia divina. 4 Fonti Diogene Laerzio attribuisce a Solone una produzione elegiaca di circa 5000 versi. Alcune delle elegie giunte fino a noi sono note anche con dei titoli, come quelle Per Salamina e Alle Muse. Le Opere Solone compose: Elegie Giambi Epodi La fortuna La fortuna di Solone fu molto vasta. I suoi versi furono: • • • Imparati nelle scuole e recitati nei simposi Citati nei tribunali Utilizzati per la ricostruzione della storia costituzionale di Atene Eunomia Il termine eunomia deriva dal greco èu, buono, e nòmos, legge e quindi traducibile con "buon governo". Solone utilizzò per la prima volta il termine eunomia nel suo Discorso sul Buon Governo, tenuto ad Atene nel 594 a.C. Ma scrisse anche un'opera chiamata Eunomia, in cui narrava gli esiti sulla popolazione del buongoverno e del malgoverno. Elegia alle Muse Con Solone nell’Elegia alle muse si raggiunge una consapevolezza maggiore: non sono state le Muse a prendere l’iniziativa di parlare all’uomo o di dare l’investitura, ma è l’uomo stesso che si rivolge loro, non come servo, ma con un invito ad ascoltare la sua richiesta di ottenere fama e celebrità e di poter trasmettere la verità con il consenso di quelle depositarie della memoria e della verità collettiva. Le Muse sono infatti le garanti della giusta relazione che si instaura tra gli uomini. L'elegia a Salamina Questo fu il suo primo intervento pubblico e anche il suo primo contributo alla poesia. Secondo la tradizione, Solone fingendosi pazzo, incitò gli Ateniesi a riprendere l’isola di Salamina, contesa con i Megaresi e l’orazione ebbe tanto successo, da infiammare l’animo degli ateniesi che combatterono valorosamente, riprendendosi così l’isola. Solone compose una grande elegia per Salamina e la declamò personalmente, com’era naturale, infiammando gli animi e provocando la ripresa della guerra. Soltanto alcuni versi ci sono rimasti: “Io vengo,araldo dell’amata salamina, con un canto ordinato invece di un discorso. Vorrei essere di Folegandro o di Sicino, non ateniese, avendo cambiato la patria. Perché subito correrà voce fra gli uomini: <<E’ un attico, di quelli che hanno abbandonato Salamina>>. Andiamo a Salamina, combattiamo per l’isola cara, liberiamoci dalla brutta vergogna”. Il mondo sociale era sconvolto ed esigeva un intervento sicuro , ma Solone non ebbe fretta. Gli amici gli consigliavano di prendere la strada della violenza, già percorsa altrove da gran tempo, e d’instaurare rapidamente la tirannide. Ma solone non ne volle sapere. Il suo compito era di guidare questo processo interno e di dargli la propria impronta intellettuale. Quando infine si arrivò all’ azione,non soltanto essa doveva svolgersi in nome di tutti, ma la comunità doveva riconoscersi in essa come parte attiva. Solone sapeva che una società può metter mano a una grande opera solo se i suoi sentimenti si trovano a un certo grado di animazione; trovò questa animazione nella lunga lotta che Atene conduceva con la vicina Megara per il possesso dell’isola di Salamina. Indicò con parole sferzanti come fosse vergognoso lasciarsi sopraffare dalla piccola Megara e rassegnarsi. Nel 594 Solone fu eletto arconte con pieni poteri straordinari. La sua posizione era quella di un legislatore dotato di facoltà illimitate. Ad Atene si poteva pensare al precedente di Draconte, ma la differenza era grandissima. Draconte si era limitato al campo del diritto e aveva trasformato la consuetudine in uno statuto; riconobbe ampiamente l’antico diritto privato di uccidere nei casi di adulterio o nella difesa contro una violenza ingiusta, e introdusse innovazioni solo in un punto, sia pure essenziale, sottraendo alla vendetta del sangue l’omicidio involontario e introducendo quindi una distinzione fondamentale. Invece l’attività di Solone ha un carattere eminentemente creativo. Secondo le affermazioni di Solone, il primo compito doveva essere quello di eliminare i contrasti economico-sociali. La piccola proprietà terriera era talmente indebitata che i contadini si affannavano a lavorare quasi soltanto per i creditori. Chi non aveva (o non aveva più) terreno da ipotecare, cadeva in servitù per debiti e infine veniva venduto schiavo fuori dell’Attica. Quindi decise di cancellare i crediti dei ricchi; i poveri non ottennero una nuova proprietà ,ma riebbero i vecchi terreni liberati dai cippi ipotecari. Questo fu il famoso << scuotimento dei debiti >> soloniano (Σεισάχθεια ). . Nello stabilire la ripartizione politica classificò i cittadini in: Pentacosiomedimni, Cavalieri, Zeugiti e Teti; i primi ricavavano almeno cinquecento moggi di grano,olio o vino, i secondi trecento, i terzi duecento. Tutto era regolato sul censo, quindi il sistema assunse nella teoria politica il nome di timocrazia. Solone decise anche che gli uffici più elevati (quelli degli arconti e dell’amministratore delle finanze) restassero riservati ai Pentacosiomedimni. Il diritto elettorale attivo era invece uguale per tutte le classi. La nostra tradizione lo assegna ai teti, ma è difficile che fosse loro concesso già da Solone. Decisiva fu la svalutazione dell’ “Aeropago”; essa fu la conseguenza di un altro provvedimento. Sulla base del censo Solone aveva creato un nuovo diritto attivo di cittadinanza, i cui beneficiari dovevano esprimersi in qualche organismo. Questo fu l’assemblea popolare (Ἐκκλησία) che eleggeva i magistrati, prendeva risoluzioni e pronunciava sentenze. Ma a capo di questa assemblea popolare fu messo un comitato di membri eletti annualmente, il “Consiglio” (βουλή). Quando le leggi di Solone furono scolpite su cilindri di pietra, i cittadini dovettero impegnarsi con un giuramento a rispettarle. In materia di diritto ereditario Solone creò il testamento. L’indifferenza di chi si chiude nei propri affari privati non era conciliabile con la sua concezione. A questo cercava di rimediare la più famosa legge di Solone: chi non prende partito nella lotta politica è espulso dalla comunità. L’idea era già stata esposta incisivamente agli Ateniesi nella poesia che anticipava il programma: “Così il male pubblico va in casa di tutti; non lo può trattenere la porta esterna, salta il muro di cinta, trova dappertutto, anche chi sia fuggito nell’angolo più interno della casa”. Il popolo si lasciò dividere in gruppi regionali e obbediva più ai sentimenti locali che al compito di rappresentare la volontà collettiva. Cosi l’aristocrazia, contro la quale era stata diretta la riforma costituzionale soloniana e che difficilmente poteva farsene paladina, poté trarre vantaggio dalla situazione. Vari aristocratici si crearono un forte seguito in determinati territori. I contrasti locali si aggravarono perché ad essi si mescolarono problemi oggettivi. Da un lato c’erano gli aristocratici conservatori, che si sentivano sconfitti da Solone, o meglio dallo stato di necessità che lo aveva portato, e volevano un ritorno alla situazione del passato. Un certo Licurgo si fece loro portavoce. Il grosso dei suoi seguaci era formato da << quelli della pianura>> (pediàs). I piccoli contadini poveri, per lo più abitanti sulle alture e detti perciò <<quelli della montagna>> (diàkrioi) erano schierati con Pisistrato, che naturalmente era un aristocratico. In parte essi si erano aspettati di più da Solone continuavano a vivere in condizioni economiche penose. Per i mezzi di cui disponeva, Pisistrato non poteva essere il più forte. Per Solone la disgrazia e la punizione sono un fenomeno politico, e devono quindi essere superate dall’azione politica. Egli portò ad attuarsi la svolta politica che in Esiodo era ancora un presentimento, e fissò lo spirito sulla realtà storica. Nelle elegie programmatiche egli non si rivolge a un singolo,ma prende di mira l’Atene contemporanea con tutti i suoi difetti: essa va verso una catastrofe che sembra farsi gioco della forza umana. Ha facile corso la massima veneranda secondo cui tutto accade come vogliono gli dei. Solone si batte in primo luogo contro questo stato di letargo. Già Omero, in una parte recente dell’Odissea, smascherava i pretesti intessuti di metafisica che giustificavano la neghittosità umana; nella nostra insaziabilità avvertiamo la sentenza della giustizia (Δίκη) Solone rimette le cose a posto con parole taglienti: “Essa vede,pur tacendo,le cose passate e future, col tempo giunge sempre,vendicatrice. Questa inevitabile piaga ormai si abbatte su tutta la città: ed essa presto cade in servitù miseranda, che desta la sedizione e la guerra latente, in cui molta giovinezza gentile perisce. Per opera dei nemici,presto l’amata città rovina nei convegni di cui godono gl’ingiusti. Questi mali si aggirano nel popolo. E molti in miseria vanno in paesi stranieri venduti,stretti in ceppi indegni”. Secondo Solone si era affermata la "disnomia" “Mali infiniti il malgoverno ( disnomia) procura alla città mentre il buon governo (eunomia) rende tutto ordinato e conveniente, e mette in catene gl’ingiusti: appiana le asperità,fa cessare l’arroganza,fiacca la prepotenza, dissecca in germoglio i fiori della sventura, raddrizza le torte sentenze e frena gli atti superbi,fa cessare la discordia civile, fa cessare il rancore della trista contesa.Sotto di lei tutte le cose umane sono sagge e regolate”. 12 Fr. 4a West Capisco - dentro il cuore c'è un ristagno di dolore nel vedere un paese così antico di Ionia che declina... 13 Fr. 15 West Spesso, arricchiscono i malvagi, e gli uomini valenti sono in miseria: eppure noi non accetteremo di scambiare con loro la ricchezza al posto della virtù, perché questa è stabile sempre, mentre le ricchezze le possiede or l'uno, or l'altro degli uomini. 15 Fr. 5 West Privilegi non tolsi e non aggiunsi al popolo, assegnandoli tanto quanto basta. Nulla d'indegno volli che spettasse a quanti per potenza o danaro erano in vista. Stetti, cinto di scudo, a fronte agli uni e agli altri, esclusi da una vittoria ingiusta gli uni e gli altri. 16