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IL QUADRATO TIPO DELLA FAMIGLIA
IL QUADRATO TIPO DELLA FAMIGLIA ANORESSICO-BULIMICA In La clinica del Vuoto; anoressie, dipendenze, psicosi, Franco Angeli, Milano 2002 Di Massimo Recalcati 1. Trattamento della famiglia? Un dato s’impone nella clinica dell’anoressia-bulimia del bambino e dell’adolescente e di molte giovani donne: non è possibile trattare l’anoressia-bulimia senza incidere fortemente sugli equilibri familiari al punto che, molto frequentemente, non si può praticare un trattamento efficace del soggetto anoressico-bulimico senza implicare un possibile trattamento della famiglia e dei membri che la compongono. Nondimeno la prospettiva operativa dell’ABA non s’identifica in quella sistemica, la quale, com’è noto, ha fatto del trattamento della famiglia il fulcro principale della propria strategia terapeutica1. Nella prospettiva sistemica il trattamento della famiglia è in modo esaustivo il trattamento dell'anoressia-bulimia. Questo comporta che il sintomo anoressico-bulimico non venga assunto come sintomo del soggetto ma piuttosto come l'indice di un certo disfunzionamento del sistema familiare e, al tempo stesso, di un suo tentativo paradossale di riabilitazione. L'ipotesi di fondo consiste nel fare della famiglia il luogo della causalità psichica tout court2. Di qui, per esempio, la tesi dello "stallo di coppia" come causalità decisiva nella determinazione del processo anoressico-bulimico nell’ambito familiare3. Da questa ipotesi teorica generale ne consegue che l'azione terapeutica si deve concentrare sulle disfunzioni del sistema e non sul sintomo del soggetto come tale, puntando ad un recupero progressivo di un suo funzionamento meno patologico. Rispetto al modello sistemico la nostra prospettiva tende a non far coincidere l’ordine della causalità con quello legato alle vicissitudini del sistema. Nella prospettiva della psicoanalisi – che è quella che l’ABA sostiene – al centro dell’intervento “terapeutico” c'è fondamentalmente il soggetto. Si tratta di un vero e proprio postulato etico: il soggetto è sempre responsabile, nel senso che tutti gli eventi che lo investono ricevono il loro senso solo attraverso la mediazione soggettiva che retroattivamente li significa4. Identificare la causalità nel sistema familiare, come avviene, per esempio, nella teoria dello stallo di coppia, rischia invece di annullare questo fondamento etico relativo alla responsabilità fondamentale del soggetto. Il rischio diventa quello di fare del soggetto una variabile determinata da una causalità che lo trascende, com’è quella propria del “sistema familiare” e delle sue strategie di funzionamento. Nella nostra prospettiva, proprio considerando questa centralità che attribuiamo alla mediazione soggettiva, ovvero all’idea del soggetto come punto di mediazione, continuamente attivo, dell’esteriorità5 , il trattamento della famiglia non può valere come il trattamento dell'anoressia1 Su questo punto mi limito a menzionare l’importante lavoro di Mara Selvini Palazzoli che si trova condensato nei suoi principi teorici di base in L’anoressia mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare, Feltrinelli, Milano 1991, parte IV e in “Il processo anoressico nella famiglia” contenuto in Giochi psicotici della famiglia, Cortina, Milano 1988. 2 La prospettiva sistemica non utilizza una nozione ingenua (naturalistico-fisicalistica) di causa che considera, come tale, inadeguata nel rendere conto della complessità delle strategie familiari, tuttavia considera il sistema familiare come tale il luogo dove si determinano le scelte, i comportamenti, le funzioni comunicative, ecc., dei membri che lo compongono. 3 Cfr., M.S.Palazzoli e altri, Giochi psicotici della famiglia, cit., p.189. 4 “Il soggetto è sempre responsabile”. J. Lacan, 5 L’insistenza della psicoanalisi sull’imprescendibilità della nozione di soggetto e della sua funzione di mediazione è già contenuta nel valore che, per esempio, Freud attribuisce più che al trauma in sé, al senso che esso riceve aprés coup, retroattivamente, dall’interpretazione soggettiva. Ma l’idea che il soggetto sia un’attività fondamentale di mediazione intesa come movimento continuo di interiorizzazione dell’esteriorità bulimia, ma solamente come una condizione per rendere possibile un trattamento del soggetto che per la psicoanalisi rimane l'unico trattamento possibile. Il trattamento della famiglia nella prospettiva dell’ABA non coincide, dunque, con il trattamento dell'anoressia-bulimia del soggetto, ma deve essere considerato come una modalità preliminare del trattamento. Preliminare a cosa? Preliminare al trattamento del soggetto. Ma “preliminare” non è l’indice di un trattamento di serie b, secondario rispetto a quello “vero” che inizierebbe con il trattamento del soggetto, ma è piuttosto il luogo di una serie di operazioni delicatissime finalizzate ad introdurre il soggetto stesso nel dispositivo della Cura. 2. Chi è il soggetto? Il trattamento della famiglia è un momento privilegiato del trattamento preliminare. E’, in effetti, necessario “trattare la famiglia” per poter individuare chi è veramente il soggetto che domanda e qual è il contenuto (inconscio) di questa domanda al di là della motivazione cognitivointenzionale che può mascherarla. Nelle fasi preliminari del trattamento il soggetto è inizialmente una X. Non possiamo sapere nella fasi iniziali di una Cura chi sia veramente il soggetto da trattare, chi veramente domanda. Problema che si amplifica quando si considera la presenza dell’anoressiabulimia nell’età infantile o adolescenziale. Chi veramente domanda qualcosa? La madre o la figlia anoressica? Il fratello o il padre? La sorella o il fidanzato? Consideriamo, dunque, il trattamento della famiglia come un trattamento preliminare alla possibilità di iniziare una Cura del soggetto, che, proprio per quello che stiamo affermando, non va da sé che coincida con chi “soffre” effettivamente del “sintomo” anoressico-bulimico. Il nostro cammino sembra così rovesciare quello sistemico. Se, infatti, nella logica dell’intervento sistemico si tratta di considerare il sintomo del soggetto come l’indice di un disfunzionamento del sistema – la prospettiva del trattamento si definirà come passaggio dal trattamento del sintomo (solo apparentemente) soggettivo, al trattamento della famiglia come sistema – in quella dell’ABA si tratta piuttosto di raggiungere e definire o, talvolta, di produrre, il sintomo del soggetto a partire dal trattamento della famiglia. Dove, come si vede, la finalità della Cura resta quella di poter evidenziare il particolare rapporto di un soggetto con la propria causa. 3. “Potenza dell’inerzia” La sensibilità clinica di Lasegue aveva già a suo tempo rimarcato come l'anoressia implichi costantemente un “dramma familiare”6. Le suppliche e le minacce vengono isolate come le sole risposte, egualmente disperate, a disposizione della famiglia, insieme alla sottile constatazione clinica che con questo tipo di pazienti "l'eccesso di insistenza provoca un eccesso di resistenza"7. Ma Lasegue è veramente straordinario quando individua a suo modo un concetto paradossale come quello di "potenza dell'inerzia" per evidenziare come, nel rifiuto anoressico non sia solo in questione una derelizione, un abbandono alla morte, del soggetto, ma anche una dimostrazione fondamentale di forza8. Con questo concetto Lasegue è già in grado di mostrarci come l'inerzia propria della cachessia, della consunzione anoressica, contenga in realtà un'espressione terribile di potere. Mi pare che questo sia un punto teorico di grande attualità nella teoria clinica dell’anoressiabulimia. La formula che ho recentemente proposto di “corpo-ostaggio” trova qui uno dei suoi riferimenti essenziali. Se il corpo anoressico diventa un corpo-ostaggio, un corpo sotto sequestro, è perché in questo modo il soggetto gioca la sua sfida mortale nei confronti del suo Altro (familiare). e di ri-esteriorizzazione dell’esteriorità interiorizzata, viene teorizzata lucidamente da J.P.Sartre in Critica della ragione dialettica, particolarmente in “Questioni di metodo”, Il Saggiatore, Milano 1982, 2 voll.. 6 Cfr. C.Lasegue, Anoressia Isterica, cit. 7 Ivi, p.71. 8 Ivi, p.76. La strategia è, in effetti, quella di giungere a fare del corpo un vero e proprio “ostaggio” per sottoporre l'Altro familiare al peso di un ricatto spietato9. L'obbiettivo di fondo sembra restare costante al di là di ogni differenziazione delle strutture cliniche. L'obbiettivo sembra essere costantemente quello di ridurre l'onnipotenza dell'Altro. Rendendosi simile ad una morta o facendosi scoppiare di cibo, esibendo il proprio corpo ridotto ad un cadavere ambulante o devastando le dispense di casa, il soggetto anoressico-bulimico prova a capovolgere i rapporti di forza con l'Altro. Prova a costringere l’Altro in una posizione di dipendenza. Nondimeno questa riduzione dell'onnipotenza dell'Altro, questa trasformazione dell'onnipotenza dell'Altro in impotenza, che costituisce l’esito fondamentale della manovra anoressico-bulimica nei confronti dell’Altro familiare, può essere decifrata diversamente. Allora potremo trovare come la manovra ricattatoria del soggetto potrà servire a fare angosciare l'Altro (nella perversione), o a ripararsi dall'Altro facendo del corpo-ostaggio un corpo-barriera (nella psicosi) o, infine, facendosi oggetto della mancanza dell'Altro, ovvero facendosi sparire, assentandosi, ma solo per poter mancare all'Altro. 4. La disperazione familiare La disperazione familiare è provocata dal carattere infinito che il soggetto anoressico-bulimico assegna alla propria domanda. Questa infinitizzazione della domanda è un modo per mostrare all'Altro familiare come la domanda del soggetto sia costantemente al di là di ogni risposta possibile, nel senso che ogni risposta alla domanda non potrà che risultare profondamente inadeguata rispetto a ciò che il soggetto, appunto, chiede infinitamente. In questo senso il rifiuto anoressico è al di là di quello isterico perché il “no!” anoressico non nasconde un “sì!”, quanto piuttosto la negazione di ogni risposta perché inadeguata alla domanda infinita del soggetto10. Per questo possiamo affermare che l'infinito anoressico è un “cattivo infinito”, proprio perché non c'è alcuna risposta che possa saturare l’infinitezza della sua domanda11. 5.Tipologie L’esperienza clinica ci mette a confronto con una serie di figure familiari tipiche. Tali sono, per esempio, le figure della madre-coccodrillo, di quella narcisista, del padre amante e del padrenorma12. Ma le tipologie possono al limite solamente inquadrare le variazioni dell’esperienza secondo delle ripetizioni e delle frequenze. Resta però compito della riflessione clinica individuare una logica in grado di fondare la dimensione strutturale che orienta e motiva queste frequenze. Cercheremo pertanto di svolgere questo passaggio dalla tipologia alla logica non disdegnando però di cominciare dalla tipologia. Le tipologie dell’Altro familiare dell’anoressia-bulimia, in particolare dell’Altro materno e paterno, sembrano condensarsi in una sorta di quadrato che definiamo il “quadrato tipo” della famiglia anoressico-bulimica13: 9 Cfr. M.Recalcati, “Per una clinica differenziale dell’anoressia-bulimia”, in Il corpo-ostaggio, cit. In questa direzione che intende discriminare il rifiuto anoressico dall’insoddisfazione isterica si muove anche F. Blanco, “La posizione anoressica del soggetto”, in AA.VV., Il rifiuto dell’Altro nell’anoressia, cit. 11 E’ ciò che Bernard Brusset definisce come il “messaggio paradossale dell’anoressica”, il quale consiste, appunto, nel “rifiutare sistematicamente ciò che ella sembra domandare”, B. Brusset, Psychopatologie de l’anorexie mentale, cit., p.84. 12 Cfr. M.Recalcati, L’ultima cena: anoressia e bulimia, cit. e, Per una clinica differenziale dell’anoressiabulimia, cit. 13 E’ assente in questo quadrato la problematica, decisamente significativa nell’anoressia-bulimia, dei fratelli e delle sorelle. 10 Madre coccodrillo Padre Norma Padre amante Madre narcisistica La madre coccodrillo indica l’annullamento della donna nella madre, nella madre-tutta-madre, nella madre divorante così come Lacan ci ha insegnato a definire la struttura del desiderio della madre. La figura della madre-coccodrillo mostra il carattere cannibalico della fusionalità materna che l’operazione della metafora paterna dovrebbe limitare permettendo al bambino di non restare prigioniero delle fauci spalancate del coccodrillo14. Ma la madre coccodrillo non indica solamente il rischio fagocitante del godimento materno nei confronti del bambino ma anche quello di una sorta di divorazione interna nella quale è la madre che divora la donna. Il desiderio femminile si riduce al prendersi cura del bambino elevato a fallo immaginario capace di suturare la castrazione materna seguendo un miraggio di totalità. Ne deriva una sorta di simbiosi distruttiva: il bambino viene sommerso dal godimento materno – divorato appunto – e la donna annullata nella madre. Questo annullamento comporta che l’Altro materno non possa tollerare la separazione dall’oggetto fallico in cui ha trasformato il suo frutto e il bambino, dal canto suo, non possa tollerare l’angoscia nell’Altro che un’eventuale manovra di separazione potrebbe produrre. La madre coccodrillo segnala dunque un disfunzionamento della metafora paterna nella sua finalità di castrazione del godimento della madre e di disarticolazione della tendenza alla fusione mortifera o a quella “follia fallica” di tipo perverso che identifica immaginariamente madre e bambino15. La madre narcisistica è un’alterazione storico-sociale contemporanea della madre coccodrillo che non cancella il carattere strutturale del desiderio materno come desiderio sospinto da un cannibalismo immaginario fondamentale, ma indica l’altra faccia della divorazione, ovvero il lasciare cadere, il disinvestimento libidico nei confronti del bambino; non l’appropriazione del bambino-fallo ma il rifiuto del bambino in quanto defallicizzazione del corpo femminile della donna. E’ il rovescio speculare della tesi freudiana secondo la quale la maternità permetterebbe alla donna di ottenere il fallo di cui manca attraverso il bambino. Nel caso della madre narcisistica il bambino non dona valore fallico ma sembra piuttosto che lo rubi all’Altro. E' ciò che può motivare la sterilità isterica nei confronti della maternità: per difendere il valore fallico-narcisistico del proprio corpo, la donna rifiuta inconsciamente l’idea della maternità vissuta come una castrazione del proprio essere-fallico, come uno smarrimento della propria femminilità. La madre narcisistica trova la sua rappresentazione nella donna freudiana che ama solo la sua immagine e che per questa passione non può accedere ad un amore per l’altro.16 E’ la madre del capriccio, dell’indifferenza, della non-curanza. In questo caso è la donna, o meglio, una determinata versione fallica della donna, che finisce per sopprimere la madre. La figlia è presa non come fallo immaginario ma come una rivale o come un oggetto-scarto. Di qui l’assenza di cura per la figlia e la passione, a senso unico, per il valore narcisistico della propria immagine. Il rimprovero che la figlia anoressica le rivolge non è, come nel caso della madre coccodrillo, quello di non permetterle di separarsi ma, al contrario, quello di esibire la propria femminilità senza pudore. 14 Cfr. J.Lacan, Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, L’espressione è di J.A.Miller, Donc, Corso tenuto al Dipartimento di psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII, inedito. 16 Sulla madre narcisistica, vedi M.Barbuto, “La madre narcisistica”, in AA.VV., Il trattamento della famiglia, Franco Angeli, Milano e M.Recalcati, L’ultima cena, cit., e id., Per una diagnosi differenziale dell’anoressia-bulimia, cit. 15 Il padre-norma è il padre che pretende di incarnare la Legge. E’ il padre scrupoloso, dedito al lavoro, educatore, severo, metodico nell’applicazione della regola. Ma questa incarnazione burocratica della Legge non può che risultare formale e vuota. La Legge viene degradata all’anonimato di un regolamento che esclude l’eccezione. Il Padre-norma è un padre senza desiderio, preoccupato esclusivamente che la macchina (familiare) funzioni. Esso sostiene un universale falso perché senza connessioni col particolare del desiderio soggettivo. A questo universale senza corpo la figlia anoressica può rivolgere la sua provocazione e la sua sfida mortale: “c’è un cuore nella macchina della Legge?” Il Padre-amante, infine, è il corrispettivo narcisistico del padre-norma. Se in quest’ultimo assistiamo ad una specie di immaginarizzazione del simbolico in quanto l’amore per la Legge prende il posto dell’amore particolare per il soggetto, nel padre-amante in primo piano è piuttosto la soppressione della funzione simbolica del padre come tale. Al posto del divieto e della Legge, il padre-amante è colui che introduce un’intimità perversa, non-simbolizzata, con la figlia. E’ il padre che non impartisce la lezione della regola ma interviene col proprio corpo finendo col collocare la figlia al posto della propria donna degradata a madre-tutta-madre. Il padre amante è il padre della cura e della seduzione. E’ il padre reale così prossimo alla figlia da azzerare l’istanza normativa propria del padre simbolico. Queste quattro figure non si deve pensare che si presentino, nelle storie delle anoressichebulimiche, ciascuna nella sua funzione ma anche come una alternanza interna ad una solo figura. Così l’oscillazione della madre coccodrillo in quella narcisistica o quella tra il padre norma e il padre amante non è solo un’oscillazione storico-sociale ma può avvenire all’interno delle vicissitudini proprie della relazione del soggetto con l’Altro17. 6. Una versione superegoica della Legge Qual è, dunque, la logica che scaturisce dalle tipologie che abbiamo appena descritte? Il punto centrale investe la funzione della Legge nella famiglia anoressico-bulimica. Ciò che verifichiamo nell’esperienza clinica è la tendenza delle famiglie a funzionare secondo il principio superegoico della disgiunzione tra desiderio e Legge. La tipologie della madre-coccodrillo, della madre narcisistica, del padre amante e del padre-norma evidenziano, in effetti, una declinazione particolare della Legge che caratterizza questi insiemi familiari. Ma cosa intendiamo precisamente quando facciamo riferimento ad una declinazione superegoica della Legge come centro logico del quadrato tipo della famiglia anoressico-bulimica? Innanzitutto ciò che si evidenzia è che il rapporto tra il desiderio e la Legge è caratterizzato da una frattura. E' in questo senso che è possibile adottare il termine “perversione” secondo un suo uso esteso, al di là dunque della clinica specifica delle aberrazioni sessuali18, per indicare, appunto, il carattere propriamente superegoico della legge nelle famiglie anoressico-bulimiche. Dove è opportuno ricordare che la logica che caratterizza il Super-io è precisamente una logica, al tempo stesso, disgiuntiva e imperativa. Disgiuntiva perché il Super io è esso stesso il nome di una disgiunzione fondamentale: quella tra la Legge e il desiderio. Il Super-io sostiene, in effetti, un disaccordo radicale tra la Legge e il desiderio. Esso non spinge verso una loro integrazione ma verso una loro contrapposizione rigida. Di qui il suo carattere imperativo. Il Super-io fa, infatti, valere a senso unico La legge contro il desiderio o il desiderio contro la Legge. Dove, 17 La letteratura biografica di soggetti anoressici raffigura in modo preciso questo quadrato tipo dell’Altro familiare e la sua dinamica. Ne Tutto il pane del mondo di Fabiola De Clercq si ritrova l’oscillazione della madre coccodrillo e della madre narcisistica, il Le pavillon de fou di Velery Valer ritroviamo l’oscillazione del padre norma e del padre amante. 18 Sull’uso della perversione come logica propria del funzionamento della famiglia anoressico-bulimica, vedi, L.Brusa, “Catastrofe individuale e strategie di sopravvivenza: l’abuso familiare nell’anoressiabulimia”, in Il corpo-ostaggio, cit. precisamente, “a senso unico” significa che tra la Legge e il desiderio non c’è, appunto, alcuna forma possibile di unione o di compromesso ma l’esistenza dell’uno si dà come assoluta contro l’esistenza dell’altro. Inoltre l’imperatività del comando superegoico nella sua doppia configurazione (Legge contro desiderio: Devi! E Desiderio contro la Legge: Godi!) schiaccia il soggetto, tende ad annullarlo sottoponendolo al giogo di un automatismo infernale. Questo funzionamento perverso della Legge è il risultato della mancata azione simbolica del Nome del Padre (o di chi ne fa le veci), la cui funzione non si esaurisce solamente nel porre un limite al godimento incestuoso (della madre verso il bambino e viceversa) ma anche nell’offrire un’insegna identificatoria in grado di sostenere il soggetto in un rapporto possibile col desiderio e con la Legge. Il quadrato della nostra tipologia – nei limiti della sua astrazione “psicologistica – evidenzia precisamente diversi modi di fallimento di questa necessità di integrazione della Legge col desiderio. Sul lato destro del quadrato troviamo, in effetti, uno sbilanciamento anti-dialettico del desiderio verso una Legge folle, capricciosa, inattendibile, formale o divorante (madre-coccodrillo e Padre-norma), mentre su quello sinistro troviamo una totale naufragio della Legge nelle spirali immaginarie di un desiderio inconsistente, abbagliato dal godimento, narcisistico, incapace di reggere la Legge della castrazione (madre narcisistica e padre-amante). Il risultato di questo funzionamento superegoico della Legge nelle famiglie anoressiche-bulimiche è certamente la produzione di un grave disorientamento del soggetto rispetto al suo compito di integrare la Legge col desiderio. Nondimeno sarà ogni volta il nostro compito quello di verificare quali soluzioni soggettive sono state possibili per risolvere questo disorientamento, ovvero in che modo il soggetto ha operato rispetto a questa degenerazione della Legge. Il confine tra la nevrosi e la psicosi ci indica che in un caso è stato possibile per il soggetto supplire con una certa efficacia a questa sregolazione perversa della Legge superegoica (nevrosi), mentre nell’altro il soggetto si è eclissato nella posizione di puro oggetto del godimento dell’Altro (psicosi) e la scelta per l’anoressia-bulimia sembra essersi configurata come la sola possibile per ottenere una qualche forma di protezione dal godimento maligno dell’Altro.