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In un recente articolo apparso sulla rivista scientifica Climate

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In un recente articolo apparso sulla rivista scientifica Climate
Governance e tutela dell’ambiente
Il ruolo di associazioni, comitati e avvocati
di URBANO BARELLI
SOMMARIO: Premessa e sintesi. - PARTE PRIMA - La crisi globale - 1. La crisi ambientale. - 2. Paesaggio
e ambiente in Italia. - 3. Crisi ambientale e crisi economica. - 4. La Strategia Europa 2020 – 5. Il
ritorno alla politica e al primato del diritto - PARTE SECONDA – Il diritto ambientale –
CAPITOLO PRIMO – Elementi e principi del diritto ambientale. - 1. La sopravvivenza elemento
vincolante il diritto.- 2. Il principio di primarietà dell’ambiente. - 3. La tutela dell’ambiente. - 4. Lo
sviluppo sostenibile. - 5. Segue: sviluppo sostenibile e patrimonio culturale - CAPITOLO SECONDO Le nuove frontiere della tutela dell’ambiente. – 1. Ambiente e diritti umani. – 2. I diritti delle
generazioni future. - 3. Segue: il dovere di solidarietà. - 4. I beni comuni e la loro gestione civica. - 5.
La diversità biologica. – PARTE TERZA – La governance – CAPITOLO PRIMO - Tramonto della
sovranità statale e diffusione del potere - 1. Il diritto nel mercato globale. - 2. Dallo statalismo al
pluralismo. - 3. La pubblica amministrazione tra autorità e consenso. – CAPITOLO SECONDO - La
governance - 1. Governance e democrazia partecipativa. – 2. La governance europea. - 3. La
rivoluzione concettuale della governance. – CAPITOLO TERZO – La governance ambientale – 1. La
governance mondiale. – 2. La governance ambientale italiana. – PARTE QUARTA – Nuovi modelli
di gestione dell’ambiente – 1. I nuovi modelli in generale. – 2. Segue: l’intesa. - 3. Segue: la
giurisdizione.- PARTE QUINTA – La tutela dell’ambiente nella governance – CAPITOLO PRIMO
– L’associazionismo nella tutela ambientale - 1. Il ruolo dell’associazionismo ambientale. - 2. Le
organizzazioni non governative in Europa. - 3. Enti non profit in Italia. – 4. I comitati per la difesa
dell’ambiente. – CAPITOLO SECONDO - Le associazioni ambientaliste - 1. La partecipazione
qualificata alla governance ambientale. - 2. Il riconoscimento delle associazioni ambientaliste. - 3. Il
ruolo di amministrazione attiva delle associazioni ambientaliste. - 4. Associazioni ambientaliste e
tutela delle generazioni future. – 5. Segue: il caso Minors Oposa. - 6. Prospettive di riforma: per una
legge organica delle associazioni ambientaliste - CAPITOLO TERZO - Il ruolo della giurisprudenza e
degli avvocati nell’evoluzione del diritto ambientale. - 1. Il diritto vivente ambientale. - 2. L’accesso
alla giustizia nella Convenzione di Aarhus. - 3. Il ruolo degli avvocati. - 4. Avvocati e organizzazione
degli studi professionali. – 5. Il caso Chevron-Texaco/Indios dell’Equador. - 6. Il vertice di Cancun. 7. Il caso del Celdf. – 8. Segue: il caso della foresta di Shapleigh. – 9. La Fabbrica del diritto.
Premessa e sintesi.
La grave crisi globale è l’occasione per riflettere su alcune questioni di particolare rilievo
per il diritto dell’ambiente e, più in particolare, per le associazioni ambientaliste.
Nelle pagine che seguono si esaminerà l’attuale situazione di crisi, economica e ambientale,
e la necessità del suo superamento dando centralità alle politiche e al diritto dell’ambiente. La posta
in gioco non è solo economica ma riguarda, per la prima volta nella storia, la stessa sopravvivenza
della nostra specie.
La sostenibilità ambientale è l’imperativo sul quale riorientare le politiche pubbliche e
ripensare il modello di sviluppo. Il fallimento dell’ideologia del libero mercato riconsegna alla
politica e al diritto un ruolo dominante, e ai problemi ambientali la loro priorità. Assistiamo al
tramonto della sovranità statale, al mutamento della pubblica amministrazione che da autoritativa è
diventata progressivamente consensuale, all’affermazione del pluralismo e del principio di
partecipazione e di sussidiarietà orizzontale, nonché al ridimensionamento della legge quale
strumento di produzione giuridica e alla crescita del ruolo della giurisdizione e del contratto.
Il diritto ambientale, con il principio comunitario di integrazione e dello sviluppo
sostenibile, allarga la sua sfera di influenza agli altri settori del diritto e delle politiche pubbliche.
Emergono nuovi temi come i beni comuni e la biodiversità, declinati anche nell’interesse delle
generazioni future.
Cresce la necessità di governare la complessità di tali dinamiche con nuovi strumenti che
garantiscano l’inclusione, la partecipazione e la condivisione delle scelte. Questo strumento è la
governance ambientale che ha le caratteristiche utili e la flessibilità necessaria, ammesso che si dia
1
forza e ruolo ai soggetti portatori di interessi collettivi per bilanciare il peso, spesso preponderante,
dei soggetti portatori di interessi forti, come quello economico.
I comitati per la difesa dell’ambiente sorti numerosi in questi anni, ma soprattutto le
associazioni ambientaliste possono svolgere tale ruolo avendo dato buona prova della loro capacità
di elaborazione e partecipazione qualificata sui temi ambientali. Nei venticinque anni trascorsi
dall’approvazione della legge n.349 del 1986 che ne ha previsto il riconoscimento e la
legittimazione processuale, le associazioni ambientaliste hanno saputo svolgere un ruolo importante
nella creazione del diritto giurisprudenziale dell’ambiente e hanno visto crescere il ruolo di
amministrazione attiva con la partecipazione ad organi collegiali di amministrazione e ai
procedimenti amministrativi.
Nel nuovo scenario di tramonto della sovranità statale, da un lato, e della crescita del diritto
ambientale, dall’altro, l’ambiente, le sue politiche ed il suo diritto, devono trovare nel rafforzamento
delle associazioni ambientaliste uno strumento necessario a garanzia dell’effettività della tutela
ambientale nell’interesse di tutti i cittadini.
Una legge organica per le associazioni ambientaliste, regolandone meglio il funzionamento,
potrebbe rafforzarne il ruolo di portatrici dell’interesse pubblico ambientale ed attribuire alle
medesime un più ampio ruolo sia nella governance ambientale che nella giurisdizione, anche
riconoscendo alle stesse la rappresentanza dei diritti delle generazioni future.
Infine, la rinnovata centralità del diritto, del diritto ambientale e, quindi, delle associazioni
ambientaliste, rende determinante l’apporto degli avvocati nella tutela dell’ambiente, sia in sede di
governance e procedimento amministrativo che in sede giudiziaria.
PARTE PRIMA
La crisi globale
1. La crisi ambientale.
In un recente articolo apparso sulla rivista scientifica Climate Change,1 il noto climatologo
americano Richard Sommerville ha ribadito che le conoscenze scientifiche riguardo i cambiamenti
climatici sono ben dimostrate e indiscutibili.
Il pianeta terra si sta surriscaldando, questo è dimostrato da un aumento medio globale delle
temperature dell'aria e delle acque, dallo scioglimento dei ghiacci e dall'aumento del livello del
mare. È stato inoltre dimostrato che la principale causa del riscaldamento globale è l'attività umana,
ed in particolare è la diretta conseguenza di un aumento nell'atmosfera di CO2 prodotta in seguito
alla combustione di carburanti fossili.
Le previsioni riguardo ai cambiamenti climatici si stanno avverando. Questo è vero ad
esempio per lo scioglimento dei ghiacci o per l'aumento del livello del mare. È altrettanto vero che
se non verranno presto presi provvedimenti in tal senso un cambiamento climatico grave e
irreparabile è inevitabile.
Scrive Lester Brown che “sia che si studino le crisi ambientali delle civiltà del passato o che
si guardi a come l’adattamento in Cina del modello industriale occidentale influirebbe
sull’ecosistema terrestre, appare chiaro che il modello economico esistente non può sostenere il
progresso economico. Nei nostri miopi sforzi di mantenere l’economia globale così come è
attualmente strutturata, stiamo esaurendo il capitale naturale della Terra. Passiamo molto tempo a
preoccuparci dei deficit economici, ma è il deficit ecologico che minaccia la nostra economia a
lungo termine. Deficit economico è ciò che prendiamo a prestito dagli altri; deficit ecologico è ciò
che sottraiamo alle generazioni future”2.
2. Paesaggio e ambiente in Italia.
1
RICHARD SOMMERVILLE, How much should the public know about climate science?, Climatic Change 2011;
http://www.scienzainrete.it/node/3863
2
L.R.BROWN, Eco-economy, Roma, 2002. Si veda inoltre: G.BOLOGNA, Manuale della sostenibilità, Milano, 2009.
2
Il paesaggio è il grande malato d’Italia. Come scrive Salvatore Settis, basta affacciarsi alla
finestra: vedremo villette a schiera dove ieri c’erano dune, spiagge e pinete, vedremo mansarde
malamente appollaiate su tetti un giorno armoniosi, su terrazzi già ariosi e fioriti. Vedremo boschi,
prati e campagne arretrare ogni giorno davanti all’invasione dei mesti condomini, vedremo coste
luminose e verdissime colline divorate da case incongrue e ‘palazzi’ senz’anima, vedremo gru
levarsi minacciose per ogni dove. Vedremo quello che fu il Bel Paese sommerso da inesorabili
colate di cemento3.
Secondo l’Istat, tra il 1990 e il 2005 la superficie agricola utilizzata (SAU) in Italia si è
ridotta di 3 milioni e 663 mila ettari, un’area più vasta della somma di Lazio e Abruzzo: abbiamo
così convertito, cementificato o degradato in quindici anni, senza alcuna pianificazione, il 17,06%
del nostro suolo agricolo. Negli undici anni dal 1991 al 2001, l’Istat registra un incremento delle
superfici urbanizzate del 15%, ben 37,5 volte maggiore del modesto incremento demografico degli
stessi anni (0,4%), mentre nei sette anni successivi l’incremento delle superfici edificate è stato del
7,8%.
Gravissimi gli effetti sull’ambiente di questa cieca invasione del territorio. Il suolo è al
centro degli equilibri ambientali: essenziale alla qualità della biomassa vegetale e dunque della
catena alimentare, è luogo primario di garanzia per la biodiversità, per la qualità delle acque
superficiali e profonde, per la regolazione di CO2 nell’atmosfera. Ma la cementificazione di terreni
già agricoli comporta la copertura del suolo (soil sealing), con perdita spesso irreversibile delle
funzioni ecologiche di sistema che esso aveva esercitato: per fare un solo esempio il soil sealing
accresce la probabilità di frane e alluvioni, e ne rende più gravi gli effetti4.
3. Crisi ambientale e crisi economica.
Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, ritiene che “abbiamo creato una società in cui
la rapida crescita che abbiamo raggiunto non è sostenibile dal punto di vista né ambientale né
sociale”5.
Viviamo tempi straordinari, afferma Enzo Rullani. La drammatica implosione dei valori
immobiliari e finanziari ha reso visibile la precarietà del nostro presente e della storia che ci ha
condotto sin qui. Ai prezzi correnti, abbiamo la sensazione che il presente non sia più uno stato
solido, resistente, ma stia lentamente evaporando con molte delle nostre convinzioni e aspettative.
In effetti, da quando è “scoppiata” la Grande Crisi, intorno a noi niente è più come prima. E, niente
appare come, fino a poco tempo fa, credevamo che fosse6.
Il rapporto tra ambiente e industria sta cambiando in profondità e con esso il modo di
concepire e di far funzionare la modernità. Che in passato era portatrice di una logica
autosufficiente e rigida, quasi contrapposta a quella della natura, che pure utilizzava ai propri fini; e
che oggi tende invece ad assumere forme maggiormente duttili e riflessive, capaci di interiorizzare
anche il valore attribuito alla conservazione e rigenerazione dell’ambiente e dell’energia naturale
consumata dallo sviluppo. L’economia industriale di oggi è diventata economia delle reti ed
economia della conoscenza: un’economia che produce valore economico promuovendo la
flessibilità delle organizzazioni a rete, la creatività individuale e l’intelligenza collettiva7.
Nell’economia globale bisogna vendere le idee, prima che i prodotti materiali. Le idee infatti
si moltiplicano più rapidamente, si diffondono a scala più larga, vengono adottate più facilmente dei
prodotti materiali che le hanno originate o le accompagnano nel consumo8.
La modernità sostenibile può essere un’idea motrice per un diverso sviluppo. Se pensiamo
all’ambiente e alle risorse naturali, l’idea motrice può proporre con dovizia di argomenti uno stile di
3
S.SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, Torino, 2010, p.3.
Ibidem, p.4.
5
J.STIGLITZ, Bancarotta. L'economia globale in caduta libera, Torino, 2010.
6
E. RULLANI, Modernità sostenibile. Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi, Venezia, 2010, p.11.
7
Ibidem, p.134-135.
8
Ibidem , p.176.
4
3
vita sobrio e “amico” del contesto in cui si vive. C’è materia per sviluppare filiere che possano
realizzare un’adeguata divisione del lavoro intellettuale e materiale per servire questo tipo di
bisogni e di desideri, a mano a mano che prende forma una domanda auto-organizzata che diventa
più esigente e intelligente, premiando le offerte maggiormente creative. Da questo punto di vista
anche il movimento ambientalista può trovare un terreno di crescita diverso da quello che finora ha
focalizzato le sue azioni sulla protesta o sulla domanda di maggiore regolazione, rivolta alle
amministrazioni pubbliche. La valorizzazione dell’ambiente può a sua volta essere ancorata a
un’idea motrice che va nella stessa direzione, ma che ha una portata più ampia: la riscoperta e
valorizzazione dei commons, ossia dei beni comuni in quanto tali. L’ambiente è certamente uno dei
più importanti beni comuni che possono entrare in questa prospettiva di produzione e uso
ragionevole dei commons. Un altro campo fondamentale per applicare questo tipo di idea motrice è
quello della produzione e uso della conoscenza. Per dare valore ai commons e renderli utili
all’interno di processi sostenibili (che li rigenerano nel corso del tempo) servono nuove istituzioni,
che non possono rimandare, semplicemente, all’alternativa pubblico-privato. La sostenibilità, come
idea motrice, richiama invece il sociale o il comunitario, ossia i processi di auto-organizzazione che
nascono in società ben connesse, in cui i problemi collettivi possono essere affrontati
riflessivamente, con il dialogo e la produzione di idee motrici, invece che mercatizzando il valore
delle diverse alternative o imponendo decisioni dall’alto9.
Green economy, beni sociali, ‘beni comuni’, possono essere l’orizzonte strategico
complessivo, i contenuti generali che sostanziano le singole politiche da adottare e verso cui
veicolare l’innovazione10.
4. La Strategia Europa 2020.
La Commissione europea ha lanciato il 3 marzo 2010 la strategia “Europa 2020 - Una
strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”11 al fine di uscire dalla crisi e di
preparare l'economia dell'UE per il prossimo decennio. La Commissione ha individuato tre motori
di crescita, da mettere in atto mediante azioni concrete a livello europeo e nazionale:
1. una crescita intelligente, al fine di sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e
sull'innovazione;
2. una crescita sostenibile, per promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle
risorse, più verde e più competitiva;
3. una crescita inclusiva, che promuova un alto tasso di occupazione e favorisca la
coesione sociale e territoriale.
Il presidente Barroso ha dichiarato: “Europa 2020 illustra le misure che dobbiamo adottare
ora e in futuro per rilanciare l'economia dell'UE. La crisi ha messo in luce questioni fondamentali e
tendenze non sostenibili che non possiamo più ignorare. Il disavanzo di crescita dell'Europa sta
compromettendo il nostro futuro. Dobbiamo agire con decisione per ovviare alle nostre carenze e
sfruttare i nostri numerosi punti di forza. Dobbiamo costruire un nuovo modello economico basato
su conoscenza, economia a basse emissioni di carbonio e alti livelli di occupazione. Questa battaglia
impone di mobilitare tutte le forze presenti in Europa”12.
5. Il ritorno alla politica e al primato del diritto.
Richard A. Posner, giudice alla Corte d’Appello del Seventh Circuit e professore alla facoltà
di Giurisprudenza dell’Università di Chicago, è uno dei più autorevoli giuristi e intellettuali
americani. Esponente fra i più seguiti dell’analisi economica del diritto, che ha avuto come
sottoprodotto l’ideologia dell’efficienza del libero mercato, ha compiuto un atto di straordinaria
onestà intellettuale. Prima, ammettendo che la crisi finanziaria e la conseguente depressione sono
9
Ibidem , p.179.
L.PENNACCHI (a cura di), Pubblico, privato, comune. Lezioni dalla crisi globale, Roma, 2010.
11
http://ec.europa.eu/italia/documents/attualita/futuro_ue/europa2020_it.pdf
12
http://ec.europa.eu/italia/attualita/primo_piano/futuro_ue/europa_2020_it.htm
10
4
state soprattutto una crisi del capitalismo13 e poi, con l’ulteriore approfondimento del volume sulle
relazioni tra politica ed economia14, ove conclude che la crisi investe la democrazia capitalista e,
quindi, prima ancora che crisi economica, è crisi politica15.
La superiorità del sistema di libero mercato rispetto a modelli di tipo pianificato, ma anche
la descrizione dei possibili effetti negativi che un tale sistema può produrre, hanno rappresentato
uno dei temi più discussi dalla Scuola di Chicago.
Il libero mercato è stato trattato come un misterioso luogo sacro che si autoregolamenta,
aborre le regole, alla trasparenza preferisce l’opacità. E’ questo allontanamento dalle regole,
prosegue Guido Rossi, che ha condotto al fallimento del capitalismo e dell’ideologia del libero
mercato.
PARTE SECONDA
Il diritto ambientale
Capito primo
Elementi e principi del diritto ambientale
1. La sopravvivenza elemento vincolante il diritto.
Herbert Hart ha riconosciuto alla sopravvivenza il carattere di elemento vincolante il diritto:
“si tratta della tacita presupposizione che il fine proprio dell’attività umana è la sopravvivenza”16.
Mariachiara Tallacchini afferma che Hart riconosce alla sopravvivenza uno speciale status,
diverso dalla mera generalizzazione empirica e che si tratti piuttosto di una condizione ineliminabile
del diritto, un’asserzione “la cui verità dipende dal fatto che gli esseri umani e il mondo in cui essi
vivono conservino le caratteristiche salienti che hanno ora”17. Tale finalità e alcune norme
fondamentali “riguardano gli esseri umani, il loro ambiente naturale, i loro scopi”, sono “qualcosa
di presupposto dai termini della discussione”, qualcosa che il diritto “deve contenere se vuole essere
vitale” 18.
Nella giuridificazione dell’ambiente ciò che è mancato, prosegue Tallacchini, “è stata
proprio una gerarchia – se pur mobile – di valori rispetto ai quali orientare il rapporto diritto-realtà.
La mera giustapposizione di valori costituzionali che non individui priorità fra gli stessi non appare
realmente adeguata alla sopravvivenza ecologicamente intesa, che esige – forse più che una
gerarchia, pur complessa di valori – di rappresentare il valore sempre presente e orientare
prioritariamente gli altri: un ‘minimo ecologico’ giuridico”19.
In questo contesto, considerata la non determinabilità delle scelte ambientali, “la
sopravvivenza ecologica sembra consistere, almeno in parte, in un ‘non-fare’: il non-attentare agli
equilibri ecosistemici, il non-ridurre la biodiversità, il non-compiere attività di insostenibile impatto
(che significa, positivamente, ideare tecnologie soft), il non-esaurire le risorse. Con ciò non si vuole
ovviamente banalizzare la questione, che resta cruciale, ma sottolineare” – prosegue Tallacchini “l’importanza dei criteri prudenziali orientati all’astensione e alla conservazione”20.
Il diritto appare, di fronte alla questione ecologica, essenzialmente come progetto ed ha
come “norma fondamentale per l’ambiente” la “responsabilità conservativa”, la norma che
prescrive, legittimandolo, il dovere degli Stati di legiferare a favore della natura; norma il cui
13
R.A.POSNER, A Failure of Capitalism, 2009.
R.A.POSNER, La crisi della democrazia capitalistica, Università Bocconi Editore, 2010.
15
G.ROSSI, Capitalismo opaco, democrazia debole, Corriere della Sera, 18 ottobre 2010.
16
H.L.A.HART, Il concetto di diritto, Torino, 1991, p.223.
17
M.TALLACCHINI, Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, Torino, 1996, p.294.
18
H.L.A. HART, Il concetto di diritto, cit., p.224.
19
M.TALLACCHINI, Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, cit., p.303.
20
Ibidem, p.304.
14
5
contenuto può così riassumersi: “una legislazione per la natura, tale da tutelare le più ampie
possibilità di scelta e di sopravvivenza deve essere posta in essere”21.
Afferma Maurizio Cafagno che “se contemplato attraverso la lente del principio di
sostenibilità, il diritto ambientale si candida al ruolo di ‘interfaccia’ tra società e natura, se vogliamo
di artefatto che, monitorando e registrando i cambiamenti ecosistemici, retroagisce sui
comportamenti umani allo scopo di promuovere un processo permanente di aggiustamento dei
‘tempi storici ai tempi biologici’, necessario alla salvaguardia delle nostre opportunità di
sopravvivenza, in quanto specie”22.
La sostenibilità assurge ad obiettivo, al pari di valori come la libertà o l’uguaglianza 23. Lo
Stato sociale, entrato in crisi dinanzi ai compiti di assicurare uno sviluppo economico compatibile, è
indotto a trasmutare in Stato ambientale24.
2. Il principio di primarietà dell’ambiente.
Nel suo significato più immediato, il principio di primarietà tende ad evidenziare il carattere
fondamentale dell’interesse ambientale, la consapevolezza dell’esigenza imprescindibile di tutelare
l’ambiente in quanto presupposto essenziale per la stessa esistenza dell’umanità25.
Se si abbina alla concezione dell’ambiente come valore costituzionale, la primarietà esprime
il peso elevato che occorre riconoscere all’ambiente nel bilanciamento con gli altri valori
costituzionali, mettendo in risalto la necessità di attribuire una sorta di generico favor alla
protezione dell’equilibrio ecologico26.
La primarietà, anzitutto, manifesta l’esigenza di perseguire l’obiettivo di un livello elevato
di tutela, in particolare nell’ottica dei principi dell’azione preventiva e di precauzione.
La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che la protezione dell’ambiente è
imposta da precetti costituzionali (artt.9 e 32) ed assurge a valore primario e assoluto27.
Con la sentenza n. 367/2007 la Corte costituzionale ha affermato che "la tutela ambientale e
paesaggistica, gravando su un bene complesso e unitario, considerato dalla giurisprudenza
costituzionale un valore primario e assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato,
precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla
competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei
beni culturali e ambientali"28.
21
Ibidem, p.357.
M.CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, come sistema complesso, adattativo, comune, Torino,
2007, p.65.
23
Ibidem, p.221.
24
F.LETTERA, Lo Stato ambientale, Milano, 1990, p.13. L'A. prosegue precisando che per Stato ambientale “si intende
una forma di Stato che consenta di attuare i principi di solidarietà economica e sociale per realizzare uno sviluppo
sostenibile e che si orienti con forza a perseguire l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini, riconoscendo loro il diritto a
vedere ragionevolmente usato il patrimonio naturale, penalizzando quegli utenti che finalizzano determinati usi delle
risorse a scopi di mero profitto. La società civile sta operando per un diverso orientamento degli interventi statali; in tal
modo sono poste le premesse per un superamento dei contenuti dello stato di diritto e della sua forma più evoluta che è
lo stato sociale; si profila la creazione di uno Stato ambientale, portatore di altri valori e tendente, a riperseguire,
attraverso la via di una diversa attuazione dei doveri di solidarietà economica, il rispetto dell'eguaglianza sostanziale.”
Si veda inoltre, dello stesso autore, Lo stato ambientale e le generazioni future, in Riv.giur.amb., 1992, p.235; L.
BUFFONI, La “dottrina” dello sviluppo sostenibile e della solidarietà generazionale. Il giusto procedimento di
formazione ambientale, in federalismi.it, n.8/2007.
25
M.CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, 2000, p.85.
26
G.MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, in Studi in onore di Alberto Predieri, Milano, 1996,
p.1134.
27
Corte cost., 30 dicembre 1987, n.641; 27 giugno 2008, 232; 7 novembre 2007, n.367; 24 febbraio 1992, n.67; 27
luglio 1994, n.356.
28
Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367 (rel. MADDALENA) in Riv. giur. amb., con nota di F. DI DIO, Lo Stato
protagonista nella tutela del paesaggio: la Consulta avvia l'ultima riforma del Codice dei beni culturali e del
paesaggio; in Giur. cost., 2007, 4075, con nota di D. TRAINA, Il paesaggio come valore assoluto e di E. FURNO, La
22
6
La stessa Corte costituzionale ha inoltre precisato che “la tutela del paesaggio rientra tra i
principi fondamentali della Costituzione come forma di tutela della persona umana nella sua vita,
sicurezza e sanità, con riferimento anche alla generazioni future, in relazione al valore esteticoculturale assunto dall’ordinamento quale 'valore primario e assoluto' insuscettibile di essere
subordinato a qualsiasi altro”29.
3. La tutela dell’ambiente.
Nella Costituzione si parla di “tutela” del paesaggio (art.9), di “tutela” dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali (art.117, comma 2, lett.s). Non esiste una definizione legislativa
della nozione di ambiente ed è la Corte costituzionale che, con le sentenze n.378/2007 e
n.104/2008, ha fatto propria la nozione, utilizzata nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972,
secondo la quale per “ambiente ed ecosistema” deve intendersi quella parte di “biosfera” che
riguarda l’intero territorio nazionale.
Con la sentenza n.225 del 2009 la stessa Corte costituzionale ha poi precisato che l’ambiente
è “materia” a sé, non trasversale, dello Stato ed è determinata dal fine costituzionale della
“conservazione” e poi dal suo sostrato naturale: ha per oggetto specifico il “bene materiale”, la
biosfera, comprensiva degli interessi vitali degli individui, intesi come persone e cittadini30.
Nella Direttiva del 27 giugno 1985 85/337/CEE sulla VIA, l’ambiente è inteso quale oggetto
da tutelare composto da uomo, fauna, flora, suolo, acqua, aria, clima, paesaggio, patrimonio
culturale, una nozione ampia che è stata recepita nell’art.4 del d.lgs.n.152 del 2006.
Il diritto ambientale possiede la caratteristica peculiare di anticipare i fenomeni che si
verificano successivamente in altri settori dell'ordinamento sicché non a caso è stato efficacemente
definito come “disciplina-pilota” o “diritto-sonda”31, capace di anticipare problemi e soluzioni,
decretandone successivamente il passaggio dal mondo del “particulare” a quello delle idee e dei
principi generali32.
Si potrebbe dire che esso è, quasi per natura, un diritto precursore: basti pensare al fatto che
il principio di sussidiarietà (oggi costituzionalizzato) è nato nel diritto ambientale e che hanno
trovato origine nel diritto dell'ambiente anche il principio di leale collaborazione, l'istituto
dell'accesso (che tuttora in tale ambito prevede una legittimazione assai più ampia), la
partecipazione, la legittimazione ad agire delle associazioni, l'uso di modelli consensuali e gli stessi
interessi collettivi33.
4. Lo sviluppo sostenibile.
Il “Rapporto conclusivo” del 1987 della Commissione Brundtland contiene la prima
definizione dello sviluppo sostenibile, da intendersi con quello sviluppo capace di “assicurare il
soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle
future generazioni di soddisfare i propri bisogni. Il concetto di sviluppo sostenibile implica dei
Corte costituzionale salva la cogestione in materia paesaggistica, ma non scioglie il nodo del rapporto tra Stato e
Regioni.
29
Corte cost., 6 marzo 2001, n.46.
30
Corte cost., 22 luglio 2009, n.225. Per una ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale si veda:
P.MADDALENA, La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di tutela e fruizione dell’ambiente e le novità
sul concetto di “materia”, sul concorso di più competenze sullo stesso oggetto e sul concorso di materie, in
Riv.giur.ambiente, 2010, p.685.
31
F.DE LEONARDIS, Le organizzazioni ambientali come paradigma delle strutture a rete, in Foro amm., CDS, 2006, 1,
p.273; R.FERRARA, La protezione dell’ambiente e il procedimento amministrativo nella “società del rischio”, in D.DE
CAROLIS, E.FERRARI, A.POLLICE (a cura di), Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Milano, 2006, p.344; D.
AMIRANTE, Il principio di precauzione tra scienza e diritto. Profili introduttivi, in Dir.gest.amb., 2001, p.18;
F.SPANTIGATI, Le categorie necessarie per lo studio del diritto dell’ambiente, in Riv.giur.amb., 1999, p.236; P.DURET,
Riflessioni sulla legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, Dir.proc.amm., 2008,
p.688.
32
R.FERRARA, Introduzione, op.cit., p.268.
33
F.DE LEONARDIS, Le organizzazioni ambientali come paradigma delle strutture a rete, cit..
7
limiti, non limiti assoluti ma quelli imposti dal presente stato dell'organizzazione tecnologica e
sociale nell'uso delle risorse ambientali e dalla capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle
attività umane”.
L’art.3 del Trattato sull’Unione europea prevede che l’Unione si adopera per lo sviluppo
sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su
un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al
progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.
L’art.3-quater del codice dell’ambiente prevede, al primo comma, che “ogni attività umana
giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo
sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa
compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future”, mentre al secondo
comma dispone l’applicabilità di tale principio a tutta l’attività amministrativa discrezionale.
Il principio dello sviluppo sostenibile sembra in tal modo aver definitivamente valicato il
limite, anche disciplinare, del diritto dell’ambiente, per essere assurto alla dignità di principio
generale dell’attività amministrativa tout court34.
5. Segue: sviluppo sostenibile e patrimonio culturale.
Il codice dell’ambiente contiene dei principi generali espressamente applicabili al
patrimonio culturale che è oggetto della distinta e specifica disciplina di cui al Codice dei beni
culturali e del paesaggio35.
L’art.3-ter del d.lgs.n.152 del 2006 nel definire il principio dell’azione ambientale parla non
solo della tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali, ma anche della tutela del patrimonio
culturale, così come il successivo art.3-quater, relativo al principio dello sviluppo sostenibile,
dispone che, in applicazione del suddetto principio, l’attività della pubblica amministrazione “deve
essere finalizzata” a dare “prioritaria considerazione … alla tutela dell’ambiente e del patrimonio
culturale”36.
Pertanto, lo sviluppo per essere sostenibile deve tutelare sia l’ambiente che il patrimonio
culturale, con la conseguenza che la tutela del patrimonio culturale, oltre ad essere dettata dall’art.9
della Costituzione, trova ora ulteriore e specifico riconoscimento nel principio dello sviluppo
sostenibile.
D’altronde il riferimento alle generazioni future contenuto nella definizione del principio
dello sviluppo sostenibile (art.3-quater del d.lgs.n.152 del 2006) era già presente in alcune sentenze
della Corte costituzionale relative ai beni paesaggistico-ambientali37. Afferma Sergio Matteini
Chiari che né la giurisprudenza né la dottrina pongono in dubbio che il paesaggio sia una delle
componenti (componente culturale) del bene ambiente38.
34
F.FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile, Napoli, 2010, p.32.
L’art.2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio precisa che “il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali
e dai beni paesaggistici”.
36
Inoltre, il successivo art.4, recante le finalità per le procedure di VIA, VAS, valutazione di incidenza e AIA, dispone
che il patrimonio culturale sia uno dei “fattori” da considerare nella valutazione ambientale, come ribadiscono, poi,
l’art.6, comma 1, (“La valutazione ambientale strategica riguarda i piani e programmi che possono avere impatti
significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”), l’art.6, comma 5 (“La valutazione d’impatto ambientale riguarda
i progetti che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”), l’art.13, comma 4 (“Nel
rapporto ambientale debbono essere individuati, descritti e valutati gli impatti significativi che l’attuazione del piano o
del programma proposto potrebbe avere sull’ambiente e sul patrimonio culturale”), l’art.22, comma 3 (“Lo studio di
impatto ambientale contiene almeno … c) i dati necessari per individuare e valutare i principali impatti sull’ambiente e
sul patrimonio culturale”).
37
La particolare tutela dei beni paesaggistico-ambientali è “considerata tra i principi fondamentali della Costituzione
come forma di tutela della persona umana nella sua vita, sicurezza e sanità, con riferimento anche alle generazioni
future, in relazione al valore estetico-culturale assunto dall’ordinamento quale 'valore primario e assoluto' insuscettibile
di essere subordinato a qualsiasi altro (sentenza n.151 del 1986; n.417 del 1995; n.259 e n.419 del 1996)”: Corte cost.,
ordinanza n.46 del 6 marzo 2001.
38
S.MATTEINI CHIARI, Tutela del paesaggio e “Codice dell’ambiente”, in Riv.giur.ambiente, 2008, p.717.
35
8
Per Alberto Predieri il paesaggio “non significa solamente le ‘bellezze naturali’ o anche
quelle che ad opera dell’uomo sono inserite nel territorio, né la sola natura, ma la forma del
territorio, o dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con una continua
interazione della natura e dell’uomo”39.
Con la sentenza n.367 del 2007, la Corte costituzionale ha stabilito che “la tutela ambientale
e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza
costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato,
precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla
competenza concorrente delle Regioni”.
L’oggetto della tutela del paesaggio, secondo la Corte, non è costituito dalle “bellezze
naturali”, ma “dall’insieme delle cose, beni materiali e loro composizioni” che insistono su un
territorio e ne determinano la conformazione storico-geografica.
La Corte, dunque, tra le due tesi, quella che riconduce la tutela del paesaggio alla materia
“beni culturali” e quella che la riconduce all’“ambiente”, ha optato per la seconda, confermando,
così, anche un proprio precedente orientamento (sentt. n. 196 del 2004 e n. 359 del 1985). Ma
l'ottica ambientalistica non ne esclude, comunque, la valenza identitaria-culturale40.
In tal modo si è dimostrata tendenzialmente orientata a considerare la materia del paesaggio
attinente all’ambiente, e nella stessa decisione i giudici arrivano ad affermare che paesaggio,
ambiente e governo del territorio attengono sostanzialmente al medesimo oggetto, differendo
tuttavia nelle finalità perseguite dalle rispettive discipline. Secondo la Corte costituzionale, quindi,
“il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del paesaggio, riguarda cioè l’ambiente
nel suo aspetto visivo”41.
L’art.131 del Codice dei beni culturali e del paesaggio recita che “per paesaggio si intende il
territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle
loro interrelazioni”. Una definizione simile è quella contenuta nella Convenzione europea sul
paesaggio per la quale “il paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è
percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle
loro interrelazioni”.
Salvatore Settis sottolinea come la ‘percezione delle popolazioni’ sia “un punto importante,
ma solo se la percezione locale non agisce come un fattore di decostruzione e di disgregazione,
riducendo la tutela a un pulviscolo di scelte puntiformi e incoerenti tra loro”42 e che “titolare del
diritto alla tutela dell’ambiente e del paesaggio è la comunità dei cittadini”43.
Qualche autore ha rilevato una divaricazione tra Convenzione e Codice44, mentre Salvatore
Settis scrive che la Convenzione “rappresenta un’istanza di ricomposizione (purché intorno al
primato, in Italia costituzionale, del paesaggio, e non viceversa) di quei dissennati divorzi” tra
ambiente, paesaggio e territorio45.
Sandro Amorosino ritiene che la Convenzione non ha aggiunto molto al nostro sistema
normativo e amministrativo in materia, in quanto il Codice del 2004 aveva già operato una sorta di
39
A.PREDIERI, voce Paesaggio, in Enc.dir., vol.XXXI, Milano, 1981, p.506.
M.IMMORDINO, La dimensione ‘forte’ della esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio
nella sentenza della Corte costituzionale n.367 del 2007, in Aedon, n.1/2008.
41
Per la tendenziale convergenza tra tutela dell’ambiente e tutela del paesaggio verso un unitario “oggetto di tutela”,
vedi: M.CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, come sistema complesso, adattativo, comune, Torino,
2007, p.92 e 162 dove si legge che “in definitiva, radunando le deduzioni di un tentativo di sintesi, finalità
caratterizzante comune alla disciplina paesaggistica ed alla normativa ambientale potrebbe essere quella di assicurare
l’uso sostenibile di risorse che, come componenti di un sistema funzionalmente indivisibile, responsabile delle
continuità di servizi a fruizione collettiva, rilevano in quanto commons muniti di valore di lascito di esistenza (di nonuso), accanto ad un valore d’uso”.
42
S.SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, cit., p.299-300.
43
Ibidem, p.276.
44
G.F.CARTEI, Introduzione, in ID. (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna,
2007, p.7.
45
S.SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, cit., p.258.
40
9
“recepimento anticipato” della Convenzione e in più il secondo decreto correttivo, il d.lgs. 63/2008,
ha avuto cura di prestare ad essa ossequio anche formale, riprendendone quasi “pari pari” alcune
definizioni (paesaggio) e locuzioni (obiettivi di qualità, ecc.)46.
Da ultimo occorre ricordare che – come meglio si dirà in seguito - il 7 ottobre 2010 è stata
approvata la Strategia nazionale per la biodiversità nella quale si afferma che “occorre incentivare
una nuova percezione del valore del paesaggio, che determini una modifica dei modelli di utilizzo
del territorio e di sviluppo economico e sociale”.
Capitolo secondo
Le nuove frontiere della tutela dell’ambiente
1. Ambiente e diritti umani.
Accanto ai diritti civili e politici e ai diritti sociali, sono progressivamente emersi i cosiddetti
diritti della terza generazione, “il più importante è quello rivendicato dai movimenti ecologici: il
diritto a vivere in un ambiente non inquinato”47.
L’esistenza di un rapporto tra diritto alla protezione dell’ambiente e diritti umani è stata
riconosciuta per la prima volta dalla Corte europea per i diritti dell’uomo nel 199448, anche se
l’inclusione del diritto all’ambiente tra i diritti umani non riscuote unanime consenso49.
Il contesto sociale dei diritti umani – afferma Bosselmann - è stranamente in contraddizione
con la realtà della vita umana. “Noi non siamo minacciati soltanto da forze distruttive per
l'individuo e per la società, ma anche da forze distruttive per l'ambiente. Infatti, la società moderna
sembra più minacciata dallo sviluppo insostenibile che dagli attacchi diretti alla libertà individuale.
Evidentemente, i diritti umani e l'ambiente sono strettamente concatenati”50.
Con l’importante Risoluzione del 29 luglio 2010, l’Onu ha dichiarato che “l’accesso
all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale”. Quarantuno paesi si sono astenuti, tra cui gli
Stati Uniti e diversi paesi europei, mentre l’Italia ha votato a favore. Nessuno ha votato contro. Il
testo non è giuridicamente vincolante, ma è comunque significativo.
2. I diritti delle generazioni future.
La Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo tenutasi nel 1992 a Rio de
Janeiro dispone, al Principio 3 della sua Dichiarazione, che “il diritto allo sviluppo deve essere
realizzato in modo da soddisfare in maniera equa i bisogni relativi allo sviluppo e all’ambiente delle
generazioni presenti e future” e, successivamente, che “le risorse e le terre forestali devono essere
gestite in maniera ecologicamente sostenibile al fine di rispondere ai bisogni sociali, economici,
ecologici, culturali e spirituali delle generazioni attuali e future”.
Nel 1997, sempre in ambito Unesco, si addiviene alla solenne proclamazione della
Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future: un atto
questo privo di cogenza giuridica ma dotato di grande rilevanza politica e importante per
l’evoluzione della riflessione sulla soggettività giuridica dei posteri. Tra i principi fondamentali
ricordati nel Preambolo si ricorda “la necessità di stabilire legami nuovi, equi e globali di
partenariato e di solidarietà intragenerazionale […]; la constatazione che la sorte delle generazioni
46
S.AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, Roma-Bari, 2010, p.65.
N.BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, 1990, p.XIV.
48
Corte europea per i diritti dell’uomo, 9 dicembre 1994, n. 16798/90, Lòpez Ostra contro Spagna; successivamente:
19 febbraio 1998, n. 14967/89, Guerra e altri contro Italia; 2 novembre 2006, n. 59909, Giacomelli contro Italia.
49
S.NESPOR, Il governo dell’ambiente. La politica e il diritto per il progresso sostenibile, Milano, 2009, p.231. Dello
stesso autore si veda anche: Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell’epoca della globalizzazione,
Dizionario A-G, voce Ambiente; Atlante I, I soggetti e i temi, L’ambiente: sfruttamento e protezione, e, a seguire, A.
COMOLLO, A. GRECCHI, Risorse naturali e diritti umani, Torino, 2007.
50
K.BOSSELMANN, Un approccio ecologico ai diritti umani, in M.GRECO (a cura di), Diritti umani e ambiente, ECP
2000.
47
10
future dipende da decisioni e misure adottate oggi e che i problemi attuali […] devono essere risolti
nell’interesse delle generazioni sia presenti che future”.
I dodici articoli di cui si compone la Dichiarazione prevedono, nei settori dell’educazione,
della scienza, della cultura e della comunicazione, specifici dispositivi di salvaguardia dei bisogni e
degli interessi delle generazioni future. In materia di ambiente, ad esempio, l’art.4, riconoscendo
che “ciascuna generazione riceve temporaneamente la Terra in eredità”, dispone che si dovrà
vegliare a “utilizzare ragionevolmente le risorse naturali e a fare in modo che la vita non sia
compromessa da modificazioni nocive degli ecosistemi e che il progresso scientifico e tecnico in
tutti i settori non nuoccia alla vita”. Idea ribadita dall’art.5 che invita a fare in modo che le
generazioni future non vengano esposte a contaminazioni che metterebbero in pericolo la loro salute
o la loro stessa esistenza.
3. Segue: il dovere di solidarietà.
L’art.3 quater del codice dell’ambiente stabilisce che “data la complessità delle relazioni e
delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire
di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e
quelle da trasmettere, affinché nell’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si
inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente
anche futuro”.
Anche in forza di tale norma e dell’art.2 della Costituzione, parte della dottrina ritiene che
l’analisi giuridica relativa all’ambiente si stia indirizzando con una certa decisione verso la
prospettiva della doverosità51 e che anche il diritto, per sua natura proiettato verso il futuro,
dovrebbe preoccuparsi delle generazioni a venire.
Posto che, come detto, il fine ultimo del diritto è la sopravvivenza degli uomini, proprio tale
sopravvivenza rappresenterebbe il punto di contatto tra morale e “nucleo minimo” del diritto;
quest’ultimo mirerebbe, come quella, a garantire condizioni minime affinché possa sopravvivere la
specie umana. La garanzia dell’ambiente non è altro che una condizione per la sopravvivenza della
specie umana52 e, a tal fine, occorre riconsiderare il rapporto con la natura e il tema del nostro
futuro, passando dal paradigma del diritto a quello del dovere e da un’idea di onnipotenza
dell’uomo a una prospettiva in cui fortissimo è il senso dei suoi limiti53.
In questo contesto, prosegue Fabrizio Fracchia, “il vero problema è quello della
legittimazione ad adire il livello giurisdizionale chiamato ad imporre lo statuto minimo, atteso che
si profila un panorama frastagliato e, comunque, segnato da uno scarso spazio per l’intervento dei
singoli: spetterà a dottrina e giurisprudenza impegnarsi a fondo per costruire un modello adeguato
all’importanza del principio”54.
Come meglio si dirà più avanti, Francesco De Leonardis, ritiene che per la tutela delle
generazioni future ci siano due soluzioni: quella amministrativa con la creazione di un organismo
ad hoc, o quella giurisdizionale, che lo stesso autore dichiara di preferire, riconoscendo in
particolare alle associazioni ambientaliste la legittimazione ad agire per la tutela delle generazioni
future55.
4. I beni comuni e la loro gestione civica.
51
F.FRACCHIA, La tutela dell’ambiente come dovere di solidarietà, in Dir.econ., 2009, p.493; F.FRACCHIA, Lo sviluppo
sostenibile, cit, p.247.; G.CORSO, Categorie giuridiche e diritti delle generazioni future, relazione al Convegno su
Cittadinanza e diritti delle generazioni future, Copanello, 3-4 luglio 2009, in Atti, Rubettino, 2010; M.LUCIANI,
Generazioni future, spesa pubblica e vincoli costituzionali, in R.BIFULCO, A.D’ALOIA (a cura di), Un diritto per il
futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e responsabilità intergenerazionale, Napoli, 2008, p.425.
52
F.FRACCHIA, La tutela dell’ambiente come dovere di solidarietà, in Dir.econ., 2009, p.493;
53
F.FRACCHIA, Lo sviluppo sostenibile, cit, p.265.
54
Ibidem, p.276.
55
F.DE LEONARDIS, Verso un ampliamento della legittimazione per la tutela delle generazioni future, relazione al
Convegno su Cittadinanza e diritti delle generazioni future, Copanello, 3-4 luglio 2009, cit.-
11
I beni comuni sono descritti come beni e risorse che gruppi di individui condividono e
sfruttano insieme, in modi diversi a seconda del luogo in cui si trovano a vivere. Nei suoi studi, il
premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom56, sostiene l’esistenza di una terza via nella gestione
dei beni comuni tra Stato e mercato. Secondo lo studio del premio Nobel, sia la gestione
amministrativa centralizzata che la privatizzazione delle risorse collettive rappresentano soluzioni
inefficaci e costose, mentre molte comunità collettive nel mondo sono riuscite a raggiungere accordi
per una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni, grazie all’elaborazione spontanea
di regole di sfruttamento, accompagnate da doveri di gestione, manutenzione e riproduzione delle
risorse stesse, sanzionati dall’esclusione da tali comunità di coloro che non rispettano tali regole.
In particolare la studiosa sostiene come l’utilizzo dei beni collettivi possa essere organizzato
in modo da evitare sia lo sfruttamento eccessivo (privato) sia costi amministrativi troppo elevati
(pubblico), prospettando la gestione civica dei beni comuni attraverso istituzioni di autogoverno in
un contesto di regole certe e condivise. Secondo la Ostrom, il governo dei beni comuni può essere
affidato alle associazioni di utenti, in una logica di autogoverno che non si contrappone alle
istituzioni che anzi, in una società policentrica, facilitano e sostengono l’azione collettiva.
Afferma Alberto Magnaghi che occorre superare la dicotomia fra uso pubblico e uso privato
del territorio e del governo dei suoi beni patrimoniali, reintroducendo il concetto “terzo” di uso
comune di molti di questi beni.
Questo uso comune dovrebbe riguardare molte componenti territoriali e sociali che sono in
via di privatizzazione e di sottrazione alla fruizione e alla gestione collettiva: oltre all’acqua,
l’energia, la salute, l’informazione, l’alimentazione, anche le riviere marine, lacustri e fluviali, molti
paesaggi agroforestali semplificati, degradati e recintati, molti spazi pubblici urbani (sostituiti da
parcheggi, supermercati e centri commerciali); gli spazi aperti interclusi della città diffusa, delle
villettopoli e della disseminazione dei capannoni industriali, le gated communities e le città
blindate, i paesaggi degradati e anomici delle periferie urbane, la ricca rete della viabilità storica
(sostituita dai paesaggi semplificati delle autostrade e superstrade) e così via: in una parola il
territorio.
L’introduzione di questo terzo attore comunitario nella gestione e nel governo del territorio,
favorirebbe una trasformazione politica generale, contenendo i processi di privatizzazione e
mercificazione dei beni comuni e riattribuendo all’ente pubblico territoriale il ruolo di salvaguardia
dei beni stessi e della valorizzazione del patrimonio civico57.
5. La diversità biologica.
La Convenzione sulla diversità biologica di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992, ratificata
dall’Italia con la legge 14 febbraio 1994, n.124, è volta alla conservazione della diversità biologica,
all’utilizzazione durevole dei suoi elementi ed alla ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti
dallo sfruttamento delle risorse genetiche: ciò deve avvenire, tra l’altro mediante un accesso
adeguato a tali risorse ed un trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, mediante
finanziamenti adeguati. Per diversità biologica si intende la varietà degli organismi viventi (vegetali
ed animali), inclusi gli ecosistemi terrestri, marini ed acquatici in generale ed i complessi ecologici
dei quali fanno parte; essa comprende la diversità all’interno di ogni specie, tra le specie e degli
ecosistemi.
La biodiversità - la varietà di piante e specie animali presenti nell'ambiente naturale - non è
solo necessaria per la qualità dell'esistenza umana: è essenziale per l'umana sopravvivenza. Per altro
verso, sempre più numerosi beni e servizi derivano da diverse risorse biologiche: i progressi
compiuti nel ramo della biotecnologia hanno a loro volta condotto a numerose nuove applicazioni
mediche ed agricole, tutte dipendenti da fonti biologicamente diverse. Foreste, pascoli, tundre,
deserti, fiumi, laghi e mari sono le abitazioni della maggior parte delle diverse specie biologiche
56
E.OSTROM, Governare i beni collettivi, Marsilio, 2006.
A.MAGNAGHI, Dalla partecipazione all’autogoverno della comunità locale: verso il federalismo municipale solidale,
in Democrazia e diritto, n.3/2006.
57
12
della terra; tuttavia, la varietà delle specie che vivono sulla terra è minacciata principalmente dal
deterioramento dell'ambiente. Con sempre maggiore frequenza in tutto il mondo vengono riferiti
casi di estinzioni di massa, con una velocità che supera di gran lunga la comparsa di nuove specie.
Il 7 ottobre 2010 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano ha approvato l’ “Intesa sulla ‘Strategia nazionale per la
biodiversità’ predisposta dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi
dell’art.6 della Convenzione sulla diversità biologica, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e
ratificata dall’Italia con la legge 14 febbraio 1994, n.124”.
La Strategia sviluppa tre tematiche principali: biodiversità e servizi ecosistemici,
biodiversità e cambiamenti climatici, biodiversità e politiche economiche. In relazione alle tre
tematiche cardine, l'individuazione dei tre obiettivi strategici, fra loro complementari, deriva –
secondo il Ministero dell’ambiente - da un'attenta valutazione tecnico-scientifica che vede nella
salvaguardia e nel recupero dei servizi ecosistemici e nel loro rapporto essenziale con la vita umana,
l'aspetto prioritario di attuazione della conservazione della biodiversità.
In ragione della trasversalità del tema biodiversità che risulta strettamente interconnesso con
la maggior parte delle politiche di settore, il conseguimento degli obiettivi strategici viene affrontato
in 15 aree di lavoro: specie, habitat, paesaggio; aree protette; risorse genetiche; agricoltura; foreste;
acque interne; ambiente marino; infrastrutture e trasporti; aree urbane; salute; energia; turismo;
ricerca e innovazione; educazione, informazione e comunicazione; l'Italia e la biodiversità nel
mondo.
Nell’area di lavoro sul paesaggio si afferma che “è indispensabile avviare un confronto
metodologico e tecnico, ma anche politico, sulla nuova pianificazione paesaggistica per assicurare
una gestione del territorio che individui tra i suoi obiettivi strategici anche la conservazione della
biodiversità”.
PARTE TERZA
La governance
Capitolo primo
Tramonto della sovranità statale e diffusione del potere
1. Il diritto nel mercato globale.
Gli stati contemporanei presentano trasformazioni profonde che li hanno sempre più
allontanati dal modello dello Stato di diritto, proprio del liberalismo e del positivismo ottocentesco,
incentrato sul predominio dei codici e della fonte legislativa.
Secondo Natalino Irti la storia del secolo scorso ha rivelato, sotto il profilo delle vicende
legislative, un radicale indirizzo centrifugo. Mentre il secolo diciannovesimo ha fatto convergere
nei codici civili l’immagine di una società laica e moderna, il secolo scorso ha sgretolato, insieme
con il potere statale, i suoi simboli più alti e suggestivi e la fuga dal codice civile si è intensificata
ed allargata a mano a mano che gruppi sociali hanno strappato, dopo aspri e tormentati negoziati
con i poteri pubblici, leggi particolari e tavole di privilegi: la crisi della centralità del codice è solo
un’immagine della crisi dello stato moderno e dell’emersione storica di gruppi e classi, di categorie
economiche ed élites che esigono specifici statuti e tavole di diritto58.
Si assiste così ad un sostanziale ritorno a quel particolarismo giuridico, cioè a trattamenti
normativi differenziati, che aveva rappresentato il principale bersaglio dei promotori delle
codificazioni ottocentesche.
Nel commercio internazionale si afferma la lex mercatoria, espressione con la quale si
designa un diritto derivante dagli usi, dai contratti e dai regolamenti degli ordini professionali nel
campo del commercio internazionale, applicato dagli arbitri, scelti dalle parti in alternativa ai
58
N.IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1979, p.38. Dello stesso autore si veda inoltre: Tramonto della sovranità
e diffusione del potere, in Dir. e soc., 2009, p.465.
13
giudici nazionali, nelle decisioni delle controversie tra operatori commerciali di paesi diversi. La lex
mercatoria ha da tempo superato la frammentazione dei diritti nazionali, rispondendo alle esigenze
della globalizzazione dei mercati59.
Secondo Ferrara, la lex mercatoria si profilerebbe coma la fondamentale e più attuale forma
espressiva concreta del diritto nell’era della globalizzazione, e anzi come il diritto tout court60.
L’avvento della società post-industriale non reclama, come reclamò l’avvento dell’era
industriale, profonde riforme legislative: il quadro del diritto codificato resta immutato. Ma resta
immutato perché sono altri, non già le leggi, gli strumenti mediante i quali si attuano le
trasformazioni giuridiche.
Il predominio della legge si riduce e modifica la tradizionale teoria delle fonti del diritto. Le
concezioni classiche del diritto - argomenta Francesco Galgano - non collocano la sentenza e il
contratto tra le fonti normative, ma, se continuassimo a concepire il contratto e la sentenza come
mere applicazioni del diritto e non come fonti di diritto nuovo, ci precluderemmo la possibilità di
comprendere in qual modo muta il diritto nel nostro tempo61.
2. Dallo statalismo al pluralismo.
Il tramonto della sovranità statale è il portato della perdita di centralità dapprima sul piano
istituzionale, a favore degli enti territoriali sovraordinati e subordinati allo Stato (l’Unione europea
e le altre organizzazioni internazionali quali Nato, Omc, Fmi, ecc., da un lato; regioni, province,
comuni, dall’altro), e poi su quello sociale, a favore di organizzazioni autonomamente esponenziali
di realtà sovraindividuali più o meno circoscritte dal punto di vista geografico e funzionale
(autonomie funzionali, associazioni e fondazioni, espressione delle più varie finalità istituzionali).
La politica ed il governo stanno diventando sempre più policentrici, afferma Paul Hirst. Gli
Stati nazionali costituiscono soltanto uno dei livelli di un complesso sistema di organi di governo
sovrapposti e in competizione. Alcuni di questi non sono affatto pubblici, bensì governi privati o
associazioni volontarie della società civile62.
Per rispondere alla nuova architettura istituzionale di una società postliberale occorre che i
progetti di democratizzazione e di riforma attraversino il confine tra società civile e Stato, che
affrontino esplicitamente le questioni più generali dei poteri di controllo di tutte le organizzazioni e
non limitino la cura al governo e allo Stato. Occorre rendere “pubblica” la società civile – prosegue
Hirst -, accettarne le organizzazioni come poteri di governo sui quali i cittadini i cui interessi sono
in gioco possano intervenire in misura proporzionale al loro coinvolgimento e ai rischi che corrono i
loro interessi63. L’associazionismo ha la duplice qualità di consentire tanto la cooperazione quanto il
mercato, ed è una risposta diretta al problema di democratizzare una struttura organizzativa
postliberale, in quanto si prefigge di promuovere un governo mediante associazioni volontarie
democratiche64.
3. La pubblica amministrazione tra autorità e consenso.
Nell’ultima parte del secolo scorso si è registrato un cambiamento radicale nel rapporto tra
cittadini e amministrazioni pubbliche, con la perdita, da parte di queste ultime, della originaria
posizione privilegiata e l’assoggettamento ai principi del diritto comune65.
L’avvento dello Stato pluriclasse ha determinato un temperamento degli aspetti più
autoritativi dell’azione amministrativa ed un aumento dell’utilizzo da parte della pubblica
59
F.GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 1993, p.213.
R.FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, Roma-Bari, 2005, p.251.
61
F.GALGANO, Le fonti del diritto nella società post-industriale, in Soc.dir, 1990, p.158.
62
P.HIRST, Dallo statalismo al pluralismo. Saggi sulla democrazia associativa, Torino, 1999, p.162.
63
Ibidem, p.43.
64
Ibidem, p.48-49.
65
S.CASSESE, Il cittadino e l’amministrazione pubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, 1019.
60
14
amministrazione dello strumento contrattuale, con preferenza per soluzioni concordate che evitino
decisioni unilateralmente imposte in via autoritativa, oppure prese solitariamente66.
Perché si è sviluppata la produzione di politiche pubbliche mediante accordi, anziché
mediante il ricorso all’autorità? A che cosa si deve questa mutazione, che ha oramai impregnato
tutti i principali settori dell’intervento pubblico? A queste domande Luigi Bobbio risponde che la
contrattualizzazione delle politiche pubbliche è la risposta alla crescente incertezza che circonda il
contenuto delle scelte pubbliche. E’ insomma il modo, sicuramente imperfetto ma difficilmente
aggirabile, per governare la frammentazione e per governare l’incertezza67.
La scelta di imporre all’amministrazione il ricorso al modulo negoziale pone però al centro
dell’attenzione il consenso (e l’interesse) del destinatario diretto dell’atto e relega sullo sfondo
quello della collettività come destinataria generale dell’azione amministrativa.
Il consenso meritevole di essere perseguito – precisa quindi Carpentieri - consiste
nella adesione democratica alle scelte amministrative da parte della maggioranza dei cittadini (tutti
“destinatari”, diretti o indiretti, della funzione), non il consenso del destinatario diretto dell’atto
quale elemento strutturale essenziale per la produzione dell’effetto nell’ambito del modulo giuridico
negoziale non autoritativo68.
La sussidiarietà orizzontale è un rimando orizzontale alla società civile e allo stesso modo è
un impiego della stessa come risorsa per l’utilità sociale e generale. Infatti, qualunque discorso sul
nuovo ruolo della società civile, o sul riemergere del suo ruolo, trova oggi il suo ancoraggio nell’art.
118, ultimo comma, della Costituzione69.
Il principio di sussidiarietà orizzontale sembra giocare un ruolo fondamentale nel favorire la
responsabilizzazione dei privati, singoli e nelle loro forme associative, proprio in relazione alla
delicatezza della materia, nei confronti dell’ambiente70: l’insieme dei soggetti che curano l’interesse
generale in campo ambientale è oramai del tutto pluristrutturato dal momento che assieme ai
soggetti pubblici istituzionalmente competenti, svolgono ruoli sempre più attivi oltre ai cittadini le
associazioni e le stesse imprese71.
Capitolo secondo
La governance
1. Governance e democrazia partecipativa.
Il ridimensionamento del ruolo dello Stato e degli approcci autoritativi da parte della
66
M.S.GIANNINI, L’amministrazione pubblica dello Stato contemporaneo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto
da SANTANIELLO, vol.I, Padova, 1988. Sull’argomento: Autorità e consenso nell’attività amministrativa, in Atti del
XLVII Convegno di Varenna, Milano, 2002; F.FRACCHIA, L’accordo sostitutivo, Padova, 1998; PORTALURI, Potere
amministrativo e procedimenti consensuali, Milano, 1998; BERTI, Il principio contrattuale nell’attività amministrativa,
in Scritti in memoria di Massimo Severino Giannini, Milano, 1988; BASSI, Autorità e consenso, in Riv. trim. dir. pubbl.,
1992, 744; LEDDA, in Il Foro amministrativo, 5,1997, pp.1561 e ss.; ALLEGRETTI, Legge generale sui procedimenti
amministrativi e moralizzazione amministrativa, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III, Milano, 1988, 7.
67
L.BOBBIO, Le politiche contrattualizzate, in C.DONOLO (a cura di), Il futuro delle politiche pubbliche, Milano, 2006,
p.69.
68
P.CARPENTIERI, L’azione amministrativa e la sua inaggirabile specialità, in www.giustizia-amministrativa.it.
69
Al riguardo il Consiglio di Stato ha precisato che “accanto alle note categorie del pubblico e del privato, occorrerebbe
distinguere la categoria del privato sociale, originaria e autonoma rispetto allo Stato e al mercato”, e che “il principio di
sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 comma 4 cost., costituisce il criterio propulsivo in coerenza al quale deve da
ora svilupparsi, nell’ambito della società civile, il rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalità
di carattere collettivo. Ciò trova riscontro in una visione secondo cui lo Stato e ogni altra Autorità pubblica proteggono
e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie
individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale
e si impegnano direttamente per la realizzazione di quelle che sono avvertite come utilità collettive, come esigenze
proprie della comunità di cui fanno parte” (Cons.Stato, Atti normativi, 6 marzo 2002, n.1354).
70
S.AMOROSINO, Ambiente e privatizzazione delle funzioni amministrative, in S.GRASSI, F.CECCHETTI, A.ANDRONIO (a
cura di), Ambiente e diritto, II, Firenze, 1999.
71
F. DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione del rischio, Milano, 2005, p.228.
15
pubblica amministrazione, il riconoscimento costituzionale della sussidiarietà orizzontale, il
consolidarsi della trasparenza, informazione e partecipazione pubblica, sono fattori che
contribuiscono alla crescita e diffusione di un modello di governance72. Far condividere le
decisioni, invece che imporle, ottenere l’obbedienza senza emettere dei comandi, prevenire i
conflitti, piuttosto che risolverli, costituiscono tendenze e tratti caratteristici della governance73.
Ampio è il dibattito su democrazia partecipativa, democrazia deliberativa e democrazia
associativa74. Umberto Allegretti e Massimo Paci ritengono che si potrebbe collegare la democrazia
partecipativa alla nozione di governance, in quanto essa appare in effetti una qualificazione di una
parte delle procedure della governance, nel quadro del passaggio più generale dal government alla
governance caratteristico del nostro tempo, anzi rilevando che è ragionevole pensare che lo sviluppo
della governance favorisca quello della democrazia partecipativa75.
Rispetto alle strategie riformiste di government (ove il ricorso a strumenti di partecipazione è
finalizzato a logiche di costruzione del consenso), la governance assume il profilo di una
contestazione più radicale dei modi e delle premesse dell’azione di governo che, nella prospettiva
del government, viene condotta secondo logiche di sostanziale rimozione delle capacità di autoorganizzazione sociale e secondo uno schema duale, quello della separazione binaria tra “decisori”
e “destinatari delle decisioni”, ove agli specialisti della politica (politici, amministratori, esperti) è
affidata la risoluzione dei problemi sociali attraverso il miglioramento delle tecniche di governo.
Proprio questa logica duale è attaccata nei suoi fondamenti. Nuovi attori politici e sociali
scompongono e scompaginano giochi ed equilibri politici consolidati e più in generale le arene di
decisione si fanno affollate e plurali, differenziate, e si moltiplicano. Si pensi all’occasione
costituita dall’Unione Europea, dai suoi canali di finanziamento, dai sistemi di regolazione e
all’impatto che l’implementazione dei programmi comunitari ha in ambito locale; al proliferare di
autorità indipendenti, ai partenariati pubblico-privato, ai nuovi movimenti collettivi, ma anche alle
interdipendenze sempre più fitte tra livelli di governo e alle conseguenze dell’applicazione del
principio di sussidiarietà76.
Il tratto più caratteristico dell’ordine giuridico globale è l’inclusione dei privati e nel caso
della governance, l’inclusività si estende enormemente e si riferisce a svariate tipologie di attori:
gruppi di esperti e associazioni professionali, parti sociali ed espressioni della società civile,
imprese economiche e specialmente associazioni ambientaliste e movimenti sociali77.
La governance, afferma Ferrarese, non ha bisogno di proteggersi dalle interferenze private,
ma le invoca, sul presupposto di saperle elaborare e domare. Sempre più lontane appaiono quelle
regole e norme chiamate “leggi”, che erano create proprio dall’istituzione parlamentare. Diritto
contrattuale e diritto giudiziario sono i due eredi che si spartiscono una cospicua parte dell’eredità
della legislazione. Il profilo partecipativo appare pronunciato sia nel caso della governance
contrattuale, sia nel caso della governance giudiziaria. Si potrebbe anzi dire che la partecipazione
72
“La governance è un processo di governo in cui la funzione pubblica allargata coopera con attori privati nella
produzione di beni pubblici. La cooperazione può assumere forma partenariali o restare più informale. L’esito deve
essere una serie di effetti di governo su materie o ambiti specifici, o anche a livello di sistema. La governance produce
un’amministrazione pubblica postburocratica e responsabilizza gli attori privati in quanto portatori impliciti di funzioni
pubbliche. La governance è un processo sociale, politico e istituzionale molto esigente in termini di razionalità e
responsabilità. La governance è anche una risposta a diffuse situazioni di ingovernabilità”: C.DONOLO, M.SORDINI,
Lessico essenziale, in Il futuro delle politiche pubbliche, cit., p.69.
73
M.R.FERRARESE, La governance tra politica e diritto, Bologna, 2010,p.64.
74
Si veda in particolare: U.ALLEGRETTI, L’amministrazione dall’attuazione costituzionale alla democrazia
partecipativa, Milano, 2009; L.PELLIZZONI (dir.), La deliberazione pubblica, Roma, 2005; P.HIRST, Dallo statalismo al
pluralismo. Saggi sulla democrazia associativa, cit.
75
U.ALLEGRETTI, M.PACI, Democrazia partecipativa e processi di partecipazione, in http://www.astridonline.it/Forme-e-st/Studi--ric/Allegretti_Democrazia-partecipativa.pdf, p.5.
76
F.GELLI, L.MORLINO, Democrazia locale e qualità democratica. Quali teorie, in http://www.sisp.it/files/papers/2008/
francesca-gelli-leonardo-morlino-democrazia-locale-e-qualit-democratica.-quali-teorie.pdf, p.51-52.
77
M.R.FERRARESE, La governance tra politica e diritto, cit., p.57.
16
politica, che era tipica del processo politico democratico incentrato intorno ai partiti, è stata
ampiamente surrogata dalle forme partecipative proprie dei processi di governance78.
Se la legge tendeva a far riferimento a una supposta maggioranza, la governance tende a far
riferimento e a rispondere a una ratio di decentramento, che presta attenzione a individui, gruppi
comunità, minoranze e altre espressioni più o meno periferiche del sistema. Dunque la governance
segue un percorso di spostamento da una gestione del potere unitaria e accentrata, come quella che
produceva la legislazione, verso modalità plurali e decentrate, orientate verso funzionalità e fini
specifici79. Nelle forme di agire strategico, i soggetti non sono rivolti all’obbedienza a un
“comando”; piuttosto essi sono orientati a produrre esiti giuridici (sentenze, contratti, ecc.) che
rispondano al loro progetto di massimizzazione delle utilità e di affermazione dei propri interessi. Il
diritto della governance consiste insomma in regole che non hanno più un carattere dogmatico, non
provengono più da un “altrove”, come voleva la retorica del diritto legislativo europeo. Esso è
piuttosto un prodotto dell’azione competitiva di soggetti e gruppi animati da specifici obiettivi e
interessi80.
2. La governance europea.
Nel 2001 la Commissione europea ha pubblicato il Libro bianco sulla governance europea81
nel quale si legge che “i responsabili politici di tutta Europa sono oggi alle prese con un vero
paradosso: da un lato, gli Europei chiedono loro di risolvere i grandi problemi della nostra società,
dall'altro, questi stessi cittadini nutrono sempre minor fiducia nelle istituzioni e nelle politiche che
queste adottano, o finiscono per disinteressarsene. I cittadini si aspettano che l'Unione sia in prima
linea nel cogliere le possibilità di sviluppo economico e umano offerte dalla globalizzazione e nel
trovare risposte adeguate ai problemi ambientali, alla disoccupazione, ai timori relativi alla
sicurezza alimentare, alla criminalità e ai conflitti regionali”.
Più avanti, la Commissione europea riconosce che i cambiamenti necessari richiedono
l'impegno di tutte le altre istituzioni e, negli Stati membri attuali e futuri, delle amministrazioni
centrali, delle regioni, delle città e della società civile. In questo sforzo di stabilire contatti con i
livelli di governo inferiori e di incrementare la partecipazione pubblica, la governance europea
rappresenta una specificazione del principio di sussidiarietà.
Tra le proposte contenute nel Libro bianco ci sono quella di strutturare le relazioni
dell’Unione europea con la società civile82 e di “contribuire ad una definizione più chiara degli
obiettivi politici dell’Unione e rendere le politiche più efficaci, combinando gli atti legislativi
ufficiali con soluzioni non legislative e di autoregolamentazione, per facilitare tali obiettivi”83.
78
Ibidem, cit., p.207.
Ibidem, cit., p.112-3.
80
Ibidem, cit., p.116.
81
La governance Europea - Un libro bianco (COM/2001/0428), in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, n. 287 del
12/10/2001 pag. 1 – 29. Secondo lo stesso Libro bianco “il concetto di "governance" designa le norme, i processi e i
comportamenti che influiscono sul modo in cui le competenze sono esercitate a livello europeo, soprattutto con
riferimento ai principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza” (p.8). Secondo Roberto Segatori,
la governance in ambito politico è un “processo di elaborazione, determinazione e attuazione di azioni di policies,
condotto secondo criteri di concertazione e partenariato tra soggetti pubblici e soggetti privati o del terzo settore, in cui
tutti i soggetti partecipano al processo conferendo risorse, assumendo responsabilità, esercitando poteri e, di
conseguenza, usufruendo per quota parte dei benefici attesi dall’esito delle stesse policies”: R.SEGATORI, Governance e
politicità, in R.SEGATORI (a cura di), Mutamenti della politica nell’Italia contemporanea, Vol.II, Governance,
democrazia deliberativa e partecipazione politica, Rubettino, 2007, p.13.
82
“Un codice di condotta in materia di consultazioni individuerà le responsabilità e obbligherà tutte le parti in causa a
rispondere delle proprie azioni. Ciò potenzierà il dialogo e contribuirà all’apertura della società civile organizzata”: La
governance Europea – Un libro bianco, cit., p.35.
83
La governance Europea – Un libro bianco, cit., p.35.
79
17
Nel 2009, il Comitato delle regioni dell’Unione europea ha approvato il Libro bianco sulla
governance multilivello84. Per mettere in pratica la governance multilivello il Libro bianco
raccomanda la creazione di strumenti appropriati a sostegno della democrazia partecipativa,
soprattutto nel quadro della strategia di Lisbona, l'agenda sociale, la strategia di Göteborg e lo
sviluppo di meccanismi analoghi all'Agenda 21, ovvero meccanismi partecipativi e integrati che
formulano piani strategici a lungo termine” (pag.16) e di rafforzare la pratica del partenariato sia in
senso verticale (“enti regionali e locali – governo nazionale e Unione europea”) sia in senso
orizzontale (“enti regionali e locali – società civile”) e in particolare nel quadro del dialogo sociale
(pag.19).
3. La rivoluzione concettuale della governance.
Oltre che processi di coinvolgimento dei cittadini, i nuovi modelli di governance
promuovono anche processi di abilitazione degli stakeholders. In sostanza promuovono un
atteggiamento proattivo delle pubbliche amministrazioni non più confinate in un ruolo
amministrativo tradizionale, e neppure in un ruolo di regolazione, ma proiettate in un ruolo di
sollecitazione attiva della stessa società civile85.
I principi sui quali si basano questi nuovi percorsi sono quelli di apertura, partecipazione,
responsabilità, efficacia e coerenza che vanno a sostegno dei principi di proporzionalità e
sussidiarietà. Sono principi che esprimono la necessità di una forte elasticità nell’azione pubblica e
di un forte orientamento di essa al perseguimento di risultati previamente configurati in termini di
rendicontabilità.
Parlare di governance significa parlare della crisi dello Stato-nazione e del problema di
governare la complessità. Da qui – afferma Alberto Andronico – il tentativo di elaborare un nuovo
stile di governo, distinto dal tradizionale modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un
maggior grado di cooperazione tra soggetti pubblici e privati. Con la governance si assiste alla
perdita di presa sulla realtà sociale di un’intera architettura concettuale, quella propria del pensiero
giuridico e politico della modernità, la cui chiave di volta era costituita dallo Stato-nazione, con un
suo popolo, un suo territorio ed un centro di potere ben identificabile attraverso la figura del
sovrano86.
Di fronte alla contrapposizione tra Stato e mercato, la governance intende offrire una
risposta “complessa”: non si tratta di scegliere l’uno o l’altro, ma di ripensare i loro legami e le loro
interconnessioni. Meno Stato, ma non per questo puro mercato, scrive Andronico. E non solo. Meno
Stato non significa certo meno governo. Al contrario: si tratta di individuare una forma di direzione
e di controllo capace realmente di incidere sua una realtà oramai divenuta troppo complessa per
poter essere governata dall’alto e da un unico centro di potere. La governance viene così proposta
come l’unica possibilità attualmente praticabile per governare il mercato in chiave sociale, capace di
fare i conti sia con i limiti della pianificazione centralizzata che con l’anarchia strutturalmente
propria degli scambi economici. E questo proprio attraverso un più esteso coinvolgimento delle
varie componenti della cd. “società civile” alle dinamiche del governo, sia al momento della scelta
delle politiche pubbliche che sul piano della loro concreta realizzazione87.
Il diritto che entra in gioco quando si parla di governance è ancora un mezzo il cui fine,
però, non è più la costruzione dell’ordine sociale, ma il mantenimento di quel processo
comunicativo che è la condizione stessa per l’esistenza di una qualsiasi organizzazione, pubblica o
privata che sia.
84
Libro bianco del Comitato delle regioni sulla governante multilivello, 17-18 giugno 2009 (CONST-IV-020), in
Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C/211 del 4/9/2009. Secondo il Libro bianco si “intende per governante
multilivello un’azione coordinata dell’Unione, degli Stati membri e degli enti regionali e locali fondata sul partenariato
e volta a definire e attuare le politiche dell’UE”.
85
P.DE CARLI, L’emersione giuridica della società civile, Milano, 2006, p.62.
86
A.ANDRONICO, Governance, in B.MONTANARI (a cura di), Luoghi della filosofia del diritto. Un manuale, Torino,
2009, p.254
87
Ibidem, p.257.
18
Non è un mezzo di cui il potere legittimo si serve, quindi, per realizzare fini già individuati a
tavolino, ma una tecnica che dovrebbe garantire tanto la legittimità quanto l’effettività del potere
attraverso una sempre più estesa partecipazione dei singoli interessati alla scelta delle politiche
pubbliche e alla stessa selezione dei problemi cui si intenderebbe far fronte. Si tratta di decidere
insieme, e innanzitutto di decidere insieme quando e cosa decidere. Non è più in gioco, dunque, un
sistema di norme. Ma un processo capace di individuare al proprio interno gli obiettivi da
perseguire, imparando – riflessivamente – anche dai propri fallimenti. In ciò risiede – sottolinea
Andronico – il carattere autenticamente “rivoluzionario” della governance, peraltro raramente
sottolineato. Se questo è vero – prosegue Andronico – si capisce il motivo per cui della governance
si sono finora occupati, prevalentemente (anche se non esclusivamente), sociologi, economisti,
studiosi delle organizzazioni aziendali, filosofi della politica, e non filosofi del diritto. O
quantomeno non si parla del diritto così come siamo abituati a parlarne. Insomma: non si parla della
legge, intesa come misura esterna all’azione88.
Ma, appunto: il fatto che non si parli più del diritto così come la modernità ci ha abituato a
parlarne non significa, a ben vedere, che non se ne possa parlare in altro modo. Anzi. La sfida che la
governance sembra proporre è proprio quella della costruzione di una nuova grammatica, diversa da
quella moderna: che come tutti gli ordini del discorso ha una storia, una vita, uno sviluppo ed una
fine, forse proprio quella cui stiamo assistendo oggi. Del resto, non è certo un caso se da più parti si
è parlato di un paradossale “ritorno al futuro”: come se il nostro futuro, e per certi versi già il nostro
presente, fosse destinato a somigliare al nostro passato remoto, piuttosto che al nostro passato
prossimo. Provocatoriamente, infatti, può sorgere il sospetto che, qualora si fosse dovuto
confrontare con un fenomeno come quello della governance, un giurista medievale sarebbe stato più
attrezzato di un nostro contemporaneo89.
Capitolo terzo
La governance ambientale
1. La governance mondiale.
Nella governance mondiale il diritto internazionale si confonde con le relazioni
internazionali per dare vita ad un universo istituzionale meno formale e più aperto ai privati con i
quali gli stati creano un alto grado di collaborazione: ad esempio, sottolinea Ferrarese, si
costituiscono dei “network regolativi” in tema di ambiente perché la regulation non riesce più a
stare entro i confini statali e richiede un allargamento dei riferimenti90.
Il secondo “pilastro” della Convenzione di Aarhus, prevede la pubblica partecipazione ai
processi decisionali in materia ambientale e rappresenta la naturale continuazione del diritto di
accesso sulla strada della realizzazione di una governance ambientale improntata a criteri di
democrazia partecipativa.
La Convenzione di Aarhus esalta il ruolo della società civile e, soprattutto, degli enti
esponenziali attivi nel campo ambientale, nella convinzione che piani, programmi e politiche
ambientali debbano essere basate sul confronto con i soggetti sociali interessati e tradursi in
strategie condivise, prevedendo che la partecipazione del pubblico debba essere garantita nella fase
iniziale del processo decisionale in materia ambientale, “quando tutte le alternative sono ancora
praticabili e tale partecipazione può avere un’influenza effettiva”.
Le organizzazioni non governative (ONG), pur essendo organizzazioni private, partecipano
alla governance mondiale in quanto perseguono fini di pubblico interesse nelle aree più diverse,
quale la tutela dell’ambiente, o dei consumatori o la garanzia dei diritti fondamentali, o la lotta
88
Ibidem, p.258.
Ibidem, p.259.
90
M.R.FERRARESE, La governance tra politica e diritto, cit., p.126.
89
19
contro il traffico d’armi, o altri possibili fini di pubblico interesse che, per essere perseguiti,
richiedono un’organizzazione di tipo transnazionale91.
La transnazionalità e l’indipendenza dagli stati consente alle ONG di dar voce ad un nuovo
tipo di “pubblico interesse” della cosiddetta “società civile globale”, intesa come non solo diversa,
ma addirittura opposta al mondo degli stati. In altri termini, via via che emergono alcuni interessi su
scala globale, ci si accorge che, per proteggerli, non serve tanto internazionalizzarli, quanto
denazionalizzarli92.
Altro soggetto privato non statale che partecipa al processo giuridico globale sono le
corporations e le law firms, che vanno considerate congiuntamente in quanto le seconde sono il
braccio giuridico delle prime. E’ grazie al lavoro giuridico delegato alle law firms che le grandi
imprese possono funzionare come attori giuridici globali, pur non apparendo tali93.
2. La governance ambientale italiana.
L’art.3-ter del d.lgs.n.152 del 2006, rubricato “principio dell’azione ambientale”, dispone
che “la tutela dell’ambiente … deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle
persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai
principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei
danni causati all’ambiente”.
La giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che, con tale articolo, “viene in questo modo
consacrato il modello di 'governance ambientale', ossia di un modello di gestione dei beni
ambientali non più ispirato al classico modello gerarchico ma ad un nuovo stile di governo
caratterizzato da un maggior grado di cooperazione ed interazione tra poteri pubblici da una parte
ed attori non statuali dall’altra parte (realtà economica e realtà sociale)”94.
Ed ancora che “la governance ambientale presuppone, in chiave di progressiva
democratizzazione dei processi decisionali in subiecta materia e nell’ottica del principio di
sussidiarietà orizzontale di cui all’art.118, quarto comma, Cost., la necessità di visione comune
intorno ad un problema, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati per raggiungere risultati
migliori”95.
La governance ambientale si sostanzia nella ricerca di forme di gestione che favoriscono la
coerenza, la convergenza e la sinergia tra le azioni che competono ai diversi soggetti operanti sul
territorio, sia in senso verticale (dai poteri locali ai poteri globali), sia in senso orizzontale, tra le
diverse politiche settoriali e tra i diversi “saperi” (compresi quelli incorporati nelle culture locali)
che in vario modo incidono sui processi di trasformazione ambientale96.
La disciplina del procedimento amministrativo registra, inoltre, una evoluzione verso le
forme partecipate con l’ampliamento della partecipazione nella conferenza di servizi, Vas, Via,
Vinca, Aia, ecc.
La governance ambientale è uno strumento utile anche per superare quella che Salvatore
Settis definisce “una fra le maggiori cause della presente devastazione del nostro paesaggio: la
perpetua conflittualità Stato-Regioni, ulteriormente cresciuta dopo la riforma del titolo V della
Costituzione”97.
PARTE QUARTA
Nuovi modelli di gestione dell’ambiente
91
F.MUNARI,L.SCHIANO DI PEPE, Diritto internazionale dell’ambiente e ruolo dei ‘non-State actors’: alcuni recenti
sviluppi, in La com.intern., 2006, p.483.
92
M.R.FERRARESE, La governance tra politica e diritto, cit., p.110.
93
Ibidem, p.108.
94
TAR Puglia-Lecce, sez.I, n.1786 del 7 luglio 2009.
95
TAR Puglia-Lecce, n.1786/2009, cit.96
R.GAMBINO, Parchi e continuità ambientale: da Caracas a Barcellona,in F.FERRONI, B.ROMANO, Biodiversità,
consumo del suolo e reti ecologiche. La conservazione della natura nel governo del territorio, 2010, p.56.
97
S.SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, cit., p.195.
20
1. I nuovi modelli in generale.
Ad un primo sguardo, il sistema del “comando e controllo”, cioè l’imposizione di un divieto,
accompagnata dalla minaccia di sanzioni a carico dei trasgressori, parrebbe concretare la più
semplice e abituale misura dissuasiva, anche nella tutela dell’ambiente.
Però tale sistema, basato esclusivamente sull’uso di strumenti autoritativi affidati al potere
legislativo o alla pubblica amministrazione si caratterizza per eccessiva rigidità e centralismo,
considerato che l’imposizione di medesimi standard in situazioni reali assai diverse rischiava di
provocare squilibri richiedendo “sacrifici troppo alti ad alcuni ed impegni troppo blandi ad altri”98.
In tale prospettiva ben si comprende come un siffatto approccio giuridico – adottato nel
periodo di costruzione delle fondamenta del diritto comunitario ambientale e realizzato pressoché
esclusivamente sull’imposizione di prescrizioni e standard – abbia suscitato giudizi negativi e
soprattutto prodotto risultati deludenti dopo i primi decenni di applicazione di strumenti
esclusivamente autoritativi che si sono rivelati “inefficaci, inidonei al raggiungimento degli obiettivi
costosi e inefficienti in sede di applicazione”99.
Secondo Maurizio Cafagno il titolo di un lavoro di Elinor Ostrom “riassume bene il
messaggio che va stagliandosi in queste conclusioni: né mercato né Stato nella gestione delle
risorse collettive. Invero nessuno dei due è autosufficiente ed entrambi occorrono, poiché i difetti
dell’uno sono mitigati e compensati dai pregi dell’altro. La complessità evolutiva del sistema rende
velleitaria ogni presunzione di comando e controllo, all’insegna della rigidità e dell’accentramento.
L’indivisibilità funzionale del sistema condanna a pericolosi insuccessi ogni avventato programma
di privatizzazione delle sue componenti. Come spesso accade, in materia di commons, le soluzioni
vanno cercate nella flessibile e adattativa integrazione di strumenti diversi”100.
2. Segue: l’intesa.
L’esercizio del potere finalizzato alla funzione pubblica deve rispettare le regole intrinseche,
non scritte, di logicità e imparzialità, che sono desumibili dall’articolo 97 della Costituzione (oltre
che dai principi di logicità essenziali al diritto come discorso e come prodotto culturale).
Carpentieri sostiene che queste regole si compendiano nel canone della razionalità pratica
dell’agire comunicativo orientato all’intesa che caratterizza (deve caratterizzare) la pubblica
funzione. Dove l’orientamento all’intesa deve essere assunto – con Habermas - non già come
finalizzazione dell’azione all’accordo, nel senso di modulo consensuale di produzione dell’effetto
giuridico, bensì come esclusione e divieto dell’orientamento strategico dell’azione amministrativa,
in chiave egoistica e conflittuale con l’interlocutore (cooperatore sociale). L’intesa – cui è (deve
essere) orientato l’agire comunicativo dell’amministrazione – consiste nella condivisibilità del
valore di verità e di giustezza normativa delle proposizioni in cui l’azione medesima si fa e si
esprime (provvedimenti amministrativi razionalmente giustificabili). E’ vietato all’amministrazione
porre in essere azioni di tipo strategico (egoistico), volte al conseguimento del risultato perseguito
al di fuori di una riscattabilità del valore di verità dei propri assunti, posti a base della scelta operata.
Questa riscattabilità deve soddisfare un quadruplice criterio di giustificazione razionale: un primo
criterio (teleologico) di corrispondenza ai fini (ai valori) dati dalla legge; un secondo criterio
(proposizionale) di verità riguardo ai presupposti di fatto assunti a base della decisione
amministrativa; un terzo criterio (deontologico) di giustezza normativa (in base a regole giuridiche
procedurali e sostanziali); infine, un quarto criterio (empirico) di razionalità, proprio dell’agire
orientato a uno scopo pratico-sociale (non strategico, ma orientato all’intesa comunicativa), che si
riassume nella proporzionalità dei mezzi rispetto ai fini.
98
M.CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, come sistema complesso, adattativo, comune, cit., p.337.
S.NESPOR, I contratti ambientali: una rassegna critica, in Dir.pubbl.comp. ed eur., 2003, p.962.
100
M.CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, come sistema complesso, adattativo, comune, cit., p.441442.
99
21
L’intesa con il privato, che rileva e connota l’agire amministrativo, non è da intendersi
dunque nel senso dell’accordo con il destinatario dell’azione come modello consensuale di
produzione giuridica, bensì nel senso di telos linguistico in cui si inscrive la ragione comunicativa
di cui l’atto deve essere espressione, ossia della necessità di una ricerca, da parte
dell’amministrazione procedente, di conclusioni vere, giuste e proporzionate, sul cui valore
illocutivo proposizionale, normativo e pratico-razionale sia ragionevolmente possibile intendersi col
destinatario. Non è l’accordo in quanto negozio giuridico che deve essere ricercato, ma è l’intesa
epistemica e conoscitiva, come condivisione e consenso sulla verità dei presupposti di fatto, sulla
giustezza normativa delle ragioni giuridiche della decisione e sulla proporzionalità dei mezzi
prescelti, che deve costituire l’obiettivo e il criterio di razionalità della scelta amministrativa. Non è
il consenso immediato del diretto interlocutore dell’atto (quale elemento strutturale e della
fattispecie condizionante la produzione degli effetti), ma il consenso mediato della collettività nel
lungo periodo sulla razionalità (proposizionale, deontologica, assiologia e pratica) delle scelte
amministrative, ciò che davvero merita di essere perseguito.
Nella società del rischio e di risorse scarse, il principio di precauzione e dell’azione
preventiva impone come principale criterio di razionalità nell’azione della pubblica
amministrazione quello della programmazione e della pianificazione101.
Infine la controllabilità (e, quindi, la ricorribilità giurisdizionale, la giustiziabilità degli atti)
è condizione indefettibile della razionalità e della garanzia di verità dell’azione amministrativa. La
motivazione è il riscatto argomentativo della pretesa di verità e di giustezza normativa contenuta
nella decisione amministrativa. Il procedimento e la motivazione sono coessenziali all’azione
amministrativa come azione razionale orientata all’intesa e al perseguimento di scopi di pubblica
utilità102.
3. Segue: la giurisdizione.
L’influenza crescente della giustizia sulla vita collettiva è stato uno dei fatti politici più
significativi della fine del secolo scorso e tale è ancora oggi 103. Il superamento dello Stato
assistenziale ed il suo indebolimento per la pressione del mercato, la perdita di centralità della legge
in favore dei principi di valore superiore quali la Costituzione, i trattati internazionali e
l’ordinamento comunitario, sono fattori che ampliano il ricorso alla giurisdizione ed il ruolo della
magistratura, sempre più chiamata a sopperire alle inadeguate risposte del legislatore, del governo,
della politica. Il luogo simbolico della democrazia migra silenziosamente dallo Stato verso la
giustizia104.
Nelle riflessioni dei sociologi sul fenomeno della globalizzazione, è frequente il rilievo che
sta mutando il ruolo del giudice, che da “distributore automatico di diritto”, si sta sempre più
sostituendo alla legge come fonte del diritto stesso. Considerazioni analoghe vengono svolte dalla
dottrina giuridica, che segnala uno stato d’animo tendente a “rivalutare il momento
giurisprudenziale del diritto”, essendo convinzione oramai diffusa che il compito di adeguare il
diritto alla realtà storico-sociale spetti anche al giudice, tant’è che si considera la sua opera come
fonte, concorrente e strumentale, di produzione giuridica105. Il fatto che il giudice sia anche un
101
L.PENNACCHI (a cura di), Pubblico, provato, comune. Lezioni dalla crisi globale, cit.- Sul confronto tra
pianificazione territoriale e libero mercato, si veda: R.CAMAGNI, Liberalismo contro pianificazione? Una idiosincrasia
non autorizzata dalla teoria economica, in Archivio di studi urbani e regionali, n.90/2007.
102
P.CARPENTIERI, L’azione amministrativa e la sua inaggirabile specialità, cit.103
S.RODOTÀ, Repertorio di fine secolo, Bari, 1992, p.169.
104
A.GARAPON, I custodi dei diritti, Milano, 1997, p.33. S.RODOTÀ, cit., p.177.
105
F.SAITTA, Valore del precedente giudiziale e certezza del diritto nel processo amministrativo del terzo millennio, in
Dir.amm., 2005, p.585; G.ALPA, La creatività nella giurisprudenza, in Diritto e processo. Studi in memoria di
A.Giuliani, Napoli, 2001, pp.6 ss.; S.CHIARLONI, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo diritto, in
Riv.trim.dir.proc.civ., 2002, p.1 ss.-
22
legislatore è oramai considerato “un’ovvia banalità”106. Ma, rileva Gustavo Zagrebelsky, i giudici
non sono i padroni del diritto nello stesso senso in cui il legislatore lo è stato in passato. Essi sono
più propriamente i garanti della complessità strutturale del diritto nello Stato costituzionale, cioè
della necessaria, mite, coesistenza di legge, diritti e giustizia. Tra Stato costituzionale e qualsiasi
“padrone del diritto” c'è una radicale incompatibilità. Il diritto, conclude Zagrebelsky, non è oggetto
della proprietà di uno ma deve essere oggetto delle cure di tanti107.
La globalizzazione ci pone di fronte al fatto evidente che il diritto è elaborato principalmente
da élites di professionisti. La lex mercatoria è prodotta nei grandi studi transnazionali di Londra, di
New York, di Parigi. In realtà il diritto è sempre stato elaborato sostanzialmente dai giuristi. La
legge del legislatore ha sempre dovuto inserirsi, trovare il suo spazio, nel diritto di elaborazione
forense. Il contesto della globalizzazione rende semplicemente più evidente questo fenomeno,
perché tale elaborazione professionale del diritto non avviene più entro gli Stati, ma al di fuori dei
quadri di riferimento statali108.
Alla crisi della legge si accompagna quindi la crescita del ruolo della giurisdizione e del
contratto. Diritto giudiziario e diritto contrattuale sono i due eredi che si spartiscono una cospicua
parte dell’eredità della legislazione, e che finiscono per svolgere molti dei compiti in precedenza
svolti da essa. Il diritto diventa così un prodotto dell’azione competitiva di soggetti e gruppi animati
da specifici obiettivi e interessi109.
PARTE QUINTA
La tutela dell’ambiente nella governance
Capitolo primo
L’associazionismo nella tutela ambientale
1. Il ruolo dell’associazionismo ambientale.
La società civile globale è l’espressione organizzata delle opinioni diffuse nella collettività e
va considerata come una “pietra angolare delle democrazia moderna”, in particolare, le associazioni
ambientaliste hanno costituito il più esteso e influente movimento del nostro tempo e hanno formato
quella che è stata definita la “sfera pubblica verde”110.
La domanda sociale di tutela giudiziaria di interessi diffusi o collettivi è connessa a nuove
esigenze di qualità della vita e proprio le esigenze di tutela del paesaggio e dell’ambiente si sono
espresse in modo pressante e generale in tutte le società industrializzate111.
Numerosi studiosi concordano che l’associazionismo, il volontariato e le organizzazioni non
governative, siano realtà produttrici di senso civico e che vi è stato un ribaltamento di prospettiva
nel senso che le associazioni sono ora chiamate a legittimare le istituzioni e non viceversa. Esse
sono chiamate a ratificare che l’impegno delle istituzioni pubbliche è veramente rivolto a tutti. Il
terzo settore per l’ambiente è il luogo privilegiato per la verifica del senso civico, visto che la
questione ambientale impone di riflettere e cercare nuovi fondamenti del vivere comune o civile e
sollecita, quindi, la ricerca di un nuovo senso civico112.
106
M.CAPPELLETTI, Giudici legislatori?, Milano, 1984, p.14; C.GUARNIERI, P.PEDERZOLI, La democrazia giudiziaria,
Bologna, 1997, p.14.
107
G.ZAGREBELSKY, Il diritto mite,Torino, 1992, p.213.
108
P.G.MONATERI, A.M.MUSY, Globalizzazione e giustizia. L’impatto della globalizzazione sul sistema giuridico
italiano e sull’organizzazione degli studi legali, Milano, 2003, p.7.
109
M.R.FERRARESE, La governance tra politica e diritto, cit., p.116.
110
S.NESPOR, Il governo dell’ambiente. La politica e il diritto per il progresso sostenibile, Milano, 2009, p.217.
M.CASTELLS, La città delle reti, Venezia, 2004; R.LEWANSKI, Governare l’ambiente. Attori e processi della politica
ambientale: interessi in gioco, sfide, nuove strategie, Bologna, 1997, p.141 e ss.
111
A.PREDIERI, voce Paesaggio, in Enc.dir., cit., p528.
112
G.OSTI, L.PELLIZZONI, Partecipazione democratica e cooperazione nella tutela dell’ambiente, in
http://www.sociologia.unical.it/convegno99/ostipellizzoni.rtf, p.17.
23
Il volontariato ambientale in senso stretto produce senso civico come testimonianza e la
militanza produce senso civico come azione politica. Il primo produce in genere servizi ambientali,
il secondo produce critiche e proposte alle istituzioni sulle norme di tutela dell’ambiente. Negli
ultimi anni si è assistito ad un intreccio fra le due modalità: i gruppi ambientalisti più avvertiti
hanno promosso sia il volontariato in senso stretto che l’azione politica113.
Inoltre, le associazioni ambientaliste e i comitati sono ritenuti da Salvatore Settis soggetti
determinanti nella tutela, anche nella forma dell’azione popolare, dell’ambiente, del paesaggio e del
territorio che “sono un bene comune, sul quale tutti abbiamo, individualmente e collettivamente,
non solo un passivo diritto di fruizione, ma un attivo diritto-dovere di protezione e difesa. La
comunità dei cittadini nel suo insieme (ma anche il sottoinsieme formato da un’associazione
nazionale, provinciale, locale,…) è in questo senso un soggetto plurimo … che può dunque agire in
propria difesa come prevede l’art.118 della Costituzione” 114.
2. Le organizzazioni non governative in Europa.
Il Regolamento CE n.1367/2006 “Sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari
delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del
pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale”, nei considerando
precisa che “le organizzazioni non governative attive nel campo della tutela dell’ambiente che
soddisfino determinati criteri, in particolare finalizzati ad assicurare che siano organizzazioni
indipendenti e affidabili che abbiano dimostrato che il loro obiettivo primario è promuovere la
protezione dell’ambiente, dovrebbero essere legittimate a richiedere una revisione interna a livello
comunitario di atti adottati nel quadro della legislazione ambientale o di omissioni da parte di
un’istituzione o organo comunitario di deliberare in materia di legislazione ambientale nella
prospettiva di un riesame da parte dell’istituzione o organo in questione”.
L’art.11 dello stesso regolamento individua i seguenti criteri di legittimazione a livello
comunitario:
“1. Un’organizzazione non governativa può formulare una richiesta di riesame interno ai
sensi dell’articolo 10, a condizione che:
a) sia una persona giuridica indipendente senza fini di lucro a norma del diritto nazionale o della
prassi di uno Stato membro;
b) abbia come obiettivo primario dichiarato di promuovere la tutela dell’ambiente nell’ambito del
diritto ambientale;
c) sia stata costituita da più di due anni e persegua attivamente l’obiettivo di cui alla lettera b);
d) l’oggetto della richiesta di riesame interno rientri nel suo obiettivo e nelle sue attività”.
Con la decisione del 13 dicembre 2007115 la Commissione ha stabilito le modalità di
applicazione del citato regolamento n. 1367/2006 ed ha precisato (art.3) che “qualsiasi
organizzazione non governativa che presenta una richiesta di riesame interno di un atto o di una
omissione di natura amministrativa a norma dell’articolo 10 del regolamento (CE) n. 1367/2006,
deve provare la propria conformità ai criteri stabiliti all’articolo 11, paragrafo 1, di detto
regolamento, trasmettendo i documenti elencati nell’allegato alla presente decisione.
3. Enti non profit in Italia.
In Italia, l’art. 28, L. 26.02.1987, n. 49 definisce le organizzazioni non governative (ONG)
come quelle che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
Invece è l’espressione “enti non profit” che ricomprende i numerosi tipi di soggetti che
svolgono, con diversa forma giuridica, attività caratterizzate da rilevanza ideale e sociale, senza
finalità di lucro. La realtà degli enti non profit appare complessa, in quanto caratterizzata da una
varietà di soggetti giuridici, oltre che di campo di attività, che rende difficilmente inquadrabile e
113
Ibidem, p.23.
S.SETTIS, Paesaggio, costituzione, cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile, cit., p.311.
115
In Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 16.1.2008 L 13/24.
114
24
classificabile il settore. A livello giuridico, rientrano tra gli enti non profit diversi soggetti
individuati dal codice civile o da leggi speciali.
Secondo l’Agenzia per le onlus rientrano tra gli enti non profit: 1. Associazioni riconosciute
(artt. 14 ss. del c.c.); 2. Fondazioni riconosciute (artt. 14 ss. del c.c.); 3. Associazioni non
riconosciute (artt. 36 ss. del c.c.); 4. Comitati (artt. 39 ss. del c.c.); 5. Organizzazioni di volontariato
(L. 11.08.1991, n. 266); 6. Cooperative sociali (L. 08.11.1991, n. 381); 7. Associazioni sportive (L.
16.12.1991, n. 398); 8. ONG (Organizzazioni Non Governative) (art. 28, L. 26.02.1987, n. 49); 9.
Enti di promozione sociale (art. 3, comma 6, L. 25.08.1991, n. 287 e L. 07.12.2000, n. 383); 10.
Enti lirici (D.Lgs. 29.06.1996, n. 367); 11. Società di mutuo soccorso (L. 15.04.1886 n. 3818); 12.
Centri di formazione professionale (L. 21.12.1978, n. 845); 13. Istituti di patronato (L. 30.3.2001 n.
152, L. 27.3.1980, n. 112, DPR 22.12.1986, n.1017); 14. ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di
Utilità Sociale – D.Lgs. 4.12.1997 n.460)116.
L’elenco, per espressa precisazione della stessa Agenzia, non è esaustivo e vanno
sicuramente aggiunte le associazioni di protezione ambientale (art.13, L. 8.07.1986, n.349).
Dal punto di vista tributario, invece, rilevano la categoria degli “enti non commerciali”,
identificata dall’art. 73 (comma 1 lettera c e commi 2 e seguenti) e dall’art. 149 del Testo Unico
delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 917/1986), e quella delle Onlus, introdotta dal D.Lgs. 460/1997,
che costituisce un “contenitore” fiscale nel quale entrano o possono entrare vari soggetti giuridici in
possesso dei requisiti previsti dal citato decreto legislativo.
4. I comitati per la difesa dell’ambiente.
I conflitti ambientali hanno assunto, in tutti i paesi industrializzati, una rilevanza e un peso
notevoli in termini economici, ambientali e sociali. Il processo di localizzazione o di trasformazione
di grandi impianti e infrastrutture è quasi sempre fonte di forti opposizioni da parte di associazioni
ambientaliste o di comitati spontanei, che attraverso la loro azione bloccano, ritardano o modificano
i progetti iniziali.
Per definire tale fenomeno si è parlato di effetto o sindrome “Nimby” (not in my back-yard).
Secondo l’Osservatorio Nimby Forum che analizza “le motivazioni che sono alla base dei fenomeni
di contestazione ambientale territoriale”, nel “2009 sono 283 gli impianti che, indipendentemente
dal loro stato di avanzamento – siano essi solo ipotesi di progetto o impianti già in funzione – sono
stati oggetto di opposizione da parte dei territori interessati dal loro insediamento”.
Il fenomeno è meglio e più correttamente descritto nel dossier del WWF del 3 dicembre 2010
a cura di Stefano Lenzi, responsabile del settore legislativo, intitolato “Sindrome nimby no grazie. I
veri motivi dei ritardi sulle grandi opere”117 nel quale si dà conto del fatto che la citata ricerca è
stata condotta da una società privata e “che non ha alcun riscontro nella realtà e, di conseguenza,
non ha alcuna rilevanza nei più importanti studi e indagini ufficiali pubblicati in questi anni sulle
grandi opere, identificate in Italia nelle cosiddette “infrastrutture strategiche”.
Infatti, si legge nello stesso dossier, che la dimensione del contenzioso generato dalle
associazioni ambientaliste è molto modesta e che “il CIPE ha fornito il 28 luglio 2009 il quadro
aggiornato del contenzioso sulle infrastrutture strategiche, che è composto a quella data da 259
ricorsi amministrativi e giurisdizionali: 176 promossi da privati (aziende o singoli cittadini, ad es.
espropri), 62 promossi da enti pubblici e 21 da associazioni (comprese le organizzazioni dei
consumatori). Quindi, come si può facilmente vedere, solo l’8,1% dei ricorsi sarebbe promosso da
associazioni varie tra cui quelle ambientaliste”.
Questi dati sono stati forniti dal WWF anche per contrastare “la proposta di legge AC 2271
recante “Modifica dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 in materia di responsabilità
116
Linee guida e schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti non profit, Agenzia per le onlus, Atto di
indirizzo, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. 21 marzo 2001 n. 329, approvato dal Consiglio dell’11
febbraio 2009, pp.6-7.
117
Http://www.wwf.it/UserFiles/File/News%20Dossier%20Appti/DOSSIER/Istituzionale/SindromeNimby_NoGrazie_
DossierWWF.pdf
25
processuale delle associazioni di protezione ambientale”; in estrema sintesi viene giustificata dalla
evidenza che la cosiddetta sindrome “Nimby” (not in my back yard) determini un costante ritardo
del cantiere Italia, sino addirittura a paralizzarlo, e che questa sia generata da un egoismo
territoriale alimentato dalle associazioni ambientaliste riconosciute a livello nazionale che
avrebbero un atteggiamento irresponsabile nell’ingenerare un contenzioso giudiziario”.
Il sorgere di numerosi comitati a difesa dell’ambiente, quasi sempre affiancati dalle
associazioni ambientaliste, è uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi anni ed evidenzia la
crescente e diffusa attenzione dei cittadini alle tematiche ambientali.
Alberto Asor Rosa, coordinatore e promotore della Rete dei Comitati per la difesa del
territorio partita dalla Toscana, con riferimento ai comitati ed alla realtà principalmente toscana,
parla a tale proposito di neoambientalismo “per distinguerlo dall'esperienza storica (per carità,
positivissima) di altre associazioni ambientaliste più centralizzate e gerarchizzate”. Ritiene che
l’obiettivo sia “di creare, non una Rete nazionale, ma una Rete di Reti, coerentemente con lo spirito
del neoambientalismo, che non prevede, né in loco né fuori, rapporti gerarchici di direzione” e
auspica un “salto di scala” ed una crescita dal basso “ma solo se si contestualizzano e si
organizzano, su di un orizzonte strategico più vasto, gli innumerevoli focolai locali” 118.
L’importante esperienza dei comitati sembra in tal modo volersi affrancare dalla dimensione
locale ed occasionale, per approdare ad un orizzonte più vasto e stabile, quello stesso orizzonte sul
quale riflettono ed operano da tempo le associazioni ambientaliste.
Capitolo secondo
Le associazioni ambientaliste
1. La partecipazione qualificata alla governance ambientale.
La partecipazione al procedimento amministrativo avvicina “il nuovo cittadino” ai meandri
prima inaccessibili di un potere pubblico costretto a “democratizzarsi”119. Osserva però Ferrara che
se questo è vero non si può tacere il fatto che, accanto alla partecipazione come “mito”, alla
partecipazione come “diritto” si colloca la partecipazione come onere, e come onere greve e
fastidioso120.
Le formule altamente seducenti con cui il fenomeno della partecipazione procedimentale
viene talora spiegato (“il nuovo cittadino” che è chiamato a conquistare spazi crescenti nel corpo
vivente delle istituzioni) finiscono per provare troppo – o troppo poco! – e, soprattutto, concorrono
a delineare, suggestivamente, straordinari “quadri fantastici” dai quali la realtà risulta solo in parte
interpretata e spiegata e, più spesso, deformata. Il “nuovo cittadino”, le cui attribuzioni e facoltà
sono certamente in crescita, apparirà, semmai, come il partecipante “laico” e non professionista, ma
saranno soprattutto coloro che praticano una partecipazione di tipo “professionale” a marchiare a
fuoco il procedimento, imprimendovi in modo indelebile il segno del loro passaggio121.
In un procedimento amministrativo relativo alla realizzazione di una grande opera (Ponte
sullo Stretto di Messina, MOSE di Venezia, per citare solo gli esempi più noti) è evidente che il
singolo cittadino, per quanto motivato, non sarà in grado di mettere in campo le competenze
tecniche necessarie per discutere dell’opera ed eventualmente contrastarla.
A ciò si aggiunge che molte opere impattanti sul territorio, che potrebbero sollecitare la
partecipazione del “nuovo cittadino”, sono spesso presentate da un privato fortemente motivato,
esperto e interessato a far valere il proprio punto di vista. Da un privato che, lungi dall’essere lo
sprovveduto quivis de populo, è invece homo oeconomicus esperto e avvertito in grado di dispiegare
nel procedimento i migliori consulenti allo scopo di far meglio valere le proprie aspettative di vita, e
nel contesto di una situazione nella quale i cd. interessi pubblici sono sempre più raramente dati
118
A.ASOR ROSA, Il neoambientalismo, Il Manifesto, 17 novembre 2010.
F.BENVENUTI, Il nuovo cittadino, Venezia, 1994.
120
R.FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p.135.
121
Ibidem, p.136-137.
119
26
(dalla legge) e sempre più spesso interpretati nel corso dei procedimenti avviati dal privato o che al
privato comunque si rivolgono122.
2. Il riconoscimento delle associazioni ambientaliste.
Ben prima dell’approvazione della legge n.349 del 1986, con la storica sentenza n.253 del 9
marzo 1973123, il Consiglio di Stato ha riconosciuto per la prima volta la legittimazione ad agire in
giudizio di un’associazione ambientalista (Italia Nostra), affermandone la titolarità di una
“posizione differenziata rispetto al comune cittadino, idonea a legittimare l’azione in giudizio”124.
A seguito di tale sentenza, ampio è stato il dibattito dottrinale in merito alla legittimazione
processuale delle stesse associazioni ambientaliste che sono state definite di volta in volta “difensori
civici processuali”125, “pubblici ministeri ambientali”126, “governo ombra dell’ambiente”127.
La legge n.349 del 1986 ha previsto il riconoscimento delle associazioni ambientaliste,
definendole “associazioni di protezione ambientale”. Recita l’art.13 della citata legge n.349 del
1986 che “le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno
cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità
programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della
continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna, previo parere del Consiglio nazionale per
l'ambiente da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta”.
Alle stesse associazioni, l’art.18 attribuisce la legittimazione ad intervenire nei giudizi per
danno ambientale e a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti
illegittimi.
3. Il ruolo di amministrazione attiva delle associazioni ambientaliste.
Le associazioni ambientaliste svolgono un’importante funzione al sevizio dei politicilegislatori. In primo luogo, operano come intermediari dell’informazione durante il processo di
approvazione della legge, fungendo da rilevatori dei bisogni diffusi nella popolazione. In secondo
luogo, invocano controlli procedurali sull’attuazione amministrativa e attivano il sindacato
giurisdizionale, così indirettamente contribuendo a rafforzare la supervisione dei committenti
politici sul comportamento burocratico.
Le associazioni ambientaliste hanno progressivamente assunto anche ruoli di
amministrazione attiva. Già nel 1990 Pierluigi Mantini rilevava che “il riconoscimento operato dal
diritto positivo nei riguardi delle associazioni ambientaliste possa dirsi espressione e momento di
quell’allargamento della plurisoggettività ordinamentale che è, secondo autorevole dottrina, uno dei
connotati peculiari degli Stati pluriclasse”128.
122
Ibidem, p.145-146.
In Foro it.,1974, III, p.33, con note favorevoli di ROMANO e ZANNUTIGH , “Italia Nostra” di fronte al Consiglio di
Stato.
124
M.CALABRO’, Il ruolo delle associazioni ambientaliste in tema di prevenzione e riparazione del danno ambientale,
in F.GIAMPIETRO (a cura di), La responsabilità per danno all’ambiente, Milano, 2006, p.197. Prosegue l’A. ricordando
come però in seguito la Cassazione abbia annullato la suddetta pronuncia sostenendo come in capo all’ente
esponenziale non sussistesse alcuna posizione differenziata non bastando a ciò la coincidenza tra lo scopo statutario e
l’interesse diffuso alla salvaguardia ambientale (Cass. Civ., sez.un., 8 maggio 1978, n.2207 in Foro it.,1978, I, 1090;
sentenza commentata da ZANNUTIGH, “Italia Nostra” di fronte alla Corte di Cassazione, in Foro it., 1979, I, 169).
125
G.ROMEO, L’interesse diffuso, l’ambiente e il giudice amministrativo, in Foro amm.,1986 II, 2594.
126
G.MORBIDELLI, Profili giurisdizionali e giustiziali nella tutela amministrativa dell’ambiente, in Ambiente e diritto,
1999, p. 321.
127
F.DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione del rischio, Milano, 2005. Sulla legittimazione
processuale delle associazioni ambientaliste, tra i contributi più recenti si segnalano: P.DURET, Riflessioni sulla
legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, in Dir. proc .amm., 2008, 3, 688;
A.MAESTRONI, Associazioni ambientali e interessi diffusi, in S.NESPOR, A.L.DE CESARIS, Codice dell’ambiente,
Milano, 2009; M.CERUTI, nota a Corte d’Appello di Milano, Sez. II civ., 31 agosto 2009, n.2168, in Riv. Giur. Amb.,
2/2010.
128
P.L.MANTINI, Associazioni ambientaliste e interessi diffusi nel procedimento amministrativo, Padova, 1990.
123
27
Si citano solo i casi più noti: il Consiglio nazionale per l’ambiente (art.12 legge n.349/1986);
la Consulta tecnica per le aree naturali protette (art.3, legge 394/1991); i Consigli direttivi dei parchi
nazionali (art.9 legge 394/1991); la gestione delle aree protette marine (art.19 legge 397/1991); le
Commissioni regionali per formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico
degli immobili e delle aree di interesse paesaggistico (art.137 del D.Lgs.n.42/2004); la
partecipazione ai procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici (art.144 del
D.Lgs.n.42/2004).
Inoltre, nel codice dell’ambiente alle associazioni ambientaliste (che per la prima volta
vengono definite “organizzazioni non governative”) viene riconosciuta la sola facoltà di presentare
denunce o osservazioni in caso di danno ambientale (art.309 del D.Lgs.n.152/2006).
L’insieme di tali funzioni è talmente rilevante che vi è stato chi ha proposto di inserire le
associazioni ambientaliste nella categoria degli “enti di interesse pubblico”129 per sottolineare
proprio che esse si affiancano alle amministrazioni pubbliche e ai cittadini, in un certo senso
riappropriandosi della titolarità originaria della funzione amministrativa130.
E’ evidente, afferma Fabrizio De Leonardis, che il processo di progressiva condivisione
delle decisioni amministrative contribuisce a ridefinire anche il ruolo delle associazioni
ambientaliste alle quali il diritto positivo vigente assegna oramai un ruolo che trascende la mera
aggregazione a fini processuali di interessi altrimenti non attivabili in sede giurisdizionale131. In
conclusione, afferma sempre De Leonardis, “il principio di sussidiarietà in senso orizzontale sembra
giocare un ruolo fondamentale nel favorire la ‘responsabilizzazione dei privati, singoli o nelle loro
forme associative, proprio in relazione alla delicatezza della materia, nei confronti dell’ambiente’:
l’insieme dei soggetti che curano l’interesse generale in campo ambientale è oramai plurisoggettivo
dal momento che assieme ai soggetti pubblici istituzionali competenti, svolgono ruoli sempre più
attivi oltre ai cittadini le associazioni ambientaliste e le stesse imprese”132.
Anche Paolo Carpentieri ritiene che la direzione da seguire sia “quella della sussidiarietà
orizzontale, della partecipazione democratica delle persone, singole o associate, perché facciano
sentire il peso dell’interesse generale, in sussidio e in supplenza rispetto alle amministrazioni
competenti. E’ del resto noto e condiviso il ruolo centrale svolto dalla partecipazione attiva
dell’associazionismo in campo ambientale”133. La tutela del paesaggio, conclude Carpentieri, “deve
essere integrata dal protagonismo attivo delle associazioni ambientaliste e dei cittadini comunque
organizzati, al fine di dare corpo e sostanza all’interesse diffuso alla tutela paesaggistica, altrimenti
destinato a soccombere al più pervicace interesse economico produttivo che mira al consumo del
territorio”134.
4. Associazioni ambientaliste e tutela delle generazioni future.
Il problema della tutela delle generazioni future si pone con particolare acutezza nella tutela
dell’ambiente nei confronti di attività sia negative sia positive, pubbliche e private135.
Se, inoltre, la tutela delle generazioni future viene affermata pacificamente nel diritto
positivo e dalla giurisprudenza, occorre chiedersi attraverso quali strumenti si possa rendere
effettivo il dovere delle generazioni presenti nei confronti di quelle future136.
Due sono le soluzioni: quella amministrativa e quella giurisdizionale.
129
G.MORBIDELLI, Profili giurisdizionali e giustiziali nella tutela amministrativa dell’ambiente, in Ambiente e diritto,
Milano, 1999, p.318.
130
F.DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione del rischio, Milano, 2005, p.224.
131
Ibidem, p.224.
132
Ibidem, p.227-228.
133
P.CARPENTIERI, Principio di differenziazione e paesaggio, in Riv.giur.edilizia, 2007, p.95.
134
Ibidem, p.96.
135
R.BIFULCO, Rappresentare chi non esiste (ancora)?, in L.CHIETTI (a cura di), Rappresentanza politica, gruppi di
pressione, élites al potere, Torino, 2006, p.265.
136
F.DE LEONARDIS, Verso un ampliamento della legittimazione per la tutela delle generazioni future, cit., p.4.
28
E’ sintomatico che la Francia, che costituisce la culla della giurisdizione amministrativa,
abbia intrapreso il percorso “amministrativo” ossia abbia provveduto alla creazione di un organismo
ad hoc imputando ad esso la competenza alla tutela degli interessi delle generazioni future.
Con il decreto n. 93-298 dell’8 marzo 1993 si è costituito un vero e proprio Consiglio per i
diritti delle generazioni future: si tratta di un’organizzazione costante e stabile che media e
rappresenta gli interessi di lungo periodo di coloro i quali non hanno voce per difendere i propri
diritti.
Tale soluzione amministrativa è stata auspicata a livello globale dalla dottrina americana che
in più occasioni ha proposto la creazione di un Ombudsman planetario, di una Commissione per i
diritti del pianeta, di un trust planetario, di un guardiano delle generazioni future, di una
Commissione per la tutela dei diritti delle generazioni future.
Tali organismi avrebbero il compito di far rispettare gli obblighi assunti dagli accordi
internazionali, di partecipare a procedimenti amministrativi e giudiziari in qualità di esponenti delle
generazioni future e di allertare la comunità internazionale quando si verificano eventi in grado di
danneggiare le generazioni future.
In buona sostanza consentirebbero di garantire una tutela di lungo periodo nei processi
decisionali che concernono l’utilizzazione delle risorse planetarie.
La cd. soluzione amministrativa, che prevede la creazione di organismi ad hoc dei vari
livelli ordinamentali, si scontra, però, con considerazioni di carattere finanziario dal momento che la
creazione di un nuovo organismo non può certamente avvenire a costo zero per la collettività.
A prescindere da tali difficoltà non è mancato, poi, chi si è chiesto se la creazione di
organismi ad hoc, con la conseguente personificazione e istituzionalizzazione di un interesse, sia
effettivamente indispensabile e se non si possano, invece, al fine di rendere effettiva tale tutela,
percorrere vie alternative non solo al fine di contenere la spesa pubblica.
Ritiene De Leonardis che una seconda strada percorribile ed auspicabile sia quella di
utilizzare gli strumenti giurisdizionali ampliando in modo netto la legittimazione ad agire, che
anche per Michele Ainis, passa attraverso la costituzione di poteri diffusi ed il potenziamento delle
attribuzioni di cui già oggi sono titolari le associazioni ambientaliste. Questa seconda strada si
muove dal basso verso l’alto perché si affida ai soggetti esponenziali della comunità civile e,
conclude Ainis, “nella materia dell’ambiente un difensore civico c’è già: e si tratta per l’appunto
delle associazioni di protezione ambientale riconosciute, ombudsman collettivo anziché – come di
norma – monocratico”137.
5. Segue: il caso Minors Oposa
Nell’unico caso giurisprudenziale138 in cui risulta finora essere riconosciuta la legittimazione
di soggetti deputati a far valere i diritti delle generazioni future si è utilizzata proprio la soluzione
giurisprudenziale riconoscendosi la legittimazione non ad un organismo ad hoc bensì, da una parte,
a un’associazione ambientalista e, dall’altra, a un gruppo di cittadini.
Nel caso Minors Oposa v. Secretary of the departement of environment and natural
resources 43 minorenni, i loro genitori e un’associazione ambientalista avevano richiesto
l’annullamento delle licenze di sfruttamento del legno rilasciate dal Ministero filippino (Timber
License Agreement) e che si vietasse qualsiasi altra autorizzazione del legno.
Si pensi che le foreste filippine, proprio a causa di tale attività di sfruttamento del legno, si
erano ridotte in 25 anni dal 53% del territorio al 2,8% con un tasso di deforestazione pari addirittura
a 25 ettari l’ora.
137
M.AINIS, Questioni di “democrazia ambientale”: il ruolo delle associazioni ambientaliste, in Riv.giu.amb., 1995,
p.239.
138
Il caso descritto è in: F.DE LEONARDIS, Verso un ampliamento della legittimazione per la tutela delle generazioni
future, cit., p.9; risulta pubblicato in International Legal Materials, 1994, p.173-206.
29
I ricorrenti avevano rilevato che, in base ad un tale tasso di deforestazione, si sarebbe
consegnato alle generazioni future un territorio degradato e fruibile a condizioni assai peggiori di
quelle di cui avevano beneficiato le generazioni precedenti.
In primo grado il Ministero si era difeso sostenendo che le generazioni future ancora non
esistono e, come tali, non hanno diritti d’agire e neppure possono essere rappresentate in giudizio e
che, in ogni caso, la decisione in ordine al tasso di deforestazione era di carattere politico e, come
tale, insindacabile.
La Corte suprema delle Filippine ha ribaltato la sentenza di primo grado affermando la
legittimazione ad agire delle generazioni future: il giudice si è fondato su una norma costituzionale
sull’ambiente e su alcune disposizioni legislative nelle quali le generazioni future venivano
menzionate (seppure non al fine di attribuire loro uno specifico diritto di agire in giudizio).
La sentenza della Corte Suprema delle Filippine ha un’importanza storica: è uno dei primi
casi, se non il primo in assoluto, in cui alle generazioni future è stata riconosciuta la legittimazione
ad agire in giudizio e benché non seguito in altre vicende analoghe (nel 1997 nel caso Farooque
v.Government of Bangladesh il giudice ha assunto una posizione opposta) potrebbe rappresentare
un precedente che contribuisce ad aprire la strada di effettività che pone sotto una luce diversa il
principio intergenerazionale.
6. Prospettive di riforma: per una legge organica delle associazioni ambientaliste.
Nonostante il diritto alla tutela dell’ambiente sia stato definito dalla Corte costituzionale un
diritto primario ed assoluto, assistiamo ad una progressiva compressione della tutela di tale diritto
nel processo amministrativo, in particolare della legittimazione processuale delle associazioni
ambientaliste.
Si va dall’art.20, comma 8, del d.l. n.185 del 28 novembre 2008, convertito in legge 29
gennaio 2009, n.2, in tema di appalti ritenuti strategici (che ha ridotto i termini processuali nei
giudizi avverso le grandi opere), all’abrogazione dell’art.9, comma 3, D.Lgs.n.267/2000 che
prevedeva la sostituzione processuale per le azioni risarcitorie in materia di danno ambientale, per
arrivare alla citata proposta di legge n.2271 presentata alla Camera dei Deputati il 10 marzo 2009
(Scandroglio ed altri), con la quale si vorrebbe modificare l’art.18 della l.n.349 del 1986 ed
introdurre la responsabilità per lite temeraria e la condanna al risarcimento del danno delle
associazioni ambientaliste 139.
Senza dimenticare che la nuova disciplina sul danno ambientale di cui all’art.299 D.Lgs.
152/2006 stabilisce un accentramento delle competenze in capo al Ministero dell’ambiente mentre
viene notevolmente ridimensionata la legittimazione ad agire degli enti locali e delle associazioni
ambientaliste 140. Questa restrizione è stata criticata dalla dottrina, per la quale la statalizzazione
della tutela del danno ambientale mal si concilia con i principi della sussidiarietà orizzontale e
verticale141.
A distanza di venticinque anni dalla legge n.349 del 1986 istitutiva del Ministero
dell’ambiente e del riconoscimento delle “associazioni di protezione ambientale”, è maturo il
139
Si veda in proposito: G.TUMINELLO, Il diritto internazionale e comunitario dell’ambiente, e il dialogo fra i formanti:
brevi note a margine di un recente tentativo (inidoneo) di ridimensionamento delle associazioni di protezione
ambientale, in Giust.amm., n.3/2009, p.10 e ss.140
B.POZZO, La direttiva 2004/35/CE e il suo recepimento in Italia, in Riv.giur.amb., n.1/2010, pag.62. Con
riferimento alla direttiva 2004/35/CE, diversi autori concordano nel ritenere che nella nozione di “Autorità competenti”
alle quali viene attribuita la legittimazione attiva sul danno ambientale, siano da ricomprendere anche le associazioni
ambientaliste, il che rende ancor più evidente il non corretto recepimento in Italia della citata direttiva: P.BRAMBILLA,
Poteri delle associazioni ambientali nella direttiva e alla luce dell’evoluzione della legislazione comunitaria, in La
responsabilità ambientale. Diritto ed economia dell’ambiente, Milano, 2005, p.86; A.MAESTRONI, Gli approdi
giurisprudenziali sui poteri processuali delle associazioni ambientaliste, in Speciale 20 anni, Quaderni della
Riv.giur.amb., 2006, p.408-409; P.DURET, Riflessioni sulla legittimatio a causam in materia ambientale, in
Dir.proc.amm., 2008, p.766.
141
AA.VV. Codice dell’ambiente, Commento al D.lgs. 3 aprile 2006, n.152, Milano, 2008, p.2542.
30
momento per un bilancio ed una riflessione sul ruolo che le associazioni ambientaliste hanno svolto
e su quello determinante che saranno chiamate a svolgere nella governance ambientale e nella
giurisdizione a tutela dell’ambiente della presente e delle future generazioni.
Una legge organica sulle associazioni ambientaliste dovrebbe innanzitutto prevedere una più
ampia partecipazione al procedimento amministrativo (nella citata dimensione della governance
ambientale) ed una maggiore legittimazione processuale sia nella forma della sostituzione
processuale per le azioni risarcitorie sul danno ambientale (recuperando la citata norma abrogata),
sia a tutela delle generazioni future. La legge organica dovrebbe inoltre prevedere, da un lato,
norme di favore per agevolare la tutela del fondamentale diritto all’ambiente, e, dall’altro, criteri più
rigorosi di riconoscimento ministeriale (oggi sono circa ottanta le associazioni riconosciute). Le
agevolazioni potrebbero essere di tipo fiscale (vedi onlus e associazioni di volontariato, ma si
potrebbe pensare anche ad un 5%o in favore della tutela delle generazioni future, e inoltre a dare
certezza al gratuito patrocinio e all’esenzione dal contributo unificato, ecc.).
Capitolo terzo
Il ruolo della giurisprudenza e degli avvocati nell’evoluzione del diritto ambientale
1. Il diritto vivente ambientale.
Nel nostro ordinamento esiste un vero e proprio “diritto vivente” ambientale creato dalla
giurisprudenza, il cui ruolo non è stato solo quello di interprete, ma, soprattutto fino ai primi anni
novanta del secolo scorso, di supplenza dei vuoti di una normativa spesso gravemente incompleta e
incerta142.
Basti pensare alla stessa nozione di ambiente che il legislatore non ha mai descritto e sulla
quale la Corte costituzionale è ripetutamente intervenuta sino ai più recenti approdi dei quali si è già
dato conto.
Il diritto vivente ambientale ha trovato ampio sviluppo in particolare grazie all’intervento
della magistratura penale ed alle decisioni di quella amministrativa. Cresce, quindi, il ruolo di
giudici ed avvocati, in quanto entrambi artefici, sia pure con distinte funzioni, del diritto vivente e
della sua effettiva tutela nel processo. In particolare l’avvocato, in quanto svolge nel processo un
ruolo propositivo, caratterizzato da un maggiore dinamismo rispetto a quello del giudice, può
concorrere con efficacia alla evoluzione della giurisprudenza e alla formazione del diritto vivente.
E’ infatti l’avvocato che pone le questioni al giudice, che propone l’interpretazione delle norme di
legge, che sollecita con le sue argomentazioni l’adeguamento del diritto legislativo a tali principi e
valori, che chiede l’applicazione diretta delle disposizioni che tutelano i diritti fondamentali143.
2. L’accesso alla giustizia nella Convenzione di Aarhus.
L’articolo 9 della Convenzione di Aarhus disciplina l’accesso alla giustizia in materia
ambientale e la sua ratio è da ricercare nel Preambolo del Trattato in cui gli Stati firmatari, dopo
avere riconosciuto ad ogni persona “il diritto di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua
salute e il suo benessere e il dovere di tutelare e migliorare l’ambiente, individualmente o
collettivamente, nell'interesse delle generazioni presenti e future”, riconoscono che “per poter
affermare tale diritto e adempiere a tale obbligo, i cittadini devono avere accesso alla giustizia in
materia ambientale”.
Di particolare interesse è la disposizione che accorda un particolare favor alle organizzazioni
non governative che promuovono la tutela dell’ambiente: la Convenzione le esonera, infatti,
dall’onere di provare volta per volta la sussistenza di un interesse sufficiente per avviare una
procedura di ricorso, presumendo che tale requisito sia intrinseco negli scopi che tali ONG
142
P.FIMIANI, Il ruolo della giurisprudenza nell’evoluzione del diritto ambientale, in G.DI PLINIO, P. FIMIANI (a cura
di), Principi di diritto ambientale, Milano, 2002, p.143.
143
A.MARIANI MARINI, Avvocatura, diritto vivente e diritti fondamentali, in A.MARIANI MARINI, D.CERRI, Diritto
vivente. Il ruolo innovativo della giurisprudenza , Pisa, 2007, p.8.
31
statutariamente perseguono e per questa ragione esse sono considerate titolari di un autonomo
diritto di azione in giudizio.
Nell’ottica dell’effettività di tutela, il paragrafo 4 del citato art.9 richiede che le procedure di
ricorso siano “eque, rapide e non eccessivamente onerose”. Ciò significa che tali procedure
dovranno evitare costi eccessivi. Al riguardo, dispone l’articolo 9, par. 5, che “per accrescere
l'efficacia delle disposizioni del presente articolo, ciascuna Parte provvede affinché il pubblico
venga informato della possibilità di promuovere procedimenti di natura amministrativa o
giurisdizionale e prende in considerazione l'introduzione di appositi meccanismi di assistenza diretti
ad eliminare o ridurre gli ostacoli finanziari o gli altri ostacoli all'accesso alla giustizia.”
3. Il ruolo degli avvocati.
L’uomo moderno diventa giurista per necessità. Per Antoine Garapon è il prezzo che deve
pagare per la propria autonomia: la società democratica paga la propria emancipazione dalla norma
con un’influenza sempre maggiore della giustizia. I suoi membri si liberano dal vincolo sociale
divenendo tutti giuristi144.
Secondo Ulrich Beck “i movimenti di difesa della società civile sono gli avvocati, i creatori
e i giudici dei valori e delle norme globali. Essi creano e acuiscono la consapevolezza – nello stesso
tempo quotidiana, locale e globale – dei valori, mettendo in scena e alimentando lo sdegno e la
riprovazione dell’opinione pubblica mondiale per le violazioni più clamorose delle norme”145.
Beck individua tre realtà in grado di incidere sullo scenario internazionale: gli Stati, gli attori
dell’economia mondiale e gli attori della società civile globale. Afferma poi che la principale
strategia dei movimenti della società civile è quella di organizzarsi nelle ONG (organizzazioni non
governative) e in quelli che, con un neologismo, definisce “i movimenti avvocatori”: “le reti e le
strategie avvocatorie transnazionali devono essere intese come uno spazio politico autocreato nel
quale gli attori acquisiscono e utilizzano il loro “capitale di legittimazione”, minacciato di continuo
nel gioco che li oppone agli attori statali e a quelli dell’economia globale”146.
Se il diritto globale non è più un monopolio statale, ciò significa che il diritto non è più
sottratto alla competizione. La competizione, afferma Ferrarese, riguarda anche le diverse categorie
di giuristi, ognuna delle quali cerca di mantenere la propria centralità lungo il processo di
ristrutturazione giuridica che accompagna la globalizzazione. Il segno più vistoso di questa
competizione è l’ascesa di quei settori della professione giuridica che coltivano in maniera
altamente specialistica le competenze relative ai mercati. Questa competizione si pone in un
“campo” giuridico diverso dal tradizionale territorio statale. A differenza che negli stati, dove
accademici e magistrati detengono una posizione privilegiata, in funzione di un maggiore prestigio
o potere che è loro ascritto, nel campo transnazionale sono stati gli avvocati a conquistare una
posizione privilegiata, accompagnata da potere, prestigio e lauti guadagni147.
Guido Alpa, Presidente del Consiglio Nazionale Forense, afferma che l’evoluzione
dell’ordinamento apre sempre più numerosi spazi professionali all’avvocatura e che, se è vero che
viviamo nell’età dei diritti, la difesa dei diritti “nuovi”, come l’ambiente e le biotecnologie,
appartiene esclusivamente alle funzioni dell’avvocato148.
4. Avvocati e organizzazione degli studi professionali.
In un mondo in cui il ruolo dello Stato nel diritto si indebolisce, quello della professione
legale è destinato a divenire di massima importanza, molto più della funzione del giudice. E’
sempre più la professione a gestire i meccanismi giuridici, e tale gestione avviene di necessità
attraverso una riorganizzazione della professione stessa149.
144
145
146
147
148
149
A.GARAPON, I custodi dei diritti, Milano, 1996, p.133.
U.BECK, Potere e contropotere nell’età globale, Roma-Bari, 2010, p.310.
Ibidem, p.314.
M.R.FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione,Bologna, 2000, p.135.
G.ALPA, La nobiltà della professione forense, Bari, 2004, p.7.
P.G.MONTANERI, A.M.MUSY, cit., p.148
32
Il professionista del XXI secolo deve orientarsi in mezzo a contrasti forti, tra le
rappresentazioni del passato, quando l’immagine virtuosa alimentava il prestigio sociale, e quelle di
un presente nel quale la retorica del bene pubblico non serve a difendersi dalla paura della
proletarizzazione né a tutelarsi dalle lusinghe della ricchezza e del potere. Altro non può fare se non
trovare un difficile e precario equilibrio tra lo stato e il mercato, il pubblico e il privato, l’altruismo
e l’interesse150.
La globalizzazione dell’economia tende a generare la “globalizzazione” degli studi
professionali, ai quali viene rivolta la domanda di una gamma completa di servizi. Americani e
inglesi sono, oggi, i maggiori esportatori del professionalismo globale”151. Negli ultimi decenni,
grandi studi legali americani hanno sviluppato un progetto di espansione globale per diffondere il
proprio modello anche in Europa152.
Il “diritto” è uno dei più potenti strumenti con cui gli USA giocano la loro partita sul tappeto
globale con l’esportazione del modello di common law (promosso con l’ausilio dei cugini inglesi)
quale paradigma della pratica internazionale degli affari. Secondo la guida Chambers Global, la
quale effettua annualmente, sulla base dei dati provenienti da 170 paesi, il ranking delle migliori
law firms mondiali – ossia degli snodi cruciali per la progettazione e gestione del business
planetario -, risultano in mano a common lawyers: 12 delle 19 law firms africane, 32 delle 38
sudamericane, 29 delle 30 mediorientali, 18 delle 25 giapponesi. La tendenza non risparmia però
neppure il nostro continente: in Germania 38 dei 146 migliori studi sono controllati da law firms
angloamericane, in Europa centrale e orientale 21 su 26, in Italia 22 su 102, in Francia ne troviamo
40 su 119, in Spagna 18 su 90153.
Se le law firms cui si deve l’elaborazione della lex mercatoria e di un nuovo diritto
contrattuale e degli scambi, osserva Ferrara, hanno introiettato nel proprio codice di valori e di
comportamento gli imperativi dettati dal primato della tecnica, alla stregua di una logica
emergenziale su cui sintonizzarsi, non appare in alcun modo pensabile che la risposta degli apparati
amministrativi (e del loro diritto) possa essere diversa o eccessivamente diluita nel tempo154.
In Italia, la nascita di reti di collegamento telematiche tra un certo numero di studi legali non
solo ha reso meno attraente l’ipotesi dell’accorpamento strutturale in grandi studi, tipica del
modello americano, ma ha messo in luce il fatto che la pratica giuridica in Europa sta evolvendosi
verso un sistema professionale auto-controllato155. Inoltre, in Europa e nel nostro paese il ruolo
dell’avvocato, lungi dall’essere esclusivamente giuridico, ha una connotazione sociale, in quanto
finalizzato al presidio della legalità e alla tutela dei delicati interessi che sono alla base del patto
sociale che i membri di una collettività stipulano idealmente tra di loro a salvaguardia del bene
comune156.
Stefano Zamagni, Presidente dell’Agenzia per le ONLUS, ritiene che, per il futuro delle
libere professioni in Italia, è “improponibile sia l’approccio neo-statalista (che vorrebbe gli ordini
professionali di nuovo appiattiti sullo Stato, anche se in forme rivedute e razionalizzate) sia
l’approccio neoliberista (che, al contrario, vorrebbe la scomparsa degli ordini e ciò sulla base delle
considerazioni che un servizio professionale è nulla di diverso da qualsiasi bene privato), giudico
fattibile e promettente – prosegue Zamagni - la via di una nuova alleanza tra mondo delle
professioni e società civile”157.
150
F.MALATESTA, Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni nell’Europa contemporanea, Torino, 2006,
p.356.
151
S.ZAMAGNI, Le professioni liberali nell’epoca della globalizzazione, in F.MALATESTA (a cura di), Corpi e
professioni tra passato e futuro, 2002, p.28.
152
V.OLGIATI, Le professioni giuridiche in Europa, Urbino, 1996, p.78.
153
M.BUSSANI, Il diritto dell’occidente. Geopolitica delle regole globali, Torino, 2010, p.54.
154
R.FERRARA, Introduzione, op.cit., p.265-266.
155
V.OLGIATI, cit., p.78.
156
Consiglio Nazionale Forense, Il ruolo sociale dell’avvocato e la sua immagine nei media, Matera, 2009, p.75.
157
S.ZAMAGNI, cit., p.34.
33
5. Il caso Chevron-Texaco/Indios dell’Equador.
È una guerra legale senza esclusione di colpi che si trascina dal lontano 1993, quella che
riferisce Claudio Gatti sul Sole24Ore del 31 dicembre 2010. Cominciata nell'aula di un tribunale
federale di New York e poi trasferitasi in una corte ecuadoregna, vede come protagonisti la
Chevron-Texaco, seconda società petrolifera e terza maggiore corporation d'America, e una
comunità di indigeni dell'Amazzonia dell'Ecuador che ha denunciato il colosso petrolifero per danni
ambientali.
Il risarcimento richiesto è stratosferico: 27 miliardi di dollari. Ne occorrerebbe un terzo solo
per risistemare il terreno e tappare i buchi, riferisce Ettore Mo sul Corriere della Sera del 26 ottobre
2010: la penetrazione di 60 milioni di litri di scarti e scorie dell'oro nero nei polmoni
dell'Amazzonia, che lascia presagire un inquinamento di devastanti proporzioni, con conseguenze
allarmanti soprattutto per le comunità locali dove i malati di cancro continuano ad aumentare.
La strategia difensiva della Chevron è chiara, prosegue Gatti: grazie a un esercito di avvocati
ed esperti vuole tirarla per le lunghe fino a svuotare le casse degli indios costringendoli alla resa
legale.
La tattica avrebbe probabilmente funzionato, se non fosse stato per un fondo d'investimento,
il Burford Capital Ltd, che ha deciso di investire nella causa degli indios. Nel senso che ha fornito i
capitali necessari per assoldare un nuovo, più prestigioso studio legale di Washington. Ma non per
spirito di solidarietà. Bensì in cambio di una percentuale dell'eventuale risarcimento.
Può sembrare una forma di investimento fuori del comune, ma in America – riferisce Gatti sta diventando sempre più diffusa. Si calcola che i capitali investiti in dispute legali di soggetti terzi
abbiano ormai superato il miliardo di dollari. E sono oltre 250 gli studi legali Usa che hanno preso
denaro in prestito oppure assunto impegni di condivisione del risarcimento danni con un
finanziatore esterno. Che potrebbe essere un fondo dedicato come Burford (che nel novembre 2010
ha raccolto oltre 100 milioni di dollari in fondi freschi sul mercato della Borsa londinese), una
banca specializzata come Esquire Bank, oppure una divisione di un colosso finanziario come
Citibank o Deutsche Bank. Tutti fornitori di capitali per cause altrui.
Come spesso succede, prosegue Gatti, il fenomeno può essere visto in termini tanto positivi
quanto negativi. Da una parte questo nuovo trend favorisce l'accesso alla giustizia - o al
risarcimento dei danni - a chi non può permettersi di pagare di tasca propria avvocati ed esperti per
cause lunghe e difficili in cui la controparte si serve della tattica del rinvio o della procrastinazione
legale. «Per avere giustizia civile servono i soldi. Con meno soldi ci sarebbero senza dubbio meno
cause, ma anche meno giustizia», sostiene Alan Zimmerman, fondatore di LawFinance Group, uno
dei primi fondi di finanziamento di vertenze di terzi.
Fatto sta – conclude Gatti - che senza i soldi di Burford gli indios dell'Amazzonia
ecuadoregna non avrebbero neppure gli avvocati di Washington.
Il 14 febbraio 2011 il tribunale di Lago Agrio dell’Equador ha parzialmente accolto la
domanda degli indigeni - assistiti in loco da un brillante avvocato di 38 anni, Pablo Fajardo158 - ed
ha condannato la Chevron a pagare quasi 9 miliardi di dollari per il danno ambientale. Si tratta di
uno dei risarcimenti più alti della storia giudiziaria. La Chevron ha annunciato l’appello contro la
sentenza.
6. Il vertice di Cancun.
Dal 29 novembre al 10 dicembre 2010, si è svolto il vertice sul clima a Cancun in Messico.
194 Paesi hanno partecipato alla 16° conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dalle
Nazioni Unite, il cui obiettivo era di contenere il riscaldamento globale entro il limite dei 2 gradi,
considerato che si prevede che un innalzamento della temperatura da oggi al 2060 di quattro gradi
centigradi, possa avere conseguenze catastrofiche per l'innalzamento del livello dei mari.
158
Così lo descrive ETTORE MO in: La sfida degli indigeni alla Texaco, Corriere della Sera, 7 novembre 2010.
34
“Il vertice di Cancun è il paradiso degli avvocati?” Si è chiesta Mariagrazia Midulla che per
conto del WWF Italia ha seguito i lavori del vertice. “In parte sì” è la risposta che si è data, perché
un aspetto rilevante della discussione riguarda la natura vincolante o meno dell’accordo159.
Tra i molti osservatori presenti a Cancun, in attesa di valutare le formali decisioni che ne
sono emerse e che coinvolgeranno molte aree economiche dei vari Paesi, c'è anche Norton Rose,
studio legale tra i massimi esperti internazionali in energia, climate change e carbon finance. Team
che, attraverso il proprio blog www.nortonrose.com/climatechangeblog, informava in tempo reale
sull'andamento degli incontri a Cancun e sulle eventuali ripercussioni sulla normativa esistente.
Secondo Umberto Mauro, avvocato partner Norton Rose, "una delle chiavi per affrontare il
grande tema del cambiamento climatico è individuare come coinvolgere la finanza privata. Uno dei
punti fondamentali per poter combattere questa battaglia con successo. E' sicuramente un problema
complesso che può avere molteplici soluzioni ma è importante che nel corso della conferenza di
Cancun le parti riescano a raggiungere un livello almeno minimo di obblighi vincolanti circa la
riduzione di emissioni nocive di CO2 nei prossimi anni"160.
7. Il caso Celdf.
Il Celdf, “Community Environmental Legal Defense Fund”, è un fondo per la difesa legale
dell’ambiente con sede negli Stati Uniti, fondato e diretto da Thomas Linzey.
Inizialmente, ricorda Cormac Cullinan161, il Celdf ha fatto ricorso alle tradizionali strategie
forensi, puntando il dito contro i difetti di forma delle procedure seguite per rilasciare le
concessioni. Nonostante i successi iniziali, però, Linzey ha compreso che le vittorie così ottenute
avrebbero avuto vita breve, in quanto le imprese sarebbero semplicemente tornate alla carica.
Il primo passo del nuovo approccio è stato mettere in luce i limiti dell’ordinamento in
vigore, evidenziando come gli interessi economici tendano a prevalere su quelli delle comunità
locali. Successivamente il Celdf ha cercato di dare maggiore potere alle comunità locali, così da
metterle in condizione di usare l’ordinamento giuridico in modo attivo, per supportare la creazione
di economie sostenibili sul territorio.
Il Celdf ha fornito la sua consulenza a oltre 100 amministrazioni decise a varare ordinanze
volte alla sostenibilità ambientale dei territori.
8. Segue: il caso della foresta di Shapleigh.
Il 19 luglio 2009, il “Boston Globe” ha pubblicato un articolo intitolato, “Citato in giudizio
da una foresta?”. Ecco cosa è accaduto. Nel febbraio 2009, 2.326 abitanti di Shapleigh nel Maine
hanno votato un’ordinanza per proteggere le falde acquifere dalle attività della Nestlé Corporation.
Shapleigh ha così affermato i diritti legali e naturali della cittadina: “Le comunità naturali e gli
ecosistemi possiedono diritti inalienabili e fondamentali di esistere, crescere ed evolversi
nell’ambito della città di Shapleigh”.
Dunque, secondo tale ordinanza, ogni residente ha il diritto di chiedere giustizia per i danni
arrecati alla natura, chiunque potrà citare in giudizio privati e società che danneggiano un corso
d’acqua – e proprio nel nome di quel corso d’acqua. In Usa sono già una dozzina le città che hanno
adottato misure simili, anche grazie all’azione del Celdf, che supporta anche la coalizione di
quindici municipalità unite nella difesa dei diritti della natura della contea di Franklyn, in
Pennsylvania, nata nel 1998. Nella dichiarazione di intenti della coalizione si legge: “Noi crediamo
che gli spazi aperti, le zone umide e le foreste sono di vitale importanza per la protezione
dell’habitat naturale tanto quanto lo sono per il nostro benessere”.
159
Http://magazine.quotidiano.net/ecquo/mariagrazia/2010/12/02/le-piccole-isole-salveranno-il-mondo-ma-il-mondo salvera-loro/
160
Http://www.affaritaliani.it/green/cancun30112011.html
161
C.CULLINAN, I diritti della terra: dalla colonizzazione alla gestione partecipata, in State of the world 2010, Milano,
2010, p.274.
35
9. La Fabbrica del diritto.
Ricorda Gino Gorla, che la “Fabbrica del diritto”, che lo stesso autore colloca fra i secoli
XVI e XVIII quando si formano gli Stati moderni, è una “fabbrica giurisprudenziale”, benché nella
gerarchia delle fonti venga prima la legislazione dello Stato162.
Presso i comparatisti è diffuso il luogo comune che nella storia giuridica dei paesi di diritti
continentale, compresa l'Italia, l'eroe culturale (Cultural Hero) sarebbe il professore universitario; e
ciò a differenza dell'Inghilterra, ove quell'eroe è il grande giudice, proveniente dai grandi
giureconsulti forensi. Contro questo luogo comune, prosegue Gorla, si può invece dire che nei
secoli XVI-XVIII in Italia l'eroe culturale è il grande avvocato, che partecipa alla “fabbrica
giurisprudenziale”, e il grande giudice, che pur sempre viene scelto fra gli avvocati “primari” 163.
L'epilogo e il declino della posizione degli avvocati nella “fabbrica del diritto”, Gino Gorla
lo attribuisce all'idea (che oramai si era diffusa dopo la rivoluzione francese e la codificazione
napoleonica) della legge statuale come unica ed esclusiva fonte del diritto164.
L'attuale crisi della legge ed il rilievo nella produzione del diritto assunto dalla
giurisprudenza e dal contratto, restituiscono all'avvocato un ruolo che la stessa avvocatura ha forse
dimenticato.
162
G.GORLA, Gli avvocati nella “Fabbrica del diritto” in Italia fra i secoli XVI-XVIII (con un epilogo nei secoli XIX e
XX), in L'Avvocatura nei principali ordinamenti giuridici, Atti del Convegno internazionale, Roma-Napoli 21-22-23
maggio 1987, Roma, 1990 p.282.
163
Ibidem, p.286.
164
Ibidem, p.287.
36
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