Comments
Transcript
parità e discriminazione di genere nel mondo greco
PARITÀ E DISCRIMINAZIONE DI GENERE NEL MONDO GRECO CLASSE IIIB «Natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla donna e tutte all’uomo, ma che in tutte la donna sia più debole dell’uomo.» Questo è ciò che scriveva Platone a proposito del ruolo dei due sessi nella sua concezione di “polis ideale”. Infatti, Platone pensava che la donna avesse la stessa anima dell’uomo e dunque potesse ricoprire nella società qualunque ruolo per cui fosse portata. L’educazione avrebbe dovuto essere paritaria e avrebbero potuto esserci anche donne al governo, nel caso avessero avuto prevalente l’anima razionale, cioè la conoscenza del Bene che permetteva di amministrare la Giustizia. Ciò non era comunemente ritenuto possibile nell’ottica del suo tempo, dove le donne erano totalmente sottomesse all’uomo. Una volta raggiunta l’età per sposarsi, le ragazze passavano dall’autorità paterna a quella del marito. Un donna greca trascorreva l’intera giornata in casa, dirigendo i lavori domestici eseguiti dalla servitù e organizzando la vita familiare. Usciva solo per partecipare alle feste religiose. La donna greca era inoltre esclusa dall’educazione, sia intellettuale che fisica. Questo valeva per quelle che trovavano marito. Le donne libere invece, colte, erano chiamate etére, “compagne”, e seguivano gli uomini di cultura, da cui venivano pagate, in feste mondane ed eventi pubblici. Le donne non potevano divorziare perché sarebbero state mal giudicate; non avevano diritti politici e non potevano ereditare il patrimonio paterno. La loro funzione era solo quella di soddisfare le diverse esigenze maschili L’unica eccezione era la città di Sparta, dove la donna poteva avere cura del suo corpo e vivere liberamente anche se sposata. Platone aveva quindi una concezione molto moderna di parità tra sessi. Nel quinto libro della Repubblica, Platone affronta la questione della diversità dei sessi. Il filosofo sta tratteggiando il suo stato ideale, visto come grande famiglia, caratterizzato dall’abolizione della proprietà privata. Socrate si trova decisamente in difficoltà e prende come esempio per spiegare ciò che intende il mondo dei cani, ipotizzando che le femmine debbano svolgere le stesse mansioni dei maschi: andare a caccia e fare tutto ciò che fanno i maschi. Se ogni attività deve essere comune, è ovvio che dovranno avere la stessa educazione, lo stesso allevamento impartito ai maschi: l’unica differenza sarà che i maschi saranno più vigorosi, dice Socrate, che comunque è chiaramente consapevole della divergenza della natura dei due sessi; evidentemente nature diverse dovrebbero svolgere funzioni diverse, secondo la logica più tradizionali, ma Socrate è convinto di poter dimostrare che le cose non stiano necessariamente in questi termini: le persone calve e quelle chiomate hanno la stessa natura? Qualora abbiano natura opposta, allora se i calvi fanno i calzolai, a rigore i chiomati non possono fare i calzolai: ma è assurdo. Il problema consiste nel chiedersi in quale senso usiamo i termini “diverso” e “identico” quando li poniamo in connessione con il termine “natura”: i calvi è vero che sono diversi dai chiomati, ma forse ne consegue che ai primi spettano compiti totalmente diversi da quelli bene, ma esistono differenze rilevanti a tal punto da determinare una radicale disuguaglianza e distinzione di funzioni e attività? Non va poi dimenticato che in età moderna una di queste differenze rilevanti sarà ravvisata nel colore della pelle come motivo per giustificare l’esistenza della schiavitù. Platone invece usa il concetto di “differenza naturale” solo in connessione all’attitudine a svolgere determinate funzioni: in questo senso si può correttamente dire che un medico è diverso da un falegname, ma non che il sesso maschile è diverso da quello femminile. Che spettano ai secondi? Naturalmente tutti i membri del genere umano hanno delle differenze, Platone lo sa Rispetto alla determinazione delle funzioni da svolgere all’interno di una città giusta quale quella che Platone si propone di tratteggiare perde dunque totalmente rilevanza il diverso ruolo svolto da maschio e femmina nel processo riproduttivo: infatti in che cosa differiscono gli uomini dalle donne? Secondo Socrate e Platone nel fatto che le donne partoriscano, mentre gli uomini fecondano: ma allora, per quel che riguarda funzioni quale la difesa della città, per esempio, entrambi i sessi possono attendere alle stesse occupazioni. Tuttavia, Socrate fa notare come in tutti i campi l’uomo risulti superiore alla donna, nonostante ci siano anche donne superiori a certi uomini. Così per quel che riguarda l’ amministrazione statale “non c’è occupazione che sia propria di una donna in quanto donna nè di un uomo in quanto uomo; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate nei due sessi, e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla donna e tutte all’ uomo, ma che in tutte la donna sia più debole dell’uomo”, dice Socrate. Così come per gli uomini, ci saranno donne più portate per la ginnastica, altre più portate per la musica, altre più portate per la difesa dello stato e così via; una donna portata per la difesa dello stato, difenderà lo stato meglio di un uomo non portato per la difesa dello stato, e viceversa: ma nel caso di un uomo e una donna entrambi portati per la difesa dello stato, allora l’uomo risulterà superiore. Platone doveva aver mutuato la sua concezione della donna, almeno in parte, dal suo maestro Socrate, che come tutti sanno è protagonista dei suoi dialoghi. “Socrate […] era particolarmente ben disposto verso le donne e non si limitava a riconoscere astrattamente le loro capacità, ma ascoltava i loro consigli giungendo ad ammettere senza difficoltà che alcune di esse avevano saggezza superiore alla sua”. Si dice infatti che Socrate avesse appreso il cosiddetto metodo “socratico” proprio da Aspasia, concubina di Pericle, che padroneggiava con “rara maestria la tecnica del discorso”. Socrate, anche se non affermava la completa parità tra uomo e donna, era tutt’altro che misogino; infatti per esempio, benché considerasse particolarmente duro il carattere di Santippe, sua moglie, tuttavia davanti ai figli maltolleranti, lo giustificava, affermando che la durezza di quella era dovuta all’ amore che aveva per loro. Quando nel Simposio Aristippo gli chiede come mai si sia messo con “la più bisbetica delle creature”, Socrate risponde in modo scherzoso affermando che per diventare buoni cavallerizzi sia necessario esercitarsi con i cavalli più focosi e non con i più docili, perché “se essi pervengono a domare tali cavalli, potranno governare facilmente gli altri”. Anche Epicuro aveva una concezione positiva del ruolo delle donne, che aveva ammesso al suo “Giardino”. Ma già i Pitagorici avevano ammesso nella loro scuola le donne. Uno dei principali motivi che nell’antichità rendeva la setta pitagorica molto famosa, quanto stravagante, era proprio la sua apertura verso le donne, che venivano ammesse nella cerchia alle stesse condizioni dell’uomo e alle quali era riconosciuta capacità di pensiero. In alcuni estratti dai trattati Perì sophías e Perì gunaikòs harmonías di Perictione e Perì gunaikòs sōphrosúnas di Fintide e di alcune lettere attribuite a Teano, Melissa e Miia, si trovano considerazioni sul ruolo della donna. L’argomento principale di queste opere ruota intorno al giusto comportamento che deve tenere una donna per essere considerata saggia e virtuosa nella società pitagorica. A parlare sono le stesse discepole di Pitagora, che si distinsero per la loro condotta impeccabile e che svolsero ruoli educativi nei confronti delle altre donne della cerchia. Di Perictione si dice addirittura che fosse madre o sorella di Platone, mentre Teano sarebbe stata sposa di Pitagora e madre di Miia. Tuttavia la presenza femminile nei circoli pitagorici sembra più ispirata alle esigenze di una concezione del mondo fortemente strutturata e gerarchica,in cui tutti gli elementi, dai pianeti delle sfere celesti fino ai componenti della società umana, devono trovare un proprio spazio e un proprio posto, che al riconoscimento di pari dignità tra uomo e donna. La filosofia di Pitagora infatti si basa sull’assunto di una stretta correlazione tra macro e microcosmo. L’armonia dell’universo si riflette e agisce nel mondo fenomenico e nella società, e l’intera vita degli uomini deve essere regolata secondo gli stessi principi dell’armonia celeste. Non solo, tutti gli individui devono tendere al raggiungimento dell’ armonia interiore esercitando il controllo sui propri istinti e risolvendo le pulsioni violente, in un perfetto equilibrio tra elementi pari e dispari. Affinché ognuno possa inserirsi armoniosamente nel flusso generale della vita, trovandovi il proprio posto, è necessaria una presa di consapevolezza dei principi che regolano l’universo, che può essere raggiunta soltanto con una giusta educazione, di cui devono poter beneficiare tutti, uomini e donne. Per i pitagorici infatti l’anarchia era il peggiore dei mali. Proprio per questo essi insegnavano il rispetto verso gli dei, lo Stato e i genitori, la lealtà verso gli amici, la giustizia e la temperanza verso ognuno indistintamente. Condannavano ogni tipo di eccesso, anche nell’abbigliamento, che doveva essere semplice e disadorno. In un sistema così concepito, che immaginava il mondo e l’universo organizzato secondo dei principi di ordine e armonia, nessuna parte del corpo sociale poteva essere trascurata, poiché tutto e tutti dovevano partecipare alla realizzazione del perfetto kosmos. E’ dunque all’insegna di questa più grande necessità che andrebbe letto e interpretato lo spazio assegnato alle donne nella setta dei pitagorici. Una visione opposta della figura femminile è offerta invece da Aristotele, convinto della naturale disuguaglianza dei sessi e della superiorità maschile sulle donne, anche nella riproduzione. Egli infatti nella Riproduzione degli animali scrive che la riproduzione è comune ad entrambi i sessi: “il maschio è portatore del principio del mutamento e della generazione”, “la femmina di quello della materia”. Tuttavia il maschio e la femmina sono dotati di “una diversa facoltà”, il primo è “attivo” in quanto “atto a generare nell’altro”, la seconda è “passiva” in quanto “è quella che genera in se stessa e dalla quale si forma il generato che stava nel genitore”. Poiché “[…] la prima causa motrice cui appartengono l’essenza e la forma è migliore e più divina per natura della materia, il principio del mutamento, cui appartiene il maschio, è migliore e più divino della materia, a cui appartiene la femmina”. Quest’ultima infatti sia nelle piante, dove non ha esistenza separata dal maschio, sia negli animali, in cui ha esistenza separata, ha bisogno del maschio e non può generare da sé. Il motivo è che l’animale è diverso dalla pianta perché percepisce attraverso la facoltà dell’anima, la cui produzione costituisce lo stesso esser maschio. Se la femmina perciò generasse da sé compiutamente, il maschio sarebbe inutile e, dice Aristotele, “la natura non fa nulla di inutile”. Egli perciò, servendosi di questo principio-base della scienza, secondo il quale ciò che accade ha sempre una causa, afferma il primato maschile nella riproduzione, estendendolo anche in ambito sociale: l’uomo, attivo per natura, è portato al comando, nella famiglia l’uomo è superiore alla moglie e la comanda. Secondo Aristotele perciò l’inferiorità della donna si fonda su basi biologiche e il rapporto uomo-donna è interpretato attraverso due delle categorie più importanti della sua filosofia, quella di forma e di materia. L’uomo-forma fa di ogni cosa ciò che è, e in quanto portatore del seme, è attivo e trasforma la passiva materia femminile naturalmente e ontologicamente inferiore. Per quanto riguarda la letteratura greca, Esiodo, sia nella Teogonia sia nelle Opere e i Giorni, qualifica la donna come colei che, creata dopo l’uomo per volere divino, segna, con la sua venuta, l’inizio del male nel mondo. Nel mito esiodeo la nascita della prima donna è presentata come conseguenza di un dissidio tra Zeus, dio giusto ma inesorabile, e l’astuto Prometeo, sfrontato orditore di inganni. Per punire Prometeo, che ha rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini, Zeus invia tra gli uomini Pandora, la prima donna, come “dono” rovinoso per i mortali. Esiodo offre due versioni di questo mito, una nella Teogonia,l’altra nelle Opere. Nella Teogonia infatti, la donna è anonima e non si chiama ancora Pandora, essa è l’iniziatrice della stirpe femminile ed è di per sé l’origine di un male, il “bel male”, a cui l’uomo non può sottrarsi. Alla costruzione del flagello, ordita da Zeus, collaborarono Efesto e Atena per mano della quale Pandora venne ornata di attributi femminili, come una veste splendente e fresche corone di fiori intorno al capo. Tuttavia la donna è portatrice di disagio, “grande flagello per i mortali” “compagna”, per gli uomini, “di imprese penose” e “[…] non di rovinosa indigenza ma d’abbondanza.” in quanto la donna, nella società di Esiodo, non produce ricchezza ma la dissipa. Inoltre, parlando di matrimonio nei versi 602-13 dice che l’uomo che non vuole sposarsi sarà privo di assistenza da vecchio e lascerà i suoi averi a parenti lontani, chi invece sarà destinato a sposarsi con una donna saggia avrà per tutta la vita in ugual misura bene e male. Ma chi si imbatterà in una donna funesta vivrà un dolore senza fine. Nelle Opere la donna ha un nome, Pandora, la quale dà origine al male non di per sé ma con un gesto colpevole, l’apertura dell’orcio che contenere tutti i mali del mondo. Nella formazione della donna, Zeus ordina ad Ermes di darle “animo senza pudore”, letteralmente “animo di cane”: infatti, presso i Greci, il cane rappresentava la sfrontatezza e l’indecenza. Pandora è definita “sciagura per gli uomini che si nutrono del pane” poiché offerta in “dono” da Zeus ad Epimeteo, aprendo il piqos fa disperdere per il mondo quei mali di cui gli uomini erano privi nel tempo precedente,e “versò agli uomini dolorosi affanni”. In conclusione, la lotta per la parità tra i sessi è cominciata sin dall’antichità. Il mondo greco classico ci offre esempi sia di oppressione dell’uomo sulla donna che di uguaglianza. Nonostante il tempo trascorso la condizione femminile nel mondo contemporaneo offre lo stesso panorama con esempi di feroce discriminazione e altri in cui i diritti delle donne sono riconosciuti ampiamente. BIBLIOGRAFIA: http://www.liberliber.it/biblioteca/e/epicurus/let tera_sulla_felicita_a_meneceo/html/lettera_.htm http://www.filosofico.net/five3.htm http://www.filosofico.net/epicuro.html http://www.unisi.it/ricerca/centri/cisaca/abstrac tTognazzi2.html