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Presentazione di PowerPoint
Accademia Alfonsiana
Anno accademico 2003-2004
Le sfide della medicina
contemporanea
Corso di bioetica teologica
Prof. Maurizio Pietro Faggioni
Capitolo terzo: il neonato anencefalo
Anencefalia: dati bio-medici

È una malformazione congenita che consiste nell’assenza di
sviluppo degli emisferi cerebrali, mentre è invece regolarmente
presente il tronco cerebrale, la struttura encefalica che presiede
alle più importanti funzioni della vita vegetativa.

Nonostante il nome significhi “senza l’encefalo”, in questa condizione non manca l’encefalo in toto, ma la sua parte più nobile, il
cervello, ritenuto sede delle funzioni più tipicamente umane.

Incidenza della patologia: varia da 0,3 a 7 per mille nascite e
colpisce nel 70% dei casi soggetti di sesso femminile.

Le cause non sono ben note, ma si prospetta una certa
eterogeneità eziologica: un fatto infettivo durante l’embriogenesi;
carenza microelementi (zinco, rame) o di acido folico e vitamine
del gruppo B nella gestante; base genetica.
Immagini ecografiche
10 settimane
2° trimestre
Anencefalia: dati bio-medici

La noxa teratogena agisce nel corso delle prime fasi della
embriogenesi del sistema nervoso centrale.

Ricordiamo che a partire dal 15° giorno di vita si nota sulla linea
mediana del corpo dell’embrione un ispessimento, detto placca
neurale, che dopo qualche giorno si invagina per dare il solco
neurale; il solco neurale evolve nel tubo neurale attraverso un
processo di chiusura che inizia al centro del solco e si propaga
verso le due estremità.

La chiusura dell’estremità craniale si completa entro il 25° giorno
e quella dell’estremità caudale entro il 27° giorno. Dalla fine della
3a settimana si evidenzia nell’estremità craniale del tubo neurale
un ispessimento che, a partire dalla 4a settimana, si slarga nelle
tre vescicole cerebrali che daranno origine alle strutture encefaliche, mentre darà origine al midollo spinale.
Anencefalia: dati bio-medici

Se fra il 15° e il 21° giorno di gravidanza il tubo neurale non si
chiude completamente, abbiamo malformazioni a carico del
sistema nervoso e a carico dei tessuti che lo sovrastano, con
possibile esposizione di tessuto nervoso in superficie.

Se la mancata chiusura è a carico del midollo spinale si ha la
spina bifida, mentre se è a carico della regione cefalica o
vescicolare si ha l’anencefalia.

Nell’ambito della anecefalia sono riconosciute molte varianti,
sulla cui classificazione non esiste unanimità fra i teratologi.

La forma più comune e anche la più tipica è l’anencefalia meroacranica, caratterizzata da assenza delle ossa craniche, dal
cervello ridotto a una massa di tessuto degenerato esposto in
superficie, da uno sviluppo pressoché normale delle strutture
troncoencefaliche.
Sviluppo
del tubo neurale
16 giorni – 1,5 mm
23-24 giorni – 3,5 mm
20 giorni – 2 mm
22 giorni – 3 mm
Immagini
fotografiche
Neonato con acrania, anencefalia,
rachischisi e mieloschisi.

Immagini
fotografiche
Anencefalia: dati bio-medici

La faccia ha un aspetto caratteristico: gli occhi sporgono al di
fuori, il collo è assente e le superfici della faccia e del petto
formano un piano quasi continuo.

Si associano spesso fatti malformativi a carico di altri organi,
soprattutto a carico dei reni e delle vie urinarie (10-12% dei casi)
e a carico del sistema cardiovascolare (5-8% dei casi).

Vanno distinte dalla anencefalia altre malformazioni a carico del
SNC quali l’encefalocele, associato o no a microcefalia, l’idranencefalo e la sindrome della banda amniotica.

La sopravvivenza dell’anencefalo è breve: dal 55 al 75% dei feti
muore in utero; di quelli che nascono vivi, spesso prematuri, il
40% sopravvive più di 24 ore; il 35% arriva fino al 3° giorno e
solo il 5% al 7°; sopravvivenze più lunghe sono eccezionali.
Anencefalia: dati bio-medici

La funzionalità del tronco dell’encefalo spiega la presenza della
respirazione spontanea e di molteplici attività a prevalente base
riflessa, come la suzione, la deglutizione, la reazione agli stimoli
gustativi, la retrazione degli arti per stimoli dolorifici, il pianto e
addirittura il sorriso.

Noi non sappiamo esattamente se e a quale livello un neonato
anencefalico possa sviluppare barlumi di vita di relazione e di
incipiente autocoscienza, ma si può ipotizzare che esista una
qualche possibilità di percezione sensoriale e di reazione agli
stimoli legata alle strutture nervose residue che subentrano a
vicariare certe funzioni più elementari del telencefalo mancante.

Con terapia intensiva è possibile prolungare la vita dell’anencefalo, in vista dell’espianto di organi, ma questa pratica suscita
non poche perplessità dal punto di vista etico.
Statuto ontologico ed etico
dell’anencefalo

Gli antichi moralisti si erano interrogati sulla qualità umana e personale dell’anencefalo, in vista del riconoscimento di un soggetto
idoneo per il battesimo, e avevano concluso affermativamente.

Seguendo l’impostazione classica del Diritto romano, l’elemento
decisivo per l’attribuzione alla specie umana di un nato da donna
fisicamente abnorme era costituito dalla presenza di una forma
corporis umana e in particolare dall’aspetto del volto, quale parte
principale e imago della persona. L’anencefalo benché mostruoso era considerato persona.

Le evidenze biologiche conducono a riconoscere nell’anencefalo
una presenza umana in senso forte, cioè personale: è un
individuo della specie umana, frutto di una generazione umana,
diretto fin dal concepimento da una teleologia intrinseca che lo
ha condotto a una maturazione avanzata, anche se imperfetta.
Statuto ontologico ed etico
dell’anencefalo



Per chi riconosca la sacralità e •il valore incomparabile di ogni
vita umana in qualunque stadio e forma, la certezza che anche
l’anencefalo sia una creatura umana conduce ad assumere nei
suoi confronti un atteggiamento di rispetto e di cura analogo a
quello che si avrebbe con qualunque altro feto e neonato.
Chi ritiene che il valore della vita umana sia una grandezza che
ammette plus e minus, in base a criteri di funzionalità ed efficienza (come nel personalismo attualistico), anche se deve riconoscere l’identità umana dell’anencefalo, ritiene di solito che la
qualità di vita dell’anencefalo sia così scadente da non meritargli
una tutela piena ed un rispetto incondizionato.
H.T. Engelhardt definisce la persona attraverso l’autocoscienza,
la autonomia, la razionalità, il possesso del senso morale, e perciò alcuni esseri umani, come gli idioti, gli embrioni, i pazienti in
coma irreversibile, non sono persone.
Statuto ontologico ed etico
dell’anencefalo

Nel contesto di una impostazione sensista (autori di ispirazione
utilitarista come P. Singer) il problema più rilevante sarà invece
quello di stabilire se l’anencefalo sia in grado o meno di provare
dolore. Mancando del substrato neurologico necessario per percepire dolore in modo consapevole, l’anencefalo non può sentire
dolore nel senso in cui lo intendiamo noi. Le reazioni agli stimoli,
che non di rado sono presenti, sono ricondotte a riflessi spinali e
si nega che le strutture nervose troncoencefaliche possano elaborare a qualche livello la sensazione dolorosa. Il neonato anencefalo non appare quindi meritevole di tutela.

La diversa considerazione dello statuto etico dell’anencefalo
condiziona, come è ovvio, i nostri comportamenti per quanto
riguarda le terapie da fornirgli o l’espianto di organi o la possibilità di interrompere la gravidanza con l’aborto.
L’anencefalo come donatore di organi

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La difficoltà di reperire piccoli organi da utilizzare per il trapianto
nei bambini ha suggerito dagli anni ‘60 la possibilità di ricorrere
all’espianto di organi (reni, fegato e cuore) dagli anencefali.
L’espianto sembra più facile dal punto di vista organizzativo
perché si tratta di soggetti la cui morte, se non è programmabile,
è almeno prevedibile con buona approssimazione e ciò permette
di chiedere il consenso ai genitori per tempo e in condizioni
emotivamente meno drammatiche di quelle che si hanno nella
morte improvvisa di un neonato.
Calcolando una frequenza media di 1 caso ogni 1800 nascite, si
è affermato che con questi donatori si potrebbe coprire il 90% del
fabbisogno di organi in area pediatrica, anche se solo una parte
degli anencefali può diventare donatore per la frequente immaturità degli organi dovuta alla prematuranza (53-58%) e per
l’elevata incidenza di malformazioni associate a quella di base.
L’anencefalo come donatore di organi
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Con il problema dell’espianto di organi è connessa la questione
dell’accertamento della morte e del tipo di cure, specie rianimatorie, che si debbono o che si possono lecitamente prestare.
L’accertamento della morte dell’anencefalo può essere fatto constatando l’arresto cardio-respiratorio, ma le esigenze dei trapianti
hanno suggerito di sottoporre il neonato a pratiche rianimatorie
immediatamente dopo il parto o ai primi segni di scompenso
cardio-respiratorio così da evitare l’arresto cardiaco e mantenere
organi e tessuti in buone condizioni metaboliche.
In regime rianimatorio l’accertamento della morte deve essere
condotto ricercando i segni della morte cerebrale (brain death),
che si identifica sostanzialmente con la perdita irreversibile di
tutte le funzioni dell’encefalo, sia del cervello sia troncoencefalo.
Si può subito intuire che i criteri usualmente impiegati nel
neonato anencefalo risultano di difficile applicazione.
L’anencefalo come donatore di organi

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Nel protocollo per accertare la morte cerebrale approvato dal
Center for Christian Bioethics della Loma Linda University
nel 1987 si omettono la registrazione dell’elettroencefalogramma
e il rilievo del flusso cerebrale, per l’assenza o l’inadeguatezza
del substrato anatomico, e la morte cerebrale viene determinata
rilevando l’assenza dei riflessi troncoencefalici e il prolungarsi
dell’apnea per almeno 24 ore.
L’esperienza ha dimostrato che anche questi due criteri possono
essere di difficile accertamento o diventare ingannevoli perché il
rilievo della scomparsa dei riflessi troncoencefalici vale soltanto
se essi erano stati presenti in precedenza, evento che non sempre si verifica, essendo frequenti le anomalie dei nervi cranici, e
non è agevole stabilire rapidamente la diagnosi di irreversibilità
delle lesioni del tronco encefalico nell’anencefalo, essendo possibile il superamento spontaneo dell’apnea anche dopo ore.
L’anencefalo come donatore di organi


Sintetizzando l’esperienza di molti centri e facendo il punto sulla
questione, la Medical Task Force on Anencephaly ha concluso:
«La diagnosi di morte del troncoencefalo dipende dalla scomparsa di funzioni preesistenti del tronco stesso, inclusa la perdita
per un periodo di osservazione di almeno 48 ore di una funzione
misurabile dei nervi cranici e di movimenti spontanei, e positività
di un test per l’apnea ... Con i metodi correntemente disponibili e
specialmente in presenza di anomalie di occhio e orecchio, può
non essere possibile determinare la morte in alcuni neonati con
anencefalia sulla base dei soli criteri neurologici».
L’applicazione rigorosa delle condizioni standard per l’accertamento della morte cerebrale rende più difficile le procedure di
espianto degli organi; inoltre si è constatato che i neonati anencefali sottoposti a terapia intensiva sopravvivono più a lungo e
questo porta ad un inevitabile deterioramento degli organi.
L’anencefalo come donatore di organi


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Perciò, per rendere più agevole e più veloce l’accertamento della
morte dei neonati anencefali ed avere a disposizione un buon
numero di organi adatti all’espianto, sono state proposte diverse
correzioni ai criteri di morte cerebrale applicati agli anencefali.
Alcuni autori negando la validità del criterio whole-brain death e
sostituendolo con quello della upper-brain death, sono giunti alla
conclusione che l’anencefalo sarebbe un non vivente anche se le
sue funzioni vegetative sono virtualmente integre: egli non esiste, né mai è esistito come persona;è un soggetto brain-absent,
da equipararsi un brain-dead.
L’introduzione di questi criteri comporta conseguenze gravissime: anche i bambini con gravi anomalie a carico del SNC, gli
anziani con il morbo di Alzheimer, i soggetti in SVP e chiunque
non risponda a questi nuovi standard sommamente restrittivi
sono da considerarsi clinicamente morti.
L’anencefalo come donatore di organi
«The arguments that anencephalic infants have no brains, are
not persons, or are already dead have other flaws. For legal
purposes, anencephalic infants cannot logically or accurately
been distinguished from other infants with severe intracranial
anomalies or abnormalities or from childrem or adults in a
persistent vegetative state. Changing the laws to accommodate
the anencephalic infant, however noble the purpose, would
inappropriately jeopardize many others».
MEDEARIS D. N., HOLMES L. B., On the use of anencephalic infants as organ donors,
"The New England Journal of Medicine", 321 (1989), 391-393.

Altri autori sono partiti dall’assunto che un soggetto è morto
quando si trova in una condizione caratterizzata da assenza di
funzioni integrative encefaliche così che la morte sia di regola
imminente. Questa definizione si applicherebbe solo ai soggetti
la cui morte è stata accertata con criteri neurologici e ai neonati
anencefali, mentre ne resterebbero esclusi i pazienti in SVP.
L’anencefalo come donatore di organi

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Una volta posta la diagnosi di anencefalia si conclude che quel
neonato non è vivo.
«La nostra proposta afferma che il bambino anencefalico non è
vivo (is not alive) ed elimina ogni problema riguardo alla terapia
intensiva... La nostra proposta riconosce che il concetto di morte
cerebrale (brain death) non è utile in questo contesto e perciò
evita confusione nell’applicarne i criteri. Dal punto di vista medico, la qualità degli organi vitali probabilmente soffre mentre essi
sono mantenuti con sostegno artificiale. La nostra proposta massimizzerebbe la qualità potenziale degli organi degli anencefali
propugnando la loro rimozione non appena la diagnosi è confermata. Il protocollo di Loma Linda ha fruttato solo due fonti di organi su 12 candidati. Se la nostra proposta fosse stata accettata,
tutti e 12 sarebbero stati potenziali fonti di organi».
TRUOG R.D., FLETCHER J. C., Can Organs Be Transplanted before Brain Death?,
"The New England Journal of Medicine", 321 (1989), 388-390.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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La possibilità di usare gli organi dell’anencefalo per il trapianto e
la necessità di mantenerli in buone condizioni metaboliche in
vista dell’espianto portano nuovi elementi di complessità nel
tema dell’assistenza medica all’anencefalo.
Quando l’anencefalo non era ancora stato individuato come una
potenziale fonte di organi da espianto, la questione etica
principale era se e come assistere queste creature.
L’atteggiamento terapeutico più comune è quello di
somministrare le cure ordinarie (calore, nutrizione, idratazione) in
attesa che intervenga naturalmente la morte.
Questa prassi è ineccepibile dal punto di vista etico dal momento
che fornire più delle cure ordinarie potrebbe facilmente scivolare
nell’accanimento terapeutico, per cui sembra ingiusto avvicinarla
in qualsiasi modo alla prassi aberrante e sempre più diffusa della
eutanasia neonatale o eugenetica.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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Questa pratica corretta dipende dal fatto che si è certi che
l’anencefalo, nonostante le cure, morirà in pochi giorni e non
costituirà più un peso per la famiglia e per la società.
Ma che cosa accadrebbe se un neonato ancencefalico, sfidando
la sua prognosi, sopravvivesse per settimane, mesi, anni?
Non si tratta di una ipotesi accademica, ma del caso di Baby K:
una bimba anencefalica che la madre decise di tenere, nonostante i medici la consigliassero di abortire: nata in USA il 13
ottobre 1992, subito dopo il parto cesareo ebbe bisogno di ventilazione meccanica. Dopo pochi giorni, i medici fecero pressioni
sulla madre perché acconsentisse a interrompere la ventilazione,
ritenendola “medicalmente inappropriata”. La madre rifiutò e,
quando la bimba ebbe 40 giorni, poté condurla a casa e tenerla
senza supporto respiratorio sino al 12 febbraio 1993, quando la
piccola dovette essere ricoverata per problemi respiratori.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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Di fronte al ripetersi delle emergenze mediche e al protrarsi di interventi ritenuti inappropriati, l’Ospedale ricorse alla Corte Federale per legittimare il rifiuto di continuare questi interventi contro
l’ostinazione della madre. La Corte d’Appello sentenziò che, nonostante lo standard prevalente di cura medica per i bimbi con
anencefalia consista nel provvedere calore, nutrizione e idratazione, non si può negare all’anencefalo, come ad altri soggetti
che ne abbiano bisogno, il trattamento ventilatorio artificiale. Nel
maggio 1994 la bimba era ancora viva, superando di gran lunga
la durata massima di vita di un anencefalo finora registrata.
Può restare il dubbio se si tratti di un disumano accanimento
terapeutico causato dall’ostinazione di una madre o di trattamenti
terapeutici non comuni con gli anencefali, ma in sé non straordinari e sufficienti per sostenere una fragile esistenza altrimenti
destinata a perire rapidamente.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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La nostra concezione della vita umana e del suo valore altissimo,
anche se non assoluto, ci impone di escludere l’eutanasia neonatale sia attiva (commissiva) sia passiva (omissiva) così come
l’accanimento terapeutico, e ci porta invece a esigere che ad
ogni neonato, anche quello destinato a vita breve, siano fornite le
cure ordinarie ed eventualmente quelle cure che si ritengono
proporzionate alla sua situazione clinica concreta.
Dove esistono programmi per l’uso di anencefali come donatori
si è molto interessati a mantere gli organi in condizioni ottimali
per l’espianto fino alla constatazione della morte, per cui ciò che
verrebbe comunemente considerato un discutibile accanimento,
tende a diventare un pattern di comportamento corretto.
Alcuni Centri praticano la rianimazione dell’anencefalo e la prolungano fino alla scomparsa dell’attività del tronco dell’encefalo:
sembra così che si configuri un vero e proprio accanimento.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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Si verificano le condizioni dell’accanimento terapeutico: l’inutilità
delle cure prestate e la dannosità di esse per il paziente. «L’intervento rianimatorio, fatto su un individuo vivente anencefalo, non
ha alcuna giustificazione terapeutica; questo intervento può
produrre invece un’ulteriore sofferenza del neonato quantunque
si dica (ma chi lo ha dimostrato?) che l’anencefalo per la sua
stessa anomalia non soffrirebbe».
SPAGNOLO A. G., SGRECCIA E.
Il protocollo di Loma Linda poneva come limite massimo alla
terapia rianimatoria 7 giorni, una sorta di compromesso.
Siamo, però, di fronte ad una forma di strumentalizzazione della
persona, trasformata in una banca di organi: la rianimazione è
finalizzata solo al mantenimento in buone condizioni degli organi
da espiantare. In alcuni Centri, il supporto vitale viene sospeso in
attesa della morte del tronco dell’encefalo, in pratica pilotando il
momento del decesso.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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Partendo dal concetto di persona in senso sociale di H. T.
Engelhardt, Nancy Jecker del dipartimento di Storia della Medicina di Washington, argomenta che l’anencefalo non ha fini propri,
ma i suoi fini sono tutt’uno con quelli dei genitori: se essi accettano l’anencefalo al fine di donare gli organi, ne segue che questo
costituisce il fine dell’anencefalo come persona sociale. Praticare
cure solo in vista dell’espianto non sarebbe una strumentalizzazione, ma il realizzarsi del fine della loro esistenza.
Questi ragionamenti sottili e un po’ capziosi sono inaccettabili
perché negano la fondazione ontologica della persona e la riducono a puro funzionalismo, svuotandone la consistenza in un
sistema di prestazioni, di attese e di relazioni.
Si presentano a questo punto solo due possibili approcci medici
che salvaguardano tanto la dignità e l’inviolabilità personale
dell’anencefalo, quanto l’urgenza di reperire organi per i trapianti.
L’anencefalo
fra abbandono e accanimento
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Alcuni propongono di seguire il neonato con le sole cure ordinarie fino a quando non compaiono i primi segni di scompenso
organico (bradicardia, difficoltà respiratorie) e solo a questo
punto iniziare la rianimazione e attendere la morte del tronco
dell’encefalo (secondo gruppo di Loma Linda).
Sgreccia e Carrasco de Paula, preoccupati di evitare qualsiasi
strumentalizzazione dell’anencefalo, propongono di praticare le
sole cure ordinarie fino all’arresto cardio-respiratorio e solo a
questo punto espiantare.
In entrambi i casi gli organi subiscono un deterioramento e nel
secondo è preclusa anche la possibilità di espianto cardiaco.
La difficoltà di accertare la avvenuta morte cerebrale insieme al
problema di mantenere in buono stato gli organi senza strumentalizzarlo, rendono molto difficile il ricorso all’anencefalo come
donatore di organi, tranne alcune eccezioni
Diagnosi prenatale e parto pre-termine

Attualmente la diagnosi di anencefalia può essere posta molti
mesi prima della nascita sia attraverso i consueti esami ecografici, sia dosando particolari sostanze nel sangue materno o nel
liquido amniotico (in particolare alpha feto proteina).
Immagini ecografiche
10 settimane
2° trimestre
Diagnosi prenatale e parto pre-termine

Attualmente la diagnosi di anencefalia può essere posta molti
mesi prima della nascita sia attraverso i consueti esami ecografici, sia dosando particolari sostanze nel sangue materno o nel
liquido amniotico (in particolare alpha feto proteina).

Una volta posta la diagnosi, si prospetta da parte di molti la
possibilità di un aborto eugenetico, essendone comunemente
ammessa dalla bioetica laica la liceità e talvolta l’obbligatorietà:
«Le pretese sul diritto di sopravvivenza biologica sono del tutto
dipendenti dalla capacità che l’individuo in questione ha di
costruirsi, con l’aiuto di altri, una vita umana. Ciò significa che in
situazioni nelle quali non esiste la possibilità di alcun avvicinamento ad una vita davvero umana (a truly human life), il diritto
alla sussistenza biologica o fisica perde la sua raison d’être e
quindi quella pietosa soppressione (termination) della vita, in
senso biofisico è accettabile, forse anche obbligatoria». AIKEN H.D.
Diagnosi prenatale e parto pre-termine

Per diritto naturale la soppressione diretta di un embrione o di un
feto, anche se malformati, è illecita perché il valore della vita di
una creatura umana non dipende dalle sue prestazioni attuali o
potenziali o dal suo rispondere o meno a standard di qualità
umana, ma dal fatto che essa si trova sin dal suo sorgere in
rapporto personale e costitutivo con Dio.
«Accade non poche volte che queste tecniche [di diagnosi prenatale] siano messe al servizio di una mentalità eugenetica, che
accetta l’aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini
affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è ignominiosa
e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il valore di
una vita umana soltanto secondo parametri di normalità e di
benessere fisico, aprendo così la strada alla legittimazione
dell’infanticidio e ell’eutanasia».
Evangelium Vitae, n. 63.
Diagnosi prenatale e parto pre-termine

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Alcuni autori hanno sostenuto la liceità dell’induzione di parto alla
24a-26a settimana di gravidanza, in modo da evitare alla madre
gli ultimi penosissimi 3 mesi di gravidanza.
Anche N. Ford giustifica questa scelta a condizione che:
1. sia certa la presenza di un feto anencefalo;
2. la richiesta parta dalla madre per le proprie reazioni emotive;
3. le tecniche usate per indurre il parto non siano nocive per il feto,
la cui morte può avvenire solo come effetto non direttamente
voluto (duplice effetto);
4. l’induzione avvenga in un’epoca in cui le prospettive di vita del
feto siano analoghe a quelle che avrebbe avuto a termine;
5. il neonato anencefalico riceva le cure ordinarie (idratazione e
alimentazione);
6. sia curata un’adeguata informazione del pubblico perché non si
confonda questa induzione pretermine con un aborto, specie se
effettuata in ospedali cattolici.
Diagnosi prenatale e parto pre-termine
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Altri non vedono ostacoli etici nell’indurre il parto a partire dalla
16a settimana, purché l’induzione consenta la nascita del
bambino vivo.
«È evidente la contraddittorietà di una tale posizione che non
intenderebbe ricercare direttamente la morte del feto anencefalico, ma che di fatto giustifica un intervento che, anticipando
l’evento naturale del parto, anticipa la morte stessa del feto
malformato».
A.G. SPAGNOLO in Medicina e Morale 42 (1992) 589-591.
Anche se la tradizione bioetica cattolica tende a ritenere lecito
l’anticipo del parto quando il proseguimento della gravidanza
comporterebbe pericolo di vita per la madre o per il feto (DS
3336-3338) qui siamo in una situazione ben diversa perché né la
madre né il feto sono in pericolo e, dal momento che l’aspettativa
di vita per il feto anencefalico è maggiore nell’utero materno che
non fuori, inducendo il parto si abbrevia la vita dell’anencefalo.
Diagnosi prenatale e parto pre-termine
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L’unico motivo valido per correre il rischio di anticipare il parto
sarebbe un grave e reale pericolo per la sopravvivenza del
bambino qualora la gravidanza proseguisse.
Non sono invece accettabili le motivazioni ispirate alla più pura
logica utilitarista: il timore di un danno per l’equilibrio psichico
della madre e il pericolo che la morte prenatale del feto faccia
perdere una preziosa fonte di organi.
La cautela nel trattamento degli anencefali e un certo tuziorismo
rigoroso sono dettati dalla prospettiva propria della bioetica cattolica, che riconosce il valore altissimo di ogni persona per il solo
fatto di esistere nella relazione costitutiva e fondante con Dio.
Rispettare la persona quando l’emotività o l’egoismo porterebbero a dire il contrario, significa accettare il mistero che ci supera,
perché ogni persona affonda le sue radici nel mistero dell’esistenza e testimoniare che ai nostri occhi ogni vita umana è sacra.
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