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Il teatro Apollo, sacrificato ai muraglioni
onamoR oihccepS Specchio Romano PAGINA A CURA DI CINZIA DAL MASO E ANTONIO VENDITTI Dalla fantasia alla realtà ANNALISA VENDITTI 19 SETTEMBRE 2012 Goffredo Mameli vi recitò l’ode “Milano e Venezia” La favola di Millì si incarna nella vita Internet è una finestra spalancata sul mondo, è il nostro giornale condiviso, la piattaforma virtuale in cui ciò che accade sulla terra si posiziona in rivoli di collegamenti, stratificazioni di parole, formando un romanzo popolare dai contorni sempre più indefinibili. Mentre navigo tra notizie varie, mi imbatto in un articolo di tre mesi fa, pubblicato da un quotidiano della Valtellina. Il giornalista racconta di una bella storia d’amore, sbocciata nel 1947 sulle piste da sci, tra due giovani che non potranno portare avanti la loro relazione e che, dopo 65 anni, ormai vedovi e anziani si rincontrano, complice un comune amico, e decidono di sposarsi. Lavoro per la tv da quasi dieci anni e penso che un’intervista ai protagonisti di questa storia sarebbe interessante. Stampo l’articolo e lo rileggo con attenzione. Queste storie mi emozionano. Del resto, ho scritto una favola di Natale, “L’Albero di Millì”, che racconta l’amore di due ragazzi divisi dalla violenza di un pregiudizio. Si ritroveranno poi, a distanza di moltissimi anni, per colmare il vuoto di quella ingiusta separazione. La trama è ambientata in America, ma la città della favola è in realtà Sondrio. Nel 2008 mi trovavo lì per ragioni di lavoro e un’abbondante nevicata, così come le atmosfere di quella cittadina, mi ispirarono questo intrigo un po’ noir con un mistero legato a un albero di Natale. Solo adesso capirete la mia emozione nel leggere, meglio, l’articolo del quotidiano valtellinese. La cronaca del matrimonio riportava fedelmente i nomi degli sposi e altri dettagli: Milli Cella di Tirano (Sondrio) e Gino Repanai, originario di Milano. Ottuagenari, si sono conosciuti durante le vacanze di Natale, tra la neve. Nonostante l’amore, le loro vite presero strade diverse. A giugno scorso, finalmente, le nozze. Torno indietro. Rileggo un’altra volta. Milli, Sondrio, la neve, Natale, due giovani che si lasciano e che da anziani si ritrovano. “Come è possibile? Hanno copiato il mio racconto?” – penso tra me e me, con la stizza dell’autore che si sente defraudato di una sua idea. Leggendomi, potreste domandarvi l’esatto contrario. La risposta, tuttavia, è no, perché né io conoscevo loro, né loro conoscevano me fin quando, qualche giorno fa, non li ho chiamati al telefono e ho raccontato ai miei “personaggi” questo strano caso di realtà che si ispira alla letteratura. Parlare al telefono con i protagonisti che pensavi irreali di una tua storia fa un effetto strano, così come immaginarli alle prese con la lettura del “tuo-loro” racconto. Come stanno facendo adesso Milli e Gino (nella foto), meno sorpresi di me, dall’alto dei loro anni, di quanto è accaduto, ma come me convinti di un fatto: “è inutile pensare che il tempo cancelli… nasconda… E’ inutile… Il tempo si lascia trascorrere, ma non dimenticare…” 9 Il teatro Apollo, sacrificato ai muraglioni MERCOLEDÌ Il teatro Apollo fu inaugurato il 26 dicembre 1795. Sorgeva sulle macerie del famoso Tordinona, affacciato sul Tevere, sulla sponda opposta a Castel Sant’Angelo. I lavori, iniziati nel 1879, seguivano il progetto di Felice Giorgi, notevolmente semplificato nella realizzazione. Nella platea erano sistemati 678 posti, su quattro ordini. Sui parapetti erano dipinti trofei, aquile, fasci ed emblemi. Al secondo ordine correvano dipinti su tela a chiaroscuro con episodi della storia romana. Dal soffitto, caratterizzato da quattro geni agli angoli, pendeva un enorme lampadario a 16 bracci con torce di cera. Il palcoscenico raggiungeva la lunghezza di 17 metri, con una bocca d’opera di circa 13 metri decorata nella parte superiore con nuvole e altri elementi in cartapesta. I pilastri erano decorati da cariatidi. Gli ingressi erano quattro, ma mancava un prospetto vero e proprio. Il 10 febbraio del 1820 il teatro fu acquistato da Giovanni Torlonia. Alla sua morte, nel 1829, passò al figlio Alessandro, che ne affidò il completo rimodernamento a Giuseppe Valadier. L’architetto realizzò finalmente una facciata degna di questo nome, dalla parte di ponte Sant’Angelo, con tre grandi porte fiancheggiate da colonne e pilastri, sormontate da due statue e dallo stemma Torlonia. Il vestibolo dava accesso a una sala con la scala mobile che conduceva al salone dei trattenimenti, con otto statue in stucco, alcune delle quali copiate da esemplari antichi. Nella platea vennero sistemati banchi e sedie, mentre il palco del Principe comunicava con un appartamento privato. Sopra il boccascena, il Tempo indicava un quadrante di orologio in cui le ore avanzavano lentamente. L’ambiente era illuminato da cornucopie poste nel giro dei palchi. La nuova apertura si ebbe il 15 gennaio La fontana sul lungotevere Sul lungotevere Tordinona, dove sorgeva il teatro Apollo, resta solamente una modesta memoria, realizzata nel 1925, su disegno di Cesare Bazzani. Si tratta di una fontana piuttosto semplice, alimentata dall’Acqua Marcia. La parte superiore è costituita da una stele affiancata da due colonne sormontate da maschere teatrali e con al centro una lira. Da una valva di conchiglia sgorga l’acqua, che si raccoglie in un bel sarcofago antico strigilato, con al centro una figura erosa dal tempo, forse Apollo nell’atto di suonare la lira. Al centro della stele è un’epigrafe un po’ ampollosa dettata da Fausto Salvatori ricorda il teatro dove “libera si diffuse la pura melodia d’Italia”. 1831 con “Il Corsaro” del Pancini, a cui assistette Mendelssohn, allora giovanissimo. Nel carnevale del 1832 fu inaugurato un nuovo lampadario, ancora più ricco e grandioso del precedente. In seguito il Principe fece annettere altre sale, decorate da pittori come Luigi Fioroni, Francesco Coghetti e Francesco Podesti. Fu però nel giugno del 1839 che per il teatro Apollo iniziò una nuova vita, grazie alla nuova e illuminata direzione di un giovane commerciante romano, Vincenzo Jacovacci. Il teatro sarebbe rimasto nelle sue mani fino al 1881 e avrebbe, grazie alla sua intra- prendenza, fatto conoscere ai romani le opere più celebri, i migliori cantanti, le ballerine più ricercate. Basti ricordare che qui si tennero le prime del Trovatore e del Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi. Ma all’Apollo si svolse anche una delle manifestazioni più toccanti del nostro Risorgimento. Il 5 gennaio del 1849 vi si tenne un’accademia musicale e letteraria per festeggiare la bandiera donata da Venezia a Roma e per raccogliere fondi da donare alla città della Laguna, ultima roccaforte dell’indipendenza italiana, provata dall’assedio austriaco, stremata dalle privazioni e dalla fame. Protagonista della manifestazione fu Goffredo Mameli, che si trovava a Roma dai primi di dicembre del 1848. Il teatro era tutto illuminato e addobbato sfarzosamente. Sul palcoscenico era sistemata, dietro espressa richiesta di Mameli, una statua personificante Venezia. Tra la commozione generale il poeta declamò la sua ode “Milano e Venezia”. Possiamo immaginare con quale forza Mameli riuscisse a toccare gli animi dei presenti, mentre recitava le sue strofe immortali: “... Date a Venezia un obolo! / Non ha la gran Mendica / Che fiotti, ardire ed alighe / Perch’è del mar l’amica. / Sola tra tante infamie / Ella è la nostra gloria. / Un’altra turpe istoria, / Se questa illustre Povera / Viene a morir di stento, / Udrebbe il mondo intento: / Pane chiedea Venezia / E niuno un pan le diè...”. Il teatro fu rimodernato nel 1862. Soffitto e sipario vennero dipinti da un giovane artista romano, Cesare Fracassini. Sulla volta erano raffigurati, in ventiquattro spicchi partenti dal centro, i segni dello zodiaco e i mesi dell’anno. Sul sipario Apollo, circondato dalle Muse, consegnava a Fetonte il carro del Sole. Lo splendore delle decorazioni era esaltato dall’illuminazione, completamente a gas. Il 30 ottobre del 1869 Alessandro Torlonia cedeva in enfiteusi perpetua al Comune di Roma il teatro, a cui fu aggiunto, nel dicembre del 1870, anche il palco reale. Ma l’Apollo aveva ormai i giorni contati, a causa della vicinanza al fiume. Non bisogna dimenticare che, durante le inondazione, vi si entrava solo grazie a un ponte mobile. La costruzione dei muraglioni ne decretò l’inevitabile distruzione, iniziata nell’estate del 1889 e terminata nel settembre di quello stesso anno. [email protected] [email protected] Atmosfere del circo a via della Croce La performance di Abitart per la Vogue Fashion night di Roma Si è ispirata al mondo del circo la performance proposta da Abitart di Vanessa Foglia per la Vogue Fashion night di Roma. Il suo atelier di via della Croce si è trasformato per una sera in un palcoscenico dalle atmosfere oniriche in cui la moda ha dialogato con l’arte e la magia dei colori, evocativi di un mondo fiabesco, incontaminato. Al centro dello show room, dove si poteva ammirare la nuova collezione autunno-inverno della stilista romana, si trovava una modella-carillon dai capelli biondi cotonati e una suggestiva gonna a balze a guarnire un corpetto romantico stile Ottocento, in pendant con l’ombrellino in pizzo ricamato. In continuo movimento su se stessa, la donna Abitart valorizza la sua femminilità osando con i colori, gli incastri delle forme, la qualità dei tessuti. L’abito è concepito come una scultura adattabile alla situazione e all’esigenza di chi lo indossa grazie a chiusure lampo, geometrie dal duplice utilizzo, soluzioni double face. Per l’occasione Vanessa Foglia ha realizzato una maglia blu stile belle epoque che riporta una sua frase: “vorrei scrivere un abito, disegnare una poesia, vorrei cantare un quadro e suonare una scultura”. Tutto intorno il gioco del circo era richiamato da alcuni dettagli inconfondibili indossati dal personale di sala, come il cappellino nero e i guanti e i fiocchetti a strisce rosse e argentate. Tra gli scaffali facevano bella mostra di sé dolciumi di ogni sorta e palloncini color arancio. E a salutare gli invitati il sorriso di un clown. ANNALISA VENDITTI