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Panorama - EDIT Edizioni italiane

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Panorama - EDIT Edizioni italiane
Anno LX - N. 7 - 15 aprile 2012 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
www.edit.hr/panorama
Panorama
Quando la follia
non conosce limiti
Realismo socialista
Cecoslovacchia 1948-1989
P
iù di un centinaio di opere tra quadri, sculture e opere di grafica che
coprono l’intero arco della produzione artistica del periodo socialista
in Cecoslovacchia sono in mostra, fino all’8 luglio, a Villa Manin di Passariano. Ottima opportunità per valutare dal punto di vista storico-sociale e artistico un’epoca definitivamente conclusa ma che necessita di rilettura più attenta e priva di condizionamenti, la collocazione permette una
rivisitazione del periodo del realismo socialista cecoslovacco attraverso i
lavori, in gran parte inediti, degli artisti più impegnati nel progetto rivoluzionario. Grazie alla fondazione Eleutheria e all’Azienda speciale Villa Manin, per la prima volta viene esposto in Italia
un numero di opere significative di tale periodo (1948 al 1989).
La rassegna è stata realizzata con il
patrocinio del Ministero degli Affari
esteri italiano, dalle ambasciate della Repubblica Ceca a Roma e d’Italia a Praga, dalla municipalità di
Praga e dall’Istituto italiano di
cultura di Praga con il sostegno
della Regione autonoma Friuli
Venezia Giulia.
Vladimir Pleiner, olio su cartone
Košiře 1944-1945
Ludvík Vacátko,
olio su tela, “Primavera
in Petrovice”, anni ‘30-’50
Vincenc Živnŷ, olio su tela, “Ritratto di
Božena Živná minatrice di Kladno”
František Turek, olio su tela, senza titolo
2 Panorama
Anonimo, olio su tela, probabilmente anni ‘50
In primo piano
Che cosa è emerso dall’inusuale invito agli estremisti di destra a Zagabria?
Quali diritti? I nostri, ovviamente
di Mario Simonovich
L
a Croazia non se la caverà senza un denuncia, che anzi sarà
duplice, ossia verrà presentata
tanto ai Parlamenti nazionali che a livello di Unione europea. Così hanno
dichiarato gli esponenti dei partiti di
destra provenienti da Bulgaria, Belgio, Francia, ma soprattutto Ungheria, dopo la negazione del permesso
all’appuntamento previsto nel centro
di Zagabria con cui asseritamente si
proponevano di unirsi ai compagni
di fede croati nel sostegno ai generali Gotovina e Markač colpiti da dure
sentenze alla Corte dell’Aia.
Sta forse in quest’ultima presa di
posizione una delle chiavi che primariamente permettono di capire che,
anziché un atto di solidarietà, l’appuntamento zagabrese è stato un atto
prettamente politico e, in sottordine, un tentativo di ripresentare sulla
scena politica il “volto buono” di un
operare che, si può dirlo senza essere
accusati di partigianeria, buono a dire
il vero non lo è stato mai troppo, anzi
ha contribuito largamente a moltiplicare quanto di cattivo sul piano sociale e nazionale si è visto in quest’area
grosso modo nell’ultimo secolo.
Alle rampogne degli ospiti palesemente osteggiati da una parte
dell’opinione pubblica croata si sono
unite quelle dei (parziali) padroni di
casa, nella fattispecie del Partito puro
dei diritti, il cui presidente si è unito
nel loro asserito intento di denuncia
all’Unione europea, evidentemente
dimentico che la sua, per fortuna esigua, formazione ha considerato sempre ed in forma esplicita il processo
di avvicinamento di Zagabria a Bruxelles come un esplicito tradimento
degli interessi più genuini e dei valori
più alti del popolo croato.
Interessante e significativo è stato
il modo in cui la situazione si è evoluta, passando da un tacito assenso ed anzi atteggiamento di consenso, se
non di simpatia - all’ondata di diniego che ha coinvolto l’opinione pubblica. Ai primi che erano al corrente
dell’appuntamento, palesemente talu-
ne formazioni di destra, si è aggiunta
presto la Matica Hrvatska. Per forza di cose, va detto subito, in quanto
le è stato chiesto di mettere a disposizione i suoi locali per la riunione,
cosa che ha avuto il suo immediato
assenso, come ben si può supporre in
nome dell’assoluta “garanzia di patriottismo” di cui gli ospiti sembravano dare prova e la Matica, si sa, è
stata da sempre sensibile ed attenta
a questi richiami. Il primo allarme
però è arrivato presto, quando qualcuno ha fatto notare che il nerbo della comitiva era costituito dai componenti la compagine Jobik, seguaci di quel Gabor Vona che bruciando
qualche settimana fa davanti a duemila persone una bandiera dell’Ue
chiedeva di rinnegare il Trattato di
Trianon con cui dopo la prima guerra mondiale (!) l’Ungheria era rimasta senza i territori abitati da popolazioni slave, Croazia in primo luogo.
E qui gli avversari del Partito dei diritti hanno avuto buon gioco nel dimostrare che questo di politica non
capiva poi troppo se aveva chiamato
gente che “avrebbe volentieri messo
la mano su territori croati.” La risposta è stata pegio el tacon del buso:
le pretese degli estremisti ungheresi non riferivano alla Croazia ma ad
altre aree abitate da slavi, ovvero se
non siamo di mezzo noi...
Poi è entrata in campo la politica ufficiale, in testa il capo dello stato che con il suo usuale linguaggio ha
detto che “un appuntamento del genere non lo avrebbe reso felice”. E qui
ci sono state nuove critiche, che essenzialmente hanno messo in luce la
diffusa ignoranza che da noi regna in
questi casi; i capi di stato che si rispettano parlano sempre così, spetta ad altri, i media in primo luogo, il compito
di capire il senso di quel che dicono.
Come è andata a finire si sa. Un
maldestro tentativo di ridare ossigeno a un processo decisamente in secondo piano si è risolto con un ulteriore flop che però ha mostrato a
quali manovre sia in grado di ricorrere la politica per raggiungere i suoi
fini. ●
Costume
e scostume
Ma che è successo
in questo aprile?
Ed ora due righe per tentare
di smontare ulteriormente il teatrino della politica, espresso, fra
l’altro, anche dall’atto unico di
cui si tratta qui a lato. Oltre che
dall’argomento in parola, nella
prima metà di aprile la gente è
stata abbondantemente bombardata con tutti i dettagli riguardanti il riposizionamento delle ore di
catechismo, duramente criticato
dalla conferenza episcopale, e la
possibilità di creare una parvenza di avvio all’occupazione dei
giovani, duramente criticata in
particolare dall’opposizione, ma
anche da parte dei potenziali interessati. La quale opposizione
poi (e quando in Croazia si dice
opposizione, si intende HDZ) in
tutti gli anni dacché è stata al potere ha incrementato la disoccupazione ed ora appare preoccupata ad occuparsi soprattutto di
se stessa sfornando candidati a
presidente con ritmi da catena
di montaggio. Leggermente più
seria, neanche la maggioranza
è stata aliena da cedimenti, tipo
quello se dare o meno l’immunità diplomatica all’autonominatosi primo vicepremier, imputato di omicidio colposo per l’incidente stradale in Ungheria.
Ben altre erano invece le notizie “vere” ed importanti, che
invece sono state ridotte ed incapsulate al massimo. Quali?
La possibilità che all’ospedale di Cantrida i bambini malati di tumore restino senza medicine, l’annunciato rincaro della
corrente o il nuovo prezzo della benzina. Ma forse l’opinione pubblica non va turbata troppo...
Panorama 3
Panorama
www.edit.hr/panorama
Ente giornalistico-editoriale
ED IT
Rijeka - Fiume
Direttore
Silvio Forza
PANORAMA
Redattore capo responsabile
Mario Simonovich
[email protected]
Progetto grafico - tecnico
Daria Vlahov-Horvat
Redattore grafico - tecnico
Annamaria Picco
Collegio redazionale
Nerea Bulva, Diana Pirjavec
Rameša, Mario Simonovich,
Ardea Velikonja
REDAZIONE
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Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel.
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ISSN 1334-4692 Panorama (Online)
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an­nuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa);
semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa); una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia:
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retrocopertina 250,00 euro; retrocopertina interna 150.00 euro; pagine interne 120,00 euro.
PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della
Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno
del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (FiumeCapodistria) e l’Università Popolare di
Trieste
EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a
[email protected]
La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia e Slovenia avviene all’interno del progetto
“L’EDIT nelle scuole III”, sostenuto dall’Unione Italiana di Fiume, realizzato con il tramite
dell’Università Popolare di Trieste e finanziato dal Governo italiano (Ministero degli Affari
Esteri - Direzione Generale per l’Unione Europea) ai sensi della Legge 193/04, Convenzione
MAE-UPT.
Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Maria Grazia Frank Franco Palma, Ilaria
Rocchi, Marianna Jelicich Buić, Livia Kinkela.
44Panorama
Panorama
Panorama testi
N. 7 - 15 aprile 2012
Sommario
IN PRIMO PIANO
Che cosa è emerso dall’inusuale invito
agli estremisti di destra a Zagabria?
QUALI DIRITTI? I NOSTRI
OVVIAMENTE................................ 3
di Mario Simonovich
ATTUALITÀ
Significative testimonianze dei dirigenti INA al processo Sanader
MOL DECIDE SENZA DI NOI....... 6
Clima vivace all’interno dell’HDZ in
vista delle elezioni per la presidenza
KUJUNDŽIĆ E PRGOMET UNITI,
GLI ALTRI CORRONO DA SOLI.... 6
di Mario Simonovich
DOSSIER SARAJEVO
Tra il 5 e il 6 aprile 1992 i cecchini iniziarono a sparare. Pochi immaginavano che l’assedio sarebbe durato anni
VENT’ANNI FA A SARAJEVO: SE LA
FOLLIANON CONOSCE LIMITI ....... 8
di Diana Pirjavec Rameša
Da quei fatti tanto orrendi lo stimolo
alla ricerca di un futuro comune
SARAJEVO MON AMOUR, TRISTE
PRIMAVERA DI VENT’ANNI FA... 14
di Marino Vocci
INTERVISTE
Roberta Dubac, nuova firma che si unisce ai narratori della CNI
HO BISOGNO DI TOCCARE LE
COSE CON MANO E CAPIRE......16
di Diana Pirjavec Rameša
LA STORIA OGGI
L’ultimo libro di Stelio Spadaro propone un nuovo punto di vista
AREA ADRIATICA: NON SOLO
NETTE CONTRAPPOSIZIONI.... 20
di Fulvio Salimbeni
PSICOLOGIA
Disumanizzazione e colpevolizzazione della vittima passaggio obbligato
nel processo di disimpegno morale
NON SONO VERI UOMINI COME
NOI: POSSIAMO UMILIARLI
QUANTO VOGLIAMO................. 22
di Denis Stefan
CINEMA E DINTORNI
”The Lady”, di Luc Bresson, dedicato
alla donna che si è opposta ai generali
LA TREMENDA SCELTA DI VITA
DI AUNG SAN SUU KYI.............. 24
di Gianfranco Sodomaco
ARTE
Nelle chiese, cappelle e conventi del
Quarnerino un’eredità da rivalutare
DOMINANTE L’INFLUENZA
ITALIANA ..................................... 26
di Patrizia Venucci Merdžo
AVVENIMENTI NELL’ARTE
Esposti quadri e “modellini” frutto della passione di Giulio Ruzzier
RIVIVE IL MITO
DELLA PARENZANA................... 28
di Mario Simonovich
LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA
“DIGHELO COLA POI∫IA”
(DIGLIELO CON LA POESIA) (4)... 34
di Lino Capolicchio
ITALIANI NEL MONDO
I questionari della Cgie dovranno essere compilati entro il prossimo giugno
UN MONITORAGGIO
SOCIO-SANITARIO...................... 40
a cura di Ardea Velikonja
MADE IN ITALY
Espositori molto interessati alla Campionaria prevista dal 12 al 20 maggio
SBARCO DEI MILLE A PADOVA... 42
a cura di Ardea Velikonja
MUSICA
Storia degli strumenti a corda, legni,
ottoni e percussioni che compongono
un’orchestra sinfonica (10)
IL TROMBONE RIABILITATO
DA GLUCK E BEETHOVEN.........44
a cura di Ardea Velikonja
SPORT
Pensieri sparsi e ambiti di ri flessione
su alcuni aspetti della stagione del football che si avvia a conclusione
FATTI E MISFATTI, SPLENDORI
E MISERIE, ANSIE E DOLORI.... 46
di Bruno Bontempo
TRA STORIA E GUSTO
NELLA CUCINA MONASTICA
NON SOLTANTO DIGIUNO........ 48
di Sostene Schena
MULTIMEDIA
Tutto quello che c’è da sapere sulla
nuova tecnologia della nuvola
IL FUTURO È NEL CLOUD
COMPUTING..................................50
a cura di Igor Kramarsich
RUBRICHE................................... 52
a cura di Nerea Bulva
PASSATEMPI................................ 58
IN COPERTINA: la “Linea rossa di Sarajevo” dedicata alle vittime dell’assedio
Agenda
«Istria nel tempo»: a Maribor presentato il progetto di recupero della memoria
Sfaccettature della penisola in versione multimediale
È
stato presentato lo
scorso 11 aprile a Villa Vetrinj, a Maribor, Istria
nel tempo, progetto multimediale nato dalla collaborazione del Programma italiano di TV KoperCapodistria con il Centro di Ricerche Storiche
di Rovigno, l’Unione Italiana e l’Università Popolare di Trieste. Il progetto
si compone di una serie di
sei documentari (disponi-
bili anche su due DVD) e
di un volume lessicografico che, dopo la versione
italiana e croata, esce ora
anche in lingua slovena.
L’appuntamento di Maribor è stato l’occasione per
presentare al pubblico della “capitale europea della cultura 2012″ la nuova
traduzione del manuale
che, in maniera obiettiva,
narra la storia della penisola del nord Adriatico.
Un impegno non da poco,
con riferimento soprattutto alla pluralità linguistica e culturale delle genti
che si sono insediate o che
sono solamente transitate in Istria lungo i secoli e
agli accadimenti che hanno martoriato queste terre
nel corso del Novecento.
Il materiale audio-video è
interamente quadrilingue,
ovvero in italiano, sloveno, croato e inglese.●
Conferiti i riconoscimenti annuali della Regione litoraneo-montana
Premio ai promotori dell’Italianistica fiumana
ll’Accademia solenne, che si è
svolta lo scorso 12 aprile nella
Casa di cultura di Sušak nella ricorrenza della Giornata della Regione
litoraneo-montana, come da tradi-
A
zione sono stati conferiti i premi
annuali e il premio Opera Omnia
della Regione (nella foto). Il Premio annuale collettivo della Regione litoraneo-montana è stato assegnato al gruppo che ha istituito il
corso di laurea in Lingua e letteratura italiana alla facoltà di Filosofia di Fiume, ossia Predrag Šustar,
preside della suddetta facoltà, e le
professoresse Gianna MazzieriSanković (responsabile del Dipartimento di italianistica), Corinna
Gerbaz Giuliano, Ines Srdoč Kone-
stra e Svjetlana Kolić-Vehovec. “Io
e i miei colleghi siamo molto fieri del fatto che sia stata riconosciuta l’importanza di questo progetto,
anche perché non ce l’aspettavamo
per niente. Per me e per la prof.ssa
Gianna Mazzieri-Sanković, coautrice assieme a me del Corso di laurea in Lingua e letteratura italiana,
ciò rappresenta un riconoscimento
a tutte le notti insonni e a tutti i sacrifici fatti per realizzare questo sogno”, ha detto la prof.ssa Corinna
Gerbaz Giuliano. ●
Il ministro della Cultura ha annunciato l’appoggio statale alla sua candidatura
Pola, capitale UNESCO del libro 2014?
I
l ministro della Cultura della Repubblica di Croazia, Andrea Zlatar Violić, in visita a Pola ha annunciato il pieno appoggio statale alla
candidatura di Pola a Città del libro
sotto l’emblema UNESCO per l’anno 2014 e ciò proprio grazie alla sua
fiera del libro. La concorrenza però è
sleale e spietata perché al titolo ambisce pure Oxford. Nel caso il tentativo dovesse fallire, non tutto precipiterà; il progetto culturale studiato
all’uopo si dovrebbe realizzare co-
munque, anzi viene dato per scontato, parola del ministro Zlatar Violić.
Il grazie per il generoso appoggio dimostrato è stato espresso dal sindaco
di Pola, Boris Miletić, in occasione
dell’incontro col ministro al Municipio (nella foto), che ha visto ospitare
anche il viceministro addetto al patrimonio monumentale Zlatko Uzelac. Presenti pure Viviana Benussi,
vicepresidente della Regione Istriana, l’assessore istriano alla Cultura, Vladimir Torbica, nonché i rap-
presentanti della Commissione per
il progetto “Pola città del libro” con
alla testa Magdalena Vodopija, promotrice e direttrice della fiera “Sa(n)
jam knjige”.●
Panorama 5
Attualità
Significative testimonianze dei dirigenti INA al processo Sanader
La MOL decide tutto senza di noi
di Mario Simonovich
S
i diceva INA e si sottintendeva un mastodonte che, complice anche una certa benevolenza dei fori decisionali, navigava sicuro sul mercato della produzione e distribuzione dei prodotti petroliferi fin
dall’inizio del secondo dopoguerra. I
dipendenti erano ben pagati, la possibilità di avere un alloggio molto più
ampia, la disponibilità di case di riposo a prezzi irrisori non meno lontana, ecc. Un giudizio, questo, diffuso su scala generale e mantenutosi per
decenni, stante anche la palese bene-
volenza di cui i massimi fori decisionali del paese davano regolarmente
prova ogni qualvolta si fosse profilata
all’orizzonte un’ombra di pericolo.
Il primo scossone tale giudizio
l’ha avuto con lo sfacelo dello stato federale che fra l’altro ha lasciato “all’estero”, in primo luogo in Serbia, diverse stazioni di servizio, ossia
immobili e impianti per un valore di
tutto rispetto. La direzione del complesso si fece avanti a pretendere la
restituzione che però a tutt’oggi non
è avvenuta. La cosa però non ha frenato l’attività del gigante, che mutati
di volta in volta direttori e organi di-
rigenziali, ha continuato ad operare,
si direbbe, indisturbato.
Il giro di volta è avvenuto nell’autunno del 2008 con il progressivo
acquisto delle azioni INA da parte
dell’ungherese MOL, realizzato fra
l’altro anche con il massiccio rastrellamento di quelle detenute dai piccoli azionisti o dai “privilegiati” come
i fondi pensionistici o le associazioni dei reduci, verso cui lo stato aveva
indirizzato parte dei pacchetti all’atto
della privatizzazione.
I dati aggiornati al 30 dicembre
scorso dicevano che la maggior parte
della quota di proprietà, il 47,26 p.c.
Clima molto vivace all’interno dell’HDZ in vista delle elezioni per la presidenza
Kujundžić e Prgomet uniti, gli altri corrono da soli
S
embrava una moltiplicazione a
dismisura, poi è arrivata la frenata. Due dei tanti candidati ai vertici
dell’HDZ, Drago Kujundžić e Drago Prgomet, si sono formalmente alleati per concorrere alle due massime cariche invitando nel contempo
anche gli altri ad unirsi ad essi in un
“fronte unico” che ha quali avversari da battere la presidente uscente Jadranka Kosor e la sua eminenza grigia, quel volpone della politica che risponde al nome di Vladimir
Šeks. L’invito, all’apparenza del tipo
uniamoci per battere con più facilità la nostra avversaria, è stato piuttosto recepito come un’ammissione
di debolezza, basata sul calcolo che,
date le scarse possibilità di vincere,
il duo abbia più che altro voluto cautelarsi in quanto una debacle segnerebbe anche la fine di ogni possibilità di candidarsi a cariche di livello
più basso.
Probabilmente è questo il motivo
per cui Tomislav Karamarko si è limitato a dire con fare molto asciutto
di aver preso attto della novità (non
dell’offerta!) e di non aver altro da
aggiungere. Un comportamento che
appare molto indicativo qualora risultassero confermate le voci che è
6 Panorama
Jadranka Kosor, Darko Milinović, Tomislav Karamarko e Domagoj
Milošević: per ora nessuna coalizione in vista delle “presidenziali”
stato proprio l’uomo con cui i due
hanno avuto i contatti più intensi prima di annunciare la decisione formale. Darko Milinović con il fare
che gli è usuale, è stato più esplicito: il prestigio all’interno del partito è
grande e la vittoria è certa, ha sostenuto, per cui non necessita del supporto di alcuno.
L’identica posizione espressa da
Domagoj Milošević avrebbe un sottofondo del tutto diverso. Sembra
che larga parte dell’elettorato di partito gli sia veramente attaccato per
cui l’asserita intenzione di non collaborare corrisponderebbe ad una posizione privilegiata, per diversi aspetti
inattaccabile. Comunque, pronto a
collaborare si dichiara assolutamen-
te contrario ad ogni ipotesi di “condivisibilità” del potere. In quanto ai
contenuti dei programmi, si sa che
il solo Karamarko insiste per un ritorno organico alle idee professate
dal fondatore, Franjo Tuđman. I suoi
concorrenti, pur richiamandosi a parole alla fiugura del defunto presidente, appaiono molto più proiettati all’affermaione dei valori europei
- per i quali, a onor del vero, va detto
che si è battuta con vigore particolare
Jadranka Kosor, quali non erano mai
stati tenuti in particolare conto dallo scomparso, che si era richiamato
invece in permanenza e con ostentazione ai valori dello stato nazionale, espressione di quel pancroatismo
che fu l’essenza della sua politica.●
Attualità
Boris Tadić ospite del forum economico triestino
L’Italia partner privilegiato
L
delle azioni, era in mano alla MOL, il
44,84, ossia poco meno, era detenuto
dal Governo croato mentre il rimanente 7,9 era distribuito fra altri investitori
tanto istituzionali che privati. Dunque i
rapporti di forza indicavano che la parte ungherese, seppur preponderante,
avrebbe dovuto gestire la compagnia
tenendo ben presente che le altre parti coprivano uno spazio tutt’altro che
trascurabile, specie nella considerazione che un loro ipotetico “fronte comune” avrebbe significato una “copertura
azionaria” che in termini aritmetici si
attestava poco al di sotto del 53 p.c.
I rapporti di forza però erano una
cosa, la prassi tutt’altro. Lo hanno detto, si suppone in piena responsabilità
visto che parlavano in tribunale, Davor Mayer e Ivan Kresić, due rappresentanti della parte croata nel direttivo.
Nell’udienza di venerdì 13 aprile del
processo all’ex premier Ivo Sanader,
Ivan Kresić ha affermato che il governo croato non ha alcuna influenza nell’ambito decisionale, e che tutto
viene deciso dal “partner strategico”
ovvero dalla parte ungherese. La maggior parte delle decisioni neppure perviene a conoscenza del direttivo, ha
rilevato. I componenti croati, da parte loro hanno saputo che gli ungheresi sono in possesso di informazioni riservate di cui regolarmente non dispone la parte croata, tanto che un anno fa
hanno chiesto che venissero apportate
modifiche all’Elenco delle prerogative
in ambito decisionale. Un documento
essenziale, ha affermato, in quanto fissa le modalità con cui le informazioni
passano dall’INA alla MOL per tornare all’INA e prendere corpo in forma
di decisioni.
Il giorno precedente era stato ascoltato Mayer che in pratica aveva anticipato il discorso del collega. Le modifiche apportate all’accordo azionario
a Serbia è partner privilegiato dell’Italia, ha detto il presidente serbo
Boris Tadić presenziando a Trieste al forum economico Friuli Venezia
Giulia-Serbia. Ha quindi citato i recenti accordi con aziende quali Fiat e
Danieli. Con Roberto Tondo, presidente della regione Friuli, ha concordato
sull’esigenza di ancora più stretti rapporti commerciali tra i due paesi, in un
contesto di internazionalizzazione delle due economie.
Tadić ha aggiunto che i lavori di completamento del corridoio 10, che
collegherà Salisburgo a Salonicco, passando per la Serbia, sono in fase di
realizzazione. “Il completamento del corridoio 10 - ha affermato - è un’opportunità per approfondire la naturale propensione dei due paesi alla collaborazione economica”. Tadić ha poi sottolineato come le strette relazioni
della Serbia con Russia, Ucraina e Turchia rappresentino una straordinaria
opportunità per l’Italia, in un contesto di internazionalizzazione delle economie dei due paesi. Ha quindi esortato l’Italia ad “affrontare il tema della
cooperazione in campo formativo”, assieme a quello prettamente economico. “I nostri paesi dovrebbero approfondire le loro relazioni di lungo corso
anche in campo culturale e formativo, specie universitario. L’elemento conoscenza è centrale, specie in questo momento di crisi”.
Antonio Paoletti, presidente della Camera di Commercio di Trieste, ha
ricordato alcune importanti iniziative di cooperazione fra cui il piano di
creazione di una “zona franca” per le attività logistiche delle imprese italiane in Serbia e un progetto bilaterale per la formazione manageriale. ●
Boris Tadić e Renzo Tondo all’appuntamento triestino
dal governo Sanader, era stato deciso
nell’affermazione, avevano posto la
compagnia completamente in mano al
partner danubiano e ciò aveva costituito un esplicita rinuncia agli interessi
nazionali croati.
Quasi a fargli eco, negli stessi giorni è comparsa sulla stampa quello che
può essere considerato un esplicito
atto d’accusa. Il geologo Stanko Kadija, allora in forza all’INA-Naftaplin,
ha dichiarato che esattamente dieci
anni fa la compagnia aveva scoper-
to in Siria giacimenti di gas del valore allora stimato pari a 23 miliardi di
dollari. L’informazione però - sostiene - venne tenuta nascosta fino a tutto
che la MOL non acquistò il primo pacchetto delle azioni INA (un quarto del
totale più la golden share) per non più
di 505 milioni di dollari. In altri termini essa era stata ampiamente sottostimata. Della matrice criminale Kadija è tanto convinto da essersi rivolto all’Avvocato di stato con una circostanziata denuncia.●
Panorama 7
Sarajevo
Nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 1992 i cecchini iniziarono a spar
Vent’anni fa a Sarajevo: quan
a cura di Diana Pirjavec Rameša
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò a partire dall’estate del 1992 una settantina di risoluzioni sulla guerra civile in Jugoslavia, per la grande maggioranza vaghe e incapaci di influire sul corso della guerra
I
l 5 aprile 1992, a Sarajevo i cecchini iniziarono a
sparare su una folla di dimostranti che manifestava
per la pace. Il 5 aprile è considerata ufficialmente la
data di inizio dell’assedio della città, il più lungo della
storia moderna, che terminerà solo il 26 febbraio 1996,
dopo la firma degli accordi di pace di Dayton e la fine
delle ostilità.
In occasione di questo ventennale è stata organizzata una reunion a Sarajevo di giornalisti e reporter
che “coprirono” (come si dice in gergo) la guerra di
Bosnia: sede di questa inusuale rimpatriata, manco a
dirlo, l’hotel “Holiday Inn” che fu il luogo d’incontro
della stampa internazionale durante gli anni dell’assedio, proprio lungo la “snypers alley”.
Il rischio, come ha scritto Tim Judah su “Eastern
approaches - The Economist” il 23 marzo in un pezzo intitolato “Bosnia past, present and future”, è che
“chiunque si interessi di Bosnia Erzegovina verrà
ben presto sottoposto a un diluvio di malinconici ‘Io
Un uomo con un carretto pieno di legna oltrepassa una macchina distrutta in una zona
di Sarajevo particolarmente pericolosa per la
presenza di cecchini, 9 marzo 1993 (AP Photo/
Michael Stravato)
Dossier
Il tunnel della speranza e la Velepekara
8 Panorama
L
a difesa di Sarajevo si proietta nel mito, come la battaglia della Sutjeska, come la
rivolta del ghetto di Varsavia.
Sono prove che l’uomo non è
distruttibile. Il tunnel, poco più
che un cunicolo minerario, scavato sotto le piste dell’aeroporto
- da una casa di Dobrinja a Hrasnica, ai piedi dell’Igman - ha
contribuito molto a questo mito.
Alto 1,70 metri e largo altrettanto, vi si snoda uno stretto binario
su cui venivano spinti i carrelli
di ferro. Unico tubolare terroso
e malfermo che dava ossigeno
all’abitato, unica via per le armi
e il cibo. La fame era una costante nella città assediata. La mancanza d’acqua dentro le case una
condizione ancora più grave. La
città - ridotta a qualche sgangherato e semidistrutto quartiere coperto dalle barricate (“siamo rimasti in pochi!” dicono dall’interno) - anche nelle giornate di
luce aveva un colore grigio, arrugginito. Né alberi, né verde, i
colori erano quelli dei container
a protezione di qualche percorso
e delle barricate alzate con cataste di automobili fuori uso, le
carrozzerie tarmate dai colpi e
dal tempo. Il pane per i cittadini veniva cotto alla Velepekara,
il grande forno statale. Era “pane
di guerra” ma la sua fragranza si
diffondeva nell’aria e accentuava la fame e il desiderio. Sulla
facciata della Velepekara era dipinta una grande spiga dorata di
grano. Il colore - tra lamiere stor-
do la follia non conosce limiti
c’ero’, storie raccontate da una combriccola di giornalisti che seguirono la guerra. E in un certo senso
ciò è accaduto.
Molti non vollero
o finsero di non capire
te, luminosa e splendente, cupa e severa allo stesso
tempo? - si è chiesto Christophe Solioz, segretario
generale del Center for European Integration Strategies in un articolo dedicato all’assedio della capitale bosniaca.
Quattro secoli di dominazione ottomana, qualche
decennio d’Impero asburgico e poi di un destino jugoslavo, prima monarchico e poi titino. La speranza
di un “socialismo dal volto umano” ha tragicamente
fine nel 1991.
Il 5 aprile del 1992 inizia il più lungo assedio
della storia moderna. L’aggressione assume le pieghe di una guerra tra varie comunità, guerra di memoria e di religione. Se queste qualifiche non dovessero piacere a qualcuno, i fatti sono implacabili: l’assedio di Sarajevo ha causato 11.541 vittime. Civili per la maggior parte, occorre ricordarlo?
E quante esistenze mutilate e famiglie dilaniate?
Umiliazioni e violenze di tutti i tipi, torture, assassinii, “urbicidi”, “memoricidi” e genocidio... A fatica le parole riescono a restituire l’ampiezza dei crimini commessi e la sofferenza imposta.
La casa della famiglia Kolarević da cui si entrava nel tunnel che portava all’aeroporto
te e buchi neri dei colpi - è rimasto, come il manto di un santo
bizantino in fondo a una latomia
diventata stazione di preghiera.
I saraeliani - nei letti gelidi dei
loro inverni sotto assedio, nel-
la città trasformata in un ghetto
- sognavano la grande spiga di
sole, l’aureo cibo proibito.●
Dossier
Di quello che fu quella nuova guerra nel cuore
dell’Europa che avrebbe cambiato profondamente il
volto di Sarajevo, della Bosnia Erzegovina, dei Balcani e della stessa Europa ha scritto Enzo Bettiza in
un lungo articolo su “ La Stampa”.
“Molti non vollero o finsero di non capire quello
che stava accadendo nel cuore più antico dei Balcani. Cercarono di vedere ad ogni costo, in quella fatidica scelta plebiscitaria della Bosnia Erzegovina, la causa e l’inizio di un conflitto tra ‘milizie
serbe’ da una parte e ‘milizie musulmane e croate’
dall’altra. Nulla di più opinabile. L’ossessione della simmetria, fin dai primi massacri di Vukovar che
la negavano, era stata poi quasi sempre costante e
determinante nella passività delle capitali occidentali. Queste, infatti, finirono per lavarsi le mani affidando alle risoluzioni dell’Onu e all’ambigua neutralità dei caschi blu dell’Unprofor (United Nations
Protection Force) il compito di tutelare, senza spendere una cartuccia, la drammatica coesistenza tra
aggrediti e aggressori. Equanimità forzata, ma assai calcolata, con il male e il bene giudiziosamente spartiti fra tutti gli ex jugoslavi, tutti carnefici e
vittime nello stesso istante, è stato il velo pilatesco
con cui l’Occidente fino al genocidio di Srebrenica
si è bendato gli occhi, onde evitare un’identificazione esatta e compromettente di chi aveva scagliato la prima pietra”.
Sarajevo. Come abbracciare la molteplicità passato-presente di questa città tra Oriente e Occiden-
Sarajevo
are sulla città. Pochi immaginavano che l’assedio sarebbe durato anni
Panorama 9
Sarajevo
Come non ricordare l’impotenza e l’abdicazione della “comunità internazionale”: i cessate il fuoco
violati, le molteplici risoluzioni ignorate, i vari piani di pace destinati al fallimento. Senza dimenticare
l’assurda missione di protezione dell’Onu (UNPROFOR) incaricata di “mantenere la pace” là dove il
conflitto impazzava. I politici occidentali non escono certo bene da questa guerra: ciechi ai massacri e
ai despoti fautori della guerra, muti di fonte agli orrori dei campi di prigionia, degli stupri, della deportazione - e sterminio - delle popolazioni non serbe,
sordi agli appelli d’aiuto. Una vergogna.
Sarajevo... “una città che, allo stesso tempo, si
trasforma, agonizza e rinasce” scrisse Ivo Andrić.
È vero ancora oggi. Il boom della ricostruzione, i bar alla moda e il ritorno dei turisti non devono
però indurre in errore: Sarajevo soffre delle sue ferite. La Biblioteca nazionale, ricostruita all’esterno,
tutt’ora in cantiere all’interno (si annuncia la fine lavori per il 2014) ne è l’esempio più eloquente. Si fa
finta d’ignorarlo, ma la città è ancora divisa. Istočni
Sarajevo (Sarajevo Est) è de jure la capitale della Republika Srpska, una delle due entità di cui è costituita
la Bosnia-Erzegovina (l’altra è la cosiddetta Federazione croato musulmana).
Andando oltre le illusioni, il dopoguerra ha portato le stimmate di una “transizione guerreggiata”,
macchiata dal sangue che non si può cancellare. Alle
“rose di Sarajevo”, le tracce a forma di fiore lasciate sull’asfalto dalle granate, pitturate in rosso dopo
il conflitto, si è aggiunta, il 6 aprile scorso, la “Linea rossa di Sarajevo”. Si tratta di una manifestazione artistica di rilievo eccezionale realizzata dall’East
West Center sotto la direzione di Haris Pašović:
11.541 sedie rosse, simbolicamente riservate alle vittime dell’assedio, sono state disposte tra la Presidenza della Bosnia-Erzegovina e la moschea Ali Pasha.
Il programma poetico e musicale è a loro dedicato.
“Sarajevo tra debito, dovere di memoria ed emancipazione. 1395 Giorni Senza Rosso” (Šejla Kamerić
e Anri Sala, 2011), dove il “senza rosso” si riferisce
all’obbligo di non vestirsi con un colore che potesse attirare l’attenzione dei cecchini. Questo il titolo
del film che propone una traversata della città assediata al ritmo del primo movimento della “Patetica”
di Ciaikovski. Nel porsi la domanda: di cosa, perché
Una città lunga e stretta. E una storia travagliata
Dossier
L
10 Panorama
a capitale della Bosnia-Erzegovina ha una struttura città lunga e stretta, in quanto condizionata dalle montagne
che la circondano. Si è sviluppata lungo un piccolo affluente
del fiume Bosna, la Miljacka. le
cui acque a quest’altezza hanno
una profondità che arriva solo a
pochi centimetri. Vicino a uno
dei ponti, il Ponte Latino, i colpi di pistola sparati dallo studente Gavrilo Princip uccisero
nel giugno del 1914 l’arciduca
ed erede al trono dell’impero
austroungarico Francesco Ferdinando. La guerra che ne seguì
segnò la fine di un’epoca e creò
i presupposti per quella a venire, impersonata dal nuovo stato, che si sarebbe chiamato Jugoslavia.
Anche questo “tentativo”
,seppur presentatosi in due edizioni del tutto diverse, ebbe una
vita travagliata fino all’annullamento totale. Dopo un’altra
guerra, infatti, e la costituzione della Bosnia ed Erzegovina
in una delle sei repubbliche federate, nel decennio successivo
alla morte di Tito (1980), che
ne era stato architetto, le tensioni tra le diverse etnie crebbero
in parallelo alla retorica nazionalista sempre più roboante e
minacciosa che preveniva dalla
Serbia, in primo luogo per bocca di Slobodan Milošević, e alle
rivendicazioni che affondavano
in centinaia di anni di divisioni culturali, religiose, sociali: lo
stato “degli Slavi del sud” si divise con la dichiarazione di in-
dipendenza della Slovenia, a cui
seguirono quelle della Croazia,
Macedonia e Bosnia.
L’intervento militare dell’esercito jugoslavo ancora in piedi e
delle diverse milizie etniche si
trasformò presto in una sanguinosa guerra civile. Croazia
e Serbia volevano controllare
questa ex repubblica con cui
ambedue confinano e l’episodio centrale della guerra furono i quattro anni dell’assedio.
Da ricordare che nel referedum
di febbraio del 1992, musulmani croato-bosniaci votarono per
oltre il 90 per cento a favore
dell’indipendenza. Im serbi, che
avevano votato quattro mesi prima in un altro referendum unirsi alla Serbia e al Montenegro,
non parteciparono al voto. ●
Morire per Sarajevo
Abdulah Sidran in uno scritto recente si è chie-
sto: “Che cosa ha significato - dunque - l’assedio di
Sarajevo? Come ha modellato la Storia quella tragica vicenda di morti e privazioni? Che cosa volevano gli assedianti e che cosa difendevano gli assediati? La mia generazione, resistendo al nazionalismo
serbo, lottando in nome di una società multiculturale, ha conservato un volto, una forma e un discorso.
Quella dell’assedio fu una conoscenza dalle origini,
esistenziale. Fu una prova e una maturità. Fu la ragione contro i mostri… La lotta tra il Bene e il Male
è iniziata sulle mura di Sarajevo! 20 anni fa! Da allora abbiamo visto crescere, moltiplicarsi, diffondersi,
le nuove teorie per cui gli uomini non stanno insieme tenendo a base il diritto, ma l’arcano della omogeneità etnica. Le nuove tavole della convivenza si
scrivono sulle recinzioni”. Valori e ansia di valori. I
giovani studenti e operai che vanno, traversando il
tunnel, alla difesa del monte Igman porta sud della città, dicono: “Noi siamo la Spagna repubblicana, la nostra battaglia è per la democrazia e contro
il fascismo”.
“Siamo la multiculturalità e la democrazia, l’Europa e il cosmopolitismo”. I poeti e gli scrittori - gestori dello spirito, dell’anima della città - rivestono un ruolo strategico. L’abbandono di Sarajevo da
parte della comunità ebraica - orchestrato da Israele in chiave islamofobica, con la mediazione di Elie La Croce Rossa distribuisce pane e un piatto di
Wiesel - lascia stordita la città cui sono appartenuti zuppa, Sarajevo, 16 febbraio 1994 (AP Photo/
Laurent Rebours)
per 500 anni. E il governo deve ufficialmente smen-
Sarajevo
tire che Abdulah Sidran abbia abbandonato la città,
quando nel 1993 - come giurato al festival del cinema di Venezia - o nel 1995 - per la prima edizione
italiana di un suo libro di poesia - lascia temporaneamente Sarajevo (passando per il tunnel).
L’assedio fu particolarmente duro e i combattimenti violenti si protrassero fino ad arrivare alla
metà del 1993: alla fine di quell’anno, praticamente
tutti gli edifici della città erano stati danneggiati dai
bombardamenti, qui inclusi gli ospedali, gli edifici
governativi e, quasi come un paradosso, le sedi delle Nazioni Unite. Sull’abitato cittadino secondo le
stime delle “disastrate” Nazioni Unite, caddero proiettili di artiglieria con una media di oltre trecento
al giorno. La Biblioteca Nazionale bruciò fino alle
fondamenta e il suo contenuto di libri e codici antichi venne interamente distrutto. Le strade della città
sono tuttora marcate da decine di “rose di Sarajevo“.
Nei primi sei mesi del 1993, per aggirare l’embargo delle armi e permettere l’ingresso di aiuti umanitari nella città, venne scavato lo “storico” stretto
tunnel, lungo circa un chilometro, dai sobborghi della città fino alla zona dell’aeroporto a sudovest della città, posto in una zona nominalmente neutrale e
sotto il controllo delle Nazioni Unite, ma che non
sfuggì ai bombardamenti dei serbo-bosniaci. Attraverso questo cunicolo quasi impraticabile, ma insostituibile passarono per mesi armi, cibo e materiali
di ogni tipo, ed anche, fra migliaia d’altri, l’allora
presidente (il primo della Bosnia-Erzegovina) Alija
Izetbegović, portato su una carrozzella. Il Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò a partire
dall’estate del 1992 una settantina di risoluzioni sulla
Dossier
e come ci ricordiamo?, quest’opera invita ciascuno
a confrontarsi con il proprio passato, con la propria
verità. In modo più sottile apre una fessura tra la realtà e il possibile. Il “non essere ancora” - per citare
le parole di Ernst Bloch.
Questa dialettica tra l’arte e la politica, pur salvaguardando l’indipendenza della prima, invita a impegnarsi per altri modi di vivere e di essere. La realtà trasformata dall’arte permette nuove comprensioni e favorisce l’emergere di una “nuova soggettività”
(Herbert Marcuse). Inglobando passato e futuro, lutto e speranza, i lavori artistici di Šejla Kamerić e Haris Pašović testimoniano, ognuno a suo modo, il coraggio di essere se stessi per gli altri. Solo quest’etica
permette di reinventare una comunità politica divisa
e riunire le membra d’una città e di un Paese de facto frammentati.
Panorama 11
Sarajevo
Dossier
Dalla primavera all’
(...) Attaccarono Sarajevo la notte del cinque aprile 1992 con l’intenzione di dividere la città in due.
Per tutta la notte ci bombardarono pesantemente, su
di noi si abbatté una fitta pioggia di proiettili che andavano a colpire i sottili muri dei palazzi moderni,
udivamo gli assalitori che si urlavano tra di loro secchi ordini: “Di qua”, “là”, “avanti”, “indietro”.
Ma come si permettono?
guerra civile in Jugoslavia, che si domostrarono una
dopo l’altra vaghe e incapaci di influire sul corso della
guerra. L’opinione pubblica europea e mondiale assisteva sui mezzi di comunicazione agli aggiornamenti continui sulla guerra e sui crimini che vi venivano
commessi, ma oltre non si andava. Il mondo, come si
suol dire,stava a guardare una strage quotidiana, che
ebbe forse la sua qualificazione più aderente il 5 febbraio 1994, quando l’artiglieria comandata dal generale Ratko Mladić colpì un mercato causando 68 morti: la strage aumentò le pressioni sui musulmani bosniaci e sui croati perché smettessero di combattersi
tra loro nel resto del paese e si unissero per rispondere
ai serbo-bosniaci.
Il giorno successivo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, chiese alla
NATO di intervenire. Nell’aprile del 1994 la NATO
iniziò una campagna di bombardamenti aerei limitati alle posizioni serbo-bosniache intorno alla capitale. Dopo un’altra strage di civili a causa dei colpi
di mortaio degli assedianti nell’agosto 1995, i bombardamenti contro i serbo-bosniaci si intensificarono
con la campagna Operation Deliberate Force e i serbi
vennero costretti ad arrendersi e partecipare ai negoziati di pace. I bombardamenti e i cecchini avevano
ucciso 10.000 persone e ferito altre 50.000, dissero le
prime stime del rapporto dell’ONU sull’assedio durato 44 mesi, tanto da risultare il più lungo nella storia della guerra moderna. La popolazione della città è
oggi intorno ai 350.000 abitanti, oltre 70.000 in meno
dall’inizio dell’assedio, ed è quasi interamente composta da bosniaci musulmani, ponendo fine al precedente secolare cosmopolitismo.●
Una strada nel quartiere occidentale di Dobrinja a Sarajevo, 2 maggio 1994 (AP Photo)
12 Panorama
Il sei aprile ci svegliammo, si fa per dire, e ci trovammo spontaneamente con i vicini davanti al palazzo. Alcuni erano ancora in ciabatte, altri indossavano il pigiama che si intravedeva da sotto il giaccone, le donne in vestaglia, spettinate, tutti con le borse
sotto gli occhi. Il sentimento comune era “Ma come
si permettono?”
Ci domandavamo a quali armi appartenessero le
cartucce vuote delle pallottole sparpagliate intorno
al palazzo. Erano così tante da formare un tappeto
color grigio-marrone, brutto, ancora più sgraziato là
verso il fiume dove andava a toccare l’erba giovane
color verde tenero, puntellata di primule variopinte.
Ci si chiedeva a vicenda: “Hai visto?” “Hai sentito
quell’esplosione verso le due stanotte?”, prendevamo le cartucce da terra, le esaminavamo, i veterani
della Seconda guerra mondiale, più esperti, le giravano in mano, scuotevano la testa.
Evidente confusione
La conversazione finì con “Sono stati i papci”,
cioè i vigliacchi, oppure i malavitosi, e che bisognava trovarli e punirli, ristabilire l’ordine e poi continuare come sempre. Così, dopo circa un’ora dall’incontro, ognuno era tornato a fare quello che di solito
faceva in un soleggiato sabato d’aprile: mamma a
fare la spesa, papà nel suo bar a bere il caffè e a leggere il giornale, io in centro a trovare gli amici.
Nei successivi giorni di aprile si alternarono gli
attacchi, più frequenti durante la notte, con sporadici spari durante il giorno. In città arrivarono i primi giornalisti stranieri. Non meno confusi di noi, giravano in gruppo, cercando i fatti, la guerra. Uno
mi aveva telefonato, chiedendomi di fargli da guida.
In tre erano arrivati da Belgrado con una macchina
presa a noleggio. Per la città si passava con difficoltà. Era evidente la confusione della gente e che le
autorità non avevano più il controllo della situazione. Ovunque c’erano posti di blocco e barricate che
venivano erette da chiunque volesse. Talvolta erano i
vicini del condominio o gli abitanti di una via che, in
questo modo, cercavano di proteggersi. Nei palazzi
furono stabilite nuove regole, il portone si chiudeva a
chiave e i vicini si alternavano a fare la guardia notturna. Si tiravano via dalle porte e dalle cassette della posta le targhette con i nomi, non volevamo essere
identificati, essere divisi, volevamo rimanere uniti e
insieme difendere la casa e la città. (...).
La giornalista Azra Nuhefendić
vamo fermi e circondati. La tensione era altissima, tra
di noi dentro e tra la gente che premeva da fuori. Cercavano di entrare perché l’autobus era l’unico modo
per raggiungere l’aeroporto, la via di uscita. Tanti urlavano, ci minacciavano, alcuni davano colpi all’autobus, alcuni si aggrappavano con le mani al bordo
dei finestrini, c’erano delle madri che alzavano i bambini verso i finestrini supplicandoci di lasciare entrare
almeno i più piccoli. Nell’autobus qualcuno piangeva,
altri erano spaventati e si coprivano gli occhi con le
mani per non vedere quelle scene, altri si piegavano
sotto i finestrini per nascondersi dagli sguardi di quei
disperati o per proteggersi. Sembrava di vivere una di
quelle scene di fuga dalla città vietnamita Saigon, prima dell’attacco finale alla città, durante la guerra in
Vietnam, che avevo visto in vari documentari.
Di corsa sull’aereo
Infine l’autobus entrò direttamente sulla pista e
si fermò davanti alle scalette dell’aereo. Ancora sotto choc per quello che avevamo visto, scendemmo velocemente e di corsa entrammo nell’aereo. Dietro di
me c’era una donna incinta, per gentilezza mi feci da
parte, lasciandola entrare per prima. Poi toccava a
me. Ma uno che controllava l’entrata mi fermò con la
mano: “Siamo al completo, non c’è più posto”. Non
ci credevo, iniziai a protestare. L’aereo era un boeing
grande e mi pareva impossibile che non ci fosse più
posto per una persona. Mostrai la mia tessera di giornalista. Il tizio mi fece guardare dentro: l’aereo era
strapieno, tutti accalcati, schiacciati come sardine in
scatola, seduti per terra, nel bagno c’erano tre persone e un bambino era seduto sul lavandino, non c’era
più posto neanche per un ago.
Mi arresi.
Lasciai Sarajevo quella stessa sera, tardi, con un
piccolo aereo militare che aveva portato da Belgrado dei medicinali. Nel velivolo fragile che dondolava, si udivano le esplosioni e gli spari provenienti
dalla città. Quel rumore sarebbe rimbombato nelle mie orecchie per i quattro anni successivi, 1427
giorni di assedio a Sarajevo, il più lungo nella storia
moderna d’Europa.
(Testimonianza raccolta da “Osservatorio Balcani”)
Dossier
I bombardamenti si fecero sempre più forti, gli
spari durante il giorno più frequenti, gli aerei militari volavano a bassa quota rompendo il muro del suono. Cercavano di spaventarci. Nei negozi di generi
alimentari presto non c’era più niente da comprare,
quello che non era stato venduto veniva saccheggiato.
Nei mercati di frutta e verdura l’offerta scarseggiava.
Il tempo era - per ironia - bellissimo, da anni non
si vedeva un aprile così bello e caldo a Sarajevo come
nel 1992. Invece di passeggiare e goderci la primavera, restavamo sempre di più chiusi in casa, e anche
chiusi in noi stessi, in silenzio, inquieti. Per paura non
pronunciavamo ad alta voce quello che era chiaro:
che c’era la guerra. Anche a casa nostra l’unico argomento che ci interessava, non si toccava. Ci pensavamo, certamente, ma non parlavamo dei nostri tormenti. Per paura, scaramanzia, sperando che non fosse
vero e che sarebbe passato presto, che i nostri sospetti
erano infondati. (...)
Cresceva il numero delle persone che fuggivano
da Sarajevo. Le linee ferroviarie erano già da qualche
tempo interrotte. La gente scappava in macchina, a
piedi, in autobus. Venivo a sapere che Mladen se n’era
andato, che Emir aveva mandato al sicuro la moglie e
i bambini, che Milena aveva telefonato da Belgrado,
che Snježana con tutta la famiglia era andata dai cugini in Montenegro, “per alcuni giorni finché le cose
non si sistemano” ci aveva detto il vicino Vlatko, e ci
aveva lasciato le chiavi del suo appartamento dicendo
“il frigorifero è pieno di cibarie e se vi serve …”.
Era già la fine di aprile, dovevo tornare a Belgrado, le ferie che avevo preso “giusto il tempo che la
situazione tornasse alla normalità, una volta chiarito il malinteso” erano terminate. L’aeroporto era
sotto il controllo dei serbi, atterravano solo gli aerei
speciali. Nella zona non ci si poteva neanche avvicinare, già a circa cinque chilometri di distanza c’era
tantissima gente disperata che cercava di fuggire.
Famiglie al completo si accampavano giorno e notte con la speranza di imbarcarsi, la destinazione non
importava, l’unica cosa che volevano era lasciare
Sarajevo che si faceva sempre più pericolosa. Quella massa premeva sul cordone dei militari serbi che
proteggevano la pista.
Avevo la tessera della radio e TV di Belgrado, cioè
serba. Mi aiutò a ottenere un posto nell’aereo, un boeing speciale vuoto senza sedili, detto Kikaš, dal nome
di un patriota croato che l’aveva acquistato e mandato in Croazia, ma pieno di armi. Fu sequestrato dalla
JNA (Armata jugoslava) e veniva usato per trasportare i civili in fuga. Ci caricarono su un autobus nel centro della città, dopo aver controllato bene i nostri documenti. Scortato dalla polizia, l’autobus era diretto
verso l’aeroporto. Ci fermavano spesso, l’autista faceva vedere il permesso e ci lasciavano passare. Vicino all’aeroporto l’autobus fu inghiottito da quella
massa di gente in fuga. Non potevamo muoverci. Era-
Sarajevo
’inferno. Il racconto di Azra Nuhefendić
Panorama 13
Sarajevo
Dossier
Da quei fatti tanto orrendi da essere ritenuti impossibili lo stimolo
Sarajevo mon amour, quella t
di Marino Vocci
avanti a noi abbiamo sfide importanti e decisive per il presente e soprattutto per il futuro, e i temi su cui dobbiamo riflettere e
confrontarci, sono molto coinvolgenti, in quanto le
tematiche affrontate devono vedere tutto il nostro
mondo impegnato a camminare… insieme.
Alcuni temi sono di grande attualità e investono
la nostra quotidianità. Come ad esempio quelli legati alla gravissima crisi economica, ma non dobbiamo dimenticare, anche se sono meno evidenti, i
temi legati alla crisi del pianeta terra e i temi legati alla pace e al futuro della democrazia. Altri temi
ancora si propongono a giorni alterni come il risveglio del Mediterraneo e la Primavera araba, i temi
poi che riguardano l’Europa e la convivenza in un
mondo sempre più interetnico. Ed infine non dobbiamo dimenticare i temi dell’identità, della memoria e quelli sul presunto e pretestuoso scontro
di civiltà e sul senso della nostra civiltà adriatica
(ma su questa tornerò in un prossimo articolo) e su
quella mediterranea.
Incontrando alcuni amici e amiche carissime reduci da un viaggio a Sarajevo e guardando la foto dell’amico di Tano D’Amico, appesa
alla parete del mio ufficio, che riprende il volto
sconsolato di due ragazze che guardano il tetto bombardato della Biblioteca di Sarajevo, mi
è ancor più chiaro che è proprio da Sarajevo,
città dal fortissimo e soprattutto tragico valore simbolico, che da qui al 2014, dovremmo far
partire una serie di riflessioni e di progetti. Ad
esempio su cosa hanno rappresentato, sul significato e sulle conseguenze per l’Europa e per
il mondo, le tragedie che hanno visto protagonista proprio Sarajevo. Questo per capire e per
convincerci che un mondo migliore e plurale è
possibile: E poi per condividere la fondamentale importanza di costruire un futuro comune. Un
presente e futuro basato sulla bellezza della vita
e sul valore dell’inclusione, e non dell’esclu-
D
14 Panorama
sione, della democrazia e del rispetto dei diritti
universali e dei principi di cittadinanza.
I progetti dovrebbero coinvolgere le Istituzioni,
i cittadini e l’Associazionismo/corpi intermedi di
alcune delle città simbolo del secolo breve o secolo dei lupi, che da non molto ci ha fortunatamente lasciato, quali proprio Sarajevo, ma anche Srebrenica, Mostar, Ragusa Vukovar, e ancora Trieste,
Berlino, Gorizia, Pola, Vienna, Lubiana, Bolzano,
Budapest, Praga, Ragusa e Venezia.
Ricordare, partendo proprio da Sarajevo, da
quella primavera di vent’anni fa, da quel tragico
mattino del 2 maggio 1992 e questo non solo per
non dimenticare. Questa data ricorda la Sarajevo
mon amour del viaggiatore leggero e costruttore di
ponti Alexander Langer e del generale Jovan Divjak, e il primo tragico bombardamento della città,
quando l’esercito federale e le milizie serbe bloccarono tutti gli accessi ponendo la capitale sotto
un assedio destinato a durare ben 43 mesi e cioè
fino al 29 febbraio 1996. Le vittime furono più di
12.000, i feriti oltre 50.000, l’85% dei quali tra i
civili. A causa dell’elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si
ridusse a 334.664 unità, il 64% della popolazione
pre-bellica. Sarajevo diventa il simbolo della morte e della violenza, ma soprattutto l’inizio “balcanizazzione” dell’Europa, della frammentazione e il
“separatismo condominiale”.
Il viaggio dovrebbe concludersi nel 2014, proprio a 100 anni dall’inizio di quella 1^ guerra mondiale che iniziò sul Ponte Latino di Sarajevo, il 28
giugno 1914, nel giorno di San Vito noto anche
come Vidovdan, giorno di solenni celebrazioni e
festa nazionale serba, quando l’Arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, furono colpiti a
morte da alcuni colpi di pistola sparati dal diciannovenne Gavrilo Princip.
Sarajevo
riste primavera di vent’anni fa
Una tragedia che formalmente inizia un mese
dopo il 28 luglio 1914 quando l’Austria-Ungheria
dichiarò guerra alla Serbia; un conflitto senza precedenti nella storia che comportò la mobilitazione
di oltre 70 milioni di uomini e la morte di oltre 9
milioni di soldati e almeno 5 milioni di civili e soprattutto la fine degli Stati multinazionali.
Perché non far incontrare alcuni comuni d’Europa al “Museo della guerra per la pace, Diego de
Enriquez” e far partire il progetto proprio da Trieste, dove si sono incontrate e si incontrano lingue
e culture e diverse, dove il Mediterraneo incontra
l’Europa di Mezzo, dove la grande storia ha lasciato tracce profonde, con un progetto che approfondisca “Gli antichi sentieri della Pace e cooperazione”? Recuperare gli antichi sentieri significa
non solo cambiare le nostre teste, ma anche più
semplicemente, mettersi in cammino e diventare
come ci ha insegnato Langer diventare “mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera..”. Tutto questo anche attraverso
tante vie della Pace - “European Peace Walk” da
Vienna a Trieste, da Caporetto a Duino, da Cherso al Carso.
Perché poi non trovarci a Sarajevo il 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani, in un confronto di società civili? Lo chiede in primo luogo l’Associazione padovana “Beati i costruttori di
Pace” per la quale Sarajevo non è stata solamente
un impegno per la pace, ma è stato un modo nuovo e diverso di entrare e affrontare i conflitti, anche
quelli ritenuti impossibili come la guerra. È stato
un modo nuovo di sentirci dentro alla stessa storia e
camminare insieme. Incontrarsi a Sarajevo non per
contribuire ad un’ulteriore celebrazione della me-
moria e nemmeno per calare da fuori un evento che
risulterebbe estemporaneo, se non estraneo, ma a
20 anni per ritrovarsi e questa volta fare una verifica in una particolare “interposizione”, una mediazione di pace e non di guerra.
Perché dopo 20 anni la pace di Dayton è stata implementata solo sulla cessazione dello scontro
armato, ma non sugli altri punti qualificanti. Di fatto è continuato il processo di radicalizzazione della
divisione etnica, marcando il territorio con i simboli religiosi e civili; disattendendo il ritorno dei
profughi nelle case di loro proprietà, favorendo gli
spostamenti di popolazione dopo la guerra, per rendere le zone etnicamente più omogenee.
Ritrovarsi a Sarajevo e a Srebrenica perché, in
quella terra profondamente lacerata, nonostante
tutto, tantissime persone hanno una gran voglia di
vivere e di sperare. Come mi hanno raccontato gli
amici che alcuni giorni fa hanno percorso insieme a
noi un pezzo della vecchia Parenzana (che in agosto, in concomitanza dell’anniversario della tragedia di Hiroshima e Nagaski, sarà l’itinerario della
4^ edizione di “Pace in bici 2012”) e a Pasqua sono
stati a Sarajevo, dove c’è sempre gente che passeggia, che è seduta al bar, che prende il caffè, che gioca a scacchi in piazza, che si saluta con allegria.
La necessità, la fatica, ma anche la bellezza della convivenza rimangono un ideale e un impegno
non solo per la gente di Sarajevo, ma anche per noi.
Anche per noi che siamo minacciati da altri pericoli, non di separazione etnica, quanto di chiusura nelle nostre paure, nelle reciproche ignoranze,
nelle nostre memorie monumentalizzate e brandite e nelle nostre identità ipertrofiche, esclusive ed
escludenti.●
Dossier
alla ricerca di un futuro comune, più degno dell’essere uomo
Panorama 15
Interviste
Roberta Dubac, nuova firma che si unisce ai narratori della Comunità
Ho bisogno di toccare le cose con m
di Diana Pirjavec Rameša
foto di Goran Žiković
ncontriamo Roberta Dubac a Cittanova. Ci accoglie con un grande sorriso e la consapevolezza di
essere un astro nascente della letteratura della CNI. Ama scrivere, ama
viaggiare, le piace andare a fondo
nelle cose. E racconta la sua vita e
i suoi personaggi con tale naturalezza che non sempre si riesce a tracciare una precisa linea di confine tra
quelli che sono i suoi pensieri e quello che ci raccontano i suoi personaggi. Un libro il suo che non è solo letteratura ma è anche testimonianza,
sensibile e delicata del mondo in cui
viviamo e delle contraddizioni che lacerano l’animo umano.
Come nasce la raccolta di racconti, storie di varia umanità che hai pubblicato di recente per la casa
editrice Edit dal titolo “Chiesa di
nessuno”?
“Non nasce come idea unica. Il
racconto più antico risale a otto, nove
anni fa, mi riferisco a La stagione migliore per vedere le stelle, mentre
quello recente Il Cristo alla rovescia
è nato un anno fa.
Va tenuto conto che sono stati
scritti in stili differenti perché ho voluto esercitarmi con punti di vista,
I
16 Panorama
prospettive diverse e voci narranti differenti. Di recente, una studentessa
di Pola mi ha detto che immergendosi nel libro le era sembrato di leggere
quattordici racconti di altrettanti autori, tutti diversi tra di loro proprio perché variegate sono le situazioni in cui
il lettore si imbatte.
In realtà per me questo è un grande, grande esercizio di scrittura. Un
laboratorio dove cerco di spiegare il
mondo attraverso la scrittura.
Con gli anni mi sono accorta che la
la scrittura è un modo naturale e spontaneo di affrontare il mondo. Quando
vedo una cosa che risulta essere una
‘stonatura all’interno della società’
rebbe automatico da pensarlo perché è
stato scritto da una autrice che fa parte
della Comunità nazionale italiana, ma
potrebbe essere benissimo un attore di
qualche compagnia slovena di Trieste.
Diciamo che nel testo io cito il carso e
dunque un certa vicinanza al territorio
d’insediamento storico della CNI c’è. La realtà che descrivo potrebbe essere
sì quella del Dramma italiano, ma potrebbe essere anche trasportata in altri
ambiti multilingui europei”.
Quanto di autobiografico c’è in
questi racconti? Quanto le vicende
della tua vita sono state determinanti per lo svolgimento di questo
interessante percorso letterario?
Questo mio primo libro è scritto in italiano perché è la mia lingua d’espressione. Però non scrivo solo degli italiani, scrivo di
tutto il mio mondo. Sono una persona che parla, che si confronta,
che si relaziona con appartenenti alle varie etnie. Io sono nata e
cresciuta in un’area trilingue, a Castelvenere, dove vivono croati, italiani e sloveni
non distolgo lo sguardo bensì ci punto
gli occhi. La percezione del mondo e
di ciò che mi circonda, il più delle volte è per me un’esperienza visiva. Faccio di tutto affinché le immagini che vedo e in qualche modo tormentano la
mia mente ottengano una loro spiegazione. Attraverso la scrittura cerco di
dare un senso a ciò che accade: violenza emarginazione, cerco di descrivere situazioni umane in cui è molto
spesso presente una forza tutta spirituale. L’idea di fondo dei miei racconti è che una forza spirituale sia necessaria nella vita. Quella forza spirituale
che vive dentro ciascuno di noi. Ma
non tutti se ne rendono conto”.
Quello che il lettore può notare
leggendo i tuoi racconti è una sottile dettagliata analisi psicologica dei
personaggi. Si nota questo impegno
nel capire il profilo psicologico dei
vari personaggi... dalla raccoglitrice
di bottiglie, all’attore di teatro...
”Il racconto Dietro ad un Discount parla di un attore di un teatro minoritario, ma questi non è per forza un attore del Dramma Italiano. Ver-
“Di autobiografico diretto quasi nulla, nel senso che io non scrivo
delle mie esperienze dirette, ma poi
rileggendo dopo che passa un po’ di
tempo mi rendo conto che i miei personaggi hanno molte mie caratteristiche, reazioni simili alle mie e vedono
il mondo così come lo vedo io. Ma è soprattutto nei personaggi maschili
che ho riversato parte dei miei pensieri, in primo luogo quelli che riguardano la mia sfera emotiva. I personaggi
maschili sono quasi un mio alter ego,
mentre quelli femminili sono più ispirati a persone che ho osservato”.
La guerra
non è ancora finita
C’è un argomento che è quasi
d’obbligo affrontare assieme a te visto che sei uno dei pochi autori della CNI che ha affrontato il problema della guerra in Croazia e tutto
quello che è successo poi, sia a livello di società che a livello di psicologia umana. Quanto secondo te
la guerra degli anni Novanta ci ha
Interviste
Nazionale Italiana
ano e capire
cambiati, quanto ha inciso sul nostro modo di vivere, quanto ha cambiato l’Istria?
“La guerra in un certo senso non è
ancora finita. Continua ad essere presente anche se con pallidi echi. Sto
parlando della totalità della Croazia. Sebbene l’Istria non sia stata toccata
direttamente, la guerra c’è stata ed è
stata terribile e disumana. E non sarà
finita fino a che ci saranno tra di noi
persone che soffrono della Sindrome
post traumatica da stress, fino a che
ci saranno bambini che trovano armi
in casa, fino a che si verificheranno
incidenti dovuti a mine antiuomo che
sono sparse sul territorio dove ci sono
state operazioni di guerra, soprattutto
nelle campagne della Slavonia. Non
sarà finita fino a che sarà presente
l’odio, il non voler comprende che il
male non sceglie categorie, popoli e
che la guerra è sempre un grande affare, un grande complotto politico e
non la volontà di un popolo piuttosto
che di un altro popolo.
Ecco, io mi sono sentita in dovere
di affrontare l’argomento proprio perché nel mio mondo è presente questa
eco. Bobo, il reduce di guerra, protagonista de Il giorno prima poco tempo
prima della pubblicazione del libro si
è tolto la vita. La sua era una di quelle
immagini che continuavano ad assillarmi. Il contrasto tra il dramma che si
consuma nella mente di questo ragazzo e la tranquillità di una città turistica
come può essere Umago, viene messo in rilievo con forza. L’urlo disperato
che di tanto in tanto il ragazzo lancia
non fa che cacciare i turisti, rendere il
loro soggiorno un po’ sgradevole. Purtroppo ben pochi si rendono conto che
questo è un grido di dolore, il lacerante
dolore di una persona che vuole capire
perché tutto ciò sia potuto succedere.
Bobo era partito con una convinzione. Ma quando è rientrato dal fronte ha
capito che in realtà non era riuscito a
capire i motivi per cui aveva combattuto. La guerra secondo il suo punto di
vista, infatti, non aveva risolto niente
e lui aveva continuato a torturarsi tra
mille quesiti succube di un indicibile
dolore. Per scrivere questo racconto
ho cercato di studiare il fenomeno della Sindrome post traumatica, ho letto
molto sull’argomento e ho cercato di imprimere al ritmo del racconto quello della mente di Bobo che non riesce
a darsi pace. Il racconto sulla guerra è
in realtà un manifesto contro la guerra.
Ed è importante parlarne. Non si deve
fare finta che tutto ciò non sia accaduto. Non riesco proprio a capire l’inerzia e l’indifferenza di alcune persone
che distolgono lo sguardo dal problema. E invece è una delle caratteristiche salienti del tempo in cui viviamo:
la paura, l’ insicurezza, problemi che
spesso si ripresentano quale tema centrale dei miei racconti”.
Se nasci sul confine questo fa parte di te
Tu abiti in Istria, in un’area che
molti reputano privilegiata, ma di
fatto vivi a ridosso del confine. Sei
nata a Castelvenere, in questo momento risiedi a Cittanova... Che
cosa ti ha dato e che cosa ti ha tolto
il confine?
“Se nasci su un confine fa parte di
te e non te ne rendi neanche conto, è
uno stato naturale delle cose, è il tuo
ambiente. Anche prima dello smembramento dell’ex Jugoslavia comunque c’era il confine con l’Italia, molto vicino, quello di Rabuiese, che si
trovava a pochi chilometri da casa
mia. Se uno ci nasce e ci vive il confine è un qualche cosa che si rispetta,
però non è una cosa che si insidia nella
mente. L’ho sostenuto tante volte: andare a Trieste per me non era mai an-
dare all’estero... perché Trieste faceva parte del mio habitat naturale, del
territorio entro cui mi muovevo, senza problemi. Poi è successo che all’età
di 17-18 anni mi sono trovata di fronte
questo nuovo confine, quello tra Croazia e Slovenia. Passava proprio sotto
la mia casa ed in un primo momento è
stato uno choc, per me come per tutta
la popolazione residente in quell’area,
aldilà e al di qua del Dragogna. Continuavamo ad allungare il collo come dei cigni e a dire: ‘ma non xe
possibile, sparirà... xe solo due baracche... i le devi portar via...’. Continuavamo a non accettarlo. Era molto dura,
una nuova lacerazione. Era come perdere una parte di se stessi... quella sensazione iniziale di chiusura, quasi di
imprigionamento... era terribile. Me la
sentivo addosso. La mia famiglia, ma
anche gli altri... non riuscivamo proprio ad accettarlo. Ed ogni volta che mi recavo a Trieste o Capodistria regolarmente mi dimenticavo del fatto che esistesse... facevo le serpentine
sotto Castelvenere, arrivavo al punto
di controllo e borbottavo: ‘oh il confine’... Talvolta mi scordavo di prendere
i documenti. Prima non ce n’era bisogno di averli con sé...
Con il passar del tempo diventi cosciente del fatto che il confine c’è, ma
sei indifferente. Transiti, mostri il documento e vai avanti, non è una cosa
che ti preoccupa”.
Tanti sono i giovani che hanno
un desiderio segreto di andarsene...
e non solo dall’Istria ce ne sono tantissimi che lasciano L’Italia che se
ne vanno dalla Croazia, se ne vanno
Panorama 17
Interviste
dall’Europa, da tutti quei paesi europei che sono stati colpiti dalla crisi.. Se tu avessi la possibilità di andare o di rimanere che cosa sceglieresti?
“Mi sono trovata molte volte in
conflitto con me stessa proprio per
questo bisogno di andar via, che è
ancora presente. Non che io qui stia
male... ma qualcosa mi manca. Ho
bisogno di stare nei grandi centri, di
vivere i ritmi della grande città, di
poter condividere le mie esperienze
con altre persone. l’Istria non solo
è piccola ha anche pochi abitanti:
solo 200 mila. Qui non hai la possibilità di conoscere gente nuova, di
confrontarti con la tua generazione.
Ecco perché viaggio spesso, per conoscere gente nuova, nuovi mondi...
Quando sono stata molto lontana,
C’è un luogo che ti ha particolarmente affascinato, un viaggio
di quelli che ti hanno cambiato la
vita... che hanno smussato il modo
di pensare, rapportarsi alle cose e ai
valori della tua esistenza?
“Credo di sì. Io sono facilmente impressionabile, nel senso che quando
viaggio tutti i sensi si amplificano, si
aprono. Quello che ha lasciato in me
una traccia profonda, che mi ha toccata dentro è stato un viaggio che ho
fatto in Brasile. Durante questo viaggio ho soggiornato tra l’altro a Curitiba che è la capitale del Paranà... nel
sud del Brasile, e ho viaggiato sino
alle cascate Iguacu che si trovano al
confine con l’Argentina.
Una nostra amica locale ha portato
me e mia zia in luoghi piccoli ed è proprio lì che uno riesce a capire quanto
Mi sento molto legata alla mia terra. Ho un rapporto molto
emotivo con questi luoghi. Sono nata su questo pezzettino di terra rossa e lo sento molto presente in me. Spesso d’estate mi siedo
in terra quando questa è ancora molto calda, per sentirla, sulla
pelle... toccarla
undici anni fa, in Australia, in un primo momento ho desiderato rimanere lì. Ero molto giovane ed era il mio
primo grande viaggio da sola. La
consapevolezza di essere così lontana da casa e il fatto che ci vogliono
30 ore di viaggio per ritornarci, nei
luoghi dei miei affetti, là dove vive
la mia famiglia, mi hanno indotto a
cambiare idea. Mi sento molto legata alla mia terra. Ho un rapporto molto emotivo
con questi luoghi. Sono nata su questo pezzettino di terra rossa e lo sento
molto presente in me. Spesso d’estate
mi siedo in terra quando questa è ancora molto calda, per sentirla sulla pelle... toccarla. La sento come una parte
di me”.
Ti piace viaggiare?
“Viaggiare più che un piacere è una
grande necessità è un modo per respirare. Mi piace andare soprattutto in
luoghi dove non c’è turismo di massa, in posti autentici che non sono ancora commercializzati. Spesso quando
viaggio da sola mi incuriosisce e mi dà
gioia incontrare le persone che vivono
nei luoghi che visito. Mi piace scambiare con loro qualche parola, capire
come vivono”.
18 Panorama
il Brasile sia ricco di risorse naturali
e quanto la popolazione sia povera visto che la ricchezza non è equamente
distribuita.
Una serenità
allo stato puro
Lì come in altri paesi c’è una minoranza sparuta molto ricca e una maggioranza che vive ai margini della società. Durante quel viaggio mi è capitato di incontrare persone poverissime, emarginate che dormono sotto
le panchine, ma che nonostante ciò
ti trasmettono un amore per la vita e
un’allegria che qui in Europa noi non
possediamo. Ho assistito, in un mercato, alla scena di una donna che si era
svegliata presto la mattina con accanto a sé tre bambini e una donna anziana. L’anziana tirò fuori da un sacchetto due arance, cominciò a sbucciarle e
a offrirle ai bambini e intonò una canzone. I bambini iniziarono a ballare, a
cantare a divertirsi... In quel momento ho colto con lo sguardo, focalizzato, i loro visi che ritraevano una serenità allo stato puro. Quell’arancia per
loro era simbolo di ricchezza... ed io
in quel momento mi vergognai di tutte
le volte che mi sono lamentata perché
qualcosa mi mancava nella vita.
E anche se arrivo dal nord del Mediterraneo e anche se veniamo considerati molto aperti calorosi, se confrontati a quella popolazione risultiamo in realtà molto freddi. Credo
che quel viaggio mi abbia in qualche
modo modificato il cuore, toccato alcune corde che poi hanno continuato a
vibrare su quella frequenza... mi hanno arricchita”.
Secondo te viviamo in una società triste ?
“Vedo molte persone tristi, magari
anche senza un reale motivo, magari
perché c’è questa quasi moda del lamento che ci ha letteralmente contagiati. Qualcuno si è lamentato prima
di noi e noi non abbiamo fatto altro
che accodarci.... piombando in un circolo vizioso.
Viviamo, indubbiamente, in un
mondo difficile e ciascuno di noi deve
trovare un modo per restare in piedi, per rimanere in qualche modo saldo dentro la propria vita. Le persone
confondono molto spesso la vita con
il mondo, ma non è la stessa cosa. Il
mondo è difficile, ma è una realtà. Ma
l’importanza della vita, del nostro percorso personale, di ciò che noi apprendiamo è ben separato dal mondo in
quanto tale. La nostra vita, il suo esito dipende molto da noi, da come ci poniamo di fronte alle sfide.
Indubbiamente viviamo in una società in cui è sempre più difficile condividere un momento di felicità, sembra che nessuno abbia voglia di farlo.
Preferiscono nascondersi nella propria nuvoletta di tristezza o di lamento
o anche di noia o di inerzia”. Che cosa fai oltre a scrivere?
“Lavoro presso l’Assessorato alla
cultura della Regione Istriana. Prima
ho lavorato presso il Gabinetto del Presidente ed ero segretaria dei Vice presidenti italiani. Per statuto la Regione
Istria ha uno dei due vicepresidenti di
nazionalità italiana ed io ero la segretaria. Ora da alcuni anni lavoro presso
l’Assessorato alla cultura. È un lavoro dinamico che mi mette in contatto
con tutti i settori del mondo culturale
dell’Istria ed è molto impegnativo. Ci
sono tante cose da seguire... concorsi,
manifestazioni, eventi. Credo sia un
buon esercizio mentale...
La lettura, la scrittura e sicuramente lo studio sono per me un ripo-
Interviste
so dal lavoro. Quando arrivo a casa
sento il bisogno di fare una cosa diversa. Collaboro con il Museo civico
di Umago, abbiamo fatto assieme dei
progetti, sono appassionata di tante
cose... soprattutto di storia delle civiltà, viaggi. Per scrivere bisogna sapere tante cose, devi conoscere un po’
tutto... avere uno sguardo olistico su
tutto. Per dirti mi interesso anche di
fisica quantistica. Mi affascina tutto quello che può spiegare ciò che i
nostri sensi non percepiscono, quello che va oltre la nostra vista. La vita
per me è una continua e grande ricerca che non deve finire mai perché noi
non siamo mai completi e non siamo
mai ad un punto in cui ci si può fermare. La ricerca deve andare avanti
per tutta la vita”.
Si dice che l’Istria sia un’area in
cui si vive d’amore e d’accordo in
cui la multiculturalità sia uno dei
valori più importanti e condivisi...
Tu la percepisci così?
“La sento perché sono fatta così.
Questo mio primo libro è scritto in italiano perché è la mia lingua
d’espressione. Però non scrivo solo
degli italiani, scrivo di tutto il mio
mondo e sono una persona che parla
che si confronta, che si relaziona con
appartenenti alle varie etnie. Io sono
nata e cresciuta in un’area trilingue, a
Castelvenere, dove vivono croati, italiani e sloveni. Nella nostra compagnia.io parlavo italiano, alcuni miei
amici lo sloveno, gli altri il croato...
e siamo cresciuti così, tutti assieme, senza aver bisogno di traduttori.
Io sono multiculturale
Per me questo è uno stato naturale delle cose. Io sono una creatura multiculturale, multilingue e multietnica. Anche se io mi sento italiana
dentro di me non c’è solo l’italianità,
ma tutto uno spettro di altre etnie e
dialetti. Quello poi di cui mi sto accorgendo in realtà è che siamo ancora
lontani da una vera convivenza. Esiste la tolleranza; ma tolleranza è una
parola che non mi piace perché sottintende che tu debba tollerare qualche cosa che magari non ti convince.
Oserei dire che la tendenza è quella
di chiuderci tra di noi... nel senso che
gli italiani stanno con gli italiani, gli
sloveni con gli sloveni, non c’è ancora un’osmosi, una compenetrazione
tra queste culture. Non riesco a indi-
viduare i segni tangibili di una naturale curiosità degli uni per gli altri, la
partecipazione che uno può dimostrare per la vita culturale dell’altro. Non
posso negare che qualche segnale positivo c’è... ma c’è ancora tanta strada
da percorrere”.
L’ingresso nell’Unione europea
ci cambierà?
“Ogni volta che c’è una nuova situazione politica c’è parecchia aspettativa. C’è sempre un primo grande
entusiasmo che poi magari affievolisce con il tempo. Per noi è importante la consapevolezza che il confine fisico verrà tolto. Una grande cosa, un
premio, ma per il resto credo che non
bisogna farsi delle illusioni e non ci
si deve aspettare la manna dal cielo.
Credo che bisognerà lavorare molto e gli istriani ne sono consapevoli,
non vivono sulle nuvole. Penso che
in questo momento sia importante
che ciascuno di noi continui a lavorare sodo, a stare saldo nella propria
realtà e ad avere autodisciplina: con
il lavoro, con i soldi con tutte le altre cose”.
Nei tuoi racconti affronti spesso
il problema del conflitto tra il bene
e il male. Possiamo capire che cos’è
per te il bene e cos’è il male?
“Il conflitto tra il bene e il male è
un argomento che è presente in ciò
che scrivo. Il bene e il male sono
due entità presenti entrambe dentro
di noi. Il male nasce quando l’uomo
non vuole o non conosce bene se stes-
so e si fa intrappolare dalla paura e
dal dubbio. Se sei vivo è quasi inevitabile avere paura, noi tutti abbiamo paura. Però fermarsi lungo il proprio percorso solo perché si ha paura di qualche novità, non è certo un
bene. Continuare a vivere nella paura senza affrontarla non va bene. Ed
è lì che si forma in realtà il male, quel
male che noi facciamo a noi stessi. Lo
dico sempre: io riesco a star male per
un massimo di 45 minuti, poi mi concentro, vado fino in fondo al pozzo e
guardo in faccia a ciò che mi fa star
male. Se è una rottura, una perdita, un
litigio, una cosa che mi ha colpito...
ho bisogno di affrontarla, capirla. A
quel punto la paura non esiste più.
Quello che noto tra i giovani di
oggi è un gran parlare, un filosofare..
un continuo inviare messaggi SMS.
Però c’è poca azione, si rimane lì,
ciascuno con il proprio pensiero di
un qualche cosa che potrebbe essere, ma che rimane irrisolto, campato per aria, indefinito. Io, al contrario,
sono una persona che ha bisogno di
fare... magari di sbagliare, ma che ha
bisogno di affrontare, capire, toccare le cose con mano, trovare delle risposte. Le risposte sono tutte dentro
di noi. Il più delle volte però non si
ha la forza di trovarle, di pescarle. E allora le risposte continuano a rimanere nascoste, ma non sono dall’altra
parte del mondo, non sono su Marte
e nemmeno in una banca Svizzera...
sono tutte dentro di noi”.●
Panorama 19
La storia oggi
L’ultimo libro di Stelio Spadaro propone un nuovo punto di vista
Area adriatica: non solo nette contr
di Fulvio Salimbeni
P
er molto tempo trattare della storia del confine orientale significava essenzialmente parlarne
in una prospettiva politica, diplomatica e militare, incentrata in prevalenza sul secondo conflitto mondiale e
sull’immediato dopoguerra. Da qualche tempo, però, la situazione è venuta modificandosi, perché ha assunto un rilievo crescente la componente
culturale e civile e lo sguardo è venuto ampliandosi alle premesse ottocentesche della tragedia adriatica, tenendo conto anche del contesto internazionale, come in questa sede s’è già
rilevato. Buona parte del merito di
tutto ciò va attribuita a uno studioso
appartato, che non ama le luci della
ribalta mediatica, sia come uomo politico sia come ricercatore impegnatosi a fondo per affermare un modo
più sereno ed equilibrato di discutere delle scottanti questioni della storia contemporanea dell’area giuliano-dalmata. Stelio Spadaro, piranese
d’origine, partecipe con la famiglia
della diaspora postbellica a Trieste,
dov’è stato docente di storia e filosofia nei licei e dirigente del PCI prima e del PDS e dei DS poi, sin dagli
anni Ottanta, infatti, ha impostato in
termini nuovi il discorso storico cit-
20 Panorama
tadino e regionale, già come assessore alla cultura della Provincia avendo
varato una pregevole collana di monografie sull’apporto culturale delle
singole comunità nazionali alla vita
spirituale triestina, mettendone in
luce la ricchezza e complessità, intervenendo su tali temi pure in riviste locali come “Il Territorio”. A lui, inoltre, si deve l’avvio d’un coraggioso
processo d’autocritica all’interno del
partito comunista rispetto ai silenzi e
alle omissioni del passato in merito
alla vicenda delle foibe e dell’esodo,
preparando pure il terreno al famoso
incontro triestino del 1997 tra Fini e
Violante, che ha segnato una svolta
nella vita politica locale e nazionale,
e patrocinando l’innovativa ricerca di
Patrick Karlsen su Frontiera rossa.
Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale, 1941-1955 (LEG,
2010). A ciò si devono aggiungere i
volumi da lui curati, che hanno fatto
spirare aria nuova nel dibattito storiografico giuliano, e non solo tale, L’altra questione di Trieste. Voci italiane
della cultura civile giuliana, 19431955 (con P. Karlsen, LEG, 2006),
La cultura civile della Venezia Giulia. Un’antologia, 1905-2005: voci di
intellettuali giuliani al Paese (LEG,
2008) e L’europeismo nella cultura
giuliana. Un’antologia, 1906-1959
(con L. Nuovo, LEG, 2011), mentre
le sue riflessioni in materia sono affidate alle pagine di L’ultimo colpo di
bora. Una sinistra riformista a Trieste (LEG, 2009), che raccolgono l’intervista fattagli da Patrick Karlsen e
Lorenzo Nuovo. A questi numerosi
testi, risultato anche della collaborazione con l’Associazione Volontari
della Libertà di Trieste - guidata da un
benemerito patriota come Fabio Forti, tra i protagonisti dell’insurrezione
cittadina del 30 aprile 1945 contro gli
occupanti tedeschi per liberare autonomamente il capoluogo giuliano
prima della “liberazione” jugoslava,
a lungo battutosi quasi da solo contro
l’assordante silenzio calato su quella
vicenda, che disturbava le ricostruzioni ufficiali degli eventi conclusivi
della guerra -, s’aggiunge ora Gli ita-
liani dell’Adriatico orientale. Esperienze politiche e cultura civile (con
L. Nuovo, LEG, 2012), che propone
un ulteriore punto di vista nel discorso storico in materia.
Per troppo tempo, infatti, l’impressione che s’aveva, seguendo il
dibattito, fortemente ideologizzato e
impostato in termini nazionalistici, di
qua e di là dal confine relativamente
allo scontro che ha segnato in profondità le popolazioni locali nella prima
metà del XX secolo, era quella d’una
contrapposizione frontale tra opposti estremismi, quello italiano fascista contro quello jugoslavo comunista, senza posizioni mediane, democratiche e disponibili al confronto
con la controparte. Il nuovo contributo fornito da Spadaro, che s’articola in nove sostanziosi e ampi capitoli, oltre alla presentazione del Forti,
alla prefazione dei curatori, un vero e
proprio saggio d’inquadramento generale, e a una postfazione di Roberto Dedenaro, significativamente intitolata Potersi sentire italiani. Un percorso nell’identità italiana di Trieste,
che, peraltro, non ha alcuna connotazione esclusivista o antagonista - per
un totale di 334 pagine -, mostra, invece, che la realtà era più ricca, sfumata e articolata di quanto un tempo per ragioni di comodo si volesse
La storia oggi
nel discorso storico
apposizioni
far credere. Il volume, infatti, dedicato ai presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno sostenuto l’ideazione
e attuazione della Giornata del Ricordo, è strutturato in tre parti, dedicate
rispettivamente ai partiti politici, alle
esperienze politiche e all’antifascismo democratico.
La prima sezione comprende il
puntuale e documentato contributo di
Ezio Giuricin (già apparso nei “Quaderni” del 2010 del Centro di ricerche storiche di Rovigno), spaziante
sull’ideologicamente ed etnicamente
tormentato e complicato scenario della finis Austriae, su Socialismo istriano e questione nazionale. Le idee e le
concezioni sulla questione nazionale
degli esponenti istriani della Sezione
italiana adriatica del Partito operaio
socialdemocratico d’Austria, e quelli di Fabio Todero, con Diego Redivo uno dei migliori studiosi attuali
dell’irredentismo adriatico, Appunti
per una storia dei repubblicani della Venezia Giulia tra questione sociale e questione nazionale, 1906-1922,
che, allargandone fruttuosamente gli
orizzonti, conferma e convalida i risultati della recente indagine di Roberto Spazzali su Pola operaia, 18561947: i Dorigo a Pola. Una storia familiare tra socialismo mazziniano e
austro-marxismo (Circolo di cultura istro-veneta “Istria”, 2010), e di
Chiara Vigini - da poco divenuta direttrice della “Nuova Voce Giuliana”,
cui da subito ha saputo dare un nuovo tono e respiro - Le sezioni del Partito Popolare in Istria dalle pagine
di “Vita Nuova”, 1920-1922. La seconda è costituita dagli interventi di
Patrizia C. Hansen - da anni alla guida della “Difesa Adriatica” - Fiume.
Appunti di storia (in cui largo spazio è concesso alla tradizione autonomista, senza privilegiare l’impresa
dannunziana, che usualmente, allorché si parla del capoluogo del Quarnero, polarizza l’interesse generale),
di Federico Imperato, Liberalismo e
socialismo nella storia degli italiani
di Dalmazia. Dal Risorgimento al fascismo, che richiama l’attenzione su
Carri armati titini arrivano a Trieste
una regione di solito trascurata, se non
proprio ignorata, al contrario di quanto normalmente accade per Trieste e
l’Istria, e di Paolo Radivo, Le elezioni comunali del 1922 in Istria, segnate e condizionate dallo scatenarsi della
violenza fascista. La terza, infine, propone le figure di Gabriele Foschiatti
e Carlo Schiffrer nella tradizione di
pensiero del patriottismo democratico
a Trieste, trattate con la nota competenza da Anna Millo (che, tra l’altro,
sul contrapposto versante nazionalista
s’era già occupata di Attilio Tamaro e
che nel 2011, per i tipi della triestina
“Svevo”, ha dato alle stampe La difficile intesa. Roma e Trieste nella questione giuliana, 1945-1954), l’accurata ricostruzione di Guido Rumici - che
per l’ANVGD goriziana ha appena
pubblicato Mosaico dalmata. Storie
di dalmati italiani - de La Resistenza patriottica italiana in Istria, affatto solo slovena e croata e comunista, e
il profilo di Manlio Malabotta scrittore, collezionista, antifascista, dovuto a
quella valente storica che è Diana De
Rosa, che ne pubblica anche delle pagine autobiografiche inedite.
Già l’elenco dei titoli e degli autori, che rappresentano il meglio della nuova storiografia contemporaneista giuliana, dà un’idea della qualità
dell’opera, che pone in ulteriore evidenza quanto Stelio Spadaro e i suoi
collaboratori avevano documentato
nelle sillogi precedenti, che cioè nella Venezia Giulia non v’erano solo italiani fascisti e/o comunisti in drastica
e radicale contrapposizione, ma pure
una significativa e rilevante compo-
nente intermedia e aperta al dialogo, capace di tenere nel debito conto pure le ragioni di sloveni e croati compresenti nel territorio e collegata al più avanzato dibattito politico
internazionale e italiano, tutt’altro,
quindi, che marginale e periferica.
Quest’anno, del resto, ricorre il centenario d’un classico, l’Irredentismo
adriatico di Angelo Vivante, voce tra
le maggiori di tale orientamento, che
si connota come una delle letture più
intelligenti e critiche della situazione
triestina d’inizio Novecento e delle
sue contraddizioni tra interessi economici e inclinazioni nazionali, che
va tuttora tenuta presente se si vuole intendere l’aggrovigliata e contrastata storia di queste terre, mentre
l’anno scorso cadeva il cinquantenario della scomparsa di Giani Stuparich, fervente mazziniano, non solo
grande scrittore, ma in gioventù, prima d’essere costretto al ripiegamento sul versante solo letterario dall’affermarsi del regime fascista, attento
analista del risveglio del mondo slavo, in particolare de La nazione ceca,
come titola il suo volume uscito, nella seconda e definitiva edizione, nel
1922. Sono queste le figure e le correnti significative del pensiero politico giuliano cui ritornare e da valorizzare nell’orizzonte europeo in cui
oggi ci si muove e opera, scomparsi,
o sul punto di cadere, i confini con gli
stati balcanici, ragion per cui si deve
essere grati ai curatori e all’editore
del volume, che hanno ridato visibilità a un mondo ingiustamente troppo
a lungo dimenticato o rimosso.●
Panorama 21
Psicologia
La disumanizzazione e colpevolizzazione della vittima
Non sono veri uomini come noi: p
di Denis Stefan
P
er concludere la serie di interventi dedicati alla teoria del disimpegno morale di Albert Bandura rimane da illustrarne gli ultimi due
meccanismi che operano sui destinatari di atti lesivi, ossia le vittime. Si tratta
della disumanizzazione della vittima e
dell’attribuzione di colpa o colpevolizzazione. Come vedremo più avanti, soprattutto il secondo dei due meccanismi
ha spesso nei loro confronti delle conseguenze deleterie sul piano psicologico.
Dalla disumanizzazione...
La disumanizzazione della vittima
è una ben nota tecnica messa in atto
per ridurre al silenzio la potenziale indignazione morale interna e consiste
nel ritenere la vittima un essere subumano che si può trattare in maniera
violenta senza sentire il peso del male
che si infligge ad un proprio simile.
Facendo in questo modo, atti moralmente ripugnanti non sono neanche
negati ma diventano irrilevanti, non
contano, o sono addirittura interpretati come comportamenti moralmente
auspicabili, perché i criteri morali non
sono applicabili alle vittime.
Coloro che commettono violenze
morali sono liberati dal fardello delle responsabilità e della pietà attraverso la redifinizione delle vittime come
persone non-umane, o umane in una
misura assolutamente inconsiderevole. La storia ci ha fatto conoscere diversi casi in cui i nemici venivano disumanizzati, succedeva praticamente
in tutte le guerre, da quelle del lontano
passato, fino a raggiungere i massimi
livelli nella storia moderna e contemporanea, in cui i colonizzatori dichiaravano le popolazioni indigene come degli esseri simil-umani per giustificare
la loro schiavizzazione; in particolare
sono rimaste impresse nella memoria
storica le campagne di propaganda dei
regimi totalitari, tese a rendere la gente
insensibile alle sofferenze e ad accettare senza particolari rimorsi gli stermini di massa, preceduti ed accompagnati sempre da un’opera di disumanizzazione delle vittime designate. Signifi-
22 Panorama
cativa a proposito è una citazione del
romanziere pacifista Aldous Huxley:
“quando si pensa a uomini e donne
particolari semplicemente come a rappresentanti di una classe, che è stata in
precedenza definita come il ‘male’,...
allora la ripugnanza che si prova a ferire o ad uccidere scompare. Brown,
Jones e Robinson non vengono considerati Brown, Jones e Robinson,
ma come eretici, gentili, ebrei, negri,
barboni, unni, comunisti, capitalisti,
fascisti, liberali, chiunque essi siano. Quando si sentono i loro nomi, e
vengono associati alla classe detestata
a cui i nomi si applicano, Brown, Jones e Robinson non vengono più considerati ciò che realmente sono - vale
a dire esseri umani - e diventano, per
coloro che usano questo linguaggio
fatalmente improprio, semplici vermi,
Spesso le vittime si sentono corresponsabili delle violenze subite
o peggio, demoni che è giusto e necessario distruggere”.
Dalla frase citata possiamo intuire che la disumanizzazione della vittima sarà più presente ed usata quale meccanismo di disimpegno morale
all’interno di condizioni sociali in cui
abbondano i pregiudizi che si trasformeranno molto facilmente in atti discriminatori violenti proprio perché
accettando e fomentando tali pregiudizi la società finirà inevitabilmente
per fomentare atti lesivi giustificandoli a priori in quanto i destinatari sono comunque considerati esseri
spregevoli e nocivi, poiché immorali,
parassiti, malvagi.
... alla colpevolizzazione
L’attribuzione di colpa alla vittima,
o la sua colpevolizzazione, meccanismo altrettanto noto del precedente, si
manifesta ogni volta che l’aggressore
attribuisce alla vittima la responsabilità integrale o parziale, di quanto successo adducendo a discolpa frasi come
“mi ha provocato”, “se l’è cercata”,
“non potevo tollerare che” e quant’altro. Considerata l’attribuzione di colpa alla vittima in senso più esteso, si
nota che gli stati o gruppi aggressori giustificano gli attacchi sostenendo che gli stati o gruppi meta dell’aggressione abbiano commesso, o stiano preparando azioni che sarebbero
estremamente nocive e quindi vanno
fermati ad ogni costo intraprendendo
così “guerre preventive”, a beneficio,
manco a dirlo, di tutta l’umanità. Nel
quotidiano tale attribuzione di colpa è
onnipresente nella violenza familiare,
bullismo, mobbing, pedofilia e violenza a minori, reati a sfondo sessuale.
Spesso riteniamo che se qualcuno abbia subito una situazione spiacevole in qualche modo se lo è meritato. Si tratta di un modo di pensare legato ad una credenza metafisica
che ritiene il mondo sostanzialmente
giusto ed equo, per cui è difficile immaginare che qualcuno possa soffrire
da innocente. Proprio questo modo di
pensare, presente quindi anche nelle
vittime, come negli osservatori passivi delle violenze, è quello che finisce per avere effetti psicologicamente
deleteri. L’aggressore si autoconvince
di aver fatto bene, ma anche la vittima inizia a pensare di avere realmente
commesso qualcosa che abbia indotto l’aggressore ad agire in modo violento e quindi a meritarsi le punizioni.
Si tratta di pensieri del tipo “forse non
sono una buona moglie” o “sono davvero un bambino cattivo e mi merito
le punizioni”.
Non riesce difficile immaginare
che tale modo di pensare innesca un
circolo vizioso accompagnato da stati
depressivi che impedisce alla vittima
di denunciare le violenze e la mette in
sottomissione permanente all’aggres-
Psicologia
passaggio obbligato nel processo di disimpegno morale
ossiamo umiliarli quanto vogliamo
sore, che continua ad immedesimarsi nel ruolo di giustiziere colpevolizzandola ed aggiungendoci il meccanismo - di cui negli interventi precedenti
- della giustificazione morale (“lo faccio per il suo bene”). Negli osservatori passivi invece agisce in parte la colpevolizzazione della vittima, a volte
usata pure dagli avvocati difensori in
tribunale che cercano sempre in quale modo essa avrebbe potuto suscitare
reazioni violente, modo in cui spesso
operano anche i media, unita alla diffusione della responsabilità nel senso
che a notare le violenze sono in tanti.
Come agire per evitare gli effetti
nocivi del disimpegno morale con cui
giustifichiamo il male fatto ad altri,
pur di non farlo a se stessi risentendo
del fatto di aver infranto le norme morali internalizzate e adducendo a propria discolpa argomenti ingannevoli?
Secondo il modello triadico del determinismo reciproco di Bandura, in
precedenza illustrato, i meccanismi
del disimpegno morale, chiamati da
alcuni anche tecniche di neutralizzazione morale, si cementano nelle persone nella reciproca interazione di fattori personologici, fattori dipendenti
dalle azioni della persona (condotta) e
dai riscontri dell’ambiente sociale (famiglia, scuola, società, cultura, ecc.)
che nella visione tardocomportamentista rappresentano il rinforzo, ovvero ciò che può influire sulla probabilità che determinati comportamenti si
ripetano e diventino degli schemi fissi,
oppure si estinguano.
Una volta che gli è stato istillato il senso della sua “superiorità” o la “disumanità” delle sue vittime, il “più normale” ragazzo di Haifa o Tel Aviv sarà
pronto a puntare un fucile contro esseri inermi quali donne o bambini
I meccanismi di disimpegno morale non devono diventare modelli
universali ed accettati di condotta e
questo fine si può raggiungere unicamente se gli educatori, in primis i genitori e poi tutti gli altri che si occupano dell’educazione delle persone in
età infantile e giovanile, sapranno innanzitutto riconoscere le situazioni in
cui i destinatari del processo educativo mettono in atto il disimpegno morale. Una volta capito che le giustificazioni di comportamenti deplorevoli
risultano essere evidenti meccanismi
di neutralizzazione sarà compito degli
educatori di impedire che la cosa si ri-
I meccanismi di disimpegno morale qui trattati
- giustificazione morale - “il comportamento è giusto perché il fine è giusto”
- confronto vantaggioso - “altri fanno molto peggio”
- etichettamento eufemistico - “era solo uno scherzo”
- minimizzazione-negazione del danno - “non gli ho fatto niente: gli ho detto
solo/gli ho fatto solo…”
- disumanizzazione della vittima - “è un depravato, deficiente, bestia,
pervertito”
- colpevolizzazione della vittima - “l’ha voluto lui, se l’è proprio cercata”
- diffusione delle responsabilità - “l’hanno fatto tutti”, “non ero il solo”,
“è stato perché ero con loro”
- dislocazione delle responsabilità - “è stato il capo, ho soltanto obbedito”.
peta facendo capire ai bambini che le
loro “scuse” sono vane ed ingannevoli, ed elogiandoli quando mostrino di
aver capito che gli atti immorali non
vanno commessi. Si dovrà quindi costruire un “sistema di valori” per ridurre al minimo i livelli di disimpegno ed a portare al massimo il senso
di responsabilità individuale. Parecchie ricerche in varie parti del mondo
hanno mostrato:
- che i giovani che tendono a manifestare comportamenti devianti hanno
un alto livello di disimpegno morale
- che i meccanismi messi in atto
più spesso di altri dipendono in larga
misura dal fatto che l’ambiente sociale
di provenienza li accetta.
A livello di società è chiaro che il
pluralismo politico e la tolleranza sollecitano la messa in discussione di
compromessi morali sospetti. Per far
rientrare le loro azioni in un contesto
di umanità, le società devono dotarsi di
argini collettivi efficaci contro l’abuso
del potere istituzionale finalizzato alla
manipolazione ed alla cancellazione
dell’individualità. Tutto deve essere
organizzato in modo tale da rendere il
più difficoltoso possibile per ciascuno
di noi il disimpegno sul piano morale
ed umano. ●
(4 - fine)
Panorama 23
Cinema e dintorni
The Lady, di Luc Bresson, dedicato alla donna che si è opposta ai
La tremenda scelta di vita di Aung
di Gianfranco Sodomaco
da tanti anni che, a intervalli
più o meno regolari, vediamo al
telegiornale quella “lady”, quella signora minuta dagli occhi a mandorla, dall’età apparentemente immutabile che, in modo non violento, lotta da sola, da venticinque anni, contro
il governo militare, dittatoriale del suo
paese: lo stato di Myanmar, la Birmania. Sicuramente una delle più toccanti e ammirevoli fonti d’ispirazione politica ed umana degli ultimi decenni,
impossibile, ormai, non ricordarne il
nome, Aung San Suu Kyi e, ogni volta, chiedersi (per poi dimenticarselo),
fuori discussione il senso di ammirazione per tanto coraggio e tanta costanza, come è nata quella storia, da
dove è saltata fuori quella donna e...
come andrà a finire, perché non è fini-
È
Aung San Suu Kyi (Michelle Yeoh) sul set del film “The Lady” insieme
al regista francese Luc Besson
ta (più che eloquenti a proposito i dati
delle elezioni del primo aprile).
Bene, finalmente, grazie ad un bellissimo film, ora ne sappiamo di più,
molto di più di The Lady. Così infatti
i suoi compatrioti hanno incominciato
a chiamarla, per paura di pronunciare
il suo vero nome, talmente selvaggia è
stata per decenni la repressione in quel
paese, così infatti si intitola l’opera che
il regista Luc Besson (sì, quello di tanti film d’azione come “Nikita”, 1990 “Leon”, 1994 - “Il quinto elemento”,
1997 - “Adele e l’enigma del faraone”
2010), dopo quattro anni di lavoro, ha
dedicato a questa autentica eroina dei
diritti umani che, tra l’altro, nel 1991,
lei prigioniera in patria, ha ottenuto il
premio Nobel per la Pace.
Dice il regista: “Ho letto la sceneggiatura (della scrittrice Rebecca
Frayn) in due ore, ho pianto, e ho det-
Agli arresti domiciliari nella casa paterna
24 Panorama
to subito sì, lo giro!” E subito ha voluto, come protagonista, per somiglianza fisica, bravura professionale e rara
sensibilità, la cinese Michelle Yeoh,
l’indimenticabile interprete di “Memorie di una geisha” (2005).
La vicenda ha dell’incredibile per
l’alternarsi drammatico di situazioni
e, nello stesso tempo, per la sicurezza e la pacatezza, non senza indicibili dolori, con le quali San Suu Kyi le
affronta. Il tutto parte dagli anni ‘40,
dall’assassinio del padre/generale
Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, quando Suu aveva
due anni e subito inviata a vivere e a
studiare in Inghilterra. Qui Suu trascorre tutta la sua infanzia e giovinezza, fino a sposare Michael Aris (David
Thewlis), professore universitario di
“storia orientale” all’Università di Oxford. Arriviamo al 1988, quando il po-
Davanti al plotone di esecuzione che però non spara
Cinema e dintorni
generali birmani
San Suu Kyi
polo birmano insorge contro la giunta militare. Ebbene, in quel “fatidico”
anno, Suu decide di tornare nel paese
natale e subito inizia il suo lungo, paziente, diretto scontro con il potere assoluto dei generali. A questo punto il
regista, Luc Besson, con buona intuizione cinematografica e con tutto il
mestiere che ha alle spalle, decide di
continuare a raccontare la storia attra- La “vera” Aung San Suu Kyi parla a migliaia di sostenitori dal giardino
verso ‘gli occhi’ del marito (e dei due
della sua casa dopo essere stata rilasciata il 14 luglio 1995
figli) che, malato di cancro (potrà vivere, al massimo, ancora cinque anni), entrata), non ha visto morire il marito liare e patriottico, sconfinato, da una
seguirà e condividerà in tutto e per tut- (anche se il marito è riuscito ad andare vocazione ‘democratica’ molto ingleto la vicenda della moglie. Da qui in cinque volte in Birmania) e crescere i se (il marito Michael) ma anche molpoi c’è solo l’imbarazzo della scelta figli (che ad un certo punto hanno ca- to “femminile” (e vengono alla mente, con Suu, le tante donne,
nell’individuare e scegliere
le tante scrittrici, ad esempio
gli episodi, tragici e commomusulmane, che, a contatto
venti insieme, che contradcon il pensiero e la tradiziodistinguono questa “incredine occidentale, difendono
bile” avventura umana. Ne
oggi con le loro opere i diricordiamo alcuni, ma sono
ritti umani). Che Besson ha
un’infinità: la rabbia dei fifatto, esteticamente, un film
gli adolescenti verso la matradizionale (qualcuno addre che sceglie di non tordirittura ha parlato di melonare a casa; lei che impara
dramma), ma non per soda fare campagna elettorale
disfare i gusti massificati di
sulle montagne per coinvolgere tutto il popolo; il marito Impedita di ritirare (1991) il Nobel per la Pace, al suo un pubblico indifferenziato,
che impara a stirare; lei che posto si sono presentati i figli Alexander (Jonathan piuttosto perché, ancora una
mangia una ciotola di riso Woodhouse) e Kim (Jonathan Raggett) ed il marito volta con sagacia, ha intuito che la vicenda (ancora in
in macchina e lui che cuciMichael (David Thewlis)
atto) non andava caricata da
na una “colla” di riso per il
pranzo; lui che va a ritirare il premio pito la scelta tremenda tra “famiglia e sovrastrutture sperimentali, che essa,
Nobel, la sedia vuota, e il figlio mag- patria”) e, oggi, dopo mille traversie, se rispettata, avrebbe parlato da sé,
giore che legge il saluto della madre, è ancora lì a continuare la lotta di li- che “orchidea d’acciaio” (uno dei sola sala che applaude in piedi e lei che berazione iniziata dal padre più di cin- prannomi dati a Suu per quel fiore che
ha sempre portato tra i capelli, dietro
ascolta, da lontano, con una piccola ra- quant’anni fa.
Che dire ancora? Che mai si sareb- l’orecchio, dopo che il padre, per pridio, nella grande casa paterna, sola, reclusa, agli arresti domiciliari; la morte, be immaginato che un regista come mo, glielo aveva infilato da bambina)
straziante, della madre. E poi una sce- Luc Besson avrebbe girato un film sarebbe arrivata alla mente e al cuore
na “simbolica”, indimenticabile (vista come “The Lady”; che la cosa ha del del pubblico immediatamente: è così,
anche nei trailer, ma non per questo “miracoloso” (e che dunque il cinema infatti, è stato. Dunque chiudendo con
meno significativa): Suu Kyi che da- riserva ancora formidabili sorprese, è Besson: “Non abbiamo citato molvanti al “plotone d’esecuzione”, pron- vivo!); che Besson è stato molto “one- te fonti (riferendosi ai titoli di testa to a spararle, guarda in faccia il mili- sto”: avrebbe potuto calcare molto di n.d.r.) perché sarebbe stato pericoloso
tare e, per un momento chiudendo gli più la mano sugli aspetti spettacolari, per loro, ringrazio di cuore tutti quelocchi, vede la faccia del padre, poi... ad effetto della storia (percosse, stragi, li che mi hanno aiutato nell’impresa.
accada quel che deve accadere: ma il sangue dappertutto ecc.) e invece, si- Sono felice, orgoglioso, umanamente
militare non trova il coraggio di spa- curamente aiutato dalle scuole attoria- fiero di aver fatto questo film”. E si carare, quella donna ha in sé qualcosa di li (orientale ed inglese) dei due inter- pisce, allora, che il film ha insegnato
“divino”, sarebbe come sparare ad un preti, ha intelligentemente capito che molto anche al suo regista, gli ha fatto
una storia del genere poteva nasce- conoscere un mondo che anche lui non
angelo...
Suu non è mai più tornata in Inghil- re soltanto dalla grandezza d’animo conosceva molto. E anche questo è, a
terra (se lo faceva, non sarebbe più ri- dei protagonisti, da un amore, fami- suo modo, un piccolo miracolo...●
Panorama 25
Arte
Nelle chiese, cappelle e conventi del Quarnerino un’eredità in via di rivalutazione
Dominante l’influenza italiana
di Patrizia Venucci Merdžo
1
N
elle chiese, cappelle, conventi di Fiume, Buccari, Portorè,
Castua, Apriano, Laurana,
Moschiena, Fianona, Bersezio e altrove, riposa nel silenzio un’eredità
artistica ormai in via di rivalutazione,
che attesta di un percorso storico regionale particolare, frutto di influenze
culturali e politiche “incrociate”. Tale
patrimonio pittorico della regione,
capoluogo compreso, è stato scientificamente ed esaurientemente trattato
dalla storica dell’arte Nina Kudiš nel
suo libro “Ars sacra“, un documento prezioso che gode ormai di consolidata considerazione da parte degli
studiosi, come pure degli estimatori
di questo genere artistico.
Un ruolo fondamentale, in campo artistico, culturale, architettonico, spirituale ed anche politico, attraverso i secoli, lo ebbero i vari ordini religiosi presenti a Fiume. Gli
Agostiniani, i Cappuccini, i Domenicani, i Gesuiti furono veicolo, tra
l’altro, di artisti ed architetti veneti ed italiani di vaglia. Pensiamo ai
vari Michelazzi, Capovilla, Tasca,
Olivieri, Martinuzzi, Pacassi, Lazzarini, ed altri.
Alla luce dei suoi profondi significati teologici e contenuti umani, particolare sorgente di ispirazio2
26 Panorama
ne e rappresentazione pittorica fu il
periodo liturgico pasquale, che pertanto può offrire all’interesse dello
specialista - o del semplice fedele non pochi e non indifferenti esempi di partecipazione artistica alla vicenda terrena del Cristo.
In queste righe tenteremo di focalizzare l’attenzione dei lettori su
alcuni esempi d’arte legati alla Pasqua, che fanno parte di un repertorio pittorico locale notevolmente più
articolato e vasto.
Dal Rinascimento
toscano...
Già parte della collezione della
famiglia veneziana Barbadicusa - ora
proprietà del Museo fiumano di storia e marineria di Fiume (PPMHP) è la Preghiera nell’Orto degli ulivi
(foto n. 1) segnata da evidenti caratteristiche barocche, la cui patina del
tempo ha tolto splendore al vivace
colorito originale dell’opera. Nella
parte superiore del dipinto domina il
rapporto diagonale tra l’angelo illuminato che offre il calice del fiele,
della Passione, e il Cristo angosciato
che, in drappeggi rosa e turchini, si
rimette alla volontà del Padre. Nella parte inferiore dell’opera, in senso orizzontale, ci sono gli apostoli
dormienti, “avvolti” in un inquieto e
manieristico contrappunto di vesti e
membra teatralmente piegate.
Singolare si rivela Il compianto
sul Cristo (foto n. 2) con la Madonna che sorregge il capo dio Gesù, S.
Giovanni e la Maddalena, per l’evidente influenza del primo rinascimento toscano (in particolare di Piero della Francesca e del Mantegna,
nda) che viene rievocato nella lapidarietà del disegno e nella pregnanza
del colore, dalla chiarezza costruttiva e dagli elementi architettonici e
prospettici; non ultimo il paesaggio
collinare e il modo convenzionale di
rappresentare gli alberi. Il lavoro in
olio su legno (47x35), in buono stato di conservazione, appartiene alla
collezione di antichi dipinti sacri
del Museo di Storia e Marineria di
Fiume. Ricorderemo che nella detta
collezione sono confluiti dipinti che
principalmente appartenevano alle
illustri famiglie dell’Ottocento fiumano quali Nugent, Adamich, Scarpa, Meynier, Catti, Vio e altre.
...al manierismo veneto
Appartiene al tardo rinascimentomanierismo il dipinto Gesù in Croce
(foto n. 3) di anonimo autore veneto,
opera molto singolare e di alto valore artistico che si trova nella chiesa
parrocchiale di Buccari. Particolare
infatti si presenta la composizione
della SS. Trinità con la colomba non
sopra il capo, ma ai piedi del Cristo,
sovrastato dalla figura del Padre. Ai
lati, due angeli in mantelli e tuniche sottilmente increspate. Il pathos
che traspare dai gesti e dagli sguardi
dei protagonisti sono quasi seicenteschi, mentre i volumi e la tridimensionalità dei personaggi, unitamente alla sobria linearità ed essenzialità
del costrutto e alla tavolozza tintorettiana, rimandano al rinascimentomanierismo veneziano.
A Portorè un Luca
Giordano?
Vengono attribuiti nientemeno
che a Luca Giordano Il compianto
sul Cristo e Il fazzoletto della Ve-
Arte
3
4
ronica (foto n. 4), opere di mirabile
fattura che impreziosiscono la Chiesa parrocchiale di Portorè. Un’ipotesi
più realistica indica l’autore dell’opera in un discepolo veneziano di scuola giordanesca. Indiscutibile appare
l’appartenenza dei due lavori, specie
“Il fazzoletto della Veronica” (Veronica, da vera-icona), al tardo
barocco italiano, nella turbolenza del disegno e nei fitti
giochi di chiaroscuri. La
composizione si declina
sulla linea di due diagonali parallele. La
prima parte dall’angolo superiore di
sinistra e divide la
superficie in due,
mentre la diagonale inferiore segue la sagoma
della Madonna
svenuta. Tutta la
scena è animata
da una profonda emozione che conferisce al dipinto un impatto di notevole
drammaticità.
Dipinti tersatticensi
Un ruolo importante nell’ambito della pittura del Convento francescano di Tersatto e in regione, ebbe
lo svizzero (Menzingen) fra Serafino Schon, il quale giunse nel Santuario mariano dopo l’incendio del
1629, probabilmente con il compito di completare l’opera di restauro.
Già pittore esperto - si presume abbia appreso il mestiere a Milano - re-
alizzò i giganteschi dipinti del refettorio, le tre pale d’altare (S. Nicola e santi, S. Caterina e martiri e S. Michele)
e gli affreschi del claustro conventuale
- trenta lunette sotto le volte del por-
ticato - che rappresentano i momenti
salienti della vita terrena della Vergine
e del Cristo: dalla nascita all’Assunzione della Madonna, dal Natale alla
Risurrezione di Gesù. Sono legate al
periodo quaresimale e pasquale La
Via Crucis/ Cristo incontra la madre,
Crocefissione, Deposizione/Pianto sul
Cristo, Deposizione nel sepolcro e Apparizione del Cristo risorto alla Madonna (foto n. 5), nella sua casa.
Quest’ultimo affresco si presenta interessante per una serie di motivi, primo tra i quali l’iconografia
di Gesù che è identica a quella del
Cristo nel tradizionale motivo della
discesa nel limbo. Secondo un’interpretazione leggendaria, il Cristo
dopo la Risurrezione sarebbe disceso nel limbo e quindi avrebbe annunciato alla Vergine, tramite l’arcangelo Gabriele, appunto, la sua Risurrezione. Particolare si presenta
nel dipinto, la contrazione
di due motivi. Il primo,
a sinistra, con la finestra della casa della
Madonna attraverso la quale appare in lontananza il Risorto che
aleggia sul sepolcro, e quindi l’apparizione del Cristo
alla Vergine.
Questa doppia presen5
za di Gesù
risorto nello
stesso dipinto, rimanda alla convenzione iconografica medievale, mentre il Cristo che lievita sulla tomba
richiama il Tintoretto.
Il ciclo di affreschi di fra Serafino
Schon dedicato alla Vergine e al Cristo, costituisce un insieme narrativo
chiaro e coerente che parla in maniera eloquente delle modalità e iconografia rappresentative della pittura
del Seicento, ed in particolare della
pittura murale di un ambiente specifico quale il chiostro di quello specifico luogo di devozione popolare che
è il Santuario mariano di Tersatto.●
Panorama 27
Anniversari nell’arte
Esposti quadri e «modellini» frutto della passione di Giulio Ruzzier
Rivive il mito della Parenzana
di Mario Simonovich
H
a cominciato lo scorso dicembre costruendo in circa quindici giorni la prima locomotiva in miniatura. Poi ne ha costruito una seconda, più grande e di altro
tipo e due vagoni.
Questi i termini con cui Giulio
Ruzzier ha sintetizzato una delle due
categorie essenziali con cui si è presentato al giudizio dei connazionali
e del pubblico in genere all’Auditorium di Portorose. L’altra sono stati
i suoi quadri. Comune alle due categorie il tema: la Parenzana, la - si direbbe quasi mitica - ferrovia a scartamento ridotto che per quasi tre decenni e mezzo ha unito Trieste a Buie
e Parenzo. Più vecchia la genesi di
questa seconda categoria. Ha iniziato i primi quadri tre-quattro anni fa
riproducendo l’immagine della stazione di Santa Lucia che meglio conosceva ed a cui era maggiormente
legato. Ha continuato riproducendo
tutte le altre, i viadotti i ponti, il tracciato. Uno degli ostacoli maggiori
nell’opera è derivato dalle difficoltà
di reperimento delle immagini, sic-
Giulio Ruzzier alla cerimonia di inaugurazione all’Auditorio di Portorose
ché è ricorso a vecchie cartoline, libri
d’epoca e all’aiuto del computer. In
taluni casi l’opera è stata resa più difficoltosa dal fatto che talune stazioni
sono state demolite, sicché si è recato sul posto per identificare le fondamenta ed effettuate i dovuti controlli. L’unica di cui non esiste più alcuna traccia è proprio quella di Santa
Lucia che, ha detto con rimpianto,
vorrebbe fosse degnamente ricordata: “Bisognerebbe fare qualcosa per
ricordare questa stazione”. Egli stesso ritiene di poter offrire un progetto
ideale in cui coinvolgere il comune,
le comunità locali e le persone competenti, che si potrebbe realizzare in
breve tempo, senza troppa spesa e
con benefici anche per il turismo.
I dipinti, frutto anche della sua
pluriennale frequentazione della
sezione artistica preso la Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini”
di Pirano, presentano scorci salienti della linea, in primo piano ovviamente le stazioni raffiguranti quasi
tutte le stazioni. Oggi, come detto,
in gran parte demolite o ingloba-
N
ato a Portorose nel 1940, Giulio Ruzzier frequenta le scuole italiane nella cittadina natia e
poi a Pirano mostrando fin da piccolo una grande passione per il disegno. Indotto da motivi di indole
economica a frequentare la scuola apprendisti di Isola si qualifica
meccanico, professione che svolgerà al cantiere navale di Pirano
e in altre aziende fino alla pensione. Il “momento giusto” arriva un
paio d’anni fa quando la CI “Giuseppe Tartini” organizza un corso
di pittura e Giulio si iscrive subito iniziando un percorso artistico
volto a riprendere in prevalenza
paesaggi della sua terra, non nella configurazione attuale bensì riproponendo immagini che abbiano anche una precisa funzione di
rievocativa.●
28 Panorama
Trieste Campomarzio
Portole viadotto
Servola
Trieste S. Andrea
Panorama 29
Capodistria
P
Sicciole ponte
Salvore
Castagna
Sicciole
30 Panorama
Montona
Portorose
Buie
Grisignana
Levade
Panorama 31
Visignano
Santa Domenica
Semedella
Visinada
Parenzo
32 Panorama
Anniversari nell’arte
te in altre costruzioni più moderne, sono rare, sicché la sua opera si
presenta come unica nel riproporre l’Istria (e le sue comunicazioni)
come erano negli anni dall’inizio
del secolo scorso a quell’ultimo
giorno dell’agosto 1935 in cui transitò l’ultimo treno.
Vista dalla prospettiva odierna, la
linea può essere tranquillamente oggetto di critiche che però si ridimensionano immediatamente quando si
inseriscono nel contesto dell’epoca.
Va ricordato infatti che essa fu voluta
in particolare dai comuni dell’Istria
occidentale per motivi dichiaratamente economici ma implicitamente anche politici. Basti pensare ad
esempio che quando entrò in funzione, il primo aprile 1902 (!), era ormai
attiva da un quarto di secolo la ferrovia istriana a scartamento normale.
La quale però - con l’ottima scusante di dover doverosamente favorire il
decollo economico dell’Istria interna
e d’evitare d’essere esposta alla gittata delle artiglierie italiane - era stata fatta passare in aree che oltre ad
essere palesemente fra le più depresse, erano anche abitate da popolazioni slave, molto più fedeli all’impero degli italiani. A loro volta questi,
massicciamente presenti nei comuni
costieri o nell’immediato retroterra,
insistevano per una via di comunicazione che permettesse un’affluenza più facile delle merci sul mercato triestino (eloquente a proposito il
dato che, nella sola area di Pirano,
il 70 per cento delle aree coltivabili era occupato da ortaggi, soprattutto primizie, che affluivano sul mercato triestino). Non meno innegabi-
Ruzzier con il modellino della prima locomotiva in servizio sulla linea a
scartamento ridotto, che ha costruito in ferro recuperando pezzi di vecchie biciclette unite con tondino usato in edilizia. L’opera, pesante una
ventina di chilogrammi, ha richiesto un mese di paziente lavoro
le, ma certamente molto meno messa in evidenza dati i tempi, era l’idea
che il treno avrebbe favorito l’affermazione di tutti i valori che facevano
capo ad un’italianità palesemente qui
molto sentita. Che lo scontro politico fosse piuttosto avanzato si può vedere anche dai conflitti (anche quella volta) nati in merito alle lingue da
usare per le tabelle con i nomi delle
stazioni.
Stretta fra interessi (e pressioni
contrapposte) Vienna alfine optò per
una linea a scartamento ridotto che,
dipartendosi da Trieste, si sarebbe
collegata in un primo momento con
Buie, successivamente con Parenzo
(cosa che avvenne circa sei mesi più
tardi, ossia in tempi piuttosto contenuti) e più tardi con Canfanaro, sulla Divaccia-Pola da cui si dipartiva
anche l’allacciamento con Rovigno.
Arrivata con difficoltà a Parenzo,
però, la linea non ebbe mai questo
terzo tronco.
Lo scartamento ridotto significava in primo luogo spese di costruzione più contenute: basti pensare alle
gallerie più piccole o ai raggi di curvatura minori rispetto alle linee normali. In quest’ultimo caso però anche la velocità dei convogli era più
ridotta: infatti i treni si muovevano
al massimo a 30 Km all’ora. Anche
il volume di carico, trattandosi di vagoni più piccoli rispetto ai normali,
era minore, il che in ultima analisi significava che larga parte dei risparmi
nella costruzione si riversarono nella
gestione, che infatti fu costantemente in rosso, fino a imporre - peraltro in concomitanza con altri fattori
nuovi, in primo luogo lo sviluppo del
trasporto su gomma - la chiusura della linea e la rimozione degli impianti. Va detto anche che la subentrata
amministrazione italiana - di contro
a quanto talvolta si sente dire - cercò
di migliorare il servizio fra l’altro introducendo anche sei nuove locomotive. Alcune di queste, adattate allo
scartamento metrico, furono poi utilizzate in Sicilia dove prestarono servizio fino alla metà degli Anni Cinquanta.●
Le foto del servizio sono state messe gentilmente a disposizione della Redazione dalla Comunità degli Italiani di Pirano
Panorama 33
Letture
L
o scorso luglio sono stati attribuiti i Premi della XLIII edizione del concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi
dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di lettori, nelle
pagine riservate alle letture “Panorama” propone le
opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni.
Nella categoria “Letteratura - Premio Osvaldo Ramous” alla sezione “Poesia in uno dei dialetti CNI”
la giuria ha assegnato la menzione onorevole a LINO
CAPOLICCHIO di Gallesano per la sua raccolta di
poesie dal titolo “Dighelo cola poi∫ia” (Diglielo con la
poesia) di cui pubblichiamo la quarta ed ultima parte.
«Dighelo cola poi∫ia»
(«Diglielo con la poesia»)
Le sorbe
Vendo mio onde∫e ani
e ∫endo con ‘n altro morè
per un limido che tajeva
’n doj polisè tere
lui se veva corto
che drio ‘ nà ma∫era
jera ‘n perer carego de peri.
L’ mè veva dito:
ara che bei peri, ∫emo cioli;
ma mio che cognosevi
ogni tera e ogni paron
ghe vevi dito:
ara che no ∫è peri
∫è sorbe!
E lui: ma no, ∫è peri
te dighi, mi li je visti.
E mi: bon lora
fà come che te voj,
e lui ‘l veva saltà
oltra la ma∫era
e ‘l paron che jera
sconto de drio
ghe veva dà quatro
bone bastonade
e lui scanpendo
’l veva sigà:
ti vevi ra∫on ti si
che jera sorbe
e no peri.
Ma te vevi dito mi
e deso tente
le sorbe.
LE SORBOLE
Avendo io undici anni/ e andando con un altro ragazzo/ per una stradina di campagna che separava/ in due parecchi campi/ lui si
era accorto/ che dietro un muricciolo/c’era un albero colmo di pere./ Rivolgendosi a me disse:/ guarda che belle pere, andiamo a
prenderle;/ ma io che conoscevo/ ogni campo ed ogni padrone/ gli dissi:/ non sono pere/ sono sorbole!/ E lui: ma no, sono pere/ ti
dico, le ho viste./ Ed io: va bene allora/ fa come vuoi,/ e lui aveva scavalcato/ il muricciolo/ ed il padrone che era/ nascosto dietro/
gli aveva dato quattro/ belle bastonate/ e lui scappando/ aveva gridato:/ avevi ragione tu sì/ che erano sorbole/ e no pere./ Io te lo
avevo detto/ e adesso tieni ti/ le sorbole.
34 Panorama
Letture
’L mercato de Pola
’n tol nostro varto
de dojmila metri quadrati
che veveno là de Portaora.
Rento ‘l nostro varto
jera ‘na granda tera
dei Teser e oltra
jera le tere dei Simonei
che ∫eva fina Prà Grando.
Poi?....
’N dì del milenovesento
vintisete jera rivadi
doj soci del governo
talian e i ghè veva
ordinà a mè nono e
a quei altri gali∫ane∫i
de vendeghe le tere
per fà le ca∫e e
’l mercato novo.
Così ∫è stà
e così dospoj
vinti secoli anco
i ultimi gali∫ane∫i
doveva per forsa
lasà le sò tere
a Pola.....
per faghe posto ai novi rivadi.
Stamitina bonora nò
vevi sono e solo
me girevi pel leto
e vardevi ‘n tel
odio del plafon
e ‘lora me sen alsà
e sen ∫ì ‘n canova
e je po∫à i oci ∫ora
la belansa vecia
de mè nona
e ciolti ‘n man
i pe∫i barenadi e
i piati de oton
anco lori barenadi
vardevi i numeri
che jera scriti ∫ora
1903,1911,1919,1927,1935
e me je ricordà de
mè pare quando che
’l me conteva de
mè nona cò la ∫eva
co ‘l biroch* al mercato
a Pola sà dei giardini
a vendi ovi, se∫,
mandole, lato e fighi suti,
e la verdura la ∫eva a ciola
IL MERCATO DI POLA
Stamattina buonora non/ avevo sonno e soltanto/ mi rigiravo per il letto/ guardando nel vuoto del soffitto/ e quindi mi sono alzato/ e
sono andato in cantina/ ed ho posato gli occhi sopra/ la bilancia vecchia/ di mia nonna/ e presi in mano/ i pesi timbrati/ ed i piatti di
ottone/ anche loro timbrati/ guardavo i numeri/ incisi sopra/ 1903, 1911, 1919, 1927, 1935./ E mi sono ricordato/ di mio padre quando/
mi raccontava della/ nonna come andava/ con il biroch* al mercato/ a Pola ai giardini,/ a vendere uova, ceci,/ mandorle, latte e ficchi
secchi/ mentre la verdura la coglieva/ nel nostro orto/ di duemila metri quadrati/ che avevamo presso Port’Aurea./ Vicino al nostro
orto/ si trovava un grandissimo campo/ delle famiglie Tesser ed oltre/ c’erano i campi dei Simonelli/ che si protendevano fino a Pra`
Grande./ Poi?.../ Un giorno del millenovecentoventisette/ si erano presentate/ due persone del governo/ italiano che avevano/ ordinato
a mio nonno e/ a ad altri gallesanesi/ di vendere i lori campi/ per costruire le case ed/ il mercato odierno./ Così fu/ e così dopo/ venti
secoli anche/ gli ultimi gallesanesi/ dovevano forzatamente/ lasciare i loro campi/ di Pola.../ per fare posto/ ai nuovi arrivati./
*Biroch = calessino a due ruote
La domenega
A ca∫a meja
duti i dì
dela setemana
se di∫na
como e quando
chi che riva,
ma a la
domenega nò.
La domenega
a ca∫a meja
∫è como a Pasqua;
se ripo∫a e no se
fadiga njente
e duti ‘n sembro
se và a Mesa
e poi se ven
a ca∫a
e se di∫na ‘n senbro
e ‘n senbro se favela
dè ‘nà roba
e del’altra
e se fà i piani
pe la setemana
ananti
e se stà
’l despoj me∫odì
’n compagnia
e contentesa.
LA DOMENICA
A casa mia/ tutti i giorni/ della settimana/ si pranza/ come e quando/ chi arriva/ però alla/ domenica no./ Alla domenica/ a casa mia/ è
come a Pasqua;/ si riposa e non si/ fanno fatiche/ e tutti assieme/ si va alla S.Messa/ e poi si torna/ a casa/ e si pranza assieme/ e assieme si
discute/ di una cosa/ o dell’altra/ e si fanno i piani/ per la settimana/ a venire/ e si sta/ il pomeriggio/ in compagnia/ in allegria/ e felicità.
Panorama 35
Letture
Duto ∫è ganbià
o pion sempro
como ‘ntoi dì
del diluvio
o fà tanto caldo
che bru∫a duto.
E poi?... ‘L mè can!
A dì ‘l baja tanto
che par che ‘l
∫brega duto,
anco le mosche
ghe dà fastidio
’n altro dì vesi
’l stà como crepà
e njanco nol te varda.
Anco mi ganbiarè
e de suca me farè.
Duto ∫è ganbià
anco ‘l sol ∫eè stranbo,
i dì che ‘l ∫è malà
i dì che ‘l scalda masa
e che de lui ghe
vol scanpà.
Ma anco la ∫ento
∫è stranba.
I jo tante scole
mà cò i te scontra
pè la cal
njanco no i te saluda,
i ∫è como la luna
che la fà ciaro
a quarti.
Anco ‘l tempo
∫è mato
TUTTO È CAMBIATO
Tutto è cambiato/ anche il sole è strano,/ dicono che è ammalato/ dicono che scalda troppo/ e che da lui/ bisogna scappare./ Ma anche la
gente/ è strana./ Hanno tante scuole/ ma quando ti incontrano/ per la strada/ nemmeno ti salutano/ sono come la luna/ che fa chiaro/ a
quarti./ Anche il tempo/ è pazzo/ o piove sempre/ come nei giorni/ del diluvio/ o fa tanto caldo/ che brucia tutto./ E poi?... Il mio cane!/ a
giorni abbaia tanto/ che sembra che/ stracci tutto,/ anche le mosche/ gli danno fastidio/ un altro giorno invece/ sta come morto/ e nemmeno ti guarda./ Anch’io cambierò/ e di testa mia farò.
A Marta
Picia la jera nata,
minuda.
Poco la teteva
sò mare
e sò nona di∫eva:
mai no la
vignarò granda.
Ma Marta
con doi tetade de mitina
e doi de sera
e a me∫odì ‘nà
scodela de licheti
granda la ∫è vignuda,
e anco ‘l moro∫
la se jo catà
e mi sabo a l’altar
la je conpagnada.
... pela cal tanta ∫ento
ne vardeva,
e rivadi ‘n Ce∫a
’l coro canteva,
ma a mi e a Marta
solo lagreme
∫ò pel mu∫o
ne coreva,
solo lagreme...
A jera
le lagreme mare
del’adio,
perché jera me fia
che ∫eva per sempro
via de ca∫a meja.
A MARTA
Piccola era nata/ minuta/ poco latte succhiava/ sua madre/ e sua nonna dicevano:/ mai non crescerà./ Ma Marta/ con due poppate di mattina/ e due di sera/ e a mezzogiorno una/ ciotola di dolciumi/ grande è venuta/ e anche lo sposo/ si è trovata/ ed io sabato all’altare/ l’ ho
accompagnata./ Per la strada tanta gente/ ci guardava,/ arrivati in Chiesa/ il coro cantava/ ma a me e a Marta/ soltanto lacrime/ giù dal
viso/ scendevano/ soltanto lacrime.../ Erano le lacrime amare/ della separazione,/ perché era mia figlia/ che se ne andava per sempre/ via
da casa mia./
36 Panorama
Letture
Drio la Rena
’N toi primi ani
del mileotosento
quando che
i austriachi jera rivadi
a Pola;
de Monto Giro fina
a Monto ∫aro no jera
njanco ‘n ca∫oto, mà;
solo tere e carsi ola
che i gali∫ane∫i vardeva
le pegore.
I austriachi veva verto
i laori a Pola per fà:
i forti, le ca∫erme,
l’ospedal, la riva e
l’arsenal.
Auti e biciclete
nò esisteva e la frata
no jera ‘ncora fata,
al laor se ∫eva
a schena de samer.
Alora me bi∫nono ∫usto
per logà i sameri
dei gali∫ane∫i e dei
dignagne∫i che vigniva
laorà a Pola
’l veva verto
’l primo parchegio de Pola
drio la Rena
to ‘n sò vedorno de
quatromila metri quadrati.
Poi, più tardi
al ghe veva vindun ‘n toco
de stò vedorno
al vecio Colman
bi∫nono de Fabio Colman,
e l’altro toco al governo.
Coj soldi ciapadi la fameja
de mè nono como anco altre
i se compreva de magnà
a Wagna e a Potendorf
là che i jera fugiaschi
’n to la guera
del quatorde∫e al di∫doto.
Per doj ani fina che jera soldi
duti jera vivi e sani.
Poi?...
Ghe ‘oreva pasà
co’ le ver∫e e rave
che paseva ‘l governo.
E quela ‘olta ton
quatro me∫i ‘l tifo veva
destrigà me∫a ∫ento
e gali∫ane∫a e Pole∫ana
tanto che
le fameje jera tornade
’n drio a metà,
e metà jera restada soterada
’n toi campi profughi
de l’Inpero Austroungarico.
DIETRO L’ ARENA
Nei primi anni/ del milleottocento/ quando che/ gli austriaci erano arrivati/ a Pola./ Da Monte Giro fino/ a Montezaro non c’era/ neanche una casupola, ma;/ soltanto campi e carsi/ dove i gallesanesi pascolavano/ le pecore./ Gli austriaci avevano aperto/ i primi lavori a
Pola per fare:/ i forti, le caserme,/ l’ospedale, la riva e/ l’arsenale./ Automobili e biciclette/ non esistevano e la ferrovia/ non era ancora
costruita./ Al lavoro si andava/ a dorso d’asino./ In quel tempo mio bisnonno Giusto/ per salvare tutti quegli asini/ dei gallesanesi e dei/
dignagnesi che venivano/ a lavorare a Pola/ aveva aperto/ il primo parcheggio di Pola/ dietro l’Arena/ in un prato di sua proprietà/ di
quattromila metri quadrati./ Poi più tardi/ aveva venduto un pezzo/ di questo prato/ al vecchio Colman/ bisnonno di Fabio Colman,/ ed un
altro pezzo al governo./ Con il denaro ricavato dalla vendita la famiglia/ di mio nonno come anche altre famiglie/ compravano il cibo/ a
Wagna ed a Pottendorf/ durante la deportazione/ nella guerra dal quattordici al diciotto./ Per due anni finché c’era denaro/ tutti erano vivi
e sani./ Poi?..../ Bisognava vivere/ con verze e rape/ che passava il governo./ E quella volta/ in quattro mesi il tifo aveva/ mietuto mezza
gente/ sia gallesanese che polesana/ tanto che/ le famiglie erano tornate/ indietro dimezzate./ Metà gente era rimasta seppellita/ nei campi profughi/ dell’Impero Asburgico./
Panorama 37
Concorsi
Concorso nazionale
CLASSE TURISTICA.
Festival del Turismo Scolastico
Concorso nazionale esteso alle scuole superiori delle minoranze italiane di Istria, Fiume e Dalmazia
Grado 17- 20 ottobre 2012
Art. 1
FINALITÀ
Il Touring Club Italiano, con la collaborazione del
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, indice e organizza la sesta edizione del Concorso nazionale “CLASSE TURISTICA. Festival del turismo
scolastico” che si svolgerà a Grado dal 17 al 20 ottobre
2012.
Il Festival nasce dalla consapevolezza del valore formativo del viaggio d’istruzione, quale momento di arricchimento conoscitivo, culturale, umano e professionale,
e del contributo fondamentale che esso può dare allo sviluppo di un’adeguata cultura del viaggio, rispettosa delle
identità locali e protesa alla conoscenza, valorizzazione
e tutela del patrimonio culturale e ambientale.
EDIZIONE SPECIALE
L’edizione 2011-2012 del Concorso è indirizzata, non
solo a tutte le scuole superiori d’ Italia come nelle edizioni precedenti, ma anche alle scuole appartenenti alle minoranze italiane di Istria, Fiume e Dalmazia.
Si tratta infatti di un’edizione speciale emersa dall’attività del Tavolo di lavoro fra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Associazioni degli esuli istriani-fiumani-dalmati che si avvale del contributo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia e che è dedicata alla storia del confine orientale italiano.
In particolare con l’edizione speciale del Concorso si
vuole:
- promuovere nelle scuole italiane i viaggi d’istruzione che abbiano come meta i luoghi storici quali quelli
espressione della civiltà istriana, fiumana e dalmata;
- accrescere la consapevolezza e la conoscenza delle
proprie origini culturali negli studenti italiani e in quelli
di lingua italiana residenti in Slovenia e Croazia.
SEZIONI COMPETITIVE
Il Concorso, nella sua edizione speciale, si articola in
quattro Sezioni competitive:
38 Panorama
Un viaggio di classe - per le Classi che descriveranno il viaggio d’istruzione svolto;
Vieni da noi - per le Classi che promuoveranno la
loro città presso i coetanei;
Vieni a conoscere Fiume, l’Istria e la Dalmazia per le Classi residenti in quei territori;
Viaggio nella civiltà Istriano-Dalmata - per le
Classi che sceglieranno quei luoghi come meta dei loro
viaggi d’istruzione.
Possono partecipare al Concorso:
- le prime 4 Classi delle Scuole Secondarie di II° grado, statali e paritarie di tutta Italia;
- le prime 4 Classi delle Scuole Medie Superiori delle
minoranze italiane di Croazia e Slovenia.
Ogni Scuola può partecipare con più Classi, ognuna
delle quali potrà concorrere con un solo elaborato.
Art. 3
MODALITÀ D’ISCRIZIONE
Per partecipare al Concorso la Classe dovrà inviare
via fax al n° 02 8526594 il modulo di iscrizione, scaricabile dal sito www.classeturistica.it, compilato in ogni
sua parte e firmato dal Dirigente Scolastico.
Art. 4
DEFINIZIONE DI ELABORATO
Al concorso saranno ammessi gli elaborati che metteranno in evidenza la programmazione, lo svolgimento e il conseguimento delle finalità didattiche del viaggio realizzato, oppure saranno finalizzati alla promozione della città sede della scuola e del territorio circostante quale possibile meta di turismo scolastico.
Per elaborato si intende un insieme di immagini e
testi, i più diversi (come ad esempio racconti, diari,
guide, fotografie reportage, depliant, manifesti, video,
spot, corti, sceneggiature, disegni, ecc.), in cui viene
descritto il viaggio realizzato o la città da promuovere, secondo la traccia evidenziata nel sito www.classeturistica.it.
Cocorsi
Art. 5
TRACCIA OPERATIVA DELL’ELABORATO
L’elaborato dovrà contenere la descrizione delle varie fasi didattiche che hanno portato alla realizzazione
del viaggio o alla promozione della città, secondo la seguente traccia:
Sezioni ”Un viaggio di classe” e “Viaggio nella civiltà Istriano-Dalmata”
Finalità
Le motivazioni culturali e didattiche che hanno determinato la scelta della meta del viaggio d’istruzione.
Programmazione didattica e culturale - Gli elementi conoscitivi ricercati e utilizzati per una adeguata preparazione e pianificazione del viaggio.
Organizzazione - I criteri di scelta degli operatori
turistici coinvolti nella realizzazione del viaggio.
La Classe in viaggio - La descrizione del viaggio
svolto dalla Classe: documentazione, resoconto, caratteristiche, testimonianze, momenti salienti, scoperte,
arricchimenti, ecc.
Rielaborazione delle esperienze vissute - La verifica dei risultati ottenuti in rapporto alle finalità didattiche prefissate.
Sezioni ”Vieni da noi” e “Vieni a conoscere Fiume, l’Istria e la Dalmazia”
Finalità
Le motivazioni culturali e didattiche che dovrebbero determinare la scelta della propria città, quale meta
di un viaggio d’istruzione.
Programmazione didattica e culturale - La ricerca
e la selezione del materiale utile all’organizzazione di
itinerari tematici.
Invito - Realizzazione dell’elaborato finalizzato ad
invitare i coetanei alla visita “guidata” della propria
città.
Considerazioni finali - Le nuove conoscenze acquisite sulla propria città alla fine dei lavori svolti.
lità per eventuali danni, smarrimenti, furti o altri incidenti che potrebbero subire gli elaborati inviati.
Gli elaborati inviati non verranno restituiti.
Art. 6
REQUISITI DELL’ELABORATO
Ogni Classe potrà inviare un solo elaborato caricato
esclusivamente su un solo supporto multimediale, CD
Rom o DVD, contenente la legenda dei temi trattati e
i dati relativi alla scuola (nome, classe “autrice”, indirizzo, numero di telefono). Gli stessi dati dovranno
essere riportati sulla lettera allegata al supporto multimediale.
La comunicazione alle Classi che verranno selezionate e premiate con la partecipazione gratuita allo
svolgimento del Festival verrà data tramite e-mail direttamente alle scuole entro il 17 settembre 2012.
La Scuola, nella persona del Dirigente Scolastico, dovrà formalizzare l’accettazione della partecipazione delle Classi finaliste al Festival entro il 24 settembre 2012 tramite lettera raccomandata A/R o invio
tramite fax del modulo di accettazione allegato alla
comunicazione, direttamente alla Segreteria Festival
Classe Turistica.
La Scuola, nella persona del Dirigente Scolastico,
farà pervenire poi l’elenco degli studenti delle Classi finaliste, congiuntamente al consenso dei genitori a partecipare all’iniziativa, oltre ai nominativi dei
docenti che hanno partecipato al progetto (dovranno
corrispondere ai nominativi già presenti nel modulo
d’iscrizione).
Art. 7
MODALITÀ D’INVIO
Gli elaborati dovranno pervenire al Touring entro il
31 maggio 2012 - tassativamente sui supporti multimediali previsti - e si riferiranno alla gita svolta dalla classe nell’anno scolastico 2011-12.
Gli elaborati dovranno essere inviati, personalmente o tramite Posta (farà fede il timbro postale) o tramite spedizioniere, esclusivamente al seguente indirizzo: Segreteria Classe Turistica - Touring Club Italiano,
Corso Italia 10, 20122 Milano.
Gli organizzatori, pur impegnandosi ad adottare
ogni forma di precauzione, declinano ogni responsabi-
Art. 8
GIURIA
Una Giuria, rappresentativa del mondo della scuola, del turismo e della cultura, appositamente designata dal Touring, selezionerà, tra tutti gli elaborati inviati al TCI, fino a otto classi finaliste, che parteciperanno gratuitamente alla sesta edizione del Festival che si
svolgerà a Grado dal 17 al 20 ottobre 2012.
I criteri di selezione degli elaborati sono evidenziati nel sito www.classeturistica.it.
Nel corso della manifestazione si procederà alla
cerimonia di premiazione nella quale verranno proclamate le Classi vincitrici, una per sezione.
Art. 9
PREMI
Agli studenti appartenenti alle Classi finaliste, ai
loro insegnanti (massimo 3) che hanno curato la realizzazione del viaggio d’istruzione o la sua promozione e ai relativi Dirigenti Scolastici, sarà offerto in
premio il viaggio per raggiungere la sede del Festival
e l’ospitalità necessaria per partecipare al suo svolgimento.
Sono previste targhe e prestigiose pubblicazioni
del Touring Club Italiano quali premi per gli studenti
e i docenti delle Classi vincitrici del Festival nonché
per le Classi meritevoli di una speciale segnalazione.
Altri premi verranno offerti dagli sponsor della manifestazione.
Art. 10
COMUNICAZIONE
E ACCETTAZIONE DEI PREMI
Art. 11
PROGRAMMA DEL FESTIVAL
Il programma del Festival, dettagliato e aggiornato, verrà pubblicato nel sito www.classeturistica.it.
Panorama 39
Italiani nel mondo
I questionari della Cgie dovranno essere compilati entro il prossimo giugno
Un monitoraggio socio-sanitario
a cura di Ardea Velikonja
E
ntra nel vivo in questi giorni
la fase operativa del monitoraggio sulla situazione sociosanitaria dei cittadini italiani residenti all’estero proposta dalle Commissioni Sicurezza e Tutela sociale (II), Tutela sanitaria (VIII) e dal
gruppo Donne del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero e approvata dall’assemblea generale riunita
a Torino dal 18 al 20 maggio 2011.
L’iniziativa ha lo scopo di identificare le specificità socio-sanitarie dello
stato di bisogno degli italiani residenti
all’estero, come è stato più volte sottolineato nel corso delle assemblee plenarie successive a quella di Torino, in
ultimo la plenaria del 28 febbraio-1°
marzo scorso. In quell’occasione intervennero tra gli altri sull’argomento
il presidente dell’VIII Commissione,
Pasquale Nestico, il presidente della II Commissione, Maria Rosa Arona, il consigliere Gianfranco Gazzola (Svizzera) e il consigliere di nomina governativa Roberto Volpini (Acli)
che sottolineò come “questo progetto
sulla situazione socio-sanitaria dei nostri connazionali nel mondo richiami
tutti ad una partecipazione condivisa
intorno ai valori essenziali della solidarietà e della gratuità”.
Concluso l’iter preparatorio della proposta il segretario generale del
Cgie, Elio Carozza, ha inviato ai presidenti dei Comites attivi all’estero e
ai membri del Consiglio generale il
questionario formulato allo scopo e rivolto a tutte le persone di qualsiasi età
che intendano contribuire a segnalare,
in anonimato, lo stato socio-sanitario
40 Panorama
Una delle tante sedi del Comites: quella di San Gallo in Svizzera
in cui si trovano. Nella missiva Carozza ribadisce l’importanza dell’iniziativa “le cui finalità - scrive - sono
state condivise da tutto il Cgie e il cui
successo sarà direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento che i
Comites dedicheranno alla concreta
realizzazione della raccolta, nell’ambito delle specifiche attribuzioni che
la legislazione assegna a questi organismi”.
“Si tratta ora di dedicarsi alla buona riuscita di un’azione straordinaria
nella ordinarietà delle funzioni che
i Comites svolgono per le nostre comunità e che - rileva Carozza - acquista un significato particolare in questo
tempo critico e delicato che stiamo attraversando. Un impegno che ci aiuterà - conclude il segretario generale - a
rinsaldare quei valori di solidarietà e
gratuità su cui si fonda la vita e l’esperienza delle nostre comunità”.
Tra le informazioni richieste nel
modulo quelle di carattere più generale, come il Paese di residenza, l’anno di nascita, lo stato civile, il titolo di
studio, la professione svolta, il tipo di
abitazione in cui si risiede (in affitto,
in comodato d’uso, di proprietà) e la
consistenza del nucleo familiare, seguite da domande sul grado di autosufficienza posseduto, sulle patologie
sofferte e su quale contributo economico si riterrebbe necessario a garantire le necessità di base per l’assisten-
za sanitaria (medicinali, protesi, sedie
a rotelle, occhiali, trasporto, emergenze etc.).
Secondo quanto già anticipato da
Pasquale Nestico, nel corso del suo
intervento durante all’ultima plenaria
del Cgie, il questionario non ha la valenza di una inchiesta scientifica ma
quella di monitoraggio-indagine per
raccogliere, in modo semplice e rapido indicazioni e tendenze tali da rispondere adeguatamente alle esigenze delle nostre comunità all’estero in
campo socio-sanitario.
I moduli saranno a disposizione
per la compilazione presso la sedi dei
Comites, gli uffici consolari, le sedi di
associazioni, patronati, missioni cattoliche all’estero, etc., che abbiano
espresso la volontà di essere coinvolti
nell’iniziativa.
Termine ultimo per la compilazione, affidata al coordinamento di Comites e consiglieri del Cgie (cui spetta
anche il coinvolgimento di enti, associazione e istituzioni presenti in loco
al progetto), il 30 giugno 2012. Da
questa data in poi, ed entro il 31 luglio
2012, i Comites dovranno rispedire i
questionari compilati alla Segreteria
del Cgie, Piazzale della Farnesina, 1 00194 Roma. L’elaborazione dei questionari terrà conto anche delle eventuali esigenze che i singoli Comites
o Intercomites potranno far presenti.
(Inform)
Italiani nel mondo
Nominata responsabile per il raccordo con le diverse collettività
Alderisi, una che sa ascoltare
A
pochi giorni dalla partecipazione ai congressi del MAIE (Movimento associativo italiani all’estero) in Australia, dove ha pubblicamente dichiarato la sua adesione al
Movimento fondato dall’on. Ricardo
Merlo, Francesca Alderisi ha ricevuto l’incarico di responsabile del Dipartimento Raccordo con le collettività italiane all’estero.
“Francesca Alderisi, che ha ricevuto anche l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica per il suo impegno a favore delle comunità italiane nel mondo, è una donna che ha
saputo creare un legame affettivo
molto forte col pubblico, che dopo
la chiusura del programma Sportello Italia, da lei ideato e condotto, ha continuato a seguirla sul suo
blog prontofrancesca.it”, ha ricordato Merlo. “Ho potuto apprezzare la
sua energia positiva e sono sicuro”,
ha aggiunto, “che lavoreremo molto bene insieme con il MAIE in tutto
mondo, perché il suo rapporto con gli
italiani all’ estero è globale”.
Il presidente del MAIE le ha affidato “un incarico tagliato su misura per lei: proprio per la sua capacità di avvicinare con simpatia
la gente, per saper parlare al cuo-
re delle persone e per sapere ascoltare tutti”, ha spiegato Merlo, “da
oggi sarà la responsabile Dipartimento del MAIE per il Raccordo
delle collettività italiane all’estero.
Un impegno notevole, ma sono sicuro che farà del suo meglio anche
in questa sua nuova veste”.
“È bellissimo e sono veramente
onorata per questo incarico e per la
fiducia riconsciutami dal presidente
Merlo”, ha commentato Francesca
Alderisi una volta venuta a sapere
della sua nomina. “Sono già al lavoro
per il MAIE e ho in mente moltissimi
progetti da realizzare con le comunità italiane di tutto il mondo”, ha assicurato. “Utilizzerò la mia esperienza
professionale televisiva e i miei rapporti più che ottimi con le associazioni degli italiani all’estero. Il MAIE”,
ha concluso Alderisi, “è un progetto straordinario e sono fiera di farne
parte”.
(aise)
I criteri nella definizione delle nuove strategie degli Istituti all’estero
Nella cultura la proiezione della nostra identità
«U
n risultato importante e un punto di partenza per
le strategie future»: così il ministro degli Esteri,
Giulio Terzi, ha commentato le nuove Linee di Azione
per gli Istituti Italiani di Cultura approvate alla Farnesina nel quadro della promozione del Sistema Paese.
“La cultura - ha detto Terzi - è la proiezione più significativa dell’identità italiana nel mondo e risorsa
strategica per l’economia nazionale”. Come emerso dai
lavori della scorsa riunione per l’azione della Farnesina
la diplomazia culturale costituisce uno dei più efficaci veicoli di politica estera. Alla Farnesina si sottolinea
come le Linee Guida varate oggi rispondano efficacemente proprio all’obiettivo di valorizzare il ruolo fondamentale della diplomazia culturale, attuata mediante
la rete delle Ambasciate e dei Consolati, degli Istituti di Cultura e degli addetti scientifici, anche al fine di
promuovere i comparti di eccellenza della tecnologia e
dell’industria italiana. Tra i criteri principali nella definizione delle nuove strategie - si osserva al Ministero
- vi è quello di adeguare la missione e le attività degli
Istituti di Cultura nell’accrescere la competitività della
nostra offerta culturale alle esigenze di un necessario
contenimento della spesa pubblica, anche attraverso il
coinvolgimento di tutti gli attori del Sistema Paese che
evita inutili frammentazioni e sprechi di risorse.
Nel documento approvato particolare rilievo è attribuito all’obiettivo della diffusione della lingua italiana nel mondo. La Commissione Nazionale è un organo
consultivo composto dai rappresentanti delle Amministrazioni ed Enti impegnati nella promozione della lingua e cultura italiana, tra cui il Consiglio generale degli
Italiani all’estero. (Inform)
Panorama 41
Made in Italy
Sergio Muto si è aggiudicato il primo posto al mondo per il pesto
Non è genovese, ma è Campione
a cura di Ardea Velikonja
S
ergio Muto è il vincitore della IV
edizione del Campionato Mondiale di Pesto Genovese al Mortaio, che si è tenuto Genova nel Salone
del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Ha 58 anni, cosentino di nascita,
vive in Germania dal 1976 dove gestisce una gastronomia e organizza corsi di cucina italiana. Da qualche anno,
dopo avere vinto a Stoccarda una gara
eliminatoria valida per il Campionato
Mondiale 2008, si è specializzato nel
pesto e organizza in Germania corsi di
pesto al mortaio e degustazioni.
Oltre a Sergio Muto, sono arrivati
in finale: Massimo Tosetti (imprenditore di Genova), Roberto Mercati
(comunicatore di Lecco), Luca Bernava (informatico genovese), Elin
Kvamme (la campionessa norvegese arrivata da Bergen), Alexandre Gleich (consulente, di Lione),
Gennady Gabrielan (imprenditore
di Mosca), Massimiliano Cresta (fi-
Presenti oltre 140.000 operatori provenienti da 120 Paesi
2012: il Vinitaly dell’export
initaly ha vinto la sua scommessa e incassa la soddisfazione degli
espositori e un numero di visitatori professionali in crescita dall’estero
e soprattutto dal canale horeca italiano. Questi ultimi sono giunti in grande
numero e molto forte è stata la partecipazione di ristoratori, titolari di enoteche e wine bar provenienti dal Sud Italia. La nuova formula su 4 giorni,
dalla domenica al mercoledì, si è dimostrata vincente e la presenza tra gli
stand anche degli operatori esteri si è fatta sentire “con un grande ritorno di
Stati Uniti e Canada, oltre che da tutti i Paesi consumatori emergenti asiatici con la Cina che entra nella top 10, dalla Russia, dal Nord Europa, dalla Francia, ma anche massicciamente dalla Germania per un totale di oltre
140.000 visitatori da 120 Paesi. La percentuale di quelli esteri è cresciuta
arrivando al 35 p.c. del totale. Un successo nato da un grande lavoro che
ha visto con Opera Wine uno straordinario tributo al vino italiano decretato
da Wine Spectator e per la prima volta Vinitaly dedicare con Vivit un salone ai vini naturali. È stato il Vinitaly dell’export” - ha detto Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini. “Siamo tutti molto soddisfatti della
nuova formula di Vinitaly - ha dichiarato Lucio Mastroberardino, presidente dell’Unione Italiana Vini - che ha innalzato ulteriormente la qualità del
pubblico. Quanto ai buyer e operatori esteri, l’impressione è di un ulteriore
scatto, con una presenza ampia, diffusa e di ottima qualità”. ●
V
Il ministro dell’Agricoltura, Mario Catania, ha visitato lo stand della
Regione Calabria al Vinitaly 2012
42 Panorama
sico nucleare, genovese), GianMaria Valle (medico, 4 volte al Campionato Mondiale e 2 volte in finale), e Daniela Dau (giovane pediatra
genovese).
Il Campionato si è svolto in
un’atmosfera emotiva e competitiva di grande partecipazione, accompagnato dalla voce più nota e amata dei campionati di calcio, il giornalista Bruno Pizzul. Erano presenti
oltre 2.000 persone, tra concorrenti,
giudici e ospiti. Importante la presenza internazionale, i paesi rappresentati sono stati: Argentina, Stati
Uniti, Canada, Russia, Gran Bretagna, Francia, Norvegia, Germania,
Svizzera, Ucraina, Belgio e Giappone. Il concorrente proveniente da
più lontano è arrivato da Buenos Aires, il più vicino dal Vico dei Macelli di Soziglia nel centro storico genovese.
Una giuria, anch’essa di respiro
internazionale grazie alla presenza
di esperti gastronomi inglesi, francesi e norvegesi, ha valutato i 100 pesti
preparati al mattino e ne ha selezionati 10 per la finale.
In occasione del Campionato gli
chef di Genova Gourmet, il marchio
di qualità della Camera di Commercio di Genova per riconoscere la ristorazione genovese d’eccellenza, sono stati protagonisti del Gran
Galà del Pesto che si è svolto nella
splendida Sala delle Grida di Palazzo della Borsa.
Tredici chef, provenienti da altrettanti ristoranti della provincia di
Genova, hanno proposto agli ospiti
una selezione di piatti tipici, con un
tocco di creatività, tutti legati dal fil
rouge del basilico, naturalmente Basilico Genovese DOP! Una vera delizia per il palato accompagnata dai
vini sapientemente abbinati dai sommelier AIS e dal banco di assaggio
degli oli extra vergini Riviera Ligure
DOP, a cura del Consorzio di Tutela
Riviera Ligure DOP, da assaporare
come insolito antipasto. Le portate,
tutte di altissima qualità, sono state
servite dai giovani studenti dell’Istituto Alberghiero Nino Berge. ●
Made in Italy
Espositori molto interessati alla Campionaria prevista dal 12 al 20 maggio
Lo sbarco dei mille a Padova
L
a Fiera Campionaria di Padova è la manifestazione fieristica più visitata dal pubblico del
nord-est! A 93 anni dalla sua nascita, la formula della proposta intersettoriale della Campionaria, capace di
far comunicare tutte le realtà, si conferma più che mai attuale. La Campionaria è un grande appuntamento
e l’espressione di un sistema sociale
ed economico che sa comunicare ed
essere protagonista diretto sul mercato. Caratteristica dell’ultima edizione
è stata la costanza dell’afflusso di visitatori nei giorni festivi e feriali, che
ha permesso una attività continua negli stand e ha eletto la Campionaria a
grande momento di eventi ed affari.
La manifestazione continua ad essere un incontro felice tra tradizione e
attualità confermata dalla sua durata
negli anni e dal suo costante rinnovamento che l’hanno consacrata come
l’appuntamento irrinunciabile per
1.000 espositori e 300.000 visitatori.
Quest’anno la Campionaria si
terrà dal 12 al 20 maggio: otto giorni in cui il pubblico potrà ammirare
idee, proposte e nuove tendenze per
l’arredamento, salotti, cucine, arredo giardino ma anche materiali edili, infissi, porte, caminetti, pavimenti e ceramiche. 40.000 mq. sviluppati su 4 padiglioni per presentare
la casa al completo, per attrarre un
pubblico sempre più vasto ed attento al comfort domestico.
Tanti stili e tante proposte, tra funzionalità ed estetica, in una panoramica davvero completa, capace di
dare una risposta ad ogni esigenza
per l’arredo della casa e per la ristrutturazione delle abitazioni.
Altro padiglione con migliaia di
articoli di artigianato italiano ed estero provenienti dai 5 continenti, lavorazioni locali ed internazionali, abbigliamento e accessori, piccola pelletteria, bigiotteria, tessuti, articoli
regalo, profumi, design artistico e artigianato internazionale. 12.000 mq.
di profumi e colori, di storie e tradizioni: un’area shopping che da sempre catalizza l’attenzione dei 300
mila visitatori che affollano il padiglione per acquistare direttamente
in fiera le ultime tendenze da tutto il
mondo!!!
Nel padiglione del tempo libero ci sarà un’area dinamica dedicata
alla salute, al wellness, al benessere.
Dimostrazioni ed animazioni a tema
coinvolgeranno il pubblico. Un’ampia offerta di articoli per attività indoor ed outdoor, strumenti musicali,
hobbistica, editoria e giochi. 14.000
mq. con tutte le ultime novità in fatto di attrezzature per lo sport, le palestre, il campeggio, camper, roulotte e
caravan. Tantissime offerte e proposte per accontentare anche i visitatori
più esigenti.
Un nuovo settore dedicato ai
viaggi avventura in tutte le sue forme ed al mondo che vi ruota attorno.
Un’area tematica per viaggiatori al di
fuori dalle rotte classiche e per coloro
che sono affascinati dall’esplorazione o da viaggi particolari. Operatori,
Enti ed aziende del settore faranno da
cornice a workshop, incontri, proiezioni e relazioni di grandi viaggiatori, reporter, videomaker, fotografi ed
esploratori che dell’avventura hanno
fatto una ragione di vita.
Dopo il successo delle precedenti edizioni la Fiera Campionaria si trasforma ancora una volta in
un grande salone di bellezza dedicato sia al mondo femminile che a
quello maschile! Parrucchieri, estetisti, truccatori, visagisti pronti a illustrare le ultime tendenze e a creare nuovi look per un appuntamento
importante. Rossetti, smalti, matite
per labbra ed occhi, fondotinta, creme per il viso e per il corpo, profumi, ma anche prodotti per i capelli:
dagli shampoo alle maschere, dalle
spazzole ai phon.... una grande vetrina dove vendere i propri prodotti ad un pubblico desideroso di acquistare articoli nuovi per sentirsi a
posto in ogni occasione. 2.000 mq.
di coccole per prepararsi al meglio
per l’estate. Un “salotto” sfavillante dove non mancheranno appuntamenti, dimostrazioni, corsi di aggiornamento per gli esperti del settore e non solo.
E infine per i buongustai un viaggio attraverso le specialità enogastronomiche regionali, i piatti tipici dolci e salati, i salumi, i formaggi, i vini e i liquori. Una vetrina della produzione alimentare italiana ed
estera che si trasforma in un piacere per i sensi.10.000 mq. di golosità
che stuzzicano i palati dei visitatori pronti a tuffarsi ad acquistare direttamente in fiera un mondo di gusti e sapori sempre nuovi. Un’ottima
occasione per proporre cibi e vini di
qualità, promuovere il commercio di
prodotti DOP e IGP e far apprezzare
prelibatezze agricole e casearie.●
Panorama 43
Musica
Storia degli strumenti a corda, legni, ottoni e percussioni che compongono un
Il trombone, riabilitato da Gluck e
a cura di Ardea Velikonja
S
trumento musicale aerofono
della famiglia degli ottoni,
nella versione moderna e più
comune è chiamato trombone a tiro
o a coulisse, ed è caratterizzato dalla presenza di una pompa mobile,
(“coulisse” o “tiro”, “slide” in inglese), a forma di U, che unisce due
tubi paralleli, ed è in questo modo
allungabile modificando il percorso
dell’aria e l’intonazione dell’armonico di base.
Esiste anche quello funzionante
a a pistoni, strutturato sul medesimo
principio della tromba. Il musicista
che suona il trombone è chiamato
trombonista.
Il più perfetto
fra gli strumenti
a bocchino
Fu questo il primo, fra gli ottoni,
a disporre degli armonici nelle sette posizioni degli attuali strumenti a
pistoni, e di conseguenza della scala cromatica, grazie alla coulisse, per
cui venne in origine considerato il più
perfetto degli strumenti a bocchino.
Le prime notizie risalgono alla
seconda metà del XV secolo, quando lo troviamo raffigurato nel dipinto
di Filippo Lippi “L’assunzione della vergine” (affreschi in Santa Maria sopra Minerva a Roma), ed anche
in un’opera del Perugino conservato
all’Escorial vicino a Madrid. Già allora aveva l’aspetto che si può definire moderno, però con la conicità dei
canneggi meno accentuata e la campana molto piccola, con una svasatura quasi assente. L’intonazione di
base era il La, ed i principali artigiani
costruttori si trovavano nelle Fiandre
e a Norimberga.
All’inizio del XVII secolo Michael Praetorius illustrò ed elencò, nel
suo Syntagma musicum, quattro versioni: “Alt Posaune” (simile al trombone alto), “Gemeine Posaune” (il
moderno tenore), “Quart” e “QuintPosaunen” (intonati una quarta e una
quinta sotto il tenore) e “Octav Po-
44 Panorama
saune” (simile al basso, intonato una
ottava sotto il tenore).
Nel 1607 l’orchestra de “L’Orfeo” di Claudio Monteverdi - che segna nel contempo anche il suo primo
utilizzo “ufficiale” -, ne comprendeva cinque, dal differente registro. Pur
sviluppandosi nel tempo - utilizzato principalmente in piccoli gruppi
e nelle esecuzioni di musica sacra non divenne parte integrante dell’orchestra sinfonica fino al XVIII secolo, quando fu adottato da Christoph
Willibald Gluck (“Ifigenia in Tauride”), Francois Joseph Gossec e poi
da Wolfgang Amadeus Mozart (nei
raddoppi del coro di tutte le sue messe, nel “Don Giovanni” o addirittura in solo nel “Tuba mirum” del suo
Requiem, nel Flauto magico e in altre
composizioni).
Suscitata successivamente l’attenzione di Beethoven, fu da questi
introdotto nella quinta, sesta e nona
sinfonia e in tre affascinanti equali per quattro i soli. Non meno interessato, Schubert, lo introdusse nelle
sue ultime due sinfonie.
In questo periodo e fino alla prima
metà del XIX secolo, fu usato molto
dalle bande militari tedesche: questo
contribuì a modificarne l’intonazione
di base da La a Sib, allargarne il canneggio, e ad introdurre la ritorta per
abbassare l’intonazione in Fa.
Ormai “moderno”, si era ormai
sviluppato e diffuso, tanto da essere
molto utilizzato da Johannes Brahms,
Richard Strauss e Richard Wagner.
Insomma i compositori avevano a disposizione uno strumento completo e
versatile, al punto che Hector Berlioz
affermò esplicitamente che era capace di esprimere un ampio spettro di
suggestioni sonore, dal “calmo e posato accento religioso” al “clamore
selvaggio dell’orgia”.
Nel seguito del XIX secolo i compositori lo utilizzarono in maniera più stereotipata, come rinforzo di
voci basse e armonie di insieme, anche se autori come Ludwig van Beethoven, Carl Maria von Weber e Gioachino Rossini lo tennero in significativa considerazione. Solo in tempi
successivi, con l’avvento della musica da ballo e lo swing, ossia ormai nel
ventesimo secolo, ha avuto di nuovo
spazio negli arrangiamenti e negli assoli. In questo periodo, un forte stimolo allo sviluppo della sua tecnica
e delle potenzialità espressive che è
in grado di esprimere fu dato da musicisti jazz come ad esempio Tommy
Dorsey.
Attualmente è utilizzato nei più
vari generi musicali, dalla musica
classica, al jazz, dalla salsa allo ska,
dal funk alla musica militare.
La differenza
nell’armonico di base
I vari tipi oggi esistenti si differenziano per la nota dell’armonico
di base, il timbro (il quale può essere
modificato anche dalla differente laccatura della campana e del resto delle parti), l’estensione e la presenza di
una o più ritorte per il trasporto e la
modifica della tonalità.
Il contralto
In genere è raro, ma ultimamente sempre più utilizzato, soprattutto
nella musica classica. È tagliato una
quarta sopra il tenore (il padre della famiglia, rispetto al quale si fanno
i rapporti): è in Mib. In passato era
comune anche il contralto in fa (vedi
tromboni antichi). Alcune ditte producono contralti con una ritorta in
Musica
’orchestra sinfonica (10)
Beethoven
Sib (se azionata porta praticamente
lo strumento in sesta posizione) che
rende più agevoli alcuni passaggi
nelle posizioni basse e aiuta l’intonazione della settima posizione, essendo quella presa solo con la coulisse
sempre leggermente crescente. La ritorta aiuta anche l’esecuzione dei trilli in quanto, avendo più posizioni a
disposizione, c’è la possibilità di trovare una combinazione che permetta
di avere degli armonici più vicini fra
loro, agevolando il trillo.
La Yamaha produce una versione particolare di ritorta detta “da trillo”, che serve solo per i trilli e cambia
l’intonazione di mezzo tono soltanto.
Tutti i produttori, tranne Selmer/
Bach (terza posizione alla campana)
costruiscono i contralti con la quarta
posizione all’altezza della campana.
Il tenore
Il più comune, intonato in Sib una
ottava sotto la tromba, generalmente senza ritorta, il diametro in millimetri del canneggio va dal 12,2 fino
a 13,9
Tenor-basso
Viene molto usato in orchestra,
ha la ritorta trasportatrice in Fa, grazie alla quale può coprire un’ampia
estensione di note, canneggio normalmente da 13,89. Le valvole per il
passaggio dell’aria nella ritorta sono
di vario tipo, in genere analoghe alle
classiche valvole rotative.
La definizione tenor-basso è ormai obsoleta, nata assieme alla ritorta. Oramai col termine tenore ci
si riferisce a un tenore in Sib oppure uno in Sib con ritorta in Fa, e taluni indicano come tenor-basso uno
in Sib con una ritorta in Fa, ma con
canneggio largo, da basso. Utilizzato
piuttosto spesso dalle orchestre classiche oppure in big band, ha canneggio ampio da 14,3 e ha generalmente 2 ritorte (Alcuni trombonisti bassi utilizzano ancora vecchi modelli,
con la sola ritorta Fa, che differiscono dai simili tenori per la cameratura
e la campana più ampie).
Ci sono due configurazioni possibili delle valvole: quella indipendente e quella dipendente.
La configurazione indipendente
prevede due ritorte, una in Fa (praticamente azionandola si porta lo strumento in sesta posizione) e una in
Solb (quinta posizione). Le due valvole possono essere azionate una alla
volta oppure assieme, portando lo
strumento in Re, quindi avremo uno
strumento in Sib/Solb/Fa/Re.
Anche la configurazione dipendente prevede con due ritorte, ma questa
volta possiamo azionare la valvola in
Fa da sola oppure, azionando la seconda valvola, verrà aperta automaticamente anche la prima quindi avremo uno strumento che potrà passare
in Sib/Fa/Re.
Trombone contrabbasso
Rappresenta lo strumento più
grave dell’intera famiglia. Ne esistono modelli in SI bemolle, ossia che
si pongono di un’ottava sotto il tenore (che sono spesso caratterizzati da una doppia coulisse), peraltro
usati molto raramente, e modelli in
FA, una quarta sotto il tenore, che risultano essere poi i più usati, come
fanno fede le esecuzioni della Tetralogia di Richard Wagner, dove è presente in organico un Kontrabassposaune. Questi strumenti sono quasi
sempre dotati di due ritorte (valvole)
che permettono di non utilizzare le
posizioni “distanti”, altrimenti raggiungibili solo con il ricorso all’impiego di una maniglia.
Tra i moderni costruttori di riferimento di questi strumenti si possono
ricordare Laetzsch e Thein, entrambi
di Brema.
A pistoni
Il trombone a pistoni, come anche
il suo predecessore a cilindri, è stato
molto utilizzato nell’opera italiana e
nella musica bandistica. Dato che il
suo impiego in gran parte del repertorio classico e romantico prevede
corali e armonie, lo strumento a coulisse è stato preferito a quello a pistoni, poiché permette una maggiore
accuratezza dell’intonazione. Il suono degli strumenti a pistoni, che solitamente erano e sono costruiti con un
canneggio piccolo, non si discostava
molto dal suono da quelli a coulisse,
che per un gran numero di anni sono
stati costruiti con canneggi simili a
quelli usati per i tromboni a pistoni. Nonostante questo, lo strumento a pistoni non è scomparso, poiché grazie alla sua maggiore agilità
è stato preferito da alcuni strumentisti (come ad esempio i jazzisti Juan
Tizol e Bob Brookmeyer) come proprio strumento di elezione. Rimane
inoltre ancora al giorno d’oggi molto
presente nelle bande musicali.
Altri
Oltre a quelli finora menzionati
esistono anche il trombone soprano
(una specie di “tromba a coulisse”)
e sopranino (o piccolo), caduti in disuso per la bassa qualità sonora e le
grandi problematiche tecniche. Questi due strumenti erano - e lo sono
tuttora - suonati in genere da trombettisti.
Tromboni antichi
Da ricordare infine gli antichi (rinascimentali, sackbut dal francese antico sacquer ovvero estrarre).
Molto simili nella struttura a quelli d’oggi, furono utilizzati in gruppi strumentali o in sostituzione o rafforzo della voce. Esistevano principalmente tre taglie: kleine, mittel,
quart, (che divennero successivamente Contralto, Tenore e Basso).
Secondo i dati contenuti negli archivi della Hofkapelle di Stoccarda e
risalenti al 1589, venivano costruiti
in taglie diverse “da trasporto” che
avevano denominazioni come “secondposaune”, “terzposaune”.●
Panorama 45
Sport
Pensieri sparsi e ambiti di ri
Fatti e misfat
a cura di Bruno Bontempo
I
In alto: un’immagine che riassume l’impotenza del Milan (Ambrosini) di
fronte alla cavalcata di Messi. Al centro: i bengala piovuti sul campo allo
Stadio Drosina di Pola, causa dell’interruzione della partita tra Istra 1961
e Rijeka. Qui sopra: il ministro croato dello sport, Željko Jovanović, e nel
riquadro il presidente della Federcalcio, Vlatko Marković
46 Panorama
l calcio per sognare. Il calcio
come arte, religione e bellezza.
Il calcio come linguaggio comune, modo per riconoscersi e ritrovarsi. Il calcio, figlio del popolo, che non
deve cedere alle lusinghe dei potenti, di
chi vuole trasformarlo in strumento per
produrre denaro, uccidendo la fantasia
e l’innocenza. Sono parole dell’uruguaiano Eduardo Galeano, una delle personalità più autorevoli della letteratura
latinoamericana, i cui libri, tradotti in
molte lingue, combinano documentazione, narrazione, giornalismo, analisi
politica e storia.
Grande scrittore e appassionato di
calcio, con il suo libro “Splendori e
miserie del gioco del calcio” ci conduce appunto nel mondo magico del
football. Con un’avvertenza: non fidatevi dell’enfasi retorica intorno al
pallone, non fidatevi di quanti vogliono illustrare, con la complicità di un
grande avvenimento pallonaro, un finto benessere, tralasciando le laceranti
contraddizioni, bene e male, miseria e
nobiltà, oro e fango, tutto e niente.
Tra serio e faceto, tra ottimismo
e cautela, il libro finisce per riscoprire come il calcio, per davvero, possa
essere una metafora della vita: sentimenti e ribellioni che si celano dietro
un dribbling, un gol, un gesto estetico. Spesso il pallone viene utilizzato
per far fronte e dimenticare i disagi
del quotidiano, più che non per combattere e denunciare malefatte e mancanza di scrupoli, per mettere a nudo
il malessere della società, culturale
e sociale. Un calcio controllato dalle
varie lobby che è diventato territorio
ambito dai potenti per le loro ciniche
scorribande politiche e finanziarie. Per
Galeano la storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere, e a
mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare
per giocare. Il calcio professionistico
ormai condanna ciò che è inutile, ed
è inutile ciò che non rende, per cui si
è trasformato in spettacolo, con molti protagonisti e pochi spettatori, e lo
Sport
flessione su alcuni aspetti della stagione del football che si avvia a conclusione
ti, splendori e miserie, ansie e dolori
spettacolo si è trasformato in uno degli
affari più lucrosi del mondo, che non
si organizza per giocare ma per impedire che si giochi. La tecnocrazia dello
sport professionistico cerca di imporre un calcio di pura velocità e forza,
che rinunci all’allegria, che atrofizzi la
fantasia... “Ma per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi
dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno
te l’aspetti salta fuori l’impossibile e il
nano impartisce una lezione al gigante...” Per fortuna, aggiungiamo noi,
appare ancora sui campi di gioco, sia
pure molto di rado, qualche sfacciato
che esce dallo spartito e commette lo
sproposito di mettere a sedere tutta la
squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere
del corpo che si lancia contro l’avventura proibita della libertà.
Messi e la sua
insostenibile leggerezza
Uno di questi si chiama Lionel Andrés, Leo per gli amici, Messi per tutti
gli altri, il Messia per quanti addirittura stravendono per il calcio, soprannominato la Pulga (la Pulce) per via
della sua statura. E lui ripaga a suon
di grandi giocate, di gol, di vittorie. E
pensare che all’età di 12 anni gli era
stata diagnosticata una forma di ipopituitarismo, deficienza di secrezione
dell’ormone della crescita. Ma l’Argentina è un Paese povero e neanche
il grande River Plate aveva abbastanza denaro per pagargli le cure necessarie. È quindi il Barcelona si interessava al suo talento e si assicurava le
prestazioni sportive del ragazzo, che
arrivava in Europa insieme alla famiglia, venendo aggregato alle formazioni giovanili dei blaugrana. Nel
2002 sostenne un provino con la squadra italiana del Como, aveva 15 anni e
lo scartarono. Un anno dopo esordiva
in prima squadra e dopo meno di un
anno debuttava in una gara di campionato, diventando il più giovane a giocare nella Liga. Quando realizzava il
suo primo gol in prima squadra ave-
va solo 17 anni, 10 mesi e 7 giorni.
Da allora con il Barcelona ha conquistato cinque volte la Liga, altrettante
Supercoppe di Spagna, due Supercoppe UEFA, due Mondiali per club, tre
Champions League. E in questi giorni la squadra catalana sta disputando un’altra semifinale, la quinta consecutiva, dopo aver messo out il Milan. Messi non si ferma e continua la
sua inarrestabile corsa verso l’Olimpo
del calcio. Con la doppietta (sia pure
su rigore) infilata ai rossoneri la Pulce argentina con 14 segnature in una
stagione di Champions ha eguaglito un altro mito, Altafini del Milan
(1962/63). A soli 24 anni Messi, che
di recente aveva stabilito con 5 gol il
record del maggior numero di reti segnate in una singola partita europea,
sembra lanciatissimo verso altre vette
mai raggiunge prima dai suoi predecessori e, al momento, è difficile pensare che qualcuno lo possa fermare.
Calcio croato, come
uscire dalla palude?
Ma c’è l’altra faccia del mondo
pallonaro, quella che nasconde (si fa
per dire) polemiche e violenza, botte e
botti, ipocrisie e insulti, scandali e avidità... “Il calcio croato è una palude”
ha detto senza mezzi termini il ministro dello sport nel governo di Zagabria, Željko Jovanović. Convinto che
non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta, sta conducendo
una battaglia per la moralizzazione e
la regolamentazione dello sport, e del
calcio in particolare. Ma in questa crociata, fondamentalmente giusta e giustificata, Jovanović usa spesso metodi poco ortodossi: evidentemente per
il ministro la diplomazia non rassomiglia ad un incontro di pugilato con
guanti glacé, nel quale il suono del
gong viene sostituito dal cin cin dei
bicchieri di champagne, come recita
un vecchio aforismo. La vera arte della diplomazia consiste nel non perdere
mai il senso della misura, ma chiaramente Jovanović si è lasciato prendere
la mano, dimostrandosi poco scaltro,
attento, abile, sottile, riservato. Ha fi-
nito per sconfinare, lasciandosi andare ad un’...invasione di campo. Primo,
è entrato nel (de)merito dei mai abbastanza vituperati dirigenti federali.
Secondo, ha suggestionato l’operato
degli addetti ai lavori del reparto disciplinare della Lega calcio, in seguito
alla decisione dell’arbitro di sospendere la partita di campionato tra Istra
1961 e Rijeka al 70’ sull’1-0 per il ripetuto lancio di bengala in campo.
Le regole sono chiare, ma finora
mai erano state applicate. Poi, le opinioni del ministro, presente alla partita di Pola, hanno offerto lo spunto
per cercare la via del compromesso,
in barba a quanto prevedono le norme
disciplinari e di sicurezza negli stadi,
sulla falsariga del una colpa a ciascuno, non fa male a nessuno, con un riconoscimento del dolo (tra le due tifoserie) alquanto vago, “limitato” all’annullamento della partita, rigiocata poi
alla presenza dello “stesso” pubblico
(?!) e finita a reti bianche, e alla sanzione pecunaria ai due club. Terzo e
ultimo capitolo (ma soltanto per ragioni di spazio...), i dubbi (condivisibili) sulla regolarità di questo campionato, condizionato prima da alcune equivoche promozioni e ripescaggi
(scarsa imparzialità sull’adempimento al rispetto delle norme per l’iscrizione al massimo torneo), poi dai noti
casi di corruzione (coinvolti dirigenti
federali, di società, dell’organizzazione arbitrale), per finire con l’espulsione di una società morosa (Varaždin).
Se almeno fosse l’unica...
Intanto la Dinamo si è assicurata
con largo anticipo il suo settimo titolo
consecutivo (in testa è stato un campionato senza storia) ma lo ha festeggiato in una una partita senza pubblico, pena per il ripetuto lancio di bengala. Resta aperta la lotta per la salvezza, che coinvolge anche i fiumani,
in vista di una riduzione del numero di
squadre per la prossima stagione. Per
la quale, al momento, solo le tre zagabresi (Dinamo, Lokomotiva e Zagreb)
avrebbero tutti i requisiti richiesti dalla Federcalcio per l’iscrizione al prossimo campionato. Fiera delle assurdità, nuova edizione... ●
Panorama 47
Tra storia e gusto
Nella cucina monastica non solta
di Sostene Schena
I
l piacere della tavola ebbe in tutto
il periodo medievale e rinascimentale un ruolo estremamente importante per la classe nobile; poco o nulla si sa degli usi alimentari della gente
comune in quanto non esistono precise documentazioni. La possibilità di ricostruirne gli usi e le tradizioni proviene dagli scritti monastici, dalle indicazioni dietetiche formulate dalla Scuola
Salernitana e più tardi dai testi di “sana
alimentazione” composti da illustri studiosi, quali il padovano Michele Savonarola che, oltre all’arte culinaria, si interessò ampiamente dei metodi di distillazione e degli usi dei distillati nella
farmacopea.
A tavola i monaci osservavano rigorosamente le regole dettate dal
Concilio, abolendo la carne il venerdì
e nei giorni di vigilia. Lo stesso Carlo
Magno impose di rispettare il digiuno
e l’astinenza nei giorni stabiliti dalla
Chiesa. Egli, nei “giorni di magro”, si
nutriva una sola volta al giorno di zuppe o di pesce ed evitava i lussuosi banchetti di corte per tutto il periodo quaresimale. Il digiuno rappresentava la
morte dei sensi e la purificazione del
corpo. In molte comunità monastiche
durante la quaresima si digiunava nutrendosi solo di erbe crude consumate
in piedi per quaranta giorni.
Enrico IV, dopo la scomunica inflittagli dal papa Gregorio VII, osser-
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vò un lungo digiuno, a Canossa, seguendo l’esempio di Matilde. I giorni
di magro relativi al digiuno e all’astinenza computati dal calendario ecclesiastico erano centosessantasei, mentre i giorni comuni erano centocinquantasei.
Non tutte le comunità ecclesiastiche osservavano rigidamente le regole della Chiesa, se in molti monasteri la dieta dei “giorni di magro” era
costituita da cibi poveri conditi con
qualche goccia d’olio, in altre comunità, come a Cluny, i monaci aggirarono astutamente i divieti evitando le
carni e i grassi animali ma scegliendo,
tuttavia, pesci di prima qualità, salse,
piatti a base di uova, frutta, dolci, vini
di pregio.
Bernard de la Fontaine, rifiutando
il comportamento cluniacense decise
di formare una nuova comunità monastica, nel pieno rispetto della regola benedettina e con altri trentadue seguaci nel 1112 fondò a Citeaux l’ordine dei Cistercensi.
Feste e ricorrenze
Le comunità monastiche generalmente erano molto ricche, potevano
contare su ingenti patrimoni ricevuti
in dono dai nobili, su una grande abbondanza di prodotti parte dei quali
destinata ai poveri. Carlo Magno nel
Capitolare obbligava le comunità a
ospitare i senzatetto, i poveri, tutti coloro che non trovavano altri luoghi di
ristoro e riposo. Sorsero quindi i primi ospitali, ostelli, hotel Dieu ovvero
“luoghi di Dio”. Il viandante trovava
presso i conventi un angolo di sicurezza, un ristoro per il corpo e lo spirito;
molti pellegrini, dopo la permanenza in questi luoghi, sentirono la vocazione per la vita religiosa e indossarono il saio. Notevole fu il contributo
dei monaci nel divulgare la religione,
l’istruzione, la pratica medica, l’esperienza agricola, la cultura alimentare
e le conoscenze culinarie. Agli ospiti
del convento si offrivano cibi semplici, carni diverse, “porrate”, zuppe di
verdure, pesci di varie specie, quali il
merluzzo e l’aringa affumicata, provenienti dal Nord Europa.
Dopo il 1200, con l’inizio della
coltivazione del riso in Italia, era frequente l’offerta del riso “alla certosi-
Tra storia e gusto
nto digiuno
na” arricchito talvolta con rane, gamberi di fiume o lumache. Durante i
giorni di festa le quantità di cibo venivano aumentate di un quarto e le bevande della metà. Fra queste di uso comune erano il vino e la birra nonché
la potio, il vino dell’anno precedente,
piuttosto mal conservato e aspro, aromatizzato con le spezie. Questa pozione era alquanto apprezzata e considerata un buon tonificante del corpo. La
sua distribuzione seguiva un rituale
che avveniva ogni sabato e domenica
nelle cinquanta feste religiose dedicate ai santi.
Le razioni di cibo nei grandi monasteri erano alquanto consistenti, raggiungevano dalle 5000 alle 9000 calorie giornaliere. Durante l’anno erano
permessi inoltre ottantasette banchetti commemorativi ai quali partecipavano monaci, canonici, principi e re.
Il significato di queste cerimonie conviviali era da attribuirsi al bisogno di
preghiere da parte dei nobili, i quali,
fornendo ai religiosi la gioia del corpo
mediante ingenti offerte di cibo oltre
che di altri beni, ricevevano in cambio funzioni liturgiche, buoni auspici
di felicità terrena e spirituale. In questo
modo tutto si mescolava, il sacro con
il profano, il piacere della gola con il
banchetto eucaristico, la consacrazione di un luogo di culto o la rievocazione di una ricorrenza con il piacere dei
sensi, il tutto vissuto in un clima di felice convivialità.
I cibi della gente comune
Il cibo del contadino e del villano
era molto semplice, il vitto giornaliero consisteva in cipolle, porri, aglio,
fagioli, fave, rape, raramente carni. Il
pane era l’alimento principe, ma nei
lunghi periodi di carestia veniva spesso a mancare per cui era sostituito con
la farina di castagne impastata in vari
modi. A seconda dei mesi la dieta poteva essere integrata con cibi altamente proteici e grassi, particolare importanza assunse la carne di maiale che
costituiva una ricca fonte di nutrimento in quanto - come si sa - tutto poteva
essere utilizzato del suino; le parti migliori spettavano ovviamente al signore, ma tutte le frattaglie, le orecchie, il
lardo, i sanguinacci, le zampe, rappre-
Un gruppo di viaggiatori condivide il pasto
sentavano un simbolo di abbondanza
per la classe contadina che sapeva utilizzare gli scarti per innumerevoli preparazioni altamente nutritive. Il maiale
era il simbolo dell’abbondanza; a esso
per tutto l’autunno e l’inverno venivano dedicate feste particolari tuttora
parte della tradizione contadina, Nel
periodo dedicato all’uccisione del maiale, venivano consumati piatti che ancor oggi appartengono all’antica tradizione medievale, come la cassoeula,
piatto tipico piemontese e lombardo, preparato attualmente anche in molte
zone della Francia. La leggenda vuole che la cassoeula nasca da un soldato
spagnolo che, invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta e che in seguito la giovane abbia
proposto con successo il piatto ai suoi
datori di lavoro.
Una grande concessione per il
contadino era talvolta qualche salsiccia (o luganega) che veniva consumata nei giorni di festa. A Natale riceveva di diritto il cappone, con
il quale festeggiava la ricorrenza più
significativa dell’anno. Verso la fine
del 1200 l’aspetto socio-economico
d’Europa apparve alquanto instabile; le carestie e le pestilenze aumentarono spaventosamente. Certamente
la situazione non era generalizzata, in
quanto le città e i luoghi situati lungo
le vie mercantili più importanti potevano garantire un minimo approvvigionamento dei beni di consumo. Esistevano tuttavia luoghi impervi e lontani dove non arrivavano né mercanti
né merci, solo lo sfruttamento del-
le risorse naturali quali lo stagno, la
palude, il bosco, poterono in qualche
modo offrire alimenti necessari alla
sopravvivenza.
Verso la fine del Medioevo il significato del “mangiare molto” portò
sempre più alla ricerca di cibi raffinati
e particolari. I grandi mercati d’Europa acquisirono un notevole sviluppo;
con la conquista di nuove vie commerciali le mercanzie d’Oriente e d’Occidente raggiunsero i più importanti centri di scambio. Anche gli umili contadini raffinarono il loro modo di vivere,
trovarono indispensabile nutrirsi bene,
imitando le consuetudini signorili, ma
una spaventosa ondata di peste condusse a un grave regresso economico;
la popolazione europea alla fine del
1300 si ridusse di un quarto.
Il quindicesimo secolo vide realizzarsi nuove evoluzioni socio-economiche; dopo gli aspri conflitti fra le
varie potenze che dominavano l’Italia,
nella seconda metà del 1400, venne a
instaurarsi un periodo di quiete e di benessere. Il principe divenne il protagonista di ogni evento, rappresentando
l’obbedienza, la fedeltà e la consacrazione da parte dei cortigiani e dei suoi
fedeli.
Un chiaro esempio ne fu l’opera del
Machiavelli “Il Principe” nella quale la dignitaria figura venne descritta
come simbolo di potere e di assoluta onnipotenza. La cucina e la tavola
rispettarono i gusti e i cerimoniali di
corte accompagnati da un ricco e strabiliante estetismo e il Rinascimento ne
rappresentò il periodo di massimo fulgore. ●
(7 - continua)
Panorama 49
Gallignana, vette
di vera eccellenza
I
mportante e seguitissima tappa su uno dei percorsi
istriani del vino con la ormai tradizionale, decima edizione di Pasquetta della Mostra dei vini dell’Istria Centrale promossa dal Comune di Gallignana con il patrocinio della Contea e dell’Ente per il turismo della Regione
Istria. Nelle 18 tra cantine e aziende vitivinicole 114 espositori hanno presentato ben 266 tipi di vino, con vette di
vera eccellenza: il 70 p.c. è stato premiato, 23 le medaglie
d’oro. Non ricchissima di varietà, ma abbondante l’offerta enogastronomica in 24 punti di ristoro, dal primo pomeriggio tutti peraltro affollatissimi - in barba alla crisi.
Accanto alla produzione vinicola la Mostra ha offerto una
serie di prodotti che sono ormai autentici nuovi valori aggiunti: grappe e liquori, prosciutti, salumi e pancette, vari
tipi di formaggi e miele. Tra i souvenir c’è la prevalente
inclinazione al kitsch, ma non manca qualche timida presenza di chi fa ricorso a sguardi artistici, materiali insoliti,
di riciclo e reinterpretazione creativa. Alla manifestazione, che si è meritata le lodi del ministro del turismo, Veljko Ostojić, i più presenti tra i vini bianchi sono stati malvasia (voto più alto a Mario Banko da Bassi di Antignana), chardonnay, pinot e moscato, tra i rossi terrano, refosco e merlot (il migliore di Siniša Sergo della vicina Santa
Caterina). Uno scherzoso paralogismo, attribuito a un religioso, recita: chi beve bene dorme bene, chi dorme bene
non pecca, chi non pecca va in cielo, quindi chi beve bene
va in cielo... E così sia! Ma sempre “cum grano salis”!
(testo e foto di Bruno Bontempo)
Panorama 59
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