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D`Annunzio e l`interventismo - 100 Anni Grande Guerra – Le Scuole

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D`Annunzio e l`interventismo - 100 Anni Grande Guerra – Le Scuole
“La letteratura” | Questa non è la solita storia - monografico numero 9
D’Annunzio e l’interventismo
Allegato 4
Dal Notturno (1921)
Un angelo o un demone della notte soffia su l’incendio chiuso del mio occhio perduto.
Le faville innumerevoli sprizzano nel vento.
Ho il capo arrovesciato indietro, ho il capo abbandonato, penzoloni nel vuoto.
Non sento più il guanciale, non sento più il letto.
Odo un rombo confuso, odo il fragore del volo, odo il crepitio del combattimento.
Una mano pietosa e rude m’ha discostato, m’ha sospinto. Il mio capo è forato: penzola nel vuoto,
dal bordo della carlinga che vibra.
L’ombra dell’ala destra m’è sopra: l’astro arioso dell’elica mi corona.
Non è più fuoco, ma sangue che sprizza. Non più faville ma stille. Il pilota eroico riconduce alla
patria il poeta sacrificato.
O gloria immensa!
Qual pugno divino o umano gittò ai solchi della terra una semenza più augusta?
Nella rapidità guerriera il sangue inesausto si sparpaglia come il grano ventilato.
Ogni fiotto si divide in miriadi, come la polvere della cascata scrosciante ove si crea l’arcobaleno.
Non cola ma vola, non cade ma s’alza.
Al paragone di questo aspersorio sublime, che è mai il teschio d’Orfeo fluttuante sopra la lira?
Il nuovo mito è il più bello.
Guardo il mio viso trasfigurato nei secoli prossimi della grandezza.
L’anima non fugge ma è tuttora appresa alla ferita come alla face lo splendore che nella raffica si
spicca e si rappicca, cessa e si riattiva, si piega e si risolleva, non tenuto se non da un legame
invisibile che la volontà di ardere rende più forte della tempesta.
Lungo dolore convertito in giubilo subitaneo, lunga miseria trasmutata in apice di purità, l’anima
guarda il meraviglioso viso che ora è veramente il suo viso, quello che tanto desiderò ella avere
e non potette.
Ella sapeva la morte essere una vittoria, ma non così grande.
Immortale, ella è tuttavia radiosa nella morte, e il vento del volo funebre non la svelle.
La carne era il suo peso, ed ora è il suo rapimento.
Il sangue era la sua turbolenza, ed ora è il suo miracolo.
La vita era il suo limite, ed ora è la sua libertà.
Ella è portata dal corpo come dall’impeto d’una bellezza creatrice.
Nessun capo di confessore e di martire sul ceppo fu mai bello come questo capo su quest’orlo
fragile dell’abisso mattutino.
Nessun’aquila colpita fu così fiera nell’insanguinare la luce col battito delle sue penne.
Questo sangue sfavilla in eterno come il latte dell’iddia biancheggia in eterno per la notte.
Ecco la terra, ecco la meta.
L’ultima stilla s’è diffusa nel rombo del volo.
Su le ali incolumi il pilota eroico riconduce alla patria il corpo esangue del poeta sacrificato.
L’annunzio è presente come una folgore e remoto come la memoria d’una gesta.
Tutti i lidi d’Italia fremono come i lembi delle sue bandiere.
La gloria s’inginocchia e bacia la polvere.
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