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LETTERATURA ITALIANA IN CINA

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LETTERATURA ITALIANA IN CINA
LETTERATURA ITALIANA IN CINA
La letteratura italiana in Cina - XVI Convegno dell'Associazione
cinese per lo studio della letteratura italiana
(Pechino, 21-23 ottobre 2005)
di Miriam Castorina
Dal 21 al 23 ottobre si è svolto, presso l’Università di Lingue Straniere di Pechino il convegno “La
letteratura italiana in Cina - La traduzione della letteratura italiana: teoria e pratica”, organizzato
dalla Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Roma “la Sapienza” e dal Dipartimento di Lingua
italiana dell’Università di Lingue straniere di Pechino. Tale iniziativa, sin dal titolo, voleva rendere
esplicito l’intento di unire, per la prima volta, due distinte iniziative, due diversi approcci alla
letteratura: il XVI Convegno dell’Associazione Cinese per lo studio della letteratura italiana
(Zhongguo Yidali wenxue xuehui) e un convegno dedicato alla diffusione e traduzione della
letteratura italiana in Cina, organizzato dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del 750°
anniversario della nascita di Marco Polo1.. Per la prima volta italianisti cinesi, quali, solo per citarne
alcuni, Shen Emei, Wu Zhengyi, Xiao Tianyu, Yang Shunxiang e Wang Jun e italianisti e linguisti
italiani come Tullio De Mauro, Massimo Vedovelli, Francesca Bernardini, nonchè sinologi e
traduttori quali Federico Masini, Rosa Lombardi, Alessandra Brezzi e altri ancora, hanno avuto
l’opportunità di confrontarsi su questioni legate alle tematiche della traduzione, ad aspetti di critica
letteraria italiana, o alle metodologie e al materiale per la didattica della lingua italiana e cinese. Il
Convegno è stato, idealmente, il momento conclusivo e inaugurale di numerose iniziative svoltesi in
Cina in quei giorni: due conferenze tenute da Federico Masini il 18 e il 19 ottobre a Hong Kong e
Canton, dal titolo “Italy in China at the end of the Empire: Kang Youwei, Liang Qichao and Sun
Yat-sen” (Qingmo minchu Yidali zai Zhongguo: Kang Youwei, Liang Qichao he Sun Yat-sen/
L’Italia in Cina tra la fine dei Qing e i primi anni della Repubblica). Inoltre il 24 ottobre si è
inaugurata la “Settimana della lingua italiana in Cina” a Pechino e a Shanghai, e il 25 ottobre è stata
inaugurata, presso la Biblioteca Nazionale di Pechino, la mostra di libri dal titolo “La letteratura
italiana in Cina”, organizzata dalla direzione della Biblioteca Nazionale, dal Centro di Ricerca di
cultura e letteratura comparata dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, e dal Centro di
letteratura comparata dell’Istituto di Scienze sociali. I lavori del convegno sono stati aperti, la
mattina del 21, dal discorso inaugurale del vice-rettore dell’Università di Lingue Straniere di
Pechino, la prof.ssa Jin Li, seguito dal saluto del Ministro Consigliere dell’Ambasciata di Italia a
Pechino, Raffaele Trombetta e dal Preside della Facoltà di Studi Orientali, Federico Masini. Lü
Tongliu, Presidente dell’Associazione cinese per lo studio della letteratura italiana, nonché
principale promotore dell’iniziativa, è stato il grande assente di questo incontro ed è scomparso
pochi giorni dopo la conclusione dei lavori. Lü Jing, figlia del professor Lü, ha letto il discorso che
il padre aveva preparato per l’inaugurazione del convegno. Nel corso delle due giornate, il
convegno ha affrontato due diverse problematiche: la teoria e la pratica della traduzione della
letteratura italiana e la diffusione della lingua e della letteratura italiana in Cina. Si è poi concluso il
23 ottobre con una tavola rotonda, a cui ha partecipato lo scrittore Alessandro Baricco di cui,
recentemente, sono state pubblicate in Cina diverse traduzioni. Il primo giorno dei lavori ha visto
susseguirsi gli interventi dei traduttori cinesi sulla pratica della traduzione italiana. Molti hanno
insistito sulle difficoltà da essa presentate e dalla necessità di rispondere ai tre requisiti
fondamentali della traduzione predicati più di cent’anni fa da Yan Fu, ossia “fedeltà, intelligibilità
1
ed eleganza”. Sebbene molti dei traduttori abbiano insistito molto su questo punto, può essere
indicativo, a questo proposito, il fatto che la parola yixue, “traduttologia”, ancora non sia entrata a
far parte dei dizionari cinesi. Durante la mattina del 21, sono intervenuti Xiao Tianyu sulla
traduzione della collana di poesie Gente di corsa di Tiziano Rossi e Zhang Shihua sulla traduzione
dei Promessi Sposi. Nel pomeriggio sono intervenuti Wu Zhenyi sulla gara per la traduzione delle
opere di Baricco, Shen Emei sul “cammino lungo e tortuoso del lavoro di traduzione”, Wei Yi sulla
traduzione de L’automa di Moravia e Lei Jia su una comparazione tra proverbi e modi di dire in
italiano e in cinese. Hanno concluso la giornata dei lavori una rappresentante della Casa editrice
della letteratura del popolo, e Lu Yuanchang, responsabile della casa editrice di Nanchino Yilin,
con un intervento dal titolo “Opinioni sulla traduzione delle opere letterarie italiane”. Da tutti questi
interventi è emerso un nuovo quadro del lavoro di traduzione di opere letterarie italiane. Se l’attività
di traduzione dall’italiano può essere fatta risalire agli anni ’80 dello scorso secolo, è solo negli
ultimi anni che essa si è intensificata e le case editrici cinesi scelgono sempre più spesso di
pubblicare autori italiani. Il problema può essere forse quello di creare una nuova, e più
consapevole, generazione di traduttori cinesi anche se, come ha elegantemente affermato Shen Emei
citando un detto cinese, “nel nostro cammino lungo la strada tortuosa della traduzione sopperiamo
alla vecchiaia degli anni con la giovinezza dell’arte”. Tra gli autori italiani più tradotti in Cina
compaiono D’Annunzio, Moravia, Calvino e Deledda e dal 2000 ad oggi, grazie in particolare alla
casa editrice Yilin di Nanchino, sono apparse anche opere di scrittori quali Tiziano Rossi, Daniele
Del Giudice, Vincenzo Cerami ed altri ancora. La giornata del 22 è stata aperta da Tullio De Mauro
che, con il suo bell’intervento, ha voluto sottolineare il ruolo svolto dal latino nella formazione della
lingua italiana, spiegando come il fiorentino si sia imposto nella penisola italiana come lingua
nazionale grazie alla sua prossimità con il latino, e come la consapevolezza di questa “tradizione
linguistica”, unitamente alla consapevolezza delle varietà dialettali italiane, possa essere d’aiuto
nella comprensione di un testo. Massimo Vedovelli, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena,
ha presentato invece un rapporto su un’indagine promossa dalla sua università e dal Ministero degli
Affari Esteri, intitolata “Italiano 2000” da cui è emerso che la lingua italiana si trova al
quarto/quinto posto tra quelle più studiate al mondo. Francesca Bernardini è poi intervenuta sulle
“tipologie strutturali e linguistiche del romanzo italiano del secondo Novecento: Calvino, Moravia,
Gadda”, fornendo in tal modo ai numerosi studiosi e agli studenti italiani e cinesi presenti una
chiave di lettura più approfondita di questi tre importanti autori italiani. E’ sempre al secondo
Novecento che appartengono i resoconti di viaggio in Cina di Carlo Cassola, Giancarlo Vigorelli e
Curzio Malaparte sui quali è intervenuta Rosa Lombardi. Tre autori diversi, tre di versi modi di
percepire e raccontare la Cina comunista al lettore taliano. Lü Jing ha invece illustrato le vicende
letterarie e teatrali della Turandot, “ottimo esempio di scambio culturale e d’influenza reciproca tra
Cina e occidente”. Il pomeriggio è stato interamente dedicato alla cultura e alla letteratura italiana in
Cina. Federico Masini è intervenuto avanzando l’affascinante ipotesi di poter far coincidere, almeno
fino all’Ottocento, la storia delle relazioni sino-europee con la storia delle relazioni tra la Cina e
l’Italia. Queste relazioni, che possono essere fatte risalire alla dinastia Han, videro l’apice negli
ultimissimi anni dell’Ottocento, durante i quali l’Italia Risorgimentale venne presa a modello da
alcuni tra i più grandi intellettuali cinesi dell’epoca come Kang Youwei e Liang Qichao. Wen
Zheng ha idealmente continuato la discussione con un excursus storico per la comprensione della
diffusione della letteratura italiana, da Matteo Ricci a le “Biografie degli eroi del Risorgimento
italiano” di Liang Qichao. Dopo quasi un secolo d’inattività, negli anni Novanta del secolo scorso
sono ripresi i lavori di traduzione di narrativa contemporanea e di classici della letteratura italiana.
Proprio alle problematiche legate alla traduzione di classici hanno fatto riferimento gli interventi di
Alessandra Brezzi sulla Divina Commedia, di Monica Piccioni sul Decameron e di Antonella
Musto sulle Avventure di Pinocchio. In tutti e tre i casi è stato necessario aspettare diverso tempo
perché le traduzioni venissero realizzate dall’originale e non da traduzioni da altre lingue
(giapponese e inglese) col conseguente risultato, in alcuni casi, di traduzioni inesatte, tagliate e, in
alcuni casi, con errori più o meno gravi d’interpretazione. Hanno chiuso questi due intensi giorni di
2
lavoro l’intervento di Du Ying, sull’insegnamento dell’italiano in Cina, e quello di Yang Shunxiang
sul Milione di Marco Polo. E’ stato proprio l’intervento della prima a dare il via ad una vivace e
accesa discussione in cui i docenti, sia da parte cinese che da parte italiana, hanno potuto
confrontarsi e scambiarsi suggerimenti sulla didattica e sui materiali ad essa correlati. Il convegno si
è idealmente concluso con la tavola rotonda del 23 ottobre mattina, durante la quale lo scrittore
Alessandro Baricco ha incontrato i suoi traduttori in vista della recente pubblicazione delle versioni
cinesi di Senza Sangue e Barnum 2. Come sopra accennato, infine, il 25 ottobre è stata inaugurata,
presso la Biblioteca Nazionale di Pechino, la mostra di libri dal titolo La letteratura italiana in
Cina, organizzata dalla direzione della Biblioteca Nazionale, dal Centro di Ricerca di cultura e
letteratura comparata dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, e dal Centro di letteratura
comparata dell’Istituto di Scienze sociale e che rientra nelle attività promosse dal Comitato
nazionale per il 750° anniversario della nascita di Marco Polo. La mostra è strutturata in cinque
sezioni: alcune note introduttive sulla cultura italiana, una parte dedicata ai missionari, alcuni testi
della letteratura della Roma antica, quindi la parte dedicata alla letteratura italiana (Dante,
Boccaccio, Goldoni, la letteratura del Romanticismo, Verga, D’Annunzio, la letteratura antifascista
e neorealista, Pirandello, Moravia, Calvino, letteratura contemporanea e letteratura d’infanzia).
L’ultima sezione, infine, è dedicata alla storia delle traduzioni letterarie italiane. Alla cerimonia
d’inaugurazione sono intervenuti il Vice Direttore del Centro di ricerca per la letteratura prof. Lu
Jiande, il Vice Rettore dell’Università di Lingue Straniere di Pechino prof.ssa Jin Li, il Ministro
Consigliere dell’Ambasciata di Italia a Pechino, Raffaele Trombetta, il Preside della Facoltà di
Studi Orientali, Federico Masini e l’addetto stampa dell’Ambasciata di Italia, Paola Paderni. La
mostra è durata fino al 25 novembre.
************
Per ricordare la figura del Prof. Lü Tongliu, scomparso il 28 ottobre 2005, nel prossimo numero
della rivista dedicheremo un saggio al contributo scientifico e al rilevante apporto da Egli fornito
alla diffusione della cultura italiana in Cina (n.d.r.).
MONDO CINESE N. 125, OTTOBRE-DICEMBRE 2005
Note
1
Questo convegno è stato solo uno dei numerosi convegni organizzati dal Comitato Marco Polo nel
corso degli ultimi due anni: il 23 e il 25 novembre 2004, si è svolto rispettivamente a Roma e a
Venezia un convegno dal titolo “Marco Polo: 750 anni”;
dal 10 al 12 novembre 2005, si è tenuto a Napoli il convegno “Vico e la Cina: Cina, Giappone,
Corea”.
3
Ricordo di mio padre
di Lü Jing
Era il 28 ottobre 2005, una tiepida giornata autunnale, quando mio padre Lü Tongliu ha lasciato,
non solo la sua famiglia, ma anche il suo mondo fatto di libri, amici e stimati colleghi. La sua morte
per la Cina, e non solo, è stata una gran perdita; con lui se ne è andato un insigne studioso della
letteratura straniera, di quella italiana in particolare, la passione di tutta una vita per la quale ha
ottenuto importanti riconoscimenti in Cina e all’estero. Quarto di cinque figli, mio padre era nato
poco più di sessantotto anni fa a Dan Yang, cittadina che si trova nella provincia meridionale dello
Jiangsu. Forse il suo destino comincia, quasi per decisione del destino, proprio a Dan Yang,
cittadina nota per l’abbondanza di pesci, riso e per aver dato i natali a numerosi studiosi. Era l’8
gennaio del 1938, in piena invasione giapponese, tutta la famiglia era in fuga quando mio padre
venne al mondo in una stalla nei pressi del fiume Yangzi. E poiché si trattava della sesta sosta del
lungo cammino, gli fu assegnato il nome liu (che significa sei) come suffisso a Tong che era già
stato deciso per i figli della sua generazione. Cominciò da ragazzo a nutrire un particolare interesse
verso gli studi umanistici leggendo un’infinità di racconti, poesie, romanzi. Saggi e articoli scritti da
autori cinesi e stranieri. Successivamente riuscì a superare brillantemente l’esame statale per poter
studiare in Unione Sovietica, che raggiunse nel 1956, iscrivendosi alla facoltà di chimica presso
l’Università di Leningrado. A quel tempo dalla Cina si andava a studiare all’estero solamente
materie scientifiche. Ma il suo sogno era la letteratura ed il giornalismo. Riuscì a coronarlo l’anno
successivo allorché ebbe la possibilità di cambiare indirizzo iscrivendosi alla facoltà di lingua e
letteratura italiana. Era quello il suo destino. Parlava spesso di questo periodo con nostalgia e penso
sia stato fondamentale per la sua formazione culturale. In quel periodo cominciò a scrivere per i
giornali cinesi articoli sulle attività culturali e sportive dei suoi connazionali in Unione Sovietica.
Ben presto però si innamorò dei racconti di Moravia e, approfittando delle vacanze, tradusse in
cinese Felicità in vetrina, che fu pubblicato nel 1962 dalla rivista cinese Letteratura mondiale. Fu
un successo immediato tanto che la Radio Centrale decise di dedicargli una trasmissione. E’ stato
un momento cruciale per la carriera di mio padre; il quale, laureatosi nello stesso anno, è stato
inserito nell’organigramma dell’Istituto di Ricerca sulla Letteratura Straniera dell’Accademia
Cinese di Scienze Sociali di Pechino, in qualità di esperto di letteratura straniera. In seguito è
divenuto professore ordinario. Gli eventi storici della Cina dal 1964 fino alla fine degli anni ’70
tennero lontano mio padre dal suo lavoro e dalle sue ricerche, da poco iniziate, su Moravia. Anche a
lui toccò il destino di molti altri intellettuali: fu inviato in campagna per essere rieducato. Ricordava
quel periodo con molta ironia: “mi sembrava uno scherzo della sorte, albergavo in una stalla così
come vi ero nato”. Sono stati anni di duro lavoro, dove la fatica riempiva l’intera giornata. Alle fine
della Rivoluzione Culturale, quando finalmente ha potuto ricominciare il suo lavoro, ha cercato di
recuperare il tempo perduto, riprendendo i suoi studi proprio da Moravia. Leggendo accuratamente
le opere e i saggi critici dello scrittore ha quindi scelto i trenta racconti che meglio potevano
riflettere il carattere e l’evoluzione. Venti anni dopo, nel 2002, in un’intervista pubblicata su una
rivista letteraria, la scrittrice Chen Ran ha detto che i racconti di Moravia, tradotti da Lü Tongliu e
letti negli anni dell’università, l’avevano colpita per la loro bellezza. Il suo lavoro lo ha portato
spesso in Italia agli inizi degli anni ’80, dove ha potuto perfezionare la lingua e continuare le
proprie ricerche. Ha conseguito in quegli anni specializzazioni sia presso l’Università della Calabria
che alla Sapienza di Roma. Ha conosciuto Calvino e Sciascia, con i quali ha avuto occasione di
parlare delle loro opere prima di tradurle in cinese. Negli anni seguenti infatti vengono pubblicate le
sue versioni di Ciascuno a modo suo di Sciascia e de Le opere di Italo Calvino (dodici titoli), in
collaborazione con la scrittrice Zhang Jie. Successivamente lettori e poeti cinesi hanno potuto
conoscere la poesia ermetica dei due nobel Montale e Quasimodo attraverso le raccolte, da lui
curate, della poesia di Montale (1992) e della poesia di Quasimodo (1998), molto apprezzate da
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letterati cinesi come Niu Han, Xu Shi e Jidimajia. E’ stato coraggioso a portare, con il suo lavoro, il
nome di Pirandello nel campo letterario-teatrale cinese. L’autore era poco conosciuto nel nostro
paese e la superficiale conoscenza che regnava era distorta da giudizi politici. Di lui ha tradotto
Enrico IV (1989), Trovarsi (1989), Vestire gli ignudi (1989) e I giganti della montagna (1989).
Mentre traduceva, ha anche organizzato diversi seminari su Luigi Pirandello per cercare di far
comprendere meglio il valore della sua opera. Per la traduzione di Vestire gli ignudi, la cui
rappresentazione è stata trasmessa in televisione, ha ricevuto un riconoscimento ufficiale. Al
riguardo vanno ricordate le parole pronunciate dal noto regista cinese Lin Zhao Hua: “Nel
ventesimo secolo in occidente ci sono stati due grandi drammaturghi: Brecht e Pirandello”. Su
quest’ultimo, dalla negazione alla conoscenza fino ad arrivare all’attenzione, il contributo di mio
padre è innegabile. Anche in Italia i riconoscimenti per tale lavoro non sono mancati e il Premio
Pirandello, conferitogli nel 1991, è magnifica conferma all’eccezionale lavoro svolto. Analoga
operazione, ovverosia quella di organizzare convegni per preparare gli ambienti letterari alle nuove
opere tradotte ed evitare che non fossero adeguatamente apprezzate, la condusse da una parte con
Gabriele D’Annunzio, esaltandone il carattere linguistico e l’estetismo, dall’altra con il futurismo
italiano. E questo portò alla conoscenza in Cina di autori e movimenti letterari. Ma ritengo che la
peculiarità di mio padre sia stata di capire che più di un autore e di una corrente letteraria andavano
presentate in quella fase in cui la letteratura italiana in Cina muoveva i primi passi; perciò non si è
soffermato su uno specifico periodo storico o su un filone letterario, ampliando gli orizzonti della
sua ricerca. Come traduttore e curatore la sua ricerca abbraccia opere dalle origini della letteratura
con Dante (La Divina Commedia), Petrarca (Il Canzoniere), Boccaccio (Decameron), Tasso (La
Gerusalemme liberata); attraversa il Rinascimento con Le Novelle del rinascimento Italiano e
l’Ottocento con Manzoni (I Promessi Sposi), Leopardi (L’Antologia della poesia di Leopardi) e
Verga (I Malavoglia) giungendo al Novecento, dove si compie il suo massimo sforzo letterario.
Tanti sono gli autori del secolo appena trascorso da lui affrontati e portati alla conoscenza del
pubblico cinese: oltre a quelli già citati, possiamo ricordare Nievo (Le confessioni di un italiano),
D’Annunzio (Il fuoco), Berto, Buzzati, Boito, Deledda, Tomasi di Lampedusa, Malerba,
Castellaneta, ecc. che ha riunito nelle Opere selezionate da illustri traduttori cinesi, nella Raccolta
della poesia italiana del Novecento (1998) e ne La letteratura italiana del Novecento (10 voll.,
1992-1995). Affermava che la traduzione dovrebbe sempre essere accompagnata da un lavoro di
ricerca: sono le facce della stessa medaglia, ed un bravo traduttore deve conoscere entrambe le
culture. Infatti considerava il suo lavoro come “un ponte che collega due culture e due popoli” e gli
scambi culturali tra diverse civiltà come “una pietra miliare del progresso umano”. E’ con questo
spirito che nel 1992, in un clima non idilliaco, organizza un simposio su “Le ricerche e le traduzioni
della letteratura straniera” tra gli studiosi di Taiwan, Cina continentale e Hong Kong. Occasione in
cui, per la prima volta, studiosi di questi tre paesi si sono incontrati. Nel 1991, in qualità di Vice
Presidente dell’Accademia Cinese di Cultura Internazionale ha inoltre organizzato a Pechino il
primo “Convegno Internazionale su Marco Polo” e nel 1994 - nonostante numerose difficoltà
politico-ideologiche - il convegno su “Martino Martini e gli scambi culturali tra la Cina e
l’Occidente”. Nel 1988 ha fondato l’Associazione Cinese per gli Studi sulla Letteratura Italiana. In
questa sede, tutti gli anni, si tengono convegni per discutere sulla produzione letteraria italiana e
vengono allo scopo invitati studiosi e scrittori italiani. Fino allo scorso anno, in qualità di Presidente
dell’Associazione, è stato mio padre a curare, ideare e progettare il tema del convegno e interessarsi
degli ospiti italiani da invitare. Lo scrittore Carlo Sgorlon ha detto di mio padre che “era un uomo di
vastissimo rilievo culturale nel suo Paese (…) gestiva se stesso ed il suo immenso potere culturale
con una signorilità discreta, misurata, piena di affabilità”. Queste parole mi riempiono d’orgoglio
assieme ai numerosi riconoscimenti da lui ottenuti: la Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Scuola,
della Cultura e dell’Arte conferita dalla Presidenza della Repubblica Italiana e dal Ministero
dell’Istruzione (2004); il premio Nazionale della Traduzione del Ministero dei Beni Culturali
(2004); la carica di Commendatore della Repubblica Italiana (2002), di Cavaliere Ufficiale
dell’Ordine della Repubblica Italiana (1990); il Premio Letterario Mondello (1990). La
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convinzione, di foscoliana memoria (“Celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi, celeste dote
è negli umani; e spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi”), che egli sia ancora
tra noi per il suo contributo al mondo delle lettere e che il suo nome vivrà sempre nelle pagine da lui
scritte, rende meno triste il distacco dello scorso autunno.
MONDO CINESE N. 126, GENNAIO-MARZO 2006
6
La figura di Dante nella letteratura cinese moderna
di Anna Bujatti*
Il drammaturgo e narratore Lao She (1899-1966) che nel 1936 aveva scritto il testo poetico Guiqu
(Commedia dei demoni) ispirato all’Inferno dantesco, dichiarava, nel 1941, che “la Divina
Commedia è l’unico libro al mondo che non si può imitare”.
Il poeta He Qifang (1912-1977) nel 1975, un anno prima della morte di Mao Zedong e della fine
del periodo detto della ‘Rivoluzione culturale’ (Wenhua dageming) (1966-1976) esprimeva nella
sua poesia Yixi (Ricordanze) l’auspicio: “anche la Cina deve avere il suo Dante” manifestando così
l’identificazione di Dante nel grande poeta nazionale per antonomasia a livello mondiale.
La presenza di Dante in Cina tra la caduta dell’impero e i primi decenni della repubblica.
La presenza di Dante nella scena letteraria cinese risale alla fase storica detta del ‘Riformismo’ che
portò alle riforme del 1898, premessa alla caduta dell’impero e all’instaurazione della repubblica
(1912).
Una componente importante del ‘Riformismo’, movimento insieme politico e culturale, era
costituita da intellettuali che si erano formati in Giappone dove l’eco del Risorgimento italiano era
giunta attraverso l’Inghilterra. Ricordiamo in particolare The prophecy of Dante scritto da Byron
nel 1919 a Ravenna e il discorso di Thomas Carlyle del 1841 On Heroes, Hero worship and the
heroic in History, testi nei quali Dante è presentato come poeta profeta, anima della nazione
italiana.
Lo studioso giapponese Ueda Bin pubblicava nel 1901 una serie di lezioni su Dante divino poeta
(Shisei Dante ) e nel 1904 una parziale traduzione in giapponese della Vita nuova. Su questo sfondo
si colloca il dramma dello scrittore cinese Liang Qichao (1873-1929) Xin Luoma (La nuova Roma )
pubblicato, incompiuto, nel 1902, dramma nel quale a Dante è affidato il prologo nel quale viene
evocato il Risorgimento italiano come esempio di riconquista della antica dignità di un grande
popolo, a lungo calpestata.
Nel 1907. ispirandosi a Carlyle, il grande scrittore cinese Lu Xun (1881-1936) anch’egli studente
in Giappone, scrive per una progettata rivista dal titolo «Xin sheng» («Vita nuova») il testo Il potere
della poesia di M_r_ (o Il potere della poesia ribelle, poiché M_r_ è il demonio indiano) in cui
evoca la figura di Dante come padre della nazione italiana.
Il poeta Su Manshu (1884-1918) primo traduttore di Byron in cinese, accomuna Dante e Byron in
una sua lirica del 1909 definendoli “i suoi maestri”.
In un articolo per la rivista «Xin qingnian» («Gioventù nuova») del 1° gennaio 1917 l’autorevole
intellettuale Hu Shi (1892-1962) esalta Dante come creatore di una lingua nuova, che da voce alle
aspirazioni nazionali del suo paese.
Nel 1921, sesto centenario della morte di Dante, poco più di un paio di anni dopo lo storico
Movimento, politico e culturale insieme, definito “del 4 maggio” (1919), un numero speciale della
rivista «Xiaoshuo yuebao » («Mensile del romanzo») pubblica la traduzione in cinese dei primi tre
canti della Divina Commedia (Shen qu) e la riproduzione del dipinto ‘Dante in esilio’ del pittore
ottocentesco Domenico Peterlin. In altre riviste si parla in particolare del De vulgari eloquentia,
stimolo al rinnovamento della lingua cinese scritta, ancora rigidamente legata alle forme
tradizionali, lontana dalla moderna lingua parlata.
Ci sono anche vie impensate che conducono a Dante. Il grande romanziere Ba Jin (1904-2005) ha
sempre ricordato, come avvio alla sua lettura di Dante, la lettera ricevuta nel 1927, in risposta a un
suo messaggio di solidarietà, dall’operaio italiano Bartolomeo Vanzetti, condannato negli Stati
Uniti alla sedia elettrica (lettera esposta al Museo della Letteratura cinese moderna a Pechino).
Il poeta fiorentino e la generazione ‘romantica’ dei poeti cinesi.
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Accanto alla esaltazione del ruolo civile di Dante, negli anni Venti si diffonde l’immagine del Dante
cantore dell’amore angelicato, e vengono evocate le figure di Beatrice e di Francesca da Rimini
(eroina della celebre parafrasi, opera di Byron, del V canto dell’Inferno). Il poeta Guo Moruo
(1892-1979) scrive Il canto di Paolo (1923) e in Tre canti di vita alla deriva (1924) si paragona a
Dante in esilio che invoca la sua Beatrice. Frequenti sono i riferimenti a Beatrice nelle poesie di Xu
Zhimo (1896-1931), che nel 1925 si reca personalmente a Ravenna a rendere omaggio alla tomba di
Dante.
Il narratore e poeta Yu Dafu (1896-1945) nel 1927, nel corso di una lunga e tormentata storia
d’amore, si rivolge costantemente alla sua amata come alla sua Beatrice. E anche il giovane poeta
Yin Fu (che sarebbe stato ucciso a Shanghai nel 1931 come rivoluzionario) scrive alla sua amata
“Tu sei la Beatrice dell’Oriente”.
Nel 1934 il poeta Wang Duqing traduce in cinese (dalla traduzione inglese di Dante Gabriele
Rossetti) la Vita nuova.
Dante poeta-profeta e l’evocazione di Qu Yuan.
Nella cultura cinese del Novecento, la figura di Dante poeta-profeta non ha soltanto una
connotazione civile ‘moderna’, come padre della nazione italiana, ma anche una dimensione
visionaria, extratemporale, che si apparenta alla figura dell’antico poeta cinese Qu Yuan (340-277
a.C. circa) autore del poema Lisao (I tormenti dell’esilio o Incontro al dolore ). Già lo scrittore Lu
Xun aveva accennato a questo accostamento, ma è il romanziere Mao Dun (1896-1981) che, in
apertura di un suo celebre saggio del 1935 sulla Divina Commedia, svolge più compiutamente il
parallelo.
Quando, nel 1942, nei cupi anni dell’invasione giapponese, Guo Moruo mette in scena a
Chongqing (allora capitale, sede del governo nazionalista) il suo dramma Qu Yuan, con forte
connotazione di orgoglio patrottico, lo studioso Guo Yintian ne trae stimolo ad approfondire il
parallelo tra Dante e Qu Yuan, voci, entrambi, delle più alte aspirazioni dei loro popoli e interpreti
delle grandi correnti spirituali che percorrono l’universo.
È interessante notare che le figure di Dante e di Qu Yuan sono state avvicinate anche di recente nel
discorso tenuto all’Accadema svedese nel 2000 dal premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian.
Le traduzioni e gli studi delle opere di Dante.
I primi tre canti dell’Inferno tradotti di Qian Daosun sono stati pubblicati sul «Xiaoshuo yuebao»
(«Mensile del romanzo») nel 1921 e altri cinque nel 1929, traduzione molto ammirata ma non
portata a termine.
Tra il 1935 e il 1948 Wang Weike ha tradotto tutta la Divina Commedia dal francese e nel 1954
Zhu Weiji ha pubblicato la sua traduzione dell’Inferno dall’inglese completando la traduzione delle
tre Cantiche entro il 1990.
Infine Tian Dewang ha tradotto la Divina Commedia (Shen qu) dall’italiano, pubblicandola nel
2000.
Negli anni Novanta sono state pubblicate, oltre a una nuova traduzione della Vita nuova, anche le
traduzioni del Convivio, a cura di Lü Tongliu (1966) e del De Monarchia a cura di Zhu Hong
(1997).
Dopo un lungo silenzio, a partire dalla fine degli anni Settanta, studi e ricerche su Dante si sono
susseguiti in gran numero. Forse il primo saggio notevole è stato il saggio di Hua Yuqing
pubblicato nel 1980 sulla rivista di studi letterari di letteratura straniera «Waiguo wexue yanjiu»
con il significativo titolo: Modernità della Divina Commedia.
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Dante nella letteratura cinese
di Ermanno Visintainer
Fra le figure di spicco dei letterati che, nell’alveo della più recente
letteratura dinastica cinese e di quella moderna, si sono ispirate a Dante, se ne
possono essenzialmente ravvisate due: 梁啟超 Liáng
Qǐchāo e 胡適Hú Shì.
Essi furono rispettivamente: il primo un filosofo modernista,
riformatore e poligrafo, mentre l’altro fu promotore della letteratura
vernacolare, o 白話- báihuà, e propagandista della cosiddetta “Rivoluzione
letteraria, 文学革命- wénxué gémìng”cominciata nel 1917.
Quale premessa in merito alla diffusione del sapere occidentale in
Cina ed onde comprendere meglio il contesto cui facciamo riferimento ci
pare doveroso allegare un paio di dati storici. Per prima cosa una menzione
alla figura di Marco Polo nelle vesti di ambasciatore ante litteram
dell’occidente e dell’Italia in Cina, quindi un cenno all’influenza che quivi
esercitarono alcuni personaggi provenienti sempre dall’Italia verso la fine
del periodo rinascimentale. Basti pensare a quei gesuiti che Battiato in una
vecchia canzone definisce: “euclidei, vestiti come dei bonzi per entrare a
corte degli imperatori, della dinastia dei Ming”, salvo poi abbandonare panni
del bonzo per indossare quelli del saggio confuciano allorché si accorsero del
disinteresse e della noncuranza con cui erano visti da parte dell’aristocrazia
cinese.
A dispetto di ciò, la funzione che essi svolsero nella trasmissione della
scienza e della tecnica occidentale fu davvero unica. Due nomi a tal
proposito emblematici sono quelli di: Matteo Ricci e Martino Martini, ai quali
(soprattutto il primo) alcuni sinologhi attribuiscono il merito di aver
stimolato la nascita del movimento per la riforma dello stile letterario negli
ultimi anni della dinastia Ming.
Sempre in un ambito linguistico, peraltro, un’ulteriore rettifica sarà
introdotta dal “Grande Timoniere”, 毛泽东 Máo Zédōng, in tempi più recenti
con l’imposizione dei caratteri semplificati.
Venendo ai due autori cinesi, il primo dei due, Liáng Qǐchāo (18731929), ravvisò in Dante il poeta-vate che contribuì al risveglio della
coscienza nazionale italiana e quindi alla successiva indipendenza e
liberazione dal dominio straniero. Sull’onda di un entusiasmo ispirato a tali
suggestioni, nel 1904 Liáng Qǐchāo, compose un dramma intitolato 新罗马Xǐn Luómă ( La nuova Roma) in cui immaginò lo spirito di Dante visitare la
Cina assieme a quelli di Voltaire e Shakespeare. Questi vedendo la triste
situazione in cui versava il suo paese, ovvero la Cina, politicamente
indebolita e moralmente corrotta, auspicò per essa una resurrezione
spirituale che la portasse ad essere "la nuova Roma", un faro di civiltà per
tutto il mondo.
Riportiamo qui un passo tradotto da G. Bertuccioli, una grande figura
della sinologia italiana.
Dante: Sono lo spirito di Dante, un poeta italiano...Rendendomi ben
conto del valore della libertà, non potevo sopportare che, dal giorno della
caduta dell'Impero Romano, la mia patria fosse divisa tra tanti sovrani,
come se fosse divenuta una zucca o un baccello....Ahime'! Centinaia di anni
fa io mi disperavo e piangevo per questa situazione. M' ero convinto che, se
si voleva liberare la patria bisognava svegliare il popolo italiano e a tal fine
aggiunsi delle poesie e delle canzoni ai romanzi e ai drammi che avevo
9
scritto, nella speranza che, a forza di essere ripetute nelle strade anche da
donne e bambini, avrebbero contribuito a rafforzare lo spirito nazionale e
lavare l'onta della patria... Ah! Ah! La mia Italia e' divenuta una potenza
europea di prim’ordine, completamente indipendente. Vedete: ha una
superficie di centodiecimila miglia quadrate, una popolazione di trenta
milioni di abitanti, tutti della stessa razza: un governo e un parlamento
davvero seri e rispettati; più di cinquecentomila soldati addestrati, pronti a
combattere e a difendere la pace. Tutto ciò è stato il frutto degli infiniti
sforzi dei miei compatrioti che hanno studiato e pianto sangue.( Liáng
Qǐchāo " Xǐn Luómă ", prologo)
A tali parole fanno l’eco quelle dell’altro letterato, Hú Shì (1891-1962),
il quale scrive:“Soltanto l'Italia presenta degli aspetti simili a quelli della
Cina d’oggi, soprattutto se teniamo presenti le condizioni in cui essa si
trovava prima del raggiungimento della sua unità nazionale. Soltanto tre
eroi italiani possono costituire un modello per il popolo cinese. I tre errori
sono Mazzini Garibaldi e Cavour”. Mentre, riferendosi a Dante scrive quanto
segue: “Noi cinesi dobbiamo studiare il modo in cui il volgare si è affermato
in Italia. E perché mai? Perché le lingue degli altri paesi dell'Europa
occidentale o settentrionale differiscono troppo dal latino. In quei paesi fu
facile abbandonare l'uso dal latino per cominciare a scrivere secondo le
nuove lingue nazionali. Invece coloro i quali proposero di servirsi del volgare
in Italia incontrarono molte difficoltà proprio perché nel loro paese aveva
avuto sede la capitale dell'impero romano e perché i dialetti italiani non
differiscono troppo dal latino. Le stesse difficoltà vengono incontrate in Cina
da chi sostiene la necessità di scrivere secondo la lingua parlata in un
secondo lo stile letterario. In Italia gli avversari del volgare erano
numerosissimi e gli scrittori, per affermare le loro tesi, dovettero creare una
letteratura il volgare che si mostrasse superiore come latino. Così fecero
Dante e Leon Battista Alberti” annettendo in altro scritto il nome di Lutero.
Per chiosare un paio di considerazioni. Ribadendo la nostra
consapevolezza circa la frammentarietà di quanto esposto, affermiamo che
sebbene tale rassegna di paradigmi tratti dalla storia italiana non possa fare
altro che esaltare il nostro orgoglio nazionale, ci rammarichiamo
dell’assoluta assenza di analoghi modelli sullo sfondo delle attuali relazioni
italo-cinesi3. D’altra parte, un accostamento così estemporaneo e composito
di personaggi storici non può fare a meno che destare una certa perplessità.
Volendo estendere un parallelismo, che peraltro ci pare pertinente,
tra le motivazioni che a nostro avviso, hanno indotto i summenzionati
letterati cinesi ad appropriarsi della risonanza del nostro illustre poeta, non
possiamo esimerci dal porre in evidenza la loro assoluta eterogeneità
rispetto a quelle cui ci siamo riferiti nel precedente articolo sulla letteratura
indo-pakistana. Si potrebbe, infatti, asserire che i filosofi europei accostati
da Iqbal all’opera dantesca evidenzino, rispetto ai personaggi citati nel
presente approfondimento, una macroscopica divergenza di prospettive.
Nelle figure identificate dai letterati cinesi non è difficile in generale
intravedere un’inclinazione verso correnti di pensiero di matrice
rinascimentale ed illuministica; per quanto riguarda Mazzini e Garibaldi,
nella fattispecie, è noto quale movimento rappresentassero. Lungi
dall’esprimere giudizi categorici in merito e prescindendo, soprattutto, dal
valore sia intrinseco che stilistico delle loro opere, diciamo soltanto che a
differenza di Iqbal, cui innumerevoli sono stati gli encomi attribuitigli dal
nostro obliato orientalista A. Bausani, il quale pur nella rottura con il proprio
passato nazionale, nell’assunzione di modelli esterni seppe mantenere un
equilibrio con la propria tradizione di appartenenza, in quell’esaltazione della
10
modernità che traspare dagli scritti di Liáng Qǐchāo e di Hú Shì non sembra
riverberare, tanto per fare un esempio, il minimo riflesso di uno dei
capolavori massimi della letteratura cinese: il 道德經 - Dàodé jīng di 老子Lǎozǐ, essa sembra altresì preconizzare l’iconoclastia di quella che sarà la
Rivoluzione culturale degli anni più recenti i cui effetti si possono ancor’oggi
notare nello sventramento di interi quartieri di Hutong delle città per
lasciare lo spazio ad un’edificazione che sgomenta gli stessi cinesi, oppure
nel distacco che molti di loro dimostrano nei confronti della loro cultura
antica. Va da sé che, comunque, anche in Cina momentaneamente il
personaggio storico italiano più conosciuto non è tanto il 但丁Dàndīng,
ovvero il Dante da noi trattato nel presente articolo quanto quel 达芬奇Dá
Fēnqí, o quel Da Vinci di Dan Brown che con il suo “密码mìmă, Codice” ha
letteralmente conquistato il mercato editoriale dell’intero pianeta.
11
La Divina Commedia in lingua cinese a Ravenna
di Federico Masini
Nell'ambito della manifestazione "La Divina Commedia nel mondo", organizzata da Walter Della
Monica con la consulenza scientifica di Enzo Esposito, il 18 settembre si è svolto a Ravenna nella
Basilica di S. Francesco un incontro dedicato alla conoscenza di Dante in Cina. Il Centro Relazioni
Culturali di Ravenna, dopo aver organizzato nel triennio 1995-97la lettura pubblica ed integrale
della Divina Commedia in cento serate, ad opera di Vittorio Sermonti, quest'anno ha preparato tre
incontri sulla fortuna della Commedia all'estero: il primo dedicato al mondo anglofono con il
traduttore inglese Allen Mandelbaun, il secondo dedicato alla Cina con il traduttore cinese Huang
Wenjie e il terzo dedicato alla lingua francese, con la partecipazione della traduttrice Jacqueline
Risset. La serata dedicata alla Cina, dopo la presentazione della manifestazione da parte di Walter
Della Monica ed una breve introduzione dello scrivente (intervenuto al posto di Giuliano
Bertuccioli, assente per motivi di salute) sulla fortuna di Dante in Cina, prevedeva la lettura
integrale del XXVI canto dell'Inferno, il canto di Ulisse, prima in lingua cinese a cura delle giovane
e brava Lu Jing, figlia dell'italianista cinese, Lu Tongliu, e quindi in italiano a cura del noto dicitore
Vittorio Sermonti. Si è trattato di un'ottima occasione per far conoscere ai molti estimatori di Dante
intervenuti la notevole fortuna che ha arriso al nostro poeta in Cina, fin da quando, come scrive
Bertuccioli in un articolo apparso su questa rivista nel 1991 (n. 73, pp. 7-15). Dante in Cina fu
prima considerato un campione di patriottismo, poi un riformatore della lingua, quindi fu
paragonato ad uno sfortunato poeta della più remota antichità cinese che come lui era stato costretto
a morire in esilio. Solo un autore, Guo Moruo, mostra un sincero interesse per Dante poeta, quando
compone una breve poesia dedicata a Paolo e Francesca o, prendendo commiato dalla moglie, la
saluta dicendo: "Addio mia Beatrice!" Soltanto dopo la fondazione della Repubblica Popolare, la
Divina Commedia sembra venir apprezzata appieno. Dopo la prima traduzione, in lingua cinese
classica, di un canto apparsa nel 1921, nel 1949, esce infatti la prima traduzione integrale, condotta
sulla versione francese. Questa fu più volte ristampata fino al 1980, così come la traduzione
dall'inglese apparsa nel '59, alla quale arrise notevole fortuna editoriale, come provato dal fatto che
l'edizione del 1984, tirata in oltre 112.000 copie, fu già ristampata nel 1990. Infine è solo sul finire
degli anni Ottanta che appare la prima versione basata sull'originale a cura di Tian Dewang: i primi
quattro canti furono pubblicati nel 1986, seguiti poi da tutto l'Inferno nel 1990. Mancava quindi una
traduzione integrale dall'originale e a questo lavoro si sta dedicando Huang Wenjie, che a Ravenna
ha presentato la sua versione del XXVI canto dell'Inferno. Resta da chiedersi cosa possano
apprezzare i lettori cinesi di un’opera cosi distante dal loro mondo culturale. L’argomento del
viaggio negli inferi, in compagnia di una guida, non è completamente estraneo alla cultura cinese:
lo si ritrova infatti nella tradizione buddhista. Sia questa che una possibile lontana eco dell'opera di
Dante ispirarono forse una novella composta in dialetto cantonese durante il secolo scorso, tradotta
dallo scrivente e pubblicata su questa rivista nel 1991 (n. 73, pp. 27-48), sotto il titolo "Una Divina
Commedia cantonese".
MONDO CINESE N. 98, MAGGIO-AGOSTO 1994
12
Boccaccio e la Cina
di Monica Piccioni
Nel n. 73, marzo 1991, di «Mondo Cinese», venne pubblicato un saggio del prof. Giuliano Bertuccioli
intitolato Dante e la Cina, diretto a far conoscere sia la fortuna di Dante in Cina che i riferimenti a quel
paese anche se tenui, che si trovano nelle sue opere.
Siamo lieti di presentare questo saggio della dr.ssa Monica Piccioni, in cui vengono trattati gli stessi temi
con riferimento all'altro nostro grande autore, Giovanni Boccaccio. È da sperare che a questi due primi
articoli possano far seguito altri in modo da far conoscere la fortuna in Cina dei nostri maggiori scrittori.
Fra i grandi autori della nostra letteratura, Giovanni Boccaccio può essere considerato uno dei più letti ed
apprezzati dagli studiosi e dal pubblico dei lettori cinesi. In realtà, la conoscenza che la Cina ha del «padre»
della prosa d'arte italiana e della sua opera, del Decameron in particolare, è un episodio storicamente
«recente»: un evento del XX secolo. Eppure in un arco di tempo relativamente breve, il Decameron è stato
più volte tradotto, studiato e commentato in Cina e a Boccaccio sono stati dedicati studi critici e biografie.
Il principale veicolo attraverso il quale il Decameron è arrivato ai più, che certo non potevano leggerlo nella
sua lingua originale, sono state le traduzioni. Le prime di cui si ha sicura conoscenza compaiono negli anni
1920-1930, un periodo della storia cinese in cui si cercavano, scoprivano e divulgavano le opere letterarie
straniere. Si tratta, in questa fase iniziale, di novelle «isolate» tradotte e pubblicate in riviste letterarie come
la seconda della nona giornata («Levasi una badessa in fretta e al buio per trovare una sua monaca...») e la
sesta della settima giornata («Madonna Isabella, con Leonetto standosi, amata da un messer Lambertuccio è
visitata e trona il marito di lei...») del Decameron, apparse nei numeri di settembre ed ottobre del 1928 del
Wenxue zhoubao (Settimanale letterario) e intitolate dal traduttore Luo Ailan, rispettivamente «Zhuchi
zhuojian» (La badessa coglie gli amanti sul fatto) e «Nüren de jizhi» (La prontezza della donna).
Nello stesso anno anche il Guowen zhoubao (Settimanale di letteratura nazionale), n. 34, ospitò una
traduzione della novella di Peronella [VII, 2] curata da Xian Tai, col titolo di «Zhangfu he tong de gushi»
(Storia del marito e della botte), mentre il Dazhong wenyi (Arte e letteratura delle masse), n. 4, ne
presentava un'altra di Yue Zhi, il cui testo non è reperibile, ma che potrebbe essere, a giudicare dal titolo «Er
linren» (I due vicini)1 , la ottava novella della ottava giornata («Due usano insieme: l'uno con la moglie
dell'altro si giace...» ).
V'è da notare, in queste prime versioni, la presenza di alcuni territori di interpretazione dovuti in parte al
fatto che esse non si basano sull'originale italiano, ma su edizioni in altre lingue. In realtà, nel caso delle
traduzioni in cinese del Decameron, con una sola, recente eccezione, si è sempre fatto ricorso ad edizioni
straniere, inglesi soprattutto. Non di rado i loro errori si sono trasferiti nelle versioni cinesi e la loro carenza
di note ha impedito ai traduttori di intendere correttamente singole parole ed interi passaggi.
Ad esempio, il «Saltero», il termine con cui Boccaccio indica il velo che la badessa di Dec. IX,2, crede di
mettersi in testa scambiandolo, nella fretta, con le brache del prete col quale giaceva, nella versione cinese
viene tradotto «Shipian» (Poema) vocabolo più vicino ad un altro significato del salterio come «Libro
liturgico contenente i Salmi»2 .
Dopo queste prime, sporadiche apparizioni, le traduzioni delle novelle di Boccaccio fanno la loro comparsa
sotto varie vesti letterarie: dalle esili raccolte che accorpano pochi esemplari, via via si arriva a versioni più
complete, corredate di illustrazioni, sino alle edizioni integrali.
13
Nel 1929 viene alla luce la prima raccolta di tre novelle del Decameron [III,9; IV,5; X,3], in una veste
tipografica autonoma intitolata Lian’ai yu shenghuo de gushi (Racconti d'amore e di vita), Shanghai, Wei'ai
congshushe, pp. 52, a cura di T.T., iniziali sotto cui figura il nome o lo pseudonimo della traduttrice. Il testo
delle tre novelle, rielaborate sotto forma di parafrasi, si arricchisce di circonlocuzioni che, nel tentativo di
spiegare il senso del dettato, appesantiscono invece la snellezza del racconto. Qui, inoltre, a conferma di una
«prassi» ricorrente nelle traduzioni in lingue straniere del Decameron, alcune azioni ardite ed espressioni
salaci vengono «neutralizzate». Leggendo la novella di Giletta di Nerbona [III,9], non si ha sentore dell'abile
scambio di persona grazie a cui ella si sostituisce alla giovane amante nel letto del marito. Tutto risulta
semplificato, i celebri «congiungimenti» menzionati da Boccaccio vengono liquidati, mentre dilaga una
folla di aggettivi che esaltano le buone qualità dei personaggi.
Più interessante è l'altra silloge del 1929 comprendente otto novelle a cura di Liu An, Shiritan xuan (Scelta
dal Decameron), Shanghai, Guanghua shuju, pp. 110. Si tratta di un'altra raccolta che costituisce, rispetto
agli esempi sopra menzionati, un corpus più consistente della materia boccacciana tradotta in cinese. La
scelta delle novelle, in questo caso, segue un filo conduttore rappresentato dalla tematica erotico-amorosa,
offrendo un saggio organico di uno degli argomenti dominanti del Decameron.
Nella Premessa al testo, datata 1928, Liu An critica l'uso invalso di censurare interi passi del libro e dichiara
di aver basato la sua traduzione su una edizione inglese integrale pubblicata privatamente per evitare i
classici tagli inferti alle descrizioni più audaci. Il risultato è senz'altro notevole, i doppi sensi osceni e le
ardite metafore, che altre edizioni inglesi o cinesi recidono di netto, acquistano qui una vivezza descrittiva
che rende piena giustizia all'originale.
Un apprezzamento di questa traduzione è stato espresso dallo scrittore Wang Tiran (1906) nell'articolo
«Shiritan gushi xiaolun» (Breve saggio sulle novelle del Decameron), uscito nel 1931 sul periodico Dushu
yuekan (Mensile La Lettura), Guanghua shuju, vol. I, n. 5, pp. 155-159. Egli sostiene che le edizioni inglesi,
alle quali generalmente ci si ispira, sono in parte monche, anche quando «rivendicano» la completezza.
Nega, in proposito, che l'edizione inglese, cui Liu An ha attinto, sia veramente integrale, ma valuta
positivamente il fatto che la sua versione, priva di serie omissioni, consenta una lettura più «vicina» alle
novelle originali.
Vogliamo rammentare che nel puritano mondo anglosassone, mentre la produzione grave e composta delle
opere latine di Boccaccio cominciò ad essere già conosciuta nel XIV secolo, il suo novelliere in prosa
incontrò difficoltà ad essere accettato nella sua interezza. Infatti, da quando il primo consistente gruppo di
novelle fu incluso nel Palace of Pleasure (1566-67) di W. Painter (1540 ca. - 1594) sino al 1886, anno in
cui uscì la prima versione integrale per le cure di J. Payne (London, Villon Society, 3 voll.), i contenuti
scabrosi sono stati oggetto di rettifica e di censura in tutte le edizioni.
G. H. McWilliam ha notato che, tra le novelle meno «ortodosse» del Decameron tradotte in inglese, la
grande assente è quella di Alibech e Rustico nel deserto [III,10]. In tutte le edizioni essa viene omessa o
ridotta di una parte consistente o sostituita con racconti più edificanti. Invece altre novelle a sfondo erotico
come quella di Donno Gianni [IX,10], anche se sottoposte ad attenti lavori di forbice, sono riuscite ad
entrare facilmente nel panorama letterario inglese. La ragione della «latitanza» della celebre novella va
vista, probabilmente, nella sua natura dissacratoria verso il dogma religioso più che nella sua licenziosità3 .
Al contrario, questo suo sapore «blasfemo» non poteva offendere facilmente la spiritualità dei cinesi, ben
diversa da quella occidentale. Tuttavia per i traduttori, che avevano a disposizione come uniche fonti delle
versioni inglesi, la resa integrale di questa novella ha rappresentato un compito arduo. Perciò la versione
colorita ed incisiva di Liu An, priva delle classiche mende, ci sembra ancora più preziosa.
Meno originale e più prudente del suo è il lavoro di Huang Shi e Hu Zanyun, che per primi hanno riunito in
una edizione tutte e cento le novelle del Decameron (Shiritan), Shanghai, Kaiming shudian, 1930, pp. 926;
14
nella ristampa figura solo il nome di Huang Shi, Shijiazhuang, Hebei Renmin, 1989, 2 voll. I due traduttori
si sono rifatti alla versione ricca di eufemismi e ritocchi dell'inglese Thomas Wright4 che, al pari di altre,
non traduce in inglese l'episodio clou dell'incontro tra Alibech ed il romito, conservando l'originale italiano
sino all'episodio dell'incendio di Capsa, con cui si conclude l'avventura della giovane del deserto.
Nella Prefazione alla loro edizione, Huang Shi e Hu Zanyun confessano che avrebbero preferito consultare
anche qualche versione meno edulcorata, ma sulla scelta di limitarsi alla edizione di Wright ha pesato la
considerazione che il libro era diretto soprattutto ad un pubblico di giovani e che occorreva cautela per non
incorrere nella censura.
Questa versione, oltre a riprodurre il ritratto di Boccaccio - un disegno di Raffaello - e le dieci illustrazioni
di Thomas Stothard (1755-1834) dell'edizione Wright, ne traduce quasi alla lettera anche il «Profilo sulla
vita e l'opera di Boccaccio», ricco di informazioni sul nostro autore, tolte in maggior parte dalla
monumentale Storia della Letteratura italiana (I ed. 1772-82, in nove tomi) del gesuita bergamasco
Girolamo Tiraboschi (1731-1794).
Nella loro Prefazione i traduttori si allineano alla critica del nostro Ottocento che tende ad «identificare nel
Decameron il manifesto ideale di una nuova età»5 e ripetono l'affermazione di F. De Sanctis secondo cui se
il capolavoro di Dante è la Divina Commedia, quello di Boccaccio può essere chiamato «commedia
umana». In base a questo orientamento critico, con Dante si chiuderebbe l'Evo Medio, l'età dominata dalla
trascendenza, con Boccaccio, invece, si aprirebbe un'epoca nuova in cui «la vita contemplativa si fa attiva»,
in cui «l'uomo non vive più in ispirito fuori del mondo, ma vi si tuffa e sente la vita»6 . Da qui sino a giorni
nostri l'immagine più ricorrente di Boccaccio che emerge dagli studi critici cinesi è quella di un «uomo
nuovo», l'incarnazione dello spirito del Rinascimento e l'antitesi del Medioevo7 . Non si ha quasi
conoscenza di più nuove interpretazioni, come quella proposta da V. Branca di un Boccaccio medievale,
calato appieno nella realtà comunale del suo tempo, espressione della classe mercantile affermatasi
nell'«autunno» del Medioevo ed imbevuto della cultura dell'età di Dante8 .
Fonte di alcune notizie di stampo romantico-positivistico relative alla vita ed all'opera di Boccaccio è stato
per i cinesi anche il voluminoso studio biografico di E. Hutton (Giovanni Boccaccio: A Biographical Study,
London, J. Lane The Bodley Head, 1910, s.i.p.), già presente nella bibliografia della sezione dedicata alla
letteratura italiana di un'opera collettiva intitolata Xiyang wenxue jiangzuo (Lezioni di letterature
occidentale), Shanghai, Shijie shuju, 1935, riprodotta fototipicamente dalla Shanghai shudian, 1990, pp.
147. È possibile che proprio dal libro di Hutton, Wu Guangjian (1867-1943), il traduttore di un'altra
riduzione del Decameron (Shanghai, Shanwu yinshugan, 1936, pp. 2, VIII, 44) abbia attinto l'informazione
della biblioteca in stato di totale abbandono rinvenuta da Boccaccio nel corso di una visita alla abbazia di
Montecassino.
Oltre a questa notizia, nella nota introduttiva al testo egli riporta un giudizio pronunciato in tribunale in
difesa del Decameron dal giudice O'Brien per contrastare un'iniziativa di censura promossa a New York nel
1894. Il giudizio in questione veniva citato nella premessa ad una edizione americana della traduzione di
John Payne9 , su cui probabilmente è condotta questa edizione cinese. Qui sono state tradotte cinque novelle
e la celebre ouverture del Decameron, la descrizione della peste del 1348 a Firenze, per cui Boccaccio si
ispirò ad un brano della Historia Langobardorum (II,4) dello storico medievale Paolo Diacono (ca. 720 - ca.
799). Caratteristiche di questa versione, oltre il testo a fronte in inglese, sono alcune precisazioni e notazioni
di suo pugno che Wu Guangjian inserisce nel testo tradotto.
Nel 1941 esce la pregiata edizione di Min Yi (Shiri qingtan, Shanghai, Shijie shuju, pp. 751) condotta sulla
traduzione di Richard Aldington, con la riproduzione degli eleganti disegni di Jean de Bosschère. Qui spicca
l'originalità della traduzione del titolo dell'opera che viene reso Shiri qingtan (Raffinate conversazioni in
dieci giorni); un'espressione di sapore cinese. In Cina i «qingtan» erano colte discussioni praticate,
15
soprattutto, durante il IV secolo, da pensatori neo-taoisti e monaci buddisti, nel corso delle quali si
cercavano di esprimere pensieri profondi con un linguaggio aulico ed un periodare forbito. Facendo uso
dell'espressione «qingtan», il traduttore probabilmente ha voluto rievocare l'eleganza verbale dei «composti
conversari» del Decameron e l'affinità intellettiva tra i novellatori.
A parte la variante della versione di Min Yi, in qualche altro testo degli anni venti-trenta, «Decameron» è
stato semplicemente traslitterato e non tradotto. Per esempio nello Shijie wenxuejia liezhuan (Biografie di
letterati del mondo), s.i.l., Zhonghua shuju, 1926 di Sun Lianggong, un'opera compilativa redatta sulla fonte
di materiali giapponesi, «Decameron» diventa «Tejiamanlu» (p. 301). Nel già citato Xiyang wenxue
jiangzuo, invece, Fu Shaoxian, l'autore della sezione dedicata alla letteratura italiana, fa uso della forma più
comune «Shiritan», ma precisa che il titolo originale dell'opera era «Dikamilong» (p. 16). Comunque la
traduzione «Shiritan» risulta essere la più diffusa ed accettata sino ad oggi. Già presente nel volume Ouzhou
wenxueshi (Storia della letteratura europea), Shanghai, Shanwu yinshuguan, 1920 [rist. I ed. 1918], p. 17,
del saggista e scrittore moderno Zhou Zuoren (1885-1966), viene poi adottata nelle edizioni e negli scritti
successivi. Wang Xihuo, nel suo manuale Yidali wenxue (Letteratura italiana), Shanghai, Shanwu
yinshuguan, 1930, ispirandosi a quanto già scritto da Zhou Zuoren, spiega ai lettori che il titolo «Shiritan»
del libro di Boccaccio deriva dal fatto che dieci giovani raccontano una novella a testa nell'arco di dieci
giornate (p.13). In realtà il titolo Decameron, che Boccaccio ha modellato sul greco, rifacendosi
all'Hexameron di sant'Ambrogio e ad altri trattati di patristica relativi ai sei giorni della Creazione, vuol dire
soltanto «dieci giornate», mentre Shiritan (Racconti in dieci giornate), racchiude anche il senso
dell'intrattenersi discorrendo. Tra altre ipotesi, si potrebbe immaginare che i cinesi, scegliendo questa forma,
abbiano tenuto presente il titolo della versione inglese del Decameron di T. Wright: The Decameron or Ten
Days Entertainment10 che forse circolava negli ambienti letterari di Shanghai già prima del 1930, data in cui
ne fanno menzione Huang Shi ed Hu Zanyun nel loro Shiritan.
L'interesse dei cinesi per il novelliere di Boccaccio periodicamente si rinnova e nel 1958, nella Cina del
«Grande Balzo», viene data alle stampe l'edizione dello Shiritan (Shanghai, Xin Wenyi), curata da Fang
Ping (1921) e Wang Keyi (1925-1968), due esperti traduttori di opere letterarie occidentali. Un forte stimolo
a portare avanti l'attività di traduzione dei classici stranieri veniva allora dalla linea di politica culturale
proposta nel 1954 dallo scrittore Mao Dun (1896-1981), eletto ministro della cultura dopo la fondazione
della Repubblica Popolare11 . Come effetto, nel 1957 si ristampa la prima edizione integrale della Divina
Commedia che risaliva agli anni '40 e nel 1958 viene pubblicata la versione del Decameron. Ad essa ha
arriso grande successo nel paese, tanto che ne è uscita una nuova edizione già nel 1959 (Shanghai, Wenyi, a
circolazione limitata) ed un'altra nel 1980 (Shanghai, Yiwen, II ed. agg. 1989, III rist. 1990), quando la
Grande Rivoluzione Culturale (1966-1976) era stata archiviata e nuovo respiro veniva concesso alle lettere.
Non stupisce che, in quegli anni in cui chi produceva cultura in Cina risentiva ancora fortemente
dell'influenza sovietica, Fang Ping e Wang Keyi abbiano introdotto la loro edizione con uno scritto su
Boccaccio del russo A. Stejn, tradotto in cinese da Fang Wen, tratto dall'edizione russa del Decameron di A.
N. Veselovskij (Moskva, Goslitizdat, 1955, pp. 656). Dalla Prefazione di Stejn emerge un Boccaccio
realista e socialmente impegnato, duro antagonista del vecchio ordine feudale e della classe reazionaria che
si accorda bene alla figura del letterato al «servizio delle masse», prodotta dalle teorie propagandistiche del
Realismo Socialista già popolari, a quel tempo, in Cina.
Da questa impostazione critica muove anche l'Introduzione che Fang Ping scrisse per la seconda edizione
del Decameron del 1980, intitolandola «Xingfu zai renjian» (La felicità tra gli uomini). Anche Fang Ping
segnala l'energia combattiva e la forza di rottura contro i vecchiumi feudali del Decameron, ma per lui quel
messaggio di lotta acquista in più il significato di un rifiuto dell'oscurantismo rappresentato, nella Cina
contemporanea, dalla tragica esperienza della Rivoluzione Culturale. Egli dichiara, infatti, che sotto il
regime dispotico della «Banda dei quattro», il libro di Boccaccio divenne, a causa della sua vena polemica,
un facile bersaglio e ricorda, nella Postfazione, come il suo collaboratore Wang Keyi, morto suicida, fu tra
16
le vittime di quel buio decennio. Inoltre, in una sua lettera, egli confessa che, paragonando l'oscurantismo
politico degli imperi orientali e della chiesa occidentale nel commento scritto per la novella di Martellino
[II,1] pubblicata nel Waiguo duanpian xiaoshuo xinshang cidian (Dizionario di stima della novellistica
mondiale), Anhui, Wenyi, 1991, si riferiva, sotto metafora, alla Rivoluzione Culturale12 .
Dal punto di vista stilistico, nella loro traduzione, Fang Ping e Wang Keyi, prendendo a modello il
linguaggio vivace e brillante degli «huaben» (testi da recitare) tradizionali cinesi, sono riusciti a creare
un'agile prosa di timbro conversativo che riproduce molte gustose sfumature del testo di Boccaccio. A
conferma del loro desiderio di completezza e fedeltà all'originale, i due traduttori hanno consultato, oltre alla
edizione di J. Payne (New York, Blue Ribbon Books, 1931, s.i.p.), anche quelle di J.M. Rigg (Everyman's
Library [Sic.], 1953, s.i.p.) e di R. Aldington (New York, Garden City Books, 1930, pp. XXVIII-562)13 .
Inoltre, un sostanziale aggiornamento del testo cinese - reso possibile in occasione della sostituzione della
matrice di stampa nel 1987 - è stato condotto dal solo Fang Ping, su una più recente edizione Rigg e sulla
più moderna versione di G.H. McWilliam.
Ancora una parola merita l'interesse manifestato dai due traduttori per le rappresentazioni figurative delle
novelle di Boccaccio, testimoniato dal ricco corredo di immagini scelte per ornare la loro versione. Tra
queste spicca la riproduzione di cento delle centoquattro xilografie della prima edizione illustrata del
Decameron uscita in Italia, curata dall'umanista Girolamo Squarciafico (Venezia, De Gregori, 1492), tratte
dalla edizione russa del 1955 già citata. In Occidente la critica ha guardato con vivo interesse ai preziosi
legni ed è stato appurato che essi sono il frutto di una doppia composizione da parte di due distinti incisori
cresciuti alla stessa scuola14 . Nella Postfazione al loro Shiritan Fang Ping e Wang Keyi dichiarano di
preferire quelle xilografie nelle quali vari episodi della novella vengono raggruppati in un medesimo quadro
e che ricordano il modo di rappresentazione di certe incisioni lignee cinesi di epoca Ming (1368-1644).
Dal 1977, successivamente alla caduta della «Banda dei quattro», in Cina il mercato delle traduzioni di
letteratura europea conosce una rinnovata fioritura. Nel nuovo clima di apertura, il Decameron incontra uno
straordinario successo di pubblico che va di pari passo con la fortuna della traduzione di Fang Ping e Wang
Keyi. La ristampa del 1980, tirata in oltre trentamila copie, viene ben presto esaurita e nel 1981, in risposta
alla crescente domanda del pubblico, la stessa casa editrice, che l'aveva data alle stampe, cura la
pubblicazione di una versione ridotta contenente settantatre novelle (Shanghai, Yiwen, pp. 713). Qui, più
che la scelta delle novelle, sono significative le esclusioni. Le novelle scartate sono quelle a sfondo erotico e
quelle più crude di Nastagio degli Onesti [V,8] e Talano d'Imola [IX,7], che contrastano con la finalità
educativa di questa edizione diretta a far conoscere il Decameron al grande pubblico.
Questa attività di divulgazione si intensifica durante tutto il corso degli anni ottanta e la chiave di lettura più
ricorrente dell'opera, opportunamente ridotta, è quella che privilegia il suo ruolo didascalico e formativo.
Così il Decameron viene incluso nei programmi di studio dei dipartimenti di Letteratura delle maggiori
Università del paese e le sue novelle conoscono nuovi adattamenti o trovano posto nelle antologie di
letteratura straniera edite in questi anni.
Nel 1988 esce una riduzione a fumetti, in cinque piccoli volumi, che riassume, sulla base del testo di Fang
Ping e Wang Keyi, settantanove novelle, entro brevi didascalie a fianco dei disegni (Shiritan lianhuanhua,
Tianjin, Renmin Meishu). All'origine del progetto editoriale, per la cui realizzazione sono stati impiegati
cinquanta noti illustratori provenienti da diverse regioni della Cina, sta la volontà di conquistare un più largo
strato di lettori. Scrive nella Prefazione lo scrittore moderno Yang Hansheng (1902) che il rifacimento a
fumetti concorre, con l'evidenza immediata della traduzione visiva, a stimolare la curiosità ed istruire
divertendo. Nello stesso anno viene pubblicata, a cura di Huang Shao, una scelta di tre novelle tratte dal
Decameron di Fang Ping e Wang Keyi (Shiritan gushi xuan, Guiyang, Guizhou Renmin, III, 8; VI,10; X,6)
e la traduzione dal russo, ad opera di Ji Gang e Li Gang, di una antologia di novellistica italiana dal XIV al
XVI secolo che comprende altre tre novelle di Boccaccio intitolata Shaonian lianren de baizhou (Le
17
giornate dei giovani amanti), Hangzhou, Zhejiang Wenyi, pp. 3-5015 .
Nel 1990 la tragica novella di Ghismonda [IV,1] viene inserita nel primo volume, curato dalla scrittrice Ke
Yan (1929), sulla novellistica straniera della serie «Gujin zhongwai wenxue mingpian bacui» (Eminenti
opere letterarie cinesi, straniere, antiche e moderne), Qingdao, Qingdao chubanshe, pp. 1-11. Ancora
Ghismonda e la novella di Ser Ciappelletto [I,1] si leggono nella antologia ad uso degli studenti universitari
Waiguo wenxue zuopin xuan (Scelta di opere di letteratura straniera), Shanghai, Yiwen, 1991 [rist. I ed.
1979], pp. 1-25, a cura di Zhou Xuliang, mentre altre novelle sono state riassunte da Zhao Tian nel volume
Shijie xiaoshuo mingzuo gushi daguan (Storie da famose opere di novellistica mondiale), a cura di Yi
Tianjian et al. Shanghai, Wenhua, 1991, pp. 1-8.
Infine va menzionata la recentissima edizione integrale del Decameron, tradotta da Qian Hongjia (1927),
Tai Heyang e Tian Qing, che è anche la prima in assoluto ad essere stata condotta interamente sull'originale
italiano (Nanjing, Yilin, 1993, pp. 8, 19, 787). Grazie al confronto diretto con il testo di Boccaccio letto
nella versione curata da A.E. Quaglio (Milano, Garzanti, I ed. 1974, V ed. 1980, 2 voll.), i traduttori
correggono qualche lacuna che nemmeno Fang Ping, paragonando diverse edizioni inglesi, era riuscito a
colmare. Un esempio è offerto dalla novella del nobile Natan e di Mitridanes [X,3], che Boccaccio ambienta
nel «Cattaio», la misteriosa e ricca terra d'Oriente descritta da Marco Polo. Nelle precedenti edizioni del
Decameron la parola «Cattaio» manteneva la grafia occidentale o veniva traslitterata «Kataizhou» e «
Jiataluo», senza spiegare che il vocabolo si riferiva alla Cina. Il noto italianista Lü Tongliu, segnalando
questa lacuna già nel 1982, l'ha associata all'uso quasi esclusivo che si è fatto in Cina di versioni inglesi per
tradurre la novella (Lü Tongliu-V. Branca «Il Decameron in Cina», Studi sul Boccaccio, XIII, 1982, p. 390).
In seguito, anche il critico Wu Deduo, in un saggio, dichiara la sua sorpresa nell'apprendere, mentre leggeva
una edizione inglese del libro, che la novella in questione è d'ambito cinese («Shiritan yu wo guo huaben»,
Il Decameron e gli huaben cinesi, Shehui kexue, Scienze sociali, 1, 1986, p. 47).
Finalmente, nell'ultima edizione del Decameron cinese si informano i lettori, in una nota, che con la parola
Cattaio si era soliti indicare, anticamente, la Cina del nord (p. 702).
Leggendo questa novella viene naturale domandarsi quanto Boccaccio sapesse della Cina e quali fossero le
sue fonti. Come già osservato da V. Branca, oltre al «Cattaio», anche la descrizione dello splendido palazzo
di Natan ricorda le grandiose dimore ed i fasti della corte del Gran Qan Qubilay illustrati nel Milione [capp.
LXXV e LXXVI]. Una prova della conoscenza da parte di Boccaccio del libro di Marco Polo è data altresì
dalla novella di Ferondo [III,8], nella quale si fa menzione del Veglio della montagna, della bevanda
(l'oppio) che induce il sonno per tre giorni e del finto Paradiso in cui si ritrova al risveglio [Milione capp.
XLI e XLII].
Inoltre, sono noti agli studiosi i cenni ai drappi tartareschi, nome sotto il quale nel nostro Medioevo erano
conosciuti i pregiati broccati cinesi, presenti nella novella di Frate Cipolla [VI,10,23] e nelle battute
conclusive delle Esposizioni sopra la Comedia [XVII,8], con cui Boccaccio commenta un celebre verso di
Dante. Ancora in alcuni luoghi del Decameron Boccaccio cita lo «zendado»; un vocabolo di probabile
origine cinese. Lo «zendalo» è voce diffusa in ambiente toscano nel XIII secolo per indicare una stoffa di
seta leggera ed è collegabile al greco «sindo'n» (mussolina), di derivazione orientale. Il tessuto serico viene
sempre associato, nel Decameron, ad un oggetto di un certo valore. Sono fatti di zendalo abiti signorili come
le giubbe [III,7,89; X,6,21; X,9,32] ed un sottile drappo della preziosa seta serve ad avvolgere la cassetta
che contiene la penna di pappagallo spacciata da Frate Cipolla per la santissima reliquia dell'arcangelo
Gabriele [VI,10,26 e 34].
I.V. Pouzyna, convinto assertore degli influssi cinesi sulla pittura italiana del Trecento, ha avanzato l'ipotesi
che in un periodo di fitti scambi commerciali tra Oriente ed Occidente quale fu il XIV secolo, anche alcune
parole di origine cinese, indicanti le merci importante, entrarono nella nostra lingua. Egli crede che «satin» e
«zendalo», in particolare, siano ricollegabili al nome del porto cinese di Zaitun (Quanzhou), dal quale anche
18
la seta veniva esportata. Lo studioso cita vari esempi da opere del tempo in cui figurano questo e simili
vocaboli, eppure non dice nulla dell'uso che ne fa Boccaccio. La sua idea è di per sé affascinante, ma va
accolta con le dovute riserve se pensiamo, ad esempio, che nel capitolo del Milione, dedicato alla
descrizione del celebre porto e delle merci che vi circolavano non viene menzionata affatto la seta [cap.
CXXXVI]16 .
In Cina, nel XX secolo, accanto all'ingente lavoro di traduzione, si forma una letteratura critica sul
Decameron e sul suo autore che raggiunge, negli anni, vaste proporzioni.
Più di una menzione a Boccaccio si trova, sin dagli anni venti, nell'opera del grande saggista moderno Zhou
Zuoren. In realtà il suo intenso amore per la cultura ellenica lo rese diffidente nei confronti della tradizione
latina simbolo della rovina del mondo greco e condizionò anche il suo giudizio verso la letteratura italiana
che era l'erede di quella romana17 . In un capitolo della già citata Storia della letteratura europea egli esalta
l'atteggiamento umanista di Boccaccio che intraprese lo studio del greco, apprezza la «novità» e la vitalità
del Decameron, ma critica una certa sua mancanza di serietà (cfr. il cap. «Wenyifuxing zhi qianqu», I
precursori del Rinascimento, p. 14 e segg.). Successivamente, nel saggio del 1932 «Xibanya de gucheng»
(Le antiche città spagnole), edito nella raccolta Kan yun ji (Guardando le nubi), Shanghai, Kaiming; nuova
ed. Changsha, Yuelu shushe, 1988, egli dichiara di apprezzare più le letterature spagnola e francese di quella
italiana, sostiene di non capire Dante e non amare D'Annunzio; quanto a Boccaccio lo considera un grande
autore, ma gli è meno familiare di Rabelais e Montaigne (p.121). Un accostamento tra Boccaccio e Rabelais
già si leggeva nel saggio del 1925 «Jingguan» (Una chiara veduta), contenuto in Yu tian de shu (Il libro
delle giornate di pioggia), Beijing, Beixin shuju; nuova ed. Changsha, Yuelu shushe, 1987, dove Zhou
Zuoren sottolineava la vena satirica diretta contro le istituzioni che accomuna le opere dei due grandi
scrittori (p. 97).
Minore attenzione all'opera di Boccaccio mostra Lu Xun (1881-1936), il celebre fratello di Zhou Zuoren.
Egli annotò nel suo diario, alla data del 26 dicembre 1931 (Lu Xun quanji, Opera completa di Lu Xun,
Beijing, Renmin Wenxue, 1982, vol. 14, p. 906), di aver acquistato un'edizione giapponese del Decameron
tradotta da Morita Sôhei (Shinchôsha, 1931, 2 voll.) e in un saggio del 1933 scrisse di aver visto, qualche
anno prima un'altra versione dell'opera presso l'Accademia Sovietica («Guanyu fanyi», Sulla traduzione, in
Lu Xun quanji, op. cit., vol. 5, p. 296). A parte queste fugaci menzioni, la sola volta in cui egli esprime un
parere sul nostro dichiara di preferire alla sua opera quelle di Chekhov e Gorky, più nuove e vicine al sentire
moderno («Ye Zi zuo Fengshou xu», Ye Zi scrive la Prefazione a Raccolto, in Lu Xun quanji, op. cit., vol.
VI, p. 219).
Tra gli scrittori cinesi moderni Mao Dun ha guardato con maggiore interesse al Decameron tanto da
dedicargli, nel 1936, un intero saggio nel quale lo confronta con la Divina Commedia. Edito, in origine,
nella raccolta Shijie wenxue mingzhu jianghua (Introduzione ai capolavori della letteratura mondiale)
Shanghai, Kaimin shudian, 1936; nuova ed., Hong Kong, Zhongliu, 1957, pp. 59-90, il saggio intitolato
«Shiritan» si può leggere ora nella silloge Shije wenxue mingzhu zatan (Miscellanea di capolavori della
letteratura del mondo), Tianjin, Baihua Wenyi, 1980, pp. 106-132. Mao Dun, nella Prefazione a quest'ultima
raccolta, spiega che i testi ivi contenuti, scritti negli anni trenta, vengono riproposti perché dopo più di
quarant'anni, mentre i lettori cinesi manifestano un vivo desiderio di conoscere meglio le opere più note
della letteratura straniera, il volume delle pubblicazioni sull'argomento è ancora troppo basso. Basandosi
sulla traduzione di Huang Shi e Hu Zanyun, il critico offre un ritratto dell'opera di Boccaccio in linea con
l'oleografia tardo-romantica occidentale che puntava a risolvere, senza il supporto di dati e prove
documentarie, tutta la produzione giovanile dell'autore in uno sfogo delle passioni amorose realmente
esperite. Paragonando la Commedia di Dante e il Decameron egli ripete la consunta interpretazione
desanctisiana. Scrive infatti che la prima è una «fantasia con gli occhi puntati verso il cielo», il secondo è la
«vita presente e reale» (p. 107).
Val la pena di ricordare che esempi tratti dal Decameron ricorrono anche in due trattati eruditi dello
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studioso Qian Zhongshu (1910): il Guan zhui bian (I quaderni del tubo e del punteruolo), Beijing,
Zhonghua,1979, II ed. 1991, vol. I, pp. 157, 225; vol. II, pp. 433, 601, 713, 819, 827; vol. III, pp. 1001,1051
ed il Tan yi lu (Annotazioni sull'arte e la letteratura), Beijing, Zhonghua, 1984, pp. 463-464. Col suo metodo
di affrontare argomenti di letteratura, storia e filosofia rielaborando concetti espressi in tutti i tempi nelle
opere di autori orientali ed occidentali, Qian menziona alcune idee e temi sviluppati nelle novelle di
Boccaccio presenti anche in Oriente.
Un altro capitolo della fortuna di Boccaccio in Cina è rappresentato dalle numerose opere di divulgazione
attraverso le quali il pubblico cinese ha conosciuto il nostro autore e la sua opera. Storie della letteratura,
dizionari enciclopedici, biografie critiche, nella maggior parte dei casi si limitano a disegnare un quadro
della vita di Boccaccio e dei suoi lavori, senza aggiungere nulla di nuovo a quanto già scritto dai traduttori
nelle premesse alle loro edizioni.
Oltre ad alcuni testi usciti negli anni trenta già citati, un profilo su Boccaccio è quello tracciato nel 1964 da
Zhu Longhua nel suo libro Yidali Wenyifuxing (Il Rinascimento italiano), Beijing, Shanwu, pp. 48-52, poi
ripreso nel capitolo «Wenyi de shuguang» (L'alba dell'arte e della letteratura) di un suo testo più tardo
intitolato Waiguo lishi gushi (Racconti di storia straniera), Beijing, Zhongguo Shaonian Ertong, 1981, p. 93
e sgg. In un clima esegetico piuttosto uniforme e carente di materiali aggiornati, spicca però il lavoro di chi
unisce ad una acuta sensibilità critica una ottima conoscenza della nostra lingua che gli consente di accedere
a fonti più nuove. È il caso di Lü Tongliu che dà un taglio originale ad un testo a carattere compilativo come
la sezione su Boccaccio da lui curata per il Waiguo mingzuojia zhuan (Biografie di celebri scrittori
stranieri), a cura di Zhang Yinglun et al., Beijing, Zhongguo Shehui Kexue, 1979, pp. 163-167. Da
sottolineare la traslitterazione del nome di Boccaccio reso con «Bokaqi», più aderente alla pronunzia
italiana rispetto alle forme «Bujiaxiao», «Baojiaxue», «Bajiaxian», «Bokesu», «Bojiaxi», «Bokaiqia»,
«Bokeji'ao» etc... delle altre pubblicazioni ed a quella «Bojiaqiu», più comunemente adottata. Il pezzo,
aggiornato per il Zhongguo dabaike quanshu. Waiguo wenxue (Grande enciclopedia cinese. Letteratura
straniera), Beijing-Shanghai, Zhongguo dabaike quanshu, 1982, pp. 171-173, è stato pubblicato con più
ricchi dettagli anche nel Waiguo mingzuojia da cidian (Grande dizionario di famosi scrittori stranieri), a
cura di Zhang Yinglun et al., Guilin, Lijiang, 1989, pp. 139-140.
Ancora una biografia commentata è quella scritta da Fang Ping per il primo dei cinque volumi del Waiguo
zhuming wenxuejia pingzhuan (Biografie critiche di celebri letterati stranieri), a cura di Wu Fuheng, s.i.l.,
Shandong Jiaoyu, 1990, pp. 219-233, ispirata alla Prefazione da lui scritta per la sua edizione del
Decameron.
Dopo aver tradotto l'opera, Fang Ping è diventato anche uno dei suoi più attenti studiosi. Sulla scorta dei
suoi giudizi, la maggior parte dei critici che scrivono sul Decameron negli anni ottanta evidenziano la carica
combattiva del libro. La critica contro il malcostume del clero, la condanna dei matrimoni combinati, la lotta
nei confronti della disparità tra i sessi, sono i temi esaltati in questi studi come l'emblema della foga
polemica di Boccaccio rivolta contro un ordine di valori falsi e consunti.
Probabilmente l'insistenza, da parte di tutti i critici, sui valori progressisti del Decameron vale a giustificare
la scelta di spiegare ai lettori un'opera reputata tradizionalmente «turbolenta». Se un critico considera
«veleni borghesi» i passaggi più spinti e le allusioni scabrose che punteggiano l'opera18 , più spesso le ardite
descrizioni boccaccesche vengono intese come un espediente usato dall'autore per condurre a buon fine la
sua offensiva contro il comportamento ipocrita dei ministri della religione19 . Nello sforzo di sottolineare la
valenza sociale dell'opera si interpretano certi suoi contenuti come un'anticipazione degli ideali di libertà,
uguaglianza e fraternità della Rivoluzione francese20 e come «la prima espressione del realismo borghese
europeo»21 .
Accanto a questa letteratura critica, negli anni ottanta si segnala una vasta produzione di studi comparativi
20
che prendono in esame l'opera di Boccaccio. Sono questi gli anni in cui gli intellettuali cinesi riprendono i
contatti col resto della «comunità culturale mondiale» forzatamente interrotti durante la Rivoluzione
Culturale. Nel nuovo clima culturale viene fondata l'Associazione Cinese di Letterature Comparate (CCLA,
1985), nascono riviste specializzate sulla teoria della disciplina comparatistica e fogli dedicati alla
letteratura straniera22 . Nella maggior parte dei casi, i comparatistici interessati al Decameron mettono a
fuoco suggestive analogie tra alcune novelle di Boccaccio e gli huaben cinesi raccolti in collezioni di
novelle d'epoca Ming come i San yan (I tre novellieri) del letterato Feng Menglong (ca. 1574-1645) e gli Er
pai (Storie incredibili) dell'editore e bibliofilo Ling Mengchu (1580-1644)23 .
Accomunate da uno sfondo storico-sociale che vede l'affermarsi di una classe cittadina di attivi mercanti,
queste opere sviluppano temi cari alle nuove popolazioni urbane tanto nell'Italia del Trecento che nella Cina
dei Ming. Alcuni studiosi evidenziano la corrispondenza tra la satira antifratesca che percorre il Decameron
e la fiera riprensione di comportamenti poco ortodossi di preti taoisti, bonzi e monache buddisti, nelle
raccolte di novelle cinesi. Attenti anche alle differenze, questi critici rilevano che, mentre nel Decameron la
condotta ipocrita di certi religiosi viene messa a nudo con armi verbali o tiri beffardi, nelle novelle cinesi
alla denuncia segue sempre una tragica sentenza24 .
Ad esempio la novella di Masetto che entra in un convento di suore fingendosi muto [III,1] si chiude con un
lieto fine ed il giovane viene addirittura nominato castaldo del convento, mentre la storia quasi identica del
letterato entrato in un monastero di suore buddiste, narrata da Feng Menglong in Xingshi hengyan (Storie
per svegliare la gente), Shanghai, Guji, 1988, XV, diffusa in Cina anche sotto forma di ballata (intitolata
Furong dong, La caverna dei loti: conosciuta anche come Yu qingting, La libellula di giada), termina con la
morte del protagonista25 .
In un'altra novella del Decameron di timbro anticlericale Frate Alberto, che ha sedotto la stolta Lisetta
travestito da Arcangelo Gabriele, dopo essere stato smascherato finisce in prigione e vi muore [IV,2],
mentre nei San yan, il monaco Sun Shendao, autore di un simile inganno ai danni di una concubina
imperiale, viene squartato sulla pubblica piazza [Xingshi hengyan, XIII].
Le spietate condanne inflitte a religiosi nelle novelle cinesi riflettono l'ostilità della classe di letterati
confuciani ortodossi nei confronti di una categoria che, scegliendo di vivere in comunità diverse dalla
famiglia, cellula base dell'ordine sociale, si configurava come elemento destabilizzante. Gli studiosi cinesi
spiegano, pertanto, la severa censura dei letterati Ming come espressione del loro spirito reazionario, contro
l'atteggiamento più illuminato con cui Boccaccio affronta certe tematiche. In tal modo riescono a cogliere il
senso della difesa degli istinti e dei desideri di cui Boccaccio si fa portavoce, ma trascurano il retaggio
medievale della satira antifratesca e della critica al celibato imposto ai religiosi26 .
La «modernità» del Decameron viene contrapposta alla «medievalità» delle novelle cinesi anche in
riferimento alla trattazione della tematica dell'adulterio. Le novelle in cui le donne si fanno beffe di mariti
gelosi, bigotti e creduloni, in nome dell'amore vero, sono più apprezzate degli esemplari cinesi in cui al
tradimento, eccetto qualche raro caso, segue una sicura condanna. Uno studioso osserva che, al massimo,
nei San yan e negli Er Pai, viene rivolta qualche critica ai mariti egoisti ed insensibili27 , ma vince sempre
l'etica tradizionale (v. Lin Man, «San yan, Er pai yu Shiritan bijiao yanjiu», Studio comparativo dei Tre
novellieri, le Storie incredibili e il Decameron, Shantou daxue xuebao, Giornale dell'Università di Shantou,
vol. VII, 3, 1990, p. 77).
Un giudizio negativo investe, invece, la novella dei due vicini che si scambiano le mogli [VIII,8]28 , ma
anche la sofferta vicenda di Griselda [X,10], la cui obbedienza incondizionata al marito e lo spirito di
sacrificio ricordano l'ideale della donna confuciana (cfr. Zhao Yanqiu, «Shiritan aiqing gushi sixiang
neirong jianxi», Breve analisi dei contenuti delle novelle d'amore del Decameron, Waiguo wenxue
xinshang, Stima della letteratura straniera, 2, 1987, p. 22).
21
A proposito della discussione sul realismo del Decameron e degli huaben, che aveva già diviso in Occidente
studiosi come J.L. Bishop, da una parte e J. Prusek, seguito da L.S. Robinson, dall'altra, i critici cinesi
sottolineano la più chiara rappresentazione del singolo e della sua individualità nell'opera italiana (Jin
Changfa, «Song Yuan baihua duanbian xiaoshuo he Shiritan zhong de aiqing gushi», Le storie d'amore nel
Decameron e nelle novelle in vernacolo Song e Yuan, Yangzhou shiyuan xuebao, Giornale dell'Istituto
Normale di Yangzhou, 1, 1985, p. 87).
La curiosità per la tematica amorosa del Decameron stimola gli studiosi a paragoni anche con grandi
romanzi cinesi incentrati sull'eros e l'amore. Un'analisi a sfondo sociologico è quella condotta da Bao
Zunxin, assai noto in patria per il suo sostegno al movimento studentesco del 1989, che confronta il
Decameron ed il romanzo Ming Jin Ping Mei («Seqing de wenchuang be aiqing de turang: Jin Ping Mei he
Shiritan de bijiao», Il focolaio del sesso ed l'humus dell'amore: confronto tra il Jin Ping Mei ed il
Decameron, Dushu, La lettura, 10, 1985, pp. 20-26). La descrizione della psicologia femminile rappresenta,
invece, secondo Wu Guoguang, il tratto comune a Boccaccio e Cao Xueqin (1715-1764), l'autore del più
celebre romanzo cinese («Shiritan yu Hong lou meng», Il Decameron e il Sogno della camera rossa, Hong
lou meng xuekan, Periodico di studi sul Sogno della camera rossa, 3, 1984, pp. 209-223).
All'interesse degli studiosi per i contenuti del Decameron si accompagna una viva curiosità per la sua
struttura a «cornice» e l'apprezzamento per la sua mirabile architettura compositiva. Nel 1982, per
inaugurare una rubrica letteraria sul foglio di Shanghai Xinmin wanbao (Giornale della sera del popolo
nuovo) intitolata Shiritan, Fang Ping ha pubblicato un saggio sulla struttura del Decameron, paragonandola
a quella de Le mille e una notte e dei Canterbury Tales («Shiritan he zhuijia jiegou», il Decameron e la
cornice). In seguito il saggio è stato riedito, con vari aggiornamenti, nella raccolta intitolata Sange cong
jiating chu zou de funü (Tre donne scappate di casa), Beijing, Waiguo Wenxue,1987, pp. 328-36,
riconosciuta, insieme ad alcuni lavori di Qian Zhongshu, tra le otto migliori pubblicazioni di comparatistica
del decennio 1979-89.
L'accostamento tra le «giornate» del Decameron e le «notti» del capolavoro di novellistica araba ricorre in
molti dei lavori sopra citati ed è anche parte centrale di uno studio uscito nel 1985 su una rivista letteraria
specializzata in studi arabi (v. Zhou Shunxian, «Yiqianlingyiye yu Shiritan zhi bijiao», Confronto tra Le
mille e una notte e il Decameron, Alabo shijie, Mondo arabo, 4, 1985, pp. 119-130).
L'idea di Fang Ping è che la «cornice» nelle sue varie forme contiene in nuce alcuni dei meccanismi
formativi del romanzo.
Una netta evoluzione si ha proprio con la rivisitazione che Boccaccio fa della struttura: non solo la fitta rete
di rimandi da una novella all'altra conferisce al novelliere una struttura unitaria, ma anche il ritorno di
Calandrino in quattro storie, dà vita quasi ad un «ciclo» incentrato su un personaggio. L'interesse di Fang
Ping per la «cornice» dipende anche dal fatto che questo modello di costruzione narrativa è estraneo alla
tradizione novellistica cinese, a parte il caso veramente unico della raccolta di novelle Doupeng xianhua
(Chiacchiere [sotto] il pergolato di fagioli, ca. 1660), che fa pensare ad un possibile influsso del Decameron,
per la cui verifica mancano però dati probanti29 . In genere, le collezioni di novelle cinesi non presentano
un'organizzazione compositiva paragonabile a quella del Decameron e tutt'al più collegano i singoli pezzi
narrativi tra loro attraverso i titoli, come nel caso delle raccolte Xihu jiahua (Bei racconti del lago
occidentale) e Shi’er lou (Le dodici torri). La prima comprende sedici racconti su personaggi del Lago
Occidentale, la seconda dodici storie i cui titoli sono nomi di altrettante torri.
A conferma di questa sua attenzione per la «cornice», Fang Ping ha inoltre descritto in chiave psicologia i
rapporti tra questa struttura e la personalità di Boccaccio, influenzato da uno studio di Joy H. Potter da lui
conosciuto nel 1987 («Shiritan de xushu xitong», Il sistema narrativo del Decameron, Waiguo wenxue
pinglun, Studi critici sulla letteratura straniera, 4, 1987, pp. 88-97).
22
Se la fortuna di Boccaccio in Cina coincide in larga parte con la diffusione del Decameron, una piccola
parte del suo successo è rappresentata anche dalla traduzione di alcune tra le sue Rime. Può destare stupore
che importanti lavori della sua produzione letteraria non siano stati presi in considerazione e la scelta sia
caduta invece sulle sue Rime, che si pongono ai margini della sua esperienza artistica più impegnativa.
Boccaccio giudicò le rime in volgare, al pari dei maggiori autori del suo tempo, delle nugae, delle
sperimentazioni occasionali. Il suo esile Canzoniere resta estraneo alle proporzioni ben calcolate dei Rerum
vulgarium fragmenta dell'amico Petrarca e rispecchia influssi diversi, talvolta in contrasto tra loro,
ponendosi come un laboratorio di sperimentazione di varie suggestioni culturali.
Larga è l'eco dantesca e stilnovista, ma anche il duro linguaggio delle canzoni «petrose» di Dante e moduli
della tradizione burlesco-realistica.
In Cina per ben due volte è stato tradotto il sonetto «Vetro son fatti i fiumi ed i ruscelli» [XXXVII] che si
ispira proprio alle «petrose», anzi alla prima celebre canzone del gruppo «Io son venuto al punto della rota»
[C] e ricorda anche alcuni sferzanti versi dell'Inferno (XXXI,123 «dove Cocito la freddura serra» e
XXXII,23-24 «un lago che per gelo avea di vetro e non d'acqua sembiante»). Più letterale, la traduzione di
Qian Hongjia «Heliu yijing biancheng boli», in Yidali shi xuan (Scelta di liriche italiane), Shanghai, Yiwen,
1987, p. 55, più libera ed agile quella di Fei Bai «Jiang he hua cheng boli», in Shijie mingshi jianshang
cidian (Dizionario di stima dei capolavori della poesia mondiale), Guilin, Lijiang, 1989, p. 47. Ancora a
Qian Hongjia si deve la traduzione dell'elegiaco sonetto in morte del Petrarca «Or sei salito, caro signor
mio» [CXXVI], con cui Boccaccio suggella il suo Canzoniere («Dao nian Bidelake», in Yidali shi xuan, op.
cit., p. 56), mentre è opera di Wang Tianqing la versione della delicata ballata «Quel fior che il valor perde»
[LXXVII], «Shiqu jiazhi de huar», in Waiguo shuqingshi shangxi cidian (Dizionario di stima della lirica
straniera), a cura di Zhang Yiishu, Beijing, Shifan Xueyuan, 1991, p. 813, dove vengono anticipati i topoi
letterati della giovinezza e primavera che dileguano tanto cari alla poesia umanistico-rinascimentale.
Infine ricordiamo la traduzione di un passaggio del Trattatello in laude di Dante (titolo più noto del De
origine, vita, studiis et moribus viri calarissimi Dantis Aligerii fiorentini), la biografia che Boccaccio dedicò
al maestro di una vita, all'uomo che fu per lui, secondo la testimonianza del Petrarca, «primus studiorum dux
et prima fax» [Familiares, XXI,15,2]. Il ritratto del poeta, per cui Boccaccio nutrì un vero e proprio culto, è
anche un trattato in difesa della poesia contro chi la giudica tutta una menzogna. Il brano tradotto in cinese
da Zhu Guangqian, noto studioso di Benedetto Croce, è quello in cui l'autore esalta il compito nobile dei
poeti che narrano verità nascoste dietro belle favole, proprio come i teologi «Danting zhuan» (Biografia di
Dante), in Shijie wenxue (La letteratura mondiale), 8/9, 1961, pp. 210-11. La traduzione di Zhu rende
felicemente il chiaro dettato della seconda stesura del testo di Boccaccio e la nota di commento, in cui egli
spiega ai lettori come il tema trattato diverrà un leit-motiv del Rinascimento, prescindendo dalle forzate
interpretazioni socio-politiche di altri, rappresenta una pagina di critica letteraria più autentica30 .
MONDO CINESE N. 89, MAGGIO-AGOSTO 1995
Note
1
Il titolo si legge nella Bibliografia delle opere italiane tradotte in cinese - Yidali zuopin hanyu shumu
1911-1992, a cura dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata d'Italia, Pechino, Documenti di Scienze Sociali,
1992, alla voce «G. Boccaccio», p. 29.
2
La parola Salterìo è una voce dotta che discende dal latino Psalterium, strumento musicale a corde simile
alla cetra nonché Libro dei Salmi (Vulgata), derivante, a sua volta, dal greco Psaltérion (cetra). Vedi il
Dizionario Etimologico Italiano (DEI), a cura di C. Battisti e G. Alessio, Firenze, G. Barbèra, 1950, vol. V
3
Cfr. G. H. McWilliam, «Translator's Introduction», in G. Boccaccio, The Decameron, Harmondsworth,
23
Penguin Books, I ed. 1972 [rist. 1973], p. 31 e sgg.
4
Si tratta probabilmente di: The Decameron or Ten Day's Entertainment of Boccaccio, with introduction by
T. Wright, London, Chatto & Windus Piccadilly, [1878], pp. XIV 532, 40.
5
V. Branca, «La vita e le opere di G. Boccaccio», in G. Boccaccio, Decameron, op. cit. in bibliografia, p.
LXVIII.
6
F. De Sanctis, il «Decamerone», in Storia della letteratura italiana, a cura di G. Contini, Torino, U.T.E.T.,
1981 [rist. I ed. 1968], p. 323 [ed. or. Napoli, Morano, 1870, vol. I].
7
È significativo che un breve articolo dedicato al Decameron, edito sul Guangxi ribao (Quotidiano del
Guangxi), in data 7/3/1963, firmato da Lan Shan, sia stato intitolato «Renqu: Shiritan» (La commedia
umana: il Decameron).
8
Abbiamo motivo di credere che almeno il traduttore Fang Ping, in tempi più recenti, sia venuto a
conoscenza di questa interpretazione dato che ne fa menzione G.H. McWilliam nella introduzione alla sua
edizione del Decameron, da lui consultata tra il 1986 ed il 1987. Vedi «Xin ban houji» (Conclusione alla
nuova edizione) in Bojiaqiu, Shiritan, tr. di Fang Ping e Wang Keyi, Shanghai, Yiwen., 1990, p. 982.
9
Cfr. The Decameron of G. Boccaccio, tr. by J. Payne, New York, The Modern Library Publishers, s.i.d.,
pp. XXI-XXII.
10
Questo titolo già si trova in una edizione espurgata del 1741 attribuita a Charles Balgury: The Decameron
or Ten Days Entertainment [...] Translated from the Italian, London, R. Dodsley, 1741. V.S. Baldi «Il
Boccaccio nell'Ottocento inglese», negli Atti Il Boccaccio nella cultura inglese e anglo-americana, a cura di
G. Galigani, Firenze, L.S. Olschki, 1974, p. 114, nota 5. Esso fu utilizzato anche in altre versioni sino a
tempi recenti. Vedi per es., l'edizione americana del 1947 (tr. di J. Payne, ill. di Jean O'Neill, Cleveland
(Ohio), World Publishing Co., 1947, pp. 704).
11
Cfr. G. Bertuccioli, «Dante e la Cina», Mondo Cinese, 73, marzo 1991, p. 14.
12
Lettera personale di Fang Ping indirizzata a chi scrive (9 luglio 1991).
13
Rammentiamo che l'edizione Payne, uscita nel 1886, fu la prima versione integrale del Decameron in
inglese. Quella di Rigg venne pubblicata nel 1903 (cfr. G.H. McWilliams, op. cit., p. 31) e ristampata, in
seguito, più volte. Nell'indicazione bibliografica dei due traduttori cinesi viene confusa la serie «Everyman's
Library» con la casa editrice.
14
Cfr. lo studio di Domenico Fava, «Intorno alle edizioni del Quattrocento del Decamerone e specialmente
di quella illustrata del 1492», Accademie e biblioteche d'Italia, anno VII, 1933-34, pp. 141-142 e, in
generale, tutto il saggio.
15
Titolo originale della raccolta era Ital'janskaja Novella Vozrozdenija (Moskva, Chudozestvennaja
Literatura, 1984, s.i.p.), introdotta dal lungo saggio sullo sviluppo storico e la tipologia della novella italiana
dello studioso Kikolaj B. Tomasevskij (1924- ).
16
Ma, come osservato da R. Etiemble, Marco Polo, pur essendo un mercante, non ebbe interesse specifico
per le sete né per i tessuti ricamati. Vedi R. Etiembe, «La filosofia e le religioni nella Cina di Marco Polo»,
in Conosciamo la Cina?, tr. it., Napoli, Il Saggiatore, 1972, p. 34 e, in generale, tutto il saggio.
17
Cfr. C.H. Wang, «Chou Tso-jen's Hellenism», Renditions, Spring 1977, p. 18.
18
Cfr. Cai Xianbao, «Pengji fengjian jiaohui de zhandou xiwen: ping Bojiaqiu de Shiritan» (La chiamata
alle armi contro la chiesa feudale: commento al Decameron di Boccaccio), Wuhan daxue xuebao (Giornale
dell'Università di Wuhan), 4, 1980, p. 89.
19
Cfr. Li Wandiao, «Shiritan: Ouzhou zui zao de fan jinyuzhuyi duanpian xiaoshuo ji» (Il Decameron: la
prima raccolta di novellistica europea che si oppone all'ascetismo), in Waiguo xiaoshuo mingzhu jianshang
(Stima dei capolavori della novellistica straniera), Fuzhou, Fujian Renmin, 1986, pp. 13-20; Wang Fan,
«Zhongxi xiaoshuo xingai yishi lüetan» (Breve discussione sulla coscienza amorosa nella novellistica cinese
e occidentale», Pipingjia (La Critica), vol. V, 3, 1989, soprattutto la p. 20.
20) Vedi Chen Ken, «Shilun Shiritan ling yige zhuti» (Trattando un altro argomento del Decameron), Yitan
(Discussioni d'arte), 4, 1983, pp. 137-139.
20
Vedi Chen Ken, «Shilun Shiritan ling yige zhuti» (Trattando un altro argomento del Decameron), Yitan
(Discussioni d'arte), 4, 1983, pp. 137-139.
21
Vedi Zhang Shuli, «Cong Shiritan kan: zaoqi Yidali Wenyifuxing de sixiang qingxiang» (Osservando nel
24
Decameron le linee di pensiero del primo Rinascimento italiano), Beifang luncong (Collezione di saggi
settentrionali), 6, 1980, p. 43.
22
Rammentiamo: Zhongguo bijiao wenxue - Comparative Literature in China, organo ufficiale della
CCLA, Cowrie: A Chinese Journal of Comparative Literature (in lingua inglese), Shijie wenxue (La
letteratura mondiale), Waiguo wenxue yanjiu (Studi di letteratura straniera), Waiguo wenyi (Arte e
letteratura straniera) etc.
23
I titoli delle tre raccolte attribuite a Feng Menglong sono rispettivamente: Yushi mingyan (Storie per
istruire la gente), denominata in origine Gujin xiaoshuo (Novelle dei tempi antichi e moderni); Jingshi
tongyan (Storie per mettere in guardia la gente) e Xingshi hengyan (Storie per svegliare la gente). Le
collezioni di Ling Mengchu, invece, sono due: Chuke pai'an jingqi (Storie incredibili uno) e Erke pai'an
jingqi (Storie incredibili due).
24
Vedi Wu Deduo, op. cit., p. 49; Sun Xun, «Dongxifang qimeng wenxue de xianqu - San yan, Er pai he
Shiritan» (I precursori della letteratura illuministica orientali ed occidentali - i Tre novellieri, le Storie
incredibili e il Decameron), Wenxue pinglun (Critica letteraria), 4, 1987, p.115; Li Kechen, «Bojiaqiu de
Shiritan yu Feng Menglong de San ya» (Il Decameron di Boccaccio e i Tre novellieri di Feng Menglong),
Dandong shizhuan xuebao, sheke (Giornali di studi specializzati di Dandong, Scienze sociali), 1, 1982, p.
35.
25
Lo stesso motivo del «laico nel convento» viene ripreso da Ling Mengchu, con un finale più felice
giacché il giovane protagonista si salva mentre muore la superiora, incarnazione del vizio (Chuke pai'an
jingqi, Shanghai, Gudian wenxue, 1957, XXXIV).
26
Attorno al 1100, un prete inglese, conosciuto come l'Anonimo di York, si dichiarò favorevole a
consentire il matrimonio tra i religiosi in quanto consono all'ordine naturale disposto da Dio. Sul tema di
gola e lussuria ordini rivali (Cluniacensi e Cistercensi) si scambiavano frequenti accuse mentre la curia ed il
monachesimo furono oggetto di satira nelle parodie della poesia goliardica. Vedi E.R. Curtius, Letteratura
europea e Medio Evo latino, tr. it., a cura di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia, 1992, pp. 139-141.
27
Vedi per es. Gujin xiaoshuo (Novelle dei tempi antichi e moderni), Beijing, Renmin wenxue, I ed. 1958
[rist. 1981], XXVII.
28
Rammentiamo che lo stesso tema viene trattato anche in una novella cinese (Chuke pai'an jingqi, XXXII)
con esiti ben più tragici rispetto a quella di Boccaccio. Singolari somiglianze con le novelle del Decameron,
oltre a quelle citate, presentano altre opere della letteratura cinese che, per ragioni di spazio, non vengono
qui esaminate.
29
Uno studio interessante sulla raccolta è quello di A. Lévy, «Un Dodécameron chinois», T'oung Pao, LII,
1965, pp. 110-137.
30
Le pagine che Boccaccio dedica alla poesia nel Trattatello e nel suo maggiore trattato latino la
Genealogia deorum gentilium (Genealogia degli dèi pagani), sono state analizzate da Zhu Guangqian anche
nel cap. «Wenyifuxing shidai: Bojiaqiu, Da Fenqi he Kasite’erweituluo deng» (Il periodo rinascimentale:
Boccaccio, Leonardo, Castelvetro» del suo libro Xifang meixue shi (Storia dell'Estetica Occidentale),
Beijing, Renmin Wenxue, 1988, soprattutto le pp.152-154. Un esame del pensiero estetico di Boccaccio
visto attraverso queste sue due opere è anche il saggio di Ye Boquan «Bojiaqiu meixue sixiang shenshi»
(Studio del pensiero estetico di Boccaccio), Suihua shizhuan xuebao (Giornale di studi specializzati di
Suihua), 4, 1986, pp. 15-18.
Bibliografia
Bi Shutang Hanyi yiguo shuji ji guanyu yiguo zhi hanji mulu - Catalogo di opere in cinese tradotte
dall'italiano o riguardanti l'Italia, Pechino, Zhongyi Wenhua Xiehui - Centro Culturale Italiano, 1942, pp.
30-31.
Bishop J.L., The Colloquial Short Story in China: A Study of the San-Yen Collections, Cambridge
(Massachussets), Harvard University Press, 1956, pp. 144.
25
Boccaccio G., Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi, 1989 [rist. I ed.1980], pp. CXVI-1362 [ed.
critica basata sull'autografo conservato nel codice Hamilton 90. Riproduce, ampliando, il commento
pubblicato in Tutte le opere di G. Boccaccio, Milano, Mondadori, 1976, voi. VI].
- Rime, Caccia di Diana, a cura di V. Branca, Padova, Liviana editrice, 1958, pp. XXXIX-303.
- Tutte le opere di G. Boccaccio: Trattatello in laude di Dante, a cura di P.G. Ricci, Milano, Mondadori,
1974, vol. III.
Branca V., Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze, Sansoni, ed. agg. 1990, [I ed. 1956],
pp. XV 472.
- Giovanni Boccaccio: Profilo Biografico, Firenze, Sansoni, 1977, pp. 228.
Esposito E., Boccacciana, Bibliografia delle edizioni e degli scritti critici (1939-1974), Ravenna, Longo,
1976, pp. 147.
Polo M., Il Milione, a cura di L.F. Benedetto, Firenze, L.S. Olschki, MCMXXVIII, pp. VII, CCXXI, 281.
Potter J.H., Five Frames for the Decameron: Communication and Social Systems in the Cornice, Princeton
(New Jersey), Princeton University Press, 1982, pp. 230.
Pouzyna V.I., La Chine, l'Italie et les débuts de la Renaissance (Xllle - XIVe siècles), Paris, Les Éditions
d'Art et d'Historie, 1935, pp. 102.
Prusek J., «Boccaccio and his Chinese Contemporaries», in Chinese History and Literature, Dordrecht
(Holland), D. Reidel Publishing Company, 1970, pp. 449-466.
Robinson L.S., «Love and Sexual Gratification as Seen in Selected Stories of the Hsing-shih heng-yen
[Lasting Words to Awaken the World] and the Decameron», Tamkang Review, vol. XVI, 4, 1986, pp. 343361.
26
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