Comments
Description
Transcript
Presentazione di PowerPoint
Accademia Alfonsiana Anno accademico 2003-2004 Le sfide della medicina contemporanea Corso di bioetica teologica Prof. Maurizio Pietro Faggioni Capitolo terzo: il neonato anencefalo Anencefalia: dati bio-medici È una malformazione congenita che consiste nell’assenza di sviluppo degli emisferi cerebrali, mentre è invece regolarmente presente il tronco cerebrale, la struttura encefalica che presiede alle più importanti funzioni della vita vegetativa. Nonostante il nome significhi “senza l’encefalo”, in questa condizione non manca l’encefalo in toto, ma la sua parte più nobile, il cervello, ritenuto sede delle funzioni più tipicamente umane. Incidenza della patologia: varia da 0,3 a 7 per mille nascite e colpisce nel 70% dei casi soggetti di sesso femminile. Le cause non sono ben note, ma si prospetta una certa eterogeneità eziologica: un fatto infettivo durante l’embriogenesi; carenza microelementi (zinco, rame) o di acido folico e vitamine del gruppo B nella gestante; base genetica. Immagini ecografiche 10 settimane 2° trimestre Anencefalia: dati bio-medici La noxa teratogena agisce nel corso delle prime fasi della embriogenesi del sistema nervoso centrale. Ricordiamo che a partire dal 15° giorno di vita si nota sulla linea mediana del corpo dell’embrione un ispessimento, detto placca neurale, che dopo qualche giorno si invagina per dare il solco neurale; il solco neurale evolve nel tubo neurale attraverso un processo di chiusura che inizia al centro del solco e si propaga verso le due estremità. La chiusura dell’estremità craniale si completa entro il 25° giorno e quella dell’estremità caudale entro il 27° giorno. Dalla fine della 3a settimana si evidenzia nell’estremità craniale del tubo neurale un ispessimento che, a partire dalla 4a settimana, si slarga nelle tre vescicole cerebrali che daranno origine alle strutture encefaliche, mentre darà origine al midollo spinale. Anencefalia: dati bio-medici Se fra il 15° e il 21° giorno di gravidanza il tubo neurale non si chiude completamente, abbiamo malformazioni a carico del sistema nervoso e a carico dei tessuti che lo sovrastano, con possibile esposizione di tessuto nervoso in superficie. Se la mancata chiusura è a carico del midollo spinale si ha la spina bifida, mentre se è a carico della regione cefalica o vescicolare si ha l’anencefalia. Nell’ambito della anecefalia sono riconosciute molte varianti, sulla cui classificazione non esiste unanimità fra i teratologi. La forma più comune e anche la più tipica è l’anencefalia meroacranica, caratterizzata da assenza delle ossa craniche, dal cervello ridotto a una massa di tessuto degenerato esposto in superficie, da uno sviluppo pressoché normale delle strutture troncoencefaliche. Sviluppo del tubo neurale 16 giorni – 1,5 mm 23-24 giorni – 3,5 mm 20 giorni – 2 mm 22 giorni – 3 mm Immagini fotografiche Neonato con acrania, anencefalia, rachischisi e mieloschisi. Immagini fotografiche Anencefalia: dati bio-medici La faccia ha un aspetto caratteristico: gli occhi sporgono al di fuori, il collo è assente e le superfici della faccia e del petto formano un piano quasi continuo. Si associano spesso fatti malformativi a carico di altri organi, soprattutto a carico dei reni e delle vie urinarie (10-12% dei casi) e a carico del sistema cardiovascolare (5-8% dei casi). Vanno distinte dalla anencefalia altre malformazioni a carico del SNC quali l’encefalocele, associato o no a microcefalia, l’idranencefalo e la sindrome della banda amniotica. La sopravvivenza dell’anencefalo è breve: dal 55 al 75% dei feti muore in utero; di quelli che nascono vivi, spesso prematuri, il 40% sopravvive più di 24 ore; il 35% arriva fino al 3° giorno e solo il 5% al 7°; sopravvivenze più lunghe sono eccezionali. Anencefalia: dati bio-medici La funzionalità del tronco dell’encefalo spiega la presenza della respirazione spontanea e di molteplici attività a prevalente base riflessa, come la suzione, la deglutizione, la reazione agli stimoli gustativi, la retrazione degli arti per stimoli dolorifici, il pianto e addirittura il sorriso. Noi non sappiamo esattamente se e a quale livello un neonato anencefalico possa sviluppare barlumi di vita di relazione e di incipiente autocoscienza, ma si può ipotizzare che esista una qualche possibilità di percezione sensoriale e di reazione agli stimoli legata alle strutture nervose residue che subentrano a vicariare certe funzioni più elementari del telencefalo mancante. Con terapia intensiva è possibile prolungare la vita dell’anencefalo, in vista dell’espianto di organi, ma questa pratica suscita non poche perplessità dal punto di vista etico. Statuto ontologico ed etico dell’anencefalo Gli antichi moralisti si erano interrogati sulla qualità umana e personale dell’anencefalo, in vista del riconoscimento di un soggetto idoneo per il battesimo, e avevano concluso affermativamente. Seguendo l’impostazione classica del Diritto romano, l’elemento decisivo per l’attribuzione alla specie umana di un nato da donna fisicamente abnorme era costituito dalla presenza di una forma corporis umana e in particolare dall’aspetto del volto, quale parte principale e imago della persona. L’anencefalo benché mostruoso era considerato persona. Le evidenze biologiche conducono a riconoscere nell’anencefalo una presenza umana in senso forte, cioè personale: è un individuo della specie umana, frutto di una generazione umana, diretto fin dal concepimento da una teleologia intrinseca che lo ha condotto a una maturazione avanzata, anche se imperfetta. Statuto ontologico ed etico dell’anencefalo Per chi riconosca la sacralità e •il valore incomparabile di ogni vita umana in qualunque stadio e forma, la certezza che anche l’anencefalo sia una creatura umana conduce ad assumere nei suoi confronti un atteggiamento di rispetto e di cura analogo a quello che si avrebbe con qualunque altro feto e neonato. Chi ritiene che il valore della vita umana sia una grandezza che ammette plus e minus, in base a criteri di funzionalità ed efficienza (come nel personalismo attualistico), anche se deve riconoscere l’identità umana dell’anencefalo, ritiene di solito che la qualità di vita dell’anencefalo sia così scadente da non meritargli una tutela piena ed un rispetto incondizionato. H.T. Engelhardt definisce la persona attraverso l’autocoscienza, la autonomia, la razionalità, il possesso del senso morale, e perciò alcuni esseri umani, come gli idioti, gli embrioni, i pazienti in coma irreversibile, non sono persone. Statuto ontologico ed etico dell’anencefalo Nel contesto di una impostazione sensista (autori di ispirazione utilitarista come P. Singer) il problema più rilevante sarà invece quello di stabilire se l’anencefalo sia in grado o meno di provare dolore. Mancando del substrato neurologico necessario per percepire dolore in modo consapevole, l’anencefalo non può sentire dolore nel senso in cui lo intendiamo noi. Le reazioni agli stimoli, che non di rado sono presenti, sono ricondotte a riflessi spinali e si nega che le strutture nervose troncoencefaliche possano elaborare a qualche livello la sensazione dolorosa. Il neonato anencefalo non appare quindi meritevole di tutela. La diversa considerazione dello statuto etico dell’anencefalo condiziona, come è ovvio, i nostri comportamenti per quanto riguarda le terapie da fornirgli o l’espianto di organi o la possibilità di interrompere la gravidanza con l’aborto. L’anencefalo come donatore di organi La difficoltà di reperire piccoli organi da utilizzare per il trapianto nei bambini ha suggerito dagli anni ‘60 la possibilità di ricorrere all’espianto di organi (reni, fegato e cuore) dagli anencefali. L’espianto sembra più facile dal punto di vista organizzativo perché si tratta di soggetti la cui morte, se non è programmabile, è almeno prevedibile con buona approssimazione e ciò permette di chiedere il consenso ai genitori per tempo e in condizioni emotivamente meno drammatiche di quelle che si hanno nella morte improvvisa di un neonato. Calcolando una frequenza media di 1 caso ogni 1800 nascite, si è affermato che con questi donatori si potrebbe coprire il 90% del fabbisogno di organi in area pediatrica, anche se solo una parte degli anencefali può diventare donatore per la frequente immaturità degli organi dovuta alla prematuranza (53-58%) e per l’elevata incidenza di malformazioni associate a quella di base. L’anencefalo come donatore di organi Con il problema dell’espianto di organi è connessa la questione dell’accertamento della morte e del tipo di cure, specie rianimatorie, che si debbono o che si possono lecitamente prestare. L’accertamento della morte dell’anencefalo può essere fatto constatando l’arresto cardio-respiratorio, ma le esigenze dei trapianti hanno suggerito di sottoporre il neonato a pratiche rianimatorie immediatamente dopo il parto o ai primi segni di scompenso cardio-respiratorio così da evitare l’arresto cardiaco e mantenere organi e tessuti in buone condizioni metaboliche. In regime rianimatorio l’accertamento della morte deve essere condotto ricercando i segni della morte cerebrale (brain death), che si identifica sostanzialmente con la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, sia del cervello sia troncoencefalo. Si può subito intuire che i criteri usualmente impiegati nel neonato anencefalo risultano di difficile applicazione. L’anencefalo come donatore di organi Nel protocollo per accertare la morte cerebrale approvato dal Center for Christian Bioethics della Loma Linda University nel 1987 si omettono la registrazione dell’elettroencefalogramma e il rilievo del flusso cerebrale, per l’assenza o l’inadeguatezza del substrato anatomico, e la morte cerebrale viene determinata rilevando l’assenza dei riflessi troncoencefalici e il prolungarsi dell’apnea per almeno 24 ore. L’esperienza ha dimostrato che anche questi due criteri possono essere di difficile accertamento o diventare ingannevoli perché il rilievo della scomparsa dei riflessi troncoencefalici vale soltanto se essi erano stati presenti in precedenza, evento che non sempre si verifica, essendo frequenti le anomalie dei nervi cranici, e non è agevole stabilire rapidamente la diagnosi di irreversibilità delle lesioni del tronco encefalico nell’anencefalo, essendo possibile il superamento spontaneo dell’apnea anche dopo ore. L’anencefalo come donatore di organi Sintetizzando l’esperienza di molti centri e facendo il punto sulla questione, la Medical Task Force on Anencephaly ha concluso: «La diagnosi di morte del troncoencefalo dipende dalla scomparsa di funzioni preesistenti del tronco stesso, inclusa la perdita per un periodo di osservazione di almeno 48 ore di una funzione misurabile dei nervi cranici e di movimenti spontanei, e positività di un test per l’apnea ... Con i metodi correntemente disponibili e specialmente in presenza di anomalie di occhio e orecchio, può non essere possibile determinare la morte in alcuni neonati con anencefalia sulla base dei soli criteri neurologici». L’applicazione rigorosa delle condizioni standard per l’accertamento della morte cerebrale rende più difficile le procedure di espianto degli organi; inoltre si è constatato che i neonati anencefali sottoposti a terapia intensiva sopravvivono più a lungo e questo porta ad un inevitabile deterioramento degli organi. L’anencefalo come donatore di organi Perciò, per rendere più agevole e più veloce l’accertamento della morte dei neonati anencefali ed avere a disposizione un buon numero di organi adatti all’espianto, sono state proposte diverse correzioni ai criteri di morte cerebrale applicati agli anencefali. Alcuni autori negando la validità del criterio whole-brain death e sostituendolo con quello della upper-brain death, sono giunti alla conclusione che l’anencefalo sarebbe un non vivente anche se le sue funzioni vegetative sono virtualmente integre: egli non esiste, né mai è esistito come persona;è un soggetto brain-absent, da equipararsi un brain-dead. L’introduzione di questi criteri comporta conseguenze gravissime: anche i bambini con gravi anomalie a carico del SNC, gli anziani con il morbo di Alzheimer, i soggetti in SVP e chiunque non risponda a questi nuovi standard sommamente restrittivi sono da considerarsi clinicamente morti. L’anencefalo come donatore di organi «The arguments that anencephalic infants have no brains, are not persons, or are already dead have other flaws. For legal purposes, anencephalic infants cannot logically or accurately been distinguished from other infants with severe intracranial anomalies or abnormalities or from childrem or adults in a persistent vegetative state. Changing the laws to accommodate the anencephalic infant, however noble the purpose, would inappropriately jeopardize many others». MEDEARIS D. N., HOLMES L. B., On the use of anencephalic infants as organ donors, "The New England Journal of Medicine", 321 (1989), 391-393. Altri autori sono partiti dall’assunto che un soggetto è morto quando si trova in una condizione caratterizzata da assenza di funzioni integrative encefaliche così che la morte sia di regola imminente. Questa definizione si applicherebbe solo ai soggetti la cui morte è stata accertata con criteri neurologici e ai neonati anencefali, mentre ne resterebbero esclusi i pazienti in SVP. L’anencefalo come donatore di organi Una volta posta la diagnosi di anencefalia si conclude che quel neonato non è vivo. «La nostra proposta afferma che il bambino anencefalico non è vivo (is not alive) ed elimina ogni problema riguardo alla terapia intensiva... La nostra proposta riconosce che il concetto di morte cerebrale (brain death) non è utile in questo contesto e perciò evita confusione nell’applicarne i criteri. Dal punto di vista medico, la qualità degli organi vitali probabilmente soffre mentre essi sono mantenuti con sostegno artificiale. La nostra proposta massimizzerebbe la qualità potenziale degli organi degli anencefali propugnando la loro rimozione non appena la diagnosi è confermata. Il protocollo di Loma Linda ha fruttato solo due fonti di organi su 12 candidati. Se la nostra proposta fosse stata accettata, tutti e 12 sarebbero stati potenziali fonti di organi». TRUOG R.D., FLETCHER J. C., Can Organs Be Transplanted before Brain Death?, "The New England Journal of Medicine", 321 (1989), 388-390. L’anencefalo fra abbandono e accanimento La possibilità di usare gli organi dell’anencefalo per il trapianto e la necessità di mantenerli in buone condizioni metaboliche in vista dell’espianto portano nuovi elementi di complessità nel tema dell’assistenza medica all’anencefalo. Quando l’anencefalo non era ancora stato individuato come una potenziale fonte di organi da espianto, la questione etica principale era se e come assistere queste creature. L’atteggiamento terapeutico più comune è quello di somministrare le cure ordinarie (calore, nutrizione, idratazione) in attesa che intervenga naturalmente la morte. Questa prassi è ineccepibile dal punto di vista etico dal momento che fornire più delle cure ordinarie potrebbe facilmente scivolare nell’accanimento terapeutico, per cui sembra ingiusto avvicinarla in qualsiasi modo alla prassi aberrante e sempre più diffusa della eutanasia neonatale o eugenetica. L’anencefalo fra abbandono e accanimento Questa pratica corretta dipende dal fatto che si è certi che l’anencefalo, nonostante le cure, morirà in pochi giorni e non costituirà più un peso per la famiglia e per la società. Ma che cosa accadrebbe se un neonato ancencefalico, sfidando la sua prognosi, sopravvivesse per settimane, mesi, anni? Non si tratta di una ipotesi accademica, ma del caso di Baby K: una bimba anencefalica che la madre decise di tenere, nonostante i medici la consigliassero di abortire: nata in USA il 13 ottobre 1992, subito dopo il parto cesareo ebbe bisogno di ventilazione meccanica. Dopo pochi giorni, i medici fecero pressioni sulla madre perché acconsentisse a interrompere la ventilazione, ritenendola “medicalmente inappropriata”. La madre rifiutò e, quando la bimba ebbe 40 giorni, poté condurla a casa e tenerla senza supporto respiratorio sino al 12 febbraio 1993, quando la piccola dovette essere ricoverata per problemi respiratori. L’anencefalo fra abbandono e accanimento Di fronte al ripetersi delle emergenze mediche e al protrarsi di interventi ritenuti inappropriati, l’Ospedale ricorse alla Corte Federale per legittimare il rifiuto di continuare questi interventi contro l’ostinazione della madre. La Corte d’Appello sentenziò che, nonostante lo standard prevalente di cura medica per i bimbi con anencefalia consista nel provvedere calore, nutrizione e idratazione, non si può negare all’anencefalo, come ad altri soggetti che ne abbiano bisogno, il trattamento ventilatorio artificiale. Nel maggio 1994 la bimba era ancora viva, superando di gran lunga la durata massima di vita di un anencefalo finora registrata. Può restare il dubbio se si tratti di un disumano accanimento terapeutico causato dall’ostinazione di una madre o di trattamenti terapeutici non comuni con gli anencefali, ma in sé non straordinari e sufficienti per sostenere una fragile esistenza altrimenti destinata a perire rapidamente. L’anencefalo fra abbandono e accanimento La nostra concezione della vita umana e del suo valore altissimo, anche se non assoluto, ci impone di escludere l’eutanasia neonatale sia attiva (commissiva) sia passiva (omissiva) così come l’accanimento terapeutico, e ci porta invece a esigere che ad ogni neonato, anche quello destinato a vita breve, siano fornite le cure ordinarie ed eventualmente quelle cure che si ritengono proporzionate alla sua situazione clinica concreta. Dove esistono programmi per l’uso di anencefali come donatori si è molto interessati a mantere gli organi in condizioni ottimali per l’espianto fino alla constatazione della morte, per cui ciò che verrebbe comunemente considerato un discutibile accanimento, tende a diventare un pattern di comportamento corretto. Alcuni Centri praticano la rianimazione dell’anencefalo e la prolungano fino alla scomparsa dell’attività del tronco dell’encefalo: sembra così che si configuri un vero e proprio accanimento. L’anencefalo fra abbandono e accanimento Si verificano le condizioni dell’accanimento terapeutico: l’inutilità delle cure prestate e la dannosità di esse per il paziente. «L’intervento rianimatorio, fatto su un individuo vivente anencefalo, non ha alcuna giustificazione terapeutica; questo intervento può produrre invece un’ulteriore sofferenza del neonato quantunque si dica (ma chi lo ha dimostrato?) che l’anencefalo per la sua stessa anomalia non soffrirebbe». SPAGNOLO A. G., SGRECCIA E. Il protocollo di Loma Linda poneva come limite massimo alla terapia rianimatoria 7 giorni, una sorta di compromesso. Siamo, però, di fronte ad una forma di strumentalizzazione della persona, trasformata in una banca di organi: la rianimazione è finalizzata solo al mantenimento in buone condizioni degli organi da espiantare. In alcuni Centri, il supporto vitale viene sospeso in attesa della morte del tronco dell’encefalo, in pratica pilotando il momento del decesso. L’anencefalo fra abbandono e accanimento Partendo dal concetto di persona in senso sociale di H. T. Engelhardt, Nancy Jecker del dipartimento di Storia della Medicina di Washington, argomenta che l’anencefalo non ha fini propri, ma i suoi fini sono tutt’uno con quelli dei genitori: se essi accettano l’anencefalo al fine di donare gli organi, ne segue che questo costituisce il fine dell’anencefalo come persona sociale. Praticare cure solo in vista dell’espianto non sarebbe una strumentalizzazione, ma il realizzarsi del fine della loro esistenza. Questi ragionamenti sottili e un po’ capziosi sono inaccettabili perché negano la fondazione ontologica della persona e la riducono a puro funzionalismo, svuotandone la consistenza in un sistema di prestazioni, di attese e di relazioni. Si presentano a questo punto solo due possibili approcci medici che salvaguardano tanto la dignità e l’inviolabilità personale dell’anencefalo, quanto l’urgenza di reperire organi per i trapianti. L’anencefalo fra abbandono e accanimento Alcuni propongono di seguire il neonato con le sole cure ordinarie fino a quando non compaiono i primi segni di scompenso organico (bradicardia, difficoltà respiratorie) e solo a questo punto iniziare la rianimazione e attendere la morte del tronco dell’encefalo (secondo gruppo di Loma Linda). Sgreccia e Carrasco de Paula, preoccupati di evitare qualsiasi strumentalizzazione dell’anencefalo, propongono di praticare le sole cure ordinarie fino all’arresto cardio-respiratorio e solo a questo punto espiantare. In entrambi i casi gli organi subiscono un deterioramento e nel secondo è preclusa anche la possibilità di espianto cardiaco. La difficoltà di accertare la avvenuta morte cerebrale insieme al problema di mantenere in buono stato gli organi senza strumentalizzarlo, rendono molto difficile il ricorso all’anencefalo come donatore di organi, tranne alcune eccezioni Diagnosi prenatale e parto pre-termine Attualmente la diagnosi di anencefalia può essere posta molti mesi prima della nascita sia attraverso i consueti esami ecografici, sia dosando particolari sostanze nel sangue materno o nel liquido amniotico (in particolare alpha feto proteina). Immagini ecografiche 10 settimane 2° trimestre Diagnosi prenatale e parto pre-termine Attualmente la diagnosi di anencefalia può essere posta molti mesi prima della nascita sia attraverso i consueti esami ecografici, sia dosando particolari sostanze nel sangue materno o nel liquido amniotico (in particolare alpha feto proteina). Una volta posta la diagnosi, si prospetta da parte di molti la possibilità di un aborto eugenetico, essendone comunemente ammessa dalla bioetica laica la liceità e talvolta l’obbligatorietà: «Le pretese sul diritto di sopravvivenza biologica sono del tutto dipendenti dalla capacità che l’individuo in questione ha di costruirsi, con l’aiuto di altri, una vita umana. Ciò significa che in situazioni nelle quali non esiste la possibilità di alcun avvicinamento ad una vita davvero umana (a truly human life), il diritto alla sussistenza biologica o fisica perde la sua raison d’être e quindi quella pietosa soppressione (termination) della vita, in senso biofisico è accettabile, forse anche obbligatoria». AIKEN H.D. Diagnosi prenatale e parto pre-termine Per diritto naturale la soppressione diretta di un embrione o di un feto, anche se malformati, è illecita perché il valore della vita di una creatura umana non dipende dalle sue prestazioni attuali o potenziali o dal suo rispondere o meno a standard di qualità umana, ma dal fatto che essa si trova sin dal suo sorgere in rapporto personale e costitutivo con Dio. «Accade non poche volte che queste tecniche [di diagnosi prenatale] siano messe al servizio di una mentalità eugenetica, che accetta l’aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è ignominiosa e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il valore di una vita umana soltanto secondo parametri di normalità e di benessere fisico, aprendo così la strada alla legittimazione dell’infanticidio e ell’eutanasia». Evangelium Vitae, n. 63. Diagnosi prenatale e parto pre-termine Alcuni autori hanno sostenuto la liceità dell’induzione di parto alla 24a-26a settimana di gravidanza, in modo da evitare alla madre gli ultimi penosissimi 3 mesi di gravidanza. Anche N. Ford giustifica questa scelta a condizione che: 1. sia certa la presenza di un feto anencefalo; 2. la richiesta parta dalla madre per le proprie reazioni emotive; 3. le tecniche usate per indurre il parto non siano nocive per il feto, la cui morte può avvenire solo come effetto non direttamente voluto (duplice effetto); 4. l’induzione avvenga in un’epoca in cui le prospettive di vita del feto siano analoghe a quelle che avrebbe avuto a termine; 5. il neonato anencefalico riceva le cure ordinarie (idratazione e alimentazione); 6. sia curata un’adeguata informazione del pubblico perché non si confonda questa induzione pretermine con un aborto, specie se effettuata in ospedali cattolici. Diagnosi prenatale e parto pre-termine Altri non vedono ostacoli etici nell’indurre il parto a partire dalla 16a settimana, purché l’induzione consenta la nascita del bambino vivo. «È evidente la contraddittorietà di una tale posizione che non intenderebbe ricercare direttamente la morte del feto anencefalico, ma che di fatto giustifica un intervento che, anticipando l’evento naturale del parto, anticipa la morte stessa del feto malformato». A.G. SPAGNOLO in Medicina e Morale 42 (1992) 589-591. Anche se la tradizione bioetica cattolica tende a ritenere lecito l’anticipo del parto quando il proseguimento della gravidanza comporterebbe pericolo di vita per la madre o per il feto (DS 3336-3338) qui siamo in una situazione ben diversa perché né la madre né il feto sono in pericolo e, dal momento che l’aspettativa di vita per il feto anencefalico è maggiore nell’utero materno che non fuori, inducendo il parto si abbrevia la vita dell’anencefalo. Diagnosi prenatale e parto pre-termine L’unico motivo valido per correre il rischio di anticipare il parto sarebbe un grave e reale pericolo per la sopravvivenza del bambino qualora la gravidanza proseguisse. Non sono invece accettabili le motivazioni ispirate alla più pura logica utilitarista: il timore di un danno per l’equilibrio psichico della madre e il pericolo che la morte prenatale del feto faccia perdere una preziosa fonte di organi. La cautela nel trattamento degli anencefali e un certo tuziorismo rigoroso sono dettati dalla prospettiva propria della bioetica cattolica, che riconosce il valore altissimo di ogni persona per il solo fatto di esistere nella relazione costitutiva e fondante con Dio. Rispettare la persona quando l’emotività o l’egoismo porterebbero a dire il contrario, significa accettare il mistero che ci supera, perché ogni persona affonda le sue radici nel mistero dell’esistenza e testimoniare che ai nostri occhi ogni vita umana è sacra.