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Leggi il brano seguente.
Senza titolo
Mi ricordavo spesso di te, con fastidio,con lo stesso sentimento con cui un ragazzo di sei anni ricorda una
cattiva azione, con un senso di colpa irreparabile. Mi veniva quasi da piangere; avrei voluto cancellarti dalla
memoria. Mi è difficile ricostruire le analogie di quel sentimento. Era così come ti dico, mentirei cercando
di spiegarlo.
Io sentivo molto la mancanza della mamma; l’unica associazione che facevo era questa: la mamma era
morta per colpa tua. Tutti ripetevano che la mamma era morta per colpa tua; nessuno pensò mai al
significato che quelle parole acquistavano dentro di me.
Avevo scoperto l’esistenza della mamma dopo la sua morte .Ciascun uomo ha memoria della sua vita da un
certo giorno in avanti.Per certuni il primo ricordo è un giocattolo, per certi altri il sapore di un cibo, un
ambiente , una parola, un volto, più volti. La prima realtà di cui io ho cognizione esatta è la mamma nel suo
letto di morte.
La mamma era morta la notte prima. Ci fu un momento, nel pomeriggio seguente, in cui la nonna ed io
rimanemmo soli in casa, con lei morta. La nonna mi prese per mano e mi condusse nella sua camera.
C’erano sei ceri accesi ai quattro capi e a metà del letto. Tutta la stanza sapeva di cera consumata e di fiori.
Le nostre ombre crescevano alte sui muri . Sul comò, davanti alla statuina del Bambino Gesù riparata nella
campana di vetro, c’erano tre lumini prossimi a spengersi. Il letto era circondato di ghirlande, libero soltanto
alla spalliera di fondo ove la nonna mi condusse. Allora vidi la mamma, la vidi per la prima volta. Aveva
indosso un tajer nero, un fascio di fiori le copriva metà della gonna. Aveva una camicetta bianca ricamata,
chiusa alla gola da un fermaglio celeste. Le mani congiunte, reggevano un rosario. L’aria era pesante – era
un luglio afoso, il luglio 1918, la stanza chiusa anche delle imposte, i fiori, i ceri accesi. I ceri erano forse
disposti in modo da illuminare la sua faccia. Il suo volto era immobile, severo, leggermente atteggiato al
dolore, come di chi dorme e fa un sonno fastidioso. I capelli neri, raccolti da un nastro, le scoprivano appena
le orecchie. Era pallida, bianca, di un pallore un po’ madido. Poggiava la testa su un cuscino verde, il
cuscino dell’ottomana del salotto.
Appena la vidi non ebbi paura. Dissi: “Mamma” e aspettavo mi rispondesse. La nonna singhiozzava alle mie
spalle, mi poggiava le mani sugli omeri; una sua lacrima mi cadde sul collo, io scrollai la testa e mi parve
che anche la mamma si muovesse. Afferrai con le mani la spalliera del letto. Ripetei: “Mamma” a voce alta.
La nonna ebbe uno scoppio di pianto; mi passava le mani sui capelli , me li tirava senza accorgersene. D’un
tratto una mosca si posò sulla fronte della mamma, fece un lavorìo con le zampe, si levò di nuovo, volò
attorno alla sua faccia, finì per posarsi all’angolo dell’occhio sinistro, verso il naso. Dal fondo della spalliera
la nonna alzò la mano per cacciarla, inutilmente. Allora io mi mossi, mi insinuai fra le ghirlande girando
dall’esterno, raggiunsi il capezzale, agitai la mano davanti al viso della mamma. Siccome la mosca non si
muoveva mi avvicinai col dito. La mosca volò via. Avevo toccato la mamma. Istintivamente le alzai le
palpebre, vidi il suo occhio, era grigio, aveva dei riflessi verdi. Lo guardai tenendo le palpebre fra due dita.
La nonna mi richiamò con la voce. L’occhio della mamma era rimasto aperto appena appena, vitreo,
assente. La nonna lo richiuse.
Un giorno, alla Villa Rossa , guardandoti fui contento di scoprire che i tuoi occhi erano celesti. Chiesi di
andare al gabinetto che si apriva sulla cucina. Mi fissai nello specchio. I miei occhi erano di colore diverso
l’uno dall’altro. Il sinistro era come quello della mamma.
[da Vasco Pratolini, Cronaca familiare]
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