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emozioni e cibo
Le trappole del corpo D.ssa Anna Popeo Psicologa – Psicoterapeuta IACP (Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona: “C. Rogers”) Specializzata nel trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare Via Tiso 10/A Camposampiero (PD) Cell. 3488538600 e-mail [email protected] Negli ultimi anni la preoccupazione per il corpo è diventata una mania della società. Siamo stati spinti a pensare, parlare, preoccuparci del nostro corpo. Domande e pensieri del tipo: “ho un bell’ aspetto?”, “sono abbastanza in forma?”, “sono abbastanza magra?”, “mi vedo grassa”, “non mi piaccio”, appartengono a tutti noi. Dal momento che ci sentiamo imperfetti passiamo un’enorme quantità di tempo, ogni giorno, a guardarci ed a preoccuparci del nostro aspetto. Passare così tanto tempo a preoccuparsi del proprio aspetto è legato al profondo significato psicologico che il corpo ha per ognuno di noi. Il corpo è il centro della nostra identità psicologica. Rappresenta ciò con cui siamo venuti al mondo e ciò che ci lasciamo dietro. I messaggi della mente passano attraverso il corpo e spesso il corpo è un messaggio. Noi comunichiamo attraverso il corpo e siamo il nostro corpo. L’immagine del corpo è fondamentale per capire chi siamo e, tuttavia, in una società in cui il corpo ha assunto troppa importanza e l’apparenza è diventata essenziale, abbiamo finito per restare intrappolati nel nostro corpo. L’immagine corporea L’immagine corporea è un’esperienza soggettiva. E’ l’immagine mentale che ci facciamo del nostro corpo, è inseparabile dal nostro stare al mondo. Ha un ruolo preminente nell’idea che ci facciamo di noi stessi. Questa idea è una struttura complessa che abbraccia non solo il nostro corpo, ma anche i ruoli sociali ed i rapporti interpersonali. Tutto ciò che altera la nostra immagine corporea altera profondamente l’immagine di noi stessi. Sono le percezioni che arrivano dal nostro corpo che determinano la formazione dell’immagine corporea. Dalla superficie del corpo ci arrivano le sensazioni tattili, termiche e dolorose. Dai muscoli, attraverso la pelle, ci arrivano le informazioni sensoriali, altre ci permettono di conoscere la nostra posizione nello spazio. Anche dagli organi interni ci arrivano delle sensazioni. Da tutte queste sensazioni, sparse e separate, sintetizziamo uno schema unitario e tridimensionale del nostro corpo: “lo schema corporeo”. L’immagine corporea è però labile e mutevole ed è oggetto di una continua ricomposizione, di variazioni momentanee o permanenti. Come accade ad “Alice nel paese delle meraviglie” la nostra immagine corporea si allunga, si dilata, si restringe, a volte si gonfia come un pallone, altre volte sembra compatta. Anche la localizzazione del peso e la percezione della densità del corpo variano facilmente. In certi momenti alcune parti del corpo ci possono sembrare estranee, mentre alcuni elementi esterni possono sembrare incorporati. Anche i vestiti contribuiscono alla variazione dell’immagine corporea. La percezione di noi stessi, il nostro modo di comportarci, è molto diverso a seconda che siamo vestiti o nudi, a piedi scalzi o calzati da stivali di cavallo, a testa scoperta o col cappello, vestiti elegantemente o in tuta da ginnastica. Anche le maschere, gli ornamenti, i gioielli modificano temporaneamente la nostra immagine corporea. Ci percepiamo in modo diverso quando siamo immobili da quando siamo in movimento Non siamo però solo esseri percettivi ma anche, e soprattutto, affettivi. Le nostre emozioni più forti sono quelle legate al nostro corpo, che è oggetto d’amore, ma che può anche trasformarsi in oggetto di odio se ci delude, se non è conforme alle nostre aspettative, se il divario fra il corpo che abbiamo e quello che vorremmo avere è troppo forte. Per cui le emozioni incidono sulla percezione dell’immagine corporea che cambia a seconda del nostro stato d’animo. Tendiamo a sentirci più piccoli quando viviamo un fallimento o siamo in presenza di un’autorità. Gli organi del corpo spesso vengono identificati con emozioni diverse: Il dolore ci spezza il cuore Non riusciamo a digerire un’offesa La rabbia ci rode il fegato I nostri organi interni danno la posizione e la dimensione dei nostri sentimenti. Le sensazioni del corpo accompagnano e intensificano questi sentimenti. Dal momento che viviamo gran parte delle nostre emozioni dentro e attraverso il corpo, talvolta è difficile distinguere tra quello che è il risultato transitorio delle nostre emozioni e quello è il nostro corpo permanente. Es. Ci è sempre stato ripetuto che la “rabbia è brutta”, per cui quando sperimento la rabbia ci sentiamo brutti. In realtà possiamo essere brutti temporaneamente perché il nostro viso è alterato, ma il nostro corpo non è cambiato. Quello che, invece, sentiamo è che il nistroo corpo cambia con i nostri sentimenti. E’ difficile mantenere una percezione costante della propria immagine corporea, quando questa cambia a seconda delle situazioni e delle emozioni. Dal momento che l’umore influenza molto l’immagine corporea, spesso c’è poca connessione fra l’essere attraenti e il pensare di esserlo. EMOZIONI E CIBO Spesso l’alimentazione è legata a determinate situazioni emotive e poche persone considerano il mangiare soltanto come un mezzo di nutrimento. Mangiare è un’attività che di norma assorbe una notevole quantità di tempo, i pasti sono punti di riferimento importanti della nostra giornata. Socializziamo e festeggiamo attraverso il cibo. Il cibo è parte dei rituali religiosi. Tutti noi abbiamo forti passioni nei confronti degli alimenti che ci piacciono o non ci piacciono. Tutto questo fa si che nessuno riesca ad essere del tutto distaccato od emotivamente indifferente al cibo. Le emozioni finiscono per costituire una parte di ogni normale esperienza umana e giocano un ruolo importante nella maggior parte dei casi di obesità e dei disturbi alimentari. E’ facile che la fame si confonda con le emozioni ed il cibo venga utilizzato per far fronte alle difficoltà della vita ed allo stress quotidiano. Mangiare è un modo per anestetizzare i sentimenti negativi (angoscia, depressione,rabbia, noia, solitudine) che le difficoltà suscitano. E’ una strategia di adattamento alle situazioni problematiche. Spesso si mangia in modo compulsivo, perché ci si sente incapaci di affrontare le emozioni troppo violente, si mangia anziché dar sfogo al dolore, alla rabbia, alla gioia. Abbiamo imparato che mangiando riusciamo a ridurre uno stato di malessere e tendiamo a ripetere questo comportamento ogni volta che ci troviamo in una situazione di stress, di ansia, di tristezza. Questo determina, a lungo andare, la difficoltà a distinguere le sensazioni corporee dalle reazioni emotive. La capacità di riconoscere sensazioni corporee quali la “fame”, che corrisponde ad un bisogno fondamentale dell’organismo, è propria dell’uomo ma per distinguerle in modo adeguato è necessario aver imparato ad ascoltarsi ed a rispettare i propri bisogni. Hilde Bruch afferma che quando una madre è attenta alle necessità del bambino, dà cibo in risposta ai segnali, in generale il pianto, di bisogno nutritivo del bambino. Questo permette, in genere, lo sviluppo della sensazione di fame come un’idea distinta e differente da altri bisogni o sensazioni. Se la reazione materna è però inappropriata per noncuranza, troppa sollecitudine, permissività, il bambino sviluppa un senso di confusione che quando sarà adulto non gli permetterà di distinguere tra l’essere affamato o sazio da altre sensazioni sia piacevoli che spiacevoli. Per Carl Rogers il comportamento dell’uomo è dominato dal bisogno di “considerazione positiva”, ossia la ricerca di amore e di accettazione positiva incondizionata da parte delle persone significative, e da una tendenza attualizzante:<<una fonte centrale di energia>>, che non si esprime liberamente ma dipende dalle condizioni ambientali in cui la persona vive, dal modo in cui percepisce se stesso, dalla sua visione e valutazione di sé. Il bisogno di considerazione positiva e la tendenza attualizzante convivono ma il primo è più forte. Per cui se l’ambiente in cui il bambino vive non è facilitante, il bambino non tenterà le esperienze necessarie alla sua autorealizzazione, ma si limiterà alla ricerca del consenso e dell’amore dei genitori. Il modo in cui il bambino ha gestito la sua necessità di autorealizzarsi e la considerazione positiva ricevuta influirà sul suo comportamento adulto ed il bisogno di considerazione positiva diventerà bisogno di autostima Chi ha dovuto rinunciare alla realizzazione per ottenere l’amore dei genitori, dipenderà dall’esterno e non riuscirà a costituire una buona considerazione di sé (autostima). Chi ha potuto realizzarsi ottenendo anche amore e considerazione dagli altri avrà la possibilità di costituirsi una buona stima e tenderà ad autorealizzarsi.