CORRERE FA BENE • INIZIA A CORRERE... • EFFETTI BENEFICI
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CORRERE FA BENE • INIZIA A CORRERE... • EFFETTI BENEFICI
CORRERE FA BENE • INIZIA A CORRERE... Per iniziare a correre occorrono dei prerequisiti (trattati esaurientemente in Correre per vivere meglio): visita medica, peso non eccessivo, scarpe e abbigliamento adatti ecc.). In particolare il peso! Troppe persone iniziano a correre sovrappeso, proprio per dimagrire. Per evitare false illusioni occorre subito chiarire che: 1) l'attività fisica da sola non è in grado di mantenere il soggetto a un peso forma ottimale. Ciò accade occasionalmente (le classiche eccezioni che confermano la regola) nei giovanissimi (dove il metabolismo è molto alto) e in una percentuale esigua della popolazione. Per la stragrande maggioranza degli adulti sani un'alimentazione non controllata porta, se non all'obesità, al sovrappeso. 2) Un regime dietetico corretto senza attività fisica è praticamente impossibile da seguire. Un individuo sano ha stimoli tali che, se non repressi da situazioni ambientali (per esempio lo stress), innalzano il suo "peso naturale" oltre i valori consigliabili, soprattutto quando l'età ha fatto diminuire il metabolismo basale. Dai punti sopraesposti risulta chiaro che attività fisica e regime alimentare controllato sono entrambi necessari. Pertanto chi decide di iniziare a correre per poter mangiare a volontà è fuori rotta: non otterrà granché. Correre non è per tutti e va preparato quasi come una laurea. Verificate il vostro peso. Per un uomo l'IMC deve essere inferiore a 27, per una donna a 25 (e mi sono già fatto violenza nell'innalzare questi limiti). Se avete un IMC superiore, dovete usare due armi: a) la dieta b) uno sport molto più soft, per esempio il walking. A chi si sentirà (magari forte della sua giovinezza) di poter correre anche in sovrappeso ricordo che la probabilità di infortunarsi in un soggetto sovrappeso è decisamente più alta che in un normopeso. Quindi prima di correre, dimagrite. Un altro errore che non dovete commettere è di credere che l'abilitazione alla corsa abiliti a qualunque carico e a qualunque distanza. Per esempio per un runner alto 180 cm e pesante 78 kg la maratona è controindicata, come pure un carico settimanale superiore ai 60 km o una seduta superiore all'ora di corsa. • EFFETTI BENEFICI DELLA CORSA Se si esclude qualche articolo che pur di fare notizia andava contro ogni evidenza, siamo tutti d'accordo che correre fa bene. Ma questo non spiega nulla. Correre non fa solo bene, ma ci fa sentire bene... e c'è una bella differenza. Questa sensazione di benessere trova la sua spiegazione in svariati ed interessanti effetti che una pratica della corsa regolare induce sul nostro corpo e sulla nostra mente. La corsa riduce la frequenza cardiaca a riposo, aumenta la capacità vitale dei polmoni e il massimo volume respiratorio migliorando anche l'ossigenzaione dei tessuti. L'aumento delle prestazioni muscolari permette poi di sopportare meglio la fatica fisica. Correndo si regolarizzano inoltre le funzioni dell'apparato digerente e si aumenta l'appetito senza dar luogo a eccessi: una sana attività sportiva tende infatti a equilibrare il centro cerebrale della fame stimolando la richiesta di una miglior qualità di cibo a discapito di una sua maggior quantità. Vene e arterie, poi, per far fronte all'aumento del fabbisogno di ossigeno richiesto dai muscoli si allargano e si sviluppano arrivando anche a dare origine a nuove reti di vasi sanguigni dette "anastimotiche", grazie alle quali si migliora l'irrorazione sanguigna in tutte le parti del corpo. Le nuove reti garantiscono l'apporto di ossigeno ai tessuti anche nel caso si dovesse verificare un'ostruzione dei vasi sanguigni "tradizionali", cosa che in pratica diminuisce il rischio di infarto. Inoltre la corsa riduce la formazione delle lipoproteine responsabili del deposito del colesterolo sulle pareti delle arterie (chiamate lipoproteine LDL). Al contrario favoriscono la formazione delle lipoproteine HDL che si oppongono alla formazione di queste occlusioni. La corsa svolge anche un'azione benefica nei confronti dell'ipertensione, previene il diabete e si oppone all'insorgere di stress psichici in quanto permette di scaricare le tensioni nervose. Infine l'osservazione più banale, ma forse più importante, è che un'ora di corsa è un'ora che dedichiamo interamente a noi stessi, lontano per quanto possibile dalle preoccupazioni quotidiane. Questo è forse il vero segreto della corsa: ci obbliga a prendere del tempo per noi stessi... e "il tempo speso per sè è sempre speso bene". • L'ESERCIZIO FISICO PUO’ BASSARE LA PRESSIONE ARTERIOSA L'Ipertensione arteriosa è una patologia che non deve essere sottovalutata poiché può portare a gravi conseguenze, soprattutto se dura già da diversi anni; è provato ad esempio che l'iperteso possa più facilmente andare incontro ad infarto cardiaco. Trattare l'ipertensione è perciò molto importante ed è anche utile che nella terapia rientri l'esercizio fisico. Molti studi hanno dimostrato che l'esercizio aerobico regolare e protratto per un lungo periodo può abbassare la pressione del sangue. Prima però di tuffarsi in un lungo programma di allenamento, è necessario parlarne col proprio medico per vedere come integrare l'esercizio al programma dietetico ed eventualmente farmacologico. Durante l'esercizio fisico la pressione aumenta; sebbene questo effetto sia solamente temporaneo, il medico potrebbe decidere di abbassare la pressione farmacologicamente prima che ci sia un aumento dell'attività fisica. Non ci sono invece particolari problemi nel caso in cui l'aumento pressorio sia moderato. Ma quale può essere l'esercizio migliore? Certo non esiste una risposta univoca, in genere può andare bene anche una lunga passeggiata, che si è dimostrato essere più efficace di un esercizio più intenso come la corsa. Si può partire con un ritmo di camminata moderato, per poi aumentare gradatamente ritmo e distanza. Si può iniziare per es. con sedute da trenta minuti al giorno, per tre giorni alla settimana, per poi aumentare la frequenza degli esercizi sino a farli diventare giornalieri. A seconda degli interessi personali e dello stato fisico di ciascuno, si può fare anche footing, andare in bicicletta, nuotare ..., anche per cercare di dare varietà all'esercizio fisico e di fare in modo che sia meglio accettato dal punto di vista psicologico. Alcuni esercizi possono essere mirati alla parte superiore del corpo; a tal fine si possono fare esercizi con pesi leggeri e molte ripetizioni, non sollevare mai pesi molto pesanti perché ciò potrebbe provocare un pericoloso rialzo della pressione; per la stessa ragione bisognerebbe evitare esercizi di tipo isometrico puro in cui, ad esempio, si spinge contro un oggetto fisso come un muro. Seguendo questi semplici consigli, si riuscirà a creare un programma di allenamento consono alle proprie necessità e gusti, ma attenzione: perché ci sia un'apprezzabile diminuzione della pressione sanguigna, potrebbero passare anche diversi mesi. Non bisogna aspettare dei risultati dopo la prima settimana! Nel frattempo l'organismo in ogni caso trarrà profitto dall'esercizio fisico e vi sentirete più in forma. L'importante è che poi vi teniate sotto controllo periodicamente con visite regolari; il risultato finale in alcuni casi è anche quello di poter diminuire o addirittura eliminare la dose del farmaco antiipertensivo. • L'ALIMENTAZIONE Una corretta alimentazione è fondamentale per dare al nostro corpo tutto quanto necessita per migliorare le proprie prestazioni. Ognuno di noi ha caratteristiche fisiche e metaboliche differenti, di conseguenza risulta difficile fare un discorso generico che sia valido per tutti. E' quindi importante sapere quale sia il proprio "tipo" fisico in modo da adeguare i suggerimenti seguenti alle proprie esigenze. • IL FABBISOGNO ENERGETICO A seconda del sesso, dell'altezza, della corporatura e del tipo di attività svolta si può avere un'idea del fabbisogno calorico giornaliero. Per gli uomini di corporatura media che svolgono attività sedentarie può variare, a seconda della altezza, da 2300 a 3000 calorie giornaliere. Per le donne con caratteristiche equivalenti si va dalle 1900 alle 2500 calorie. Nel caso di attività fisicamente impegantive (come può essere un allenamento) si va dalle 2750 alle 3500 calorie, per gli uomini, e dalle 2250 alle 3050 per le donne. Anche in questo caso i dati si riferiscono ad una corporatura media e devono essere rapportati all'altezza. Nella tabella delle calorie potete trovare il contenuto calorico dei principali alimenti. Il dato indica le calorie per 100 grammi di sostanza. • CONTENUTO CALORICO PER CENTO GRAMMI DEI PRINCIPALI ALIMENTI Primi piatti Latte e formaggi Frutta fresca Pasta 377 Bel Paese 311 Albicocca 50 Pasta all'uovo 381 Crescenza 247 Ananas 53 Riso 362 Fontina 394 Arancia 45 Gruviera 385 Banana 88 Latte intero 65 Ciliegia 60 36 Cocomero 28 Carni Agnello 336 Latte scremato Anatra 300 Mozzarella 251 Fichi 72 Cappone 302 Panna 204 Fragole 37 Cavallo 117 Parmigiano 389 Limone 32 Gallina 302 Pecorino 375 Mandarino 44 Maiale 390 Ricotta 375 Mela 50 Manzo 130 Yogurt 69 Melone 20 Oca 354 Pera 40 Pollo 175 Pompelmo 40 Tacchino 150 Vitello 94 Salumi Prosciutto cotto 422 Verdure e tuberi Barbabietole 42 Prugne 50 Broccoli 29 Uva 72 Carciofo 51 Carota 40 Cavolfiore 25 Frutta secca Arachidi 600 Prosciutto crudo 502 Cavolo Salame 472 Ceci Pesci e crostacei 24 320 Datteri 284 Fichi secchi 249 Cetriolo 12 Nocciole 663 Cicoria 20 Noci 646 Cipolla 45 Prugne secche 268 Anguilla 255 Aragosta 88 Fagioli freschi 144 Aringa 211 Fagioli secchi 330 Baccalà 107 Finocchio 10 Burro 716 Condimenti e pane Calamaro 72 Funghi freschi 13 Margarina 720 Carpa 95 Lattuga 15 Olio d'oliva 900 Pane bianco 263 Pane integrale 240 Dentice 106 Lenticchie 339 Gamberi 77 Melanzana 24 Merluzzo 74 Olive Orata 82 Patata 83 Polipo 60 Peperone 25 Cioccolato 550 Piselli 98 Marmellata 278 Pomodoro 20 Miele 294 Zucchero 385 Sardina sott'olio Seppie 214 76 130 Sgombro 169 Porro 44 Sogliola 84 Rapa 32 Spigola 85 Rapanello 20 Dolci Bevande Tonno sott'olio 198 Spinaci 20 Birra Triglia 113 Zucca 31 Superalcolici Trota 88 Zucchine 18 Vino 35 240 73 • LA COMPOSIZIONE DEGLI ALIMENTI A parte il contenuto calorico, per seguire una dieta equilibrata bisogna tenere presente anche la composizione degli alimenti. Si possono suddividere gli elementi che cosituiscono il cibo in due categorie: i macroelementi come le proteine, i carboidrati, i grassi; e i microelementi come le vitamine e i sali minerali. Sono tutti fondamentali per il buon funzionamento del nostro corpo e per questo è in genere sbagliato eliminare totalmente alcuni alimenti dalla nostra dieta. In genere, ed in particolare per chi pratica la corsa, è bene ridurre la quantità di grassi ingeriti, per il semplice fatto che questi elementi vanno a depositarsi come riserve di energie a cui il corpo attinge solo dopo 2/3 ore di sforzo. Fondamentale è invece l'apporto di carboidrati che costituiscono il carburante principale del corpo, in particolare per la produzione di energia con il metodo anaerobico. Questi sono cosituiti da zuccheri e da amidi. I primi sono per così dire pronti all'uso e si esauriscono in fretta. I secondi invece sono a lenta assimilazione e non dovrebbero mancare mai nella dieta degli atleti. Ne sono particolarmente ricchi la pasta, il riso, il pane, le patate. Un altro importante elemento sono le proteine, che costituiscono i mattoni che compongono i tessuti. Quindi soprattutto nei periodi di allenamenti intensi è bene assumenerne attraverso carne, pesce e formaggi che ne sono ricchi. In particolare il pesce è l'unico dei tre alimenti ad avere uno scarso contenuto di grassi. Vitamine e sali minerali si trovano in abbondanza nella frutta e nella verdura e la loro presenza è necessaria per garantire il corretto avanzamento di quelle reazioni chimiche sulle quali si basa l'attività del corpo. • L’ALIMENTAZIONE DEL PODISTA Il podista dovrebbe essere il primo tra tutti gli sportivi, a seguire le regole base della dieta mediterranea. La dieta mediterranea prevede l'assunzione di carboidrati, grassi e proteine in queste proporzioni: 60-65% carboidrati 20-25% di grassi 10-15% di proteine Le regole della cucina mediterranea sono semplici da seguire in quanto valorizzano i prodotti tipici della nostra tradizione alimentare: olio di oliva, frutta fresca, legumi, cereali integrali, verdura, pesce e vino rosso. Sebbene la dieta mediterranea sia, più o meno giustamente, oggetto di numerose critiche, i principi che essa contiene possono rappresentare un valido punto di riferimento nell'alimentazione del podista. I substrati energetici principalmente utilizzati negli sport di resistenza sono i grassi ed i carboidrati. Il loro consumo percentuale dipende dall'intensità dell'esercizio (Vedi: METABOLISMO ENERGETICO NEL LAVORO MUSCOLARE ). L'alimentazione del podista deve quindi prevedere un'assunzione consistente di carboidrati complessi (o a basso indice glicemico ) ed una buona ma non eccessiva assunzione di grassi (principalmente monoinsaturi come quelli contenuti nell'olio di oliva). Gli alimenti dovranno essere poco elaborati e quanto più possibile privi di coloranti e conservanti alimentari per non indurre un eccessivo affaticamento degli organi emuntori (fegato e rene in primis). I pasti pre-gara o preallenamento dovranno garantire la massima digeribilità, che diventa necessaria per non aumentare troppo il flusso di sangue all'apparato digerente durante esercizio (Vedi: adattamenti circolatori e sport) . Negli ultimi anni è stato molto rivalutato il ruolo delle proteine, non solo perchè si è visto che esse possono essere utilizzate a scopo energetico in particolari condizioni, ma anche e sopratutto perchè intervengono positivamente nei meccanismi di recupero ( aminoacidi ramificati ). Alla luce di quanto detto le percentuali caloriche dei diversi substrati energetici dovranno essere (in linea generale) adattate ai seguenti valori: 55-60% di carboidrati 25-30% di grassi 15-20% di proteine Ben venga dunque il classico piatto di pasta al pomodoro e olio di oliva con qualche fetta di prosciutto o grana padano . • GLI INTEGRATORI ALIMENTARI Quando si corre fondo o mezzofondo è facile che, in mancanza di glicogeno muscolare e con il meccanismo aerobico al massimo della sue efficienza, l'organismo cominci a utilizzare come fonte di energia le proteine muscolari. Fornendo l'organismo di aminoacidi essenziali si può ridurre questo processo. • CREATINA Introdotta con la dieta, la creatina viene stoccata nel muscolo, principalmente nelle fibre rapide (bianche), e in misura leggermente ridotta nelle fibre muscolari lente (rosse). Il fabbisogno giornaliero per compensare la perdita sotto forma di creatina è di 2 grammi di cui 1 grammo è sintetizzato dal fegato. Si può quindi affermare che l'apporto esterno necessario sia di circa 1 grammo. Nello sportivo l'adeguato apporto di creatina consente: • rapida ed elevata disponibilità energetica. • aumentata resistenza alla fatica. • aumento della massa muscolare. • aumento ponderale solo per ritenzione di acqua variabile tra i cinquecento grammi e il chilo e ottocento grammi a seconda della altezza, senza alterare il rapporto grassi peso corporeo. Nella corsa viene usata solo in allenamento. La prassi è d'interromperne l'assunzione un mese prima della stagione agonistica per abituare l'atleta ai nuovi livelli di forza e resa muscolare ed all'eventuale calo di peso. E' opportuno distinguere l'utilità di assunzione di creatina tra due gruppi : Gli atleti agonisti che ne potranno trarre beneficio nei periodi di allenamento, non utilizzando diete eccessivamente proteiche con un minor impegno epatico. Gli amatori che spesso non seguono una dieta ben bilanciata hanno i muscoli non perfettamente allenati e quindi un apporto esogeno di creatina può risultare utile. • AMINOACIDI A CATENA RAMIFICATA Stimolano la sintesi delle proteine muscolari permettono la ricostruzione muscolare favorendo il recupero mediante un processo chimico in presenza di vitamina B6 (piridossina). Inoltre svolgono una azione stimolante antagonizzando la formazione di serotonina a livello cerebrale ritardando la comparsa del senso di fatica. • LA TAURINA La taurina è un amminoacido che aumentando l'emulsione dei grassi nell'apparato digerente, ne inibisce la rapida assimilazione da parte dell'organismo. La sua utilizzazione è indicata soprattutto nella prevenzione della arteriosclerosi. Pare anche che aumenti la quantità di globuli bianchi assumendo, così, un significato di ''supporto'' nelle immunodeficienze e di coadiuvante (oltre che preventivo) delle infezioni. E' un amminoacido ed ha effetto eccitante. • FRUTTOSIO E MALTODESTRINE Evitare l'uso di glucosio e miele perché causano un picco glicemico con calo repentino dovuto alla produzione di insulina (ipoglicemia reattiva). Meglio usare carboidrati, fruttosio e maltodestrine che evitano improvvisi sbalzi energetici. La pasta è quindi energetica senza causare sbalzi glicemici. • L'ALIMENTAZIONE PRIMA DELLA GARA Qualche tempo fa era molto in voga tra gli atleti d’elite, con lo scopo di incrementare le scorte di zuccheri disponibili, la cosiddetta “dieta dissociata”. Tale dieta, teorizzata da Saltin ed Hermansen nel lontano 1967, consisteva, nell’ultima settimana prima della gara, in un regime povero di carboidrati per tre giorni (con lo scopo di “affamare” i muscoli), seguito da tre giorni con un apporto di zuccheri esagerato. In tal modo le scorte complessive di glicogeno al momento della gara (7° giorno) risultavano essere un po’ superiori rispetto alla norma. Per affamare i muscoli, inoltre, venivano svolti allenamenti specifici particolarmente faticosi durante i primi tre giorni di dieta. In tal modo si cercava di ottenere una maggiore autonomia chilometrica per l’atleta. A distanza di tanti anni la “dissociata” ha ancora diversi cultori, impermeabili a qualunque segnalazione di rischio relativamente a questa pratica. La mia opinione sulla dieta dissociata è che non mi sentirei di consigliarla ad un amico. Il concetto è quello della vecchia barzelletta del cammello “mattonato”, che costava il doppio perché grazie appunto alla mattonata sui testicoli (e al conseguente “risucchio”) riusciva a fare una scorta d’acqua mostruosa. In pratica si “gonfiano” di glicogeno i contenitori naturali (muscoli, fegato) fino ai limiti delle loro possibilità. E per fare questo si crea, proprio a pochi giorni dalla gara, una situazione di grave carenza, con conseguenze dirette di depressione, irritabilità, debolezza estrema e altri disagi fisici e mentali riportati in letteratura e dall’esperienza pratica. Ritengo che i rischi di tale dieta pre-gara siano superiori agli effettivi vantaggi ottenibili. Per quanto si riportino le esperienze di alcuni atleti che hanno ritenuto l’esperienza positiva (è in effetti fondata scientificamente la possibilità di espandere un poco i “serbatoi”) riscontrando effettivamente un incremento della resistenza in gara, nella pratica non consiglierei ad un amatore privo di controllo medico di autosperimentare. A maggior ragione se pensiamo al fatto che con un buon allenamento rivolto all’incremento della propria potenza lipidica, il problema della carenza di zuccheri può venire brillantemente superato per altre vie. Svariati amici e conoscenti, inoltre, mi riportano esperienze piuttosto traumatiche alla fine del terzo giorno di dieta proteica, con attacchi di diarrea, forte desiderio di zuccheri, vertigini, alterazioni dei ritmi sonno-veglia, tanto da sconsigliare a chiunque questa pratica. E’ nozione comune a chiunque lavori in campo dietologico, infatti, che quando si assumono solo proteine in assenza di carboidrati, l’organismo trasforma gli aminoacidi nei suoi corrispondenti zuccherini, con l’identico risultato finale, come se mangiassimo zuccheri. Con in più, però, il sovraccarico epatico e renale per l’eliminazione dei residui azotati delle proteine smontate. Il mio consiglio operativo prima di una competizione importante di ultramaratona è semplicemente quello di mangiare in modo equilibrato e completo, concedendosi semmai negli ultimi giorni qualche porzione più generosa del solito di pane, pasta e riso (integrali, naturalmente) o patate. L’ultima sera sarà dedicata al cosiddetto “carico” di carboidrati, che anche qui è bene smitizzare. Un’abbuffata mostruosa di pane, pasta, pizza e patate non riempirà i nostri depositi di glicogeno epatici e muscolari molto più della loro normale capienza. Il surplus di carboidrati (a maggior ragione se si tratterà di carboidrati ad alto indice glicemico) non farà altro che essere depositato dall’insulina negli adipociti (le nostre cellule grasse) sotto forma di trigliceridi, e appesantirà la nostra corsa del giorno successivo, senza apportare alcun vantaggio specifico. Inoltre, spesso e volentieri, i carichi di carboidrati vengono fatti in città lontane, spesso in gruppo, in ristoranti che magari ci faranno attendere le portate fino a tarda ora. Questo è il sistema che ci garantisce (abbinato alla consueta sveglia all’alba) un sonno inquieto, insoddisfacente, disturbato. Ciò che non vorremmo mai avere prima di una gara importante. Lasciamo stare dunque le abbuffate, e limitiamoci ad una buona cena, più ricca e abbondante del solito, e con buone quantità di carboidrati complessi, frutta e verdura. Ceniamo presto, però, perché avremo bisogno di almeno tre ore prima di coricarci per poter andare a dormire senza essere ancora nel pieno della digestione. Un buon sonno ristoratore richiede di accedere alla fase sincronizzata di sonno profondo, che è invece impedita o ostacolata da una digestione pesante in corso. Se andiamo a dormire subito dopo cena (e soprattutto dopo una cena generosa) le esigenze digestive, che richiedono un sonno leggero come quello della fase REM (rapid eye movement, ovvero caratterizzata da sogni e da movimento rapido degli occhi), vanno in contrasto con l’esigenza di sonno profondo. Il risultato è un risveglio con gli occhi pesti, la bocca impastata e una sensazione di debolezza e di scarso appetito. Evitiamo tutto questo, se vogliamo essere al top la mattina della gara. • LA DIETA PER IL MATTINO DELLA GARA Ogni ultramaratoneta ha i suoi riti e negli alberghi non è infrequente sentire scalpiccii di passi fin dalle quattro del mattino, perché qualcuno si è alzato a prepararsi gli spaghetti. Non è naturalmente necessario. Prima della partenza è sempre buona norma cercare di partire a stomaco vuoto (inutile portarsi dietro una digestione in corso) e nello stesso tempo a serbatoi pieni. Abbiamo detto con chiarezza che l’unico serbatoio che ci interessa di riempire è quello degli zuccheri, perché rappresenta il più importante fattore limitante della prestazione. Qualunque cosa si decida di mangiare, dovrà quindi soddisfare a queste due condizioni: 1) Essere quasi completamente digerita al momento della partenza 2) Essere in grado di ripristinare le scorte di glicogeno consumate durante la notte Abbiamo già discusso (e lo vedremo meglio parlando di alimentazione in gara) come sia controproducente innescare in gara dei processi digestivi, perché questo sposta sangue dai distretti muscolari al tubo digerente, riducendo quindi l’afflusso di ossigeno ai muscoli stessi. La colazione, se colazione vera e propria si potrà fare, dovrà quindi essere sufficientemente digeribile, o sufficientemente lontana dal via, da consentire una digestione completa o quasi. In altre parole: se avremo tempo sufficiente (per esempio 3 ore) potremo mangiare un paio di belle fette di pane nero con marmellata o miele, con tè o caffè (attenzione al latte, che richiede ad alcuni tempi digestivi più lunghi), una banana o altro frutto, o ancora della frutta secca. Se invece il tempo sarà ristretto (sveglia alle sei con partenza alle 8.00, che vuol dire solo un’oretta di tempo tra fine colazione e inizio del riscaldamento) sarà possibile concedersi solo piccole quantità di sostanze zuccherine, come per esempio caffè o tè con miele, magari accompagnata da una fetta biscottata con un po’ di marmellata oppure da una banana. I tempi governano le dosi di alimenti di cui fare uso. Il contenuto della colazione (che nulla vieta di trasformare in un pranzo con pasta o riso se si è abituati e se i tempi sono sufficienti) deve tuttavia fare attenzione all’eventuale innalzamento della glicemia legato al consumo di zuccheri semplici ad alto indice glicemico. Una colazione composta (ad esempio) da pane bianco, tè zuccherato, bevanda energetica, biscotti di farina bianca e marmellata zuccherata, può alzare eccessivamente il contenuto di glucosio nel sangue, con repentino intervento dell’insulina. L’intervento dell’insulina (il corpo non sa che stiamo per partire per un’ultramaratona) abbassa la glicemia, trasformando in grassi gli zuccheri assunti in eccesso, senza più alcuna utilità per la nostra gara (ricordiamoci infatti che il nostro serbatoio di grassi, anche se siamo magri e tonici, è praticamente illimitato). Non solo, ma l’insulina, rimuovendo anche parte degli zuccheri “giusti” del sangue, può provocarci ipoglicemia reattiva, cioè un calo zuccherino che può affliggerci proprio nei primi difficili km di gara, regalandoci brutte sensazioni (di stanchezza e di demotivazione) in un momento nel quale non ne avremmo assolutamente bisogno. E’ dunque importante evitare che la colazione ci faccia salire eccessivamente la glicemia, se non vogliamo trovarci alla partenza con le gambe tagliate. Per evitare che questo succeda dovremo evitare sia zucchero bianco, bibite “energetiche” al glucosio o saccarosio e farine raffinate, sia limitare le quantità a quanto effettivamente consumato durante la notte (8 ore di sonno “costano” poco più di 2-300 kcal): di più non ci serve. Non ha nessun senso, infine, cibarsi al mattino con alimenti contenenti grassi oppure proteine in quantità rilevanti. In quel momento abbiamo bisogno solo di carboidrati per ripristinare le scorte impoverite durante la notte, e di cibi altamente digeribili: il che va in contraddizione con una scelta che preveda anche i grassi (i più lenti da digerire tra tutti i nutrienti). Tutto quanto detto vale naturalmente anche per le partenze pomeridiane: basterà tirare indietro le lancette secondo quanto detto, tenendo come punto fermo di riferimento la partenza della gara (o meglio l’inizio del riscaldamento). Pochi minuti prima della partenza, se lo desideriamo, possiamo anche succhiare una pastiglia di carboidrati come quelli che ci vengono offerti solitamente in gara. Il problema della glicemia a quel punto non esiste più, perché una volta partiti, il consumo di glicogeno muscolare rende preferenziale la via del ripristino delle scorte piuttosto che quella dell’accumulo nel sangue. Non ci cambierà la vita, ma già che siamo lì, non lasciamo nulla al caso e partiamo con i serbatoi pieni fino all’orlo. Se la gente comune avesse un’idea di quanti ritiri e sofferenze anche nella maratona siano dovuti a cattiva alimentazione nelle 24 ore precedenti la gara, verrebbe posta sicuramente maggiore attenzione a questo aspetto da parte di tutti. • AMINOACIDI O NO? Vi sono atleti che hanno l’abitudine da tempo di assumere aminoacidi ramificati nel corso della prestazione. Trovo questa pratica inutile, visto che gli aminoacidi in oggetto vengono comunque – nel corso dello sforzo – smontati nelle loro componenti energetiche simil-zuccherine. Non vedo, quindi, a quale scopo affaticare il fegato per smontarli quando è possibile con uguale sforzo (e miglior risultato) fare uso di zuccheri semplici. Il problema è un altro, che viene sempre sottaciuto da chi produce queste sostanze: l’effetto psicologico legato alla loro assunzione. Tra i nostri recettori cerebrali, infatti, ve n’è uno comune per 4 aminoacidi, che sono i tre ramificati (leucina, isoleucina e valina) e il triptofano. Già il triptofano (precursore della serotonina) ha più difficoltà degli altri ad essere assorbito. Se poi c’è affollamento di ramificati, il suo passaggio diventa quasi nullo. Questo significa che il cervello può produrre meno serotonina, col risultato di sentirsi più irrequieto e turbato, ma probabilmente anche più combattivo ed aggressivo. Da lì nasce probabilmente la sensazione di forza susseguente all’uso di ramificati. A noi amatori però non piace scherzare col fuoco, e la mente preferiamo averla del tutto integra per affrontare le sfide più belle. Ma soprattutto abbiamo anche una vita privata, una famiglia, forse dei figli (così come accade anche a molti top runners e – oggi – alla totalità dei nazionali di ultramaratona), e non ci piace che qualcuno giochi sulla nostra testa senza spiegarci come. Se voglio essere più aggressivo conosco già dei modi per esserlo, senza che qualcuno me lo imponga attraverso l’uso di integratori. Soprattutto, senza dirmelo. Di aminoacidi ramificati non è mai morto nessuno. Forse, però, se mangiamo una buona bistecca o un bell’uovo, facciamo un pieno di aminoacidi molto più equilibrato e salutare che con la bustina xy. Più utile potrebbe semmai essere l’apporto di glicina e prolina, aminoacidi costituenti ben il 66% del collagene, proteina fondamentale per la struttura dei nostri legamenti, tendini e articolazioni. Le carni che mangiamo sono sempre attentamente “ripulite” da “nervetti”, legamenti, cartilagini, così che l’apporto di questi aminoacidi risulta sempre carente. E’ vero, non sono essenziali, ma se mancano (essendo presenti in grande quantità in tutti i tessuti) richiedono una continua trasformazione di altri aminoacidi per ottenerne le quantità corrette. Resta sempre valido, comunque, il discorso che se riusciamo ad assumerli con il cibo di tutti i giorni è mille volte meglio. Non facciamoci stordire dal mercato degli integratori “urlato” in modo scomposto, che vuole farci credere che con una bustina si ottengano chissà quali risultati. Le cose da imparare sono quelle che abbiamo fin qui visto. Investiamo in cultura e conoscenza. Integratori che di volta in volta siano idonei a soddisfare le caratteristiche richieste, li potremo acquistare ed utilizzare senza alcun problema. Gli altri li lasceremo sullo scaffale finché la polvere non li seppellirà. Per gli ultramaratoneti è importante a mio giudizio anche un’integrazione vitaminica basata su antiossidanti come le vit. A, C ed E. Ciascuno dovrà sentire il proprio medico curante per questo aspetto, ma è certo che la quantità di radicali liberi prodotta durante gli allenamenti più duri e i momenti di carico più pesante deve essere in qualche modo contrastata. L’INTEGRAZIONE SALINA Una notazione infine per il reintegro di sali. Una gara da 100 km o più lunga, anche in condizioni di normale insolazione, temperatura e umidità, richiede un piccolo reintegro di sali. Il sudore elimina solitamente (in proporzione al fabbisogno interno) più magnesio che sodio, ed è quindi utile prevedere che la miscela di sali da ripristinare ne contenga in minima parte. Possiamo, in linea di massima, fidarci dei prodotti presenti sul mercato, ma miscelandoli con criterio alla soluzione zuccherina sulla quale abbiamo fino ad ora discusso. Con una concentrazione di circa 1 g per litro di sali minerali (in particolare magnesio, sodio, potassio e cloro) allontaniamo il rischio (peraltro piuttosto raro) della cosiddetta iponatremia, ovvero quella condizione patologica che si instaura allorché la concentrazione di sodio dell’atleta diminuisce fortemente a causa del reintegro con sola acqua dei liquidi perduti in gara. Sarà sufficiente mescolare i sali nella quantità indicata alla soluzione che avremo preparato, e quanto perso sarà facilmente ripristinato nel corso della competizione. COSA MANGIARE DURANTE LA GARA Siamo dunque partiti. E qui inizia il bello. Per decidere se, quando, quanto e che cosa mangiare, occorre fare stretto riferimento a quanto abbiamo visto nel capitolo relativo ai meccanismi energetici dell’ultramaratona. Rivediamo a grandi linee cosa succede al nostro organismo in una 100 km. Se pesiamo 60 kg (e non abbiamo grasso superfluo), come abbiamo visto, disporremo di circa 1800 kcal sotto forma di glicogeno, ma ne consumeremo circa 6000 (60 kg x 100 km) per arrivare in fondo. Anzi consumeremo 5400 kcal soltanto, perché avendo una buona tecnica di corsa (relativamente economica) il nostro coefficiente K scenderà al valore di 0,9 invece del valore standard (pari a uno) fin qui usato per semplificare i calcoli. La percentuale di zuccheri che dovremmo quindi usare per portare a termine la gara alla massima velocità possibile, ma senza accenno di crisi, sarà data dal rapporto tra 1800 e 5400, cioè in pratica il 33% (corrispondente ad un 67% di grassi). Si è detto in precedenza che più bassa è la percentuale di grassi usata nel mix energetico, e più alta sarà la velocità che possiamo permetterci di tenere. Sarà dunque nostra cura cercare di assimilare la maggior quantità possibile di zuccheri in gara per alzare la percentuale di energia proveniente dagli zuccheri rispetto a quella complessiva (già l’abbiamo fatto migliorando il nostro stile di corsa: ciò ha portato il rapporto grassi/totale dal 70% al 67%). Ammettiamo dunque, a puro titolo di ipotesi, che sia possibile assimilare altre 900 kcal in gara sotto forma di zuccheri. Questo sposterebbe il rapporto a (1800+900)/5400, ovvero con un mix al 50% di grassi e al 50% di zuccheri. A parità di tutte le altre condizioni questo significherebbe una possibilità di accelerazione del ritmo (secondo la regoletta empirica dell’1% in più per ogni 2% di grassi in meno consumati) dell’8,5%. Un’enormità. Vuol dire, per un atleta che pensava di correre a 4’20/km l’intera gara (tempo finale di 7h13’), potersi permettere di correrla a 3’57/km (6h34’!!!). E’ chiara l’importanza del fattore zuccheri in gara e prima della gara? Una volta stabilita però questa interdipendenza occorre capire come fare ad assimilare la maggiore quantità di zuccheri possibile senza subire effetti collaterali (come la digestione) i cui esiti abbiamo del tutto omesso in questa simulazione. ZUCCHERI E DIGESTIONE Il problema della digestione è in effetti abbastanza complesso da aggirare, perché quasi qualunque sostanza da noi assunta impegna, poco o tanto che sia, i nostri processi, sottraendo sangue alle arterie dirette ai muscoli. Diciamo allora che la differenza può essere fatta tra quel poco e quel tanto. Ove esistessero sostanze zuccherine di alto valore energetico (in termini di kcal) ma di facilissima digestione, il problema sarebbe, almeno in parte, aggirato. Proviamo dunque a stilare una sorta di “classifica” tra alimenti diversi per capire quali di questi possano essere più adatti alla digestione in corsa, tenendo presente che i normali tempi di elaborazione degli alimenti vengono spesso alterati in gara dai livelli ormonali accresciuti di cortisolo e catecolamine, nonché dai continui sobbalzi a cui è soggetto l’intero apparato digerente, che non consentono una funzionalità particolarmente efficiente. Questi problemi si aggravano quanto più alta è la “sofferenza” competitiva o – tanto per usare un parametro noto a tutti – quanto più alte sono le pulsazioni. Incominciamo dunque ad eliminare tutti i cibi solidi complessi contenenti dosi rilevanti di grassi o di proteine. La loro digestione in gara sarebbe lunga e complessa, e i benefici nulli perché di grassi ne abbiamo a sufficienza per fare 3 o 4 ultramaratone di seguito, e le proteine dovremmo immediatamente trasformarle in zuccheri, con conseguente appesantimento della funzione epatica ed allungamento dei tempi di elaborazione intestinale. Sembra ovvio? Non tanto, visto che in maratona si vedono spesso atleti addentare delle improbabili barrette 40-30-30 (utilissime in altre situazioni, ma non in quella) oppure pezzetti di cioccolato (ricco di grassi) o di biscotto (con la margarina), o ancora aminoacidi ramificati. La seconda attenzione dobbiamo averla nei confronti dei cibi solidi rispetto a quelli liquidi. E’ nozione che dovrebbe essere nota a qualsiasi medico che lo stomaco ha una via “diretta” per il passaggio dei liquidi al duodeno, e una via invece completa per tutti i cibi solidi che lo attraversano. Il passaggio dei liquidi dura dunque pochissimo, mentre un cibo semisolido può fermarsi anche un’ora a livello gastrico. E a noi non serve che la digestione avvenga dopo la linea del traguardo, no? Ovvia conseguenza di questo discorso è quindi la necessità di fare conto in gara solo su sostanze disciolte in acqua e specificamente zuccherine, che siano anche molto rapidamente digeribili e possibilmente ad alto indice glicemico (che è una conseguenza diretta delle caratteristiche appena descritte). Meglio ancora se tali sostanze fossero semplicemente diffusibili, ovvero in grado di raggiungere il sangue attraversando direttamente le pareti del tubo digerente. Vediamo quindi che cosa possiamo mettere, una volta scartati i cibi solidi, all’interno del liquido che ingeriremo. Più avanti ci concentreremo sulle quantità più idonee da assumere (fermo restando che in questo caso, tanto più, tanto meglio). Possiamo trovare nei vari preparati da gara: - maltodestrine - glucosio (= destrosio) - sciroppo di glucosio - saccarosio - fruttosio - altri zuccheri Ciascuno di questi ha una specificità di azione legata alla propria biochimica di assorbimento. Non sarà esercizio inutile comprendere come vengono assorbiti ed assimilati dopo l’ingestione. Le maltodestrine non sono altro che delle vie di mezzo tra il glucosio (monomero) e l’amido o il glicogeno (che sono polimeri del glucosio stesso). In pratica, se il glucosio è una perlina di una collana, l’amido (vegetale) e il glicogeno (animale) sono le forme di accumulazione cellulare di quelle perline, ovvero le intere collane. Le maltodestrine sono come delle piccole collanine da 5-20 perline. Sono quindi di più veloce assimilazione rispetto agli amidi (un piatto di pasta), ma sicuramente di più lenta assimilazione rispetto ad uno zucchero semplice come il glucosio. In gara, quindi, non pare avere molto senso l’uso di maltodestrine. Molto più utile, semmai, l’uso del glucosio che richiede minor tempo per essere assimilato, e non crea problemi di innalzamento glicemico, visto che in corsa l’eccesso ematico (insieme all’eventuale insulina prodotta) serve proprio a distribuire con efficienza il glucosio alle cellule muscolari affaticate (e svuotate). Più utili potranno quindi essere le maltodestrine, se prese poco prima dell’inizio della gara, per prevenire repentini innalzamenti della glicemia. In gara, tuttavia, non sembrano di maggiore utilità rispetto ad un qualsiasi zucchero semplice. Lo sciroppo di glucosio si trova come ingrediente in numerosi preparati liquidi da bere in gara. Si tratta sempre di glucosio mescolato ad acqua, molto concentrato fino a costituire uno sciroppo. Il saccarosio, o zucchero da cucina, è invece costituito dall’unione di glucosio e fruttosio (lo zucchero della frutta). E’ quindi un disaccaride, ovvero uno zucchero costituito da due sole “perline”. E’ anch’esso molto adatto all’assunzione in gara, ed ha due diverse velocità di assimilazione: una (rapidissima) per il glucosio, l’altra, molto più lenta, per il fruttosio, che segue una via alternativa per essere metabolizzato (quella del fruttosio-1-fosfato), che sta alla base del suo indice glicemico molto basso. Se nella vita di tutti i giorni è importante evitare l’assunzione di saccarosio diretta o indiretta (bibite, marmellate, gelati), la gara è invece il momento in cui tale apporto è non solo consentito, ma anche consigliato, proprio per la sua rapidità di assimilazione e distribuzione ai distretti muscolari, abbinata alla relativa facilità digestiva. Non pensiamo, comunque, che l’impegno digestivo sia nullo. Anche se si tratta di zuccheri semplici, il furto di sangue ai distretti muscolari avviene sempre, riducendo in parte l’effetto positivo dell’assunzione di carboidrati dall’esterno. Il fruttosio assunto da solo, come già detto, segue una via metabolica relativamente lenta ed è perciò meno adatto per l’assunzione sotto sforzo. Sarebbe invece più adatto come dolcificante per la vita di tutti i giorni, ma non dimentichiamo che il fruttosio in polvere è comunque un prodotto chimico raffinato (anche se ottenuto dalla frutta) ed è quindi privo di qualunque presenza vitaminica o minerale: sarà, quindi, buona abitudine, nella vita quotidiana, assumerlo attraverso la frutta e la verdura che ne sono ben fornite. Tra gli altri zuccheri semplici che qua e là si trovano in gel e barrette, un cenno merita il glicerolo (o glicerina) che impegna la digestione in modo limitatissimo. La glicerina, infatti, si trasforma rapidamente nella cellula in diossiacetonfosfato, un intermedio della glicolisi, entrando rapidamente nel ciclo della produzione di ATP. Uno qualunque degli acidi organici intermedi del ciclo di Krebs (la via metabolica più produttiva in condizioni di sufficiente apporto di ossigeno) potrebbe essere altrettanto utile come fonte di rapida produzione di energia: ad esempio l’acido citrico, l’acido succinico, l’acido ossalacetico, l’acido alfachetoglutarico. Tuttavia la fornitura di questi composti sotto sforzo deve essere ancora adeguatamente testata dal punto di vista della penetrazione cellulare e dell’eventuale acidificazione sanguigna, il che richiederà sicuramente ancora qualche tempo. L’ASSUNZIONE DI ACQUA IN GARA Una volta compreso il fatto che gli zuccheri scelti debbano essere disciolti in acqua ed essere quanto più possibile rapidamente assorbiti e messi in circolo (e distribuiti ai muscoli), dobbiamo porci il problema di quanti zuccheri possano essere ingeriti nel corso della gara, in quale forma e in quale diluizione. Alcuni ricercatori hanno fissato l’attenzione sulle possibilità limite di assorbimento dell’acqua in gara da parte degli atleti. Dal dato teorico dei due litri consumati in una maratona “media” (abbastanza soleggiata, ma non necessariamente estiva), nel quale tuttavia andrebbero computate altre perdite di peso collaterali, si passa ad una consistente variabilità legata appunto all’insolazione, ma anche all’umidità relativa (impedimento alla rimozione del sudore), al numero di ghiandole sudoripare del soggetto, alla lunghezza in km o alla durata della prova. Come sempre, una volta esaminati i lavori scientifici esistenti sull’argomento, è necessario rifarsi all’esperienza pratica: in una 100 km bere circa 100 ml di acqua ad ogni ristoro (uno ogni 5 km) significa bere 2 litri d’acqua complessivamente. Una 100 km siciliana con temperature desertiche ne richiederà 4-5 volte tanta, mentre una 100 km invernale in Piemonte richiederà forse solo 5-600 ml complessivi. E’ in questi ambiti che occorre provvedere all’apporto di zuccheri di facile assimilazione, ricordando che soluzioni troppo concentrate vengono assorbite con molta lentezza, e che quindi è prudente non assumere mai concentrazioni superiori al 10%. Qui, a differenza dell’assorbimento d’acqua, i dati diventano un po’ più precisi, perché il limite massimo di assorbimento del glucosio è dato, secondo Hawley e Bosch, dalla velocità di rilascio del glucosio stesso da parte del fegato, pari a circa 1 g/minuto . E’ probabile che questo problema possa essere parzialmente aggirato proprio con l’assunzione di carboidrati che superino il “filtro” del fegato: il già citato glicerolo e gli altri acidi organici intermedi del ciclo di Krebs. Tuttavia prendiamo per buono il dato scientifico che pone dunque a 60 g di glucosio per ora il massimo degli zuccheri assimilabili. In condizioni reali questo valore tenderà ad abbassarsi per la difficoltà pratica di bere in gara un litro d’acqua ogni ora. Assumiamo quindi che – con un’accorta distribuzione delle soste e un’assistenza personalizzata – si arrivino a bere i famosi due litri totali dell’ultramaratona “media” già presa ad esempio, con una concentrazione pari al 10% di glucosio. Ciò significa la possibilità concreta, in una 100 km, di assimilare circa 200 g di glucosio, che fanno la bellezza di 800 kcal che vanno ad aggiungersi agli zuccheri già disponibili prima della partenza. Il nostro calcolo puramente ipotetico di 900 kcal aggiuntive si è dunque dimostrato approssimativamente corretto, e ci permette di trarre la seguente conclusione: l’assunzione mirata in corsa di zuccheri disciolti in acqua e di pronta assimilazione (purché ripetuta e nei dosaggi corretti) ci può consentire di velocizzare il nostro ritmo gara all’incirca di 20 secondi/km. Che non è poco. E se consideriamo quanta gente, invece, continua a nutrirsi in corsa con cibi solidi o contenenti piccole o grandi quantità di grassi o di proteine, si capisce con quale facilità vengano, talvolta, dissipati mesi e mesi di preparazione atletica (magari ottima) a fronte di una conoscenza imperfetta delle dinamiche con cui il nostro organismo assimila i nutrienti. L'ALIMENTAZIONE CORRETTA DOPO LA GARA Dieta nel dopo gara e nei giorni successivi Una volta terminata la gara, non è necessario abbuffarsi di tutto ciò che si trova al ristoro. Si potrà naturalmente mangiare di tutto, ma – dico io – perché fare uso di zuccherini bianchi (saccarosio) o bibite gassate “vuote” piuttosto che non di cibi veri, dalla crostata di albicocche alle uvette, fino anche al pezzo di cioccolato che ci guarda con insistenza dal vassoio? La fame belluina che ci assalirà nelle ore immediatamente successive alla fine della gara dovrà essere soddisfatta con un minimo di moderazione e di autocontrollo, e così dovrà essere anche per i giorni successivi, se non vogliamo salire di peso in modo incontrollato. L’intenso svuotamento energetico sofferto durante la gara ed il consumo proteico legato all’usura muscolare e tendinea richiedono alcuni giorni di recupero nei quali il corpo si predispone all’anabolismo, cioè alla ricostruzione. Molti nostri organi hanno lavorato a fondo, dovendo correre per cento (o magari duecento e più) km. Si sono affaticati i reni, si è stancato il fegato, il midollo osseo ha dovuto produrre nuovi globuli rossi per compensare quelli spezzati o danneggiati dai ripetuti urti del piede, le cartilagini si sono parzialmente usurate, tendini e legamenti si sono indeboliti, le vie aeree si sono irritate, molte cellule muscolari si sono rotte e tanti radicali liberi si sono prodotti all’interno delle cellule. Il corpo sa perfettamente come rimediare a questo bollettino di guerra, e non ha bisogno di nulla, se non di disporre del giusto carburante e dei giusti mattoncini. E naturalmente del riposo necessario a che tutti questi processi di ripristino si mettano in moto. Facciamo molta attenzione: nel mondo dell’ultramaratona si pensa talvolta che più si corre e più si ottengono risultati. E’ in parte vero. Ma se noi sovrapponiamo uno sforzo intenso su un tendine indebolito che non ha avuto il tempo di rafforzarsi, rischiamo di vederlo rompersi, e lo stesso vale per muscoli e fasce, legamenti, cartilagini. Non facciamo questo errore. Coloro che corrono una maratona alla settimana (i cosiddetti “stakanovisti” della maratona) riescono a farlo, oltre che per le evidenti ottime doti che madre natura ha loro concesso, anche e soprattutto perché le corrono ad un livello d’impegno non massimale, mantenendo dei margini. Se così non fosse, ogni gara lascerebbe loro dei residui che richiederebbero più tempo di sei giorni per essere recuperati. Inoltre, dobbiamo sempre tenere presente che il modo migliore per rafforzare muscoli, tendini e articolazioni è sempre quello di usarli. Qualunque muscolo lasciato a riposo totale regredisce in tempi brevi (in coloro che sono costretti immobili a letto per un mese, anche del 50%), mentre qualunque muscolo od organo, adeguatamente sollecitato, risponde con un incremento delle proprie funzioni e capacità. E’ il principio base dell’allenamento a carico crescente. Purtroppo, però, molti omettono di ricordare che il muscolo o l’organo non possono rispondere se non viene loro lasciato il tempo per farlo. La maggior parte degli infortuni da usura (microfratture, contratture, lesioni cartilaginee, infiammazioni) è legata al non rispetto dei tempi di recupero e – dico io – ad una scorretta alimentazione successiva ad uno sforzo atletico di elevato impegno. I fabbisogni vitaminici, minerali, proteici delle settimane che seguono la gara più importante dell’anno sono maggiori del solito. Assumere qualche antiossidante e qualche integratore che apporti oligoelementi va sicuramente nella direzione giusta, ma se non c’è alle spalle una base alimentare corretta come quella che abbiamo lungamente descritto nelle precedenti pagine, il recupero diventa lungo e difficile. Anzi spesso, galvanizzati da un buon risultato, si incominciano ad accettare inviti a gareggiare a destra e a manca, giocandosi quel tempo di sano recupero che il nostro organismo chiedeva a gran voce. Impariamo che la salute del nostro corpo non è gratuita, ma che richiede impegno ed ascolto continuo. Così come un clown passa ore a perfezionare le proprie espressioni buffe, o un medico a ripassare la sequenza delle arterie da chiudere in un delicato intervento chirurgico, a noi atleti desiderosi di massimizzare una performance è richiesto uno studio attento non solo delle modalità di allenamento (che tra poco analizzeremo) ma anche delle risposte ai diversi carichi e delle correlazioni con l’alimentazione quotidiana, vera benzina della nostra prestazione sportiva. Il corpo percepisce i cambiamenti nel carburante che inseriamo nel motore, e reagisce positivamente di conseguenza. Se con la nostra auto andassimo da un distributore e la sentissimo poi perdere colpi in accelerazione, o scricchiolare sinistramente durante le manovre di parcheggio, torneremmo forse da quello stesso distributore? Io credo di no. E allora perché invece continuiamo ad acquistare farina 00, zucchero bianco e bibite colorate? Ci accorgiamo della relazione stretta che c’è tra ciò che mangiamo e la nostra voglia di fare, di lavorare, di divertirci? Se vorremo affrontare con serenità e impegno gli allenamenti che andrò a descrivere nella sezione che segue, la base alimentare dovrà essere un punto fermo dal quale partire. Poi, non ci fermerà più nessuno. COMINCIARE A CORRERE: PERCHÉ? I benefici fisici e mentali che l’organismo sperimenta dedicandosi regolarmente ad una pratica sportiva, sono talmente ampi da giustificare qualunque sforzo per riuscire a farlo. Tuttavia molti individui hanno difficoltà ad incominciare a causa dell’eccessiva fatica riscontrata, ed anche per l’assenza totale di autorevoli guide che possano aiutare a superare l’inerzia iniziale. Chi incomincia a muoversi, spesso lo fa in modo incoerente, spinto magari dal desiderio di dimagrire, o di presentarsi un po’ più tonico in spiaggia, producendo magari sforzi a cui il corpo non è assolutamente preparato. Le conseguenze sono spesso “fantozziane” (ricordate il megadirettore patito di ciclismo?), con rischi talvolta consistenti di guasti permanenti a tendini o articolazioni (gravati magari dal peso eccessivo), e quel che è peggio con un risultato complessivo di demotivazione e di rapido ritorno alla sedentarietà. La scelta dello sport da praticare deve rivolgersi prevalentemente verso una pratica aerobica, che solleciti cioè in modo dolce l’apparato cardiocircolatorio e l’apparato muscolo-scheletrico. Gli sport d’elezione per questo scopo sono indubbiamente il nuoto, il ciclismo e la corsa/cammino. Nuoto e ciclismo, rispetto alla corsa, hanno sicuramente il vantaggio di non gravare in modo così pesante sulle articolazioni, e devono essere suggeriti a chi si trovi in grave situazione di sovrappeso. I tempi necessari però ad ottenere con questi due sport consumi calorici ragionevoli, sono piuttosto lunghi, e non tutti e non sempre sono disponibili a impiegare diverse ore della giornata per muoversi. La corsa è lo sport ideale per innescare tonificazione e dimagrimento per l’intensità del consumo calorico prodotto. Consente infatti in un tempo ragionevolmente breve (un’oretta) un consumo calorico quantitativamente apprezzabile. L’ostacolo maggiore alla pratica della corsa risiede però proprio nello sforzo fisico e mentale che richiede. La frequenza cardiaca infatti, sale rapidamente, e, in assenza di allenamento, dopo pochi secondi o pochi minuti i muscoli si trovano costretti a lavorare in carenza di ossigeno, producendo scorie lattacide che rendono impossibile continuare il movimento. Ecco quindi che al terapeuta che vorrebbe fare uso della corsa come strumento di cura e di prevenzione, vengono a mancare gli strumenti adeguati per farlo. Attraverso statistichesi e applicato(indistintamente su individui in grave sovrappeso, così come su individui di peso vicino alla norma, ma da anni abituati alla sedentarietà), un metodo che più di una volta ha avuto successo nel convincere anche i più recalcitranti a rompere gli indugi. Ci sono stati risultati, tra cui incominciare a muoversi ragazzini impigriti sulla soglia dell’obesità, così come ultrasessantenni che da decenni non muovevano le gambe se non per le attività vitali indispensabili. Chiunque si trovi all’interno di questa ampia fascia, dunque, non abbia paura: non sarà né il primo né l’ultimo a fare questa vivificante esperienza, i cui positivi effetti psicofisici sono incommensurabili. Scopriremo che la corsa ha degli effetti sconvolgentemente benefici sul nostro apparato cardiovascolare, sulla sensibilità dei nostri recettori all’insulina, sulla velocità di reazione del nostro metabolismo, sulla rapidità di eliminazione delle tossine, sulla nostra funzionalità epatica e renale, sul nostro umore, sul nostro appetito, sul nostro desiderio sessuale, sulla nostra osteoporosi e su mille altri importanti fattori psicofisici. Concediamoci di scoprirlo un po’ per volta. Nel frattempo godiamoci la sensazione bellissima di un corpo che rinasce, perché consapevole della bellezza di un gesto istintivo, che fa parte della nostra stessa natura, e che non ci è consentito rinnegare. E’ giunta l’ora -un passo alla volta - di ritornare a casa. • BENESSERE IN CORSA La pratica di una qualsiasi attività fisica contribuisce a farci sentire meglio e ci fa vivere più a lungo. L’attività sportiva meno costosa e di più facile accesso è la corsa. E’ ormai ampiamente dimostrato che correre regolarmente fa bene alla salute, abbassa la quantità di zuccheri nel sangue, aiuta la circolazione, fa perdere peso e stimola il buon umore. Unica regola da osservare è quella di non esagerare e seguire alcuni semplici consigli pratici. Studi condotti hanno dimostrato che la corsa fa bene al cuore, migliora l’efficienza cardiaca e circolatoria grazie all’immissione in circolo sotto sforzo di sostanze vasodilatatrici. Queste sostanze svolgono la loro azione sui muscoli e sulle arterie: i vasi arteriosi, grazie all’azione di vasodilatazione, aumentano di calibro e mantengono questa dilatazione anche con il cessare dell’attività fisica; il sangue circolante, quindi, incontra meno resistenze nei vasi e tutto ciò favorisce l’abbassamento della pressione arteriosa. L’ipertensione arteriosa è certamente un fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari, ma praticare la corsa a bassi ritmi e senza sforzi violenti, indicazione questa importante specialmente per le persone che hanno la pressione troppo alta, serve come prevenzione per queste patologie del cuore e del circolo. La pratica costante della corsa giova alla frequenza cardiaca che diminuisce a riposo. Il miglioramento dell’attività del cuore va a vantaggio di eventuali altre attività sportive svolte e della vita quotidiana. Altro fattore di rischio per le patologie cardiache è il valore troppo alto di colesterolo nel sangue: la corsa aiuta anche in questo caso. Alcuni studi americani hanno evidenziato che correre per 6 mesi, per 45 minuti al giorno, per 5 giorni alla settimana, aumenta il valore di HDL (colesterolo buono) del 14-15% e porta a una diminuzione dei trigliceridi. Il colesterolo buono ha la funzione di “spazzino” nei confronti del colesterolo LDL, definito cattivo perché tende a depositarsi sulle pareti interne dei vasi, ostruendo il lume vasale ed ostacolando il flusso sanguigno. Incrementare il valore di HDL ha quindi un effetto preventivo nei confronti della ipercolesterolemia e della arteriosclerosi. • CHI CORRE PERDE PESO… Più facilmente rispetto ai sedentari e il risultato si ottiene correndo per circa un’ora alla settimana per alcuni anni. Dimagrire è importante certamente per motivi estetici, ma soprattutto per risolvere una serie di problemi maggiori che l’obesità determina. Il grasso in eccesso favorisce l’instaurarsi dell’arteriosclerosi, di disturbi cardiaci, circolatori ed epatici. Il grasso distribuito a “mela”, cioè localizzato specialmente all’addome, è più pericoloso di quello a “pera”, cioè distribuito sui fianchi e sulle cosce. Fortunatamente l’adipe dell’addome viene eliminato facilmente con l’attività sportiva e in modo particolare con la corsa. Si ottiene il dimagrimento quando diminuisce il contenuto di grasso negli adipociti, cioè le cellule di deposito. L’eliminazione dei grassi avviene attraverso un processo chiamato lipolisi , che viene stimolato negli adipociti durante la corsa: da queste cellule escono i grassi che vengono in seguito utilizzati dai muscoli come fonte di energia. Il grasso corporeo diminuisce e questo porta un vantaggio sia all’estetica che alla salute. Altro effetto benefico della corsa è quello di ridurre gli zuccheri circolanti nel sangue. Una ricerca, effettuata su un gruppo di soggetti in terapia con insulina o con farmaci ad effetto ipoglicemico e su un certo numero di pazienti con un elevato valore di glicemia, ha dimostrato che un periodo di allenamento con corse e camminate associato ad un regime dietetico appropriato ha dato risultati più che positivi. Il 39% dei soggetti, alla fine di questo periodo, ha potuto sospendere la terapia medica e il 71% ha potuto alternare periodi con farmaci ad altri senza. Questo risultato è spiegato dal fatto che lo sport abitua il muscolo a prelevare una maggior quantità di glucosio dal sangue e ciò è di estrema importanza per i diabetici che convivono con il problema dell’iperglicemia. Lo sport insomma tiene sotto controllo il tasso degli zuccheri. • COME CORRERE L’approccio con la corsa, come con qualsiasi altra attività sportiva, deve essere graduale e lento. Alcuni consigli sono essenziali per avvicinarsi alla corsa quando si è inesperti: è meglio non correre quando si è troppo stanchi, quando si è dormito poco, durante periodi di convalescenza o quando si è affetti da malattie anche lievi, come il raffreddore o il mal di gola. Sono da evitare le gare con i compagni di corsa, specialmente alle prime uscite quando non si ha un allenamento sufficiente, per poter evitare il rischio di incidenti, di infortuni muscolari o un affanno eccessivo; è consigliabile, durante le prime settimane, lavorare sulla quantità, cercando di aumentare il numero di chilometri percorsi in modo graduale ed evitare inutili gare di velocità; evitare le giornate troppo calde ed afose che porterebbero facilmente a problemi di disidratazione e al colpo di calore; ma anche quelle gelide. Correre su strade non sconnesse al fine di non danneggiare le caviglie, evitare la corsa continua sull’asfalto che causa spesso problemi ai tendini, e, se possibile, correre in ambienti non troppo inquinati. Correre sulla pista di tartan provoca sollecitazioni eccessive a carico dei muscoli e dei tendini, con conseguenti disturbi infiammatori e, talvolta, microfratture a livello del piede.Allenarsi almeno 3 volte alla settimana a giorni alterni per permettere al fisico di recuperare, correndo con un ritmo blando, per 5 minuti e aumentando gradualmente sia il tempo che la velocità; eseguire esercizi di streching alla fine della corsa. Ognuno di noi corre assumendo un suo stile, infatti non esiste una posizione standard, ma certo rispettare alcune regole aiuta ad evitare inutili rischi. Ideale è correre con i muscoli del collo rilassati e tenere la testa in una posizione fissa, non troppo avanti o troppo indietro. Le spalle devono essere decontratte, il busto leggermente inclinato in avanti per riuscire a correre in scioltezza. Non si deve correre a ginocchia alte e sulla punta dei piedi; evitare insomma di saltellare verso l’alto piuttosto che procedere in avanti. Il passo non deve essere particolarmente lungo e il piede deve essere tenuto il più possibile aderente al suolo. Cercare di sincronizzare il movimento delle braccia, comunque siano tenute, con quello delle gambe. Quando si corre in salita cambiano leggermente alcuni particolari della posizione. La testa, le spalle e il busto vengono leggermente inclinati in avanti per potersi muovere più agilmente e con meno fatica; il passo diventa più corto di quello effettuato in pianura, si spinge sulle punte dei piedi facendo leva sulle caviglie e sulla muscolatura anteriore della gamba e della coscia; le braccia, sincrone al movimento delle gambe, aiutano nella spinta in avanti, più o meno come si fa con i bastoncini nello sci di fondo. La discesa viene affrontata con la testa rilassata e dritta, con il busto ancora inclinato in avanti, evitando di inarcare la schiena all’indietro, con il passo corto e il piede aderente al terreno, evitando di correre sui talloni e a balzi, perché ciò comporterebbe danni al ginocchio e al tendine di Achille e con le braccia che accompagnano il movimento in scioltezza, senza farle ciondolare mollemente lungo il corpo. La posizione corretta evita certamente alcuni danni e dolori agli arti, ma anche chi corre in modo corretto non è immune da alcuni piccoli fastidi evitabili con semplici accorgimenti. Quei dolori muscolari tardivi, che si manifestano il giorno dopo alla coscia e al polpaccio, scompaiono spontaneamente, ma migliorano più velocemente se la parte viene massaggiata, se viene eseguito lo streching. I crampi, che sovente interessano il polpaccio, la parte posteriore della coscia e il piede, provocati da una mancanza di sali persi con il sudore, possono essere evitati facendo uso di preparati salini specifici e bevendo molto. Quando si pratica la corsa, sia a livello agonistico che a livello amatoriale, è opportuno controllare la frequenza cardiaca proprio per trarre il maggior giovamento dalla pratica di questa attività sportiva. Prima di tutto bisogna stabilire quale tipo di corsa viene praticato e, di conseguenza a questo, stabilire quale livello di frequenza cardiaca mantenere. La frequenza cardiaca massima teorica viene calcolata = 200 – età. Per la corsa lenta la frequenza deve essere il 50-60% della massima, per quella a ritmo moderato, quando si pone come traguardo il dimagrimento, è consigliato un valore corrispondente al 60-70% della massima. Chi pratica la corsa veloce deve avere una frequenza cardiaca intorno al 7080% della massima mentre questo valore sale all’80-90% in caso di corsa agonistica. • LA CORSA COME STRUMENTO PER RIMUOVERE I BLOCCHI METABOLICI In definitiva ogni nostro apparato organico risente positivamente della pratica regolare di una qualche attività fisica, soprattutto se di tipo aerobico. Dal sistema circolatorio e cardiovascolare a quello respiratorio, dalla struttura muscolare a quella articolare, dalla funzionalità ormonale alla regolazione sonno-veglia, tutto l'organismo riceve un input positivo dallo stimolo sportivo. A qualsiasi livello si pratichi. Perchè sono soprattutto la costanza e la regolarità dell'attivazione ad influire con più incisività e non l'intensità dello sforzo prodotto. Questo è un elemento da tenere in considerazione: spesso non raggiungere in tempi brevi prestazione di un certo livello può demotivare lo sportivo principiante. Si bruciano così in un inizio impetuoso le speranze e le aspettative di chi dà troppo valore alla prestazione in se stessa. Non avere da subito risultati apprezzabili vuol dire spesso riporre nel cassetto le scarpette appena acquistate. A questi principianti delusi è bene far presente un'altra importantissima azione svolta dal movimento regolare: recenti studi in campo metabolico, infatti, hanno dimostrato che la pratica di uno sport di resistenza è in grado di combattere, e in parte invertire, la resistenza leptinica indotta da errori alimentari. Come dire che se a tavola si fanno errori, la corsa, almeno in parte, può metterci una toppa. Questi studi, condotti su roditori e pubblicati nel 2004 da Steinberg ed al. ("Endurance training partially reverses dietary-induced leptin resistance in rodent skeletal muscle"), presentano risultati chiari ed incoraggianti: dove individui in sovrappeso abbiano indotto una resistenza alla leptina (ormone che regola fame, sazietà e consumi metabolici) a causa di scorrette abitudini alimentari, uno dei modi più efficaci per invertire il processo consiste proprio nel praticare la corsa di lunga durata. Una dieta equilibrata e rivolta all'attivazione metabolica è sicuramente sinergica all'intero processo. Questo è indubbiamente un ennesimo punto a favore di un'attività aerobica che punta sul protrarsi della seduta. Sotto, allora, con il running, la camminata sportiva, la bicicletta o il nuoto, a ritmi anche contenuti, ma dedicando almeno un'ora intera, per 3 volte a settimana, con lo scopo di ripristinare al più presto la nostra sensibilità leptinica. • LA FREQUENZA CARDIACA A RIPOSO Lo stato di salute dell’organismo può essere evidenziato in vari modi, ma una modalità piuttosto semplice ed immediata è quella che prende a riferimento la frequenza cardiaca a riposo. Il numero dei battiti al minuto è un buon indicatore dello stato di salute fisico, perché il cuore è un organo che lavora a servizio di tutto l’organismo. Pensa per es. all’aumento delle pulsazioni che si verifica quando è in atto un’influenza, oppure quando l’organismo è impegnato nella digestione, o quando ti trovi in una situazione di stress per aver lavorato molto, o per aver dormito poco, o anche perché sei nervoso. Un cambiamento dello stato fisiologico basale del corpo viene evidenziato appunto da una variazione temporanea della frequenza cardiaca, perché il cuore è maggiormente impegnato a fornire sangue per ossigenare le cellule, o materiale energetico, o per allontanare l’anidride carbonica ed altri cataboliti. Una persona che non pratica attività sportiva ha una frequenza cardiaca a riposo (quando in pratica si trova rilassato come per es. appena svegliato) di 70 battiti al minuto. Un podista di medio livello, grazie all’allenamento che migliora l’efficienza cardiocircolatoria ed anche l’ampiezza delle cavità del cuore, può registrare valori inferiori alle 60 pulsazioni al minuto, mentre un corridore molto ben allenato può avere una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 50 battiti per minuto. Un’alterazione dello stato di salute dell’organismo determina un aumento del numero delle pulsazioni di 5 e più battiti al minuto e quindi, quando al mattino si misura la frequenza cardiaca a riposo e si registra un aumento del numero delle pulsazioni rispetto al proprio valore basale, è probabile che l’organismo sia interessato da un’alterazione del livello basale. Un’influenza può essere rilevata anche un paio di giorni prima che i sintomi si manifestino, proprio in seguito ad un aumento della frequenza cardiaca. Anche un affaticamento indotto da un allenamento pesante sostenuto il giorno precedente è evidenziato sempre dal numero di pulsazioni. Se l’incremento dei battiti al minuto è inferiore a 5 pulsazioni, la situazione deve essere considerata fisiologica. Ma se la frequenza cardiaca è superiore di 5 battiti rispetto a quella basale, è probabile che l’organismo stia ancora reagendo alla sollecitazione indotta dall’allenamento, e di conseguenza è preferibile non sostenere una seduta pesante per quella giornata. La frequenza cardiaca a riposo va rilevata a letto, poco dopo essersi svegliati, e può essere controllata ponendo la mano direttamente sul cuore, oppure mettendo il polpastrello dell’indice sulla parte inferiore del polso, dove passa l’arteria radiale. Altri punti di rilevazione si trovano sul collo, lateralmente alla gola, dove transita l’arteria carotide, e sulle tempie, dove si sente pulsare l’arteria temporale. Immagino che per molti di voi possa essere noioso registrare ogni mattina la frequenza cardiaca a riposo, ma se avete la costanza di farlo regolarmente, registrando i valori su di un grafico, potrete riscontrare situazioni curiose che, messe in relazione con gli allenamenti svolti, evidenzieranno coincidenze interessanti. Ed imparerete anche a conoscervi meglio. • LE ANDATURE In questa sezione saranno prese in esame le differenti andature che compongono un allenamento. La terminologia usata è la stessa anche per i programmi di allenamento. Chi fosse già familiare con le definizioni tipiche (medio, lungo, fartlek ecc.) può tranquillamente passare oltre. Le definizioni non possono essere assolute, ma devono essere adattate al livello di forma di ciascuno. Si prenderà come punto di riferimento la soglia anaerobica: se non avete la minima idea di dove sia situata la vostra, cercate di eseguire il test di Cooper. • ALLUNGHI Si tratta di accelerazioni progressive di 60-80m senza strappi, cercando di trovare fluidità nei movimenti, piuttosto che potenza. • IL LUNGO Si tratta di una corsa piuttosto lenta, fatta all'incirca a 45"/km in più rispetto alla propria soglia anaerobica. A seconda del livello di forma un lungo può essere fatto su distanze oscillanti tra i 10 e i 20km. Si dovrebbe riuscire a parlare senza troppe difficoltà per gran parte del percorso. • IL MEDIO Il ritmo è più sostenuto ripetto al lungo essendo 10" circa più lento rispetto alla propria soglia anaerobica. La distanza può oscillare tra i 6 e i 12km. Se fatto bene, parlare dopo i primi chilometri dovrebbe risultare un po' più difficoltoso. • IL CORTO Si tratta una corsa brillante, fatta a qualche secondo meno della propria soglia anaerobica. A seconda del livello di forma un corto può essere fatto su distanze oscillanti tra i 3 e i 7km. Dopo uno o due chilometri parlare dovrebbe risultare difficile. • L'INTERVAL TRAINING E' come il fartlek, ma eseguito su distanze più brevi e quindi con cambi di ritmo più netti. La parte veloce dovrebbe essere fatta nettamente al di sotto della propria soglia (poco più lenta di un allungo) e la fase lenta come un Lungo. Una distanza di 4-6Km facendo un minuto forte e due piano sono una buona seduta di interval training. Attenzione!: sia l'interval training che il fartlek mettono a dura prova l'apparato cardiocircolatorio è quindi vanno effettuati sotto il controllo di una guida competente. • LE RIPETUTE Come suggerisce il nome, si tratta di ripetere la stessa distanza per un numero variabile di volte, intervallando le prove con un periodo di riposo denominato recupero. Le distanze possono arrivare fino a 3km, mentre la velocità è sempre piuttosto brillante, fatte naturalmente le debite proporzioni con la distanza. Possono essere organizzate in serie, per cui alla fine di ogni serie segue un recupero più lungo che permetta un recupero pressoché completo. • IL FARTLEK E' una corsa a ritmi variabili in cui si alternano fasi di corsa più lenta (simile a quella di un lungo) a fasi di corsa più veloce (simile a quella di un corto). Un esempio di fartlek è correre per un totale di 6-12 km facendone uno veloce e uno piano. Si tratta di un allenamento molto utile per abituare i muscoli a lavorare in presenza di acido lattico e abbassare la soglia anaerobica. • IL TEST DI COOPER Se volete una misura oggettiva della vostra condizione potete effettuare il test di Cooper. Tutto ciò di cui avete bisogno è una pista di atletica (quelle omologate misurano tutte 400m) e un orologio. Il test di Cooper consiste nel cercare di coprire, mantenendo una velocità costante, la massima distanza in 12 minuti, senza arrivare alla scadenza in condizioni di affanno (cuore oltre i 150 battiti al minuto, respiro molto affannato, gambe dure...). Ad ogni distanza percorsa, in funzione dell'età e del sesso corrisponde uno stato di forma. Potete verificare il vostro nella tabella del test di Cooper. Inoltre il test vi aiuterà a capire dove è situata la vostra soglia anaerobica. TABELLA DEL TEST DI COOPER (UOMINI) DISTANZA PERCORSA IN METRI ETÀ Fino a 30 Da 30 a 39 Da 40 a 49 Oltre i 50 Stato di forma Scarso Fino a 1610 Fino a 1530 Fino a 1370 Fino a 1200 Sufficiente 1610-2000 1530-1840 1370-1670 1290-1590 Discreto 2010-2400 1850-2240 1680-2080 1600-2080 Buono 2410-2800 2250-2640 2090-2480 2090-2400 Ottimo oltre 2810 oltre 2650 oltre 2490 oltre 2410 TABELLA DEL TEST DI COOPER (DONNE) Distanza percorsa in metri Età Fino a 30 Da 30 a 39 Da 40 a 49 Oltre i 50 Stato di forma Scarso Fino a 1530 Fino a 1370 Fino a 1200 Fino a 1100 Sufficiente 1540-1840 1380-1670 1210-1540 1110-1350 Discreto 1850-2160 1680-2000 1550-1840 1360-1670 Buono 2170-2640 2010-2480 1850-2320 1680-2160 Ottimo oltre 2650 oltre 2490 oltre 2330 oltre 2160 • TEST DI CONCONI Stabilisce la Soglia Anaerobica. La velocità di corsa e la frequenza cardiaca aumenteranno linearmente fino a raggiungere, ad un certo momento, un punto di equilibrio che si interrompe. In quel preciso momento inizia l'aumento della latticemia. La frequenza cardiaca che si rileva in questa fase corrisponde alla frequenza cardiaca di soglia anaerobica. E' un test massimale incrementale che nasce nel 1982 per merito di Francesco Conconi che successivamente modificherà lo stesso test adattandolo. L'obiettivo è la determinazione della massima velocità aerobica, che indirettamente ci indica la Soglia Anaerobica. Muniti di un cardiofrequenzimetro, si corre in pista o su terreno pianeggiante senza ostacoli su un percorso segnato ogni 100 metri. Gli atleti partono ad una velocità iniziale relativamente bassa e commisurata alle loro caratteritiche per poi aumentare ad intervalli regolari, durante la prova e giungere ad uno sforzo massimale. Gli incrementi di velocità dovrebbero essere graduali in modo da far registrare un incremento della pulsazione cardiaca ad ogni step, inferiore alle 8 pulsazioni, pertanto è richiesta, per un'ottima riuscita del test, una buona sensibilità di corsa. I parametri rilevati sono la velocità di corsa e la frequenza cardiaca (FC). Mediante lo studio della relazione grafica tra queste due varibili si determina il punto in cui il rapporto tra frequenza e velocità diventa curvilineo e non più lineare. Questo punto detto "di deflessione" rappresenta il punto in cui la velocità inizia a determinare l'accumularsi di una crescente quantità di lattato nel sangue. Eseguiamo il test Conconi ad ogni primo incontro e ogni volta in cui si rende necessario monitorare in maniera più precisa i progressi fatti con l'allenamento. Il campo di atletica degli ASSI Banca toscana è facilmente raggiungibile da qui e in pochi minuti si raggiunge la pista dove ha inizio il test... • LA CORSA IN SALITA Correre in salita non è facile, ma a certi runner riesce meglio che ad altri. Tralasciando eventuali specializzazioni (come la corsa in montagna), è interessante capire perché atleti che sul piano vanno alla stessa velocità in una gara di 10 km non si mantengano equivalenti quando il terreno comincia a salire. La risposta al quesito è molto articolata e può essere sostanzialmente suddivisa in tre parti. Ragioni meccaniche – Il peso è sicuramente importante. Dei due atleti che vanno a egual velocità in piano chi ha un minor peso sarà sicuramente favorito in salita. Esiste però un'altra ragione meccanica: l'elasticità. Chi è più elastico in salita, anziché usare maggiore forza (con maggior dispendio energetico e accumulo di acido lattico), userà parte dell'elasticità non usata in pianura (perché limitato da altri fattori nella velocità massima) per salire più agilmente. Se sul peso è il regime alimentare che può fare miracoli, per l'elasticità ci si dovrebbe rivolgere all'allenamento. Il condizionale è d'obbligo perché, se l'atleta non è più giovanissimo, un programma di incremento dell'elasticità muscolare spesso si risolve in un infortunio. Nell'Area Rossa (sezione Stretching) vengono descritti diversi metodi con cui il runner può aumentare la propria elasticità senza aumentare la probabilità di infortunio, piuttosto alta con i classici esercizi balzati. Ragioni fisiologiche - In salita il maratoneta dovrebbe essere sicuramente favorito, in quanto di solito corre le gare corte ricorrendo meno alla parte anaerobica. Il condizionale è d'obbligo perché è anche vero che un maratoneta è spesso "allergico" all'aumento del lattato. Chi è già ai massimi livelli di lattato nel sangue difficilmente riesce a esprimersi bene in salita perché l'asperità comporta un ulteriore aumento della produzione di lattato che manda in crisi il sistema già al limite. Fisiologicamente si può concludere che va meglio in salita chi è in grado di aumentare la sua concentrazione di lattato. Ragioni psicologiche - Sono strettamente connesse alle precedenti. Chi arriva all'inizio della salita con un carico di lattato troppo alto (cioè praticamente è già senza fiato) è spacciato. I motivi possono essere o le caratteristiche dell'atleta (che in piano corre molto anaerobicamente) o una strategia errata (cioè partenza troppo forte con la filosofia del "poi teniamo…" oppure spinta eccessiva nella discesa precedente la salita). Fra gli amatori è facile notare che chi corre in maniera poco generosa, risparmiandosi sempre un po', in salita va meglio di chi dà invece sempre tutto dal primo metro. Per correre più aerobicamente occorre uniformare i ritmi nell'allenamento, sostituendo spesso ai lenti i progressivi (chi corre anaerobicamente spesso svolge sedute di ripetute molto veloci e sedute di lento molto… "lente"); per migliorare la strategia di gara occorre rendersi conto che per affrontare la salita si deve avere ancora un po' di fiato di riserva, quindi occorre fare in modo di conservarlo! (non partendo forte, decelerando prima che inizi la salita ecc.). Anche durante l'ascesa si deve conservare un certo equilibrio respiratorio: se lo si fa si scoprirà che poi si staccheranno gli avversari sia in discesa sia sul piano seguenti la salita. E la potenza muscolare? – Avere una grande potenza muscolare, contrariamente alla credenza comune, non aiuta granché in salita. Infatti usare maggiore forza si traduce automaticamente in un aumento del lattato (visto che l'atleta corre ai suoi massimi livelli) e quindi la situazione può essere sostenuta solo per qualche centinaio di metri (per esempio un arrivo in salita). Chi usa la potenza per salire spesso poi perde tutto quello che ha guadagnato nella parte successiva della gara (discesa compresa). Il vero plus del runner forte muscolarmente in salita è che ha una maggior forza specifica. Con tale concetto si indica la forza espressa rispetto al peso. Quindi non ha senso migliorare la propria forza se ciò è ottenuto con un incremento della muscolatura alla body builder; è preferibile incrementare l'efficienza dei muscoli, usando metodi naturali come il collinare, il medio in salita ecc. • LA CORSA IN DISCESA Abbiamo più molte messo in guarda dai traumi che derivano dalla corsa in discesa. Purtroppo non sempre è possibile evitare questo tipo di corsa che non dà nessun stimolo allenante e che può essere causa di seri infortuni. Per chi è solito correre su percorsi collinari è bene subito conoscere una regola fondamentale: in discesa si recupera circa la metà di quello che si perde in salita. Se per esempio eseguite un allenamento di dieci chilometri, cinque dei quali in salita e cinque in discesa (arrivando allo stesso livello della partenza) realisticamente perderete in termini di tempo dai 30" al 1'30" a seconda del vostro valore rispetto a un 10000 m in piano. Questo se la salita/discesa è corribile con pendenza piuttosto dolce (1-2%); ovvio che se la pendenza fosse del 5% (50 m di dislivello su un chilometro) si avrebbe un ulteriore decremento delle prestazioni complessive. Per gli amanti della precisione, si può stimare che sul nostro 10000 metà in salita e metà in discesa con pendenza dell'1% (quindi lieve) la perdita per chi vale 40' in piano è di 50". Questo perché nei 5 km di salita si perde 1'40" e nei 5 km di discesa si guadagnano solo 50". Oltre alla dolorabilità muscolare dovuta alla corsa eccentrica (che è inevitabile in chi non è allenato) esistono altri motivi di infortunio: • zona del tallone (inserzione del tendine d'Achille) • tendine rotuleo • patologie derivanti dal "dito a martello" Ovvi quindi i consigli per correre bene in discesa: • tenere il bacino basso e non arretrato e le spalle avanzate • appoggiare la pianta del piede e soprattutto l'avampiede, senza "atterrare" con il tallone • verificare che non si corra con il dito a martello, cioè con le dita rattrappite per controllare la discesa. Il fenomeno è particolarmente evidente in chi ha il piede cavo, perché le dita a martello consentono di sopperire a una base d'appoggio troppo limitata. Poiché la corsa in discesa sollecita soprattutto i quadricipiti, i problemi al tendine rotuleo interessano soprattutto quei runner che hanno quadricipiti poco potenti e rotula mobile: il tendine lavora troppo per cercare di sopperire alle altre deficienze. Un ultimo inconveniente che val la pena di segnale è il dolore costale (sotto l'ultima costola) generato da spasmi che nascono da situazioni di sofferenza degli organi immediatamente a contatto con il diaframma (in particolare fegato e milza). Spesso basta iperventilare per qualche decina di secondi per far cessare il fenomeno. • IL SIGNIFICATO DI SOGLIA ANAEROBICA L’esatta determinazione della soglia anaerobica è un parametro fondamentale negli sport di resistenza di lunga durata in quanto la capacità di prestazione non è strettamente correlata con il massimo consumo d’ossigeno (VO2max), cioè con la potenza aerobica, ma piuttosto con la più alta percentuale di esso che si è in grado di utilizzare senza intaccare significativamente i meccanismi di ricarica di tipo lattacido. L’intensità del lavoro riferita alla frequenza cardiaca, alla potenza meccanica, alla velocità corrispondenti alla suddetta percentuale del VO2 max, è definita soglia anaerobica. Quando nel caso della competizione o dell’allenamento si supera questo range di lavoro, s’innesca uno squilibrio tra la produzione e la metabolizazzione dell’acido lattico, comportando un accumulo nei muscoli impegnanti nel lavoro che costringe l’atleta alla diminuzione del carico. • LA SOGLIA ANAEROBICA Avere un'idea di dove sia situata la vostra soglia anaerobica è di fondamentale importanza per allenarsi bene. Ma che cos'è la soglia anaerobica? Il nostro corpo ha due modi per produrre energia: uno per gli sforzi intensi e brevi in cui si serve solo degli zuccheri (processo anaerobico) e uno per gli sforzi più lunghi e meno impegnativi in cui per bruciare gli zuccheri si serve dell'ossigeno (processo aerobico). Il lancio del peso, o i cento metri sono sforzi tipicamente anaerobici; la maratona o il ciclismo al contrario sono sports aerobici. C'è una soglia che determina quando lo sforzo è troppo intenso e veloce per riuscire a produrre energia col metodo aerobico. Vale a dire che se stiamo correndo in tutta tranquillità e ad un certo punto cominciamo progressivamente ad accelerare ci sarà un'andatura oltre la quale il nostro corpo non riuscirà più a produrre energia col metodo aerobico e sarà costretto a servirsi congiuntamente di quello anaerobico, bruciando gli zuccheri senza usare ossigeno. Per questo, per altro, è di fondamentale importanza avere una dieta ad alto tenore di carboidrati, che cosituiscono, insieme all'ossigeno, il combustibile del nostro motore. Purtroppo il risultato di questa combustione è la produzione di acido lattico, una sostanza inquinante che lentamente avvelena i muscoli, bloccandone l'azione. Grazie all'allenamento si può abituare il muscolo a lavorare in presenza di grandi quantità di acido lattico. La soglia anaerobica è quindi l'andatura, misurata come tempo/km, alla quale si passa alla produzione di energia con il metodo anaerobico. Se avete fatto il test di Cooper correttamente avrete corso intorno alla vostra soglia anaerobica: quindi se avete percorso 3km la vostra soglia anaerobica sarà intorno ad un tempo di 4min./km. Se correte più forte non riuscirete a tenere l'andatura per molto tempo, più piano al contrario vi sembrerà di fare molta meno fatica. Il modo più semplice per trovare la vostra soglia è quindi fare delle prove ad andature diverse su una distanza di 5km. In tre o quattro volte (non lo stesso giorno!) troverete l'andatura massima che riuscite a sostenere. Come visto, uno dei risultati più importanti di un buon allenamento è migliorare questa soglia: per questo bisogna sapere dove è situata in modo da riuscire a correre sul confine e potersi migliorare. E' un po' come se ad ogni allenamento voi abbatteste un muro. Questa opera che è veramente distruttiva è per forza anche dolorosa. Quando poi tornate a casa a riposarvi e a dormire, il vostro corpo ricostruisce il muro un po' più in là... questo spostamento è il vostro miglioramento! A quel punto dovrete correre un po' più forte per abbattere di nuovo il muro. In ogni programma d’allenamento che riguarda sport di resistenza si fa sempre riferimento al valore di soglia anaerobica, dalla quale si ricavano i vari ritmi di lavoro. Essi sono parametri che consentono di migliorare nel tempo, il valore di soglia, in pratica di riuscire a mantenere velocità elevate in bici come nella corsa a piedi. Oltre questo, una corretta analisi della soglia è necessaria per monitorare di tempo in tempo l’evoluzione e la condizione di forma dell’atleta Dagli anni ottanta in poi questo parametro di valutazione è divenuto importante per capire le possibilità di ciascuna atleta. Anche se in questi ultimi anni nuove evidenze scientifiche hanno messo in discussione alcune metodiche per la sua determinazione. Esse non possono essere considerate come metro di valutazione valido per tutti gli atleti. Ma devono tenere conto delle caratteristiche metaboliche individuali, che sono innanzi tutto genetiche, poi atletiche, cioè legate al numero d’anni di pratica in un determinato sport. • LA SOGLIA AEREOBICA ED ANAEROBICA Nella valutazione funzionale è fatta una differenza tra soglia aerobica e soglia anaerobica. Tra queste due valori si trova una zona di passaggio aerobica-anaerobica, una zona molto complessa di regolazione dell’organismo, e dove si hanno in genere con un allenamento mirato – i miglioramenti più evidenti e sensibili della prestazione, rispetto a quelli assoluti. La soglia aerobica ( secondo Mader) è caratterizzata da un valore della concentrazione di lattato pari a 2 mmol/l, invece per quella anaerobica le 4 mmol/l (ma abbiamo già visto come sia possibile avere valori molto "soggettiviti"). I valori della zona di passaggio sono compresi tra le 2,5 e le 3,5 mmol/l. La soglia individuale è influenzata dagli enzimi del metabolismo aerobico, con il cambiamento della loro attività, indotto dall’allenamento, si modifica anche il livello della soglia del metabolismo aerobico-anaerobico a livello cellulare. Oltre questo, nei test all’ergometro, soprattutto a livelli sub massimali di carico, la formazione del lattato è influenzata dalla disponibilità di substrati (glicogeno, acidi grassi). Una cosa di cui tener conto nella valutazione nel valutare la misurazione. Quindi, è necessario da parte dell’atleta far precedere il test da almeno un giorno di recupero nel quale dovrà aumentare la quota di carboidrati nella sua alimentazione, per ottenere il massimo della sua riproducibilità. Come ho detto questi valori possono essere considerati solo come unità di misura, in altre parole come se ci pesassimo sempre sulla stessa bilancia e indipendentemente dell’esattezza della stessa, avremmo dei valori su cui fare riferimento. Lo stesso accade con il valore delle 3,4 o 5 mmol/l dovrebbero essere considerati come valori non di soglia, ma sui quali analizzare gli eventuali miglioramenti o peggioramenti prestativi venendo correlati con la potenza meccanica o dalla velocità espressa dall’atleta a quei valori. • LA SOGLIA ANAEROBICA REALE Quanto alla individuazione della soglia anaerobica reale va detto subito che i test non forniscono all’allenatore garanzie totali per poter applicare un metodo rispetto ad un altro. Il metodo più idoneo a nostro avviso è quello del test di durata a potenza stazionaria, ma è di difficile esecuzione; gli atleti si prestano mal volentieri ad eseguirlo. Personalmente agli atleti di élite faccio eseguire il test di durata su strada, che risulta essere meglio tollerato fisicamente e soprattutto psicologicamente, applicando ad esso protocolli più brevi, sia in pianura sia in salita, che garantiscono l’equilibrio. Per eseguirlo è necessario un misuratore di potenza montato sulla propria bicicletta ( Power meter), è possibile eseguirlo anche con il semplice monitoraggio della frequenza cardiaca, ma ho riscontrato che questo metodo non offre le medesime garanzie di precisione. In quanto la soglia reale ha dei riscontri mutevoli, non solo da un giorno all’altro ma anche nel corso di una seduta d’allenamento, quindi questo parametro di riferimento va interpretato e applicato con una certa flessibilità. La potenza invece può essere influenzata principalmente dalla temperatura e in secondo luogo dall’umidità e dalla pressione barometrica, ma non tanto da modificare in modo sostanziale i riscontri valutativi. • LA DIFFERENZA TRA LATTATO ED ACIDO LATTICO Si fa riferimento al lattato (che un sale o estere dell’acido lattico, prodotto dai muscoli in quantità progressive in funzione dell’intensità dello sforzo. La quantità del lattato è espressa in millimoli per litro di sangue: mmol/l) e non all’acido lattico vero e proprio, perché quest’ultimo è difficile da misurare in quanto si trova in ambiente acquoso nell’interno della fibra muscolare ed è dissociato in due ioni (due molecole con diversa carica elettrica) lo ione lattato con carica negativa e lo ione idrogeno con carica positiva. • IL SOVRALLENAMENTO Il termine sovrallenamento è stato introdotto da Hatfield (1988) per descrivere una serie di sintomi causati, sostanzialmente, da un alterato rapporto tra allenamento e recupero. Il sovrallenamento è una condizione abbastanza frequente, una sindrome piuttosto complessa le cui cause vanno ricercate in diversi fattori scatenanti. CAUSE DEL SOVRALLENAMENTO allenamento eccessivo e inadeguato al proprio stile di vita allenamenti eccessivamente standardizzati sonno insufficiente stile di vita troppo stressante competizioni troppo frequenti problemi di salute alimentazione inadeguata e/o sbilanciata intossicazioni alimentari da eccesso di determinati integratori problemi psicologici (relazionali, familiari, sociali, lavorativi, ecc.) • COME RICONOSCERE IL SOVRALLENAMENTO? Il sovrallenamento si può manifestare tramite uno dei seguenti sintomi: battito cardiaco a riposo accelerato fatica eccessiva durante l'allenamento anche a battiti cardiaci medio bassi; difficoltà a far salire la frequenza cardiaca durante l'allenamento; difficoltà a far scendere la frequenza ai valori normali durante il recupero apatia, insonnia, irritabilità, depressione amenorrea (nelle donne) calo eccessivo di peso perdita di appetito, desiderio incontenibile di dolci infezioni ricorrenti, abbassamento delle difese immunitarie variazioni ormonali: eccesso di cortisolo , ACTH e prolattina indolenzimento muscolare cronico, tendiniti e problemi articolari Se si riconoscono alcuni di questi sintomi, è bene riposarsi per almeno una o due settimane, consumando una quantità di nutrienti leggermente superiore alla norma. • L'ELASTICITÀ L'elasticità è la capacità di muovere i muscoli e le articolazioni secondo la massima ampiezza possibile senza che si verifichino traumi. In questo articolo vogliamo considerare gli aspetti pratici del concetto. Per un runner l'elasticità è spesso un parametro immodificabile, frutto sì delle caratteristiche fisiche, ma anche degli sport praticati da adolescente o comunque in giovane età. Né ha molto senso orientare atleti di quaranta o più anni verso esercizi che possano (solo teoricamente) aumentare l'elasticità muscolare o migliorare lo stile di corsa. È forse più produttivo sapere gestire correttamente il proprio patrimonio elastico per ottenere comunque il massimo dal proprio fisico. Esiste un facile test (di Bosco) con cui è possibile dimensionare l'elasticità del soggetto. L'atleta deve porsi in piedi, con le mani ai fianchi, le gambe unite e piegate in modo che la parte superiore della gamba formi con quella inferiore un angolo di 90°. Il busto è leggermente piegato in avanti, parallelo alla parte inferiore della gamba, i piedi sono uniti, appoggiati bene a terra con le punte in avanti. Senza (ripeto senza) contromovimento verso il basso, si salta verso l'alto, sempre tenendo le mani ai fianchi, con le gambe e i piedi completamente estesi. La distanza fra il suolo e la punta dei piedi estesi fornisce l'elasticità del soggetto. In saltatori in alto, giocatori di basket, di pallavolo ecc. si può arrivare a superare i 50 cm per gli uomini e i 40 cm per le donne; per un runner, soprattutto se è avanti nell'età e non ha mai praticato sport elastici, è già un miracolo arrivare a un valore che è considerato sufficiente per le categorie sopradescritte (32 e 25 cm rispettivamente). Il test vale ovviamente se l'atleta non è sovrappeso; per runner anche di poco sovrappeso occorrerebbe (cosa non facile) tarare i dati con il peso del soggetto: un risultato di 25 cm per un atleta con dieci kg di sovrappeso può tranquillamente valere un risultato di 35 cm per un atleta con massa grassa attorno al 10%. Per dare un'idea, un mezzofondista prolungato (5-10000 m) ha un indice di elasticità che è il 60% di quello di un saltatore, mentre un maratoneta arriva al 50%. L'elasticità è un pregio - Se l'atleta ha un sufficiente rapporto fra forza ed elasticità, la corsa non risente troppo di un'elasticità alta; la sua corsa non è cioè verso l'alto. In questo caso l'elasticità è un pregio soprattutto su terreni che non ritornano nulla, per esempio sterrati, o sulle salite. L'elasticità è un difetto - Se invece l'atleta ha una forza muscolare insufficiente, la corsa diventa troppo elastica, la fase di volo è troppo lunga e l'elasticità diventa un handicap, soprattutto su quei terreni (come la pista o l'asfalto) dove la corsa troppo aerea si traduce in un'effettiva lentezza. • CORRERE SULLA SABBIA Contrariamente a quanto si crede, la corsa sulla sabbia non è un buon metodo d'allenamento. Lo sottolineiamo per tutti coloro che nelle ferie estive pensano che allenarsi sulla sabbia morbida, magari di prima mattina, possa essere uno stimolo rigenerante. Le controindicazioni della corsa su sabbia sono sostanzialmente le seguenti: a) richiede un impegno veramente notevole per il tricipite surale (la parte inferiore della muscolatura della gamba) che, se già affaticato, anziché rigenerarsi, può andare incontro a contratture o, peggio, a elongazioni, distrazioni o strappi; b) il ritmo di corsa è troppo blando e non vengono stimolati molti meccanismi tipici di ritmi superiori; c) per chi corre a piedi nudi, varia completamente l'assetto di corsa: essendo ormai abituati alle protezioni tipiche delle scarpe specifiche, il rischio di infortuni, una volta tornati a correre normalmente su terreni duri, è sicuramente aumentato. • IL WALKING Detto in italiano è più semplice: camminare. Purtroppo la filosofia del low training richiede che il preparatore atletico che vuol far credere che voi facciate sport debba parlarvi in inglese ed allora ecco l'energy walking, il mindful walking, il power walking (proprio per i più duri) ecc. Il walking è un'attività di difficile valutazione perché i suoi benefici sono strettamente legati alla frequenza e alla durata. Se nessuno corre per dieci minuti o esce in bicicletta per un quarto d'ora, è comune sentire che una breve passeggiata è un'attività estremamente salutare. Perché il semplice camminare (in varie forme) possa apportare modifiche benefiche al nostro corpo non è certo sufficiente un quarto d'ora al giorno, ma occorrono almeno due ore tutti i giorni (almeno 50 km alla settimana). Camminare un quarto d'ora può apportare benefici psicologici (si stacca dal lavoro, ci si rilassa ecc.), gli stessi che può dare la visione del proprio programma preferito alla televisione: nessuno direbbe che guardare la televisione è fare sport. Non bisogna cioè confondere i benefici psicologici di un'attività (sportiva e non) con quelli fisici. Esistono già attività umane che implicano il camminare (come il trekking o la caccia); queste attività diventano allenanti solo se effettuate per dieci-quindici ore alla settimana. Infatti solo con tale quantità di lavoro a basso regime si ottiene una protezione cardiovascolare superiore a quella del sedentario (lasciamo perdere gli studi che dicono che se camminate quindici minuti al giorno morirete tre giorni dopo rispetto al sedentario puro...) e un controllo del peso corporeo (una persona di 50 kg brucia 130 kcal all'ora, oltre il normale metabolismo basale). A chi è consigliato - Lasciando perdere la posizione tipicamente maschilista (lo spunto per questo articolo me lo ha dato un giornale femminile con un articolo scritto da una donna!) che vuole la donna incapace di sforzi di media intensità, il walking può essere comunque proficuamente praticato in alternativa a sport più faticosi: a) da chi è sovrappeso. Non ha senso incominciare a correre con dieci chili di troppo. b) Da chi ha molto tempo a disposizione (sedute di due o tre ore, tutti i giorni) e vuole un'attività meno intensa di sport come la corsa o il ciclismo. Il caso classico può essere rappresentato dai percorsi vita, dove si cammina (o si corre) da una postazione all'altra e si eseguono esercizi ginnici alle varie stazioni. c) Da chi (di solito per problemi di età) non può svolgere sport più impegnativi perché ha problemi alle articolazioni, ai tendini, alla schiena ecc. BENEFICI ANTI-STRESS DEL WALKING Seguire delle sedute di walking periodicamente porta a migliorare il tono dell’umore perché il nostro corpo libera delle sostanze, le endorfine e le serotonine, capaci di contrastare l’ansia e la depressione. Si riarmonizza il battito del cuore che, come sappiamo, nei momenti di stress tende ad accelerare, causando ansie e paure. In seguito ai miglioramenti fisici del corpo, la mente tende ad allontanare i problemi rendendoli meno assillanti e, allo stesso tempo, tende a vedere con maggiore tranquillità le preoccupazioni di tutti i giorni in modo da poterle affrontarle serenamente. Si regolarizza il respiro, che invece nei momenti di ansia e di paura tende a farsi corto, superficiale e "alitante". Si scaricano le tensioni muscolari accumulate nei momenti di stress, senza il rischio di strappi o stiramenti. Si protegge l’organismo da osteoporosi e da artrosi: infatti uno sforzo moderato e costante stimola la capacità delle ossa di assimilare il calcio e vi è produzione di sostanze come l'elastina ed il collagene che formano le cartilagini. Si ristabiliscono i valori della pressione, i livelli dei trigliceridi e del colesterolo: si consumano cioè i grassi. CONSIGLI PRATICI È bene, nel caso si voglia praticare il walking, seguire alcuni accorgimenti importanti: 1. Per iniziare, non bisogna avere troppa fretta, ad esempio ponendosi degli obiettivi impossibili da raggiungere. È necessario invece procedere gradualmente per tappe e per livelli (come nel programma base fornito più avanti in questo articolo). In ogni caso, conviene seguire la vecchia regola di rallentare o di fermarsi quando il respiro si fa affannoso. 2. È bene prepararsi con qualche esercizio di stretching (allungamento dei muscoli) sia prima della seduta di walking che dopo. 3. Porre attenzione a curare la propria postura, magari facendosi consigliare da un esperto: la camminata deve risultare fluida, armoniosa ed elastica se si vogliono avere dei benefici. 4. Bere acqua durante e dopo l’allenamento; mangiare cibi ricchi di sodio e di potassio (banane, patate, pomodori, latte, riso, carne di pollo, piselli, lenticchie, mandorle, spinaci). 5. Curare l’abbigliamento, indossando abiti comodi ed in fibre naturali. Calzare scarpe comode, con la suola rigida alta circa tre centimetri e la parte interna morbida. In ultimo: il walking va praticato preferibilmente in zone verdi, cioè parchi, campagne, boschi, ecc., evitando i centri cittadini a causa del troppo inquinamento. IL PROGRAMMA BASE Per le prime tre settimane, tre volte alla settimana: 15 minuti di stretching camminata leggera e sciolta per 20 minuti 10 minuti di stretching Quarta e quinta settimana: 15 minuti di stretching di riscaldamento camminata leggera e sciolta per 25 minuti (aumentare ogni volta successiva di 5 minuti fino ad arrivare a 50 minuti) 10 minuti di stretching defaticante • BRUCIATE PIÙ CALORIE CAMMINANDO IN METÀ TEMPO Volete bruciare più calorie ma vi manca il tempo per lunghe passeggiate? Potete camminare meno tempo e bruciare addirittura di più! Ecco come fare. Training ad intervalli: camminate per 5 minuti ad intensità moderata (con un impegno 6-7 circa, in una scala che va da 1 a 10, dove 1 sta per semplicemente "gironzolare" e 10 per correre velocemente). Poi accelerate per 5 minuti ad un'alta intensità (valore pari a 8-9). Assicuratevi di scaldare i muscoli prima delle vostre passeggiate, camminando per qualche minuto a passo normale e riportate poi il vostro passo da veloce a normale per qualche minuto alla fine della camminata stessa. Una passeggiata di 60 minuti a passo veloce ma costante brucia 258 Kcal; una camminata di 40 minuti ad intervalli di velocità brucia 267 Kcal. 1. canto, se l'impegno cardiorespiratorio è minore, poiché manca la spinta in avanti si lavora di più di quadricipiti e, per evitare il contatto con il nastro, si tende a sollevare maggiormente il piede con conseguente maggior lavoro del tibiale anteriore. Si ha perciò un maggiore senso di affaticamento (anche se per il punto 1 si spende di meno) che scompare solo dopo aver "digerito" la strumentazione. In realtà se si corre saltuariamente sul tappeto, in genere si tengono (a parità di fatica) velocità molto inferiori rispetto a quelle all'aperto. Per avere una sollecitazione cardiorespiratoria simile a quella della corsa, si dovrebbe correre con una pendenza dello 0,5-1%, ma anche in questo caso lo stile di corsa è diverso. 2. A causa dell'eccessiva elasticità, il tapis roulant aumenta i rischi di danni al tendine d'Achille e alle ginocchia. A causa del maggior affaticamento muscolare in chi non è completamente adattato, possono comparire indolenzimenti che durano qualche giorno. 3. Sul tapis roulant la gestione dell'allenamento è molto più difficile; simulare i vari tipi di allenamento non è facile, a volte impossibile se l'atleta è a medio livello (diciamo 40' nei 10000 m). Infatti il tapis non è propriamente adatto per allenamenti veloci (mezzofondisti) poiché la velocità massima di solito non supera i 20 km/h, velocità che un .qualunque buon amatore supera per esempio in ripetute sui 300-400 m. Non sembra nemmeno indicato per i lunghissimi (maratoneti); ammesso che un runner riesca a correre per due o tre ore su un tappeto, per il punto 1 la sua spesa energetica risulterà inferiore, vanificando uno degli scopi del lunghissimo. 4. Le prestazioni del tapis sono funzione anche del suo prezzo. Se molte opzioni sono superflue (console digitale con integrati TV, lettore CD e radio) è pur vero che sono presenti solo nei modelli più tecnologicamente avanzati per quanto riguarda la semplice corsa. Realisticamente un tapis con velocità massima decente (diciamo 16 km/h) non costa meno di 2.000 euro. • IL TAPIS ROULANT (TREADMILL) Il termine francese tapis roulant (o il suo equivalente inglese treadmill) indica uno strumento ben conosciuto da chi frequenta le palestre, sul quale è possibile praticare una corsa sul posto, simulando il gesto atletico con differenti carichi (in termini di pendenza e/o velocità minima da tenere). Molti visitatori ci scrivono per sapere se il tapis roulant (o treadmill, o semplicemente all'italiana, il tappeto) è una valida alternativa (almeno nei mesi invernali) alla corsa all'aperto. La risposta è nell'80% dei casi: NO. Ovvio che per il 20% dei casi lo sia. È importante pertanto indagare i pro e i contro del tapis roulant, senza generalizzare a tutti la propria esperienza. 1. 2. La teoria La cosa più importante da osservare è che, una volta trovato il giusto equilibrio, correre sul tapis roulant è più facile. A causa dell'elasticità di ritorno, la velocità sul nastro è sicuramente maggiore di quella sul terreno (da ciò la difficoltà di controllo della corsa da parte di atleti molto veloci), anche per l'assenza del fenomeno dell'aumento della resistenza dell'aria con la velocità di corsa. Quindi a pari velocità si spende di meno. Alcuni consigliano per esempio di inclinare la pedana del 2-3% per avere lo stesso consumo. Così facendo si cambia però lo stile di corsa. La differenza fra tappeto e corsa normale è la mancanza della spinta in avanti: l'atleta deve solo opporsi alla direzione del nastro. D'altro canto, se l'impegno cardiorespiratorio è minore, poiché manca la spinta in avanti si lavora di più di quadricipiti e, per evitare il contatto con il nastro, si tende a sollevare maggiormente il piede con conseguente maggior lavoro del tibiale anteriore. Si ha perciò un maggiore senso di affaticamento (anche se per il punto 1 si spende di meno) che scompare solo dopo aver "digerito" la strumentazione. In realtà se si corre saltuariamente sul tappeto, in genere si tengono (a parità di fatica) velocità molto inferiori rispetto a quelle all'aperto. Per avere una sollecitazione cardiorespiratoria simile a quella della corsa, si dovrebbe correre con una pendenza dello 0,51%, ma anche in questo caso lo stile di corsa è diverso. 3. A causa dell'eccessiva elasticità, il tapis roulant aumenta i rischi di danni al 4. 5. tendine d'Achille e alle ginocchia. A causa del maggior affaticamento muscolare in chi non è completamente adattato, possono comparire indolenzimenti che durano qualche giorno. Sul tapis roulant la gestione dell'allenamento è molto più difficile; simulare i vari tipi di allenamento non è facile, a volte impossibile se l'atleta è a medio livello (diciamo 40' nei 10000 m). Infatti il tapis non è propriamente adatto per allenamenti veloci (mezzofondisti) poiché la velocità massima di solito non supera i 20 km/h, velocità che un qualunque buon amatore supera per esempio in ripetute sui 300-400 m. Non sembra nemmeno indicato per i lunghissimi (maratoneti); ammesso che un runner riesca a correre per due o tre ore su un tappeto, per il punto 1 la sua spesa energetica risulterà inferiore, vanificando uno degli scopi del lunghissimo. Le prestazioni del tapis sono funzione anche del suo prezzo. Se molte opzioni sono superflue (console digitale con integrati TV, lettore CD e radio) è pur vero che sono presenti solo nei modelli più tecnologicamente avanzati per quanto riguarda la semplice corsa. Realisticamente un tapis con velocità massima decente (diciamo 16 km/h) non costa meno di 2.000 euro. • IL TAPIS ROULANT PER IL PRINCIPIANTE Vediamo i principali punti negativi sull'uso del tappeto. La durata della seduta - In genere il tapis roulant viene acquistato a fini dimagranti. In teoria funziona, in pratica un po' meno. Infatti per avere un effetto dimagrante i tempi e i ritmi sono quelli della corsa o del cammino all'aperto. Diciamo almeno 30' di corsa e circa un'ora di cammino (meglio se in leggera pendenza). Purtroppo questi tempi sono "psicologicamente" lunghi, in altri termini, ci si stufa prima della corsa all'aria aperta e si è portati a credere che dimezzando la durata dell'allenamento consigliata si ottengano comunque dei risultati. Spesso non si fa altro che aumentare l'appetito. In sostanza, se non si usano sedute di durata decente, si cade nel low training. Se si pensa che alcuni tappeti consentono di sentire musica o vedere la televisione, ben si comprende come spesso il tapis possa essere l'antitesi di una vera coscienza sportiva, incompatibile con il concetto "faccio attività fisica e non faccio fatica (e addirittura mi guardo la mia soap opera preferita)". Il clima - È incredibile come anche molti addetti ai lavori consiglino il tapis roulant per correre al riparo dalle avversità climatiche. Premesso che questo è un approccio molto soft allo sport, che predispone a una coscienza sportiva molto blanda, quelli che scelgono il tappeto proprio per evitare di correre in condizioni meteorologiche sfavorevoli, dimenticano che correre sotto l'acqua o al freddo è spesso allenante non tanto per l'attività sportiva quanto per il nostro sistema di difesa. Se si corre al chiuso per paura di buscarsi un raffreddore si trascura la possibilità di fortificare il proprio fisico che oggi non sa fronteggiare qualche goccia d'acqua, ma domani non saprà fronteggiare qualcosa di più grave. Inoltre non si allena la mente: se bastano poche gocce d'acqua o un po' di freddo (o un po' di caldo in estate) per farci desistere dall'uscire, non possiamo certo dire di essere dei "duri"... Nonostante i punti sopraccitati, esiste un certo numero di casi in cui non si può fare a meno del tappeto (per esempio si ha solo un'ora a disposizione e la palestra è proprio sotto l'ufficio). In questi casi il consiglio è di abbinare 30' di tappeto a buona intensità a 30' di bici che, se fatta a livelli impegnativi, è un ottimo complemento del tapis roulant. Quindi: • Funziona solo se riuscite psicologicamente a reggerlo per un'ora. • Funziona solo se non vi impedisce di costruirvi la capacità di opporsi alle avversità atmosferiche. Il tapis roulant per jogger e runner Qui il discorso si complica; rileggete il punto 4 e capirete che: Il tapis roulant vi supporta solo se non ricercate la massima prestazione possibile. Molti atleti di medio livello si allenano sul tappeto, ma non esiste alcun campione che preparerebbe un'olimpiade preparandosi (anche parzialmente) sul tapis roulant.