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I paragoni spontanei
I paragoni spontanei, da assimilare morfologicamente al comparativo di eguaglianza, sono tipici
dell’eloquio popolare, del quale rappresentano l’ancestrale fervore inventivo, talora in funzione
ironica. Se ne dà qui un significativo elenco, notando che molti di essi attingono alla quotidianità e
all’esperienza d’ambiente.
Amàr come la fél, ‘Amaro come il fiele’.
Amàr come ’l tòssech, ‘Amaro come il tossico’.
Amìs come i róndene, ‘Amico come le rondini’ (ironico, perché le rondini sono migratrici e nel
tempo della permanenza nei nostri territori nidificano sotto le gronde delle cascine senza recare
alcun giovamento ai contadini).
Bèl come ün àngel, ‘Bello come un angelo’.
Bianch come la niv, ‘Bianco come la neve’.
Biànch come ’l làcc, ‘Bianco come il latte’.
Biót come öna rana, ‘Nudo come una rana’ (ironico e allusivo alla mancanza di denaro).
Biót come ü èrem, ‘Nudo come un verme’ (anch’esso ironico e allusivo alla mancanza di denaro).
Bösiér come Giüda, ‘Bugiardo come Giuda’.
Bröt come l’òrco, ‘Brutto come l’orco’.
Bu come ’l pà, ‘Buono come il pane’.
Cargàt come ün àsen, ‘Carico come un asino’.
Catìv come ’l pecàt, ‘Cattivo come il peccato’.
Ciòch come öna àca, ‘Ubriaco come una mucca’.
Ciòch come öna sèpa, ‘Ubriaco come una seppia’.
Còcc come öna boröla, ‘Cotto come una caldarrosta’ (ironico e allusivo ad un innamorato cotto).
Contét come öna Pasqua, ‘Contento come una Pasqua’.
Cumudàt come ü papa, ‘Accomodato come un papa’.
Curiùs come öna bènola, ‘Curioso come una donnola’.
Dóls come la fél, ‘Dolce come il fiele’ (ironico).
Dóls come la mél, ‘Dolce come il miele’.
Drécc come ü füs, ‘Dritto come un fuso’.
Ècc come ‘l bacöch, ‘Vecchio come il bacucco’ (riferito orgininariamente al profeta Abacuch).
Ècc come ’l tabàr del diàol, ‘Vecchio come il tabarro del diavolo’.
Falso come Giüda, ‘Falso come Giuda’.
Famàt come ü lüf, ‘Affamato come un lupo’.
Fastidiùs come öna mósca, ‘Fastidioso come una mosca’.
Fórt come ü leù, ‘Forte come un leone’.
Fortünàt come ü cà in césa, ‘Fortunato come un cane in chiesa’ (ironico).
Frècc come ’l giàss, ‘Freddo come il ghiaccio’.
Frèsch come ön’aqua de sortida, ‘Fresco come un’acqua di sorgente’.
Frèsch come öna rösa, ‘Fresco come una rosa’.
Fürbo come ’l diàol, ‘Furbo come il diavolo’.
Fürbo come öna bènola, ‘Furbo come una donnola’.
Fürbo come ün ocanèl, ‘Furbo come un fanello’.
Gnèch come la làa del sat, ‘Arrabbiato come la bava del rospo’.
Gnèch come ’l bao, ‘Arrabbiato come il babau’.
Grass come ü capù, ‘Grasso come un cappone’.
Grév come öna préda, ‘Greve come una pietra’.
Güstus come ’l mòl de la söca, ‘Gustoso come la polpa della zucca’.
Ignorànt come öna böba, ‘Ignorante come un’upupa’.
Ignorànt come ü bö, ‘Ignorante come un bue’.
Ignorànt come ü codér, ‘Ignorante come un corno di bue’.
Infiamàt come ü pulì, ‘Infiammato come un tacchino’.
Ingùrd come ü sat, ‘Ingordo come un rospo’.
Intréch come öna bòcia, ‘Compatto e pesante come una boccia’.
Intréch come öna bóra, ‘Tonto come un tronco’.
Ligàt sö come ü salàm, ‘Legato come un salame’.
Ligèr come öna fòia, ‘Volubile come una foglia’.
Ligér come öna fòia d’àlbera, ‘Volubile come una foglia di pioppo’.
Lóngh come la fam, ‘Lungo come la fame’.
Lóngh come la Quarisma, ‘Lungo come la Quaresima’.
Màgher come ü ciód, ‘Magro come un chiodo’.
Màgher come ü palèt, ‘Magro come un paletto’.
Mat come öna àca, ‘Matto come una mucca’.
Mat come ü caàl, ‘Matto come un cavallo’.
Nèt come ü spècc, ‘Nitido come uno specchio’.
Nìgher come öna mura, ‘Nero come una mora’.
Nìgher come ’l carbù, ‘Nero come il carbone’.
Nìgher come ü gri ’n del lacc, ‘Nero come un grillo nel latte’.
Nìgher come ü scorbàcc, ‘Nero come un corvo’.
Pié come ü bö, ‘Pieno come un bue’.
Poarèt come San Quintì, ‘Povero come San Quintino’.
Rabiùs come öna épera, ‘Rabbioso come una vipera’.
Rar come öna mósca bianca, ‘Raro come una mosca bianca’.
Róss come öna brasa, ‘Rosso come una brace’.
Róss come ü pierù, ‘Rosso come un peperone’.
Sà come ü cornàl, ‘Sano come un corniolo’.
Schéss come öna sardèla, ‘Smilzo come una sardina’.
Sèch come öna sprèla, ‘Secco come un equiseto’.
Sèch come ü bacalà, ‘Secco come un baccalà’.
Sgiùf come ü baghèt, ‘Gonfio come una cornamusa’.
Sgiùf come ü balù, ‘Gonfio come un pallone’.
Sidràt come ü camèl, ‘Assetato come un cammello’.
Sincér come l’aqua tróbia’, ‘Sincero come l’acqua torbida’ (ironico).
Smórt come la séra, ‘Smorto come la cera’.
Smórt come ü cadàer, ‘Smorto come un cadavere’.
Spórch come ü sunì, ‘Sporco come un maiale’.
Sténch come ü pal, ‘Rigido come un palo’.
Sul come ü remét, ‘Solo come un romito’.
Surd come öna tapa, ‘Sordo come una schiappa’.
Svèlt come ’l fölmen, ‘Svelto come il fulmine’.
Svèlt come öna légor, ‘Svelto come una lepre’.
Svèlt come ü folèt, ‘Svelto come un folletto’.
Svelt come ü gst fr marmo, ‘Svelto come un gatto di marmo’ (ironico).
Svèlt come ü vissinèl, ‘Svelto come un discolo’.
Uriginàl come öna àca, ‘Originale come una mucca’.
Uriginàl come öna cavra, ‘Originale come una capra’.
Zald come ’l sofrà, ‘Giallo come lo zafferano’.
I blasoni popolari bergamaschi
Si va ormai perdendo la memoria degli antichi blasoni popolari, caduti da tempo in disuso. Erano i
soprannomi (suernòm, ma anche scotöm o scolmègne, come si diceva in diverse parti della
Bergamasca) con i quali s’indicavano tutti gli appartenenti ad una comunità, ad incominciare da
quella cittadina: i bergamaschi di città erano perentoriamente definiti giopì, ‘burattini’, e quelli di
Bergamo Alta nientemeno che spiantàcc, ‘spiantati’, con allusione ad alcune nobiltà decadute e a
famiglie un tempo facoltose e costrette poi a vivere in ristrettezze per le alterne fortune delle
vicende umane. Tali soprannomi, di indubbio interesse antropologico ma attinenti anche al folclore
orale e alla psicologia sociale, erano ancora usati nel 1924, quando in un suo breve saggio (“La
Rivista di Bergamo” n. 28, aprile 1924) se ne occupò monsignor Noradino Torricella, il quale ne
diede un colorito campionario rappresentativo osservando come per la più parte, quando non
allusivi alle usanze o al mestiere esercitato, essi tradissero intenti ironici e perfino offensivi, dovuti
ad “invidia o gelosia dei vicini” od a “malumore e antipatie che corrono di frequente da contrada a
contrada”. Un più ampio elenco di scotöm diede (“La Rivista di Bergamo” n. 3, marzo 1935)
Palmiro Gelmini, il quale si compiacque che, appartenendo “a quel passato in cui ancora lo spirito
di parte avvelenava l’animo degli italiani”, essi stessero decadendo ovunque e assumessero ormai la
funzione di documento del “disusato spirito di campanile”. Nel 1982 ne proposero una ricca e
rigorosa trattazione Vittorio Mora e Martino Campagnoni nel volume “Una curiosa geografia
bergamasca”, nel quale sciorinaroro una sequela amplissima dei blasoni popolari bergamaschi,
suddivisi per aree geografiche omogenee, offrendo ragguagli esplicativi riguardo all’origine e al
significato degli scotöm più inconsueti, il cui senso può apparire di primo acchito impenetrabile.
Si espone qui un elenco di tali scotöm, com’è stato desunto dai lavori sopra citati, con le poche
integrazioni che è stato possibile registrare. Si tratta ormai di fenomeno non più in atto, circoscritto,
definito, adeguatamente rilevato e trattato, del quale al presente rimangono poche memorie nelle
persone di formazione bergamasca che siano in età avanzata. Si osserva come sia ben maggiore il
numero delle comunità, svarianti dal grosso centro alla piccola frazione, provviste di blasone
popolare rispetto a quello delle comunità che ne risultano prive; ciò denota l’alto grado di diffusione
del fenomeno, il cui radicamento poté essere conseguenza dello spirito autarchico dell’economia
curtense, risalente all’epoca medievale, un’economia tesa all’autosufficienza, consolidatasi nella
rigidità delle consuetudini e degli usi e protrattasi per vari aspetti fino ai tempi moderni, quando
l’insediamento delle prime industrie e l’aumento sensibile dei flussi migratori alterarono
notevolmente la staticità delle componenti demografiche e delle strutture sociali.
Il fenomeno dei blasoni popolari è strettamente imparentato con le locuzioni dialettali per il senso di
forte realismo che da essi promana, non disgiunto da una carica ironica che a volte sconfina nel
satirico e nel sarcastico quando non oltrepassa il confine del lecito avvalendosi della canzonatura,
dello sberleffo e dell’insulto sprezzante. A considerare oggi certi scotöm non si riesce a trattenere il
sorriso; nel caso poi dei più razzenti ed irresistibili, non si sa come frenare la sana risata. Ma
occorre pensare che un tempo, quando il senso di appartenenza ad un comune o ad una parrocchia
era spiccato, essi venivano per lo più avvertiti come espressivi di un sentimento di malanimo o
come manifestazioni di volgare e odiosa denigrazione, che non tutti si sentivano di accogliere con la
necessaria indulgenza o con una generosa tolleranza. Del resto, atavica e connaturata con l’indole
umana è la disposizione d’animo che tende a cogliere nel prossimo soprattutto vizi e difetti.
I blasoni popolari sono caratterizzati dal riferimento ad elementi di varia natura, come gli aspetti
storici e geografici di una comunità o i mestieri tradizionalmente esercitati o ancora le esigenze di
vita, l’ambiente, le usanze e l’indole prevalente degli abitanti, elementi quasi sempre filtrati se non
travolti da un’ironia caricaturale ora argutamente sottesa ora sfacciatamente scoperta.
Memoria dell’infausto passaggio nel 1799 degli austrorussi, branchi di soldatacci violenti,
prepotenti e ladri ancor più dei francesi di Napoleone, è nel soprannome barbète affibbiato ai
cisanesi e a quei di Ponteranica mentre le denominazioni bressà per i paloschesi e spagnöi per gli
abitanti di Vedeseta evocano antichi problemi confinari. I brembillesi furono detti milanés perché,
essendo di fazione ghibellina, parteggiavano per il duca di Milano. L’uso allusivo di etnici come
crucchi per quelli di Lonno e arabi per quelli di San Felice al Lago è da intendersi in chiave ironica
nel senso di ‘teste dure’, ‘gente di tardo comprendonio’; non così per quei di Sorisole, detti rösse,
‘russi’ nel senso di ‘animosi’. Ricordo dei possedimenti delle nobili famiglie dei Colleoni e dei
Giovanelli sono i blasoni coleù e gioanèi. Quelli di Scano al Brembo erano detti contì, ‘contini’, per
la presenza nel loro territorio di ville nelle quali alcune famiglie patrizie della città solevano
trascorrere l’estate. Gli abitanti della Botta di Sedrina erano chiamati ciaèle perché in quel punto la
strada Priùla, che correva a strapiombo sull’orrido del Brembo, era sorretta da grosse chiavi di ferro
infisse nella roccia. Barcù erano chiamati gli abitanti di Villa d’Adda per il traghetto leonardesco
che a tutt’oggi collega il loro paese con Imbersago sulla sponda occidentale del fiume. Quelli di
Strozza erano detti momà per la presenza nella frazioncina di Cà Campo di un noto oratorio
dedicato a San Mamete (San Momà nella parlata del luogo). Quelli di Cividino i frà per la presenza
di un convento di minimi osservanti. Gli abitanti di Grumello del Monte erano detti chèi de la resù¸
‘quelli della ragione’, perché il loro paese fu sede di una pretura; quelli di Somendenna i miserére
per le esequie che un tempo celebravano a suffragio delle anime di un manipolo di ghibellini
trucidati in località Brégn durante le funeste lotte di fazione del Trecento. Spine richiama la
devozione alla miracolosa Sacra Spina di San Giovanni Bianco, proveniente dalla corona di spine
della Passione di Nostro Signore. Relativamente recente è il soprannome madóne per gli abitanti
delle Ghiaie di Bonate, dove nel maggio del 1944 si verificarono alcune apparizioni mariane che
fecero accorrere migliaia di fedeli alimentando la speranza della pace nel tempo più terribile della
guerra e che suscitarono diverse guarigioni miracolose.
Su evidenti isofonie si basano alcuni scotöm come calsanì, ‘portatori di calze’, per gli abitanti di
Calcio, lóch, ‘allocchi’, per quelli di Locate, selvinèi, ‘abitatori della selva’, per quelli di Selvino,
paerane (‘zigoli gialli’, uccelli di passo che si catturavano con gl’impianti d’aucupio) per quelli di
Pagliaro, pegheròcc, ‘che vivono fra gli abeti’, per quelli di Peghera, tòr, ‘tori’, per quelli di Torre
de’ Roveri, bandunàcc per quelli di Sant’Antonio Abbandonato (ironica corruzione popolare di
abate). Ai mozzesi è toccato purtroppo l’epiteto oltraggioso di móssa-cüi. Ai marnesi, per necessità
di rima (più che per amore), è toccato invece quello spregiativo di catìa carne. I clusonesi trassero
invece il nome di baradèi da quello della piazza centrale della loro cittadina, detta appunto
Baradello.
All’ambiente naturale si riferiscono scotöm quali nebiàcc, ‘immersi nella nebbia’, brinàcc,
‘ricoperti di brina’, brüsàcc, brüstülìcc, tère rósse, sbalsanèi, ‘costretti dalla natura del suolo a
procedere a balzi’, pólver, ‘residenti in un luogo polveroso’. Al mondo vegetale, all’agricoltura, alla
caccia e ai tipici prodotti della terra afferiscono invece soprannomi quali barbabèch e brüscù,
‘asparagi selvatici’, merlète, ‘lamponi’, ris, ‘riso’, attestazione dell’esistenza nell’Ottocento di risaie
in alcune zone della pianura bergamasca, sigulòcc, ‘cipollotti’ (apprezzate e ricercate erano un
tempo le cipolle della Bassa), patate (molto richieste erano anche le patate di montagna), raanèi,
‘rapanelli’, süchì, ‘zucchine’, càrpegn, ‘carpini’, pèrsech, ‘peschi’, cornalì, ‘piccoli cornioli’,
spinaràcc, ‘pungitopo’, brögnöi, ‘mirabelle (prugne selvatiche)’, carnér, allusivo al carniere usato
dai cacciatori per riporvi la piccola selvaggina. Della millenaria coltivazione della vite in Val
Calepio sono attestazione i soprannomi calesì, ‘bevitori di calici di vino’, e gambe mòle, allusivo
all’andatura malferma delle persone brille; quelli di Scanzo, che dalle vigne dei loro colli ottengono
ab immemorabili un famoso moscato nero, erano addirittura definiti ciochetù, ‘ubriaconi’. Tetù,
‘succhiatori’ ovvero ‘bevitori di grappa’, erano detti gli abitanti di Foresto Sparso, dove un tempo
era diffusa presso le famiglie la distillazione del noto superalcolico. Erano chiamati narsìs quelli
della Roncola per le straordinarie fioriture di narcisi che nella prima primavera ricoprivano
meravigliosamente i pianori e i dossi del loro monte nel tempo ormai lontano in cui la gente aveva
ancora rispetto della natura. Spregiativo appare il soprannome cóngoi (cóngol, ‘appoggio del giogo
doppio dei buoi’) riferito ai contadini di Cavernago.
A piatti e a prodotti tipici della tradizione culinaria bergamasca attengono alcuni scotöm quali
scarpinòcc, ‘ravioli di Parre’, biligòcc, ‘filze di castagne lesse affumicate’, peladèi, ‘castagne
bollite e pelate’, fregaröi (fregaröl, ‘pappetta di farina di frumento cotta nel latte’), chissöi (chissöl,
‘schiacciata di polenta con formaggio’), bofècc, ‘ciambelle’, borfadèi, ‘gnocchetti di polenta in latte
caldo’. Menüssì era detto chi mangiava polenta sminuzzandola nel latte e polentì chi poteva cibarsi
soltanto di polenta. Traslato è il significato dei soprannomi gnòch, ‘gnocchi’, codeghì, ‘cotechini’,
e tigòcc, ‘cornetti’ (tutti sinonimi di ‘gonzi’). Alla penuria di cibo va ascritto invece il soprannome
laciù, indicante gente costretta a nutrirsi soltanto di latte per la mancanza di ogni altro genere
alimentare.
Molto espressivi ed arguti risultano i soprannomi composti, quali mangia-pólt, ‘mangiatori di
pappetta di farina’, mangia-sacc, ’mangiatori di rospi’, maia-pessì, ‘mangiatori di pesciolini’, cibo
povero e assai poco nutriente, maia-sìser, ‘mangiatori di ceci’, legumi un tempo coltivati nei paesi
della nostra Bassa, maia-ràe, ‘mangiatori di rape’, maia-fasöi, ‘mangiatori di fagioli’, maia-gnòch,
‘mangiatori di gnocchi’, maia-léber, ‘mangiatori di libri’, per la presenza a Celana di un noto
collegio scolastico, maia-pólver, allusivo all’estrazione di materiale roccioso per la produzione di
cemento, péla-fich, ‘pelatori di fichi’, con allusione all’atto gentile di porgere il frutto sbucciato
perché non risulti indigesto, cìcia-tètole, ‘succhiatori di castagne bollite’, cìcia-canète, ‘succhiatori
di legno dolce’, scaàlca-sése, ‘scavalcatori di siepi’, per l’uso di attraversare le altrui proprietà
delimitate da siepi, raspa-spì, ‘raccoglitori di more’, sbògia-rane, ‘calpestatori di rane’, salta-fòss,
‘saltafossi’, róba-danér, ‘grassatori’, ‘rapinatori da strada’, spana-lacc, ‘venditori di latte cui sia
stata tolta la panna’, spassa-polér, ‘ladri di galline’, sima-làres, allusivo all’atto di recidere le cime
dei larici, ribólda-plòch, allusivo all’atto di rivoltare le pietre per cavarle dal greto del Serio, bècalècc, allusivo a letti infestati da pulci o da cimici, bèca-rasa, riferito all’abbondanza di resina in
contrasto con la penura di cibo, schissa-boàsse, per il suolo pubblico completamente cosparso di
sterco bovino che gli abitanti erano costretti a calpestare, pèsta-pìer, indicante persone avvezze a
trattare il prossimo come se tritassero il pepe nel mortaio, làa-pate, allusivo alla tradizionale attività
delle lavandaie di Paladina, pontèla-mür, riferito all’instabilità di muri a secco costruiti con borlanti
di fiume disposti senz’alcuna perizia, cìcia-pirù, ‘succhiatori di forchette’, strèpa-butù, ‘strappatori
di bottoni’, nel senso di ‘attaccabrighe’, burla-póm, detto di chi evita la fatica di raccogliere le mele
dalla pianta preferendo raccattarle una volta cadute al suolo, basa-mórcc, dal nome del Passo di
Basamorti, corruzione popolare di passa-mórcc, luogo in cui transitavano i convogli funebri, brüsa-
crés-cc, ‘iconosclasti’, ‘sacrileghi’. Satirico è il soprannome sèmper in césa, ‘sempre in chiesa’, che
ridicolizza una devozione eccessiva. Altrettanto satirico è palpa-mür per gente costretta a
camminare accanto ai muri delle case a causa della nebbia fitta. Cópa-lüf ricorda invece che fino al
Cinquecento la pianura padana fu infestata da branchi di lupi famelici contro i quali era giocoforza
organizzare vere e proprie battute.
Numerosi sono i riferimenti agli antichi mestieri, molti dei quali non più esercitati da tempo:
carbunér, ‘quanti ottenevano il carbone mediante la combustione lenta di legna disposta a catasta’,
stegnadèi, ‘calderai’, oaröi, ‘quanti si aggiravano per le campagne onde fare incetta di uova che
rivendevano in città’, piödér, ‘cavatori di ardesia’, cosseròcc, ‘cavatori di pietra cote’, magnà,
‘calderai’, molète, ‘arrotini’, butunér, ‘fabbricanti di bottoni’, scorgiöi, ‘venditori di stringhe’ e per
traslato ‘imbrigatori’, cortelér, ‘coltellai’, spadér, ‘spadari’, podècc, ‘fabbricanti di falcetti’,
ciodaröi, ‘fabbricanti di chiodi’, ’nfrusnàcc, ‘lavoranti di fucina’, spassacamì, ‘spazzacamini’,
borlài, ‘conduttori di tronchi’ (berg. bóra, ‘tronco sradicato, diramato e scortecciato’), filandére,
‘filandaie’, tessàder, ‘tessitori’, türnidùr, ‘tornitori’, spolverinér, ‘venditori di polvere abrasiva’,
scartesì, ‘cardatori’, lapidèi, ‘scalpellatori’, strachinàcc, ‘produttori e venditori di stracchino’,
coertì, ‘produttori e venditori di coperte’, baslotér, ‘fabbricanti di stoviglie di legno di faggio’,
brentadùr, ‘trasportatori di vino in brente’, cargiöi, ‘costruttori di carriole’, reloér, ‘fabbricanti di
orologi’, ‘ombrelér, ‘riparatori di ombrelli’, brüs-cì, ‘venditori di spazzole’, salnitrér, ‘produttori di
salnitro’, fachì, ‘facchini’, careàne, ricordo dei “caravana” che detenevano l’esclusiva del
facchinaggio delle merci al porto di Genova, corér, ‘corrieri’, massacà, ‘accalappiacani’, sendraröi,
‘raccoglitori e venditori di cenere’, s-ciopetér, ‘addetti allo scoppio delle mine’, schissù,
‘fabbricanti di mattoni d’argilla’. A questi si aggiungono le denominazioni di attività tipiche
dell’allevamento, della caccia e dell’agricoltura: cavrér, ‘caprai’, sifuladùr e sigladùr, ‘zufolatori da
richiamo degli uccelli di passo’, sìöi, sinonimo di ‘fabbricanti di zufoli da richiamo’, castegnér,
‘venditori di castagne’, melunér, ‘produttori di meloni’, rastelér, ‘rastrellatori’, furcàcc, ‘avvezzi
all’uso di forche e di tridenti’, sapadùr, ‘zappatori’, angadùr, ‘vangatori’, badéi, sinonimo di
‘badilanti’, pighessì e puditì, ‘portatori di falcetto’, forvesù, ‘armati di cesoie’, spiglècc,
‘spigolatori’, fenilér, ‘raccoglitori di fieno’, melgassù, ‘coltivatori di granoturco’, baelòcc, ‘tessitori
di filaticcio’ (detto con intento spregiativo), caécc, ‘bastoni’, dall’uso di far crescere le pianticelle
dei legumi appoggiandole a paletti di legno conficcati nel terreno, stropèi, ‘stroppoli’, ‘legacci di
salice selvatico’. Ricordano la straordinaria diffusione della bachicoltura, durata fino alla metà del
Novecento nelle nostre campagne, i soprannomi arpe, ‘reticelle sulle quali si pongono i bozzoli’,
balarì, ‘cespi di sterpi e di ramicelli sui quali il baco da seta forma il bozzolo’, caalér e filosèi,
‘filugelli’. Si assimilano ai mestieri la condizione dei gognì, ‘ragazzi di officina o di bottega’ (anche
questo in senso spregiativo) e quella dei sircòcc, ‘questuanti’. Il soprannome remécc ricorda i
romiti, scapoli molto timorati di Dio ma laconici, misogini e scontrosi, che nei secoli passati
custodivano con zelo i santuari sorti in località lontane e disabitate. Esercitavano a loro modo un
mestiere anche i contrabandér, ‘contrabbandieri’. Schernevole risulta l’appellativo marinér,
‘marinai’, rivolto a quelli di Vercurago per la loro vicinanza all’Adda e al lago di Lecco.
Notevole appare l’intento denigratorio ed offensivo del ricorso a termini indicanti aspetti esteriori e
comportamenti negativi: stórcc, ‘storti’, sòp, ‘zoppi’, sciabài, ‘storpi’, surcc, ‘sordi’, möcc, ‘muti’,
bröcc, ‘brutti’, lèncc, ‘lenti’, söcc, ‘asciutti’ ossia ‘laconici’, oregiù, ‘orecchiuti’, ganassù, ‘dalle
mascelle prominenti’, gambòcc, ‘dalle gambe grosse’, botàss, ‘panciuti’, petàss, ‘pancioni’, còi
lóngh, ‘colli lunghi’, gosatù, góss, patatù, patatì, ‘gozzuti’. Il soprannome braghète sembra alludere
a persone di bassa statura e quello irridente di pissagì a infanti ai quali occorra applicare il
pannolino. Non sfugge all’intento canzonatorio il riferimento all’uso di calzature e d’indumenti:
pelandèi (pelandèl, ‘abito lungo’, ma pelanda, ‘donna di malaffare’, dunque: pelandèi,
‘frequentatori di donnacce’), berciài (berciàl, ‘cappellaccio da mandriano’), scalfarècc (scalfarèt,
‘calzerotto’, allusivo ad una moda rustica e sorpassata), sàcoi, sòcoi, söpelòcc, spelì, spelù,
‘zoccoli’, soprannomi affibbiati a gente che non usava le scarpe, caneàss, ‘canovacci’, detto di
gente vestita con panni ruvidi e meschini, tacù, ‘rattoppi’ ma anche ‘topponi da letto per enuresi’.
Ai vizi e ai difetti umani sono riconducibili blasoni ingiuriosi quali macc, ‘matti’, làder, ‘ladri’,
balòss, ‘birbanti’, berechì, ‘furbastri’, fals, ‘falsi’, impustùr, ‘impostori’, bösgiàder, ‘bugiardi’,
malégn, ‘maligni’, gnoràncc, ‘ignoranti’, stüpecc, ‘stupidi’, ligòss, ‘lavativi’, gaèi, ‘vagabondi’,
‘perdigiorno’. Non sono cerimoniosi i seguenti epiteti: invidiùs, ‘invidiosi’, litigàncc, ‘litiganti’,
büli, ‘gradassi’, söpèrbe, ‘superbi’, pumpùs, ‘pomposi’, àrie, ‘spocchiosi’, cröste, ‘taccagni’, fiss,
‘testicoli’, bìgoi, ‘minchioni’, bocalù, ‘creduloni’, bortolì, ‘baccelloni’, balù, ‘millantatori’, spiù,
‘spioni’, pipòcc, ‘pupazzi’, balabiócc, ‘buoni a nulla’, slambròcc, ‘trasandati’, rampì, ‘cavillosi’,
stissù, ‘fomentatori di discordie’, petòneghe, ‘pettegoli’, bigù, ‘brontoloni’, falìcc, ‘falliti’,
miseràbei, ‘miserabili’, dópe, ‘lingue biforcute’. Non sono complimentosi neppure questi altri: sbér,
‘sbirri’, striù, ‘stregoni’, salvàdegh, ‘selvatici’, bestemiù, ‘bestemmiatori’, òs-ce, ‘imprecatori’,
ongì, ‘che arraffano con le unghie’, pelì, ‘che pelano i clienti’, scuì, ‘scopinetti’ (assai spregiativo),
bóre, ‘tronchi d’albero’ ossia ‘duri di comprendonio’ (anche questo molto spregiativo), piassaröi,
‘gente che se ne sta in piazza a sparlare e a perdere del tempo’, tatàm, ‘tangheri’, teedèi, ‘babbei’,
sassù, allusivo a persone pesanti come pietre e d’indole insopportabile. Ancor più scorticanti per la
loro carica sarcastica appaiono scotöm come sapièncc, ’sapientoni’, aocàcc, ‘avvocati’, chèi del
còdice, ‘azzeccagarbugli’, duturì, ‘dottorini’, sitadì, ‘cittadini’, crape fine¸ ‘teste fine’, sciòri,
‘signori’, s-ciümì, ‘signorini’, cinciribì, ‘raffinati’, santarèi, ‘santarellini’, capòce, ‘che si danno
arie da comandanti’, santificétur, ‘bigotti’, pùcia, ‘che si vantano di cibarsi d’intingolo’, faró,
‘neghittosi che rimandono a domani ciò che può essere fatto oggi’, scatolòcc, ‘latte vuote e
fragorose’, bursù, ‘che ostentano grandi borse di denaro’, stüpì, ‘stoppini’, sinonimo di
‘moribondi’.
Folto è il repertorio degli scotöm tratti dal mondo della fauna, ad incominciare dagl’insetti
fastidiosi: taà, ‘tafani’, barbèi, ‘farfalle notturne’, cam, abbreviazione di càmole, ‘tignole’, saiòcc,
locuste’ (saiòt, sinonimo di ‘babbione’), galavrù, ‘calabroni’, diàoi, ‘cervi volanti’, gàtole, ‘bruchi’,
tabalóres, ‘maggiolini’. All’avifauna appartengono i soprannomi oselì, ‘uccellini’, pàssere,
‘passere’, cròv, ‘corvi’, tàcoi, ‘corvacci’, cornàcc, ‘cornacchie’, curnagiù, ‘cornacchioni’, agle,
‘aquile’, becassì, ‘beccaccini’, guìne, ‘pispoloni’, galècc, ‘galletti’, garganèi, ‘anitre’. Tripinì suona
‘tre pollastri’ e indica una popolazione esigua. Seguono, in senso figurato e sempre con intenti
celiosi quando non oltraggiosi, lösèrte, ‘lucertole’, ligurù, ‘ramarri’ (sinonimo di ‘sfaccendati’),
bissù, ‘biscioni’, sgrignàpole, ‘pipistrelli’, sorèch, ‘sorci’, tópe, ‘talpe’, fuì, ‘faine’, gacc, ‘gatti’, cà,
‘cani’, mastì, ‘mastini’, lüf, ‘lupi’, màrtor, ‘martore’, pégher, ‘pecore’, bessòcc, ‘pecorelle’, bar,
‘montoni’, cavre, ‘capre’, bèch, ‘irchi’, bocì e bogì, ‘vitellini’, manzöi, ‘manzi’, torèi, ‘torelli’,
camóss, ‘camosci’, àsegn, ‘asini’, möi, ‘muli’, porsèi, sunì e zzù, ‘maiali’. È da assimilare a questi
soprannomi quello insultante di fich, ‘sterco d’asino’, accollato agli abitanti di Bondo Petello. Non
mancano in questa singolare tassonomia animali acquatici quali rane, gàmber, bosì, ‘ghiozzi’,
sanguanì, ‘pesciolini detti fregaroli’, löss, ‘lucci’.
Vi sono poi soprannomi di vario significato dovuti a ragioni particolari e non sempre rettamente
interpretabili. Quelli di San Paolo d’Argon erano detti maróne perché pronunziavano Maróna,
‘Madonna’, e non Madóna. I barba di Sotto il Monte erano così chiamati perché molte delle loro
famiglie contadine erano rette da un barba, ‘zio anziano e scapolo’. Ma che quelli del Gavarno di
Scanzo fossero detti sachèi perché da cleptomani mettevano in saccoccia ogni oggetto che capitava
loro a tiro pare un’illazione bella e buona. A una psicologia contorta riconducono i soprannomi
marmitì e bernassì, allusivi a gente assai parsimoniosa, adusa ad avvalersi di piccoli utensíli come
pentolini e palettine. Non so che dire innanzi al soprannome dato ai prezzatesi: non mi pare aver
senso un riferimento alla testa della ruota (có de röda) nell’accezione di ‘testa dura’; penso piuttosto
a có de rösa, cioè al ballerino della rosa, che in bergamasco suona gratacül, termine icastico usato
per dileggio a guisa d’insulto. Infine, quelli di Trate se la cavano a buon mercato perché il loro
scotöm era salöch, che può anche sembrare offensivo ma che di preciso non si sa che cosa voglia
dire.
Ed ecco ora, senz’altri preamboli, l’elenco che mi è stato possibile comporre.
Abbazia di Albino: i carbunér de la Badéa.
Adrara San Martino: i söpelòcc de Dréra.
Adrara San Rocco: i brüscù de San Ròch.
Albano Sant’Alessandro: i nebiàcc de ’Lbà.
Albegno: i macc de Albègn; anche i tessàder.
Albenza: i careàne de l’Albènsa.
Albino: i falìcc de ’Lbì; anche i cinciribì e i galantòm.
Almè: i mangia-sacc de ’Lmé; anche i mangia-rane.
Almenno San Bartolomeo: i merlète de San Bartolomé.
Almenno San Salvatore: i guine de ’Lmèn.
Alzano: i stórcc de ’Lzà; anche i sturtù e i ciribì.
Ama: i stüpì de Ama.
Ambivere: i pelandèi de Ambìer.
Ambria: i balerì de Àmbria.
Amora: i sorèch de Amóra.
Antegnate: i stegnadèi de Antegnàt.
Arcene: i padelòcc de Àrsen; anche i padèle.
Ardesio: i cavre de Ardés.
Arzago d’Adda: i maia-sìser de Arsàgh; anche i gambarèi.
Ascensione: i barbèi de l’Assènsa.
Averara: i bocalù de Vréra.
Aviatico: i tacù de Aviàdech.
Azzone: i süchècc de SSù; anche i söcc.
Azzonica: i crape fine di Sónga.
Bagnatica: i tigòcc de Bagnàdega.
Bani di Ardesio: i macc di Bà.
Barbata: i ris de Barbada.
Baresi: i s-ciopetì di Bàres.
Bariano: i badéi de Barià.
Barzana: i castra-lóch de Barzana.
Barzesto: i litigàncc de Barzèst.
Barzizza: i tère rósse de Bargégia.
Bedulita: i patatì de San Michél.
Berbenno: i piassaröi de Berbèn.
Bergamo: i giopì de Bèrghem.
Bergamo Alta: i spiantàcc de Sità.
Berzo San Fermo: i fals de Bèrs; anche i tabalóres.
Bianzano: i boassù de Biansà.
Blello: i spinaràcc de Blèl.
Boario di Gromo: i bosì de Boér.
Bolgare: i pólver de Bólgher.
Boltiere: i tatàm de Boltér.
Bonate Sopra: i filosèi de Bonàt Sura.
Bonate Sotto: i testimòne fals de Bonàt Sóta; anche i crapù.
Bondo di Colzate: i oaröi de Bónd.
Bondo Petello: i fich de Bónd.
Bordogna: i sitadì de Bordògna.
Borgo di Terzo: i spiù de Bórgh.
Bossico: i raèi de Bösech.
Botta di Sedrina: i ciaèle de la Bòta.
Bottanuco: i gambòcc de Batanüch; anche i gambù e i sìfoi.
Bracca: i litigàncc de Braca.
Branico: i sciòri de Branìch.
Branzi: i piödér di Brans; anche i sòcoi.
Bratto: i pégher de Brat.
Brembate Sopra: i pighessì de Brembàt Sura.
Brembate Sotto: i aocàcc sènsa firma de Brembàt.
Brembila: i lüf de Brembila; anche i milanés.
Brignano di Gera d’Adda: i raanèi de Brignà.
Brugaletti di Cenate: i mangia-fasöi di Brügalècc.
Brumano di Alzano: i laciù de Brümà.
Brumano Imagna: i scaàlca-sése de Brümà.
Bruntino: i raspa-spì de Brüntì.
Brusaporto: i taà de Brüsa.
Bueggio: i sbògia-rane de Böègg.
Burligo: i cosseròcc de Bürlìgh.
Busa di Alzano: i stüpecc de la Büsa.
Calcinate: i mangia-rane de Calsinàt.
Calcio: i calsanì de Cals; anche i brüsa-crés-cc.
Calolzio: i góss de Calóls.
Calusco d’Adda: i boassér de Calösch.
Calvenzano: i sigulòcc de Calvensà; anche i bissù.
Camerata Cornello: i magnà de Camerada.
Campana di Villa d’Almè: i mangia-pólt de Campana.
Canonica d’Adda: i petòneghe de Canònega.
Capizzone: i rastelér de Capizzù.
Capriate: i s-ciopetér de Cavriàt.
Caprino Bergamasco: i macc de Cavrì; anche i arpe.
Caravaggio: i purselì de Careàs; anche i góss.
Carenno: i cavre de Carèn.
Carobbio degli Angeli: i porsèi de Caròbe; anche i sunì.
Carona: i duturì de Caruna.
Carvico: i s-ciümì de Carvìch; anche i spiglècc.
Casale di Albino: i sifuladùr de Casàl.
Casirate: i melunér de Casiràt; anche i góss.
Casnigo: i bogì de Casnìgh.
Cassiglio: i berciài de Cassèi.
Castelfranco di Rogno: i malégn del Castèl.
Castelli Calepio: i calesì de Calèpe.
Castel Rozzone: i molète de Castèl.
Castione della Presolana: i gosatù de Cas-ciù.
Castro: i malégn de Càster.
Catremerio: i aocàcc de Catremér.
Cavernago: i cóngoi de Caernàgh.
Cazzano Sant’Andrea: i ganassù de Cassà.
Celana: i maia-léber de Celana.
Cenate Sotto: i sunì de Senàt.
Cene: i gosatù de Scé.
Cepino: i ongì de San Bernardì.
Ceratello: i striù de Seradèl; anche i sbér.
Cerete Alto: i cargiöi de Serét Vólt.
Cerete Basso: i góss de Serét Bass.
Chignolo d’Isola: i cröste de Chignöl.
Chiuduno: i butunér de Ciüdü; anche i còi lóngh.
Cirano: i invidiùs de Scerà.
Cisano Bergamasco: i barbète de Cisà.
Ciserano: i caécc de Siserà.
Cividate al Piano: i oregiù de Siidàt.
Cividino: i frà de Siidì.
Clanezzo: i cìcia-tètole de Clenèss.
Clusone: i baradèi de Clüsù.
Colere: i duturèi de Còler; anche i patatì.
Cologno al Serio: i sanguanì de Cològn.
Colzate: i cam de Colgiàt.
Comenduno di Albino: i dópe de Comendü.
Comun Nuovo: i spana-làcc de Cümü Növ.
Cornalba: i àsegn de Cornalba.
Cornale: i sigladùr de Cornàl.
Cornalta: i bar de Cornólta.
Cornello dei Tasso: i marmitì del Cornèl.
Cortenuova: i cóngoi de Curt Nöa.
Corti di Costa Volpino: i sbògia-rane de Curcc.
Costa Imagna: i cìcia-pirù de la Còsta.
Costa Mezzate: i sòp de Mesàt; anche i pàssere.
Costa Serina: i patate de la Còsta.
Costa Volpino: i puditì de Ulpì.
Covo: i patatù de Cóv; anche i macc.
Credaro: i cortelér de Credér.
Crespi d’Adda: i sciabài de Crespi.
Cugno: i ciodaröi de Cögn.
Curnasco: i caalér de Cörnàsch.
Curno: i faró de Cüren.
Cusio: i càrpegn de Cüs.
Desenzano di Albino: i làder de Desensà.
Dezzo di Scalve: i ’nfrusnàcc del Dècc.
Dezzolo di Vilminore: i màrtor de Desöl.
Dorga: i sórech de Dórga.
Dossello di Albino: i scalfarècc del Dossèl.
Dossena: i macc de Dosséna; anche i baciòch.
Dosso di Scalve: i camóss del Dòss.
Dosso di Azzone: i fèra-galine del Dòss.
Endenna: i oselì de Endèna.
Endine: i scorgiöi de Ènden.
Entratico: i sgrignàpole de Entràdech.
Erve: i cavre de Val d’Èrv.
Esmate: i raèi de Smat.
Fara d’Adda: i spì de Fara.
Filago: i bortolì de Filàgh.
Fino del Monte: i bóce de Fì.
Fiobbio: i tètoi de Fiòbe.
Fiorano al Serio: i bèca-lècc de Fiorà.
Fiorine di Clusone: i schissù di Fiurine.
Fiumenero: i cà de Fömnégher.
Flaccanico: i furcàcc de Flacanìch.
Fontanella al Piano: i raìs amare de Fontanèla.
Fonteno: i gnòch de Fonté.
Foppolo: i manzöi de Fòpol.
Foresto Sparso: i tetù de Forèst.
Fornovo San Giovanni: i gacc de Fornöv.
Fraggio: i bèch de Fracc.
Frerola: i braghì de Freröla.
Fuipiano Imagna: i boassì de Foipià.
Ganda di Aviatico: i möcc de Ganda.
Gandellino: i spassacamì de Gandelì; anche i góss.
Gandino: i fiss de Gandì; anche i pumpùs.
Gandosso: i balòss de Gandòss.
Gavarno di Scanzo: i sachèi del Gaàren; anche i brinàcc de la colina del Gaàren.
Gavarno Sant’Antonio: i fuì de Gaàren.
Gaverina: i aocàcc de Gaerina; anche i sapièncc.
Gazzaniga: i òs-ce de Gagianiga.
Gerosa: i borlài de Gerusa.
Ghiaie di Bonate: i patatù di Gére; anche i madóne.
Ghisalba: i filandére de Ghisalba.
Gorlago: i spolverì de Gorlàgh; anche i spolverinér.
Gorle: i pùcia de Górel; anche i àrie.
Gorno: i lüf de Góren.
Grassobbio: i spelù de Grassòbe.
Grasso di Taleggio: i lüf de Grass.
Grignano di Brembate Sotto: i torèi de Grignà.
Gromlongo: i brentadùr de Gromlóngh.
Gromo San Giacomo: i bèch de Gróm; anche i spadér.
Gromo San Marino: i làder de Sóm Marì.
Grone: i codér de Gru.
Grumello del Monte: chèi de la resù de Grömèl.
Grumello de’ Zanchi: i fachì de Grömèl.
Isola di Fondra: i cavrér de Fóndra.
Lallio: i bìgoi de Lai.
Lantana: i bèca-rasa de Lantana.
Leffe: i coertì de Léf; anche i codeghì.
Lenna: i sbér de Lèna.
Lepreno: i gacc de Levré.
Levate: i rane de Leàt; anche i ranér.
Lizzola: i porsèi de Lissöla.
Locate: i lóch de Locàt.
Locatello: i baelòcc de Locadèl.
Lonno: i cruchi de Lòn.
Lorentino: i maia-fasöi de Lorentì.
Lovere: i polentì de Lùer; anche i paiaröi.
Lurano: i carnér de Lürà.
Luzzana: i gioanèi de Lössana.
Madone: i rane de Madù.
Malpaga: i maia-gnòch de Malpaga.
Mapello: i brögnöi de Mapèl.
Marne: i catìa carne de Marne.
Martinengo: i sassù de Martinèngh; anche i làder.
Medolago: i söpèrbe de Medolàgh; anche i sàcoi.
Meto di Vilminore: i menüssì de Mét.
Mezzoldo: i balabiócc de Mesólt.
Miragolo: i reloér de Miràguel.
Misano di Gera d’Adda: i garganèi de Misà.
Moio de’ Calvi: i macc del Mòi.
Molini di Colognola: i impustùr di Mülì.
Mologno: i macc de Mològn.
Monasterolo del Castello: i merdù de Monasteröl; anche i becù e i stropèi.
Monte di Nese: i gnoràncc de Mut de Nés.
Monti di Rogno: i tòr de Mucc.
Morengo: i söcòcc de Morèngh; anche i cópa-lüf.
Mornico al Serio: i forvesù de Mornìch.
Mozzanica: i lös de Mossànega.
Mozzo: i móssa-cüi de Móss.
Nasolino: i schissa-boàsse de Nasolì.
Nèmber: i bìgoi de Nèmber; anche i pùcia.
Nese: i massacà de Nés.
Nona di Scalve: i sima-làres de la Nóna.
Novazza: i cornàcc de Nvassa.
Novezio di Cerete: i remécc da Nés.
Olda: i brüstülìcc de Ólda.
Olera: i bocì de Oléra.
Oltre il Colle: i chissöi de Oltrelcòl.
Olmo al Brembo: i sendraröi de l’Úlem; anche i ciodaröi.
Oneta: i cròv de Önida.
Onore: i màrtor de l’Onùr.
Orbrembo: i ombrelér de Orbrèmb.
Orezzo: i cavrècc de Orèss.
Orio al Serio: i barbabèch de Öre.
Ornica: i bar de Örniga.
Osio Sopra: i brüs-cì de Öss Sura.
Osio Sotto: i saiòcc de Öss Sóta.
Ossanesga: i miseràbei de Ossanésga.
Pagazzano: i balabiócc de Pagassà.
Pagliaro: i paerane de Paér.
Paladina: i làa-pate de Paladina; anche i làa-bolète e i berechì.
Palazzago: i pighessì de Palassàgh.
Palosco: i bressà de Palósch.
Parre: i scarpinòcc de Par; anche i bagolér.
Parzanica: i castegnér de Parzanéga; anche i diàoi.
Pedrengo: i pèsta-pìer de Pedrèngh; anche i magnà.
Peghera: i pegheròcc de Peghéra.
Peia: i zzù de Pèa.
Petosino: i maia-ràe del Petusì.
Pezzolo di Scalve: i pursilì de Pessöl.
Pianezza di Vilminore: i bèch de Pianèssa.
Pianico: i strèpa-butù de Piènech.
Piano di Costa Volpino: i büli del Pià.
Piano di Gaverina: i slambròcc del Pià.
Piario: i ciodaröi de Piér.
Piazza Brembana: i sbér de Piassa; anche i stissù.
Piazzatorre: i bar de Piassatór; anche i bèch.
Piazzolo: i gacc de Piassöl.
Pizzino: i basa-mórcc de Pizzì.
Pognano: i gambarì de Pognà; anche i gàmber.
Ponte Nossa: i lösèrte de Nòssa.
Ponteranica: i sunì de Putranga; anche i barbète.
Ponte San Pietro: i gacc de Put.
Ponte Selva: i gaèi de la Sèlva.
Pontida: i spelì de Püntida.
Pontirolo Nuovo: i surcc de Pontiröl.
Poscante: i büli de Poscànt.
Pradalunga: i fasöi de Pradalónga; anche i coderòcc.
Pradella di Scalve: i gacc de Pradèla.
Predore: i maia-pessì de Predùr; anche i aocàcc.
Premolo: i burla-póm de Premöl.
Presezzo: i galècc de Presèss.
Prezzate di Mapello: i có de rösa de Presàt.
Pumenengo: chèi del còdice de Pümenèngh.
Qualino: i péla-fich de Qualì.
Ranica: i sapadùr de la Ranga.
Ranzanico: i gosatì de Ranzanìch.
Rigosa: i fasölér de Rigusa.
Ripa di Gromo: i bigù de la Ria; anche i galavrù.
Riva di Solto: i pissagì de Ria de Sólt.
Rogno: i ligòss de Rògn.
Romano Lombardo: i scatolòcc de Romà.
Ronco di Schilpario: i becassì del Ruch.
Roncobello: i santarèi de Roncobèl.
Roncola San Bernardo: i narsìs de la Róncola.
Rondinera di Rogno: i sciòr de la Rondinéra.
Rosciano: i tessàder de Rossà.
Rosciate: i brüsàcc del Rossàt.
Rossino: i rampì de Rossì.
Rota Imagna: i siöi de Röda; anche i baslotér.
Rova di Gazzaniga: i bóre de la Róa.
Rova di Piangaiano: i scuì de la Róa.
Rova di Scalve: i bèch de la Rua.
Rovetta: i gai de Roèta.
Sabbio di Dalmine: i teedèi de Sabe.
Sala di Calolziocorte: i codeghì de Sala.
San Felice al Lago: i àrabi di Figadèi; anche i borfadèi.
San Gallo: i tripinì de San Gal.
San Gervasio: i róba-danér de San Gervàs.
San Giovanni Bianco: i peladèi de San Gioàn; anche i spine.
San Gregorio di Cisano: i gacc de San Gregòre.
San Leone di Cenate: i melgassù de Senàt; anche i melgassècc.
San Lorenzo di Rovetta: i lüf de San Lorèns.
San Paolo d’Argon: i maròne de San Pól; anche i salta-fòss.
San Pellegrino Terme: i pelì de San Pelegrì; anche i aque.
San Simone di Valleve: i pipòcc de San Simù.
Santa Brigida: i bèch de Santa Brìgida.
Santa Croce: i tàcoi de Santa Crus.
Sant’Ambrogio di Cenate: i barbabèch de Sant Ambrös.
Sant’Andrea di Scalve: i fregaröi de Sant Andréa; anche i fenìi.
Sant’Antonio Abbandonato: i bandunàcc de Sant Antóne.
Sant’Egidio di Fontanella: i santificétur de Fontanèla.
Sant’Omobono Imagna: i bestemiù de Sant Imbù; anche i basgiotér.
San Vigilio di Rogno: i agle de San Vile.
Sarnico: i balarì de Sàrnech.
Scano al Brembo: i contì de Scà.
Scanzo: i ciochetù de Scans.
Schilpario: i curnagiù de Schilpér; anche i cornér.
Sedrina: i brinàcc de Sedrina; anche i móssa-cüi.
Selino Alto: i brüsàcc de San Giàcom.
Selino Basso: i impustùr de Selì Bass.
Sellere: i aocàcc de Sèler.
Selva di Zandobbio: i selvàdech de la Sèlva.
Selvino: i selvinèi de Selvì.
Semonte: i bröcc de Smut.
Seriate: i àsegn de Seriàt.
Serina: i ciodaröi de Serina.
Solto Collina: i bursù de Sólt.
Solza: i coleù de Sólsa.
Somasca: i sèmper in césa de Somasca.
Sombreno: i pontèla-mür de Bré.
Somendenna: i miserére de Somendèna.
Songavazzo: i botàss de Songaàss; anche i petàss.
Sorisole: i làder de Sürìsel; anche i rösse.
Sottochiesa: i pelandèi de Sót Césa.
Sotto il Monte: i barba de Sóta ’l Mut.
Sovere: i füsinér de Sóer; anche i sircòcc.
Spino al Brembo: i spì de Spì.
Spinone al Lago: i capòce de Spinù.
Spirano: i tópe de Spirà.
Stabello: i corér de Stàbel.
Stezzano: i spassa-polér de Stesà.
Strozza: i momà de Stròsa.
Suisio: i bessòcc de Süìs.
Tagliuno: i gàtole de Taü; anche i gambe mòle.
Tavernola Bergamasca: i teedèi de Taèrnola; anche i maia-pólver.
Telgate: i laciù de Telgàt.
Terno d’Isola: i salnitrér de Téren; anche i bagolér.
Teveno: i bösgiàder de Teé; anche i striù.
Tezzi di Gandellino: i góss di Tèss.
Torre Boldone: i angadùr de Tór.
Torre de’ Busi: i türnidùr de Tór.
Torre de’ Roveri: i tòr de Tór de Roér.
Trabuchello: i gognì de Treböchèl.
Trafficanti: i caneàss di Trafegàncc.
Trate: i salöch de Trat.
Trescore Balneario: i pèrsech de Trescùr; anche i ligurù.
Treviglio: i góss de Treì.
Treviolo: i barbabèch de Treviöl.
Ubiale: i mangia-fich de Öbiàl.
Urgnano: i fachì de Örgnà; anche i cìcia-canète.
Valbondione: i lüf de Bingiù (o de Bondiù).
Valcanale: i mastì de Valcanàl.
Valcava: i oregì de Alcàa.
Valgoglio: i taà de Valgòi.
Vallalta: i biligòcc de la Alóta.
Valleve: i rampì de Àl Léf.
Valmaggiore di Endine Gaiano: i invidiùs de Almagiùr.
Valmaggiore di Scalve: i fregaröi de Almagiùr; anche i góss.
Valnegra: i rampì de Alnigra.
Valpiana: i strachinàcc de Alpiana.
Valsecca: i sbalsanèi de Alsèca.
Valtorta: i ciodaröi de Altòrta; anche i aocàcc e i sapièncc.
Valzurio: i camóss de Alzöre.
Vedeseta: i spagnöi de Vedeséta.
Vercurago: i marinér de Ercüràgh.
Verdellino: i süchì de Erdelì.
Verdello: i balù de Erdèl; anche i màchine.
Vertova: i teedèi de Èrfa.
Viadanica: i bofècc de Viadànega.
Vidalengo: i palpa-mür de Vidalèngh.
Vigano San Martino: i cavre de Igà; anche i cavrècc e i contrabandér.
Vigolo: i góss de Vìgol; anche i fenilér.
Villa d’Adda: i scartesì de Éla; anche i barcù.
Villa d’Almè: i bernassì de Éla; anche i mangia-rane.
Villa di Serio: i lèncc de Éla; anche i ciapa-rane e i ribólda-plòch.
Villa d’Ogna: i podècc de Ògna; anche i gacc.
Villasola: i poarì de Éla.
Villongo: i malégn de Ilóngh.
Vilminore: i lüf de Ilminùr.
Zambla: i balöch de Zambla.
Zandobbio: i lapidèi de Zandòbe.
Zanica: i giopì de Sanga; anche i góss.
Zogno: i möi de Zògn.
Zorzino: i cornalì de Zorzì.
Zorzone: i cavrècc de Zurzù; anche i cavre.
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