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Santuario dell`Annapurna - Viaggi Avventure nel Mondo

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Santuario dell`Annapurna - Viaggi Avventure nel Mondo
(076-95)Taccuini Trek 2004
21-02-2004
10:55
NEPAL
Santuario dell’Annapurna
di Maurizio Trevisan
Un trekking? Nooo! Una “scalata”. O, meglio, una
“gradinata”! Dio inventò i gradini, poi ci attaccò dietro il gruppo dell’Annapurna. Quanti ? Migliaia di sicuro. Abbiamo avuto la tentazione, ogni tanto, di iniziare il conto; iniziarlo soltanto, per fortuna! E non
solo quelli, famigerati, verso Ulleri, ma anche quelli
su e giù per il Chomron Khola, quelli per Kuldihar e
per Bamboo Lodge, quelli sopra Himalaya Lodge,
quelli giù da Hot Springs, quelli per arrivare a Phedi,
quelli...
Per questo motivo, e per i continui scollinamenti fino
all’imboccatura della Modhi Khola, il trekking non si
può certo definire “leggero”: diciamo almeno di media intensità, è bene che si sappia per limitare poi le
imprecazioni durante il percorso.
Dal punto di vista dell’impegno logistico, stavolta si,
si tratta di un trek leggero: non esistono problemi di
trasporto di tende o viveri dall’Italia. Ovunque si trovano tea-houses e lodges lungo il percorso, cosicchè
è sufficiente comprare un po’ di frutta e cioccolata a
Kathmandu o a Pokhara.
Così, visto che comunque i prezzi di vitto ed alloggio
sono calmierati dall’ACAP (l’ente per la salvaguardia
del Parco dell’Annapurna), è anche piacevole arrivare alla fine della tappa quotidiana e, una volta sistemati gli zaini, sedere nella sala comune con la scheda del menù in mano a scegliere fra chowmein alle
verdure o riso basmati. Per una volta, niente preoccupazioni di scegliere il posto per piazzare il campo,
rizzare le tende, cucinare e via dicendo.
Certo forse ad ottobre e novembre, questo è più difficile; l’alta stagione del trekking in questa zona può
costringere a qualche pernottamento all’aperto, visto
l’afflusso turistico. Ma a dicembre tutto è rallentato,
i gestori si lamentano dell’esiguo numero di turisti,
ma a noi, sinceramente, è andata bene così.
Un consiglio per la scelta dei lodges lo dà proprio
l’ACAP: è quello di scegliere, fra gli alberghetti, quelli che fanno lo sforzo, ammirevole, di non utilizzare
legna per riscaldamento e cucina, optando per pannelli solari e kerosene. In effetti, la continua richiesta
di noi turisti di avere a disposizione acqua calda per
la doccia serale, sta drammaticamente riducendo l’estensione del manto boschivo della zona.
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I lodges sono dislocati ogni ora o due di cammino, perciò la scelta delle tappe è tutta in funzione dell’effettivo stato di preparazione fisica del gruppo (coordinatore compreso, ovviamente!). Ad ogni buon conto,
suggerirei di non eccedere nei primi due giorni, per
non compromettere il recupero successivo.
La nostra guida, Lakhpa, ci aveva proposto, nel suo
programma, il tragitto Birethanti – Ghorepani il primo
giorno: da 1050 a 2850 metri , senza contare tutti i
saliscendi! Conviene invece spezzare a Ulleri o
Banthanti, a meno che non si sia proseguito, il giorno
dell’arrivo in bus, almeno fino a Hille o Thika-Dunga.
Per quanto riguarda la tappa di Chomrong, questo è
il paese più confortevole dal punto di vista dell’alloggiamento e del cibo: ci sono almeno 15 lodges; in
uno di questi ci si può permettere addirittura un massaggio shiatzu.
L’unica difficoltà nel pernottare qui consiste nel fatto
che l’indomani dovete scendere un’infinità di gradini
fino al ponte sul Chomron Khola, poi risalire il crinale
opposto fino a Banuwa e quindi ancora a Sinuwa, per
essere nuovamente e soltanto alla stessa quota di
Chomrong Alto: 2300 metri! Da qui poi ancora su e
giù per Bamboo Lodge, passando per il colle di Kuldihar: Si può evitare questo oltrepassando Chomron e,
se si è ancora in forze, fare tappa a Sinuwa (ci sono
tre lodges) con un’altra ora e mezza.
Da Sinuwa, poi, si può fare una lunga tirata (almeno
sette ore) fino al campo base del Macchapucchare.
Così si riesce a fare un pernottamento qui ed un altro
al campo base dell’Annapurna, dormendo due notti ai
due campi base, visto che la faticaccia fatta ha questo come obiettivo…
23.12.02 Partenza con bus pubblico (siamo solo in
cinque) per Pokhara (sette ore e mezzo). Da qui bus
locale per Naya Pul (un’ora) e poi mezz’oretta a piedi fino all’ingresso del parco, a Birethanti (1025
mt.). E’ tardi e non riusciamo a spingerci oltre.
24.12 Scendo dalle scale alle 6.30 per la colazione.
Maya, nemmeno 9 anni, è già in piedi , inginocchiata sul pavimento che sta lavando, osservata dalla madre che si pettina. Qui il telefono azzurro schiatterebbe…Maya ci porta la colazione: è più svelta e
precisa di un adulto, ma dovrebbe piuttosto essere a
scuola. La nostra fatica odierna, invece, sono le scale di Ulleri. Decidiamo di non forzare e facciamo tappa a Banthanti (2300 mt.).
25.12 Abbandoniamo il Bhurungdi Khola e puntiamo
su Ghorepani (2750 mt.), da dove si ammira la catena del Dhaulagiri. Saliamo al Deurali Pass (3150 mt.)
per poi ridiscendere, seguendi il greto fangoso di un torrente, fino a Tadapani (2700 mt.), dove pernottiamo.
26.12 Spendida alba sul Macchapucchare. Si vedono anche Huinchuli e Annapurna Sud. Scendiamo fino al ponte sul Kimrung Khola (1950 mt.) poi risaliamo il versante opposto a Ghurjung e quindi
Chomrong Alto (2300 mt.), dove bisogna esibire il
trek permit al check point. Oltrepassiamo Chomrong
scendendo le gradinate (infinite) fino al Chomrong
Khola (1900 mt.) e risaliamo quindi a Sinuwa
(2300 mt.), all’imboccatura della vallata del Modhi
Khola.
27.12 Saliamo al colle Kuldihar (non c’è più il posto
di controllo), poi ancora gradini in discesa fino a
Bamboo Lodge (2400 mt.). Di nuovo saliscendi verso Dovan (2650 mt.), Himalaya Lodge (2900 mt.),
in bella posizione soleggiata e quindi, dopo aver oltrepassato la famosa Hinko Cave, Deurali (3100
mt.). Qui troviamo neve ghiacciata. Proseguiamo ancora per il campo base del Macchapucchare (3750
mt.), arrivando sotto la neve.
28.12 Tutto ghiacciato, ma il cielo è pulito e l’alba
splendida. In un’ora saliamo al secondo campo base
(4200 mt.). L’anfiteatro è veramente mozzafiato:
parete N del Huinchuli, NE dell’Annapurna Sud, l’incredibile parete S dell’Annapurna I, il nanetto Tharpu
Chuli, 5500 metri, quasi senza neve, poi ancora
Gangapurna, Annapurna III e, per finire, la stupenda
coda di pesce della Ovest del Macchapucchare!
Siamo estasiati. Rendiamo omaggio al chorten in
memoria di Anatolij Bukreev, il fortissimo alpinista
kazakho travolto con un compagno da una valanga
proprio sull’Annapurna I durante un tentativo di tracciare una nuova via. Corrado ed io decidiamo di pernottare qui, visto che il tempo sembra discreto. Erika
scenderà al primo campo, mentre Salvatore e
Adriano, per prudenza, andranno a dormire
all’Himalaya Lodge.
29.12 Altra alba fantastica, dopo una stellata incredibilmente luminosa. Scendiamo con rammarico,
raggiungendo Erika al M.B.C.. Proseguiamo su terreno ghiacciato e a tratti insidioso (ah, avere un paio
di ramponi ai piedi!) fino all’Himalaya Lodge. A
Sinuwa ricomponiamo il gruppo.
30.12 Ancora saliscendi fino a Chomrong, poi
Taglung, il New Bridge sul Modhi e infine Landruk e
Tolka, dove pernottiamo.
31.12 Ultimo giorno di scollinamenti. Saliamo al
Bhickok Deurali (2100 mt.) per poi scendere a
Pothana (1900 mt.), Dhampus (1650 mt.) ed infine l’ultima serie di gradinate verso Phedi(1100
mt.), dove passa la strada per Pokhara e dove hanno termine i nostri quattro passi (!!!). In serata respiriamo la buona aria di Kathmandu.
Veduta sul Mera Peak (Foto Penzo)
AVVENTURE NEL MONDO 1 • GENNAIO/FEBBRAIO 2004
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(076-95)Taccuini Trek 2004
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NEPAL
NEPAL: MUSTANG TREK
Kumbu Haute Route
Un sogno nel cassetto
di Alfonso Marin, gruppo G. Carra
Penso che l’itinerario sia già stato ampiamente e dettagliatamente descritto in altri splendidi articoli e non
vado nemmeno a elencare i perché di quanto siamo
stati fortunati con il tempo, i perché nessuno sia stato male, perché... perché...
Ma vado a recuperare alcune impressioni che qui appresso risistemo per dare un minimo di forma.
Ritorno a Katmandu: accogliente, frenetica, mistica mi
sembra di ritornare nella famiglia che mi ha adottato.
Sorrisi fra le capanne: forse è questo il vero viaggio
verso l’anima ; e se questa valle porta ai piedi dove
gli Dei sono in comunione con cielo e stelle allora
“ogni passo è pace e trasforma il mio sentiero senza
fine in gioia” (Thich Nhat Hanch ‘ogni passo è pace’).
Fiume di Latte Duth Kosi : non ho ricercato il nome
esatto di quel luogo e non so se davvero abbia un nome preciso è solamente un piccolo crinale da dove si
allarga l’orizzonte verso il Cho Oyu, dopo Machermo
e qui vicino ad alcuni chorten ho dedicato un pensiero a quei morti per la valanga del 1996. La notte è arrivata e giù in valle scorre il fiume un nastro candido
di latte, mai e’ stato cosi ben azzeccato il nome con
cui viene chiamato.
Fatica, stupore Freddo, incredulità: ebbene fin qui
sono arrivato, vorrei gridare…, silenzio assordante,
carovane di yak... Tutto come fosse fuori dal tempo...
Ci sono persone che si potranno incontrare ancora, altre che non si rivedranno mai più , persone che passano senza che nessuno se ne accorga, persone che
incrociamo appena... ho la sensazione di diventare
più puro.
Montagne, neve , ghiaccio: il tetto del mondo che
continua a crescere come a ribadire l’assoluta superiorità su tutto e tutti... e l’unico modo per avvicinarsi è andar lenti.
“Si sente istintivamente che, dentro le montagne coperte di foreste e le lontane cime nevose che si ergono imponenti, esiste veramente un paese differente
da qualsiasi altro. E nasce impetuoso il desiderio di
penetrarci.” (Alexandra David Neel).
Rituali... a noi poco noti: ma qualcuno afferma e’ lo
spirito del luogo. Più giusto non c’è .
“Lo spirito del luogo! E per questo che viaggiamo per
sorprendere la sua impercettibilità e dove esso è un
angelo forte e dominante quel luogo resta nella memoria con tutto il suo spirito, le sue abitudini, il suo
nome” (Alice Meynell).
Formaggio Grana: sempre apprezzato da tutti , poteva essere differente? Un semplice denominatore
dei miei amici dalla dolce Marcella dal pantalone dipinto, al buon Riccardo umile e forte, a Ettore il vero
Guru di ogni situazione, al gioioso Beppe in ogni momento, al puntuale Viceguru Massimo che ha tentato
di eliminare il desiderio, al calmo Enrico la staffetta
per ogni evenienza, al mitico Bruno che in mistico silenzio, entusiasma tutti con dell’ottimo vino italiano
per il suo compleanno, non per ultimi i Belli e semplici Antonello e Beniamina che sanno far apprezzare
piccoli dettagli che al più delle volte sfuggono.
A tutti Voi grazie per la magnifica esperienza lo zio
Alfi.
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di Michela Gottardi, gruppo James Bezzi
Era un sogno posto nel cassetto. Un sogno nato da
quando ho scoperto il NEPAL. Un sogno coltivato che
attendeva il momento opportuno per essere realizzato. Percorre il sentiero della valle più misteriosa del
Nepal: il Mustang. Ecco l'occasione si parte il 5 giugno per raggiungere Kathmandu - via Monaco, scalo
tecnico a Doha (ma dove diavolo si trova?) - e poi
proseguire per Kagbeni la porta del Mustang.
Trovo alcuni dei miei compagni di viaggio all'aeroporto di Milano - Malpensa: il grande capo James con
Elisa, Alberto con Serena, Tiziano, Danilo, Giorgia e
Patrizia. Primo inconveniente si parte in ritardo, se si
parte. Siamo in volo sono le 21.40, a Monaco ritroviamo Isa e Lanfranco, il gruppo è al completo.
Siamo a Kathmandu; è bello ritornare nella mitica
Kathmandu, immagini sempre nuove ed inconsuete
affollano la mente quasi fino a stordirla e a confonderla: piccoli negozi di pochi metri quadrati ricavati in
ogni spazio possibile, file interminabili di venditori di
tutto, di stoffe, di frutta, polli, souvenir... Gente che
ad ogni santuario s'inchina. Gente che cammina in
senso orario intorno allo stupa, sgranando i 108 grani del "rosario". Gente che vive di niente, con i suoi
modi miti e gentili, con la dolcezza espressa nel viso.
Però quest'anno aleggia un'atmosfera triste, per strada ci sono pochi turisti, ma molti soldati e polizia a
guardia degli incroci, dei monumenti e dei palazzi
reali (l'anno scorso è successo una tragedia: è stata
sterminata la famiglia reale).
Due giorni a Kathmandu per le visite ai luoghi "turistici" e in attesa del permesso. Abbiamo a disposizione alcuni giorni prima di entrare nel Mustang, si
decide di iniziare il nostro trek salendo fino alle fonti sacre di Muktinath. Volo fino a Pokhara, leggera
sgambata fino alla collina dello stupa e (con mia
grande disperazione) ritorno in barca con giro sul lago, io amo stare con i piedi sulla solida terra!
In volo arrivo a Jomoson e incontro con lo staff che
ci accompagnerà durante l'intero trek: Kaji il nostro
"sirdar", Asha e Sarki le giude, Kuvang il cuoco, Rinji
e Jangbu aiuto cuoco, i portatori: Pemba, Santosh,
Dorje e Nadan, due conduttori di muli (purtroppo non
ricordo il loro nome) e Udaya il nostro accompagnatore poliziotto.
Anziani trascorrono il loro tempo a Lo Manthang
AVVENTURE NEL MONDO 1 • GENNAIO/FEBBRAIO 2004
Tipico Chorten del Mustang
Il 13 giugno inizia il nostro trek nella grande valle del
fiume Kali Ghandaki verso Lo Mantang, capitale del
Mustang. Confinare un viaggio dentro a delle parole
limita sempre ciò che si è vissuto, ma ho voluto provare a fissare attimi di questo tempo vissuto tra questo grande deserto d'alta quota, dove ventosità, aridità e sbalzi di temperatura hanno modellato, scavato, eroso con caratteristici calanchi le grandi montagne. Avvolta dalla calda luce di questo sole di metà
giugno chiudo gli occhi, cullata dalla cantilena di una
lingua sconosciuta. La prima parola che arriva alla mia
mente è pace. Ora posso scrivere di questo andare,
dell'odore acre del sudore di caldo e fatica, dell'asciutto di strade polverose. Dei sapori semplici: di pane fresco, minestra calda, un biscotto. Esaltante di un
pezzo di grana con l'aceto balsamico. L'indefinibile
del tè tibetano.
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Dei rumori: il canto del fiume, la voce del vento che
agita le colorate bandiere di preghiera. Dei sassi posati sui cumuli che i pellegrini ammucchiano in onore
degli dei. Il cigolio delle ruote di preghiera. L'abbaiare dei cani. Il respiro che si fa sempre più affannoso
sulla ripida salita. Il tuffo indesiderato nell'acqua del
ruscello. Il pianto liberatorio dopo l'attacco di un mastino tibetano.
Dei suoni: tamburi, trombe... salmodia di canti nei misteriosi gompa, canzoni allegre degli infaticabili portatori.
Degli odori: il burro che brucia in piccole ciotole, zaffate acri, insolite per i nostri nasi occidentali. Il profumo del cibo che cuoce nelle pentole. L'aroma sprigionato dalla fiaschetta di grappa.
Dei colori: il blu del cielo senza nubi. Dei grigi delle
pietraie incandescenti, del verde dei salici a cui si è
quasi impreparati. Del bianco delle cime di ghiaccio
all'orizzonte. Dei riflessi iridescenti del Kali Ghandaki. Dell'ocra dei faraglioni di Dhakmar. Dei rossi, bianchi e grigi delle strisce dei muri mani. Dei costumi e
delle maschere ancestrali indossate dai monaci danzatori. Del nero di una notte trapuntata di stelle.
Degli incontri: carovane di muli. Uomini che talvolta
sembrano animali. Gente dai gesti fermati nel tempo.
Bimbi sporchi dai sorrisi lucenti. Il monaco eremita
felice per il dono di una foto del Dalai Lama.
Delle sensazioni: stanchezza che in taluni momenti
sembra schiacciarti. Allegria per una battuta. Gioia
per semplici cose dimenticate. Stupore di fronte alle
immense deserte vallate. Sguardi reciproci, modi di
scrutarsi, sorrisi, abbracci, canti melodiosi, ma anche
momenti di magico silenzio il solo che sa rendere la
vastità di questi luoghi. Un lungo cammino fatto di
piccoli passi. Grandi spazi intorno a me. Tempo per
esplorare quello chiuso dentro di me.
Anche dopo aver visitato il Mustang, ho la sensazione dì non esserci mai stata e di volerci ritornare, è il
luogo che lascia sempre un'esperienza in sospeso, un
desiderio inappagato. Questo è quanto questo "viaggio" mi ha donato e ho racchiuso nel mio cuore.
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INDIA: MARKHA VALLEY
La magia dell’India e il fascino delle montagne
di Giampietro Scherini
Da sempre sostengo che un viaggio lo si compie tre
volte: la prima con l’immaginazione e la preparazione nel periodo antecedente la partenza; la seconda
nella realtà del vissuto durante il viaggio; la terza attraverso i ricordi e le riflessioni successive.
Già da tempo il fascino per questa nazione grande come un continente, solleticava la mia fantasia e la mia
voglia di avventura, irrompendo spesso nei miei pensieri così preso da una vita caotica ed impegnativa.
Come non sognare poi quelle fantastiche vette
Hymalaiane che da li cominciano ad innalzarsi verso
il cielo per toccare il proprio apice nei confinanti Nepal
e Pakistan.
Che dire poi di tutti quegli aspetti culturali e religiosi
così peculiari di questa nazione che la rendono unica
ed attraggono ogni anno una moltitudine di persone.
Mai come quest’anno agognavo la partenza, vista anche come stacco e momento di riflessione tutto mio,
come momento da dedicare a me stesso.
Questa voglia rende meno pesante e faticosa la fase
di preparazione del viaggio, per me sempre laboriosa
ed effettuata nelle ore più strane. La predisposizione
del saccone stesso è quasi un supplizio.
Anche se da sempre sperimento che buona parte della roba che si porta è inutile ogni volta perdo tempo
a predisporre il borsone che immancabilmente è sempre troppo pesante contenendo l’utile ma soprattutto
l’inutile.
“Il vero viaggiatore è colui che riesce a fare a meno
del borsone e si muove con il solo bagaglio da cabina” sostengono i grandi viaggiatori.
È anche vero che per gli alpinisti questa regola può
trovare delle correzioni: comunque troppe volte ho visto persone portarsi un intero guardaroba alpinistico
per salite tecnicamente banali.
In materia “innocenti” ve ne sono veramente pochi e
tra i pochi non rientra neppure il sottoscritto...
Il volo di andata non ci crea nessun problema ed arriviamo puntuali a Leh seguiti dai nostri bagagli.
Bene questa volta il viaggio parte sotto il miglior auspicio; quante volte ho atteso per ore o addirittura
giorni i bagagli spediti chissà dove essendo poi costretto a modificare il viaggio nelle sue fasi iniziali.
Il gruppo
Come concordato dall’Italia via Internet (il potere della comunicazione globale non ha più limiti) troviamo
in aeroporto il nostro referente che ci assisterà nella
predisposizione e nella realizzazione del trekking denominato Markha Valley dal nome della principale
vallata che percorreremo.
Mr. Deen è una persona intelligente di buone maniere che a poco più di trent’anni ha già impiantato una
solida agenzia turistica nel Ladakh .
Già l’indomani con la sua competenza e disponibilità
sono in grado di predisporre un programma che mi
consente di utilizzare al meglio il tempo, abbinando
come mia volontà e consuetudine alla salita alpinistica ed al trekking anche visite culturali.
Solo in questo modo è possibile cercare di comprendere ed apprezzare i luoghi dove ci si trova realmente; la sola salita alpinistica è ha mio modo di intendere i viaggi, sterile e non permette di penetrare né
la cultura né le tradizioni della terra che si sta percorrendo. Le montagne sono eguali ovunque, è la gente
con il suo modo di vita che cambia: se non si colgono
queste differenze il peregrinare per il globo è fatica
inutile; sono sufficienti ed avanzano le nostre belle
Alpi. In quest’ottica, se debbo essere sincero ogni tanto mi trovo quasi in imbarazzo a rispondere a coloro
Il sentiero, opera di ingegneria
Famigliola a Tangbe
Una fase della salita
verso la cima
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che mi rivolgono la classica domanda “perché cercare
in giro per il mondo quello che abbiamo a casa?”.
Domanda all’apparenza banale ma che nasconde una
profondità di concetti a cui rispondere non è poi così
facile e scontato. Personalmente ho le idee ben chiare, capisco comunque lo scetticismo di taluni; è vero
che se dovessimo da una spedizione estrapolare il solo aspetto tecnico della montagna, forse l’una varrebbe l’altra. L’abilità di Mr. Deen mi ha permesso di gestire appieno le giornate dedicate alla “cultura”: la visita ai monasteri di Spituk e Pyong che ci aiutano ad
iniziare a penetrare quel misticismo che permea tutta
la religione e la cultura buddista.
L’invasione cinese del Tibet ha costretto praticamente
tutti i monaci buddisti all’esilio, trovato in diverse zone della nazione Indiana. Il Dalai Lama stesso ha trovato dimora a Daramshala, originalmente un villaggio
sulle pendici delle montagne non distante dalla capitale Delhi.
L’argomento costituirà fonte di discussione tra il gruppo e fonte di dialogo con i nostri accompagnatori indiani riempendo le lunghe serate in tenda, dopo le
tappe del trekking.
Con Lamayuru, Alchi e Lkir completiamo le visite dei
monasteri più significativi della zona.
Da ognuno di questi e dalle comunità di monaci residenti, traiamo sensazioni di tranquillità e di serenità
che difficilmente riuscirei a trasporre per iscritto salvo
cadere in descrizioni scolastiche e scontate.
Anche le condizioni atmosferiche di questi giorni sembrano spingerci ad un esame interiore; pioviggina e la
nebbia non invoglia all’azione e alla partenza per il
trekking.
Fortunatamente il tempo migliora e l’indomani assistiamo, a Leh, nelle ore antecedenti l’inizio del cammino, alle fasi salienti della festa dell’indipendenza
che rappresenta ovviamente la ricorrenza più importante e più carica di significato politico di questa nazione. Percepiamo subito che questa ricorrenza rappresenta una vera e propria festa popolare a cui tutti
partecipano con il fine di divertirsi e stare assieme,
senza lasciarsi prendere più del dovuto da aspetti politici. All’inizio del pomeriggio il gruppone, composto
da noi quindici unitamente a cinque cavallanti ed una
ventina di cavalli adibiti al trasporto del nostro materiale, finalmente prende avvio.
Le prime ore di marcia ci fanno sudare parecchio, il sole è veramente caldo e le pietraie divengono infuocate. È veramente impressionante vedere il nostro
gruppo che
si sgrana
s u l
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sentiero che taglia ripidi costoni per poi scendere nel
fondo valle a guadare con l’acqua fino alle ginocchia
torrenti dalle acque impetuose e fredde. Ognuno affronta il guado con una tecnica sua: chi toglie gli scarponi e mette le ciabatte, chi li affronta a piedi nudi e
chi infine attraversa direttamente con le scarpe.
È doveroso sottolineare che il sentiero che stiamo percorrendo non è nato per noi turisti ma quale via di comunicazione che collega ed unisce un rilevante numero di villaggi situati in diverse vallate di cui la
Markha rappresenta la principale.
In prossimità di villaggi o anche isolati, sono stati realizzati dei posti di ristoro realizzati con vecchi paracadute militari di colore bianco, rialzati in centro con un
puntello di legno e fissati ai lati da un muretto a secco (le pietre non mancano mai).
Ogni volta che scorgiamo in lontananza queste tende,
ci pregustiamo già una sosta nel corso della quale è
possibile bere un the o una bibita. Nulla da eccepire
sulla intraprendenza di queste persone che sono in
grado di proporre anche un minimo di cucina per uno
spuntino o un pranzo veloce.
Nei villaggi più grossi che incontriamo lungo il percorso, ci imbattiamo in vere e proprie “locande” interamente realizzate in legno e pietre a secco che offrono vitto ed alloggio.
Una offerta turistica che non ha nulla a che vedere con
quella del Nepal, ad esempio la Valle dell’Anapurna,
ormai paragonabile ai nostri standard.
Qui in India le costruzioni assomigliano molto alle nostre vecchie baite di montagna con i tetti in spaccato
di pietra che mi ricordano le “piode” della mia
Valtellina così belle e preziose, ancora oggi realizzate a mano una ad una con sapiente abilità da valenti
artigiani. È proprio vero che tra la gente di montagna,
ovunque nel mondo, vi sono molte similitudini: le case, le coltivazioni, i ritmi stessi di vita e soprattutto il
rispetto per quella natura da cui faticosamente traggono sostentamento.
Lungo il percorso incontriamo alcuni monasteri minori, piccoli gioielli custoditi spesso da giovani monaci,
intelligenti e aperti con i quali ci intratteniamo volentieri a parlare.
Il sentiero è veramente un esempio di ingegneria la
cui manutenzione viene effettuata con pignoleria e
costanza. Non dobbiamo dimenticare che i monsoni
lasciano annualmente pesanti tracce del loro passaggio costringendo appunto a sistemazioni spesso significative di quello che rappresenta, come ho già
detto, l’unica via di comunicazione.
Anche se la quota di
svolgimento del trekking è elevata, tutta sopra i 4.000
AVVENTURE NEL MONDO 1 • GENNAIO/FEBBRAIO 2004
mt., fortunatamente nessuno accusa i sintomi del
mal di montagna.
Il ritmo del passo denota oltre ad una buona acclimatazione anche un buon allenamento generalizzato
(ad eccezione del sottoscritto). Nessuno resta indietro, possibilità non remota in un gruppo così numeroso e su un percorso decisamente impegnativo.
Dopo cinque tappe di una bellezza strepitosa con
paesaggi mutevoli tali da ricordarmi talvolta l’ Africa
(l’Altopiano Etiope ed il Semien), altre volte il Medio
Oriente ed altre ancora le Alpi, sotto un cielo blu di
una intensità mai vista, giungiamo al campo base
della montagna che mi sono proposto di tentare di salire, il Kang Ya Tse di quasi 6.400 mt.
Poco sotto le piazzole del campo base incontriamo
una famiglia di pastori da cui comperiamo del formaggio di Yak e del latte di capra.
La vetta che ci si pone innanzi è tutto sommato aggraziata e la salita, da un primo esame con il binocolo appare divertente anche dal punto di vista tecnico.
L’indomani queste sensazioni verranno tutte confermate ed in circa 7 ore giungiamo sulla vetta (o meglio su una delle cime del Kang Ya Tse) segnalata
dall’ internazionale ometto di pietra con numerosi
tanka tra cui uno particolarmente bello raffigurante il
Buddha, che sventolano al freddo vento Hymalaiano.
I ramponi e l’attrezzatura alpinistica sono stati indispensabili in quanto la salita si è svolta prevalentemente su ghiaccio duro e compatto.
Il panorama dalla vetta è veramente sublime (quando mai non lo è?) anche se nel volgere di poco tempo, folate di vento portano una coltre di nebbia che ci
avvolge. Questa è una delle rare volte ove faccio più
fatica in discesa che in salita: smontato il campo base ci dirigiamo verso Nimaley, splendida piana erbosa ai piedi del famoso passo del Konmaru La che con
i suoi 5.150 mt. rappresenta (vetta esclusa) la massima elevazione del trekking e l’ultima fatica prima
della fine.
L’indomani, raggiunto questo passo l’emozione nel
gruppo è generale perché oltre la bellezza propria
della natura selvaggia tipica dell’alta quota, migliaia
di bandierine che sventolano ci fanno percepire la misticità del luogo.
Quello delle bandiere è una costante per i punti “strategici” in quanto la religione buddista vuole che il il
vento facendole sventolare disperda nell’aria le preghiere su di esse riportate.
Tutti ci sentiamo anche pervasi da una vena di tristezza in quanto capiamo che l’avventura è ormai alle spalle ed il viaggio volge al termine. Inconsciamente
si comincia a ripensare a casa ed ai problemi quotidiani che ci aspettano inesorabili al nostro rientro.La cima
Come sempre li abbiamo lasciati là parcheggiati,
del KangoYa alTse
meno ci abbiamo provato. In pochi attimi ci rassereniamo preparandoci a gustare gli ultimi giorni di permanenza in India che abbiamo deciso di utilizzare trasferendoci dalla città di Leh alla capitale New Delhi in
pullman e non in aereo, passando tra l’altro da Dharamshala, residenza del Dalai Lama.
Anche se decisamente più faticosa e rischiosa abbiamo optato per questa scelta per avere un quadro ancor più approfondito dell’ India del Nord.
Sappiamo anche che andremo verso il tempo brutto
in quanto il monsone comincia a lambire la parte meridionale delle montagne e la zona della capitale.
L’ unico rammarico di questo tragitto è che per il crollo di una parte dell’unica strada di collegamento con
la residenza del Dalai Lama, vediamo sfumare la possibilità di un breve incontro fissato con Sua Santità .
Peccato sarà per la prossima volta che sicuramente ci
sarà, almeno per me.
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