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NEUROMIELITE OTTICA MIGLIORATO LO SCHEMA DI
NEUROMIELITE OTTICA MIGLIORATO LO SCHEMA DI TRATTAMENTO CON RITUXIMAB IN INFUSIONE OGNI 6 MESI 10 settembre 2015 Uno studio effettuato al San Raffaele di Milano, pubblicato online sul Multiple Sclerosis Journal, ha dimostrato che uno schema di trattamento fisso con rituximab (RTX), con trattamenti ripetuti ogni 6 mesi, è efficace nei pazienti affetti da neuromielite ottica (NMO) e da disturbi dello spettro della NMO (NMOSD), con un buon profilo di sicurezza. Per ottenere un rapporto rischio/beneficio anche superiore, comunque, bisognerebbe effettuare uno stretto monitoraggio delle cellule CD19+ prima di un nuovo trattamento di pazienti con disabilità di alto grado, concomitante leucopenia e ipogammaglobulinemia. La NMO, malattia infiammatoria cronica del sistema nervoso centrale (SNC) è solitamente associata a una prognosi severa, ricordano gli autori, coordinati da Marta Radaelli, del Dipartimento di Neurologia dell’istituto Scientifico San Raffaele di Milano diretto da Giancarlo Comi. La scoperta di un biomarker altamente specifico, l’anticorpo NMO-IgG, permette di considerare la NMO come uno spettro di disordini (NMOSD). Inoltre, la scoperta che tale biomarcatore è un anticorpo diretto contro l’aquaporina 4 (AQP4) ha sostanzialmente contribuito alla definizione di NMO come di una malattia infiammatoria autoimmune mediata dall’immunità umorale ed è considerata ora un’entità nosologica differente rispetto alla sclerosi multipla (SM). «Finora non esistono trattamenti approvati per la NMO» affermano Radaelli e colleghi. «La sua frequenza, soprattutto nelle popolazioni caucasiche, e la gravità di malattia hanno reso difficile sviluppare trial clinici randomizzati. Nuovi avanzamenti nelle conoscenze dei meccanismi patogenetici coinvolti nella malattia hanno però permesso di considerare RTX una promettente opzione terapeutica in quanto mirata ai fattori patogenetici della patologia». Nel 2010, in effetti, l’European Federation of Neurological Sciences (EFNS) ha indicato l’RTX come terapia di prima linea nei pazienti NMOSD. RTX è un anticorpo monoclonale che colpisce la proteina transmembrana C20 espressa dal compartimento delle cellule B dallo stadio di cellule preB alla differenziazione più tardiva, ma che è assente nelle plasmacellule differenziate in modo definitivo. Il farmaco induce una linfopenia periferica delle cellule B della durata di 6-9 mesi. «Abbiamo raccolto i dati clinici e preclinici dei pazienti con NMOSD che hanno ricevuto ripetuti cicli di RTX allo scopo di valutare la sua sicurezza ed efficacia a lungo termine, e la sua gestione nella pratica clinica» spiegano i ricercatori. Lo studio, osservazionale prospettico, effettuato all’Ospedale San Raffaele di Milano, ha previsto il reclutamento, a partire dal febbraio del 2006, di 21 pazienti affetti da NMO e NMOSD che sono stati sottoposti ad almeno un ciclo di rituximab per via endovenosa e poi seguiti per almeno 2 anni. «A un follow-up medio di 48 mesi» scrivono gli autori «abbiamo osservato una significativa riduzione sia del tasso annualizzato di recidiva (ARR) - da 2,0 a 0,16 (p<0,01) – sia della Expanded Disability Status Scale (EDSS) mediana, da 5,5 a 4,0 (p<0,013)». Nel corso del follow-up, inoltre, ci sono stati 12 pazienti (57%) che sono rimasti liberi dalla malattia, mentre 5 soggetti (24%) hanno fatto registrare lievi eventi avversi ematologici. Infine seri eventi avversi di tipo infettivo sono stati riportati da altri 4 pazienti. Tutti questi pazienti erano in sedia a rotelle all’inizio del trattamento con rituximab. «Il nostro studio conferma che RTX è efficace e sicuro in pazienti caucasici NMOSD, anche a un follow-up a lungo termine» commentano Radaelli e colleghi. «Complessivamente, il numero medio di recidive è diminuito da 4,1 nei 2 anni precedenti al trattamento con RTX a 0,6 nel follow-up. I nostri risultati supportano recenti evidenze circa l’efficacia a breve termine di RTX in NMO e la recente raccomandazione di usare RTX come trattamento di prima linea. Ciò nonostante, il migliore regime sotto il profilo del dosaggio rimane un problema-chiave e il dibattito è tuttora in corso tra ematologi, immunologi e neurologi». In questo studio clinico “real-world”, in cui sono stati usati differenti schemi di trattamento, si rispecchiano diversi cambiamenti della dose di RTX. «All’inizio si era pianificato di somministrare RTX una volta all’anno» spiegano gli autori. «Peraltro abbiamo osservato che un singolo trattamento di RTX non riusciva a indurre un effetto protettivo sufficientemente prolungato, dato che l’efficacia è strettamente connessa alla soppressione delle cellule B CD19+. E infatti 10 delle 14 recidive occorse nella coorte sono risultate associate al concomitante aumento di cellule B CD19+, rilevate dopo più di 6 mesi dalla pregressa somministrazione». Per migliorare lo schema, i ricercatori hanno pensato di ridare il farmaco alla ricomparsa dei linfociti CD19+ ma la strategia si è dimostrata di difficile applicazione nella pratica clinica quotidiana perché anche un lieve aumento dei linfociti B poteva associarsi a una recidiva clinica. Pertanto, allo scopo di prevenire la riattivazione dovuta a un trattamento tardivo, si è deciso di ripetere l’infusione di RTX ogni 6-7 mesi, anche in assenza di cellule B CD19+. «Questo schema fisso ha permesso un controllo della malattia nell’81% dei pazienti e si è dimostrato di facile applicazione nella pratica clinica». Allo scopo di ridurre il dosaggio cumulativo di RTX, dalla terza procedura si è usata una singola infusione di 1.000 mg (precedentemente 2 infusioni da 1.000 mg distanziate da 2 settimane). «Si potrebbe ricorrere a un’ulteriore riduzione a 500 mg di RTX a partire dal quinto ciclo, in quanto si è osservata una soppressione prolungata delle cellule B dopo cicli ripetuti di trattamento. Comunque sono necessari ulteriori sforzi per migliorare lo schema di trattamento nei pazienti NMO» ammettono i ricercatori. In conclusione, affermano, RTX è una promettente opzione di trattamento per i pazienti con NMOSD, anche se vi sono alcune questioni ancora aperte sul migliore schema da adottare e la durata del trattamento. In base all’esperienza maturata nella pratica del mondo reale uno schema fisso ogni 6 mesi dovrebbe essere raccomandato e deve essere eseguito uno stretto monitoraggio della conta delle cellule B CD19+ e la determinazione delle NMO-IgG. Infine, sono necessari coorti più ampie di pazienti per stabilire meglio i benefici a lungo termine e il profilo di sicurezza e per definire l’utilità di differenti biomarcatori come fattori surrogati di attività biologica di RTX. Arturo Zenorini Radaelli M, Moiola L, Sangalli F, Esposito F, et al. Neuromyelitis optica spectrum disorders: longterm safety and efficacy of rituximab in Caucasian patients. Mult Scler, 2015 Jul 21. [Epub ahead of print]