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LETTERATURA ITALIANA IN CINA
LETTERATURA ITALIANA IN CINA La letteratura italiana in Cina - XVI Convegno dell'Associazione cinese per lo studio della letteratura italiana (Pechino, 21-23 ottobre 2005) di Miriam Castorina Dal 21 al 23 ottobre si è svolto, presso l’Università di Lingue Straniere di Pechino il convegno “La letteratura italiana in Cina - La traduzione della letteratura italiana: teoria e pratica”, organizzato dalla Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Roma “la Sapienza” e dal Dipartimento di Lingua italiana dell’Università di Lingue straniere di Pechino. Tale iniziativa, sin dal titolo, voleva rendere esplicito l’intento di unire, per la prima volta, due distinte iniziative, due diversi approcci alla letteratura: il XVI Convegno dell’Associazione Cinese per lo studio della letteratura italiana (Zhongguo Yidali wenxue xuehui) e un convegno dedicato alla diffusione e traduzione della letteratura italiana in Cina, organizzato dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Marco Polo1.. Per la prima volta italianisti cinesi, quali, solo per citarne alcuni, Shen Emei, Wu Zhengyi, Xiao Tianyu, Yang Shunxiang e Wang Jun e italianisti e linguisti italiani come Tullio De Mauro, Massimo Vedovelli, Francesca Bernardini, nonchè sinologi e traduttori quali Federico Masini, Rosa Lombardi, Alessandra Brezzi e altri ancora, hanno avuto l’opportunità di confrontarsi su questioni legate alle tematiche della traduzione, ad aspetti di critica letteraria italiana, o alle metodologie e al materiale per la didattica della lingua italiana e cinese. Il Convegno è stato, idealmente, il momento conclusivo e inaugurale di numerose iniziative svoltesi in Cina in quei giorni: due conferenze tenute da Federico Masini il 18 e il 19 ottobre a Hong Kong e Canton, dal titolo “Italy in China at the end of the Empire: Kang Youwei, Liang Qichao and Sun Yat-sen” (Qingmo minchu Yidali zai Zhongguo: Kang Youwei, Liang Qichao he Sun Yat-sen/ L’Italia in Cina tra la fine dei Qing e i primi anni della Repubblica). Inoltre il 24 ottobre si è inaugurata la “Settimana della lingua italiana in Cina” a Pechino e a Shanghai, e il 25 ottobre è stata inaugurata, presso la Biblioteca Nazionale di Pechino, la mostra di libri dal titolo “La letteratura italiana in Cina”, organizzata dalla direzione della Biblioteca Nazionale, dal Centro di Ricerca di cultura e letteratura comparata dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, e dal Centro di letteratura comparata dell’Istituto di Scienze sociali. I lavori del convegno sono stati aperti, la mattina del 21, dal discorso inaugurale del vice-rettore dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, la prof.ssa Jin Li, seguito dal saluto del Ministro Consigliere dell’Ambasciata di Italia a Pechino, Raffaele Trombetta e dal Preside della Facoltà di Studi Orientali, Federico Masini. Lü Tongliu, Presidente dell’Associazione cinese per lo studio della letteratura italiana, nonché principale promotore dell’iniziativa, è stato il grande assente di questo incontro ed è scomparso pochi giorni dopo la conclusione dei lavori. Lü Jing, figlia del professor Lü, ha letto il discorso che il padre aveva preparato per l’inaugurazione del convegno. Nel corso delle due giornate, il convegno ha affrontato due diverse problematiche: la teoria e la pratica della traduzione della letteratura italiana e la diffusione della lingua e della letteratura italiana in Cina. Si è poi concluso il 23 ottobre con una tavola rotonda, a cui ha partecipato lo scrittore Alessandro Baricco di cui, recentemente, sono state pubblicate in Cina diverse traduzioni. Il primo giorno dei lavori ha visto susseguirsi gli interventi dei traduttori cinesi sulla pratica della traduzione italiana. Molti hanno insistito sulle difficoltà da essa presentate e dalla necessità di rispondere ai tre requisiti fondamentali della traduzione predicati più di cent’anni fa da Yan Fu, ossia “fedeltà, intelligibilità 1 ed eleganza”. Sebbene molti dei traduttori abbiano insistito molto su questo punto, può essere indicativo, a questo proposito, il fatto che la parola yixue, “traduttologia”, ancora non sia entrata a far parte dei dizionari cinesi. Durante la mattina del 21, sono intervenuti Xiao Tianyu sulla traduzione della collana di poesie Gente di corsa di Tiziano Rossi e Zhang Shihua sulla traduzione dei Promessi Sposi. Nel pomeriggio sono intervenuti Wu Zhenyi sulla gara per la traduzione delle opere di Baricco, Shen Emei sul “cammino lungo e tortuoso del lavoro di traduzione”, Wei Yi sulla traduzione de L’automa di Moravia e Lei Jia su una comparazione tra proverbi e modi di dire in italiano e in cinese. Hanno concluso la giornata dei lavori una rappresentante della Casa editrice della letteratura del popolo, e Lu Yuanchang, responsabile della casa editrice di Nanchino Yilin, con un intervento dal titolo “Opinioni sulla traduzione delle opere letterarie italiane”. Da tutti questi interventi è emerso un nuovo quadro del lavoro di traduzione di opere letterarie italiane. Se l’attività di traduzione dall’italiano può essere fatta risalire agli anni ’80 dello scorso secolo, è solo negli ultimi anni che essa si è intensificata e le case editrici cinesi scelgono sempre più spesso di pubblicare autori italiani. Il problema può essere forse quello di creare una nuova, e più consapevole, generazione di traduttori cinesi anche se, come ha elegantemente affermato Shen Emei citando un detto cinese, “nel nostro cammino lungo la strada tortuosa della traduzione sopperiamo alla vecchiaia degli anni con la giovinezza dell’arte”. Tra gli autori italiani più tradotti in Cina compaiono D’Annunzio, Moravia, Calvino e Deledda e dal 2000 ad oggi, grazie in particolare alla casa editrice Yilin di Nanchino, sono apparse anche opere di scrittori quali Tiziano Rossi, Daniele Del Giudice, Vincenzo Cerami ed altri ancora. La giornata del 22 è stata aperta da Tullio De Mauro che, con il suo bell’intervento, ha voluto sottolineare il ruolo svolto dal latino nella formazione della lingua italiana, spiegando come il fiorentino si sia imposto nella penisola italiana come lingua nazionale grazie alla sua prossimità con il latino, e come la consapevolezza di questa “tradizione linguistica”, unitamente alla consapevolezza delle varietà dialettali italiane, possa essere d’aiuto nella comprensione di un testo. Massimo Vedovelli, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, ha presentato invece un rapporto su un’indagine promossa dalla sua università e dal Ministero degli Affari Esteri, intitolata “Italiano 2000” da cui è emerso che la lingua italiana si trova al quarto/quinto posto tra quelle più studiate al mondo. Francesca Bernardini è poi intervenuta sulle “tipologie strutturali e linguistiche del romanzo italiano del secondo Novecento: Calvino, Moravia, Gadda”, fornendo in tal modo ai numerosi studiosi e agli studenti italiani e cinesi presenti una chiave di lettura più approfondita di questi tre importanti autori italiani. E’ sempre al secondo Novecento che appartengono i resoconti di viaggio in Cina di Carlo Cassola, Giancarlo Vigorelli e Curzio Malaparte sui quali è intervenuta Rosa Lombardi. Tre autori diversi, tre di versi modi di percepire e raccontare la Cina comunista al lettore taliano. Lü Jing ha invece illustrato le vicende letterarie e teatrali della Turandot, “ottimo esempio di scambio culturale e d’influenza reciproca tra Cina e occidente”. Il pomeriggio è stato interamente dedicato alla cultura e alla letteratura italiana in Cina. Federico Masini è intervenuto avanzando l’affascinante ipotesi di poter far coincidere, almeno fino all’Ottocento, la storia delle relazioni sino-europee con la storia delle relazioni tra la Cina e l’Italia. Queste relazioni, che possono essere fatte risalire alla dinastia Han, videro l’apice negli ultimissimi anni dell’Ottocento, durante i quali l’Italia Risorgimentale venne presa a modello da alcuni tra i più grandi intellettuali cinesi dell’epoca come Kang Youwei e Liang Qichao. Wen Zheng ha idealmente continuato la discussione con un excursus storico per la comprensione della diffusione della letteratura italiana, da Matteo Ricci a le “Biografie degli eroi del Risorgimento italiano” di Liang Qichao. Dopo quasi un secolo d’inattività, negli anni Novanta del secolo scorso sono ripresi i lavori di traduzione di narrativa contemporanea e di classici della letteratura italiana. Proprio alle problematiche legate alla traduzione di classici hanno fatto riferimento gli interventi di Alessandra Brezzi sulla Divina Commedia, di Monica Piccioni sul Decameron e di Antonella Musto sulle Avventure di Pinocchio. In tutti e tre i casi è stato necessario aspettare diverso tempo perché le traduzioni venissero realizzate dall’originale e non da traduzioni da altre lingue (giapponese e inglese) col conseguente risultato, in alcuni casi, di traduzioni inesatte, tagliate e, in alcuni casi, con errori più o meno gravi d’interpretazione. Hanno chiuso questi due intensi giorni di 2 lavoro l’intervento di Du Ying, sull’insegnamento dell’italiano in Cina, e quello di Yang Shunxiang sul Milione di Marco Polo. E’ stato proprio l’intervento della prima a dare il via ad una vivace e accesa discussione in cui i docenti, sia da parte cinese che da parte italiana, hanno potuto confrontarsi e scambiarsi suggerimenti sulla didattica e sui materiali ad essa correlati. Il convegno si è idealmente concluso con la tavola rotonda del 23 ottobre mattina, durante la quale lo scrittore Alessandro Baricco ha incontrato i suoi traduttori in vista della recente pubblicazione delle versioni cinesi di Senza Sangue e Barnum 2. Come sopra accennato, infine, il 25 ottobre è stata inaugurata, presso la Biblioteca Nazionale di Pechino, la mostra di libri dal titolo La letteratura italiana in Cina, organizzata dalla direzione della Biblioteca Nazionale, dal Centro di Ricerca di cultura e letteratura comparata dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, e dal Centro di letteratura comparata dell’Istituto di Scienze sociale e che rientra nelle attività promosse dal Comitato nazionale per il 750° anniversario della nascita di Marco Polo. La mostra è strutturata in cinque sezioni: alcune note introduttive sulla cultura italiana, una parte dedicata ai missionari, alcuni testi della letteratura della Roma antica, quindi la parte dedicata alla letteratura italiana (Dante, Boccaccio, Goldoni, la letteratura del Romanticismo, Verga, D’Annunzio, la letteratura antifascista e neorealista, Pirandello, Moravia, Calvino, letteratura contemporanea e letteratura d’infanzia). L’ultima sezione, infine, è dedicata alla storia delle traduzioni letterarie italiane. Alla cerimonia d’inaugurazione sono intervenuti il Vice Direttore del Centro di ricerca per la letteratura prof. Lu Jiande, il Vice Rettore dell’Università di Lingue Straniere di Pechino prof.ssa Jin Li, il Ministro Consigliere dell’Ambasciata di Italia a Pechino, Raffaele Trombetta, il Preside della Facoltà di Studi Orientali, Federico Masini e l’addetto stampa dell’Ambasciata di Italia, Paola Paderni. La mostra è durata fino al 25 novembre. ************ Per ricordare la figura del Prof. Lü Tongliu, scomparso il 28 ottobre 2005, nel prossimo numero della rivista dedicheremo un saggio al contributo scientifico e al rilevante apporto da Egli fornito alla diffusione della cultura italiana in Cina (n.d.r.). MONDO CINESE N. 125, OTTOBRE-DICEMBRE 2005 Note 1 Questo convegno è stato solo uno dei numerosi convegni organizzati dal Comitato Marco Polo nel corso degli ultimi due anni: il 23 e il 25 novembre 2004, si è svolto rispettivamente a Roma e a Venezia un convegno dal titolo “Marco Polo: 750 anni”; dal 10 al 12 novembre 2005, si è tenuto a Napoli il convegno “Vico e la Cina: Cina, Giappone, Corea”. 3 Ricordo di mio padre di Lü Jing Era il 28 ottobre 2005, una tiepida giornata autunnale, quando mio padre Lü Tongliu ha lasciato, non solo la sua famiglia, ma anche il suo mondo fatto di libri, amici e stimati colleghi. La sua morte per la Cina, e non solo, è stata una gran perdita; con lui se ne è andato un insigne studioso della letteratura straniera, di quella italiana in particolare, la passione di tutta una vita per la quale ha ottenuto importanti riconoscimenti in Cina e all’estero. Quarto di cinque figli, mio padre era nato poco più di sessantotto anni fa a Dan Yang, cittadina che si trova nella provincia meridionale dello Jiangsu. Forse il suo destino comincia, quasi per decisione del destino, proprio a Dan Yang, cittadina nota per l’abbondanza di pesci, riso e per aver dato i natali a numerosi studiosi. Era l’8 gennaio del 1938, in piena invasione giapponese, tutta la famiglia era in fuga quando mio padre venne al mondo in una stalla nei pressi del fiume Yangzi. E poiché si trattava della sesta sosta del lungo cammino, gli fu assegnato il nome liu (che significa sei) come suffisso a Tong che era già stato deciso per i figli della sua generazione. Cominciò da ragazzo a nutrire un particolare interesse verso gli studi umanistici leggendo un’infinità di racconti, poesie, romanzi. Saggi e articoli scritti da autori cinesi e stranieri. Successivamente riuscì a superare brillantemente l’esame statale per poter studiare in Unione Sovietica, che raggiunse nel 1956, iscrivendosi alla facoltà di chimica presso l’Università di Leningrado. A quel tempo dalla Cina si andava a studiare all’estero solamente materie scientifiche. Ma il suo sogno era la letteratura ed il giornalismo. Riuscì a coronarlo l’anno successivo allorché ebbe la possibilità di cambiare indirizzo iscrivendosi alla facoltà di lingua e letteratura italiana. Era quello il suo destino. Parlava spesso di questo periodo con nostalgia e penso sia stato fondamentale per la sua formazione culturale. In quel periodo cominciò a scrivere per i giornali cinesi articoli sulle attività culturali e sportive dei suoi connazionali in Unione Sovietica. Ben presto però si innamorò dei racconti di Moravia e, approfittando delle vacanze, tradusse in cinese Felicità in vetrina, che fu pubblicato nel 1962 dalla rivista cinese Letteratura mondiale. Fu un successo immediato tanto che la Radio Centrale decise di dedicargli una trasmissione. E’ stato un momento cruciale per la carriera di mio padre; il quale, laureatosi nello stesso anno, è stato inserito nell’organigramma dell’Istituto di Ricerca sulla Letteratura Straniera dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali di Pechino, in qualità di esperto di letteratura straniera. In seguito è divenuto professore ordinario. Gli eventi storici della Cina dal 1964 fino alla fine degli anni ’70 tennero lontano mio padre dal suo lavoro e dalle sue ricerche, da poco iniziate, su Moravia. Anche a lui toccò il destino di molti altri intellettuali: fu inviato in campagna per essere rieducato. Ricordava quel periodo con molta ironia: “mi sembrava uno scherzo della sorte, albergavo in una stalla così come vi ero nato”. Sono stati anni di duro lavoro, dove la fatica riempiva l’intera giornata. Alle fine della Rivoluzione Culturale, quando finalmente ha potuto ricominciare il suo lavoro, ha cercato di recuperare il tempo perduto, riprendendo i suoi studi proprio da Moravia. Leggendo accuratamente le opere e i saggi critici dello scrittore ha quindi scelto i trenta racconti che meglio potevano riflettere il carattere e l’evoluzione. Venti anni dopo, nel 2002, in un’intervista pubblicata su una rivista letteraria, la scrittrice Chen Ran ha detto che i racconti di Moravia, tradotti da Lü Tongliu e letti negli anni dell’università, l’avevano colpita per la loro bellezza. Il suo lavoro lo ha portato spesso in Italia agli inizi degli anni ’80, dove ha potuto perfezionare la lingua e continuare le proprie ricerche. Ha conseguito in quegli anni specializzazioni sia presso l’Università della Calabria che alla Sapienza di Roma. Ha conosciuto Calvino e Sciascia, con i quali ha avuto occasione di parlare delle loro opere prima di tradurle in cinese. Negli anni seguenti infatti vengono pubblicate le sue versioni di Ciascuno a modo suo di Sciascia e de Le opere di Italo Calvino (dodici titoli), in collaborazione con la scrittrice Zhang Jie. Successivamente lettori e poeti cinesi hanno potuto conoscere la poesia ermetica dei due nobel Montale e Quasimodo attraverso le raccolte, da lui curate, della poesia di Montale (1992) e della poesia di Quasimodo (1998), molto apprezzate da 4 letterati cinesi come Niu Han, Xu Shi e Jidimajia. E’ stato coraggioso a portare, con il suo lavoro, il nome di Pirandello nel campo letterario-teatrale cinese. L’autore era poco conosciuto nel nostro paese e la superficiale conoscenza che regnava era distorta da giudizi politici. Di lui ha tradotto Enrico IV (1989), Trovarsi (1989), Vestire gli ignudi (1989) e I giganti della montagna (1989). Mentre traduceva, ha anche organizzato diversi seminari su Luigi Pirandello per cercare di far comprendere meglio il valore della sua opera. Per la traduzione di Vestire gli ignudi, la cui rappresentazione è stata trasmessa in televisione, ha ricevuto un riconoscimento ufficiale. Al riguardo vanno ricordate le parole pronunciate dal noto regista cinese Lin Zhao Hua: “Nel ventesimo secolo in occidente ci sono stati due grandi drammaturghi: Brecht e Pirandello”. Su quest’ultimo, dalla negazione alla conoscenza fino ad arrivare all’attenzione, il contributo di mio padre è innegabile. Anche in Italia i riconoscimenti per tale lavoro non sono mancati e il Premio Pirandello, conferitogli nel 1991, è magnifica conferma all’eccezionale lavoro svolto. Analoga operazione, ovverosia quella di organizzare convegni per preparare gli ambienti letterari alle nuove opere tradotte ed evitare che non fossero adeguatamente apprezzate, la condusse da una parte con Gabriele D’Annunzio, esaltandone il carattere linguistico e l’estetismo, dall’altra con il futurismo italiano. E questo portò alla conoscenza in Cina di autori e movimenti letterari. Ma ritengo che la peculiarità di mio padre sia stata di capire che più di un autore e di una corrente letteraria andavano presentate in quella fase in cui la letteratura italiana in Cina muoveva i primi passi; perciò non si è soffermato su uno specifico periodo storico o su un filone letterario, ampliando gli orizzonti della sua ricerca. Come traduttore e curatore la sua ricerca abbraccia opere dalle origini della letteratura con Dante (La Divina Commedia), Petrarca (Il Canzoniere), Boccaccio (Decameron), Tasso (La Gerusalemme liberata); attraversa il Rinascimento con Le Novelle del rinascimento Italiano e l’Ottocento con Manzoni (I Promessi Sposi), Leopardi (L’Antologia della poesia di Leopardi) e Verga (I Malavoglia) giungendo al Novecento, dove si compie il suo massimo sforzo letterario. Tanti sono gli autori del secolo appena trascorso da lui affrontati e portati alla conoscenza del pubblico cinese: oltre a quelli già citati, possiamo ricordare Nievo (Le confessioni di un italiano), D’Annunzio (Il fuoco), Berto, Buzzati, Boito, Deledda, Tomasi di Lampedusa, Malerba, Castellaneta, ecc. che ha riunito nelle Opere selezionate da illustri traduttori cinesi, nella Raccolta della poesia italiana del Novecento (1998) e ne La letteratura italiana del Novecento (10 voll., 1992-1995). Affermava che la traduzione dovrebbe sempre essere accompagnata da un lavoro di ricerca: sono le facce della stessa medaglia, ed un bravo traduttore deve conoscere entrambe le culture. Infatti considerava il suo lavoro come “un ponte che collega due culture e due popoli” e gli scambi culturali tra diverse civiltà come “una pietra miliare del progresso umano”. E’ con questo spirito che nel 1992, in un clima non idilliaco, organizza un simposio su “Le ricerche e le traduzioni della letteratura straniera” tra gli studiosi di Taiwan, Cina continentale e Hong Kong. Occasione in cui, per la prima volta, studiosi di questi tre paesi si sono incontrati. Nel 1991, in qualità di Vice Presidente dell’Accademia Cinese di Cultura Internazionale ha inoltre organizzato a Pechino il primo “Convegno Internazionale su Marco Polo” e nel 1994 - nonostante numerose difficoltà politico-ideologiche - il convegno su “Martino Martini e gli scambi culturali tra la Cina e l’Occidente”. Nel 1988 ha fondato l’Associazione Cinese per gli Studi sulla Letteratura Italiana. In questa sede, tutti gli anni, si tengono convegni per discutere sulla produzione letteraria italiana e vengono allo scopo invitati studiosi e scrittori italiani. Fino allo scorso anno, in qualità di Presidente dell’Associazione, è stato mio padre a curare, ideare e progettare il tema del convegno e interessarsi degli ospiti italiani da invitare. Lo scrittore Carlo Sgorlon ha detto di mio padre che “era un uomo di vastissimo rilievo culturale nel suo Paese (…) gestiva se stesso ed il suo immenso potere culturale con una signorilità discreta, misurata, piena di affabilità”. Queste parole mi riempiono d’orgoglio assieme ai numerosi riconoscimenti da lui ottenuti: la Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte conferita dalla Presidenza della Repubblica Italiana e dal Ministero dell’Istruzione (2004); il premio Nazionale della Traduzione del Ministero dei Beni Culturali (2004); la carica di Commendatore della Repubblica Italiana (2002), di Cavaliere Ufficiale dell’Ordine della Repubblica Italiana (1990); il Premio Letterario Mondello (1990). La 5 convinzione, di foscoliana memoria (“Celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi, celeste dote è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi”), che egli sia ancora tra noi per il suo contributo al mondo delle lettere e che il suo nome vivrà sempre nelle pagine da lui scritte, rende meno triste il distacco dello scorso autunno. MONDO CINESE N. 126, GENNAIO-MARZO 2006 6 La figura di Dante nella letteratura cinese moderna di Anna Bujatti* Il drammaturgo e narratore Lao She (1899-1966) che nel 1936 aveva scritto il testo poetico Guiqu (Commedia dei demoni) ispirato all’Inferno dantesco, dichiarava, nel 1941, che “la Divina Commedia è l’unico libro al mondo che non si può imitare”. Il poeta He Qifang (1912-1977) nel 1975, un anno prima della morte di Mao Zedong e della fine del periodo detto della ‘Rivoluzione culturale’ (Wenhua dageming) (1966-1976) esprimeva nella sua poesia Yixi (Ricordanze) l’auspicio: “anche la Cina deve avere il suo Dante” manifestando così l’identificazione di Dante nel grande poeta nazionale per antonomasia a livello mondiale. La presenza di Dante in Cina tra la caduta dell’impero e i primi decenni della repubblica. La presenza di Dante nella scena letteraria cinese risale alla fase storica detta del ‘Riformismo’ che portò alle riforme del 1898, premessa alla caduta dell’impero e all’instaurazione della repubblica (1912). Una componente importante del ‘Riformismo’, movimento insieme politico e culturale, era costituita da intellettuali che si erano formati in Giappone dove l’eco del Risorgimento italiano era giunta attraverso l’Inghilterra. Ricordiamo in particolare The prophecy of Dante scritto da Byron nel 1919 a Ravenna e il discorso di Thomas Carlyle del 1841 On Heroes, Hero worship and the heroic in History, testi nei quali Dante è presentato come poeta profeta, anima della nazione italiana. Lo studioso giapponese Ueda Bin pubblicava nel 1901 una serie di lezioni su Dante divino poeta (Shisei Dante ) e nel 1904 una parziale traduzione in giapponese della Vita nuova. Su questo sfondo si colloca il dramma dello scrittore cinese Liang Qichao (1873-1929) Xin Luoma (La nuova Roma ) pubblicato, incompiuto, nel 1902, dramma nel quale a Dante è affidato il prologo nel quale viene evocato il Risorgimento italiano come esempio di riconquista della antica dignità di un grande popolo, a lungo calpestata. Nel 1907. ispirandosi a Carlyle, il grande scrittore cinese Lu Xun (1881-1936) anch’egli studente in Giappone, scrive per una progettata rivista dal titolo «Xin sheng» («Vita nuova») il testo Il potere della poesia di M_r_ (o Il potere della poesia ribelle, poiché M_r_ è il demonio indiano) in cui evoca la figura di Dante come padre della nazione italiana. Il poeta Su Manshu (1884-1918) primo traduttore di Byron in cinese, accomuna Dante e Byron in una sua lirica del 1909 definendoli “i suoi maestri”. In un articolo per la rivista «Xin qingnian» («Gioventù nuova») del 1° gennaio 1917 l’autorevole intellettuale Hu Shi (1892-1962) esalta Dante come creatore di una lingua nuova, che da voce alle aspirazioni nazionali del suo paese. Nel 1921, sesto centenario della morte di Dante, poco più di un paio di anni dopo lo storico Movimento, politico e culturale insieme, definito “del 4 maggio” (1919), un numero speciale della rivista «Xiaoshuo yuebao » («Mensile del romanzo») pubblica la traduzione in cinese dei primi tre canti della Divina Commedia (Shen qu) e la riproduzione del dipinto ‘Dante in esilio’ del pittore ottocentesco Domenico Peterlin. In altre riviste si parla in particolare del De vulgari eloquentia, stimolo al rinnovamento della lingua cinese scritta, ancora rigidamente legata alle forme tradizionali, lontana dalla moderna lingua parlata. Ci sono anche vie impensate che conducono a Dante. Il grande romanziere Ba Jin (1904-2005) ha sempre ricordato, come avvio alla sua lettura di Dante, la lettera ricevuta nel 1927, in risposta a un suo messaggio di solidarietà, dall’operaio italiano Bartolomeo Vanzetti, condannato negli Stati Uniti alla sedia elettrica (lettera esposta al Museo della Letteratura cinese moderna a Pechino). Il poeta fiorentino e la generazione ‘romantica’ dei poeti cinesi. 7 Accanto alla esaltazione del ruolo civile di Dante, negli anni Venti si diffonde l’immagine del Dante cantore dell’amore angelicato, e vengono evocate le figure di Beatrice e di Francesca da Rimini (eroina della celebre parafrasi, opera di Byron, del V canto dell’Inferno). Il poeta Guo Moruo (1892-1979) scrive Il canto di Paolo (1923) e in Tre canti di vita alla deriva (1924) si paragona a Dante in esilio che invoca la sua Beatrice. Frequenti sono i riferimenti a Beatrice nelle poesie di Xu Zhimo (1896-1931), che nel 1925 si reca personalmente a Ravenna a rendere omaggio alla tomba di Dante. Il narratore e poeta Yu Dafu (1896-1945) nel 1927, nel corso di una lunga e tormentata storia d’amore, si rivolge costantemente alla sua amata come alla sua Beatrice. E anche il giovane poeta Yin Fu (che sarebbe stato ucciso a Shanghai nel 1931 come rivoluzionario) scrive alla sua amata “Tu sei la Beatrice dell’Oriente”. Nel 1934 il poeta Wang Duqing traduce in cinese (dalla traduzione inglese di Dante Gabriele Rossetti) la Vita nuova. Dante poeta-profeta e l’evocazione di Qu Yuan. Nella cultura cinese del Novecento, la figura di Dante poeta-profeta non ha soltanto una connotazione civile ‘moderna’, come padre della nazione italiana, ma anche una dimensione visionaria, extratemporale, che si apparenta alla figura dell’antico poeta cinese Qu Yuan (340-277 a.C. circa) autore del poema Lisao (I tormenti dell’esilio o Incontro al dolore ). Già lo scrittore Lu Xun aveva accennato a questo accostamento, ma è il romanziere Mao Dun (1896-1981) che, in apertura di un suo celebre saggio del 1935 sulla Divina Commedia, svolge più compiutamente il parallelo. Quando, nel 1942, nei cupi anni dell’invasione giapponese, Guo Moruo mette in scena a Chongqing (allora capitale, sede del governo nazionalista) il suo dramma Qu Yuan, con forte connotazione di orgoglio patrottico, lo studioso Guo Yintian ne trae stimolo ad approfondire il parallelo tra Dante e Qu Yuan, voci, entrambi, delle più alte aspirazioni dei loro popoli e interpreti delle grandi correnti spirituali che percorrono l’universo. È interessante notare che le figure di Dante e di Qu Yuan sono state avvicinate anche di recente nel discorso tenuto all’Accadema svedese nel 2000 dal premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian. Le traduzioni e gli studi delle opere di Dante. I primi tre canti dell’Inferno tradotti di Qian Daosun sono stati pubblicati sul «Xiaoshuo yuebao» («Mensile del romanzo») nel 1921 e altri cinque nel 1929, traduzione molto ammirata ma non portata a termine. Tra il 1935 e il 1948 Wang Weike ha tradotto tutta la Divina Commedia dal francese e nel 1954 Zhu Weiji ha pubblicato la sua traduzione dell’Inferno dall’inglese completando la traduzione delle tre Cantiche entro il 1990. Infine Tian Dewang ha tradotto la Divina Commedia (Shen qu) dall’italiano, pubblicandola nel 2000. Negli anni Novanta sono state pubblicate, oltre a una nuova traduzione della Vita nuova, anche le traduzioni del Convivio, a cura di Lü Tongliu (1966) e del De Monarchia a cura di Zhu Hong (1997). Dopo un lungo silenzio, a partire dalla fine degli anni Settanta, studi e ricerche su Dante si sono susseguiti in gran numero. Forse il primo saggio notevole è stato il saggio di Hua Yuqing pubblicato nel 1980 sulla rivista di studi letterari di letteratura straniera «Waiguo wexue yanjiu» con il significativo titolo: Modernità della Divina Commedia. 8 Dante nella letteratura cinese di Ermanno Visintainer Fra le figure di spicco dei letterati che, nell’alveo della più recente letteratura dinastica cinese e di quella moderna, si sono ispirate a Dante, se ne possono essenzialmente ravvisate due: 梁啟超 Liáng Qǐchāo e 胡適Hú Shì. Essi furono rispettivamente: il primo un filosofo modernista, riformatore e poligrafo, mentre l’altro fu promotore della letteratura vernacolare, o 白話- báihuà, e propagandista della cosiddetta “Rivoluzione letteraria, 文学革命- wénxué gémìng”cominciata nel 1917. Quale premessa in merito alla diffusione del sapere occidentale in Cina ed onde comprendere meglio il contesto cui facciamo riferimento ci pare doveroso allegare un paio di dati storici. Per prima cosa una menzione alla figura di Marco Polo nelle vesti di ambasciatore ante litteram dell’occidente e dell’Italia in Cina, quindi un cenno all’influenza che quivi esercitarono alcuni personaggi provenienti sempre dall’Italia verso la fine del periodo rinascimentale. Basti pensare a quei gesuiti che Battiato in una vecchia canzone definisce: “euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori, della dinastia dei Ming”, salvo poi abbandonare panni del bonzo per indossare quelli del saggio confuciano allorché si accorsero del disinteresse e della noncuranza con cui erano visti da parte dell’aristocrazia cinese. A dispetto di ciò, la funzione che essi svolsero nella trasmissione della scienza e della tecnica occidentale fu davvero unica. Due nomi a tal proposito emblematici sono quelli di: Matteo Ricci e Martino Martini, ai quali (soprattutto il primo) alcuni sinologhi attribuiscono il merito di aver stimolato la nascita del movimento per la riforma dello stile letterario negli ultimi anni della dinastia Ming. Sempre in un ambito linguistico, peraltro, un’ulteriore rettifica sarà introdotta dal “Grande Timoniere”, 毛泽东 Máo Zédōng, in tempi più recenti con l’imposizione dei caratteri semplificati. Venendo ai due autori cinesi, il primo dei due, Liáng Qǐchāo (18731929), ravvisò in Dante il poeta-vate che contribuì al risveglio della coscienza nazionale italiana e quindi alla successiva indipendenza e liberazione dal dominio straniero. Sull’onda di un entusiasmo ispirato a tali suggestioni, nel 1904 Liáng Qǐchāo, compose un dramma intitolato 新罗马Xǐn Luómă ( La nuova Roma) in cui immaginò lo spirito di Dante visitare la Cina assieme a quelli di Voltaire e Shakespeare. Questi vedendo la triste situazione in cui versava il suo paese, ovvero la Cina, politicamente indebolita e moralmente corrotta, auspicò per essa una resurrezione spirituale che la portasse ad essere "la nuova Roma", un faro di civiltà per tutto il mondo. Riportiamo qui un passo tradotto da G. Bertuccioli, una grande figura della sinologia italiana. Dante: Sono lo spirito di Dante, un poeta italiano...Rendendomi ben conto del valore della libertà, non potevo sopportare che, dal giorno della caduta dell'Impero Romano, la mia patria fosse divisa tra tanti sovrani, come se fosse divenuta una zucca o un baccello....Ahime'! Centinaia di anni fa io mi disperavo e piangevo per questa situazione. M' ero convinto che, se si voleva liberare la patria bisognava svegliare il popolo italiano e a tal fine aggiunsi delle poesie e delle canzoni ai romanzi e ai drammi che avevo 9 scritto, nella speranza che, a forza di essere ripetute nelle strade anche da donne e bambini, avrebbero contribuito a rafforzare lo spirito nazionale e lavare l'onta della patria... Ah! Ah! La mia Italia e' divenuta una potenza europea di prim’ordine, completamente indipendente. Vedete: ha una superficie di centodiecimila miglia quadrate, una popolazione di trenta milioni di abitanti, tutti della stessa razza: un governo e un parlamento davvero seri e rispettati; più di cinquecentomila soldati addestrati, pronti a combattere e a difendere la pace. Tutto ciò è stato il frutto degli infiniti sforzi dei miei compatrioti che hanno studiato e pianto sangue.( Liáng Qǐchāo " Xǐn Luómă ", prologo) A tali parole fanno l’eco quelle dell’altro letterato, Hú Shì (1891-1962), il quale scrive:“Soltanto l'Italia presenta degli aspetti simili a quelli della Cina d’oggi, soprattutto se teniamo presenti le condizioni in cui essa si trovava prima del raggiungimento della sua unità nazionale. Soltanto tre eroi italiani possono costituire un modello per il popolo cinese. I tre errori sono Mazzini Garibaldi e Cavour”. Mentre, riferendosi a Dante scrive quanto segue: “Noi cinesi dobbiamo studiare il modo in cui il volgare si è affermato in Italia. E perché mai? Perché le lingue degli altri paesi dell'Europa occidentale o settentrionale differiscono troppo dal latino. In quei paesi fu facile abbandonare l'uso dal latino per cominciare a scrivere secondo le nuove lingue nazionali. Invece coloro i quali proposero di servirsi del volgare in Italia incontrarono molte difficoltà proprio perché nel loro paese aveva avuto sede la capitale dell'impero romano e perché i dialetti italiani non differiscono troppo dal latino. Le stesse difficoltà vengono incontrate in Cina da chi sostiene la necessità di scrivere secondo la lingua parlata in un secondo lo stile letterario. In Italia gli avversari del volgare erano numerosissimi e gli scrittori, per affermare le loro tesi, dovettero creare una letteratura il volgare che si mostrasse superiore come latino. Così fecero Dante e Leon Battista Alberti” annettendo in altro scritto il nome di Lutero. Per chiosare un paio di considerazioni. Ribadendo la nostra consapevolezza circa la frammentarietà di quanto esposto, affermiamo che sebbene tale rassegna di paradigmi tratti dalla storia italiana non possa fare altro che esaltare il nostro orgoglio nazionale, ci rammarichiamo dell’assoluta assenza di analoghi modelli sullo sfondo delle attuali relazioni italo-cinesi3. D’altra parte, un accostamento così estemporaneo e composito di personaggi storici non può fare a meno che destare una certa perplessità. Volendo estendere un parallelismo, che peraltro ci pare pertinente, tra le motivazioni che a nostro avviso, hanno indotto i summenzionati letterati cinesi ad appropriarsi della risonanza del nostro illustre poeta, non possiamo esimerci dal porre in evidenza la loro assoluta eterogeneità rispetto a quelle cui ci siamo riferiti nel precedente articolo sulla letteratura indo-pakistana. Si potrebbe, infatti, asserire che i filosofi europei accostati da Iqbal all’opera dantesca evidenzino, rispetto ai personaggi citati nel presente approfondimento, una macroscopica divergenza di prospettive. Nelle figure identificate dai letterati cinesi non è difficile in generale intravedere un’inclinazione verso correnti di pensiero di matrice rinascimentale ed illuministica; per quanto riguarda Mazzini e Garibaldi, nella fattispecie, è noto quale movimento rappresentassero. Lungi dall’esprimere giudizi categorici in merito e prescindendo, soprattutto, dal valore sia intrinseco che stilistico delle loro opere, diciamo soltanto che a differenza di Iqbal, cui innumerevoli sono stati gli encomi attribuitigli dal nostro obliato orientalista A. Bausani, il quale pur nella rottura con il proprio passato nazionale, nell’assunzione di modelli esterni seppe mantenere un equilibrio con la propria tradizione di appartenenza, in quell’esaltazione della 10 modernità che traspare dagli scritti di Liáng Qǐchāo e di Hú Shì non sembra riverberare, tanto per fare un esempio, il minimo riflesso di uno dei capolavori massimi della letteratura cinese: il 道德經 - Dàodé jīng di 老子Lǎozǐ, essa sembra altresì preconizzare l’iconoclastia di quella che sarà la Rivoluzione culturale degli anni più recenti i cui effetti si possono ancor’oggi notare nello sventramento di interi quartieri di Hutong delle città per lasciare lo spazio ad un’edificazione che sgomenta gli stessi cinesi, oppure nel distacco che molti di loro dimostrano nei confronti della loro cultura antica. Va da sé che, comunque, anche in Cina momentaneamente il personaggio storico italiano più conosciuto non è tanto il 但丁Dàndīng, ovvero il Dante da noi trattato nel presente articolo quanto quel 达芬奇Dá Fēnqí, o quel Da Vinci di Dan Brown che con il suo “密码mìmă, Codice” ha letteralmente conquistato il mercato editoriale dell’intero pianeta. 11 La Divina Commedia in lingua cinese a Ravenna di Federico Masini Nell'ambito della manifestazione "La Divina Commedia nel mondo", organizzata da Walter Della Monica con la consulenza scientifica di Enzo Esposito, il 18 settembre si è svolto a Ravenna nella Basilica di S. Francesco un incontro dedicato alla conoscenza di Dante in Cina. Il Centro Relazioni Culturali di Ravenna, dopo aver organizzato nel triennio 1995-97la lettura pubblica ed integrale della Divina Commedia in cento serate, ad opera di Vittorio Sermonti, quest'anno ha preparato tre incontri sulla fortuna della Commedia all'estero: il primo dedicato al mondo anglofono con il traduttore inglese Allen Mandelbaun, il secondo dedicato alla Cina con il traduttore cinese Huang Wenjie e il terzo dedicato alla lingua francese, con la partecipazione della traduttrice Jacqueline Risset. La serata dedicata alla Cina, dopo la presentazione della manifestazione da parte di Walter Della Monica ed una breve introduzione dello scrivente (intervenuto al posto di Giuliano Bertuccioli, assente per motivi di salute) sulla fortuna di Dante in Cina, prevedeva la lettura integrale del XXVI canto dell'Inferno, il canto di Ulisse, prima in lingua cinese a cura delle giovane e brava Lu Jing, figlia dell'italianista cinese, Lu Tongliu, e quindi in italiano a cura del noto dicitore Vittorio Sermonti. Si è trattato di un'ottima occasione per far conoscere ai molti estimatori di Dante intervenuti la notevole fortuna che ha arriso al nostro poeta in Cina, fin da quando, come scrive Bertuccioli in un articolo apparso su questa rivista nel 1991 (n. 73, pp. 7-15). Dante in Cina fu prima considerato un campione di patriottismo, poi un riformatore della lingua, quindi fu paragonato ad uno sfortunato poeta della più remota antichità cinese che come lui era stato costretto a morire in esilio. Solo un autore, Guo Moruo, mostra un sincero interesse per Dante poeta, quando compone una breve poesia dedicata a Paolo e Francesca o, prendendo commiato dalla moglie, la saluta dicendo: "Addio mia Beatrice!" Soltanto dopo la fondazione della Repubblica Popolare, la Divina Commedia sembra venir apprezzata appieno. Dopo la prima traduzione, in lingua cinese classica, di un canto apparsa nel 1921, nel 1949, esce infatti la prima traduzione integrale, condotta sulla versione francese. Questa fu più volte ristampata fino al 1980, così come la traduzione dall'inglese apparsa nel '59, alla quale arrise notevole fortuna editoriale, come provato dal fatto che l'edizione del 1984, tirata in oltre 112.000 copie, fu già ristampata nel 1990. Infine è solo sul finire degli anni Ottanta che appare la prima versione basata sull'originale a cura di Tian Dewang: i primi quattro canti furono pubblicati nel 1986, seguiti poi da tutto l'Inferno nel 1990. Mancava quindi una traduzione integrale dall'originale e a questo lavoro si sta dedicando Huang Wenjie, che a Ravenna ha presentato la sua versione del XXVI canto dell'Inferno. Resta da chiedersi cosa possano apprezzare i lettori cinesi di un’opera cosi distante dal loro mondo culturale. L’argomento del viaggio negli inferi, in compagnia di una guida, non è completamente estraneo alla cultura cinese: lo si ritrova infatti nella tradizione buddhista. Sia questa che una possibile lontana eco dell'opera di Dante ispirarono forse una novella composta in dialetto cantonese durante il secolo scorso, tradotta dallo scrivente e pubblicata su questa rivista nel 1991 (n. 73, pp. 27-48), sotto il titolo "Una Divina Commedia cantonese". MONDO CINESE N. 98, MAGGIO-AGOSTO 1994 12 Boccaccio e la Cina di Monica Piccioni Nel n. 73, marzo 1991, di «Mondo Cinese», venne pubblicato un saggio del prof. Giuliano Bertuccioli intitolato Dante e la Cina, diretto a far conoscere sia la fortuna di Dante in Cina che i riferimenti a quel paese anche se tenui, che si trovano nelle sue opere. Siamo lieti di presentare questo saggio della dr.ssa Monica Piccioni, in cui vengono trattati gli stessi temi con riferimento all'altro nostro grande autore, Giovanni Boccaccio. È da sperare che a questi due primi articoli possano far seguito altri in modo da far conoscere la fortuna in Cina dei nostri maggiori scrittori. Fra i grandi autori della nostra letteratura, Giovanni Boccaccio può essere considerato uno dei più letti ed apprezzati dagli studiosi e dal pubblico dei lettori cinesi. In realtà, la conoscenza che la Cina ha del «padre» della prosa d'arte italiana e della sua opera, del Decameron in particolare, è un episodio storicamente «recente»: un evento del XX secolo. Eppure in un arco di tempo relativamente breve, il Decameron è stato più volte tradotto, studiato e commentato in Cina e a Boccaccio sono stati dedicati studi critici e biografie. Il principale veicolo attraverso il quale il Decameron è arrivato ai più, che certo non potevano leggerlo nella sua lingua originale, sono state le traduzioni. Le prime di cui si ha sicura conoscenza compaiono negli anni 1920-1930, un periodo della storia cinese in cui si cercavano, scoprivano e divulgavano le opere letterarie straniere. Si tratta, in questa fase iniziale, di novelle «isolate» tradotte e pubblicate in riviste letterarie come la seconda della nona giornata («Levasi una badessa in fretta e al buio per trovare una sua monaca...») e la sesta della settima giornata («Madonna Isabella, con Leonetto standosi, amata da un messer Lambertuccio è visitata e trona il marito di lei...») del Decameron, apparse nei numeri di settembre ed ottobre del 1928 del Wenxue zhoubao (Settimanale letterario) e intitolate dal traduttore Luo Ailan, rispettivamente «Zhuchi zhuojian» (La badessa coglie gli amanti sul fatto) e «Nüren de jizhi» (La prontezza della donna). Nello stesso anno anche il Guowen zhoubao (Settimanale di letteratura nazionale), n. 34, ospitò una traduzione della novella di Peronella [VII, 2] curata da Xian Tai, col titolo di «Zhangfu he tong de gushi» (Storia del marito e della botte), mentre il Dazhong wenyi (Arte e letteratura delle masse), n. 4, ne presentava un'altra di Yue Zhi, il cui testo non è reperibile, ma che potrebbe essere, a giudicare dal titolo «Er linren» (I due vicini)1 , la ottava novella della ottava giornata («Due usano insieme: l'uno con la moglie dell'altro si giace...» ). V'è da notare, in queste prime versioni, la presenza di alcuni territori di interpretazione dovuti in parte al fatto che esse non si basano sull'originale italiano, ma su edizioni in altre lingue. In realtà, nel caso delle traduzioni in cinese del Decameron, con una sola, recente eccezione, si è sempre fatto ricorso ad edizioni straniere, inglesi soprattutto. Non di rado i loro errori si sono trasferiti nelle versioni cinesi e la loro carenza di note ha impedito ai traduttori di intendere correttamente singole parole ed interi passaggi. Ad esempio, il «Saltero», il termine con cui Boccaccio indica il velo che la badessa di Dec. IX,2, crede di mettersi in testa scambiandolo, nella fretta, con le brache del prete col quale giaceva, nella versione cinese viene tradotto «Shipian» (Poema) vocabolo più vicino ad un altro significato del salterio come «Libro liturgico contenente i Salmi»2 . Dopo queste prime, sporadiche apparizioni, le traduzioni delle novelle di Boccaccio fanno la loro comparsa sotto varie vesti letterarie: dalle esili raccolte che accorpano pochi esemplari, via via si arriva a versioni più complete, corredate di illustrazioni, sino alle edizioni integrali. 13 Nel 1929 viene alla luce la prima raccolta di tre novelle del Decameron [III,9; IV,5; X,3], in una veste tipografica autonoma intitolata Lian’ai yu shenghuo de gushi (Racconti d'amore e di vita), Shanghai, Wei'ai congshushe, pp. 52, a cura di T.T., iniziali sotto cui figura il nome o lo pseudonimo della traduttrice. Il testo delle tre novelle, rielaborate sotto forma di parafrasi, si arricchisce di circonlocuzioni che, nel tentativo di spiegare il senso del dettato, appesantiscono invece la snellezza del racconto. Qui, inoltre, a conferma di una «prassi» ricorrente nelle traduzioni in lingue straniere del Decameron, alcune azioni ardite ed espressioni salaci vengono «neutralizzate». Leggendo la novella di Giletta di Nerbona [III,9], non si ha sentore dell'abile scambio di persona grazie a cui ella si sostituisce alla giovane amante nel letto del marito. Tutto risulta semplificato, i celebri «congiungimenti» menzionati da Boccaccio vengono liquidati, mentre dilaga una folla di aggettivi che esaltano le buone qualità dei personaggi. Più interessante è l'altra silloge del 1929 comprendente otto novelle a cura di Liu An, Shiritan xuan (Scelta dal Decameron), Shanghai, Guanghua shuju, pp. 110. Si tratta di un'altra raccolta che costituisce, rispetto agli esempi sopra menzionati, un corpus più consistente della materia boccacciana tradotta in cinese. La scelta delle novelle, in questo caso, segue un filo conduttore rappresentato dalla tematica erotico-amorosa, offrendo un saggio organico di uno degli argomenti dominanti del Decameron. Nella Premessa al testo, datata 1928, Liu An critica l'uso invalso di censurare interi passi del libro e dichiara di aver basato la sua traduzione su una edizione inglese integrale pubblicata privatamente per evitare i classici tagli inferti alle descrizioni più audaci. Il risultato è senz'altro notevole, i doppi sensi osceni e le ardite metafore, che altre edizioni inglesi o cinesi recidono di netto, acquistano qui una vivezza descrittiva che rende piena giustizia all'originale. Un apprezzamento di questa traduzione è stato espresso dallo scrittore Wang Tiran (1906) nell'articolo «Shiritan gushi xiaolun» (Breve saggio sulle novelle del Decameron), uscito nel 1931 sul periodico Dushu yuekan (Mensile La Lettura), Guanghua shuju, vol. I, n. 5, pp. 155-159. Egli sostiene che le edizioni inglesi, alle quali generalmente ci si ispira, sono in parte monche, anche quando «rivendicano» la completezza. Nega, in proposito, che l'edizione inglese, cui Liu An ha attinto, sia veramente integrale, ma valuta positivamente il fatto che la sua versione, priva di serie omissioni, consenta una lettura più «vicina» alle novelle originali. Vogliamo rammentare che nel puritano mondo anglosassone, mentre la produzione grave e composta delle opere latine di Boccaccio cominciò ad essere già conosciuta nel XIV secolo, il suo novelliere in prosa incontrò difficoltà ad essere accettato nella sua interezza. Infatti, da quando il primo consistente gruppo di novelle fu incluso nel Palace of Pleasure (1566-67) di W. Painter (1540 ca. - 1594) sino al 1886, anno in cui uscì la prima versione integrale per le cure di J. Payne (London, Villon Society, 3 voll.), i contenuti scabrosi sono stati oggetto di rettifica e di censura in tutte le edizioni. G. H. McWilliam ha notato che, tra le novelle meno «ortodosse» del Decameron tradotte in inglese, la grande assente è quella di Alibech e Rustico nel deserto [III,10]. In tutte le edizioni essa viene omessa o ridotta di una parte consistente o sostituita con racconti più edificanti. Invece altre novelle a sfondo erotico come quella di Donno Gianni [IX,10], anche se sottoposte ad attenti lavori di forbice, sono riuscite ad entrare facilmente nel panorama letterario inglese. La ragione della «latitanza» della celebre novella va vista, probabilmente, nella sua natura dissacratoria verso il dogma religioso più che nella sua licenziosità3 . Al contrario, questo suo sapore «blasfemo» non poteva offendere facilmente la spiritualità dei cinesi, ben diversa da quella occidentale. Tuttavia per i traduttori, che avevano a disposizione come uniche fonti delle versioni inglesi, la resa integrale di questa novella ha rappresentato un compito arduo. Perciò la versione colorita ed incisiva di Liu An, priva delle classiche mende, ci sembra ancora più preziosa. Meno originale e più prudente del suo è il lavoro di Huang Shi e Hu Zanyun, che per primi hanno riunito in una edizione tutte e cento le novelle del Decameron (Shiritan), Shanghai, Kaiming shudian, 1930, pp. 926; 14 nella ristampa figura solo il nome di Huang Shi, Shijiazhuang, Hebei Renmin, 1989, 2 voll. I due traduttori si sono rifatti alla versione ricca di eufemismi e ritocchi dell'inglese Thomas Wright4 che, al pari di altre, non traduce in inglese l'episodio clou dell'incontro tra Alibech ed il romito, conservando l'originale italiano sino all'episodio dell'incendio di Capsa, con cui si conclude l'avventura della giovane del deserto. Nella Prefazione alla loro edizione, Huang Shi e Hu Zanyun confessano che avrebbero preferito consultare anche qualche versione meno edulcorata, ma sulla scelta di limitarsi alla edizione di Wright ha pesato la considerazione che il libro era diretto soprattutto ad un pubblico di giovani e che occorreva cautela per non incorrere nella censura. Questa versione, oltre a riprodurre il ritratto di Boccaccio - un disegno di Raffaello - e le dieci illustrazioni di Thomas Stothard (1755-1834) dell'edizione Wright, ne traduce quasi alla lettera anche il «Profilo sulla vita e l'opera di Boccaccio», ricco di informazioni sul nostro autore, tolte in maggior parte dalla monumentale Storia della Letteratura italiana (I ed. 1772-82, in nove tomi) del gesuita bergamasco Girolamo Tiraboschi (1731-1794). Nella loro Prefazione i traduttori si allineano alla critica del nostro Ottocento che tende ad «identificare nel Decameron il manifesto ideale di una nuova età»5 e ripetono l'affermazione di F. De Sanctis secondo cui se il capolavoro di Dante è la Divina Commedia, quello di Boccaccio può essere chiamato «commedia umana». In base a questo orientamento critico, con Dante si chiuderebbe l'Evo Medio, l'età dominata dalla trascendenza, con Boccaccio, invece, si aprirebbe un'epoca nuova in cui «la vita contemplativa si fa attiva», in cui «l'uomo non vive più in ispirito fuori del mondo, ma vi si tuffa e sente la vita»6 . Da qui sino a giorni nostri l'immagine più ricorrente di Boccaccio che emerge dagli studi critici cinesi è quella di un «uomo nuovo», l'incarnazione dello spirito del Rinascimento e l'antitesi del Medioevo7 . Non si ha quasi conoscenza di più nuove interpretazioni, come quella proposta da V. Branca di un Boccaccio medievale, calato appieno nella realtà comunale del suo tempo, espressione della classe mercantile affermatasi nell'«autunno» del Medioevo ed imbevuto della cultura dell'età di Dante8 . Fonte di alcune notizie di stampo romantico-positivistico relative alla vita ed all'opera di Boccaccio è stato per i cinesi anche il voluminoso studio biografico di E. Hutton (Giovanni Boccaccio: A Biographical Study, London, J. Lane The Bodley Head, 1910, s.i.p.), già presente nella bibliografia della sezione dedicata alla letteratura italiana di un'opera collettiva intitolata Xiyang wenxue jiangzuo (Lezioni di letterature occidentale), Shanghai, Shijie shuju, 1935, riprodotta fototipicamente dalla Shanghai shudian, 1990, pp. 147. È possibile che proprio dal libro di Hutton, Wu Guangjian (1867-1943), il traduttore di un'altra riduzione del Decameron (Shanghai, Shanwu yinshugan, 1936, pp. 2, VIII, 44) abbia attinto l'informazione della biblioteca in stato di totale abbandono rinvenuta da Boccaccio nel corso di una visita alla abbazia di Montecassino. Oltre a questa notizia, nella nota introduttiva al testo egli riporta un giudizio pronunciato in tribunale in difesa del Decameron dal giudice O'Brien per contrastare un'iniziativa di censura promossa a New York nel 1894. Il giudizio in questione veniva citato nella premessa ad una edizione americana della traduzione di John Payne9 , su cui probabilmente è condotta questa edizione cinese. Qui sono state tradotte cinque novelle e la celebre ouverture del Decameron, la descrizione della peste del 1348 a Firenze, per cui Boccaccio si ispirò ad un brano della Historia Langobardorum (II,4) dello storico medievale Paolo Diacono (ca. 720 - ca. 799). Caratteristiche di questa versione, oltre il testo a fronte in inglese, sono alcune precisazioni e notazioni di suo pugno che Wu Guangjian inserisce nel testo tradotto. Nel 1941 esce la pregiata edizione di Min Yi (Shiri qingtan, Shanghai, Shijie shuju, pp. 751) condotta sulla traduzione di Richard Aldington, con la riproduzione degli eleganti disegni di Jean de Bosschère. Qui spicca l'originalità della traduzione del titolo dell'opera che viene reso Shiri qingtan (Raffinate conversazioni in dieci giorni); un'espressione di sapore cinese. In Cina i «qingtan» erano colte discussioni praticate, 15 soprattutto, durante il IV secolo, da pensatori neo-taoisti e monaci buddisti, nel corso delle quali si cercavano di esprimere pensieri profondi con un linguaggio aulico ed un periodare forbito. Facendo uso dell'espressione «qingtan», il traduttore probabilmente ha voluto rievocare l'eleganza verbale dei «composti conversari» del Decameron e l'affinità intellettiva tra i novellatori. A parte la variante della versione di Min Yi, in qualche altro testo degli anni venti-trenta, «Decameron» è stato semplicemente traslitterato e non tradotto. Per esempio nello Shijie wenxuejia liezhuan (Biografie di letterati del mondo), s.i.l., Zhonghua shuju, 1926 di Sun Lianggong, un'opera compilativa redatta sulla fonte di materiali giapponesi, «Decameron» diventa «Tejiamanlu» (p. 301). Nel già citato Xiyang wenxue jiangzuo, invece, Fu Shaoxian, l'autore della sezione dedicata alla letteratura italiana, fa uso della forma più comune «Shiritan», ma precisa che il titolo originale dell'opera era «Dikamilong» (p. 16). Comunque la traduzione «Shiritan» risulta essere la più diffusa ed accettata sino ad oggi. Già presente nel volume Ouzhou wenxueshi (Storia della letteratura europea), Shanghai, Shanwu yinshuguan, 1920 [rist. I ed. 1918], p. 17, del saggista e scrittore moderno Zhou Zuoren (1885-1966), viene poi adottata nelle edizioni e negli scritti successivi. Wang Xihuo, nel suo manuale Yidali wenxue (Letteratura italiana), Shanghai, Shanwu yinshuguan, 1930, ispirandosi a quanto già scritto da Zhou Zuoren, spiega ai lettori che il titolo «Shiritan» del libro di Boccaccio deriva dal fatto che dieci giovani raccontano una novella a testa nell'arco di dieci giornate (p.13). In realtà il titolo Decameron, che Boccaccio ha modellato sul greco, rifacendosi all'Hexameron di sant'Ambrogio e ad altri trattati di patristica relativi ai sei giorni della Creazione, vuol dire soltanto «dieci giornate», mentre Shiritan (Racconti in dieci giornate), racchiude anche il senso dell'intrattenersi discorrendo. Tra altre ipotesi, si potrebbe immaginare che i cinesi, scegliendo questa forma, abbiano tenuto presente il titolo della versione inglese del Decameron di T. Wright: The Decameron or Ten Days Entertainment10 che forse circolava negli ambienti letterari di Shanghai già prima del 1930, data in cui ne fanno menzione Huang Shi ed Hu Zanyun nel loro Shiritan. L'interesse dei cinesi per il novelliere di Boccaccio periodicamente si rinnova e nel 1958, nella Cina del «Grande Balzo», viene data alle stampe l'edizione dello Shiritan (Shanghai, Xin Wenyi), curata da Fang Ping (1921) e Wang Keyi (1925-1968), due esperti traduttori di opere letterarie occidentali. Un forte stimolo a portare avanti l'attività di traduzione dei classici stranieri veniva allora dalla linea di politica culturale proposta nel 1954 dallo scrittore Mao Dun (1896-1981), eletto ministro della cultura dopo la fondazione della Repubblica Popolare11 . Come effetto, nel 1957 si ristampa la prima edizione integrale della Divina Commedia che risaliva agli anni '40 e nel 1958 viene pubblicata la versione del Decameron. Ad essa ha arriso grande successo nel paese, tanto che ne è uscita una nuova edizione già nel 1959 (Shanghai, Wenyi, a circolazione limitata) ed un'altra nel 1980 (Shanghai, Yiwen, II ed. agg. 1989, III rist. 1990), quando la Grande Rivoluzione Culturale (1966-1976) era stata archiviata e nuovo respiro veniva concesso alle lettere. Non stupisce che, in quegli anni in cui chi produceva cultura in Cina risentiva ancora fortemente dell'influenza sovietica, Fang Ping e Wang Keyi abbiano introdotto la loro edizione con uno scritto su Boccaccio del russo A. Stejn, tradotto in cinese da Fang Wen, tratto dall'edizione russa del Decameron di A. N. Veselovskij (Moskva, Goslitizdat, 1955, pp. 656). Dalla Prefazione di Stejn emerge un Boccaccio realista e socialmente impegnato, duro antagonista del vecchio ordine feudale e della classe reazionaria che si accorda bene alla figura del letterato al «servizio delle masse», prodotta dalle teorie propagandistiche del Realismo Socialista già popolari, a quel tempo, in Cina. Da questa impostazione critica muove anche l'Introduzione che Fang Ping scrisse per la seconda edizione del Decameron del 1980, intitolandola «Xingfu zai renjian» (La felicità tra gli uomini). Anche Fang Ping segnala l'energia combattiva e la forza di rottura contro i vecchiumi feudali del Decameron, ma per lui quel messaggio di lotta acquista in più il significato di un rifiuto dell'oscurantismo rappresentato, nella Cina contemporanea, dalla tragica esperienza della Rivoluzione Culturale. Egli dichiara, infatti, che sotto il regime dispotico della «Banda dei quattro», il libro di Boccaccio divenne, a causa della sua vena polemica, un facile bersaglio e ricorda, nella Postfazione, come il suo collaboratore Wang Keyi, morto suicida, fu tra 16 le vittime di quel buio decennio. Inoltre, in una sua lettera, egli confessa che, paragonando l'oscurantismo politico degli imperi orientali e della chiesa occidentale nel commento scritto per la novella di Martellino [II,1] pubblicata nel Waiguo duanpian xiaoshuo xinshang cidian (Dizionario di stima della novellistica mondiale), Anhui, Wenyi, 1991, si riferiva, sotto metafora, alla Rivoluzione Culturale12 . Dal punto di vista stilistico, nella loro traduzione, Fang Ping e Wang Keyi, prendendo a modello il linguaggio vivace e brillante degli «huaben» (testi da recitare) tradizionali cinesi, sono riusciti a creare un'agile prosa di timbro conversativo che riproduce molte gustose sfumature del testo di Boccaccio. A conferma del loro desiderio di completezza e fedeltà all'originale, i due traduttori hanno consultato, oltre alla edizione di J. Payne (New York, Blue Ribbon Books, 1931, s.i.p.), anche quelle di J.M. Rigg (Everyman's Library [Sic.], 1953, s.i.p.) e di R. Aldington (New York, Garden City Books, 1930, pp. XXVIII-562)13 . Inoltre, un sostanziale aggiornamento del testo cinese - reso possibile in occasione della sostituzione della matrice di stampa nel 1987 - è stato condotto dal solo Fang Ping, su una più recente edizione Rigg e sulla più moderna versione di G.H. McWilliam. Ancora una parola merita l'interesse manifestato dai due traduttori per le rappresentazioni figurative delle novelle di Boccaccio, testimoniato dal ricco corredo di immagini scelte per ornare la loro versione. Tra queste spicca la riproduzione di cento delle centoquattro xilografie della prima edizione illustrata del Decameron uscita in Italia, curata dall'umanista Girolamo Squarciafico (Venezia, De Gregori, 1492), tratte dalla edizione russa del 1955 già citata. In Occidente la critica ha guardato con vivo interesse ai preziosi legni ed è stato appurato che essi sono il frutto di una doppia composizione da parte di due distinti incisori cresciuti alla stessa scuola14 . Nella Postfazione al loro Shiritan Fang Ping e Wang Keyi dichiarano di preferire quelle xilografie nelle quali vari episodi della novella vengono raggruppati in un medesimo quadro e che ricordano il modo di rappresentazione di certe incisioni lignee cinesi di epoca Ming (1368-1644). Dal 1977, successivamente alla caduta della «Banda dei quattro», in Cina il mercato delle traduzioni di letteratura europea conosce una rinnovata fioritura. Nel nuovo clima di apertura, il Decameron incontra uno straordinario successo di pubblico che va di pari passo con la fortuna della traduzione di Fang Ping e Wang Keyi. La ristampa del 1980, tirata in oltre trentamila copie, viene ben presto esaurita e nel 1981, in risposta alla crescente domanda del pubblico, la stessa casa editrice, che l'aveva data alle stampe, cura la pubblicazione di una versione ridotta contenente settantatre novelle (Shanghai, Yiwen, pp. 713). Qui, più che la scelta delle novelle, sono significative le esclusioni. Le novelle scartate sono quelle a sfondo erotico e quelle più crude di Nastagio degli Onesti [V,8] e Talano d'Imola [IX,7], che contrastano con la finalità educativa di questa edizione diretta a far conoscere il Decameron al grande pubblico. Questa attività di divulgazione si intensifica durante tutto il corso degli anni ottanta e la chiave di lettura più ricorrente dell'opera, opportunamente ridotta, è quella che privilegia il suo ruolo didascalico e formativo. Così il Decameron viene incluso nei programmi di studio dei dipartimenti di Letteratura delle maggiori Università del paese e le sue novelle conoscono nuovi adattamenti o trovano posto nelle antologie di letteratura straniera edite in questi anni. Nel 1988 esce una riduzione a fumetti, in cinque piccoli volumi, che riassume, sulla base del testo di Fang Ping e Wang Keyi, settantanove novelle, entro brevi didascalie a fianco dei disegni (Shiritan lianhuanhua, Tianjin, Renmin Meishu). All'origine del progetto editoriale, per la cui realizzazione sono stati impiegati cinquanta noti illustratori provenienti da diverse regioni della Cina, sta la volontà di conquistare un più largo strato di lettori. Scrive nella Prefazione lo scrittore moderno Yang Hansheng (1902) che il rifacimento a fumetti concorre, con l'evidenza immediata della traduzione visiva, a stimolare la curiosità ed istruire divertendo. Nello stesso anno viene pubblicata, a cura di Huang Shao, una scelta di tre novelle tratte dal Decameron di Fang Ping e Wang Keyi (Shiritan gushi xuan, Guiyang, Guizhou Renmin, III, 8; VI,10; X,6) e la traduzione dal russo, ad opera di Ji Gang e Li Gang, di una antologia di novellistica italiana dal XIV al XVI secolo che comprende altre tre novelle di Boccaccio intitolata Shaonian lianren de baizhou (Le 17 giornate dei giovani amanti), Hangzhou, Zhejiang Wenyi, pp. 3-5015 . Nel 1990 la tragica novella di Ghismonda [IV,1] viene inserita nel primo volume, curato dalla scrittrice Ke Yan (1929), sulla novellistica straniera della serie «Gujin zhongwai wenxue mingpian bacui» (Eminenti opere letterarie cinesi, straniere, antiche e moderne), Qingdao, Qingdao chubanshe, pp. 1-11. Ancora Ghismonda e la novella di Ser Ciappelletto [I,1] si leggono nella antologia ad uso degli studenti universitari Waiguo wenxue zuopin xuan (Scelta di opere di letteratura straniera), Shanghai, Yiwen, 1991 [rist. I ed. 1979], pp. 1-25, a cura di Zhou Xuliang, mentre altre novelle sono state riassunte da Zhao Tian nel volume Shijie xiaoshuo mingzuo gushi daguan (Storie da famose opere di novellistica mondiale), a cura di Yi Tianjian et al. Shanghai, Wenhua, 1991, pp. 1-8. Infine va menzionata la recentissima edizione integrale del Decameron, tradotta da Qian Hongjia (1927), Tai Heyang e Tian Qing, che è anche la prima in assoluto ad essere stata condotta interamente sull'originale italiano (Nanjing, Yilin, 1993, pp. 8, 19, 787). Grazie al confronto diretto con il testo di Boccaccio letto nella versione curata da A.E. Quaglio (Milano, Garzanti, I ed. 1974, V ed. 1980, 2 voll.), i traduttori correggono qualche lacuna che nemmeno Fang Ping, paragonando diverse edizioni inglesi, era riuscito a colmare. Un esempio è offerto dalla novella del nobile Natan e di Mitridanes [X,3], che Boccaccio ambienta nel «Cattaio», la misteriosa e ricca terra d'Oriente descritta da Marco Polo. Nelle precedenti edizioni del Decameron la parola «Cattaio» manteneva la grafia occidentale o veniva traslitterata «Kataizhou» e « Jiataluo», senza spiegare che il vocabolo si riferiva alla Cina. Il noto italianista Lü Tongliu, segnalando questa lacuna già nel 1982, l'ha associata all'uso quasi esclusivo che si è fatto in Cina di versioni inglesi per tradurre la novella (Lü Tongliu-V. Branca «Il Decameron in Cina», Studi sul Boccaccio, XIII, 1982, p. 390). In seguito, anche il critico Wu Deduo, in un saggio, dichiara la sua sorpresa nell'apprendere, mentre leggeva una edizione inglese del libro, che la novella in questione è d'ambito cinese («Shiritan yu wo guo huaben», Il Decameron e gli huaben cinesi, Shehui kexue, Scienze sociali, 1, 1986, p. 47). Finalmente, nell'ultima edizione del Decameron cinese si informano i lettori, in una nota, che con la parola Cattaio si era soliti indicare, anticamente, la Cina del nord (p. 702). Leggendo questa novella viene naturale domandarsi quanto Boccaccio sapesse della Cina e quali fossero le sue fonti. Come già osservato da V. Branca, oltre al «Cattaio», anche la descrizione dello splendido palazzo di Natan ricorda le grandiose dimore ed i fasti della corte del Gran Qan Qubilay illustrati nel Milione [capp. LXXV e LXXVI]. Una prova della conoscenza da parte di Boccaccio del libro di Marco Polo è data altresì dalla novella di Ferondo [III,8], nella quale si fa menzione del Veglio della montagna, della bevanda (l'oppio) che induce il sonno per tre giorni e del finto Paradiso in cui si ritrova al risveglio [Milione capp. XLI e XLII]. Inoltre, sono noti agli studiosi i cenni ai drappi tartareschi, nome sotto il quale nel nostro Medioevo erano conosciuti i pregiati broccati cinesi, presenti nella novella di Frate Cipolla [VI,10,23] e nelle battute conclusive delle Esposizioni sopra la Comedia [XVII,8], con cui Boccaccio commenta un celebre verso di Dante. Ancora in alcuni luoghi del Decameron Boccaccio cita lo «zendado»; un vocabolo di probabile origine cinese. Lo «zendalo» è voce diffusa in ambiente toscano nel XIII secolo per indicare una stoffa di seta leggera ed è collegabile al greco «sindo'n» (mussolina), di derivazione orientale. Il tessuto serico viene sempre associato, nel Decameron, ad un oggetto di un certo valore. Sono fatti di zendalo abiti signorili come le giubbe [III,7,89; X,6,21; X,9,32] ed un sottile drappo della preziosa seta serve ad avvolgere la cassetta che contiene la penna di pappagallo spacciata da Frate Cipolla per la santissima reliquia dell'arcangelo Gabriele [VI,10,26 e 34]. I.V. Pouzyna, convinto assertore degli influssi cinesi sulla pittura italiana del Trecento, ha avanzato l'ipotesi che in un periodo di fitti scambi commerciali tra Oriente ed Occidente quale fu il XIV secolo, anche alcune parole di origine cinese, indicanti le merci importante, entrarono nella nostra lingua. Egli crede che «satin» e «zendalo», in particolare, siano ricollegabili al nome del porto cinese di Zaitun (Quanzhou), dal quale anche 18 la seta veniva esportata. Lo studioso cita vari esempi da opere del tempo in cui figurano questo e simili vocaboli, eppure non dice nulla dell'uso che ne fa Boccaccio. La sua idea è di per sé affascinante, ma va accolta con le dovute riserve se pensiamo, ad esempio, che nel capitolo del Milione, dedicato alla descrizione del celebre porto e delle merci che vi circolavano non viene menzionata affatto la seta [cap. CXXXVI]16 . In Cina, nel XX secolo, accanto all'ingente lavoro di traduzione, si forma una letteratura critica sul Decameron e sul suo autore che raggiunge, negli anni, vaste proporzioni. Più di una menzione a Boccaccio si trova, sin dagli anni venti, nell'opera del grande saggista moderno Zhou Zuoren. In realtà il suo intenso amore per la cultura ellenica lo rese diffidente nei confronti della tradizione latina simbolo della rovina del mondo greco e condizionò anche il suo giudizio verso la letteratura italiana che era l'erede di quella romana17 . In un capitolo della già citata Storia della letteratura europea egli esalta l'atteggiamento umanista di Boccaccio che intraprese lo studio del greco, apprezza la «novità» e la vitalità del Decameron, ma critica una certa sua mancanza di serietà (cfr. il cap. «Wenyifuxing zhi qianqu», I precursori del Rinascimento, p. 14 e segg.). Successivamente, nel saggio del 1932 «Xibanya de gucheng» (Le antiche città spagnole), edito nella raccolta Kan yun ji (Guardando le nubi), Shanghai, Kaiming; nuova ed. Changsha, Yuelu shushe, 1988, egli dichiara di apprezzare più le letterature spagnola e francese di quella italiana, sostiene di non capire Dante e non amare D'Annunzio; quanto a Boccaccio lo considera un grande autore, ma gli è meno familiare di Rabelais e Montaigne (p.121). Un accostamento tra Boccaccio e Rabelais già si leggeva nel saggio del 1925 «Jingguan» (Una chiara veduta), contenuto in Yu tian de shu (Il libro delle giornate di pioggia), Beijing, Beixin shuju; nuova ed. Changsha, Yuelu shushe, 1987, dove Zhou Zuoren sottolineava la vena satirica diretta contro le istituzioni che accomuna le opere dei due grandi scrittori (p. 97). Minore attenzione all'opera di Boccaccio mostra Lu Xun (1881-1936), il celebre fratello di Zhou Zuoren. Egli annotò nel suo diario, alla data del 26 dicembre 1931 (Lu Xun quanji, Opera completa di Lu Xun, Beijing, Renmin Wenxue, 1982, vol. 14, p. 906), di aver acquistato un'edizione giapponese del Decameron tradotta da Morita Sôhei (Shinchôsha, 1931, 2 voll.) e in un saggio del 1933 scrisse di aver visto, qualche anno prima un'altra versione dell'opera presso l'Accademia Sovietica («Guanyu fanyi», Sulla traduzione, in Lu Xun quanji, op. cit., vol. 5, p. 296). A parte queste fugaci menzioni, la sola volta in cui egli esprime un parere sul nostro dichiara di preferire alla sua opera quelle di Chekhov e Gorky, più nuove e vicine al sentire moderno («Ye Zi zuo Fengshou xu», Ye Zi scrive la Prefazione a Raccolto, in Lu Xun quanji, op. cit., vol. VI, p. 219). Tra gli scrittori cinesi moderni Mao Dun ha guardato con maggiore interesse al Decameron tanto da dedicargli, nel 1936, un intero saggio nel quale lo confronta con la Divina Commedia. Edito, in origine, nella raccolta Shijie wenxue mingzhu jianghua (Introduzione ai capolavori della letteratura mondiale) Shanghai, Kaimin shudian, 1936; nuova ed., Hong Kong, Zhongliu, 1957, pp. 59-90, il saggio intitolato «Shiritan» si può leggere ora nella silloge Shije wenxue mingzhu zatan (Miscellanea di capolavori della letteratura del mondo), Tianjin, Baihua Wenyi, 1980, pp. 106-132. Mao Dun, nella Prefazione a quest'ultima raccolta, spiega che i testi ivi contenuti, scritti negli anni trenta, vengono riproposti perché dopo più di quarant'anni, mentre i lettori cinesi manifestano un vivo desiderio di conoscere meglio le opere più note della letteratura straniera, il volume delle pubblicazioni sull'argomento è ancora troppo basso. Basandosi sulla traduzione di Huang Shi e Hu Zanyun, il critico offre un ritratto dell'opera di Boccaccio in linea con l'oleografia tardo-romantica occidentale che puntava a risolvere, senza il supporto di dati e prove documentarie, tutta la produzione giovanile dell'autore in uno sfogo delle passioni amorose realmente esperite. Paragonando la Commedia di Dante e il Decameron egli ripete la consunta interpretazione desanctisiana. Scrive infatti che la prima è una «fantasia con gli occhi puntati verso il cielo», il secondo è la «vita presente e reale» (p. 107). Val la pena di ricordare che esempi tratti dal Decameron ricorrono anche in due trattati eruditi dello 19 studioso Qian Zhongshu (1910): il Guan zhui bian (I quaderni del tubo e del punteruolo), Beijing, Zhonghua,1979, II ed. 1991, vol. I, pp. 157, 225; vol. II, pp. 433, 601, 713, 819, 827; vol. III, pp. 1001,1051 ed il Tan yi lu (Annotazioni sull'arte e la letteratura), Beijing, Zhonghua, 1984, pp. 463-464. Col suo metodo di affrontare argomenti di letteratura, storia e filosofia rielaborando concetti espressi in tutti i tempi nelle opere di autori orientali ed occidentali, Qian menziona alcune idee e temi sviluppati nelle novelle di Boccaccio presenti anche in Oriente. Un altro capitolo della fortuna di Boccaccio in Cina è rappresentato dalle numerose opere di divulgazione attraverso le quali il pubblico cinese ha conosciuto il nostro autore e la sua opera. Storie della letteratura, dizionari enciclopedici, biografie critiche, nella maggior parte dei casi si limitano a disegnare un quadro della vita di Boccaccio e dei suoi lavori, senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già scritto dai traduttori nelle premesse alle loro edizioni. Oltre ad alcuni testi usciti negli anni trenta già citati, un profilo su Boccaccio è quello tracciato nel 1964 da Zhu Longhua nel suo libro Yidali Wenyifuxing (Il Rinascimento italiano), Beijing, Shanwu, pp. 48-52, poi ripreso nel capitolo «Wenyi de shuguang» (L'alba dell'arte e della letteratura) di un suo testo più tardo intitolato Waiguo lishi gushi (Racconti di storia straniera), Beijing, Zhongguo Shaonian Ertong, 1981, p. 93 e sgg. In un clima esegetico piuttosto uniforme e carente di materiali aggiornati, spicca però il lavoro di chi unisce ad una acuta sensibilità critica una ottima conoscenza della nostra lingua che gli consente di accedere a fonti più nuove. È il caso di Lü Tongliu che dà un taglio originale ad un testo a carattere compilativo come la sezione su Boccaccio da lui curata per il Waiguo mingzuojia zhuan (Biografie di celebri scrittori stranieri), a cura di Zhang Yinglun et al., Beijing, Zhongguo Shehui Kexue, 1979, pp. 163-167. Da sottolineare la traslitterazione del nome di Boccaccio reso con «Bokaqi», più aderente alla pronunzia italiana rispetto alle forme «Bujiaxiao», «Baojiaxue», «Bajiaxian», «Bokesu», «Bojiaxi», «Bokaiqia», «Bokeji'ao» etc... delle altre pubblicazioni ed a quella «Bojiaqiu», più comunemente adottata. Il pezzo, aggiornato per il Zhongguo dabaike quanshu. Waiguo wenxue (Grande enciclopedia cinese. Letteratura straniera), Beijing-Shanghai, Zhongguo dabaike quanshu, 1982, pp. 171-173, è stato pubblicato con più ricchi dettagli anche nel Waiguo mingzuojia da cidian (Grande dizionario di famosi scrittori stranieri), a cura di Zhang Yinglun et al., Guilin, Lijiang, 1989, pp. 139-140. Ancora una biografia commentata è quella scritta da Fang Ping per il primo dei cinque volumi del Waiguo zhuming wenxuejia pingzhuan (Biografie critiche di celebri letterati stranieri), a cura di Wu Fuheng, s.i.l., Shandong Jiaoyu, 1990, pp. 219-233, ispirata alla Prefazione da lui scritta per la sua edizione del Decameron. Dopo aver tradotto l'opera, Fang Ping è diventato anche uno dei suoi più attenti studiosi. Sulla scorta dei suoi giudizi, la maggior parte dei critici che scrivono sul Decameron negli anni ottanta evidenziano la carica combattiva del libro. La critica contro il malcostume del clero, la condanna dei matrimoni combinati, la lotta nei confronti della disparità tra i sessi, sono i temi esaltati in questi studi come l'emblema della foga polemica di Boccaccio rivolta contro un ordine di valori falsi e consunti. Probabilmente l'insistenza, da parte di tutti i critici, sui valori progressisti del Decameron vale a giustificare la scelta di spiegare ai lettori un'opera reputata tradizionalmente «turbolenta». Se un critico considera «veleni borghesi» i passaggi più spinti e le allusioni scabrose che punteggiano l'opera18 , più spesso le ardite descrizioni boccaccesche vengono intese come un espediente usato dall'autore per condurre a buon fine la sua offensiva contro il comportamento ipocrita dei ministri della religione19 . Nello sforzo di sottolineare la valenza sociale dell'opera si interpretano certi suoi contenuti come un'anticipazione degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità della Rivoluzione francese20 e come «la prima espressione del realismo borghese europeo»21 . Accanto a questa letteratura critica, negli anni ottanta si segnala una vasta produzione di studi comparativi 20 che prendono in esame l'opera di Boccaccio. Sono questi gli anni in cui gli intellettuali cinesi riprendono i contatti col resto della «comunità culturale mondiale» forzatamente interrotti durante la Rivoluzione Culturale. Nel nuovo clima culturale viene fondata l'Associazione Cinese di Letterature Comparate (CCLA, 1985), nascono riviste specializzate sulla teoria della disciplina comparatistica e fogli dedicati alla letteratura straniera22 . Nella maggior parte dei casi, i comparatistici interessati al Decameron mettono a fuoco suggestive analogie tra alcune novelle di Boccaccio e gli huaben cinesi raccolti in collezioni di novelle d'epoca Ming come i San yan (I tre novellieri) del letterato Feng Menglong (ca. 1574-1645) e gli Er pai (Storie incredibili) dell'editore e bibliofilo Ling Mengchu (1580-1644)23 . Accomunate da uno sfondo storico-sociale che vede l'affermarsi di una classe cittadina di attivi mercanti, queste opere sviluppano temi cari alle nuove popolazioni urbane tanto nell'Italia del Trecento che nella Cina dei Ming. Alcuni studiosi evidenziano la corrispondenza tra la satira antifratesca che percorre il Decameron e la fiera riprensione di comportamenti poco ortodossi di preti taoisti, bonzi e monache buddisti, nelle raccolte di novelle cinesi. Attenti anche alle differenze, questi critici rilevano che, mentre nel Decameron la condotta ipocrita di certi religiosi viene messa a nudo con armi verbali o tiri beffardi, nelle novelle cinesi alla denuncia segue sempre una tragica sentenza24 . Ad esempio la novella di Masetto che entra in un convento di suore fingendosi muto [III,1] si chiude con un lieto fine ed il giovane viene addirittura nominato castaldo del convento, mentre la storia quasi identica del letterato entrato in un monastero di suore buddiste, narrata da Feng Menglong in Xingshi hengyan (Storie per svegliare la gente), Shanghai, Guji, 1988, XV, diffusa in Cina anche sotto forma di ballata (intitolata Furong dong, La caverna dei loti: conosciuta anche come Yu qingting, La libellula di giada), termina con la morte del protagonista25 . In un'altra novella del Decameron di timbro anticlericale Frate Alberto, che ha sedotto la stolta Lisetta travestito da Arcangelo Gabriele, dopo essere stato smascherato finisce in prigione e vi muore [IV,2], mentre nei San yan, il monaco Sun Shendao, autore di un simile inganno ai danni di una concubina imperiale, viene squartato sulla pubblica piazza [Xingshi hengyan, XIII]. Le spietate condanne inflitte a religiosi nelle novelle cinesi riflettono l'ostilità della classe di letterati confuciani ortodossi nei confronti di una categoria che, scegliendo di vivere in comunità diverse dalla famiglia, cellula base dell'ordine sociale, si configurava come elemento destabilizzante. Gli studiosi cinesi spiegano, pertanto, la severa censura dei letterati Ming come espressione del loro spirito reazionario, contro l'atteggiamento più illuminato con cui Boccaccio affronta certe tematiche. In tal modo riescono a cogliere il senso della difesa degli istinti e dei desideri di cui Boccaccio si fa portavoce, ma trascurano il retaggio medievale della satira antifratesca e della critica al celibato imposto ai religiosi26 . La «modernità» del Decameron viene contrapposta alla «medievalità» delle novelle cinesi anche in riferimento alla trattazione della tematica dell'adulterio. Le novelle in cui le donne si fanno beffe di mariti gelosi, bigotti e creduloni, in nome dell'amore vero, sono più apprezzate degli esemplari cinesi in cui al tradimento, eccetto qualche raro caso, segue una sicura condanna. Uno studioso osserva che, al massimo, nei San yan e negli Er Pai, viene rivolta qualche critica ai mariti egoisti ed insensibili27 , ma vince sempre l'etica tradizionale (v. Lin Man, «San yan, Er pai yu Shiritan bijiao yanjiu», Studio comparativo dei Tre novellieri, le Storie incredibili e il Decameron, Shantou daxue xuebao, Giornale dell'Università di Shantou, vol. VII, 3, 1990, p. 77). Un giudizio negativo investe, invece, la novella dei due vicini che si scambiano le mogli [VIII,8]28 , ma anche la sofferta vicenda di Griselda [X,10], la cui obbedienza incondizionata al marito e lo spirito di sacrificio ricordano l'ideale della donna confuciana (cfr. Zhao Yanqiu, «Shiritan aiqing gushi sixiang neirong jianxi», Breve analisi dei contenuti delle novelle d'amore del Decameron, Waiguo wenxue xinshang, Stima della letteratura straniera, 2, 1987, p. 22). 21 A proposito della discussione sul realismo del Decameron e degli huaben, che aveva già diviso in Occidente studiosi come J.L. Bishop, da una parte e J. Prusek, seguito da L.S. Robinson, dall'altra, i critici cinesi sottolineano la più chiara rappresentazione del singolo e della sua individualità nell'opera italiana (Jin Changfa, «Song Yuan baihua duanbian xiaoshuo he Shiritan zhong de aiqing gushi», Le storie d'amore nel Decameron e nelle novelle in vernacolo Song e Yuan, Yangzhou shiyuan xuebao, Giornale dell'Istituto Normale di Yangzhou, 1, 1985, p. 87). La curiosità per la tematica amorosa del Decameron stimola gli studiosi a paragoni anche con grandi romanzi cinesi incentrati sull'eros e l'amore. Un'analisi a sfondo sociologico è quella condotta da Bao Zunxin, assai noto in patria per il suo sostegno al movimento studentesco del 1989, che confronta il Decameron ed il romanzo Ming Jin Ping Mei («Seqing de wenchuang be aiqing de turang: Jin Ping Mei he Shiritan de bijiao», Il focolaio del sesso ed l'humus dell'amore: confronto tra il Jin Ping Mei ed il Decameron, Dushu, La lettura, 10, 1985, pp. 20-26). La descrizione della psicologia femminile rappresenta, invece, secondo Wu Guoguang, il tratto comune a Boccaccio e Cao Xueqin (1715-1764), l'autore del più celebre romanzo cinese («Shiritan yu Hong lou meng», Il Decameron e il Sogno della camera rossa, Hong lou meng xuekan, Periodico di studi sul Sogno della camera rossa, 3, 1984, pp. 209-223). All'interesse degli studiosi per i contenuti del Decameron si accompagna una viva curiosità per la sua struttura a «cornice» e l'apprezzamento per la sua mirabile architettura compositiva. Nel 1982, per inaugurare una rubrica letteraria sul foglio di Shanghai Xinmin wanbao (Giornale della sera del popolo nuovo) intitolata Shiritan, Fang Ping ha pubblicato un saggio sulla struttura del Decameron, paragonandola a quella de Le mille e una notte e dei Canterbury Tales («Shiritan he zhuijia jiegou», il Decameron e la cornice). In seguito il saggio è stato riedito, con vari aggiornamenti, nella raccolta intitolata Sange cong jiating chu zou de funü (Tre donne scappate di casa), Beijing, Waiguo Wenxue,1987, pp. 328-36, riconosciuta, insieme ad alcuni lavori di Qian Zhongshu, tra le otto migliori pubblicazioni di comparatistica del decennio 1979-89. L'accostamento tra le «giornate» del Decameron e le «notti» del capolavoro di novellistica araba ricorre in molti dei lavori sopra citati ed è anche parte centrale di uno studio uscito nel 1985 su una rivista letteraria specializzata in studi arabi (v. Zhou Shunxian, «Yiqianlingyiye yu Shiritan zhi bijiao», Confronto tra Le mille e una notte e il Decameron, Alabo shijie, Mondo arabo, 4, 1985, pp. 119-130). L'idea di Fang Ping è che la «cornice» nelle sue varie forme contiene in nuce alcuni dei meccanismi formativi del romanzo. Una netta evoluzione si ha proprio con la rivisitazione che Boccaccio fa della struttura: non solo la fitta rete di rimandi da una novella all'altra conferisce al novelliere una struttura unitaria, ma anche il ritorno di Calandrino in quattro storie, dà vita quasi ad un «ciclo» incentrato su un personaggio. L'interesse di Fang Ping per la «cornice» dipende anche dal fatto che questo modello di costruzione narrativa è estraneo alla tradizione novellistica cinese, a parte il caso veramente unico della raccolta di novelle Doupeng xianhua (Chiacchiere [sotto] il pergolato di fagioli, ca. 1660), che fa pensare ad un possibile influsso del Decameron, per la cui verifica mancano però dati probanti29 . In genere, le collezioni di novelle cinesi non presentano un'organizzazione compositiva paragonabile a quella del Decameron e tutt'al più collegano i singoli pezzi narrativi tra loro attraverso i titoli, come nel caso delle raccolte Xihu jiahua (Bei racconti del lago occidentale) e Shi’er lou (Le dodici torri). La prima comprende sedici racconti su personaggi del Lago Occidentale, la seconda dodici storie i cui titoli sono nomi di altrettante torri. A conferma di questa sua attenzione per la «cornice», Fang Ping ha inoltre descritto in chiave psicologia i rapporti tra questa struttura e la personalità di Boccaccio, influenzato da uno studio di Joy H. Potter da lui conosciuto nel 1987 («Shiritan de xushu xitong», Il sistema narrativo del Decameron, Waiguo wenxue pinglun, Studi critici sulla letteratura straniera, 4, 1987, pp. 88-97). 22 Se la fortuna di Boccaccio in Cina coincide in larga parte con la diffusione del Decameron, una piccola parte del suo successo è rappresentata anche dalla traduzione di alcune tra le sue Rime. Può destare stupore che importanti lavori della sua produzione letteraria non siano stati presi in considerazione e la scelta sia caduta invece sulle sue Rime, che si pongono ai margini della sua esperienza artistica più impegnativa. Boccaccio giudicò le rime in volgare, al pari dei maggiori autori del suo tempo, delle nugae, delle sperimentazioni occasionali. Il suo esile Canzoniere resta estraneo alle proporzioni ben calcolate dei Rerum vulgarium fragmenta dell'amico Petrarca e rispecchia influssi diversi, talvolta in contrasto tra loro, ponendosi come un laboratorio di sperimentazione di varie suggestioni culturali. Larga è l'eco dantesca e stilnovista, ma anche il duro linguaggio delle canzoni «petrose» di Dante e moduli della tradizione burlesco-realistica. In Cina per ben due volte è stato tradotto il sonetto «Vetro son fatti i fiumi ed i ruscelli» [XXXVII] che si ispira proprio alle «petrose», anzi alla prima celebre canzone del gruppo «Io son venuto al punto della rota» [C] e ricorda anche alcuni sferzanti versi dell'Inferno (XXXI,123 «dove Cocito la freddura serra» e XXXII,23-24 «un lago che per gelo avea di vetro e non d'acqua sembiante»). Più letterale, la traduzione di Qian Hongjia «Heliu yijing biancheng boli», in Yidali shi xuan (Scelta di liriche italiane), Shanghai, Yiwen, 1987, p. 55, più libera ed agile quella di Fei Bai «Jiang he hua cheng boli», in Shijie mingshi jianshang cidian (Dizionario di stima dei capolavori della poesia mondiale), Guilin, Lijiang, 1989, p. 47. Ancora a Qian Hongjia si deve la traduzione dell'elegiaco sonetto in morte del Petrarca «Or sei salito, caro signor mio» [CXXVI], con cui Boccaccio suggella il suo Canzoniere («Dao nian Bidelake», in Yidali shi xuan, op. cit., p. 56), mentre è opera di Wang Tianqing la versione della delicata ballata «Quel fior che il valor perde» [LXXVII], «Shiqu jiazhi de huar», in Waiguo shuqingshi shangxi cidian (Dizionario di stima della lirica straniera), a cura di Zhang Yiishu, Beijing, Shifan Xueyuan, 1991, p. 813, dove vengono anticipati i topoi letterati della giovinezza e primavera che dileguano tanto cari alla poesia umanistico-rinascimentale. Infine ricordiamo la traduzione di un passaggio del Trattatello in laude di Dante (titolo più noto del De origine, vita, studiis et moribus viri calarissimi Dantis Aligerii fiorentini), la biografia che Boccaccio dedicò al maestro di una vita, all'uomo che fu per lui, secondo la testimonianza del Petrarca, «primus studiorum dux et prima fax» [Familiares, XXI,15,2]. Il ritratto del poeta, per cui Boccaccio nutrì un vero e proprio culto, è anche un trattato in difesa della poesia contro chi la giudica tutta una menzogna. Il brano tradotto in cinese da Zhu Guangqian, noto studioso di Benedetto Croce, è quello in cui l'autore esalta il compito nobile dei poeti che narrano verità nascoste dietro belle favole, proprio come i teologi «Danting zhuan» (Biografia di Dante), in Shijie wenxue (La letteratura mondiale), 8/9, 1961, pp. 210-11. La traduzione di Zhu rende felicemente il chiaro dettato della seconda stesura del testo di Boccaccio e la nota di commento, in cui egli spiega ai lettori come il tema trattato diverrà un leit-motiv del Rinascimento, prescindendo dalle forzate interpretazioni socio-politiche di altri, rappresenta una pagina di critica letteraria più autentica30 . MONDO CINESE N. 89, MAGGIO-AGOSTO 1995 Note 1 Il titolo si legge nella Bibliografia delle opere italiane tradotte in cinese - Yidali zuopin hanyu shumu 1911-1992, a cura dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata d'Italia, Pechino, Documenti di Scienze Sociali, 1992, alla voce «G. Boccaccio», p. 29. 2 La parola Salterìo è una voce dotta che discende dal latino Psalterium, strumento musicale a corde simile alla cetra nonché Libro dei Salmi (Vulgata), derivante, a sua volta, dal greco Psaltérion (cetra). Vedi il Dizionario Etimologico Italiano (DEI), a cura di C. Battisti e G. Alessio, Firenze, G. Barbèra, 1950, vol. V 3 Cfr. G. H. McWilliam, «Translator's Introduction», in G. Boccaccio, The Decameron, Harmondsworth, 23 Penguin Books, I ed. 1972 [rist. 1973], p. 31 e sgg. 4 Si tratta probabilmente di: The Decameron or Ten Day's Entertainment of Boccaccio, with introduction by T. Wright, London, Chatto & Windus Piccadilly, [1878], pp. XIV 532, 40. 5 V. Branca, «La vita e le opere di G. Boccaccio», in G. Boccaccio, Decameron, op. cit. in bibliografia, p. LXVIII. 6 F. De Sanctis, il «Decamerone», in Storia della letteratura italiana, a cura di G. Contini, Torino, U.T.E.T., 1981 [rist. I ed. 1968], p. 323 [ed. or. Napoli, Morano, 1870, vol. I]. 7 È significativo che un breve articolo dedicato al Decameron, edito sul Guangxi ribao (Quotidiano del Guangxi), in data 7/3/1963, firmato da Lan Shan, sia stato intitolato «Renqu: Shiritan» (La commedia umana: il Decameron). 8 Abbiamo motivo di credere che almeno il traduttore Fang Ping, in tempi più recenti, sia venuto a conoscenza di questa interpretazione dato che ne fa menzione G.H. McWilliam nella introduzione alla sua edizione del Decameron, da lui consultata tra il 1986 ed il 1987. Vedi «Xin ban houji» (Conclusione alla nuova edizione) in Bojiaqiu, Shiritan, tr. di Fang Ping e Wang Keyi, Shanghai, Yiwen., 1990, p. 982. 9 Cfr. The Decameron of G. Boccaccio, tr. by J. Payne, New York, The Modern Library Publishers, s.i.d., pp. XXI-XXII. 10 Questo titolo già si trova in una edizione espurgata del 1741 attribuita a Charles Balgury: The Decameron or Ten Days Entertainment [...] Translated from the Italian, London, R. Dodsley, 1741. V.S. Baldi «Il Boccaccio nell'Ottocento inglese», negli Atti Il Boccaccio nella cultura inglese e anglo-americana, a cura di G. Galigani, Firenze, L.S. Olschki, 1974, p. 114, nota 5. Esso fu utilizzato anche in altre versioni sino a tempi recenti. Vedi per es., l'edizione americana del 1947 (tr. di J. Payne, ill. di Jean O'Neill, Cleveland (Ohio), World Publishing Co., 1947, pp. 704). 11 Cfr. G. Bertuccioli, «Dante e la Cina», Mondo Cinese, 73, marzo 1991, p. 14. 12 Lettera personale di Fang Ping indirizzata a chi scrive (9 luglio 1991). 13 Rammentiamo che l'edizione Payne, uscita nel 1886, fu la prima versione integrale del Decameron in inglese. Quella di Rigg venne pubblicata nel 1903 (cfr. G.H. McWilliams, op. cit., p. 31) e ristampata, in seguito, più volte. Nell'indicazione bibliografica dei due traduttori cinesi viene confusa la serie «Everyman's Library» con la casa editrice. 14 Cfr. lo studio di Domenico Fava, «Intorno alle edizioni del Quattrocento del Decamerone e specialmente di quella illustrata del 1492», Accademie e biblioteche d'Italia, anno VII, 1933-34, pp. 141-142 e, in generale, tutto il saggio. 15 Titolo originale della raccolta era Ital'janskaja Novella Vozrozdenija (Moskva, Chudozestvennaja Literatura, 1984, s.i.p.), introdotta dal lungo saggio sullo sviluppo storico e la tipologia della novella italiana dello studioso Kikolaj B. Tomasevskij (1924- ). 16 Ma, come osservato da R. Etiemble, Marco Polo, pur essendo un mercante, non ebbe interesse specifico per le sete né per i tessuti ricamati. Vedi R. Etiembe, «La filosofia e le religioni nella Cina di Marco Polo», in Conosciamo la Cina?, tr. it., Napoli, Il Saggiatore, 1972, p. 34 e, in generale, tutto il saggio. 17 Cfr. C.H. Wang, «Chou Tso-jen's Hellenism», Renditions, Spring 1977, p. 18. 18 Cfr. Cai Xianbao, «Pengji fengjian jiaohui de zhandou xiwen: ping Bojiaqiu de Shiritan» (La chiamata alle armi contro la chiesa feudale: commento al Decameron di Boccaccio), Wuhan daxue xuebao (Giornale dell'Università di Wuhan), 4, 1980, p. 89. 19 Cfr. Li Wandiao, «Shiritan: Ouzhou zui zao de fan jinyuzhuyi duanpian xiaoshuo ji» (Il Decameron: la prima raccolta di novellistica europea che si oppone all'ascetismo), in Waiguo xiaoshuo mingzhu jianshang (Stima dei capolavori della novellistica straniera), Fuzhou, Fujian Renmin, 1986, pp. 13-20; Wang Fan, «Zhongxi xiaoshuo xingai yishi lüetan» (Breve discussione sulla coscienza amorosa nella novellistica cinese e occidentale», Pipingjia (La Critica), vol. V, 3, 1989, soprattutto la p. 20. 20) Vedi Chen Ken, «Shilun Shiritan ling yige zhuti» (Trattando un altro argomento del Decameron), Yitan (Discussioni d'arte), 4, 1983, pp. 137-139. 20 Vedi Chen Ken, «Shilun Shiritan ling yige zhuti» (Trattando un altro argomento del Decameron), Yitan (Discussioni d'arte), 4, 1983, pp. 137-139. 21 Vedi Zhang Shuli, «Cong Shiritan kan: zaoqi Yidali Wenyifuxing de sixiang qingxiang» (Osservando nel 24 Decameron le linee di pensiero del primo Rinascimento italiano), Beifang luncong (Collezione di saggi settentrionali), 6, 1980, p. 43. 22 Rammentiamo: Zhongguo bijiao wenxue - Comparative Literature in China, organo ufficiale della CCLA, Cowrie: A Chinese Journal of Comparative Literature (in lingua inglese), Shijie wenxue (La letteratura mondiale), Waiguo wenxue yanjiu (Studi di letteratura straniera), Waiguo wenyi (Arte e letteratura straniera) etc. 23 I titoli delle tre raccolte attribuite a Feng Menglong sono rispettivamente: Yushi mingyan (Storie per istruire la gente), denominata in origine Gujin xiaoshuo (Novelle dei tempi antichi e moderni); Jingshi tongyan (Storie per mettere in guardia la gente) e Xingshi hengyan (Storie per svegliare la gente). Le collezioni di Ling Mengchu, invece, sono due: Chuke pai'an jingqi (Storie incredibili uno) e Erke pai'an jingqi (Storie incredibili due). 24 Vedi Wu Deduo, op. cit., p. 49; Sun Xun, «Dongxifang qimeng wenxue de xianqu - San yan, Er pai he Shiritan» (I precursori della letteratura illuministica orientali ed occidentali - i Tre novellieri, le Storie incredibili e il Decameron), Wenxue pinglun (Critica letteraria), 4, 1987, p.115; Li Kechen, «Bojiaqiu de Shiritan yu Feng Menglong de San ya» (Il Decameron di Boccaccio e i Tre novellieri di Feng Menglong), Dandong shizhuan xuebao, sheke (Giornali di studi specializzati di Dandong, Scienze sociali), 1, 1982, p. 35. 25 Lo stesso motivo del «laico nel convento» viene ripreso da Ling Mengchu, con un finale più felice giacché il giovane protagonista si salva mentre muore la superiora, incarnazione del vizio (Chuke pai'an jingqi, Shanghai, Gudian wenxue, 1957, XXXIV). 26 Attorno al 1100, un prete inglese, conosciuto come l'Anonimo di York, si dichiarò favorevole a consentire il matrimonio tra i religiosi in quanto consono all'ordine naturale disposto da Dio. Sul tema di gola e lussuria ordini rivali (Cluniacensi e Cistercensi) si scambiavano frequenti accuse mentre la curia ed il monachesimo furono oggetto di satira nelle parodie della poesia goliardica. Vedi E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, tr. it., a cura di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 139-141. 27 Vedi per es. Gujin xiaoshuo (Novelle dei tempi antichi e moderni), Beijing, Renmin wenxue, I ed. 1958 [rist. 1981], XXVII. 28 Rammentiamo che lo stesso tema viene trattato anche in una novella cinese (Chuke pai'an jingqi, XXXII) con esiti ben più tragici rispetto a quella di Boccaccio. Singolari somiglianze con le novelle del Decameron, oltre a quelle citate, presentano altre opere della letteratura cinese che, per ragioni di spazio, non vengono qui esaminate. 29 Uno studio interessante sulla raccolta è quello di A. Lévy, «Un Dodécameron chinois», T'oung Pao, LII, 1965, pp. 110-137. 30 Le pagine che Boccaccio dedica alla poesia nel Trattatello e nel suo maggiore trattato latino la Genealogia deorum gentilium (Genealogia degli dèi pagani), sono state analizzate da Zhu Guangqian anche nel cap. «Wenyifuxing shidai: Bojiaqiu, Da Fenqi he Kasite’erweituluo deng» (Il periodo rinascimentale: Boccaccio, Leonardo, Castelvetro» del suo libro Xifang meixue shi (Storia dell'Estetica Occidentale), Beijing, Renmin Wenxue, 1988, soprattutto le pp.152-154. Un esame del pensiero estetico di Boccaccio visto attraverso queste sue due opere è anche il saggio di Ye Boquan «Bojiaqiu meixue sixiang shenshi» (Studio del pensiero estetico di Boccaccio), Suihua shizhuan xuebao (Giornale di studi specializzati di Suihua), 4, 1986, pp. 15-18. Bibliografia Bi Shutang Hanyi yiguo shuji ji guanyu yiguo zhi hanji mulu - Catalogo di opere in cinese tradotte dall'italiano o riguardanti l'Italia, Pechino, Zhongyi Wenhua Xiehui - Centro Culturale Italiano, 1942, pp. 30-31. Bishop J.L., The Colloquial Short Story in China: A Study of the San-Yen Collections, Cambridge (Massachussets), Harvard University Press, 1956, pp. 144. 25 Boccaccio G., Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi, 1989 [rist. I ed.1980], pp. CXVI-1362 [ed. critica basata sull'autografo conservato nel codice Hamilton 90. Riproduce, ampliando, il commento pubblicato in Tutte le opere di G. Boccaccio, Milano, Mondadori, 1976, voi. VI]. - Rime, Caccia di Diana, a cura di V. Branca, Padova, Liviana editrice, 1958, pp. XXXIX-303. - Tutte le opere di G. Boccaccio: Trattatello in laude di Dante, a cura di P.G. Ricci, Milano, Mondadori, 1974, vol. III. Branca V., Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze, Sansoni, ed. agg. 1990, [I ed. 1956], pp. XV 472. - Giovanni Boccaccio: Profilo Biografico, Firenze, Sansoni, 1977, pp. 228. Esposito E., Boccacciana, Bibliografia delle edizioni e degli scritti critici (1939-1974), Ravenna, Longo, 1976, pp. 147. Polo M., Il Milione, a cura di L.F. Benedetto, Firenze, L.S. Olschki, MCMXXVIII, pp. VII, CCXXI, 281. Potter J.H., Five Frames for the Decameron: Communication and Social Systems in the Cornice, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1982, pp. 230. Pouzyna V.I., La Chine, l'Italie et les débuts de la Renaissance (Xllle - XIVe siècles), Paris, Les Éditions d'Art et d'Historie, 1935, pp. 102. Prusek J., «Boccaccio and his Chinese Contemporaries», in Chinese History and Literature, Dordrecht (Holland), D. Reidel Publishing Company, 1970, pp. 449-466. 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