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Genitorialità e disturbi del comportamento nel
Genitorialità e disturbi del comportamento nel bambino in età prescolare P.Bailo, E.Crivelli S.C. Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità Genitorialità e psicopatologia del bambino in età prescolare Convegno in ricordo di Marcella Balconi nel decennale della sua scomparsa Auditorium B.P.N. Novara 13 Novembre 2009 Premesse Valeria, 2 anni e 10 mesi, sembra aver preso la mamma in ostaggio: la comanda a bacchetta, si fa cucinare solo quello che vuole lei, salvo poi cambiare idea e decidere per un piatto diverso, può essere messa a letto solo da lei, rifiuta di indossare abiti che non siano stati scelti da lei a costo di portare sempre lo stesso pigiama o la stessa maglia, insomma bisogna fare quello che lei desidera, papà non ha voce in capitolo….la famiglia è in ginocchio! • Quando viene in consultazione,Valeria risulta essere una microscopica bambina, un po’ sottopeso, molto paurosa e timorosa…dà l’idea di fragilità, sembra presentare un ritardo evolutivo ….. • Mi sorprendo a pensare che, se soffio un po’, potrebbe volare via,…..mi domando perché dei genitori, adulti sani, pensano di non avere nessun potere sul suo comportamento , perché ritengono di non avere risorse?.. dalla consultazione emerge che considerano i suoi desideri dei reali bisogni e di conseguenza si adeguano. • Così Valeria in casa è una despota, così Valeria non è abituata a tollerare la frustrazione, così non sa superare le difficoltà. Siccome i suoi genitori non dicono mai di no non sa cosa vuol dire andare su tutte le furie , avere la sensazione di rompersi, ma poi trovare una possibilità, dentro di sé, di riprendersi,di farcela. Così Valeria ha uno sviluppo bloccato, la parte onnipotente e autoritaria non lascia né spazio né crescita alla parte più infantile che deve apprendere. • La nostra relazione intende proporre alcune considerazioni sui disturbi comportamentali del bambino in età prescolare • Ci riferiamo a quei bambini che, come Valeria, ci vengono portati perché a casa o all’asilo appaiono spesso ingestibili: mordono, picchiano, danno pugni, fanno scenate, attaccano bambini più piccoli, sfidano, tiranneggiano la famiglia, appaiono insofferenti ad ogni regola. • Sembra che l’aumento di tali disturbi sia in parte legato ai cambiamenti delle modalità educative negli ultimi 20 anni • Sappiamo anche, che pur essendo in gioco molti fattori che concorrono a favorire l’insorgenza di disturbi del comportamento nel bambino , alla fine i disturbi, se permangono, finiranno per comprometterne lo sviluppo della personalità. Le conseguenze saranno un’autostima molto precaria, un’eccessiva dipendenza dall’adulto e il bisogno di opporsi per affermare la propria indipendenza • Va tenuto conto che più il bambino è piccolo, più tende ad essere aggressivo, esplosivo, non avendo altri mezzi per esprimersi, poi verso i 3-4 anni comincia a controllarsi per acquisire sui 6 anni la capacità di rispettare le regole. • Nella maggior parte dei casi i DDC della prima e seconda infanzia scompaiono nelle età successive, però è un fatto che stando a diversi studi, i soggetti che ricevono una diagnosi di personalità antisociale in età adulta ( che ha sostituito il vecchio termine di psicopatia) hanno spesso avuto disturbi del comportamento già nell’età prescolastica • I disturbi del comportamento del bambino piccolo spesso sono accompagnati da altri problemi: enuresi, disturbi del linguaggio e soprattutto del sonno (capricci per andare a dormire, risvegli notturni, trasferimento nella notte nel lettone), elementi depressivi, paure d’abbandono. Frequenti sono i conflitti nella coppia genitoriale. • Interventi precoci possono risultare utili nell’interrompere modalità relazionali negative tra il bambino e il suo ambiente prima che si strutturi la personalità del bambino stesso Orientamenti educativi attuali La dott.ssa Crivelli ci racconta una vignetta osservata in un bar. L’altra sera a mezzanotte perfino la cameriera del bar non è riuscita a trattenersi ed ha commentato” ma è questa l’ora di arrivare con un bambino!” di fronte ad un vispissimo e sovraeccitato bimbo di 24 mesi dai riccioli rasta. Vestito come un adulto in miniatura, terribilmente scomodo, con gli occhiali da sole come i genitori , scorrazzava fra i tavolini assaggiando le bibite di chi era distratto, sdraiandosi sotto i tavoli o al centro della sala, di fronte allo sguardo divertito dei genitori e fra le risate dei loro amici. Trattato come un adulto, il bambino non capisce perché non può condividere tutta la vita con i genitori. Invaso dal senso di compiacimento e di onnipotenza nel sentirsi come loro, interloquire con i grandi, tenere banco fino a tardi perché dovrebbe rinunciare ad avere le stesse cose che hanno mamma e papà? I genitori faticano a contenere le pretese di onnipotenza del bambino, ritengono spesso che imporre limiti ai figli sia qualcosa di arbitrario e troppo doloroso per i bambini. La preoccupazione di dialogare col bambino, di tener conto del suo punto di vista, che è un incontestabile acquisizione dell’educazione moderna, prende spesso il sopravvento sulla necessità non meno importante di poter mettere fine ad una discussione che sta diventando infinita e di imporre il punto di vista dell’adulto. Spesso i genitori si meravigliano che il bambino non obbedisca spontaneamente, rispondendo ai loro sforzi di spiegazione, e così dimenticano che i loro bambini stanno cercando un confronto anche conflittuale che per loro è necessario per poter crescere e strutturarsi. (Durieux e Du Bled: Psichiatrie de l’enfant) • LINDA, 3 anni: i pasti a casa di Linda sono snervanti, Linda non sta seduta a tavola, si alza in continuazione , mangia a singhiozzo, va e viene a piacimento, i genitori non sanno più come attirare la sua attenzione per riportarla al tavolo. Eppure al nido mangia benissimo, seduta e composta. La psicologa domanda a Linda “perché all’Asilo stai seduta?” la risposta di Linda è disarmante “ perché là non ci si può alzare!” Tutto avviene come se la conflittualità dovesse rimanere al di fuori della famiglia, lasciando agli educatori di nidi e scuole il ruolo di cattivi che espongono i bambini a frustrazioni nella misura in cui cercano di dar loro delle regole. Padri e madri sembrano voler ridurre il loro ruolo a quello di buoni genitori gratificanti. Questo è dovuto anche alla svalorizzazione della funzione paterna detentrice una volta dell’autorità , e alla situazione di molte madri che lavorano e hanno poco tempo per stare con i loro bambini ( i nonni sono ancora più indulgenti). Evitare frustrazioni sarebbe, per la madre che lavora, un modo per compensare i suoi sensi di colpa per l’assenza da casa. I genitori hanno anche timore ad esercitare l’autorità per paura di perdere l’amore dei figli. Inoltre se diminuiscono i divieti , aumentano nei confronti dei bambini, sempre meno numerosi, le attese esplicite e implicite in termini di riuscita e di prestazioni . Il bambino infatti è per lo più pianificato, è stato desiderato per anni, spesso è l’unico, è un piccolo tesoro, depositario di enormi investimenti affettivi. • Si indeboliscono le differenze generazionali, tanti genitori aspirano ad essere soprattutto gli amici del proprio figlio. • Questa ipervalorizzazione del bambino inibisce lo sviluppo di una conflittualità strutturante per la crescita. Infatti la lunga dipendenza del bambino dai suoi genitori comporta di necessità per il piccolo un investimento ambivalente delle figure di riferimento : amate perché soccorrono nel bisogno e odiate perché limitano l’ autonomia e non sono spesso presenti quando le si vorrebbe. • I bambini si trovano richiesti di realizzare le aspettative dei genitori a scapito del lavoro psichico di separazione e individuazione che devono condurre per proprio conto. A questo proposito Pietropolli Charmet osserva che la famiglia da etica è diventata affettiva, non trasmette più valori, regole, modelli per imparare a controllare i propri desideri, ma ricerca l’ideale del vivere bene insieme, evitando o appianando possibili conflitti. Le cause dei disturbi del comportamento • Tutte le ricerche concordano sulla necessità di più fattori in gioco perché si manifestino tali disturbi . • Vorremmo ricordare a questo proposito quanto scriveva Marcella Balconi più di 50 anni fa: Si potrà parlare spesso piuttosto che di bambini “difficili”, di ambienti e situazioni “difficili”, di genitori ed educatori “difficili”, che presentano cioè, senza volerlo, un inceppo al normale sviluppo..…. Bambini normali che si rifiutano di accettare reazioni anormali di un ambiente malato, possono diventare elemento perturbatore ed essere considerati difficili ….solo attraverso lo studio dell’ ambiente, della personalità dei genitori, della personalità del bambino,noi possiamo ricercare ed accertare le cause dei suoi disturbi FATTORI BIOLOGICI • Già il diverso rapporto maschi- femmine è significativo,il rapporto è di 4-5:1 a favore dei maschi .Nelle femmine è probabilmente d’aiuto il precoce sviluppo delle competenze comunicative, protettivo rispetto all’impulsività aggressiva ( in una nostra casistica su 450 bambini con disturbo del linguaggio, il 65% era maschio e il 35% era femmina). • Le femmine poi di solito hanno più alti livelli di empatia verso gli altri e sentono più facilmente il senso di colpa per le azioni fatte, due fattori essenziali per la limitazione dei gesti aggressivi. • Inoltre utilizzano di più l’aggressività indiretta. Fattori genetici: Molte ricerche hanno evidenziato che il comportamento oppositivo e aggressivo, legato al temperamento, è in parte ereditabile, mentre il comportamento delinquenziale risente soprattutto di fattori ambientali: possiamo dire perciò che il grado in cui un temperamento difficile di trasforma in comportamento violento, dipende moltissimo dall’ambiente sociale in cui il bambino cresce, cioè le modalità di allevamento hanno un’ampia possibilità di influenzare l’espressività dei geni. Sviluppo Neurofisiologico Nel comportamento aggressivo le aree della corteccia orbito-frontale non riescono ad esercitare il loro ruolo inibitorio sulle regioni limbiche facenti parte del cervello emotivo. Queste aeree cerebrali non sono mature alla nascita, ma lo diventano negli anni successivi grazie alle stimolazioni sociali che favoriscono la crescita di connessioni cortico-limbiche. Il maltrattamento può alterare lo sviluppo del sistema limbico, dell’amigdala e dell’ippocampo attraverso un’esposizione eccessiva agli ormoni dello stress. FATTORI SOCIO-AMBIENTALI • Un attaccamento insicuro o disorganizzato. • Bambini molto irritabili, con disturbi della regolazione sono più predisposti a sviluppare DDC, a questo proposito ricordiamo come facilmente si instaurano dei circoli viziosi tra bambino e genitori che diventano a poco a poco sempre più insofferenti l’uno dell’altro, per cui genitori che con bambini più tranquilli potrebbero sviluppare sufficienti capacità genitoriali, con quel bambino difficile si sentono inadeguati nel loro ruolo parentale. Il senso di coerenza e di continuità sono essenziali per lo sviluppo del sé infantile. Tutti quegli eventi che alterano la stabilità e la prevedibilità dell’ambiente inducono un vissuto di impotenza devastante per lo sviluppo psichico. • disturbi psichiatrici nei genitori • padri violenti, alcolizzati • madri depresse • eventi della vita come nascita di fratelli, incidenti, morti, malattie di altri familiari, mancanza di un genitore • gravi problemi economici e sociali • mancanza di una rete protettiva intorno alla famiglia. Affronteremo poco le cause socio-ambientali , ma è indubbio che hanno un’importanza rilevantissima Investimenti genitoriali e DC nel bambino Tutti i genitori fanno investimenti emotivi sui figli, attribuiscono loro attese , desideri, paure; una madre quando ha un bambino piccolo proprio grazie al suo intuito, alla sua sensibilità, alla sua capacità di osservazione è in grado di capire il suo bambino, attribuendogli vissuti emotivi, intenzioni ecc. Alcuni bambini pur essendo oggetto di proiezioni genitoriali eccessive, non ne subiscono danni apparenti Altri, sia per una maggior vulnerabilità sia per il carattere particolare delle proiezioni, ne riportano conseguenze per il loro sviluppo. In quest’ultimo caso il comportamento del bambino acquisisce il significato di una lotta contro il carico affettivo che pesa su di lui. A volte i disturbi del bambino sembrano avere la funzione di far emergere un problema familiare che pur presente tendeva a stare sommerso. Sulla base di una revisione di diverse storie cliniche di bambini con DDC ci è sembrato di poter dividere gli investimenti genitorialI, potenzialmente patogeni per i figli, in due categorie, pur consapevoli di correre qualche rischio di semplificazione. Genitori con aspetti depressivi La mamma di Filippo ( 3 anni e mezzo) giunge a consultazione piuttosto turbata: il piccolo la rifiuta. Quando la signora rientra dal lavoro il figlio, chiuso in casa col nonno materno, non vuole farla entrare. Si barrica al di là della porta, le urla “vattene, non voglio venire con te , resto col nonno” più volte la signora è stata realmente chiusa fuori casa ed ha dovuto attendere, seduta sui gradini (lei in lacrime ), che il bambino si lasciasse convincere. La storia della madre di Filippo era la storia di una bambina che dopo aver ricevuto moltissimo era stata – per problemi economici- lasciata a sé stessa dai genitori, era una bambina sola a cui poteva capitare di attendere per ore sulle scale il rientro di qualche familiare…. • Si tratta di un gruppo che risente molto degli orientamenti culturali a cui facevamo cenno prima e che adotta un’educazione troppo indulgente • Il genitore attribuisce al suo bambino i vissuti di quando lui genitore era piccolo e sofferente in quanto non riceveva sufficienti cure oppure era stato esposto, all’improvviso, al venir meno di attenzioni .Molte mamme o papà si dicono:” non ripeterò gli errori che i miei genitori hanno commesso con me”. • Il figlio è visto come più piccolo della sua età, non si può dirgli dei no, non si può tollerare che dorma da solo perché soffrirebbe troppo , cioè vengono sottovalutate le capacità del bambino di tollerare le frustrazioni. In questo modo si alimenta l’onnipotenza del bambino che alla fine diventa ingestibile. • Perchè abbiamo parlato di elementi depressivi?: perché i genitori si sentono troppo in colpa a sgridare il bambino, magari lo fanno, ma poi corrono a consolarlo, danno il castigo, ma dopo poco glielo tolgono Le problematiche sembrano più legate all’area edipica: difficoltà di triangolare, eccessivo protagonismo del bambino, la coppia fatica a trovare momenti per la propria intimità. La normale onnipotenza del bambino viene a volte alimentata dai genitori che si compiacciono delle bravate del figlio, della sua capacità di farsi valere a differenza del bambino inibito che era stato il genitore. C’è insomma un aspetto idealizzato messo nel bambino: è colui che restituirà al suo papà o alla sua mamma quella bella infanzia che il genitore non ha potuto avere • Il genitore quando il bambino spadroneggia non vede più se stesso tiranneggiato ( costretto magari a dormire male tutte le notti col figlio che occupa la maggior parte del letto matrimoniale ) o il disagio che viene procurato all’ambiente, ma considera solo il bambino che soffre e fa di tutto per proteggerlo, di fatto impedendo interventi normativi. Solo quando le provocazioni del bambino diventano intollerabili come nel caso di Filippo si decidono a chiedere una consulenza • Le terapie focali, brevi con i genitori hanno abbastanza successo, spesso si tratta di riconoscere loro la legittimità di certi interventi direttivi, la consulenza li aiuta a liberarsi dai sensi di colpa eccessivi per aver sgridato il piccolo e a ripensare alla storia della loro infanzia Genitore con aspetti persecutori • I genitori di Giorgio, segnalato perché aggressivo alla scuola materna e sospettato di aver dato fuoco ad una poltrona, appartengono a due famiglie molto note ai servizi sociali e alle strutture di NPI. La madre presenta un disturbo depressivo, il padre un quadro borderline. Giorgio è secondogenito da parte di madre e primogenito da parte di padre. Da subito ha assunto il ruolo di bambino “che toglie il fiato, che risucchia la vita”. Quando era neonato i suoi pianti erano vissuti come punitivi nei confronti della madre che voleva riposare, in seguito non avrebbe dovuto urlare o giocare con tonalità di voce forte perché doveva capire le cefalee della nonna, non doveva fare richieste perché non doveva svegliare papà che dormiva quasi tutto il giorno sotto l’effetto di stupefacenti. I genitori alternavano prediche infinite a momenti di rabbia in cui il bambino veniva picchiato • Queste situazioni sono più a rischio, si tratta per fortuna di condizioni più rare che naturalmente, per provocare seri danni ai bambini, devono accompagnarsi ad altre carenze • Il figlio quando esprime istanze autonome o ha comportamenti opponenti, attiva nel genitore ricordi di relazioni negative con figure parentali o di altri familiari che potevano essere stati maltrattanti o scarsamente rispondenti ai bisogni del genitore quando era piccolo. Ad es. una mamma rivedeva nel figlio che la tiranneggiava il proprio padre che non le dava alcuna libertà • Tali sentimenti di rabbia, gelosia, umiliazione vengono rivissuti col bambino che in qualche modo ha una funzione grilletto cioè quella di presentificare l’adulto che maltrattava (o era inadeguato) della storia infantile del genitore. Nei ricordi di questi genitori di solito troviamo un padre autoritario, a volte francamente violento e una madre succube, oppure una madre rigida poco affettiva e un padre lontano e assente. Queste coppie parentali , non avendo potuto elaborare le loro esperienze infantili molto negative, rischiano di rivivere, riattualizzare, quello che è loro capitato nel rapporto col figlio. Ad esempio si identificano nei loro genitori e diventano pure loro maltrattanti o assenti: questo è quello che fanno certi padri quando sostengono che le botte ricevute hanno fatto loro un gran bene, per cui ripropongono gli stessi metodi educativi, oppure altri padri quando sottovalutano i disturbi comportamentali del figlio, ricordando che anche loro da piccoli erano stati ingovernabili . Le madri più frequentemente sviluppano reazioni depressive che possono portare a disinvestimenti . Altre madri che si erano sentite rifiutate quando erano piccole, interpretano le istanze di autonomia del bambino come rifiuti , la differenziazione diventa aggressività. Comunque la soglia di tolleranza alla frustrazione è minima e basta poco nel comportamento del piccolo, per scatenare ritorsioni da parte del genitore. Questi bambini, non sufficientemente tutelati dalla madre, non internalizzano la funzione paraeccitatoria materna (competenza materna nel difendere il suo piccolo da un sovraccarico di eccitazioni che favorisce lo sviluppo della capacità di tollerare l’attesa grazie a fantasie, autoerotismo, oggetto transizionale, buoni ricordi ecc,) sviluppano ad es. disturbi della regolazione , soprattutto del sonno , iperattività e difese maniacali. • Le problematiche del bambino sembrano più legate al legame primario con il care-giver. In alcuni casi la madre stessa riferisce che sentiva fin dai primi mesi che nel bambino c’era qualcosa che non andava. • In questo gruppo, nei momenti di tensione, il bambino di solito è visto come più grande della sua età, spesso i genitori dicono che dovrebbe capire, dovrebbe render conto del perché si comporta così, che non è possibile che, dopo avergli già spiegato qualcosa più volte, continui a tenere quel certo comportamento ecc. Gli si attribuiscono responsabilità di azioni e fatti che il bambino non è assolutamente in grado di gestire. L’ansia , il pianto del bambino, oltre un certo grado, non inducono in loro reazioni depressive (del tipo sono una mamma cattiva che ti faccio piangere, che non riesce ad alleviare il tuo dolore), ma portano il genitore nella misura in cui si sente troppo svilito e attaccato, a vivere il bambino come persecutore. In quel momento il genitore non vede più il bambino, ma solo se stesso che soffre e che deve difendersi da chi lo fa soffrire ( in questo tipo di genitore prevale la considerazione per se stesso che soffre troppo mentre viene dimenticato il bambino e la propria responsabilità di genitore ) • Conseguentemente l’educazione risulta incoerente e discontinua • Di solito i genitori sono meno disponibili ad affrontare trattamenti, hanno meno insight e capacità di raccontarsi, si mettono meno in gioco, le interruzioni delle consultazioni sono più frequenti. La coppia genitoriale • Non esiste solo il genitore, ma anche la coppia che agisce sul bambino. Molti studi hanno sottolineato l’importanza del coparenting, cioè la conferma o la disconferma che un genitore dà agli interventi dell’altro genitore. Non riguarda il rapporto educativo diretto col bambino, ma il sostegno o la critica all’attività educativa del partner • Capacità di triangolare: ci sono coppie che non hanno un proprio spazio neanche in camera da letto o viceversa coinvolgono il bambino nei loro dissidi . Osservazione di un bambino con DDC • Il caso di FEDERICO • “Federico è seguito in trattamento psicoterapico da più di un anno, ora ha quasi 6 anni. Presenta gravi disturbi del comportamento, aggredisce i bambini all’improvviso con morsi e spintoni, è sempre arrabbiato e pronto a scattare. • La mamma telefona prima della seduta per raccontarmi che oggi è stata una giornata difficile, ha aggredito un bambino portatore di handicap… • Trovo F in corridoio sta scalciando l’aria, mosse di arti marziali, volto teso , arrabbiatissimo. Come mi vede si toglie la sciarpa e la butta per terra venendomi incontro. La madre gli chiede di raccoglierla, F assesta un calcio alla madre mentre continua ad agitare le braccia come per colpire nemici immaginari. La madre insiste, ma lui continua. Io mi avvicino, dico “andiamo è ora della tua seduta”, e mi incammino verso lo studio aggiungendo: “farà freddo quando uscirai, forse ti conviene averla la sciarpa”. Federico torna indietro a raccoglierla e la porta con sè in seduta. Nello studio di nuovo aggredisce l’aria per un poco, mentre io gli faccio da coro commentando e dando voce ai suoi colpi “ pum splasc, tiè a te e a te, fatti sotto…”F. mi guarda incuriosito , smette e prende un libro: “Peter Pan” dice “leggiamo”. Cerca Capitan Uncino, il suo idolo.” • Commento: Quando F aggredisce l’aria sembra in cerca di un contenitore per i suoi impulsi. Nel momento in cui la psicologa fa eco alle sue esclamazioni rabbiose , gli manda anche questo messaggio : “ accetto la tua rabbia, la faccio mia , ma non ti attacco, cerco di farne un gioco.” La psicologa trasforma la sua rabbia solitaria in qualcosa che si può comunicare, condividere. • Il bambino a questo punto è rassicurato , non sente più il bisogno di combattere. Assistiamo, per così dire in diretta, alla trasformazione graduale dell’impulso che dall’agito si muove verso l’area simbolica: il bambino infatti smette di mimare lotte immaginarie e prende in mano il libro di Capitan Uncino “Sfoglia il libro con violenza come per stropicciare le pagine, strapparle...”. La psicologa precisa “ leggiamo vuol dire guardiamo assieme e ascolto , non rompo il mio libro preferito..accipicchia che succede?”F. chiude il libro subito e prende “Il Re Leone”.. mi fa leggere il punto in cui il re Mafasa spiega al piccolo Simba “quelli sono i nostri confini, non devi mai oltrepassarli !...” e Simba esclama…”ma credevo che un re potesse fare ciò che vuole!...” Resta silenzioso e prende “La Carica dei 101”, la sfoglia da solo mentre io commento i passaggi e la storia di questi piccoli, rubati e poi salvati..Prende Winnie the Pooh, un libretto sulla notte, cerca la pagina di Le Ombre della Notte dove il piccolo canguro Ro ha un incubo e nel disegno il lettino , le coperte, i giocattoli, la seggiolina, insomma ogni cosa della sua stanza ha degli occhi cattivi e pare un mostro… • Racconto con lui come a volte tutto il mondo pare pericoloso, pieno di mostri che possono aggredirti ed ecco allora che in preda alla paura ci pare che tutti possano attaccarci e bisogna difendersi , picchiare per primi, scalciare l’aria, essere sempre all’erta….F. tace e prende il libro “La bella e la bestia”. Mi fa leggere dove Belle dice della Bestia:”Non è malvagia. Anzi è buona e gentile!..Preso dalla rabbia Gaston gridò:E’ pazza come il suo vecchio, dobbiamo ammazzare subito la Bestia!” Commento:Le favole per i bambini sono delle ottime occasioni per dare voce, rappresentare il loro mondo interno, sono cioè dei contenitori ideali per i loro fantasmi: sono vere perché le emozioni in gioco il bambino le sente realmente, sono finte e quindi non pericolose perché appartengono ad un mondo particolare ben separato dal mondo reale . Federico le usa come un adulto in psicoterapia farebbe con delle libere associazioni, per parlare di sé, delle sue paure, di come in quei momenti fa fatica a distinguere tra realtà esterna e interna; ha bisogno di un adulto che lo aiuti in questa difficile operazione, un adulto che non ha paura dei fantasmi, che gli ricorda per esempio che la sciarpa non è un pericoloso nemico, ma un indumento che lo difende dal freddo. Si può supporre che in Federico ci sia una forma di scissione, tra una parte con impulsi violenti diretti verso il mondo esterno e un’altra parte fragile, disperata, impersonata dal cangurino Ro spaventato dai suoi incubi, o rappresentata dai cagnolini dalmati rubati da Crudelia Demon nella Carica dei 101. L’onnipotenza di Simba che credeva che ogni cosa potesse essere concessa ad un re, la violenza diretta verso l’esterno, protegge il nucleo più intimo e autentico del bimbo. In questo modo possiamo pensare che il bambino detto violento, si procura da solo quelle rassicurazione che per molte ragioni non riesce a sentire da parte degli adulti vicino a lui. Tornando a F. ,la sua parte fragile, bisognosa di rassicurazioni e contenimento, che lui protegge con gli atti violenti, emerge in seduta, senza correre pericoli, durante la lettura delle favole, perché c’è un adulto che la sa capire e difendere. • Dietro ad un bambino segnalato come aggressivo c’è sempre un profondo senso di impotenza, di paura ,di sentirsi minacciato che lui ci comunica attraverso il suo comportamento. • Se la violenza del bambino è spesso una difesa contro dei fantasmi che si porta dentro, oltre che ad intervenire sull’ambiente occorrerà aiutarlo attraverso la relazione, il gioco a portarli su un piano simbolico, e a comunicarli affrontando il conflitto ben espresso nelle ultime battute: la Bestia è buona o cattiva? Diversamente sarà difficile convincerlo ad accettare la responsabilità dei propri impulsi distruttivi. Come possiamo curare i DDC? • Abbiamo detto che vi sono molte cause e quindi si cercherà di intervenire sulle cause in gioco, tenendo presenti alcune considerazioni più generali. • Tutta la letteratura sostiene che i bambini con disturbi del comportamento hanno una difficoltà nel rispecchiarsi negli altri, cioè un deficit di empatia e scarsi o assenti sensi di colpa. Inoltre la letteratura rileva che non vi è al momento attuale un accordo sulle modalità terapeutiche considerate specifiche ed efficaci per questa patologia , i cui costi sociali restano molto alti • La prevenzione per i disturbi del comportamento può essere fatta garantendo al bambino un ambiente e un’educazione stabile e coerente, non permissiva, dove ci sia per lui prevedibilità, possibilità di controllo sull’ambiente. Diversamente il bambino vive nello stress. • Inoltre è importante che il bambino avverta calore,interesse per sé, sostegno nei momenti difficili. In questo modo il genitore diventa autorevole, può dare regole e anche punizioni • Essenziale è il lavoro in rete tra NPI, servizi educativi e socioassistenziali • Premessa comunque all’intervento di consultazione è che i genitori devono essere considerati dei coterapeuti, delle persone con cui collaborare per aiutare il bambino; è sbagliato colpevolizzarli, se mai vanno aiutati ad esercitare meglio le loro funzioni genitoriali ponendo attenzione al coparenting e al prendere consapevolezza della loro storia infantile. • Oltre alla stabilità e prevedibilità dell’ambiente un altro obiettivo fondamentale è migliorare l’autostima del bambino.( molti bambini con questi disturbi hanno un fondo depressivo) Per lo sviluppo dell’autostima è cruciale il processo di illusione che, specie nel primo anno di vita, la madre alimenta nel bambino, lasciandogli credere di essere lui stesso l’artefice del mondo e il sole dei suoi genitori. Successivamente la mamma dovrà anche dar inizio ad un secondo processo questa volta di disillusione per far si che il bambino non resti in balia della sua onnipotenza, occorre cioè che sia capace gradualmente di portarlo ad accettare limiti e piccole frustrazioni, a considerare di non essere il centro del mondo. Se questi due processi sono inadeguati ( ad es. per una depressione materna nel primo caso, o per la nascita di un fratellino nel secondo) il bambino vive una frattura lacerante tra quello che è e quello che vorrebbe o dovrebbe essere, ha l’impressione che le esperienze che fa, siano per lui tutte negative e come farebbe con del cibo cattivo, rifiuta di interiorizzarle anche quando sono positive, ( come certe persone adulte che qualsiasi cosa succeda vedono solo il lato negativo) per cui non struttura delle risorse interne che gli permettono di tollerare eventuali frustrazioni. • Viceversa se questi 2 processi vanno a buon fine, il bambino impara a servirsi di fantasie , oggetti transizionali, buoni ricordi, autoerotismo ( dito in bocca), attività ludiche e creative per sopportare temporaneamente situazioni frustranti, di solitudine senza perdere la fiducia in se stesso e negli altri. • Diversamente per mantenere il suo bilancio narcisistico ha bisogno di procurarsi, o con le buone o con le cattive, continue conferme, soddisfazioni dall’esterno, restando così molto dipendente dalle sue figure di riferimento. In questo modo, inoltre, non riesce ad introiettare neppure i divieti genitoriali e non struttura il superio, fondamentale per lo sviluppo dei sensi di colpa: la sua difesa contro le esperienze negative resterà l’attacco verso le fonti di frustrazione. • Il disturbo comportamentale è pertanto sempre correlato a una povertà di risorse interne, il disturbo poi peggiora il deficit di autostima del bambino poiché espone il bambino a punizioni, rifiuti e esclusioni che aggravano il quadro. • Spesso i genitori non elogiano un comportamento positivo del bambino per non svegliare il can che dorme, trascorrono meno tempo con lui perché è poco piacevole, oppure lo controllano meno perché è troppo faticoso. I bambini opponenti inducono i genitori a rimandare al piccolo solo quello che non va, gli propongono un’immagine negativa che rende il piccolo meno fiducioso nelle proprie risorse interne. • In qualche modo i genitori perdono la fiducia nelle loro funzione di educatori. Bisogna aiutare i genitori a non venire sopraffatti dalla rabbia e a non scoraggiarsi di fronte alla mancanza di controllo degli impulsi del bambino e all’assenza di empatia. Va migliorata la capacità del genitore di monitorare e supervisionare il bambino. • Vanno aiutati a tollerare il dolore e il senso di colpa che un atteggiamento normativo può indurre spiegando che quando il bambino fa capricci e non sembra in grado di controllare la sua prepotenza, si sente in balia delle sue pulsioni e la sua autostima pertanto ne soffre perché scopre di non essere padrone a casa sua: a volte i bambini sembrano far di tutto per chiederci un intervento diretto e deciso che interrompa conflitti infiniti e che permetta loro di recuperare serenità interna Sappiamo che nei disturbi della condotta non sempre la psicoterapia costituisce la prima indicazione e comunque da sola non è sufficiente, spesso è utile una fase preparatoria di lavoro con i genitori e un intervento educativo sul bambino teso a rinforzare la sua l’autostima e quindi a migliorare la disponibilità a interiorizzare buone esperienze e ad arricchire il suo mondo interno , interrompendo scambi relazionali negativi . Un testo molto diffuso nel mondo anglosassone è il manuale di parent training di Barkley intitolato : “Bambini provocatori”. Ecco alcune indicazioni condivisibili del libro : aumentare il tempo dedicato al bambino e ai rinforzi positivi focalizzarsi sul problema piuttosto che sul bambino stimolare uno stile cooperativo coinvolgere il bambino nella soluzione dei problemi e premiare i passi avanti compiuti usare humor enfatizzare i punti di forza e le aspettative positive focalizzarsi sul qui e ora ( il bambino vive nel presente: ricordargli errori del passato o fargli promesse sul futuro serve relativamente) incrementare l’uso di lievi, immediate e coerenti punizioni in caso di non condiscendenza ridurre la frequenza della ripetizione dei comandi in modo da evitare il ritardo della risposta ( agisci non perderti a chiacchierare) riconoscere ed interrompere rapidamente l’escalation e il confronto negativo col bambino. il bambino deve sapere che i comportamenti opponenti non gli servono per fuggire o evitare richieste, ordini e comandi dei genitori: bisogna ridurre l’imprevedibilità. Da evitare: umiliare il bambino ignorarlo personalizzare troppo il problema rinfacciargli errori del passato attribuire ad attività di esplorazione intenzioni aggressive ( vedi bambino piccolo che allaga il bagno perché affascinato dai rubinetti e dall’acqua che ne scende) CONCLUSIONI • Nella relazione abbiamo sostenuto che i bambini con temperamento aggressivo vanno aiutati per evitare una progressione verso i disturbi della condotta. • Vorremmo però ricordare che la reattività anche spiccata del bambino, se ben incanalata, può diventare un formidabile propulsore per l’autoaffermazione e per la crescita dell’autostima del bambino come nel caso di Davide • Davide (20 mesi) vuole raggiungere la palla che è sopra una sedia alta. Fa un po’ di tentativi ma non ci arriva, si guarda attorno ma non scorge nessuno che gli può essere complice. Gli viene una crisi di rabbia, scrolla la sedia con collera, è decisamente stizzito, ma poi la palla cade…..scopre che la rabbia e la frustrazione possono essergli utili per ingegnarsi e raggiungere un obbiettivo. La sua forte reattività potrà trasformarsi così nel tempo in tenacia, coraggio, e potrà favorire lo sviluppo di una personalità caratterizzata da capacità creativa, e autonomia di giudizio e di pensiero • Ci fa piacere concludere questa relazione sui bambini cosiddetti difficili con quanto scriveva Marcella Balconi nel 1953: “spetta però sempre alla società di offrire al bambino un porto in cui egli sia al sicuro da rovinose tempeste, un luogo tranquillo e sereno ove parenti ed educatori, che lo capiscono, sappiano guidarlo con affetto e fermezza.” Bibliografia • Filippo Muratori. Ragazzi Violenti Bologna Il Mulino 2005 • Konicheckis A. Violence à la crèche: discontinuités et communication. Neuropsychiatr Enfance Adolesc 2002; 50: 505511 • Goeb J.L.,Masure C.,Beauroy R. 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