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Panorama - EDIT Edizioni italiane
Anno LX - N. 7 - 15 aprile 2012 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 www.edit.hr/panorama Panorama Quando la follia non conosce limiti Realismo socialista Cecoslovacchia 1948-1989 P iù di un centinaio di opere tra quadri, sculture e opere di grafica che coprono l’intero arco della produzione artistica del periodo socialista in Cecoslovacchia sono in mostra, fino all’8 luglio, a Villa Manin di Passariano. Ottima opportunità per valutare dal punto di vista storico-sociale e artistico un’epoca definitivamente conclusa ma che necessita di rilettura più attenta e priva di condizionamenti, la collocazione permette una rivisitazione del periodo del realismo socialista cecoslovacco attraverso i lavori, in gran parte inediti, degli artisti più impegnati nel progetto rivoluzionario. Grazie alla fondazione Eleutheria e all’Azienda speciale Villa Manin, per la prima volta viene esposto in Italia un numero di opere significative di tale periodo (1948 al 1989). La rassegna è stata realizzata con il patrocinio del Ministero degli Affari esteri italiano, dalle ambasciate della Repubblica Ceca a Roma e d’Italia a Praga, dalla municipalità di Praga e dall’Istituto italiano di cultura di Praga con il sostegno della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Vladimir Pleiner, olio su cartone Košiře 1944-1945 Ludvík Vacátko, olio su tela, “Primavera in Petrovice”, anni ‘30-’50 Vincenc Živnŷ, olio su tela, “Ritratto di Božena Živná minatrice di Kladno” František Turek, olio su tela, senza titolo 2 Panorama Anonimo, olio su tela, probabilmente anni ‘50 In primo piano Che cosa è emerso dall’inusuale invito agli estremisti di destra a Zagabria? Quali diritti? I nostri, ovviamente di Mario Simonovich L a Croazia non se la caverà senza un denuncia, che anzi sarà duplice, ossia verrà presentata tanto ai Parlamenti nazionali che a livello di Unione europea. Così hanno dichiarato gli esponenti dei partiti di destra provenienti da Bulgaria, Belgio, Francia, ma soprattutto Ungheria, dopo la negazione del permesso all’appuntamento previsto nel centro di Zagabria con cui asseritamente si proponevano di unirsi ai compagni di fede croati nel sostegno ai generali Gotovina e Markač colpiti da dure sentenze alla Corte dell’Aia. Sta forse in quest’ultima presa di posizione una delle chiavi che primariamente permettono di capire che, anziché un atto di solidarietà, l’appuntamento zagabrese è stato un atto prettamente politico e, in sottordine, un tentativo di ripresentare sulla scena politica il “volto buono” di un operare che, si può dirlo senza essere accusati di partigianeria, buono a dire il vero non lo è stato mai troppo, anzi ha contribuito largamente a moltiplicare quanto di cattivo sul piano sociale e nazionale si è visto in quest’area grosso modo nell’ultimo secolo. Alle rampogne degli ospiti palesemente osteggiati da una parte dell’opinione pubblica croata si sono unite quelle dei (parziali) padroni di casa, nella fattispecie del Partito puro dei diritti, il cui presidente si è unito nel loro asserito intento di denuncia all’Unione europea, evidentemente dimentico che la sua, per fortuna esigua, formazione ha considerato sempre ed in forma esplicita il processo di avvicinamento di Zagabria a Bruxelles come un esplicito tradimento degli interessi più genuini e dei valori più alti del popolo croato. Interessante e significativo è stato il modo in cui la situazione si è evoluta, passando da un tacito assenso ed anzi atteggiamento di consenso, se non di simpatia - all’ondata di diniego che ha coinvolto l’opinione pubblica. Ai primi che erano al corrente dell’appuntamento, palesemente talu- ne formazioni di destra, si è aggiunta presto la Matica Hrvatska. Per forza di cose, va detto subito, in quanto le è stato chiesto di mettere a disposizione i suoi locali per la riunione, cosa che ha avuto il suo immediato assenso, come ben si può supporre in nome dell’assoluta “garanzia di patriottismo” di cui gli ospiti sembravano dare prova e la Matica, si sa, è stata da sempre sensibile ed attenta a questi richiami. Il primo allarme però è arrivato presto, quando qualcuno ha fatto notare che il nerbo della comitiva era costituito dai componenti la compagine Jobik, seguaci di quel Gabor Vona che bruciando qualche settimana fa davanti a duemila persone una bandiera dell’Ue chiedeva di rinnegare il Trattato di Trianon con cui dopo la prima guerra mondiale (!) l’Ungheria era rimasta senza i territori abitati da popolazioni slave, Croazia in primo luogo. E qui gli avversari del Partito dei diritti hanno avuto buon gioco nel dimostrare che questo di politica non capiva poi troppo se aveva chiamato gente che “avrebbe volentieri messo la mano su territori croati.” La risposta è stata pegio el tacon del buso: le pretese degli estremisti ungheresi non riferivano alla Croazia ma ad altre aree abitate da slavi, ovvero se non siamo di mezzo noi... Poi è entrata in campo la politica ufficiale, in testa il capo dello stato che con il suo usuale linguaggio ha detto che “un appuntamento del genere non lo avrebbe reso felice”. E qui ci sono state nuove critiche, che essenzialmente hanno messo in luce la diffusa ignoranza che da noi regna in questi casi; i capi di stato che si rispettano parlano sempre così, spetta ad altri, i media in primo luogo, il compito di capire il senso di quel che dicono. Come è andata a finire si sa. Un maldestro tentativo di ridare ossigeno a un processo decisamente in secondo piano si è risolto con un ulteriore flop che però ha mostrato a quali manovre sia in grado di ricorrere la politica per raggiungere i suoi fini. ● Costume e scostume Ma che è successo in questo aprile? Ed ora due righe per tentare di smontare ulteriormente il teatrino della politica, espresso, fra l’altro, anche dall’atto unico di cui si tratta qui a lato. Oltre che dall’argomento in parola, nella prima metà di aprile la gente è stata abbondantemente bombardata con tutti i dettagli riguardanti il riposizionamento delle ore di catechismo, duramente criticato dalla conferenza episcopale, e la possibilità di creare una parvenza di avvio all’occupazione dei giovani, duramente criticata in particolare dall’opposizione, ma anche da parte dei potenziali interessati. La quale opposizione poi (e quando in Croazia si dice opposizione, si intende HDZ) in tutti gli anni dacché è stata al potere ha incrementato la disoccupazione ed ora appare preoccupata ad occuparsi soprattutto di se stessa sfornando candidati a presidente con ritmi da catena di montaggio. Leggermente più seria, neanche la maggioranza è stata aliena da cedimenti, tipo quello se dare o meno l’immunità diplomatica all’autonominatosi primo vicepremier, imputato di omicidio colposo per l’incidente stradale in Ungheria. Ben altre erano invece le notizie “vere” ed importanti, che invece sono state ridotte ed incapsulate al massimo. Quali? La possibilità che all’ospedale di Cantrida i bambini malati di tumore restino senza medicine, l’annunciato rincaro della corrente o il nuovo prezzo della benzina. Ma forse l’opinione pubblica non va turbata troppo... Panorama 3 Panorama www.edit.hr/panorama Ente giornalistico-editoriale ED IT Rijeka - Fiume Direttore Silvio Forza PANORAMA Redattore capo responsabile Mario Simonovich [email protected] Progetto grafico - tecnico Daria Vlahov-Horvat Redattore grafico - tecnico Annamaria Picco Collegio redazionale Nerea Bulva, Diana Pirjavec Rameša, Mario Simonovich, Ardea Velikonja REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-789. Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153. Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146 ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka) ISSN 1334-4692 Panorama (Online) ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia: annuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa); semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa); una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 - semestrale (12 numeri) euro 31,30 - una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00 una copia: euro 1,89. Versamenti: per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT: PBZGHR2X. Numeri arretrati a prezzo raddoppiato INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn; retrocopertina interna 700,00 kn; pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia retrocopertina 250,00 euro; retrocopertina interna 150.00 euro; pagine interne 120,00 euro. PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (FiumeCapodistria) e l’Università Popolare di Trieste EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a [email protected] La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia e Slovenia avviene all’interno del progetto “L’EDIT nelle scuole III”, sostenuto dall’Unione Italiana di Fiume, realizzato con il tramite dell’Università Popolare di Trieste e finanziato dal Governo italiano (Ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale per l’Unione Europea) ai sensi della Legge 193/04, Convenzione MAE-UPT. Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Maria Grazia Frank Franco Palma, Ilaria Rocchi, Marianna Jelicich Buić, Livia Kinkela. 44Panorama Panorama Panorama testi N. 7 - 15 aprile 2012 Sommario IN PRIMO PIANO Che cosa è emerso dall’inusuale invito agli estremisti di destra a Zagabria? QUALI DIRITTI? I NOSTRI OVVIAMENTE................................ 3 di Mario Simonovich ATTUALITÀ Significative testimonianze dei dirigenti INA al processo Sanader MOL DECIDE SENZA DI NOI....... 6 Clima vivace all’interno dell’HDZ in vista delle elezioni per la presidenza KUJUNDŽIĆ E PRGOMET UNITI, GLI ALTRI CORRONO DA SOLI.... 6 di Mario Simonovich DOSSIER SARAJEVO Tra il 5 e il 6 aprile 1992 i cecchini iniziarono a sparare. Pochi immaginavano che l’assedio sarebbe durato anni VENT’ANNI FA A SARAJEVO: SE LA FOLLIANON CONOSCE LIMITI ....... 8 di Diana Pirjavec Rameša Da quei fatti tanto orrendi lo stimolo alla ricerca di un futuro comune SARAJEVO MON AMOUR, TRISTE PRIMAVERA DI VENT’ANNI FA... 14 di Marino Vocci INTERVISTE Roberta Dubac, nuova firma che si unisce ai narratori della CNI HO BISOGNO DI TOCCARE LE COSE CON MANO E CAPIRE......16 di Diana Pirjavec Rameša LA STORIA OGGI L’ultimo libro di Stelio Spadaro propone un nuovo punto di vista AREA ADRIATICA: NON SOLO NETTE CONTRAPPOSIZIONI.... 20 di Fulvio Salimbeni PSICOLOGIA Disumanizzazione e colpevolizzazione della vittima passaggio obbligato nel processo di disimpegno morale NON SONO VERI UOMINI COME NOI: POSSIAMO UMILIARLI QUANTO VOGLIAMO................. 22 di Denis Stefan CINEMA E DINTORNI ”The Lady”, di Luc Bresson, dedicato alla donna che si è opposta ai generali LA TREMENDA SCELTA DI VITA DI AUNG SAN SUU KYI.............. 24 di Gianfranco Sodomaco ARTE Nelle chiese, cappelle e conventi del Quarnerino un’eredità da rivalutare DOMINANTE L’INFLUENZA ITALIANA ..................................... 26 di Patrizia Venucci Merdžo AVVENIMENTI NELL’ARTE Esposti quadri e “modellini” frutto della passione di Giulio Ruzzier RIVIVE IL MITO DELLA PARENZANA................... 28 di Mario Simonovich LETTURE ISTRIA NOBILISSIMA “DIGHELO COLA POI∫IA” (DIGLIELO CON LA POESIA) (4)... 34 di Lino Capolicchio ITALIANI NEL MONDO I questionari della Cgie dovranno essere compilati entro il prossimo giugno UN MONITORAGGIO SOCIO-SANITARIO...................... 40 a cura di Ardea Velikonja MADE IN ITALY Espositori molto interessati alla Campionaria prevista dal 12 al 20 maggio SBARCO DEI MILLE A PADOVA... 42 a cura di Ardea Velikonja MUSICA Storia degli strumenti a corda, legni, ottoni e percussioni che compongono un’orchestra sinfonica (10) IL TROMBONE RIABILITATO DA GLUCK E BEETHOVEN.........44 a cura di Ardea Velikonja SPORT Pensieri sparsi e ambiti di ri flessione su alcuni aspetti della stagione del football che si avvia a conclusione FATTI E MISFATTI, SPLENDORI E MISERIE, ANSIE E DOLORI.... 46 di Bruno Bontempo TRA STORIA E GUSTO NELLA CUCINA MONASTICA NON SOLTANTO DIGIUNO........ 48 di Sostene Schena MULTIMEDIA Tutto quello che c’è da sapere sulla nuova tecnologia della nuvola IL FUTURO È NEL CLOUD COMPUTING..................................50 a cura di Igor Kramarsich RUBRICHE................................... 52 a cura di Nerea Bulva PASSATEMPI................................ 58 IN COPERTINA: la “Linea rossa di Sarajevo” dedicata alle vittime dell’assedio Agenda «Istria nel tempo»: a Maribor presentato il progetto di recupero della memoria Sfaccettature della penisola in versione multimediale È stato presentato lo scorso 11 aprile a Villa Vetrinj, a Maribor, Istria nel tempo, progetto multimediale nato dalla collaborazione del Programma italiano di TV KoperCapodistria con il Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, l’Unione Italiana e l’Università Popolare di Trieste. Il progetto si compone di una serie di sei documentari (disponi- bili anche su due DVD) e di un volume lessicografico che, dopo la versione italiana e croata, esce ora anche in lingua slovena. L’appuntamento di Maribor è stato l’occasione per presentare al pubblico della “capitale europea della cultura 2012″ la nuova traduzione del manuale che, in maniera obiettiva, narra la storia della penisola del nord Adriatico. Un impegno non da poco, con riferimento soprattutto alla pluralità linguistica e culturale delle genti che si sono insediate o che sono solamente transitate in Istria lungo i secoli e agli accadimenti che hanno martoriato queste terre nel corso del Novecento. Il materiale audio-video è interamente quadrilingue, ovvero in italiano, sloveno, croato e inglese.● Conferiti i riconoscimenti annuali della Regione litoraneo-montana Premio ai promotori dell’Italianistica fiumana ll’Accademia solenne, che si è svolta lo scorso 12 aprile nella Casa di cultura di Sušak nella ricorrenza della Giornata della Regione litoraneo-montana, come da tradi- A zione sono stati conferiti i premi annuali e il premio Opera Omnia della Regione (nella foto). Il Premio annuale collettivo della Regione litoraneo-montana è stato assegnato al gruppo che ha istituito il corso di laurea in Lingua e letteratura italiana alla facoltà di Filosofia di Fiume, ossia Predrag Šustar, preside della suddetta facoltà, e le professoresse Gianna MazzieriSanković (responsabile del Dipartimento di italianistica), Corinna Gerbaz Giuliano, Ines Srdoč Kone- stra e Svjetlana Kolić-Vehovec. “Io e i miei colleghi siamo molto fieri del fatto che sia stata riconosciuta l’importanza di questo progetto, anche perché non ce l’aspettavamo per niente. Per me e per la prof.ssa Gianna Mazzieri-Sanković, coautrice assieme a me del Corso di laurea in Lingua e letteratura italiana, ciò rappresenta un riconoscimento a tutte le notti insonni e a tutti i sacrifici fatti per realizzare questo sogno”, ha detto la prof.ssa Corinna Gerbaz Giuliano. ● Il ministro della Cultura ha annunciato l’appoggio statale alla sua candidatura Pola, capitale UNESCO del libro 2014? I l ministro della Cultura della Repubblica di Croazia, Andrea Zlatar Violić, in visita a Pola ha annunciato il pieno appoggio statale alla candidatura di Pola a Città del libro sotto l’emblema UNESCO per l’anno 2014 e ciò proprio grazie alla sua fiera del libro. La concorrenza però è sleale e spietata perché al titolo ambisce pure Oxford. Nel caso il tentativo dovesse fallire, non tutto precipiterà; il progetto culturale studiato all’uopo si dovrebbe realizzare co- munque, anzi viene dato per scontato, parola del ministro Zlatar Violić. Il grazie per il generoso appoggio dimostrato è stato espresso dal sindaco di Pola, Boris Miletić, in occasione dell’incontro col ministro al Municipio (nella foto), che ha visto ospitare anche il viceministro addetto al patrimonio monumentale Zlatko Uzelac. Presenti pure Viviana Benussi, vicepresidente della Regione Istriana, l’assessore istriano alla Cultura, Vladimir Torbica, nonché i rap- presentanti della Commissione per il progetto “Pola città del libro” con alla testa Magdalena Vodopija, promotrice e direttrice della fiera “Sa(n) jam knjige”.● Panorama 5 Attualità Significative testimonianze dei dirigenti INA al processo Sanader La MOL decide tutto senza di noi di Mario Simonovich S i diceva INA e si sottintendeva un mastodonte che, complice anche una certa benevolenza dei fori decisionali, navigava sicuro sul mercato della produzione e distribuzione dei prodotti petroliferi fin dall’inizio del secondo dopoguerra. I dipendenti erano ben pagati, la possibilità di avere un alloggio molto più ampia, la disponibilità di case di riposo a prezzi irrisori non meno lontana, ecc. Un giudizio, questo, diffuso su scala generale e mantenutosi per decenni, stante anche la palese bene- volenza di cui i massimi fori decisionali del paese davano regolarmente prova ogni qualvolta si fosse profilata all’orizzonte un’ombra di pericolo. Il primo scossone tale giudizio l’ha avuto con lo sfacelo dello stato federale che fra l’altro ha lasciato “all’estero”, in primo luogo in Serbia, diverse stazioni di servizio, ossia immobili e impianti per un valore di tutto rispetto. La direzione del complesso si fece avanti a pretendere la restituzione che però a tutt’oggi non è avvenuta. La cosa però non ha frenato l’attività del gigante, che mutati di volta in volta direttori e organi di- rigenziali, ha continuato ad operare, si direbbe, indisturbato. Il giro di volta è avvenuto nell’autunno del 2008 con il progressivo acquisto delle azioni INA da parte dell’ungherese MOL, realizzato fra l’altro anche con il massiccio rastrellamento di quelle detenute dai piccoli azionisti o dai “privilegiati” come i fondi pensionistici o le associazioni dei reduci, verso cui lo stato aveva indirizzato parte dei pacchetti all’atto della privatizzazione. I dati aggiornati al 30 dicembre scorso dicevano che la maggior parte della quota di proprietà, il 47,26 p.c. Clima molto vivace all’interno dell’HDZ in vista delle elezioni per la presidenza Kujundžić e Prgomet uniti, gli altri corrono da soli S embrava una moltiplicazione a dismisura, poi è arrivata la frenata. Due dei tanti candidati ai vertici dell’HDZ, Drago Kujundžić e Drago Prgomet, si sono formalmente alleati per concorrere alle due massime cariche invitando nel contempo anche gli altri ad unirsi ad essi in un “fronte unico” che ha quali avversari da battere la presidente uscente Jadranka Kosor e la sua eminenza grigia, quel volpone della politica che risponde al nome di Vladimir Šeks. L’invito, all’apparenza del tipo uniamoci per battere con più facilità la nostra avversaria, è stato piuttosto recepito come un’ammissione di debolezza, basata sul calcolo che, date le scarse possibilità di vincere, il duo abbia più che altro voluto cautelarsi in quanto una debacle segnerebbe anche la fine di ogni possibilità di candidarsi a cariche di livello più basso. Probabilmente è questo il motivo per cui Tomislav Karamarko si è limitato a dire con fare molto asciutto di aver preso attto della novità (non dell’offerta!) e di non aver altro da aggiungere. Un comportamento che appare molto indicativo qualora risultassero confermate le voci che è 6 Panorama Jadranka Kosor, Darko Milinović, Tomislav Karamarko e Domagoj Milošević: per ora nessuna coalizione in vista delle “presidenziali” stato proprio l’uomo con cui i due hanno avuto i contatti più intensi prima di annunciare la decisione formale. Darko Milinović con il fare che gli è usuale, è stato più esplicito: il prestigio all’interno del partito è grande e la vittoria è certa, ha sostenuto, per cui non necessita del supporto di alcuno. L’identica posizione espressa da Domagoj Milošević avrebbe un sottofondo del tutto diverso. Sembra che larga parte dell’elettorato di partito gli sia veramente attaccato per cui l’asserita intenzione di non collaborare corrisponderebbe ad una posizione privilegiata, per diversi aspetti inattaccabile. Comunque, pronto a collaborare si dichiara assolutamen- te contrario ad ogni ipotesi di “condivisibilità” del potere. In quanto ai contenuti dei programmi, si sa che il solo Karamarko insiste per un ritorno organico alle idee professate dal fondatore, Franjo Tuđman. I suoi concorrenti, pur richiamandosi a parole alla fiugura del defunto presidente, appaiono molto più proiettati all’affermaione dei valori europei - per i quali, a onor del vero, va detto che si è battuta con vigore particolare Jadranka Kosor, quali non erano mai stati tenuti in particolare conto dallo scomparso, che si era richiamato invece in permanenza e con ostentazione ai valori dello stato nazionale, espressione di quel pancroatismo che fu l’essenza della sua politica.● Attualità Boris Tadić ospite del forum economico triestino L’Italia partner privilegiato L delle azioni, era in mano alla MOL, il 44,84, ossia poco meno, era detenuto dal Governo croato mentre il rimanente 7,9 era distribuito fra altri investitori tanto istituzionali che privati. Dunque i rapporti di forza indicavano che la parte ungherese, seppur preponderante, avrebbe dovuto gestire la compagnia tenendo ben presente che le altre parti coprivano uno spazio tutt’altro che trascurabile, specie nella considerazione che un loro ipotetico “fronte comune” avrebbe significato una “copertura azionaria” che in termini aritmetici si attestava poco al di sotto del 53 p.c. I rapporti di forza però erano una cosa, la prassi tutt’altro. Lo hanno detto, si suppone in piena responsabilità visto che parlavano in tribunale, Davor Mayer e Ivan Kresić, due rappresentanti della parte croata nel direttivo. Nell’udienza di venerdì 13 aprile del processo all’ex premier Ivo Sanader, Ivan Kresić ha affermato che il governo croato non ha alcuna influenza nell’ambito decisionale, e che tutto viene deciso dal “partner strategico” ovvero dalla parte ungherese. La maggior parte delle decisioni neppure perviene a conoscenza del direttivo, ha rilevato. I componenti croati, da parte loro hanno saputo che gli ungheresi sono in possesso di informazioni riservate di cui regolarmente non dispone la parte croata, tanto che un anno fa hanno chiesto che venissero apportate modifiche all’Elenco delle prerogative in ambito decisionale. Un documento essenziale, ha affermato, in quanto fissa le modalità con cui le informazioni passano dall’INA alla MOL per tornare all’INA e prendere corpo in forma di decisioni. Il giorno precedente era stato ascoltato Mayer che in pratica aveva anticipato il discorso del collega. Le modifiche apportate all’accordo azionario a Serbia è partner privilegiato dell’Italia, ha detto il presidente serbo Boris Tadić presenziando a Trieste al forum economico Friuli Venezia Giulia-Serbia. Ha quindi citato i recenti accordi con aziende quali Fiat e Danieli. Con Roberto Tondo, presidente della regione Friuli, ha concordato sull’esigenza di ancora più stretti rapporti commerciali tra i due paesi, in un contesto di internazionalizzazione delle due economie. Tadić ha aggiunto che i lavori di completamento del corridoio 10, che collegherà Salisburgo a Salonicco, passando per la Serbia, sono in fase di realizzazione. “Il completamento del corridoio 10 - ha affermato - è un’opportunità per approfondire la naturale propensione dei due paesi alla collaborazione economica”. Tadić ha poi sottolineato come le strette relazioni della Serbia con Russia, Ucraina e Turchia rappresentino una straordinaria opportunità per l’Italia, in un contesto di internazionalizzazione delle economie dei due paesi. Ha quindi esortato l’Italia ad “affrontare il tema della cooperazione in campo formativo”, assieme a quello prettamente economico. “I nostri paesi dovrebbero approfondire le loro relazioni di lungo corso anche in campo culturale e formativo, specie universitario. L’elemento conoscenza è centrale, specie in questo momento di crisi”. Antonio Paoletti, presidente della Camera di Commercio di Trieste, ha ricordato alcune importanti iniziative di cooperazione fra cui il piano di creazione di una “zona franca” per le attività logistiche delle imprese italiane in Serbia e un progetto bilaterale per la formazione manageriale. ● Boris Tadić e Renzo Tondo all’appuntamento triestino dal governo Sanader, era stato deciso nell’affermazione, avevano posto la compagnia completamente in mano al partner danubiano e ciò aveva costituito un esplicita rinuncia agli interessi nazionali croati. Quasi a fargli eco, negli stessi giorni è comparsa sulla stampa quello che può essere considerato un esplicito atto d’accusa. Il geologo Stanko Kadija, allora in forza all’INA-Naftaplin, ha dichiarato che esattamente dieci anni fa la compagnia aveva scoper- to in Siria giacimenti di gas del valore allora stimato pari a 23 miliardi di dollari. L’informazione però - sostiene - venne tenuta nascosta fino a tutto che la MOL non acquistò il primo pacchetto delle azioni INA (un quarto del totale più la golden share) per non più di 505 milioni di dollari. In altri termini essa era stata ampiamente sottostimata. Della matrice criminale Kadija è tanto convinto da essersi rivolto all’Avvocato di stato con una circostanziata denuncia.● Panorama 7 Sarajevo Nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 1992 i cecchini iniziarono a spar Vent’anni fa a Sarajevo: quan a cura di Diana Pirjavec Rameša Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò a partire dall’estate del 1992 una settantina di risoluzioni sulla guerra civile in Jugoslavia, per la grande maggioranza vaghe e incapaci di influire sul corso della guerra I l 5 aprile 1992, a Sarajevo i cecchini iniziarono a sparare su una folla di dimostranti che manifestava per la pace. Il 5 aprile è considerata ufficialmente la data di inizio dell’assedio della città, il più lungo della storia moderna, che terminerà solo il 26 febbraio 1996, dopo la firma degli accordi di pace di Dayton e la fine delle ostilità. In occasione di questo ventennale è stata organizzata una reunion a Sarajevo di giornalisti e reporter che “coprirono” (come si dice in gergo) la guerra di Bosnia: sede di questa inusuale rimpatriata, manco a dirlo, l’hotel “Holiday Inn” che fu il luogo d’incontro della stampa internazionale durante gli anni dell’assedio, proprio lungo la “snypers alley”. Il rischio, come ha scritto Tim Judah su “Eastern approaches - The Economist” il 23 marzo in un pezzo intitolato “Bosnia past, present and future”, è che “chiunque si interessi di Bosnia Erzegovina verrà ben presto sottoposto a un diluvio di malinconici ‘Io Un uomo con un carretto pieno di legna oltrepassa una macchina distrutta in una zona di Sarajevo particolarmente pericolosa per la presenza di cecchini, 9 marzo 1993 (AP Photo/ Michael Stravato) Dossier Il tunnel della speranza e la Velepekara 8 Panorama L a difesa di Sarajevo si proietta nel mito, come la battaglia della Sutjeska, come la rivolta del ghetto di Varsavia. Sono prove che l’uomo non è distruttibile. Il tunnel, poco più che un cunicolo minerario, scavato sotto le piste dell’aeroporto - da una casa di Dobrinja a Hrasnica, ai piedi dell’Igman - ha contribuito molto a questo mito. Alto 1,70 metri e largo altrettanto, vi si snoda uno stretto binario su cui venivano spinti i carrelli di ferro. Unico tubolare terroso e malfermo che dava ossigeno all’abitato, unica via per le armi e il cibo. La fame era una costante nella città assediata. La mancanza d’acqua dentro le case una condizione ancora più grave. La città - ridotta a qualche sgangherato e semidistrutto quartiere coperto dalle barricate (“siamo rimasti in pochi!” dicono dall’interno) - anche nelle giornate di luce aveva un colore grigio, arrugginito. Né alberi, né verde, i colori erano quelli dei container a protezione di qualche percorso e delle barricate alzate con cataste di automobili fuori uso, le carrozzerie tarmate dai colpi e dal tempo. Il pane per i cittadini veniva cotto alla Velepekara, il grande forno statale. Era “pane di guerra” ma la sua fragranza si diffondeva nell’aria e accentuava la fame e il desiderio. Sulla facciata della Velepekara era dipinta una grande spiga dorata di grano. Il colore - tra lamiere stor- do la follia non conosce limiti c’ero’, storie raccontate da una combriccola di giornalisti che seguirono la guerra. E in un certo senso ciò è accaduto. Molti non vollero o finsero di non capire te, luminosa e splendente, cupa e severa allo stesso tempo? - si è chiesto Christophe Solioz, segretario generale del Center for European Integration Strategies in un articolo dedicato all’assedio della capitale bosniaca. Quattro secoli di dominazione ottomana, qualche decennio d’Impero asburgico e poi di un destino jugoslavo, prima monarchico e poi titino. La speranza di un “socialismo dal volto umano” ha tragicamente fine nel 1991. Il 5 aprile del 1992 inizia il più lungo assedio della storia moderna. L’aggressione assume le pieghe di una guerra tra varie comunità, guerra di memoria e di religione. Se queste qualifiche non dovessero piacere a qualcuno, i fatti sono implacabili: l’assedio di Sarajevo ha causato 11.541 vittime. Civili per la maggior parte, occorre ricordarlo? E quante esistenze mutilate e famiglie dilaniate? Umiliazioni e violenze di tutti i tipi, torture, assassinii, “urbicidi”, “memoricidi” e genocidio... A fatica le parole riescono a restituire l’ampiezza dei crimini commessi e la sofferenza imposta. La casa della famiglia Kolarević da cui si entrava nel tunnel che portava all’aeroporto te e buchi neri dei colpi - è rimasto, come il manto di un santo bizantino in fondo a una latomia diventata stazione di preghiera. I saraeliani - nei letti gelidi dei loro inverni sotto assedio, nel- la città trasformata in un ghetto - sognavano la grande spiga di sole, l’aureo cibo proibito.● Dossier Di quello che fu quella nuova guerra nel cuore dell’Europa che avrebbe cambiato profondamente il volto di Sarajevo, della Bosnia Erzegovina, dei Balcani e della stessa Europa ha scritto Enzo Bettiza in un lungo articolo su “ La Stampa”. “Molti non vollero o finsero di non capire quello che stava accadendo nel cuore più antico dei Balcani. Cercarono di vedere ad ogni costo, in quella fatidica scelta plebiscitaria della Bosnia Erzegovina, la causa e l’inizio di un conflitto tra ‘milizie serbe’ da una parte e ‘milizie musulmane e croate’ dall’altra. Nulla di più opinabile. L’ossessione della simmetria, fin dai primi massacri di Vukovar che la negavano, era stata poi quasi sempre costante e determinante nella passività delle capitali occidentali. Queste, infatti, finirono per lavarsi le mani affidando alle risoluzioni dell’Onu e all’ambigua neutralità dei caschi blu dell’Unprofor (United Nations Protection Force) il compito di tutelare, senza spendere una cartuccia, la drammatica coesistenza tra aggrediti e aggressori. Equanimità forzata, ma assai calcolata, con il male e il bene giudiziosamente spartiti fra tutti gli ex jugoslavi, tutti carnefici e vittime nello stesso istante, è stato il velo pilatesco con cui l’Occidente fino al genocidio di Srebrenica si è bendato gli occhi, onde evitare un’identificazione esatta e compromettente di chi aveva scagliato la prima pietra”. Sarajevo. Come abbracciare la molteplicità passato-presente di questa città tra Oriente e Occiden- Sarajevo are sulla città. Pochi immaginavano che l’assedio sarebbe durato anni Panorama 9 Sarajevo Come non ricordare l’impotenza e l’abdicazione della “comunità internazionale”: i cessate il fuoco violati, le molteplici risoluzioni ignorate, i vari piani di pace destinati al fallimento. Senza dimenticare l’assurda missione di protezione dell’Onu (UNPROFOR) incaricata di “mantenere la pace” là dove il conflitto impazzava. I politici occidentali non escono certo bene da questa guerra: ciechi ai massacri e ai despoti fautori della guerra, muti di fonte agli orrori dei campi di prigionia, degli stupri, della deportazione - e sterminio - delle popolazioni non serbe, sordi agli appelli d’aiuto. Una vergogna. Sarajevo... “una città che, allo stesso tempo, si trasforma, agonizza e rinasce” scrisse Ivo Andrić. È vero ancora oggi. Il boom della ricostruzione, i bar alla moda e il ritorno dei turisti non devono però indurre in errore: Sarajevo soffre delle sue ferite. La Biblioteca nazionale, ricostruita all’esterno, tutt’ora in cantiere all’interno (si annuncia la fine lavori per il 2014) ne è l’esempio più eloquente. Si fa finta d’ignorarlo, ma la città è ancora divisa. Istočni Sarajevo (Sarajevo Est) è de jure la capitale della Republika Srpska, una delle due entità di cui è costituita la Bosnia-Erzegovina (l’altra è la cosiddetta Federazione croato musulmana). Andando oltre le illusioni, il dopoguerra ha portato le stimmate di una “transizione guerreggiata”, macchiata dal sangue che non si può cancellare. Alle “rose di Sarajevo”, le tracce a forma di fiore lasciate sull’asfalto dalle granate, pitturate in rosso dopo il conflitto, si è aggiunta, il 6 aprile scorso, la “Linea rossa di Sarajevo”. Si tratta di una manifestazione artistica di rilievo eccezionale realizzata dall’East West Center sotto la direzione di Haris Pašović: 11.541 sedie rosse, simbolicamente riservate alle vittime dell’assedio, sono state disposte tra la Presidenza della Bosnia-Erzegovina e la moschea Ali Pasha. Il programma poetico e musicale è a loro dedicato. “Sarajevo tra debito, dovere di memoria ed emancipazione. 1395 Giorni Senza Rosso” (Šejla Kamerić e Anri Sala, 2011), dove il “senza rosso” si riferisce all’obbligo di non vestirsi con un colore che potesse attirare l’attenzione dei cecchini. Questo il titolo del film che propone una traversata della città assediata al ritmo del primo movimento della “Patetica” di Ciaikovski. Nel porsi la domanda: di cosa, perché Una città lunga e stretta. E una storia travagliata Dossier L 10 Panorama a capitale della Bosnia-Erzegovina ha una struttura città lunga e stretta, in quanto condizionata dalle montagne che la circondano. Si è sviluppata lungo un piccolo affluente del fiume Bosna, la Miljacka. le cui acque a quest’altezza hanno una profondità che arriva solo a pochi centimetri. Vicino a uno dei ponti, il Ponte Latino, i colpi di pistola sparati dallo studente Gavrilo Princip uccisero nel giugno del 1914 l’arciduca ed erede al trono dell’impero austroungarico Francesco Ferdinando. La guerra che ne seguì segnò la fine di un’epoca e creò i presupposti per quella a venire, impersonata dal nuovo stato, che si sarebbe chiamato Jugoslavia. Anche questo “tentativo” ,seppur presentatosi in due edizioni del tutto diverse, ebbe una vita travagliata fino all’annullamento totale. Dopo un’altra guerra, infatti, e la costituzione della Bosnia ed Erzegovina in una delle sei repubbliche federate, nel decennio successivo alla morte di Tito (1980), che ne era stato architetto, le tensioni tra le diverse etnie crebbero in parallelo alla retorica nazionalista sempre più roboante e minacciosa che preveniva dalla Serbia, in primo luogo per bocca di Slobodan Milošević, e alle rivendicazioni che affondavano in centinaia di anni di divisioni culturali, religiose, sociali: lo stato “degli Slavi del sud” si divise con la dichiarazione di in- dipendenza della Slovenia, a cui seguirono quelle della Croazia, Macedonia e Bosnia. L’intervento militare dell’esercito jugoslavo ancora in piedi e delle diverse milizie etniche si trasformò presto in una sanguinosa guerra civile. Croazia e Serbia volevano controllare questa ex repubblica con cui ambedue confinano e l’episodio centrale della guerra furono i quattro anni dell’assedio. Da ricordare che nel referedum di febbraio del 1992, musulmani croato-bosniaci votarono per oltre il 90 per cento a favore dell’indipendenza. Im serbi, che avevano votato quattro mesi prima in un altro referendum unirsi alla Serbia e al Montenegro, non parteciparono al voto. ● Morire per Sarajevo Abdulah Sidran in uno scritto recente si è chie- sto: “Che cosa ha significato - dunque - l’assedio di Sarajevo? Come ha modellato la Storia quella tragica vicenda di morti e privazioni? Che cosa volevano gli assedianti e che cosa difendevano gli assediati? La mia generazione, resistendo al nazionalismo serbo, lottando in nome di una società multiculturale, ha conservato un volto, una forma e un discorso. Quella dell’assedio fu una conoscenza dalle origini, esistenziale. Fu una prova e una maturità. Fu la ragione contro i mostri… La lotta tra il Bene e il Male è iniziata sulle mura di Sarajevo! 20 anni fa! Da allora abbiamo visto crescere, moltiplicarsi, diffondersi, le nuove teorie per cui gli uomini non stanno insieme tenendo a base il diritto, ma l’arcano della omogeneità etnica. Le nuove tavole della convivenza si scrivono sulle recinzioni”. Valori e ansia di valori. I giovani studenti e operai che vanno, traversando il tunnel, alla difesa del monte Igman porta sud della città, dicono: “Noi siamo la Spagna repubblicana, la nostra battaglia è per la democrazia e contro il fascismo”. “Siamo la multiculturalità e la democrazia, l’Europa e il cosmopolitismo”. I poeti e gli scrittori - gestori dello spirito, dell’anima della città - rivestono un ruolo strategico. L’abbandono di Sarajevo da parte della comunità ebraica - orchestrato da Israele in chiave islamofobica, con la mediazione di Elie La Croce Rossa distribuisce pane e un piatto di Wiesel - lascia stordita la città cui sono appartenuti zuppa, Sarajevo, 16 febbraio 1994 (AP Photo/ Laurent Rebours) per 500 anni. E il governo deve ufficialmente smen- Sarajevo tire che Abdulah Sidran abbia abbandonato la città, quando nel 1993 - come giurato al festival del cinema di Venezia - o nel 1995 - per la prima edizione italiana di un suo libro di poesia - lascia temporaneamente Sarajevo (passando per il tunnel). L’assedio fu particolarmente duro e i combattimenti violenti si protrassero fino ad arrivare alla metà del 1993: alla fine di quell’anno, praticamente tutti gli edifici della città erano stati danneggiati dai bombardamenti, qui inclusi gli ospedali, gli edifici governativi e, quasi come un paradosso, le sedi delle Nazioni Unite. Sull’abitato cittadino secondo le stime delle “disastrate” Nazioni Unite, caddero proiettili di artiglieria con una media di oltre trecento al giorno. La Biblioteca Nazionale bruciò fino alle fondamenta e il suo contenuto di libri e codici antichi venne interamente distrutto. Le strade della città sono tuttora marcate da decine di “rose di Sarajevo“. Nei primi sei mesi del 1993, per aggirare l’embargo delle armi e permettere l’ingresso di aiuti umanitari nella città, venne scavato lo “storico” stretto tunnel, lungo circa un chilometro, dai sobborghi della città fino alla zona dell’aeroporto a sudovest della città, posto in una zona nominalmente neutrale e sotto il controllo delle Nazioni Unite, ma che non sfuggì ai bombardamenti dei serbo-bosniaci. Attraverso questo cunicolo quasi impraticabile, ma insostituibile passarono per mesi armi, cibo e materiali di ogni tipo, ed anche, fra migliaia d’altri, l’allora presidente (il primo della Bosnia-Erzegovina) Alija Izetbegović, portato su una carrozzella. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò a partire dall’estate del 1992 una settantina di risoluzioni sulla Dossier e come ci ricordiamo?, quest’opera invita ciascuno a confrontarsi con il proprio passato, con la propria verità. In modo più sottile apre una fessura tra la realtà e il possibile. Il “non essere ancora” - per citare le parole di Ernst Bloch. Questa dialettica tra l’arte e la politica, pur salvaguardando l’indipendenza della prima, invita a impegnarsi per altri modi di vivere e di essere. La realtà trasformata dall’arte permette nuove comprensioni e favorisce l’emergere di una “nuova soggettività” (Herbert Marcuse). Inglobando passato e futuro, lutto e speranza, i lavori artistici di Šejla Kamerić e Haris Pašović testimoniano, ognuno a suo modo, il coraggio di essere se stessi per gli altri. Solo quest’etica permette di reinventare una comunità politica divisa e riunire le membra d’una città e di un Paese de facto frammentati. Panorama 11 Sarajevo Dossier Dalla primavera all’ (...) Attaccarono Sarajevo la notte del cinque aprile 1992 con l’intenzione di dividere la città in due. Per tutta la notte ci bombardarono pesantemente, su di noi si abbatté una fitta pioggia di proiettili che andavano a colpire i sottili muri dei palazzi moderni, udivamo gli assalitori che si urlavano tra di loro secchi ordini: “Di qua”, “là”, “avanti”, “indietro”. Ma come si permettono? guerra civile in Jugoslavia, che si domostrarono una dopo l’altra vaghe e incapaci di influire sul corso della guerra. L’opinione pubblica europea e mondiale assisteva sui mezzi di comunicazione agli aggiornamenti continui sulla guerra e sui crimini che vi venivano commessi, ma oltre non si andava. Il mondo, come si suol dire,stava a guardare una strage quotidiana, che ebbe forse la sua qualificazione più aderente il 5 febbraio 1994, quando l’artiglieria comandata dal generale Ratko Mladić colpì un mercato causando 68 morti: la strage aumentò le pressioni sui musulmani bosniaci e sui croati perché smettessero di combattersi tra loro nel resto del paese e si unissero per rispondere ai serbo-bosniaci. Il giorno successivo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali, chiese alla NATO di intervenire. Nell’aprile del 1994 la NATO iniziò una campagna di bombardamenti aerei limitati alle posizioni serbo-bosniache intorno alla capitale. Dopo un’altra strage di civili a causa dei colpi di mortaio degli assedianti nell’agosto 1995, i bombardamenti contro i serbo-bosniaci si intensificarono con la campagna Operation Deliberate Force e i serbi vennero costretti ad arrendersi e partecipare ai negoziati di pace. I bombardamenti e i cecchini avevano ucciso 10.000 persone e ferito altre 50.000, dissero le prime stime del rapporto dell’ONU sull’assedio durato 44 mesi, tanto da risultare il più lungo nella storia della guerra moderna. La popolazione della città è oggi intorno ai 350.000 abitanti, oltre 70.000 in meno dall’inizio dell’assedio, ed è quasi interamente composta da bosniaci musulmani, ponendo fine al precedente secolare cosmopolitismo.● Una strada nel quartiere occidentale di Dobrinja a Sarajevo, 2 maggio 1994 (AP Photo) 12 Panorama Il sei aprile ci svegliammo, si fa per dire, e ci trovammo spontaneamente con i vicini davanti al palazzo. Alcuni erano ancora in ciabatte, altri indossavano il pigiama che si intravedeva da sotto il giaccone, le donne in vestaglia, spettinate, tutti con le borse sotto gli occhi. Il sentimento comune era “Ma come si permettono?” Ci domandavamo a quali armi appartenessero le cartucce vuote delle pallottole sparpagliate intorno al palazzo. Erano così tante da formare un tappeto color grigio-marrone, brutto, ancora più sgraziato là verso il fiume dove andava a toccare l’erba giovane color verde tenero, puntellata di primule variopinte. Ci si chiedeva a vicenda: “Hai visto?” “Hai sentito quell’esplosione verso le due stanotte?”, prendevamo le cartucce da terra, le esaminavamo, i veterani della Seconda guerra mondiale, più esperti, le giravano in mano, scuotevano la testa. Evidente confusione La conversazione finì con “Sono stati i papci”, cioè i vigliacchi, oppure i malavitosi, e che bisognava trovarli e punirli, ristabilire l’ordine e poi continuare come sempre. Così, dopo circa un’ora dall’incontro, ognuno era tornato a fare quello che di solito faceva in un soleggiato sabato d’aprile: mamma a fare la spesa, papà nel suo bar a bere il caffè e a leggere il giornale, io in centro a trovare gli amici. Nei successivi giorni di aprile si alternarono gli attacchi, più frequenti durante la notte, con sporadici spari durante il giorno. In città arrivarono i primi giornalisti stranieri. Non meno confusi di noi, giravano in gruppo, cercando i fatti, la guerra. Uno mi aveva telefonato, chiedendomi di fargli da guida. In tre erano arrivati da Belgrado con una macchina presa a noleggio. Per la città si passava con difficoltà. Era evidente la confusione della gente e che le autorità non avevano più il controllo della situazione. Ovunque c’erano posti di blocco e barricate che venivano erette da chiunque volesse. Talvolta erano i vicini del condominio o gli abitanti di una via che, in questo modo, cercavano di proteggersi. Nei palazzi furono stabilite nuove regole, il portone si chiudeva a chiave e i vicini si alternavano a fare la guardia notturna. Si tiravano via dalle porte e dalle cassette della posta le targhette con i nomi, non volevamo essere identificati, essere divisi, volevamo rimanere uniti e insieme difendere la casa e la città. (...). La giornalista Azra Nuhefendić vamo fermi e circondati. La tensione era altissima, tra di noi dentro e tra la gente che premeva da fuori. Cercavano di entrare perché l’autobus era l’unico modo per raggiungere l’aeroporto, la via di uscita. Tanti urlavano, ci minacciavano, alcuni davano colpi all’autobus, alcuni si aggrappavano con le mani al bordo dei finestrini, c’erano delle madri che alzavano i bambini verso i finestrini supplicandoci di lasciare entrare almeno i più piccoli. Nell’autobus qualcuno piangeva, altri erano spaventati e si coprivano gli occhi con le mani per non vedere quelle scene, altri si piegavano sotto i finestrini per nascondersi dagli sguardi di quei disperati o per proteggersi. Sembrava di vivere una di quelle scene di fuga dalla città vietnamita Saigon, prima dell’attacco finale alla città, durante la guerra in Vietnam, che avevo visto in vari documentari. Di corsa sull’aereo Infine l’autobus entrò direttamente sulla pista e si fermò davanti alle scalette dell’aereo. Ancora sotto choc per quello che avevamo visto, scendemmo velocemente e di corsa entrammo nell’aereo. Dietro di me c’era una donna incinta, per gentilezza mi feci da parte, lasciandola entrare per prima. Poi toccava a me. Ma uno che controllava l’entrata mi fermò con la mano: “Siamo al completo, non c’è più posto”. Non ci credevo, iniziai a protestare. L’aereo era un boeing grande e mi pareva impossibile che non ci fosse più posto per una persona. Mostrai la mia tessera di giornalista. Il tizio mi fece guardare dentro: l’aereo era strapieno, tutti accalcati, schiacciati come sardine in scatola, seduti per terra, nel bagno c’erano tre persone e un bambino era seduto sul lavandino, non c’era più posto neanche per un ago. Mi arresi. Lasciai Sarajevo quella stessa sera, tardi, con un piccolo aereo militare che aveva portato da Belgrado dei medicinali. Nel velivolo fragile che dondolava, si udivano le esplosioni e gli spari provenienti dalla città. Quel rumore sarebbe rimbombato nelle mie orecchie per i quattro anni successivi, 1427 giorni di assedio a Sarajevo, il più lungo nella storia moderna d’Europa. (Testimonianza raccolta da “Osservatorio Balcani”) Dossier I bombardamenti si fecero sempre più forti, gli spari durante il giorno più frequenti, gli aerei militari volavano a bassa quota rompendo il muro del suono. Cercavano di spaventarci. Nei negozi di generi alimentari presto non c’era più niente da comprare, quello che non era stato venduto veniva saccheggiato. Nei mercati di frutta e verdura l’offerta scarseggiava. Il tempo era - per ironia - bellissimo, da anni non si vedeva un aprile così bello e caldo a Sarajevo come nel 1992. Invece di passeggiare e goderci la primavera, restavamo sempre di più chiusi in casa, e anche chiusi in noi stessi, in silenzio, inquieti. Per paura non pronunciavamo ad alta voce quello che era chiaro: che c’era la guerra. Anche a casa nostra l’unico argomento che ci interessava, non si toccava. Ci pensavamo, certamente, ma non parlavamo dei nostri tormenti. Per paura, scaramanzia, sperando che non fosse vero e che sarebbe passato presto, che i nostri sospetti erano infondati. (...) Cresceva il numero delle persone che fuggivano da Sarajevo. Le linee ferroviarie erano già da qualche tempo interrotte. La gente scappava in macchina, a piedi, in autobus. Venivo a sapere che Mladen se n’era andato, che Emir aveva mandato al sicuro la moglie e i bambini, che Milena aveva telefonato da Belgrado, che Snježana con tutta la famiglia era andata dai cugini in Montenegro, “per alcuni giorni finché le cose non si sistemano” ci aveva detto il vicino Vlatko, e ci aveva lasciato le chiavi del suo appartamento dicendo “il frigorifero è pieno di cibarie e se vi serve …”. Era già la fine di aprile, dovevo tornare a Belgrado, le ferie che avevo preso “giusto il tempo che la situazione tornasse alla normalità, una volta chiarito il malinteso” erano terminate. L’aeroporto era sotto il controllo dei serbi, atterravano solo gli aerei speciali. Nella zona non ci si poteva neanche avvicinare, già a circa cinque chilometri di distanza c’era tantissima gente disperata che cercava di fuggire. Famiglie al completo si accampavano giorno e notte con la speranza di imbarcarsi, la destinazione non importava, l’unica cosa che volevano era lasciare Sarajevo che si faceva sempre più pericolosa. Quella massa premeva sul cordone dei militari serbi che proteggevano la pista. Avevo la tessera della radio e TV di Belgrado, cioè serba. Mi aiutò a ottenere un posto nell’aereo, un boeing speciale vuoto senza sedili, detto Kikaš, dal nome di un patriota croato che l’aveva acquistato e mandato in Croazia, ma pieno di armi. Fu sequestrato dalla JNA (Armata jugoslava) e veniva usato per trasportare i civili in fuga. Ci caricarono su un autobus nel centro della città, dopo aver controllato bene i nostri documenti. Scortato dalla polizia, l’autobus era diretto verso l’aeroporto. Ci fermavano spesso, l’autista faceva vedere il permesso e ci lasciavano passare. Vicino all’aeroporto l’autobus fu inghiottito da quella massa di gente in fuga. Non potevamo muoverci. Era- Sarajevo ’inferno. Il racconto di Azra Nuhefendić Panorama 13 Sarajevo Dossier Da quei fatti tanto orrendi da essere ritenuti impossibili lo stimolo Sarajevo mon amour, quella t di Marino Vocci avanti a noi abbiamo sfide importanti e decisive per il presente e soprattutto per il futuro, e i temi su cui dobbiamo riflettere e confrontarci, sono molto coinvolgenti, in quanto le tematiche affrontate devono vedere tutto il nostro mondo impegnato a camminare… insieme. Alcuni temi sono di grande attualità e investono la nostra quotidianità. Come ad esempio quelli legati alla gravissima crisi economica, ma non dobbiamo dimenticare, anche se sono meno evidenti, i temi legati alla crisi del pianeta terra e i temi legati alla pace e al futuro della democrazia. Altri temi ancora si propongono a giorni alterni come il risveglio del Mediterraneo e la Primavera araba, i temi poi che riguardano l’Europa e la convivenza in un mondo sempre più interetnico. Ed infine non dobbiamo dimenticare i temi dell’identità, della memoria e quelli sul presunto e pretestuoso scontro di civiltà e sul senso della nostra civiltà adriatica (ma su questa tornerò in un prossimo articolo) e su quella mediterranea. Incontrando alcuni amici e amiche carissime reduci da un viaggio a Sarajevo e guardando la foto dell’amico di Tano D’Amico, appesa alla parete del mio ufficio, che riprende il volto sconsolato di due ragazze che guardano il tetto bombardato della Biblioteca di Sarajevo, mi è ancor più chiaro che è proprio da Sarajevo, città dal fortissimo e soprattutto tragico valore simbolico, che da qui al 2014, dovremmo far partire una serie di riflessioni e di progetti. Ad esempio su cosa hanno rappresentato, sul significato e sulle conseguenze per l’Europa e per il mondo, le tragedie che hanno visto protagonista proprio Sarajevo. Questo per capire e per convincerci che un mondo migliore e plurale è possibile: E poi per condividere la fondamentale importanza di costruire un futuro comune. Un presente e futuro basato sulla bellezza della vita e sul valore dell’inclusione, e non dell’esclu- D 14 Panorama sione, della democrazia e del rispetto dei diritti universali e dei principi di cittadinanza. I progetti dovrebbero coinvolgere le Istituzioni, i cittadini e l’Associazionismo/corpi intermedi di alcune delle città simbolo del secolo breve o secolo dei lupi, che da non molto ci ha fortunatamente lasciato, quali proprio Sarajevo, ma anche Srebrenica, Mostar, Ragusa Vukovar, e ancora Trieste, Berlino, Gorizia, Pola, Vienna, Lubiana, Bolzano, Budapest, Praga, Ragusa e Venezia. Ricordare, partendo proprio da Sarajevo, da quella primavera di vent’anni fa, da quel tragico mattino del 2 maggio 1992 e questo non solo per non dimenticare. Questa data ricorda la Sarajevo mon amour del viaggiatore leggero e costruttore di ponti Alexander Langer e del generale Jovan Divjak, e il primo tragico bombardamento della città, quando l’esercito federale e le milizie serbe bloccarono tutti gli accessi ponendo la capitale sotto un assedio destinato a durare ben 43 mesi e cioè fino al 29 febbraio 1996. Le vittime furono più di 12.000, i feriti oltre 50.000, l’85% dei quali tra i civili. A causa dell’elevato numero di morti e della migrazione forzata, nel 1995 la popolazione si ridusse a 334.664 unità, il 64% della popolazione pre-bellica. Sarajevo diventa il simbolo della morte e della violenza, ma soprattutto l’inizio “balcanizazzione” dell’Europa, della frammentazione e il “separatismo condominiale”. Il viaggio dovrebbe concludersi nel 2014, proprio a 100 anni dall’inizio di quella 1^ guerra mondiale che iniziò sul Ponte Latino di Sarajevo, il 28 giugno 1914, nel giorno di San Vito noto anche come Vidovdan, giorno di solenni celebrazioni e festa nazionale serba, quando l’Arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, furono colpiti a morte da alcuni colpi di pistola sparati dal diciannovenne Gavrilo Princip. Sarajevo riste primavera di vent’anni fa Una tragedia che formalmente inizia un mese dopo il 28 luglio 1914 quando l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia; un conflitto senza precedenti nella storia che comportò la mobilitazione di oltre 70 milioni di uomini e la morte di oltre 9 milioni di soldati e almeno 5 milioni di civili e soprattutto la fine degli Stati multinazionali. Perché non far incontrare alcuni comuni d’Europa al “Museo della guerra per la pace, Diego de Enriquez” e far partire il progetto proprio da Trieste, dove si sono incontrate e si incontrano lingue e culture e diverse, dove il Mediterraneo incontra l’Europa di Mezzo, dove la grande storia ha lasciato tracce profonde, con un progetto che approfondisca “Gli antichi sentieri della Pace e cooperazione”? Recuperare gli antichi sentieri significa non solo cambiare le nostre teste, ma anche più semplicemente, mettersi in cammino e diventare come ci ha insegnato Langer diventare “mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera..”. Tutto questo anche attraverso tante vie della Pace - “European Peace Walk” da Vienna a Trieste, da Caporetto a Duino, da Cherso al Carso. Perché poi non trovarci a Sarajevo il 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani, in un confronto di società civili? Lo chiede in primo luogo l’Associazione padovana “Beati i costruttori di Pace” per la quale Sarajevo non è stata solamente un impegno per la pace, ma è stato un modo nuovo e diverso di entrare e affrontare i conflitti, anche quelli ritenuti impossibili come la guerra. È stato un modo nuovo di sentirci dentro alla stessa storia e camminare insieme. Incontrarsi a Sarajevo non per contribuire ad un’ulteriore celebrazione della me- moria e nemmeno per calare da fuori un evento che risulterebbe estemporaneo, se non estraneo, ma a 20 anni per ritrovarsi e questa volta fare una verifica in una particolare “interposizione”, una mediazione di pace e non di guerra. Perché dopo 20 anni la pace di Dayton è stata implementata solo sulla cessazione dello scontro armato, ma non sugli altri punti qualificanti. Di fatto è continuato il processo di radicalizzazione della divisione etnica, marcando il territorio con i simboli religiosi e civili; disattendendo il ritorno dei profughi nelle case di loro proprietà, favorendo gli spostamenti di popolazione dopo la guerra, per rendere le zone etnicamente più omogenee. Ritrovarsi a Sarajevo e a Srebrenica perché, in quella terra profondamente lacerata, nonostante tutto, tantissime persone hanno una gran voglia di vivere e di sperare. Come mi hanno raccontato gli amici che alcuni giorni fa hanno percorso insieme a noi un pezzo della vecchia Parenzana (che in agosto, in concomitanza dell’anniversario della tragedia di Hiroshima e Nagaski, sarà l’itinerario della 4^ edizione di “Pace in bici 2012”) e a Pasqua sono stati a Sarajevo, dove c’è sempre gente che passeggia, che è seduta al bar, che prende il caffè, che gioca a scacchi in piazza, che si saluta con allegria. La necessità, la fatica, ma anche la bellezza della convivenza rimangono un ideale e un impegno non solo per la gente di Sarajevo, ma anche per noi. Anche per noi che siamo minacciati da altri pericoli, non di separazione etnica, quanto di chiusura nelle nostre paure, nelle reciproche ignoranze, nelle nostre memorie monumentalizzate e brandite e nelle nostre identità ipertrofiche, esclusive ed escludenti.● Dossier alla ricerca di un futuro comune, più degno dell’essere uomo Panorama 15 Interviste Roberta Dubac, nuova firma che si unisce ai narratori della Comunità Ho bisogno di toccare le cose con m di Diana Pirjavec Rameša foto di Goran Žiković ncontriamo Roberta Dubac a Cittanova. Ci accoglie con un grande sorriso e la consapevolezza di essere un astro nascente della letteratura della CNI. Ama scrivere, ama viaggiare, le piace andare a fondo nelle cose. E racconta la sua vita e i suoi personaggi con tale naturalezza che non sempre si riesce a tracciare una precisa linea di confine tra quelli che sono i suoi pensieri e quello che ci raccontano i suoi personaggi. Un libro il suo che non è solo letteratura ma è anche testimonianza, sensibile e delicata del mondo in cui viviamo e delle contraddizioni che lacerano l’animo umano. Come nasce la raccolta di racconti, storie di varia umanità che hai pubblicato di recente per la casa editrice Edit dal titolo “Chiesa di nessuno”? “Non nasce come idea unica. Il racconto più antico risale a otto, nove anni fa, mi riferisco a La stagione migliore per vedere le stelle, mentre quello recente Il Cristo alla rovescia è nato un anno fa. Va tenuto conto che sono stati scritti in stili differenti perché ho voluto esercitarmi con punti di vista, I 16 Panorama prospettive diverse e voci narranti differenti. Di recente, una studentessa di Pola mi ha detto che immergendosi nel libro le era sembrato di leggere quattordici racconti di altrettanti autori, tutti diversi tra di loro proprio perché variegate sono le situazioni in cui il lettore si imbatte. In realtà per me questo è un grande, grande esercizio di scrittura. Un laboratorio dove cerco di spiegare il mondo attraverso la scrittura. Con gli anni mi sono accorta che la la scrittura è un modo naturale e spontaneo di affrontare il mondo. Quando vedo una cosa che risulta essere una ‘stonatura all’interno della società’ rebbe automatico da pensarlo perché è stato scritto da una autrice che fa parte della Comunità nazionale italiana, ma potrebbe essere benissimo un attore di qualche compagnia slovena di Trieste. Diciamo che nel testo io cito il carso e dunque un certa vicinanza al territorio d’insediamento storico della CNI c’è. La realtà che descrivo potrebbe essere sì quella del Dramma italiano, ma potrebbe essere anche trasportata in altri ambiti multilingui europei”. Quanto di autobiografico c’è in questi racconti? Quanto le vicende della tua vita sono state determinanti per lo svolgimento di questo interessante percorso letterario? Questo mio primo libro è scritto in italiano perché è la mia lingua d’espressione. Però non scrivo solo degli italiani, scrivo di tutto il mio mondo. Sono una persona che parla, che si confronta, che si relaziona con appartenenti alle varie etnie. Io sono nata e cresciuta in un’area trilingue, a Castelvenere, dove vivono croati, italiani e sloveni non distolgo lo sguardo bensì ci punto gli occhi. La percezione del mondo e di ciò che mi circonda, il più delle volte è per me un’esperienza visiva. Faccio di tutto affinché le immagini che vedo e in qualche modo tormentano la mia mente ottengano una loro spiegazione. Attraverso la scrittura cerco di dare un senso a ciò che accade: violenza emarginazione, cerco di descrivere situazioni umane in cui è molto spesso presente una forza tutta spirituale. L’idea di fondo dei miei racconti è che una forza spirituale sia necessaria nella vita. Quella forza spirituale che vive dentro ciascuno di noi. Ma non tutti se ne rendono conto”. Quello che il lettore può notare leggendo i tuoi racconti è una sottile dettagliata analisi psicologica dei personaggi. Si nota questo impegno nel capire il profilo psicologico dei vari personaggi... dalla raccoglitrice di bottiglie, all’attore di teatro... ”Il racconto Dietro ad un Discount parla di un attore di un teatro minoritario, ma questi non è per forza un attore del Dramma Italiano. Ver- “Di autobiografico diretto quasi nulla, nel senso che io non scrivo delle mie esperienze dirette, ma poi rileggendo dopo che passa un po’ di tempo mi rendo conto che i miei personaggi hanno molte mie caratteristiche, reazioni simili alle mie e vedono il mondo così come lo vedo io. Ma è soprattutto nei personaggi maschili che ho riversato parte dei miei pensieri, in primo luogo quelli che riguardano la mia sfera emotiva. I personaggi maschili sono quasi un mio alter ego, mentre quelli femminili sono più ispirati a persone che ho osservato”. La guerra non è ancora finita C’è un argomento che è quasi d’obbligo affrontare assieme a te visto che sei uno dei pochi autori della CNI che ha affrontato il problema della guerra in Croazia e tutto quello che è successo poi, sia a livello di società che a livello di psicologia umana. Quanto secondo te la guerra degli anni Novanta ci ha Interviste Nazionale Italiana ano e capire cambiati, quanto ha inciso sul nostro modo di vivere, quanto ha cambiato l’Istria? “La guerra in un certo senso non è ancora finita. Continua ad essere presente anche se con pallidi echi. Sto parlando della totalità della Croazia. Sebbene l’Istria non sia stata toccata direttamente, la guerra c’è stata ed è stata terribile e disumana. E non sarà finita fino a che ci saranno tra di noi persone che soffrono della Sindrome post traumatica da stress, fino a che ci saranno bambini che trovano armi in casa, fino a che si verificheranno incidenti dovuti a mine antiuomo che sono sparse sul territorio dove ci sono state operazioni di guerra, soprattutto nelle campagne della Slavonia. Non sarà finita fino a che sarà presente l’odio, il non voler comprende che il male non sceglie categorie, popoli e che la guerra è sempre un grande affare, un grande complotto politico e non la volontà di un popolo piuttosto che di un altro popolo. Ecco, io mi sono sentita in dovere di affrontare l’argomento proprio perché nel mio mondo è presente questa eco. Bobo, il reduce di guerra, protagonista de Il giorno prima poco tempo prima della pubblicazione del libro si è tolto la vita. La sua era una di quelle immagini che continuavano ad assillarmi. Il contrasto tra il dramma che si consuma nella mente di questo ragazzo e la tranquillità di una città turistica come può essere Umago, viene messo in rilievo con forza. L’urlo disperato che di tanto in tanto il ragazzo lancia non fa che cacciare i turisti, rendere il loro soggiorno un po’ sgradevole. Purtroppo ben pochi si rendono conto che questo è un grido di dolore, il lacerante dolore di una persona che vuole capire perché tutto ciò sia potuto succedere. Bobo era partito con una convinzione. Ma quando è rientrato dal fronte ha capito che in realtà non era riuscito a capire i motivi per cui aveva combattuto. La guerra secondo il suo punto di vista, infatti, non aveva risolto niente e lui aveva continuato a torturarsi tra mille quesiti succube di un indicibile dolore. Per scrivere questo racconto ho cercato di studiare il fenomeno della Sindrome post traumatica, ho letto molto sull’argomento e ho cercato di imprimere al ritmo del racconto quello della mente di Bobo che non riesce a darsi pace. Il racconto sulla guerra è in realtà un manifesto contro la guerra. Ed è importante parlarne. Non si deve fare finta che tutto ciò non sia accaduto. Non riesco proprio a capire l’inerzia e l’indifferenza di alcune persone che distolgono lo sguardo dal problema. E invece è una delle caratteristiche salienti del tempo in cui viviamo: la paura, l’ insicurezza, problemi che spesso si ripresentano quale tema centrale dei miei racconti”. Se nasci sul confine questo fa parte di te Tu abiti in Istria, in un’area che molti reputano privilegiata, ma di fatto vivi a ridosso del confine. Sei nata a Castelvenere, in questo momento risiedi a Cittanova... Che cosa ti ha dato e che cosa ti ha tolto il confine? “Se nasci su un confine fa parte di te e non te ne rendi neanche conto, è uno stato naturale delle cose, è il tuo ambiente. Anche prima dello smembramento dell’ex Jugoslavia comunque c’era il confine con l’Italia, molto vicino, quello di Rabuiese, che si trovava a pochi chilometri da casa mia. Se uno ci nasce e ci vive il confine è un qualche cosa che si rispetta, però non è una cosa che si insidia nella mente. L’ho sostenuto tante volte: andare a Trieste per me non era mai an- dare all’estero... perché Trieste faceva parte del mio habitat naturale, del territorio entro cui mi muovevo, senza problemi. Poi è successo che all’età di 17-18 anni mi sono trovata di fronte questo nuovo confine, quello tra Croazia e Slovenia. Passava proprio sotto la mia casa ed in un primo momento è stato uno choc, per me come per tutta la popolazione residente in quell’area, aldilà e al di qua del Dragogna. Continuavamo ad allungare il collo come dei cigni e a dire: ‘ma non xe possibile, sparirà... xe solo due baracche... i le devi portar via...’. Continuavamo a non accettarlo. Era molto dura, una nuova lacerazione. Era come perdere una parte di se stessi... quella sensazione iniziale di chiusura, quasi di imprigionamento... era terribile. Me la sentivo addosso. La mia famiglia, ma anche gli altri... non riuscivamo proprio ad accettarlo. Ed ogni volta che mi recavo a Trieste o Capodistria regolarmente mi dimenticavo del fatto che esistesse... facevo le serpentine sotto Castelvenere, arrivavo al punto di controllo e borbottavo: ‘oh il confine’... Talvolta mi scordavo di prendere i documenti. Prima non ce n’era bisogno di averli con sé... Con il passar del tempo diventi cosciente del fatto che il confine c’è, ma sei indifferente. Transiti, mostri il documento e vai avanti, non è una cosa che ti preoccupa”. Tanti sono i giovani che hanno un desiderio segreto di andarsene... e non solo dall’Istria ce ne sono tantissimi che lasciano L’Italia che se ne vanno dalla Croazia, se ne vanno Panorama 17 Interviste dall’Europa, da tutti quei paesi europei che sono stati colpiti dalla crisi.. Se tu avessi la possibilità di andare o di rimanere che cosa sceglieresti? “Mi sono trovata molte volte in conflitto con me stessa proprio per questo bisogno di andar via, che è ancora presente. Non che io qui stia male... ma qualcosa mi manca. Ho bisogno di stare nei grandi centri, di vivere i ritmi della grande città, di poter condividere le mie esperienze con altre persone. l’Istria non solo è piccola ha anche pochi abitanti: solo 200 mila. Qui non hai la possibilità di conoscere gente nuova, di confrontarti con la tua generazione. Ecco perché viaggio spesso, per conoscere gente nuova, nuovi mondi... Quando sono stata molto lontana, C’è un luogo che ti ha particolarmente affascinato, un viaggio di quelli che ti hanno cambiato la vita... che hanno smussato il modo di pensare, rapportarsi alle cose e ai valori della tua esistenza? “Credo di sì. Io sono facilmente impressionabile, nel senso che quando viaggio tutti i sensi si amplificano, si aprono. Quello che ha lasciato in me una traccia profonda, che mi ha toccata dentro è stato un viaggio che ho fatto in Brasile. Durante questo viaggio ho soggiornato tra l’altro a Curitiba che è la capitale del Paranà... nel sud del Brasile, e ho viaggiato sino alle cascate Iguacu che si trovano al confine con l’Argentina. Una nostra amica locale ha portato me e mia zia in luoghi piccoli ed è proprio lì che uno riesce a capire quanto Mi sento molto legata alla mia terra. Ho un rapporto molto emotivo con questi luoghi. Sono nata su questo pezzettino di terra rossa e lo sento molto presente in me. Spesso d’estate mi siedo in terra quando questa è ancora molto calda, per sentirla, sulla pelle... toccarla undici anni fa, in Australia, in un primo momento ho desiderato rimanere lì. Ero molto giovane ed era il mio primo grande viaggio da sola. La consapevolezza di essere così lontana da casa e il fatto che ci vogliono 30 ore di viaggio per ritornarci, nei luoghi dei miei affetti, là dove vive la mia famiglia, mi hanno indotto a cambiare idea. Mi sento molto legata alla mia terra. Ho un rapporto molto emotivo con questi luoghi. Sono nata su questo pezzettino di terra rossa e lo sento molto presente in me. Spesso d’estate mi siedo in terra quando questa è ancora molto calda, per sentirla sulla pelle... toccarla. La sento come una parte di me”. Ti piace viaggiare? “Viaggiare più che un piacere è una grande necessità è un modo per respirare. Mi piace andare soprattutto in luoghi dove non c’è turismo di massa, in posti autentici che non sono ancora commercializzati. Spesso quando viaggio da sola mi incuriosisce e mi dà gioia incontrare le persone che vivono nei luoghi che visito. Mi piace scambiare con loro qualche parola, capire come vivono”. 18 Panorama il Brasile sia ricco di risorse naturali e quanto la popolazione sia povera visto che la ricchezza non è equamente distribuita. Una serenità allo stato puro Lì come in altri paesi c’è una minoranza sparuta molto ricca e una maggioranza che vive ai margini della società. Durante quel viaggio mi è capitato di incontrare persone poverissime, emarginate che dormono sotto le panchine, ma che nonostante ciò ti trasmettono un amore per la vita e un’allegria che qui in Europa noi non possediamo. Ho assistito, in un mercato, alla scena di una donna che si era svegliata presto la mattina con accanto a sé tre bambini e una donna anziana. L’anziana tirò fuori da un sacchetto due arance, cominciò a sbucciarle e a offrirle ai bambini e intonò una canzone. I bambini iniziarono a ballare, a cantare a divertirsi... In quel momento ho colto con lo sguardo, focalizzato, i loro visi che ritraevano una serenità allo stato puro. Quell’arancia per loro era simbolo di ricchezza... ed io in quel momento mi vergognai di tutte le volte che mi sono lamentata perché qualcosa mi mancava nella vita. E anche se arrivo dal nord del Mediterraneo e anche se veniamo considerati molto aperti calorosi, se confrontati a quella popolazione risultiamo in realtà molto freddi. Credo che quel viaggio mi abbia in qualche modo modificato il cuore, toccato alcune corde che poi hanno continuato a vibrare su quella frequenza... mi hanno arricchita”. Secondo te viviamo in una società triste ? “Vedo molte persone tristi, magari anche senza un reale motivo, magari perché c’è questa quasi moda del lamento che ci ha letteralmente contagiati. Qualcuno si è lamentato prima di noi e noi non abbiamo fatto altro che accodarci.... piombando in un circolo vizioso. Viviamo, indubbiamente, in un mondo difficile e ciascuno di noi deve trovare un modo per restare in piedi, per rimanere in qualche modo saldo dentro la propria vita. Le persone confondono molto spesso la vita con il mondo, ma non è la stessa cosa. Il mondo è difficile, ma è una realtà. Ma l’importanza della vita, del nostro percorso personale, di ciò che noi apprendiamo è ben separato dal mondo in quanto tale. La nostra vita, il suo esito dipende molto da noi, da come ci poniamo di fronte alle sfide. Indubbiamente viviamo in una società in cui è sempre più difficile condividere un momento di felicità, sembra che nessuno abbia voglia di farlo. Preferiscono nascondersi nella propria nuvoletta di tristezza o di lamento o anche di noia o di inerzia”. Che cosa fai oltre a scrivere? “Lavoro presso l’Assessorato alla cultura della Regione Istriana. Prima ho lavorato presso il Gabinetto del Presidente ed ero segretaria dei Vice presidenti italiani. Per statuto la Regione Istria ha uno dei due vicepresidenti di nazionalità italiana ed io ero la segretaria. Ora da alcuni anni lavoro presso l’Assessorato alla cultura. È un lavoro dinamico che mi mette in contatto con tutti i settori del mondo culturale dell’Istria ed è molto impegnativo. Ci sono tante cose da seguire... concorsi, manifestazioni, eventi. Credo sia un buon esercizio mentale... La lettura, la scrittura e sicuramente lo studio sono per me un ripo- Interviste so dal lavoro. Quando arrivo a casa sento il bisogno di fare una cosa diversa. Collaboro con il Museo civico di Umago, abbiamo fatto assieme dei progetti, sono appassionata di tante cose... soprattutto di storia delle civiltà, viaggi. Per scrivere bisogna sapere tante cose, devi conoscere un po’ tutto... avere uno sguardo olistico su tutto. Per dirti mi interesso anche di fisica quantistica. Mi affascina tutto quello che può spiegare ciò che i nostri sensi non percepiscono, quello che va oltre la nostra vista. La vita per me è una continua e grande ricerca che non deve finire mai perché noi non siamo mai completi e non siamo mai ad un punto in cui ci si può fermare. La ricerca deve andare avanti per tutta la vita”. Si dice che l’Istria sia un’area in cui si vive d’amore e d’accordo in cui la multiculturalità sia uno dei valori più importanti e condivisi... Tu la percepisci così? “La sento perché sono fatta così. Questo mio primo libro è scritto in italiano perché è la mia lingua d’espressione. Però non scrivo solo degli italiani, scrivo di tutto il mio mondo e sono una persona che parla che si confronta, che si relaziona con appartenenti alle varie etnie. Io sono nata e cresciuta in un’area trilingue, a Castelvenere, dove vivono croati, italiani e sloveni. Nella nostra compagnia.io parlavo italiano, alcuni miei amici lo sloveno, gli altri il croato... e siamo cresciuti così, tutti assieme, senza aver bisogno di traduttori. Io sono multiculturale Per me questo è uno stato naturale delle cose. Io sono una creatura multiculturale, multilingue e multietnica. Anche se io mi sento italiana dentro di me non c’è solo l’italianità, ma tutto uno spettro di altre etnie e dialetti. Quello poi di cui mi sto accorgendo in realtà è che siamo ancora lontani da una vera convivenza. Esiste la tolleranza; ma tolleranza è una parola che non mi piace perché sottintende che tu debba tollerare qualche cosa che magari non ti convince. Oserei dire che la tendenza è quella di chiuderci tra di noi... nel senso che gli italiani stanno con gli italiani, gli sloveni con gli sloveni, non c’è ancora un’osmosi, una compenetrazione tra queste culture. Non riesco a indi- viduare i segni tangibili di una naturale curiosità degli uni per gli altri, la partecipazione che uno può dimostrare per la vita culturale dell’altro. Non posso negare che qualche segnale positivo c’è... ma c’è ancora tanta strada da percorrere”. L’ingresso nell’Unione europea ci cambierà? “Ogni volta che c’è una nuova situazione politica c’è parecchia aspettativa. C’è sempre un primo grande entusiasmo che poi magari affievolisce con il tempo. Per noi è importante la consapevolezza che il confine fisico verrà tolto. Una grande cosa, un premio, ma per il resto credo che non bisogna farsi delle illusioni e non ci si deve aspettare la manna dal cielo. Credo che bisognerà lavorare molto e gli istriani ne sono consapevoli, non vivono sulle nuvole. Penso che in questo momento sia importante che ciascuno di noi continui a lavorare sodo, a stare saldo nella propria realtà e ad avere autodisciplina: con il lavoro, con i soldi con tutte le altre cose”. Nei tuoi racconti affronti spesso il problema del conflitto tra il bene e il male. Possiamo capire che cos’è per te il bene e cos’è il male? “Il conflitto tra il bene e il male è un argomento che è presente in ciò che scrivo. Il bene e il male sono due entità presenti entrambe dentro di noi. Il male nasce quando l’uomo non vuole o non conosce bene se stes- so e si fa intrappolare dalla paura e dal dubbio. Se sei vivo è quasi inevitabile avere paura, noi tutti abbiamo paura. Però fermarsi lungo il proprio percorso solo perché si ha paura di qualche novità, non è certo un bene. Continuare a vivere nella paura senza affrontarla non va bene. Ed è lì che si forma in realtà il male, quel male che noi facciamo a noi stessi. Lo dico sempre: io riesco a star male per un massimo di 45 minuti, poi mi concentro, vado fino in fondo al pozzo e guardo in faccia a ciò che mi fa star male. Se è una rottura, una perdita, un litigio, una cosa che mi ha colpito... ho bisogno di affrontarla, capirla. A quel punto la paura non esiste più. Quello che noto tra i giovani di oggi è un gran parlare, un filosofare.. un continuo inviare messaggi SMS. Però c’è poca azione, si rimane lì, ciascuno con il proprio pensiero di un qualche cosa che potrebbe essere, ma che rimane irrisolto, campato per aria, indefinito. Io, al contrario, sono una persona che ha bisogno di fare... magari di sbagliare, ma che ha bisogno di affrontare, capire, toccare le cose con mano, trovare delle risposte. Le risposte sono tutte dentro di noi. Il più delle volte però non si ha la forza di trovarle, di pescarle. E allora le risposte continuano a rimanere nascoste, ma non sono dall’altra parte del mondo, non sono su Marte e nemmeno in una banca Svizzera... sono tutte dentro di noi”.● Panorama 19 La storia oggi L’ultimo libro di Stelio Spadaro propone un nuovo punto di vista Area adriatica: non solo nette contr di Fulvio Salimbeni P er molto tempo trattare della storia del confine orientale significava essenzialmente parlarne in una prospettiva politica, diplomatica e militare, incentrata in prevalenza sul secondo conflitto mondiale e sull’immediato dopoguerra. Da qualche tempo, però, la situazione è venuta modificandosi, perché ha assunto un rilievo crescente la componente culturale e civile e lo sguardo è venuto ampliandosi alle premesse ottocentesche della tragedia adriatica, tenendo conto anche del contesto internazionale, come in questa sede s’è già rilevato. Buona parte del merito di tutto ciò va attribuita a uno studioso appartato, che non ama le luci della ribalta mediatica, sia come uomo politico sia come ricercatore impegnatosi a fondo per affermare un modo più sereno ed equilibrato di discutere delle scottanti questioni della storia contemporanea dell’area giuliano-dalmata. Stelio Spadaro, piranese d’origine, partecipe con la famiglia della diaspora postbellica a Trieste, dov’è stato docente di storia e filosofia nei licei e dirigente del PCI prima e del PDS e dei DS poi, sin dagli anni Ottanta, infatti, ha impostato in termini nuovi il discorso storico cit- 20 Panorama tadino e regionale, già come assessore alla cultura della Provincia avendo varato una pregevole collana di monografie sull’apporto culturale delle singole comunità nazionali alla vita spirituale triestina, mettendone in luce la ricchezza e complessità, intervenendo su tali temi pure in riviste locali come “Il Territorio”. A lui, inoltre, si deve l’avvio d’un coraggioso processo d’autocritica all’interno del partito comunista rispetto ai silenzi e alle omissioni del passato in merito alla vicenda delle foibe e dell’esodo, preparando pure il terreno al famoso incontro triestino del 1997 tra Fini e Violante, che ha segnato una svolta nella vita politica locale e nazionale, e patrocinando l’innovativa ricerca di Patrick Karlsen su Frontiera rossa. Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale, 1941-1955 (LEG, 2010). A ciò si devono aggiungere i volumi da lui curati, che hanno fatto spirare aria nuova nel dibattito storiografico giuliano, e non solo tale, L’altra questione di Trieste. Voci italiane della cultura civile giuliana, 19431955 (con P. Karlsen, LEG, 2006), La cultura civile della Venezia Giulia. Un’antologia, 1905-2005: voci di intellettuali giuliani al Paese (LEG, 2008) e L’europeismo nella cultura giuliana. Un’antologia, 1906-1959 (con L. Nuovo, LEG, 2011), mentre le sue riflessioni in materia sono affidate alle pagine di L’ultimo colpo di bora. Una sinistra riformista a Trieste (LEG, 2009), che raccolgono l’intervista fattagli da Patrick Karlsen e Lorenzo Nuovo. A questi numerosi testi, risultato anche della collaborazione con l’Associazione Volontari della Libertà di Trieste - guidata da un benemerito patriota come Fabio Forti, tra i protagonisti dell’insurrezione cittadina del 30 aprile 1945 contro gli occupanti tedeschi per liberare autonomamente il capoluogo giuliano prima della “liberazione” jugoslava, a lungo battutosi quasi da solo contro l’assordante silenzio calato su quella vicenda, che disturbava le ricostruzioni ufficiali degli eventi conclusivi della guerra -, s’aggiunge ora Gli ita- liani dell’Adriatico orientale. Esperienze politiche e cultura civile (con L. Nuovo, LEG, 2012), che propone un ulteriore punto di vista nel discorso storico in materia. Per troppo tempo, infatti, l’impressione che s’aveva, seguendo il dibattito, fortemente ideologizzato e impostato in termini nazionalistici, di qua e di là dal confine relativamente allo scontro che ha segnato in profondità le popolazioni locali nella prima metà del XX secolo, era quella d’una contrapposizione frontale tra opposti estremismi, quello italiano fascista contro quello jugoslavo comunista, senza posizioni mediane, democratiche e disponibili al confronto con la controparte. Il nuovo contributo fornito da Spadaro, che s’articola in nove sostanziosi e ampi capitoli, oltre alla presentazione del Forti, alla prefazione dei curatori, un vero e proprio saggio d’inquadramento generale, e a una postfazione di Roberto Dedenaro, significativamente intitolata Potersi sentire italiani. Un percorso nell’identità italiana di Trieste, che, peraltro, non ha alcuna connotazione esclusivista o antagonista - per un totale di 334 pagine -, mostra, invece, che la realtà era più ricca, sfumata e articolata di quanto un tempo per ragioni di comodo si volesse La storia oggi nel discorso storico apposizioni far credere. Il volume, infatti, dedicato ai presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno sostenuto l’ideazione e attuazione della Giornata del Ricordo, è strutturato in tre parti, dedicate rispettivamente ai partiti politici, alle esperienze politiche e all’antifascismo democratico. La prima sezione comprende il puntuale e documentato contributo di Ezio Giuricin (già apparso nei “Quaderni” del 2010 del Centro di ricerche storiche di Rovigno), spaziante sull’ideologicamente ed etnicamente tormentato e complicato scenario della finis Austriae, su Socialismo istriano e questione nazionale. Le idee e le concezioni sulla questione nazionale degli esponenti istriani della Sezione italiana adriatica del Partito operaio socialdemocratico d’Austria, e quelli di Fabio Todero, con Diego Redivo uno dei migliori studiosi attuali dell’irredentismo adriatico, Appunti per una storia dei repubblicani della Venezia Giulia tra questione sociale e questione nazionale, 1906-1922, che, allargandone fruttuosamente gli orizzonti, conferma e convalida i risultati della recente indagine di Roberto Spazzali su Pola operaia, 18561947: i Dorigo a Pola. Una storia familiare tra socialismo mazziniano e austro-marxismo (Circolo di cultura istro-veneta “Istria”, 2010), e di Chiara Vigini - da poco divenuta direttrice della “Nuova Voce Giuliana”, cui da subito ha saputo dare un nuovo tono e respiro - Le sezioni del Partito Popolare in Istria dalle pagine di “Vita Nuova”, 1920-1922. La seconda è costituita dagli interventi di Patrizia C. Hansen - da anni alla guida della “Difesa Adriatica” - Fiume. Appunti di storia (in cui largo spazio è concesso alla tradizione autonomista, senza privilegiare l’impresa dannunziana, che usualmente, allorché si parla del capoluogo del Quarnero, polarizza l’interesse generale), di Federico Imperato, Liberalismo e socialismo nella storia degli italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento al fascismo, che richiama l’attenzione su Carri armati titini arrivano a Trieste una regione di solito trascurata, se non proprio ignorata, al contrario di quanto normalmente accade per Trieste e l’Istria, e di Paolo Radivo, Le elezioni comunali del 1922 in Istria, segnate e condizionate dallo scatenarsi della violenza fascista. La terza, infine, propone le figure di Gabriele Foschiatti e Carlo Schiffrer nella tradizione di pensiero del patriottismo democratico a Trieste, trattate con la nota competenza da Anna Millo (che, tra l’altro, sul contrapposto versante nazionalista s’era già occupata di Attilio Tamaro e che nel 2011, per i tipi della triestina “Svevo”, ha dato alle stampe La difficile intesa. Roma e Trieste nella questione giuliana, 1945-1954), l’accurata ricostruzione di Guido Rumici - che per l’ANVGD goriziana ha appena pubblicato Mosaico dalmata. Storie di dalmati italiani - de La Resistenza patriottica italiana in Istria, affatto solo slovena e croata e comunista, e il profilo di Manlio Malabotta scrittore, collezionista, antifascista, dovuto a quella valente storica che è Diana De Rosa, che ne pubblica anche delle pagine autobiografiche inedite. Già l’elenco dei titoli e degli autori, che rappresentano il meglio della nuova storiografia contemporaneista giuliana, dà un’idea della qualità dell’opera, che pone in ulteriore evidenza quanto Stelio Spadaro e i suoi collaboratori avevano documentato nelle sillogi precedenti, che cioè nella Venezia Giulia non v’erano solo italiani fascisti e/o comunisti in drastica e radicale contrapposizione, ma pure una significativa e rilevante compo- nente intermedia e aperta al dialogo, capace di tenere nel debito conto pure le ragioni di sloveni e croati compresenti nel territorio e collegata al più avanzato dibattito politico internazionale e italiano, tutt’altro, quindi, che marginale e periferica. Quest’anno, del resto, ricorre il centenario d’un classico, l’Irredentismo adriatico di Angelo Vivante, voce tra le maggiori di tale orientamento, che si connota come una delle letture più intelligenti e critiche della situazione triestina d’inizio Novecento e delle sue contraddizioni tra interessi economici e inclinazioni nazionali, che va tuttora tenuta presente se si vuole intendere l’aggrovigliata e contrastata storia di queste terre, mentre l’anno scorso cadeva il cinquantenario della scomparsa di Giani Stuparich, fervente mazziniano, non solo grande scrittore, ma in gioventù, prima d’essere costretto al ripiegamento sul versante solo letterario dall’affermarsi del regime fascista, attento analista del risveglio del mondo slavo, in particolare de La nazione ceca, come titola il suo volume uscito, nella seconda e definitiva edizione, nel 1922. Sono queste le figure e le correnti significative del pensiero politico giuliano cui ritornare e da valorizzare nell’orizzonte europeo in cui oggi ci si muove e opera, scomparsi, o sul punto di cadere, i confini con gli stati balcanici, ragion per cui si deve essere grati ai curatori e all’editore del volume, che hanno ridato visibilità a un mondo ingiustamente troppo a lungo dimenticato o rimosso.● Panorama 21 Psicologia La disumanizzazione e colpevolizzazione della vittima Non sono veri uomini come noi: p di Denis Stefan P er concludere la serie di interventi dedicati alla teoria del disimpegno morale di Albert Bandura rimane da illustrarne gli ultimi due meccanismi che operano sui destinatari di atti lesivi, ossia le vittime. Si tratta della disumanizzazione della vittima e dell’attribuzione di colpa o colpevolizzazione. Come vedremo più avanti, soprattutto il secondo dei due meccanismi ha spesso nei loro confronti delle conseguenze deleterie sul piano psicologico. Dalla disumanizzazione... La disumanizzazione della vittima è una ben nota tecnica messa in atto per ridurre al silenzio la potenziale indignazione morale interna e consiste nel ritenere la vittima un essere subumano che si può trattare in maniera violenta senza sentire il peso del male che si infligge ad un proprio simile. Facendo in questo modo, atti moralmente ripugnanti non sono neanche negati ma diventano irrilevanti, non contano, o sono addirittura interpretati come comportamenti moralmente auspicabili, perché i criteri morali non sono applicabili alle vittime. Coloro che commettono violenze morali sono liberati dal fardello delle responsabilità e della pietà attraverso la redifinizione delle vittime come persone non-umane, o umane in una misura assolutamente inconsiderevole. La storia ci ha fatto conoscere diversi casi in cui i nemici venivano disumanizzati, succedeva praticamente in tutte le guerre, da quelle del lontano passato, fino a raggiungere i massimi livelli nella storia moderna e contemporanea, in cui i colonizzatori dichiaravano le popolazioni indigene come degli esseri simil-umani per giustificare la loro schiavizzazione; in particolare sono rimaste impresse nella memoria storica le campagne di propaganda dei regimi totalitari, tese a rendere la gente insensibile alle sofferenze e ad accettare senza particolari rimorsi gli stermini di massa, preceduti ed accompagnati sempre da un’opera di disumanizzazione delle vittime designate. Signifi- 22 Panorama cativa a proposito è una citazione del romanziere pacifista Aldous Huxley: “quando si pensa a uomini e donne particolari semplicemente come a rappresentanti di una classe, che è stata in precedenza definita come il ‘male’,... allora la ripugnanza che si prova a ferire o ad uccidere scompare. Brown, Jones e Robinson non vengono considerati Brown, Jones e Robinson, ma come eretici, gentili, ebrei, negri, barboni, unni, comunisti, capitalisti, fascisti, liberali, chiunque essi siano. Quando si sentono i loro nomi, e vengono associati alla classe detestata a cui i nomi si applicano, Brown, Jones e Robinson non vengono più considerati ciò che realmente sono - vale a dire esseri umani - e diventano, per coloro che usano questo linguaggio fatalmente improprio, semplici vermi, Spesso le vittime si sentono corresponsabili delle violenze subite o peggio, demoni che è giusto e necessario distruggere”. Dalla frase citata possiamo intuire che la disumanizzazione della vittima sarà più presente ed usata quale meccanismo di disimpegno morale all’interno di condizioni sociali in cui abbondano i pregiudizi che si trasformeranno molto facilmente in atti discriminatori violenti proprio perché accettando e fomentando tali pregiudizi la società finirà inevitabilmente per fomentare atti lesivi giustificandoli a priori in quanto i destinatari sono comunque considerati esseri spregevoli e nocivi, poiché immorali, parassiti, malvagi. ... alla colpevolizzazione L’attribuzione di colpa alla vittima, o la sua colpevolizzazione, meccanismo altrettanto noto del precedente, si manifesta ogni volta che l’aggressore attribuisce alla vittima la responsabilità integrale o parziale, di quanto successo adducendo a discolpa frasi come “mi ha provocato”, “se l’è cercata”, “non potevo tollerare che” e quant’altro. Considerata l’attribuzione di colpa alla vittima in senso più esteso, si nota che gli stati o gruppi aggressori giustificano gli attacchi sostenendo che gli stati o gruppi meta dell’aggressione abbiano commesso, o stiano preparando azioni che sarebbero estremamente nocive e quindi vanno fermati ad ogni costo intraprendendo così “guerre preventive”, a beneficio, manco a dirlo, di tutta l’umanità. Nel quotidiano tale attribuzione di colpa è onnipresente nella violenza familiare, bullismo, mobbing, pedofilia e violenza a minori, reati a sfondo sessuale. Spesso riteniamo che se qualcuno abbia subito una situazione spiacevole in qualche modo se lo è meritato. Si tratta di un modo di pensare legato ad una credenza metafisica che ritiene il mondo sostanzialmente giusto ed equo, per cui è difficile immaginare che qualcuno possa soffrire da innocente. Proprio questo modo di pensare, presente quindi anche nelle vittime, come negli osservatori passivi delle violenze, è quello che finisce per avere effetti psicologicamente deleteri. L’aggressore si autoconvince di aver fatto bene, ma anche la vittima inizia a pensare di avere realmente commesso qualcosa che abbia indotto l’aggressore ad agire in modo violento e quindi a meritarsi le punizioni. Si tratta di pensieri del tipo “forse non sono una buona moglie” o “sono davvero un bambino cattivo e mi merito le punizioni”. Non riesce difficile immaginare che tale modo di pensare innesca un circolo vizioso accompagnato da stati depressivi che impedisce alla vittima di denunciare le violenze e la mette in sottomissione permanente all’aggres- Psicologia passaggio obbligato nel processo di disimpegno morale ossiamo umiliarli quanto vogliamo sore, che continua ad immedesimarsi nel ruolo di giustiziere colpevolizzandola ed aggiungendoci il meccanismo - di cui negli interventi precedenti - della giustificazione morale (“lo faccio per il suo bene”). Negli osservatori passivi invece agisce in parte la colpevolizzazione della vittima, a volte usata pure dagli avvocati difensori in tribunale che cercano sempre in quale modo essa avrebbe potuto suscitare reazioni violente, modo in cui spesso operano anche i media, unita alla diffusione della responsabilità nel senso che a notare le violenze sono in tanti. Come agire per evitare gli effetti nocivi del disimpegno morale con cui giustifichiamo il male fatto ad altri, pur di non farlo a se stessi risentendo del fatto di aver infranto le norme morali internalizzate e adducendo a propria discolpa argomenti ingannevoli? Secondo il modello triadico del determinismo reciproco di Bandura, in precedenza illustrato, i meccanismi del disimpegno morale, chiamati da alcuni anche tecniche di neutralizzazione morale, si cementano nelle persone nella reciproca interazione di fattori personologici, fattori dipendenti dalle azioni della persona (condotta) e dai riscontri dell’ambiente sociale (famiglia, scuola, società, cultura, ecc.) che nella visione tardocomportamentista rappresentano il rinforzo, ovvero ciò che può influire sulla probabilità che determinati comportamenti si ripetano e diventino degli schemi fissi, oppure si estinguano. Una volta che gli è stato istillato il senso della sua “superiorità” o la “disumanità” delle sue vittime, il “più normale” ragazzo di Haifa o Tel Aviv sarà pronto a puntare un fucile contro esseri inermi quali donne o bambini I meccanismi di disimpegno morale non devono diventare modelli universali ed accettati di condotta e questo fine si può raggiungere unicamente se gli educatori, in primis i genitori e poi tutti gli altri che si occupano dell’educazione delle persone in età infantile e giovanile, sapranno innanzitutto riconoscere le situazioni in cui i destinatari del processo educativo mettono in atto il disimpegno morale. Una volta capito che le giustificazioni di comportamenti deplorevoli risultano essere evidenti meccanismi di neutralizzazione sarà compito degli educatori di impedire che la cosa si ri- I meccanismi di disimpegno morale qui trattati - giustificazione morale - “il comportamento è giusto perché il fine è giusto” - confronto vantaggioso - “altri fanno molto peggio” - etichettamento eufemistico - “era solo uno scherzo” - minimizzazione-negazione del danno - “non gli ho fatto niente: gli ho detto solo/gli ho fatto solo…” - disumanizzazione della vittima - “è un depravato, deficiente, bestia, pervertito” - colpevolizzazione della vittima - “l’ha voluto lui, se l’è proprio cercata” - diffusione delle responsabilità - “l’hanno fatto tutti”, “non ero il solo”, “è stato perché ero con loro” - dislocazione delle responsabilità - “è stato il capo, ho soltanto obbedito”. peta facendo capire ai bambini che le loro “scuse” sono vane ed ingannevoli, ed elogiandoli quando mostrino di aver capito che gli atti immorali non vanno commessi. Si dovrà quindi costruire un “sistema di valori” per ridurre al minimo i livelli di disimpegno ed a portare al massimo il senso di responsabilità individuale. Parecchie ricerche in varie parti del mondo hanno mostrato: - che i giovani che tendono a manifestare comportamenti devianti hanno un alto livello di disimpegno morale - che i meccanismi messi in atto più spesso di altri dipendono in larga misura dal fatto che l’ambiente sociale di provenienza li accetta. A livello di società è chiaro che il pluralismo politico e la tolleranza sollecitano la messa in discussione di compromessi morali sospetti. Per far rientrare le loro azioni in un contesto di umanità, le società devono dotarsi di argini collettivi efficaci contro l’abuso del potere istituzionale finalizzato alla manipolazione ed alla cancellazione dell’individualità. Tutto deve essere organizzato in modo tale da rendere il più difficoltoso possibile per ciascuno di noi il disimpegno sul piano morale ed umano. ● (4 - fine) Panorama 23 Cinema e dintorni The Lady, di Luc Bresson, dedicato alla donna che si è opposta ai La tremenda scelta di vita di Aung di Gianfranco Sodomaco da tanti anni che, a intervalli più o meno regolari, vediamo al telegiornale quella “lady”, quella signora minuta dagli occhi a mandorla, dall’età apparentemente immutabile che, in modo non violento, lotta da sola, da venticinque anni, contro il governo militare, dittatoriale del suo paese: lo stato di Myanmar, la Birmania. Sicuramente una delle più toccanti e ammirevoli fonti d’ispirazione politica ed umana degli ultimi decenni, impossibile, ormai, non ricordarne il nome, Aung San Suu Kyi e, ogni volta, chiedersi (per poi dimenticarselo), fuori discussione il senso di ammirazione per tanto coraggio e tanta costanza, come è nata quella storia, da dove è saltata fuori quella donna e... come andrà a finire, perché non è fini- È Aung San Suu Kyi (Michelle Yeoh) sul set del film “The Lady” insieme al regista francese Luc Besson ta (più che eloquenti a proposito i dati delle elezioni del primo aprile). Bene, finalmente, grazie ad un bellissimo film, ora ne sappiamo di più, molto di più di The Lady. Così infatti i suoi compatrioti hanno incominciato a chiamarla, per paura di pronunciare il suo vero nome, talmente selvaggia è stata per decenni la repressione in quel paese, così infatti si intitola l’opera che il regista Luc Besson (sì, quello di tanti film d’azione come “Nikita”, 1990 “Leon”, 1994 - “Il quinto elemento”, 1997 - “Adele e l’enigma del faraone” 2010), dopo quattro anni di lavoro, ha dedicato a questa autentica eroina dei diritti umani che, tra l’altro, nel 1991, lei prigioniera in patria, ha ottenuto il premio Nobel per la Pace. Dice il regista: “Ho letto la sceneggiatura (della scrittrice Rebecca Frayn) in due ore, ho pianto, e ho det- Agli arresti domiciliari nella casa paterna 24 Panorama to subito sì, lo giro!” E subito ha voluto, come protagonista, per somiglianza fisica, bravura professionale e rara sensibilità, la cinese Michelle Yeoh, l’indimenticabile interprete di “Memorie di una geisha” (2005). La vicenda ha dell’incredibile per l’alternarsi drammatico di situazioni e, nello stesso tempo, per la sicurezza e la pacatezza, non senza indicibili dolori, con le quali San Suu Kyi le affronta. Il tutto parte dagli anni ‘40, dall’assassinio del padre/generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, quando Suu aveva due anni e subito inviata a vivere e a studiare in Inghilterra. Qui Suu trascorre tutta la sua infanzia e giovinezza, fino a sposare Michael Aris (David Thewlis), professore universitario di “storia orientale” all’Università di Oxford. Arriviamo al 1988, quando il po- Davanti al plotone di esecuzione che però non spara Cinema e dintorni generali birmani San Suu Kyi polo birmano insorge contro la giunta militare. Ebbene, in quel “fatidico” anno, Suu decide di tornare nel paese natale e subito inizia il suo lungo, paziente, diretto scontro con il potere assoluto dei generali. A questo punto il regista, Luc Besson, con buona intuizione cinematografica e con tutto il mestiere che ha alle spalle, decide di continuare a raccontare la storia attra- La “vera” Aung San Suu Kyi parla a migliaia di sostenitori dal giardino verso ‘gli occhi’ del marito (e dei due della sua casa dopo essere stata rilasciata il 14 luglio 1995 figli) che, malato di cancro (potrà vivere, al massimo, ancora cinque anni), entrata), non ha visto morire il marito liare e patriottico, sconfinato, da una seguirà e condividerà in tutto e per tut- (anche se il marito è riuscito ad andare vocazione ‘democratica’ molto ingleto la vicenda della moglie. Da qui in cinque volte in Birmania) e crescere i se (il marito Michael) ma anche molpoi c’è solo l’imbarazzo della scelta figli (che ad un certo punto hanno ca- to “femminile” (e vengono alla mente, con Suu, le tante donne, nell’individuare e scegliere le tante scrittrici, ad esempio gli episodi, tragici e commomusulmane, che, a contatto venti insieme, che contradcon il pensiero e la tradiziodistinguono questa “incredine occidentale, difendono bile” avventura umana. Ne oggi con le loro opere i diricordiamo alcuni, ma sono ritti umani). Che Besson ha un’infinità: la rabbia dei fifatto, esteticamente, un film gli adolescenti verso la matradizionale (qualcuno addre che sceglie di non tordirittura ha parlato di melonare a casa; lei che impara dramma), ma non per soda fare campagna elettorale disfare i gusti massificati di sulle montagne per coinvolgere tutto il popolo; il marito Impedita di ritirare (1991) il Nobel per la Pace, al suo un pubblico indifferenziato, che impara a stirare; lei che posto si sono presentati i figli Alexander (Jonathan piuttosto perché, ancora una mangia una ciotola di riso Woodhouse) e Kim (Jonathan Raggett) ed il marito volta con sagacia, ha intuito che la vicenda (ancora in in macchina e lui che cuciMichael (David Thewlis) atto) non andava caricata da na una “colla” di riso per il pranzo; lui che va a ritirare il premio pito la scelta tremenda tra “famiglia e sovrastrutture sperimentali, che essa, Nobel, la sedia vuota, e il figlio mag- patria”) e, oggi, dopo mille traversie, se rispettata, avrebbe parlato da sé, giore che legge il saluto della madre, è ancora lì a continuare la lotta di li- che “orchidea d’acciaio” (uno dei sola sala che applaude in piedi e lei che berazione iniziata dal padre più di cin- prannomi dati a Suu per quel fiore che ha sempre portato tra i capelli, dietro ascolta, da lontano, con una piccola ra- quant’anni fa. Che dire ancora? Che mai si sareb- l’orecchio, dopo che il padre, per pridio, nella grande casa paterna, sola, reclusa, agli arresti domiciliari; la morte, be immaginato che un regista come mo, glielo aveva infilato da bambina) straziante, della madre. E poi una sce- Luc Besson avrebbe girato un film sarebbe arrivata alla mente e al cuore na “simbolica”, indimenticabile (vista come “The Lady”; che la cosa ha del del pubblico immediatamente: è così, anche nei trailer, ma non per questo “miracoloso” (e che dunque il cinema infatti, è stato. Dunque chiudendo con meno significativa): Suu Kyi che da- riserva ancora formidabili sorprese, è Besson: “Non abbiamo citato molvanti al “plotone d’esecuzione”, pron- vivo!); che Besson è stato molto “one- te fonti (riferendosi ai titoli di testa to a spararle, guarda in faccia il mili- sto”: avrebbe potuto calcare molto di n.d.r.) perché sarebbe stato pericoloso tare e, per un momento chiudendo gli più la mano sugli aspetti spettacolari, per loro, ringrazio di cuore tutti quelocchi, vede la faccia del padre, poi... ad effetto della storia (percosse, stragi, li che mi hanno aiutato nell’impresa. accada quel che deve accadere: ma il sangue dappertutto ecc.) e invece, si- Sono felice, orgoglioso, umanamente militare non trova il coraggio di spa- curamente aiutato dalle scuole attoria- fiero di aver fatto questo film”. E si carare, quella donna ha in sé qualcosa di li (orientale ed inglese) dei due inter- pisce, allora, che il film ha insegnato “divino”, sarebbe come sparare ad un preti, ha intelligentemente capito che molto anche al suo regista, gli ha fatto una storia del genere poteva nasce- conoscere un mondo che anche lui non angelo... Suu non è mai più tornata in Inghil- re soltanto dalla grandezza d’animo conosceva molto. E anche questo è, a terra (se lo faceva, non sarebbe più ri- dei protagonisti, da un amore, fami- suo modo, un piccolo miracolo...● Panorama 25 Arte Nelle chiese, cappelle e conventi del Quarnerino un’eredità in via di rivalutazione Dominante l’influenza italiana di Patrizia Venucci Merdžo 1 N elle chiese, cappelle, conventi di Fiume, Buccari, Portorè, Castua, Apriano, Laurana, Moschiena, Fianona, Bersezio e altrove, riposa nel silenzio un’eredità artistica ormai in via di rivalutazione, che attesta di un percorso storico regionale particolare, frutto di influenze culturali e politiche “incrociate”. Tale patrimonio pittorico della regione, capoluogo compreso, è stato scientificamente ed esaurientemente trattato dalla storica dell’arte Nina Kudiš nel suo libro “Ars sacra“, un documento prezioso che gode ormai di consolidata considerazione da parte degli studiosi, come pure degli estimatori di questo genere artistico. Un ruolo fondamentale, in campo artistico, culturale, architettonico, spirituale ed anche politico, attraverso i secoli, lo ebbero i vari ordini religiosi presenti a Fiume. Gli Agostiniani, i Cappuccini, i Domenicani, i Gesuiti furono veicolo, tra l’altro, di artisti ed architetti veneti ed italiani di vaglia. Pensiamo ai vari Michelazzi, Capovilla, Tasca, Olivieri, Martinuzzi, Pacassi, Lazzarini, ed altri. Alla luce dei suoi profondi significati teologici e contenuti umani, particolare sorgente di ispirazio2 26 Panorama ne e rappresentazione pittorica fu il periodo liturgico pasquale, che pertanto può offrire all’interesse dello specialista - o del semplice fedele non pochi e non indifferenti esempi di partecipazione artistica alla vicenda terrena del Cristo. In queste righe tenteremo di focalizzare l’attenzione dei lettori su alcuni esempi d’arte legati alla Pasqua, che fanno parte di un repertorio pittorico locale notevolmente più articolato e vasto. Dal Rinascimento toscano... Già parte della collezione della famiglia veneziana Barbadicusa - ora proprietà del Museo fiumano di storia e marineria di Fiume (PPMHP) è la Preghiera nell’Orto degli ulivi (foto n. 1) segnata da evidenti caratteristiche barocche, la cui patina del tempo ha tolto splendore al vivace colorito originale dell’opera. Nella parte superiore del dipinto domina il rapporto diagonale tra l’angelo illuminato che offre il calice del fiele, della Passione, e il Cristo angosciato che, in drappeggi rosa e turchini, si rimette alla volontà del Padre. Nella parte inferiore dell’opera, in senso orizzontale, ci sono gli apostoli dormienti, “avvolti” in un inquieto e manieristico contrappunto di vesti e membra teatralmente piegate. Singolare si rivela Il compianto sul Cristo (foto n. 2) con la Madonna che sorregge il capo dio Gesù, S. Giovanni e la Maddalena, per l’evidente influenza del primo rinascimento toscano (in particolare di Piero della Francesca e del Mantegna, nda) che viene rievocato nella lapidarietà del disegno e nella pregnanza del colore, dalla chiarezza costruttiva e dagli elementi architettonici e prospettici; non ultimo il paesaggio collinare e il modo convenzionale di rappresentare gli alberi. Il lavoro in olio su legno (47x35), in buono stato di conservazione, appartiene alla collezione di antichi dipinti sacri del Museo di Storia e Marineria di Fiume. Ricorderemo che nella detta collezione sono confluiti dipinti che principalmente appartenevano alle illustri famiglie dell’Ottocento fiumano quali Nugent, Adamich, Scarpa, Meynier, Catti, Vio e altre. ...al manierismo veneto Appartiene al tardo rinascimentomanierismo il dipinto Gesù in Croce (foto n. 3) di anonimo autore veneto, opera molto singolare e di alto valore artistico che si trova nella chiesa parrocchiale di Buccari. Particolare infatti si presenta la composizione della SS. Trinità con la colomba non sopra il capo, ma ai piedi del Cristo, sovrastato dalla figura del Padre. Ai lati, due angeli in mantelli e tuniche sottilmente increspate. Il pathos che traspare dai gesti e dagli sguardi dei protagonisti sono quasi seicenteschi, mentre i volumi e la tridimensionalità dei personaggi, unitamente alla sobria linearità ed essenzialità del costrutto e alla tavolozza tintorettiana, rimandano al rinascimentomanierismo veneziano. A Portorè un Luca Giordano? Vengono attribuiti nientemeno che a Luca Giordano Il compianto sul Cristo e Il fazzoletto della Ve- Arte 3 4 ronica (foto n. 4), opere di mirabile fattura che impreziosiscono la Chiesa parrocchiale di Portorè. Un’ipotesi più realistica indica l’autore dell’opera in un discepolo veneziano di scuola giordanesca. Indiscutibile appare l’appartenenza dei due lavori, specie “Il fazzoletto della Veronica” (Veronica, da vera-icona), al tardo barocco italiano, nella turbolenza del disegno e nei fitti giochi di chiaroscuri. La composizione si declina sulla linea di due diagonali parallele. La prima parte dall’angolo superiore di sinistra e divide la superficie in due, mentre la diagonale inferiore segue la sagoma della Madonna svenuta. Tutta la scena è animata da una profonda emozione che conferisce al dipinto un impatto di notevole drammaticità. Dipinti tersatticensi Un ruolo importante nell’ambito della pittura del Convento francescano di Tersatto e in regione, ebbe lo svizzero (Menzingen) fra Serafino Schon, il quale giunse nel Santuario mariano dopo l’incendio del 1629, probabilmente con il compito di completare l’opera di restauro. Già pittore esperto - si presume abbia appreso il mestiere a Milano - re- alizzò i giganteschi dipinti del refettorio, le tre pale d’altare (S. Nicola e santi, S. Caterina e martiri e S. Michele) e gli affreschi del claustro conventuale - trenta lunette sotto le volte del por- ticato - che rappresentano i momenti salienti della vita terrena della Vergine e del Cristo: dalla nascita all’Assunzione della Madonna, dal Natale alla Risurrezione di Gesù. Sono legate al periodo quaresimale e pasquale La Via Crucis/ Cristo incontra la madre, Crocefissione, Deposizione/Pianto sul Cristo, Deposizione nel sepolcro e Apparizione del Cristo risorto alla Madonna (foto n. 5), nella sua casa. Quest’ultimo affresco si presenta interessante per una serie di motivi, primo tra i quali l’iconografia di Gesù che è identica a quella del Cristo nel tradizionale motivo della discesa nel limbo. Secondo un’interpretazione leggendaria, il Cristo dopo la Risurrezione sarebbe disceso nel limbo e quindi avrebbe annunciato alla Vergine, tramite l’arcangelo Gabriele, appunto, la sua Risurrezione. Particolare si presenta nel dipinto, la contrazione di due motivi. Il primo, a sinistra, con la finestra della casa della Madonna attraverso la quale appare in lontananza il Risorto che aleggia sul sepolcro, e quindi l’apparizione del Cristo alla Vergine. Questa doppia presen5 za di Gesù risorto nello stesso dipinto, rimanda alla convenzione iconografica medievale, mentre il Cristo che lievita sulla tomba richiama il Tintoretto. Il ciclo di affreschi di fra Serafino Schon dedicato alla Vergine e al Cristo, costituisce un insieme narrativo chiaro e coerente che parla in maniera eloquente delle modalità e iconografia rappresentative della pittura del Seicento, ed in particolare della pittura murale di un ambiente specifico quale il chiostro di quello specifico luogo di devozione popolare che è il Santuario mariano di Tersatto.● Panorama 27 Anniversari nell’arte Esposti quadri e «modellini» frutto della passione di Giulio Ruzzier Rivive il mito della Parenzana di Mario Simonovich H a cominciato lo scorso dicembre costruendo in circa quindici giorni la prima locomotiva in miniatura. Poi ne ha costruito una seconda, più grande e di altro tipo e due vagoni. Questi i termini con cui Giulio Ruzzier ha sintetizzato una delle due categorie essenziali con cui si è presentato al giudizio dei connazionali e del pubblico in genere all’Auditorium di Portorose. L’altra sono stati i suoi quadri. Comune alle due categorie il tema: la Parenzana, la - si direbbe quasi mitica - ferrovia a scartamento ridotto che per quasi tre decenni e mezzo ha unito Trieste a Buie e Parenzo. Più vecchia la genesi di questa seconda categoria. Ha iniziato i primi quadri tre-quattro anni fa riproducendo l’immagine della stazione di Santa Lucia che meglio conosceva ed a cui era maggiormente legato. Ha continuato riproducendo tutte le altre, i viadotti i ponti, il tracciato. Uno degli ostacoli maggiori nell’opera è derivato dalle difficoltà di reperimento delle immagini, sic- Giulio Ruzzier alla cerimonia di inaugurazione all’Auditorio di Portorose ché è ricorso a vecchie cartoline, libri d’epoca e all’aiuto del computer. In taluni casi l’opera è stata resa più difficoltosa dal fatto che talune stazioni sono state demolite, sicché si è recato sul posto per identificare le fondamenta ed effettuate i dovuti controlli. L’unica di cui non esiste più alcuna traccia è proprio quella di Santa Lucia che, ha detto con rimpianto, vorrebbe fosse degnamente ricordata: “Bisognerebbe fare qualcosa per ricordare questa stazione”. Egli stesso ritiene di poter offrire un progetto ideale in cui coinvolgere il comune, le comunità locali e le persone competenti, che si potrebbe realizzare in breve tempo, senza troppa spesa e con benefici anche per il turismo. I dipinti, frutto anche della sua pluriennale frequentazione della sezione artistica preso la Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini” di Pirano, presentano scorci salienti della linea, in primo piano ovviamente le stazioni raffiguranti quasi tutte le stazioni. Oggi, come detto, in gran parte demolite o ingloba- N ato a Portorose nel 1940, Giulio Ruzzier frequenta le scuole italiane nella cittadina natia e poi a Pirano mostrando fin da piccolo una grande passione per il disegno. Indotto da motivi di indole economica a frequentare la scuola apprendisti di Isola si qualifica meccanico, professione che svolgerà al cantiere navale di Pirano e in altre aziende fino alla pensione. Il “momento giusto” arriva un paio d’anni fa quando la CI “Giuseppe Tartini” organizza un corso di pittura e Giulio si iscrive subito iniziando un percorso artistico volto a riprendere in prevalenza paesaggi della sua terra, non nella configurazione attuale bensì riproponendo immagini che abbiano anche una precisa funzione di rievocativa.● 28 Panorama Trieste Campomarzio Portole viadotto Servola Trieste S. Andrea Panorama 29 Capodistria P Sicciole ponte Salvore Castagna Sicciole 30 Panorama Montona Portorose Buie Grisignana Levade Panorama 31 Visignano Santa Domenica Semedella Visinada Parenzo 32 Panorama Anniversari nell’arte te in altre costruzioni più moderne, sono rare, sicché la sua opera si presenta come unica nel riproporre l’Istria (e le sue comunicazioni) come erano negli anni dall’inizio del secolo scorso a quell’ultimo giorno dell’agosto 1935 in cui transitò l’ultimo treno. Vista dalla prospettiva odierna, la linea può essere tranquillamente oggetto di critiche che però si ridimensionano immediatamente quando si inseriscono nel contesto dell’epoca. Va ricordato infatti che essa fu voluta in particolare dai comuni dell’Istria occidentale per motivi dichiaratamente economici ma implicitamente anche politici. Basti pensare ad esempio che quando entrò in funzione, il primo aprile 1902 (!), era ormai attiva da un quarto di secolo la ferrovia istriana a scartamento normale. La quale però - con l’ottima scusante di dover doverosamente favorire il decollo economico dell’Istria interna e d’evitare d’essere esposta alla gittata delle artiglierie italiane - era stata fatta passare in aree che oltre ad essere palesemente fra le più depresse, erano anche abitate da popolazioni slave, molto più fedeli all’impero degli italiani. A loro volta questi, massicciamente presenti nei comuni costieri o nell’immediato retroterra, insistevano per una via di comunicazione che permettesse un’affluenza più facile delle merci sul mercato triestino (eloquente a proposito il dato che, nella sola area di Pirano, il 70 per cento delle aree coltivabili era occupato da ortaggi, soprattutto primizie, che affluivano sul mercato triestino). Non meno innegabi- Ruzzier con il modellino della prima locomotiva in servizio sulla linea a scartamento ridotto, che ha costruito in ferro recuperando pezzi di vecchie biciclette unite con tondino usato in edilizia. L’opera, pesante una ventina di chilogrammi, ha richiesto un mese di paziente lavoro le, ma certamente molto meno messa in evidenza dati i tempi, era l’idea che il treno avrebbe favorito l’affermazione di tutti i valori che facevano capo ad un’italianità palesemente qui molto sentita. Che lo scontro politico fosse piuttosto avanzato si può vedere anche dai conflitti (anche quella volta) nati in merito alle lingue da usare per le tabelle con i nomi delle stazioni. Stretta fra interessi (e pressioni contrapposte) Vienna alfine optò per una linea a scartamento ridotto che, dipartendosi da Trieste, si sarebbe collegata in un primo momento con Buie, successivamente con Parenzo (cosa che avvenne circa sei mesi più tardi, ossia in tempi piuttosto contenuti) e più tardi con Canfanaro, sulla Divaccia-Pola da cui si dipartiva anche l’allacciamento con Rovigno. Arrivata con difficoltà a Parenzo, però, la linea non ebbe mai questo terzo tronco. Lo scartamento ridotto significava in primo luogo spese di costruzione più contenute: basti pensare alle gallerie più piccole o ai raggi di curvatura minori rispetto alle linee normali. In quest’ultimo caso però anche la velocità dei convogli era più ridotta: infatti i treni si muovevano al massimo a 30 Km all’ora. Anche il volume di carico, trattandosi di vagoni più piccoli rispetto ai normali, era minore, il che in ultima analisi significava che larga parte dei risparmi nella costruzione si riversarono nella gestione, che infatti fu costantemente in rosso, fino a imporre - peraltro in concomitanza con altri fattori nuovi, in primo luogo lo sviluppo del trasporto su gomma - la chiusura della linea e la rimozione degli impianti. Va detto anche che la subentrata amministrazione italiana - di contro a quanto talvolta si sente dire - cercò di migliorare il servizio fra l’altro introducendo anche sei nuove locomotive. Alcune di queste, adattate allo scartamento metrico, furono poi utilizzate in Sicilia dove prestarono servizio fino alla metà degli Anni Cinquanta.● Le foto del servizio sono state messe gentilmente a disposizione della Redazione dalla Comunità degli Italiani di Pirano Panorama 33 Letture L o scorso luglio sono stati attribuiti i Premi della XLIII edizione del concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di lettori, nelle pagine riservate alle letture “Panorama” propone le opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni. Nella categoria “Letteratura - Premio Osvaldo Ramous” alla sezione “Poesia in uno dei dialetti CNI” la giuria ha assegnato la menzione onorevole a LINO CAPOLICCHIO di Gallesano per la sua raccolta di poesie dal titolo “Dighelo cola poi∫ia” (Diglielo con la poesia) di cui pubblichiamo la quarta ed ultima parte. «Dighelo cola poi∫ia» («Diglielo con la poesia») Le sorbe Vendo mio onde∫e ani e ∫endo con ‘n altro morè per un limido che tajeva ’n doj polisè tere lui se veva corto che drio ‘ nà ma∫era jera ‘n perer carego de peri. L’ mè veva dito: ara che bei peri, ∫emo cioli; ma mio che cognosevi ogni tera e ogni paron ghe vevi dito: ara che no ∫è peri ∫è sorbe! E lui: ma no, ∫è peri te dighi, mi li je visti. E mi: bon lora fà come che te voj, e lui ‘l veva saltà oltra la ma∫era e ‘l paron che jera sconto de drio ghe veva dà quatro bone bastonade e lui scanpendo ’l veva sigà: ti vevi ra∫on ti si che jera sorbe e no peri. Ma te vevi dito mi e deso tente le sorbe. LE SORBOLE Avendo io undici anni/ e andando con un altro ragazzo/ per una stradina di campagna che separava/ in due parecchi campi/ lui si era accorto/ che dietro un muricciolo/c’era un albero colmo di pere./ Rivolgendosi a me disse:/ guarda che belle pere, andiamo a prenderle;/ ma io che conoscevo/ ogni campo ed ogni padrone/ gli dissi:/ non sono pere/ sono sorbole!/ E lui: ma no, sono pere/ ti dico, le ho viste./ Ed io: va bene allora/ fa come vuoi,/ e lui aveva scavalcato/ il muricciolo/ ed il padrone che era/ nascosto dietro/ gli aveva dato quattro/ belle bastonate/ e lui scappando/ aveva gridato:/ avevi ragione tu sì/ che erano sorbole/ e no pere./ Io te lo avevo detto/ e adesso tieni ti/ le sorbole. 34 Panorama Letture ’L mercato de Pola ’n tol nostro varto de dojmila metri quadrati che veveno là de Portaora. Rento ‘l nostro varto jera ‘na granda tera dei Teser e oltra jera le tere dei Simonei che ∫eva fina Prà Grando. Poi?.... ’N dì del milenovesento vintisete jera rivadi doj soci del governo talian e i ghè veva ordinà a mè nono e a quei altri gali∫ane∫i de vendeghe le tere per fà le ca∫e e ’l mercato novo. Così ∫è stà e così dospoj vinti secoli anco i ultimi gali∫ane∫i doveva per forsa lasà le sò tere a Pola..... per faghe posto ai novi rivadi. Stamitina bonora nò vevi sono e solo me girevi pel leto e vardevi ‘n tel odio del plafon e ‘lora me sen alsà e sen ∫ì ‘n canova e je po∫à i oci ∫ora la belansa vecia de mè nona e ciolti ‘n man i pe∫i barenadi e i piati de oton anco lori barenadi vardevi i numeri che jera scriti ∫ora 1903,1911,1919,1927,1935 e me je ricordà de mè pare quando che ’l me conteva de mè nona cò la ∫eva co ‘l biroch* al mercato a Pola sà dei giardini a vendi ovi, se∫, mandole, lato e fighi suti, e la verdura la ∫eva a ciola IL MERCATO DI POLA Stamattina buonora non/ avevo sonno e soltanto/ mi rigiravo per il letto/ guardando nel vuoto del soffitto/ e quindi mi sono alzato/ e sono andato in cantina/ ed ho posato gli occhi sopra/ la bilancia vecchia/ di mia nonna/ e presi in mano/ i pesi timbrati/ ed i piatti di ottone/ anche loro timbrati/ guardavo i numeri/ incisi sopra/ 1903, 1911, 1919, 1927, 1935./ E mi sono ricordato/ di mio padre quando/ mi raccontava della/ nonna come andava/ con il biroch* al mercato/ a Pola ai giardini,/ a vendere uova, ceci,/ mandorle, latte e ficchi secchi/ mentre la verdura la coglieva/ nel nostro orto/ di duemila metri quadrati/ che avevamo presso Port’Aurea./ Vicino al nostro orto/ si trovava un grandissimo campo/ delle famiglie Tesser ed oltre/ c’erano i campi dei Simonelli/ che si protendevano fino a Pra` Grande./ Poi?.../ Un giorno del millenovecentoventisette/ si erano presentate/ due persone del governo/ italiano che avevano/ ordinato a mio nonno e/ a ad altri gallesanesi/ di vendere i lori campi/ per costruire le case ed/ il mercato odierno./ Così fu/ e così dopo/ venti secoli anche/ gli ultimi gallesanesi/ dovevano forzatamente/ lasciare i loro campi/ di Pola.../ per fare posto/ ai nuovi arrivati./ *Biroch = calessino a due ruote La domenega A ca∫a meja duti i dì dela setemana se di∫na como e quando chi che riva, ma a la domenega nò. La domenega a ca∫a meja ∫è como a Pasqua; se ripo∫a e no se fadiga njente e duti ‘n sembro se và a Mesa e poi se ven a ca∫a e se di∫na ‘n senbro e ‘n senbro se favela dè ‘nà roba e del’altra e se fà i piani pe la setemana ananti e se stà ’l despoj me∫odì ’n compagnia e contentesa. LA DOMENICA A casa mia/ tutti i giorni/ della settimana/ si pranza/ come e quando/ chi arriva/ però alla/ domenica no./ Alla domenica/ a casa mia/ è come a Pasqua;/ si riposa e non si/ fanno fatiche/ e tutti assieme/ si va alla S.Messa/ e poi si torna/ a casa/ e si pranza assieme/ e assieme si discute/ di una cosa/ o dell’altra/ e si fanno i piani/ per la settimana/ a venire/ e si sta/ il pomeriggio/ in compagnia/ in allegria/ e felicità. Panorama 35 Letture Duto ∫è ganbià o pion sempro como ‘ntoi dì del diluvio o fà tanto caldo che bru∫a duto. E poi?... ‘L mè can! A dì ‘l baja tanto che par che ‘l ∫brega duto, anco le mosche ghe dà fastidio ’n altro dì vesi ’l stà como crepà e njanco nol te varda. Anco mi ganbiarè e de suca me farè. Duto ∫è ganbià anco ‘l sol ∫eè stranbo, i dì che ‘l ∫è malà i dì che ‘l scalda masa e che de lui ghe vol scanpà. Ma anco la ∫ento ∫è stranba. I jo tante scole mà cò i te scontra pè la cal njanco no i te saluda, i ∫è como la luna che la fà ciaro a quarti. Anco ‘l tempo ∫è mato TUTTO È CAMBIATO Tutto è cambiato/ anche il sole è strano,/ dicono che è ammalato/ dicono che scalda troppo/ e che da lui/ bisogna scappare./ Ma anche la gente/ è strana./ Hanno tante scuole/ ma quando ti incontrano/ per la strada/ nemmeno ti salutano/ sono come la luna/ che fa chiaro/ a quarti./ Anche il tempo/ è pazzo/ o piove sempre/ come nei giorni/ del diluvio/ o fa tanto caldo/ che brucia tutto./ E poi?... Il mio cane!/ a giorni abbaia tanto/ che sembra che/ stracci tutto,/ anche le mosche/ gli danno fastidio/ un altro giorno invece/ sta come morto/ e nemmeno ti guarda./ Anch’io cambierò/ e di testa mia farò. A Marta Picia la jera nata, minuda. Poco la teteva sò mare e sò nona di∫eva: mai no la vignarò granda. Ma Marta con doi tetade de mitina e doi de sera e a me∫odì ‘nà scodela de licheti granda la ∫è vignuda, e anco ‘l moro∫ la se jo catà e mi sabo a l’altar la je conpagnada. ... pela cal tanta ∫ento ne vardeva, e rivadi ‘n Ce∫a ’l coro canteva, ma a mi e a Marta solo lagreme ∫ò pel mu∫o ne coreva, solo lagreme... A jera le lagreme mare del’adio, perché jera me fia che ∫eva per sempro via de ca∫a meja. A MARTA Piccola era nata/ minuta/ poco latte succhiava/ sua madre/ e sua nonna dicevano:/ mai non crescerà./ Ma Marta/ con due poppate di mattina/ e due di sera/ e a mezzogiorno una/ ciotola di dolciumi/ grande è venuta/ e anche lo sposo/ si è trovata/ ed io sabato all’altare/ l’ ho accompagnata./ Per la strada tanta gente/ ci guardava,/ arrivati in Chiesa/ il coro cantava/ ma a me e a Marta/ soltanto lacrime/ giù dal viso/ scendevano/ soltanto lacrime.../ Erano le lacrime amare/ della separazione,/ perché era mia figlia/ che se ne andava per sempre/ via da casa mia./ 36 Panorama Letture Drio la Rena ’N toi primi ani del mileotosento quando che i austriachi jera rivadi a Pola; de Monto Giro fina a Monto ∫aro no jera njanco ‘n ca∫oto, mà; solo tere e carsi ola che i gali∫ane∫i vardeva le pegore. I austriachi veva verto i laori a Pola per fà: i forti, le ca∫erme, l’ospedal, la riva e l’arsenal. Auti e biciclete nò esisteva e la frata no jera ‘ncora fata, al laor se ∫eva a schena de samer. Alora me bi∫nono ∫usto per logà i sameri dei gali∫ane∫i e dei dignagne∫i che vigniva laorà a Pola ’l veva verto ’l primo parchegio de Pola drio la Rena to ‘n sò vedorno de quatromila metri quadrati. Poi, più tardi al ghe veva vindun ‘n toco de stò vedorno al vecio Colman bi∫nono de Fabio Colman, e l’altro toco al governo. Coj soldi ciapadi la fameja de mè nono como anco altre i se compreva de magnà a Wagna e a Potendorf là che i jera fugiaschi ’n to la guera del quatorde∫e al di∫doto. Per doj ani fina che jera soldi duti jera vivi e sani. Poi?... Ghe ‘oreva pasà co’ le ver∫e e rave che paseva ‘l governo. E quela ‘olta ton quatro me∫i ‘l tifo veva destrigà me∫a ∫ento e gali∫ane∫a e Pole∫ana tanto che le fameje jera tornade ’n drio a metà, e metà jera restada soterada ’n toi campi profughi de l’Inpero Austroungarico. DIETRO L’ ARENA Nei primi anni/ del milleottocento/ quando che/ gli austriaci erano arrivati/ a Pola./ Da Monte Giro fino/ a Montezaro non c’era/ neanche una casupola, ma;/ soltanto campi e carsi/ dove i gallesanesi pascolavano/ le pecore./ Gli austriaci avevano aperto/ i primi lavori a Pola per fare:/ i forti, le caserme,/ l’ospedale, la riva e/ l’arsenale./ Automobili e biciclette/ non esistevano e la ferrovia/ non era ancora costruita./ Al lavoro si andava/ a dorso d’asino./ In quel tempo mio bisnonno Giusto/ per salvare tutti quegli asini/ dei gallesanesi e dei/ dignagnesi che venivano/ a lavorare a Pola/ aveva aperto/ il primo parcheggio di Pola/ dietro l’Arena/ in un prato di sua proprietà/ di quattromila metri quadrati./ Poi più tardi/ aveva venduto un pezzo/ di questo prato/ al vecchio Colman/ bisnonno di Fabio Colman,/ ed un altro pezzo al governo./ Con il denaro ricavato dalla vendita la famiglia/ di mio nonno come anche altre famiglie/ compravano il cibo/ a Wagna ed a Pottendorf/ durante la deportazione/ nella guerra dal quattordici al diciotto./ Per due anni finché c’era denaro/ tutti erano vivi e sani./ Poi?..../ Bisognava vivere/ con verze e rape/ che passava il governo./ E quella volta/ in quattro mesi il tifo aveva/ mietuto mezza gente/ sia gallesanese che polesana/ tanto che/ le famiglie erano tornate/ indietro dimezzate./ Metà gente era rimasta seppellita/ nei campi profughi/ dell’Impero Asburgico./ Panorama 37 Concorsi Concorso nazionale CLASSE TURISTICA. Festival del Turismo Scolastico Concorso nazionale esteso alle scuole superiori delle minoranze italiane di Istria, Fiume e Dalmazia Grado 17- 20 ottobre 2012 Art. 1 FINALITÀ Il Touring Club Italiano, con la collaborazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, indice e organizza la sesta edizione del Concorso nazionale “CLASSE TURISTICA. Festival del turismo scolastico” che si svolgerà a Grado dal 17 al 20 ottobre 2012. Il Festival nasce dalla consapevolezza del valore formativo del viaggio d’istruzione, quale momento di arricchimento conoscitivo, culturale, umano e professionale, e del contributo fondamentale che esso può dare allo sviluppo di un’adeguata cultura del viaggio, rispettosa delle identità locali e protesa alla conoscenza, valorizzazione e tutela del patrimonio culturale e ambientale. EDIZIONE SPECIALE L’edizione 2011-2012 del Concorso è indirizzata, non solo a tutte le scuole superiori d’ Italia come nelle edizioni precedenti, ma anche alle scuole appartenenti alle minoranze italiane di Istria, Fiume e Dalmazia. Si tratta infatti di un’edizione speciale emersa dall’attività del Tavolo di lavoro fra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Associazioni degli esuli istriani-fiumani-dalmati che si avvale del contributo dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e che è dedicata alla storia del confine orientale italiano. In particolare con l’edizione speciale del Concorso si vuole: - promuovere nelle scuole italiane i viaggi d’istruzione che abbiano come meta i luoghi storici quali quelli espressione della civiltà istriana, fiumana e dalmata; - accrescere la consapevolezza e la conoscenza delle proprie origini culturali negli studenti italiani e in quelli di lingua italiana residenti in Slovenia e Croazia. SEZIONI COMPETITIVE Il Concorso, nella sua edizione speciale, si articola in quattro Sezioni competitive: 38 Panorama Un viaggio di classe - per le Classi che descriveranno il viaggio d’istruzione svolto; Vieni da noi - per le Classi che promuoveranno la loro città presso i coetanei; Vieni a conoscere Fiume, l’Istria e la Dalmazia per le Classi residenti in quei territori; Viaggio nella civiltà Istriano-Dalmata - per le Classi che sceglieranno quei luoghi come meta dei loro viaggi d’istruzione. Possono partecipare al Concorso: - le prime 4 Classi delle Scuole Secondarie di II° grado, statali e paritarie di tutta Italia; - le prime 4 Classi delle Scuole Medie Superiori delle minoranze italiane di Croazia e Slovenia. Ogni Scuola può partecipare con più Classi, ognuna delle quali potrà concorrere con un solo elaborato. Art. 3 MODALITÀ D’ISCRIZIONE Per partecipare al Concorso la Classe dovrà inviare via fax al n° 02 8526594 il modulo di iscrizione, scaricabile dal sito www.classeturistica.it, compilato in ogni sua parte e firmato dal Dirigente Scolastico. Art. 4 DEFINIZIONE DI ELABORATO Al concorso saranno ammessi gli elaborati che metteranno in evidenza la programmazione, lo svolgimento e il conseguimento delle finalità didattiche del viaggio realizzato, oppure saranno finalizzati alla promozione della città sede della scuola e del territorio circostante quale possibile meta di turismo scolastico. Per elaborato si intende un insieme di immagini e testi, i più diversi (come ad esempio racconti, diari, guide, fotografie reportage, depliant, manifesti, video, spot, corti, sceneggiature, disegni, ecc.), in cui viene descritto il viaggio realizzato o la città da promuovere, secondo la traccia evidenziata nel sito www.classeturistica.it. Cocorsi Art. 5 TRACCIA OPERATIVA DELL’ELABORATO L’elaborato dovrà contenere la descrizione delle varie fasi didattiche che hanno portato alla realizzazione del viaggio o alla promozione della città, secondo la seguente traccia: Sezioni ”Un viaggio di classe” e “Viaggio nella civiltà Istriano-Dalmata” Finalità Le motivazioni culturali e didattiche che hanno determinato la scelta della meta del viaggio d’istruzione. Programmazione didattica e culturale - Gli elementi conoscitivi ricercati e utilizzati per una adeguata preparazione e pianificazione del viaggio. Organizzazione - I criteri di scelta degli operatori turistici coinvolti nella realizzazione del viaggio. La Classe in viaggio - La descrizione del viaggio svolto dalla Classe: documentazione, resoconto, caratteristiche, testimonianze, momenti salienti, scoperte, arricchimenti, ecc. Rielaborazione delle esperienze vissute - La verifica dei risultati ottenuti in rapporto alle finalità didattiche prefissate. Sezioni ”Vieni da noi” e “Vieni a conoscere Fiume, l’Istria e la Dalmazia” Finalità Le motivazioni culturali e didattiche che dovrebbero determinare la scelta della propria città, quale meta di un viaggio d’istruzione. Programmazione didattica e culturale - La ricerca e la selezione del materiale utile all’organizzazione di itinerari tematici. Invito - Realizzazione dell’elaborato finalizzato ad invitare i coetanei alla visita “guidata” della propria città. Considerazioni finali - Le nuove conoscenze acquisite sulla propria città alla fine dei lavori svolti. lità per eventuali danni, smarrimenti, furti o altri incidenti che potrebbero subire gli elaborati inviati. Gli elaborati inviati non verranno restituiti. Art. 6 REQUISITI DELL’ELABORATO Ogni Classe potrà inviare un solo elaborato caricato esclusivamente su un solo supporto multimediale, CD Rom o DVD, contenente la legenda dei temi trattati e i dati relativi alla scuola (nome, classe “autrice”, indirizzo, numero di telefono). Gli stessi dati dovranno essere riportati sulla lettera allegata al supporto multimediale. La comunicazione alle Classi che verranno selezionate e premiate con la partecipazione gratuita allo svolgimento del Festival verrà data tramite e-mail direttamente alle scuole entro il 17 settembre 2012. La Scuola, nella persona del Dirigente Scolastico, dovrà formalizzare l’accettazione della partecipazione delle Classi finaliste al Festival entro il 24 settembre 2012 tramite lettera raccomandata A/R o invio tramite fax del modulo di accettazione allegato alla comunicazione, direttamente alla Segreteria Festival Classe Turistica. La Scuola, nella persona del Dirigente Scolastico, farà pervenire poi l’elenco degli studenti delle Classi finaliste, congiuntamente al consenso dei genitori a partecipare all’iniziativa, oltre ai nominativi dei docenti che hanno partecipato al progetto (dovranno corrispondere ai nominativi già presenti nel modulo d’iscrizione). Art. 7 MODALITÀ D’INVIO Gli elaborati dovranno pervenire al Touring entro il 31 maggio 2012 - tassativamente sui supporti multimediali previsti - e si riferiranno alla gita svolta dalla classe nell’anno scolastico 2011-12. Gli elaborati dovranno essere inviati, personalmente o tramite Posta (farà fede il timbro postale) o tramite spedizioniere, esclusivamente al seguente indirizzo: Segreteria Classe Turistica - Touring Club Italiano, Corso Italia 10, 20122 Milano. Gli organizzatori, pur impegnandosi ad adottare ogni forma di precauzione, declinano ogni responsabi- Art. 8 GIURIA Una Giuria, rappresentativa del mondo della scuola, del turismo e della cultura, appositamente designata dal Touring, selezionerà, tra tutti gli elaborati inviati al TCI, fino a otto classi finaliste, che parteciperanno gratuitamente alla sesta edizione del Festival che si svolgerà a Grado dal 17 al 20 ottobre 2012. I criteri di selezione degli elaborati sono evidenziati nel sito www.classeturistica.it. Nel corso della manifestazione si procederà alla cerimonia di premiazione nella quale verranno proclamate le Classi vincitrici, una per sezione. Art. 9 PREMI Agli studenti appartenenti alle Classi finaliste, ai loro insegnanti (massimo 3) che hanno curato la realizzazione del viaggio d’istruzione o la sua promozione e ai relativi Dirigenti Scolastici, sarà offerto in premio il viaggio per raggiungere la sede del Festival e l’ospitalità necessaria per partecipare al suo svolgimento. Sono previste targhe e prestigiose pubblicazioni del Touring Club Italiano quali premi per gli studenti e i docenti delle Classi vincitrici del Festival nonché per le Classi meritevoli di una speciale segnalazione. Altri premi verranno offerti dagli sponsor della manifestazione. Art. 10 COMUNICAZIONE E ACCETTAZIONE DEI PREMI Art. 11 PROGRAMMA DEL FESTIVAL Il programma del Festival, dettagliato e aggiornato, verrà pubblicato nel sito www.classeturistica.it. Panorama 39 Italiani nel mondo I questionari della Cgie dovranno essere compilati entro il prossimo giugno Un monitoraggio socio-sanitario a cura di Ardea Velikonja E ntra nel vivo in questi giorni la fase operativa del monitoraggio sulla situazione sociosanitaria dei cittadini italiani residenti all’estero proposta dalle Commissioni Sicurezza e Tutela sociale (II), Tutela sanitaria (VIII) e dal gruppo Donne del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero e approvata dall’assemblea generale riunita a Torino dal 18 al 20 maggio 2011. L’iniziativa ha lo scopo di identificare le specificità socio-sanitarie dello stato di bisogno degli italiani residenti all’estero, come è stato più volte sottolineato nel corso delle assemblee plenarie successive a quella di Torino, in ultimo la plenaria del 28 febbraio-1° marzo scorso. In quell’occasione intervennero tra gli altri sull’argomento il presidente dell’VIII Commissione, Pasquale Nestico, il presidente della II Commissione, Maria Rosa Arona, il consigliere Gianfranco Gazzola (Svizzera) e il consigliere di nomina governativa Roberto Volpini (Acli) che sottolineò come “questo progetto sulla situazione socio-sanitaria dei nostri connazionali nel mondo richiami tutti ad una partecipazione condivisa intorno ai valori essenziali della solidarietà e della gratuità”. Concluso l’iter preparatorio della proposta il segretario generale del Cgie, Elio Carozza, ha inviato ai presidenti dei Comites attivi all’estero e ai membri del Consiglio generale il questionario formulato allo scopo e rivolto a tutte le persone di qualsiasi età che intendano contribuire a segnalare, in anonimato, lo stato socio-sanitario 40 Panorama Una delle tante sedi del Comites: quella di San Gallo in Svizzera in cui si trovano. Nella missiva Carozza ribadisce l’importanza dell’iniziativa “le cui finalità - scrive - sono state condivise da tutto il Cgie e il cui successo sarà direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento che i Comites dedicheranno alla concreta realizzazione della raccolta, nell’ambito delle specifiche attribuzioni che la legislazione assegna a questi organismi”. “Si tratta ora di dedicarsi alla buona riuscita di un’azione straordinaria nella ordinarietà delle funzioni che i Comites svolgono per le nostre comunità e che - rileva Carozza - acquista un significato particolare in questo tempo critico e delicato che stiamo attraversando. Un impegno che ci aiuterà - conclude il segretario generale - a rinsaldare quei valori di solidarietà e gratuità su cui si fonda la vita e l’esperienza delle nostre comunità”. Tra le informazioni richieste nel modulo quelle di carattere più generale, come il Paese di residenza, l’anno di nascita, lo stato civile, il titolo di studio, la professione svolta, il tipo di abitazione in cui si risiede (in affitto, in comodato d’uso, di proprietà) e la consistenza del nucleo familiare, seguite da domande sul grado di autosufficienza posseduto, sulle patologie sofferte e su quale contributo economico si riterrebbe necessario a garantire le necessità di base per l’assisten- za sanitaria (medicinali, protesi, sedie a rotelle, occhiali, trasporto, emergenze etc.). Secondo quanto già anticipato da Pasquale Nestico, nel corso del suo intervento durante all’ultima plenaria del Cgie, il questionario non ha la valenza di una inchiesta scientifica ma quella di monitoraggio-indagine per raccogliere, in modo semplice e rapido indicazioni e tendenze tali da rispondere adeguatamente alle esigenze delle nostre comunità all’estero in campo socio-sanitario. I moduli saranno a disposizione per la compilazione presso la sedi dei Comites, gli uffici consolari, le sedi di associazioni, patronati, missioni cattoliche all’estero, etc., che abbiano espresso la volontà di essere coinvolti nell’iniziativa. Termine ultimo per la compilazione, affidata al coordinamento di Comites e consiglieri del Cgie (cui spetta anche il coinvolgimento di enti, associazione e istituzioni presenti in loco al progetto), il 30 giugno 2012. Da questa data in poi, ed entro il 31 luglio 2012, i Comites dovranno rispedire i questionari compilati alla Segreteria del Cgie, Piazzale della Farnesina, 1 00194 Roma. L’elaborazione dei questionari terrà conto anche delle eventuali esigenze che i singoli Comites o Intercomites potranno far presenti. (Inform) Italiani nel mondo Nominata responsabile per il raccordo con le diverse collettività Alderisi, una che sa ascoltare A pochi giorni dalla partecipazione ai congressi del MAIE (Movimento associativo italiani all’estero) in Australia, dove ha pubblicamente dichiarato la sua adesione al Movimento fondato dall’on. Ricardo Merlo, Francesca Alderisi ha ricevuto l’incarico di responsabile del Dipartimento Raccordo con le collettività italiane all’estero. “Francesca Alderisi, che ha ricevuto anche l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica per il suo impegno a favore delle comunità italiane nel mondo, è una donna che ha saputo creare un legame affettivo molto forte col pubblico, che dopo la chiusura del programma Sportello Italia, da lei ideato e condotto, ha continuato a seguirla sul suo blog prontofrancesca.it”, ha ricordato Merlo. “Ho potuto apprezzare la sua energia positiva e sono sicuro”, ha aggiunto, “che lavoreremo molto bene insieme con il MAIE in tutto mondo, perché il suo rapporto con gli italiani all’ estero è globale”. Il presidente del MAIE le ha affidato “un incarico tagliato su misura per lei: proprio per la sua capacità di avvicinare con simpatia la gente, per saper parlare al cuo- re delle persone e per sapere ascoltare tutti”, ha spiegato Merlo, “da oggi sarà la responsabile Dipartimento del MAIE per il Raccordo delle collettività italiane all’estero. Un impegno notevole, ma sono sicuro che farà del suo meglio anche in questa sua nuova veste”. “È bellissimo e sono veramente onorata per questo incarico e per la fiducia riconsciutami dal presidente Merlo”, ha commentato Francesca Alderisi una volta venuta a sapere della sua nomina. “Sono già al lavoro per il MAIE e ho in mente moltissimi progetti da realizzare con le comunità italiane di tutto il mondo”, ha assicurato. “Utilizzerò la mia esperienza professionale televisiva e i miei rapporti più che ottimi con le associazioni degli italiani all’estero. Il MAIE”, ha concluso Alderisi, “è un progetto straordinario e sono fiera di farne parte”. (aise) I criteri nella definizione delle nuove strategie degli Istituti all’estero Nella cultura la proiezione della nostra identità «U n risultato importante e un punto di partenza per le strategie future»: così il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha commentato le nuove Linee di Azione per gli Istituti Italiani di Cultura approvate alla Farnesina nel quadro della promozione del Sistema Paese. “La cultura - ha detto Terzi - è la proiezione più significativa dell’identità italiana nel mondo e risorsa strategica per l’economia nazionale”. Come emerso dai lavori della scorsa riunione per l’azione della Farnesina la diplomazia culturale costituisce uno dei più efficaci veicoli di politica estera. Alla Farnesina si sottolinea come le Linee Guida varate oggi rispondano efficacemente proprio all’obiettivo di valorizzare il ruolo fondamentale della diplomazia culturale, attuata mediante la rete delle Ambasciate e dei Consolati, degli Istituti di Cultura e degli addetti scientifici, anche al fine di promuovere i comparti di eccellenza della tecnologia e dell’industria italiana. Tra i criteri principali nella definizione delle nuove strategie - si osserva al Ministero - vi è quello di adeguare la missione e le attività degli Istituti di Cultura nell’accrescere la competitività della nostra offerta culturale alle esigenze di un necessario contenimento della spesa pubblica, anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori del Sistema Paese che evita inutili frammentazioni e sprechi di risorse. Nel documento approvato particolare rilievo è attribuito all’obiettivo della diffusione della lingua italiana nel mondo. La Commissione Nazionale è un organo consultivo composto dai rappresentanti delle Amministrazioni ed Enti impegnati nella promozione della lingua e cultura italiana, tra cui il Consiglio generale degli Italiani all’estero. (Inform) Panorama 41 Made in Italy Sergio Muto si è aggiudicato il primo posto al mondo per il pesto Non è genovese, ma è Campione a cura di Ardea Velikonja S ergio Muto è il vincitore della IV edizione del Campionato Mondiale di Pesto Genovese al Mortaio, che si è tenuto Genova nel Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Ha 58 anni, cosentino di nascita, vive in Germania dal 1976 dove gestisce una gastronomia e organizza corsi di cucina italiana. Da qualche anno, dopo avere vinto a Stoccarda una gara eliminatoria valida per il Campionato Mondiale 2008, si è specializzato nel pesto e organizza in Germania corsi di pesto al mortaio e degustazioni. Oltre a Sergio Muto, sono arrivati in finale: Massimo Tosetti (imprenditore di Genova), Roberto Mercati (comunicatore di Lecco), Luca Bernava (informatico genovese), Elin Kvamme (la campionessa norvegese arrivata da Bergen), Alexandre Gleich (consulente, di Lione), Gennady Gabrielan (imprenditore di Mosca), Massimiliano Cresta (fi- Presenti oltre 140.000 operatori provenienti da 120 Paesi 2012: il Vinitaly dell’export initaly ha vinto la sua scommessa e incassa la soddisfazione degli espositori e un numero di visitatori professionali in crescita dall’estero e soprattutto dal canale horeca italiano. Questi ultimi sono giunti in grande numero e molto forte è stata la partecipazione di ristoratori, titolari di enoteche e wine bar provenienti dal Sud Italia. La nuova formula su 4 giorni, dalla domenica al mercoledì, si è dimostrata vincente e la presenza tra gli stand anche degli operatori esteri si è fatta sentire “con un grande ritorno di Stati Uniti e Canada, oltre che da tutti i Paesi consumatori emergenti asiatici con la Cina che entra nella top 10, dalla Russia, dal Nord Europa, dalla Francia, ma anche massicciamente dalla Germania per un totale di oltre 140.000 visitatori da 120 Paesi. La percentuale di quelli esteri è cresciuta arrivando al 35 p.c. del totale. Un successo nato da un grande lavoro che ha visto con Opera Wine uno straordinario tributo al vino italiano decretato da Wine Spectator e per la prima volta Vinitaly dedicare con Vivit un salone ai vini naturali. È stato il Vinitaly dell’export” - ha detto Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini. “Siamo tutti molto soddisfatti della nuova formula di Vinitaly - ha dichiarato Lucio Mastroberardino, presidente dell’Unione Italiana Vini - che ha innalzato ulteriormente la qualità del pubblico. Quanto ai buyer e operatori esteri, l’impressione è di un ulteriore scatto, con una presenza ampia, diffusa e di ottima qualità”. ● V Il ministro dell’Agricoltura, Mario Catania, ha visitato lo stand della Regione Calabria al Vinitaly 2012 42 Panorama sico nucleare, genovese), GianMaria Valle (medico, 4 volte al Campionato Mondiale e 2 volte in finale), e Daniela Dau (giovane pediatra genovese). Il Campionato si è svolto in un’atmosfera emotiva e competitiva di grande partecipazione, accompagnato dalla voce più nota e amata dei campionati di calcio, il giornalista Bruno Pizzul. Erano presenti oltre 2.000 persone, tra concorrenti, giudici e ospiti. Importante la presenza internazionale, i paesi rappresentati sono stati: Argentina, Stati Uniti, Canada, Russia, Gran Bretagna, Francia, Norvegia, Germania, Svizzera, Ucraina, Belgio e Giappone. Il concorrente proveniente da più lontano è arrivato da Buenos Aires, il più vicino dal Vico dei Macelli di Soziglia nel centro storico genovese. Una giuria, anch’essa di respiro internazionale grazie alla presenza di esperti gastronomi inglesi, francesi e norvegesi, ha valutato i 100 pesti preparati al mattino e ne ha selezionati 10 per la finale. In occasione del Campionato gli chef di Genova Gourmet, il marchio di qualità della Camera di Commercio di Genova per riconoscere la ristorazione genovese d’eccellenza, sono stati protagonisti del Gran Galà del Pesto che si è svolto nella splendida Sala delle Grida di Palazzo della Borsa. Tredici chef, provenienti da altrettanti ristoranti della provincia di Genova, hanno proposto agli ospiti una selezione di piatti tipici, con un tocco di creatività, tutti legati dal fil rouge del basilico, naturalmente Basilico Genovese DOP! Una vera delizia per il palato accompagnata dai vini sapientemente abbinati dai sommelier AIS e dal banco di assaggio degli oli extra vergini Riviera Ligure DOP, a cura del Consorzio di Tutela Riviera Ligure DOP, da assaporare come insolito antipasto. Le portate, tutte di altissima qualità, sono state servite dai giovani studenti dell’Istituto Alberghiero Nino Berge. ● Made in Italy Espositori molto interessati alla Campionaria prevista dal 12 al 20 maggio Lo sbarco dei mille a Padova L a Fiera Campionaria di Padova è la manifestazione fieristica più visitata dal pubblico del nord-est! A 93 anni dalla sua nascita, la formula della proposta intersettoriale della Campionaria, capace di far comunicare tutte le realtà, si conferma più che mai attuale. La Campionaria è un grande appuntamento e l’espressione di un sistema sociale ed economico che sa comunicare ed essere protagonista diretto sul mercato. Caratteristica dell’ultima edizione è stata la costanza dell’afflusso di visitatori nei giorni festivi e feriali, che ha permesso una attività continua negli stand e ha eletto la Campionaria a grande momento di eventi ed affari. La manifestazione continua ad essere un incontro felice tra tradizione e attualità confermata dalla sua durata negli anni e dal suo costante rinnovamento che l’hanno consacrata come l’appuntamento irrinunciabile per 1.000 espositori e 300.000 visitatori. Quest’anno la Campionaria si terrà dal 12 al 20 maggio: otto giorni in cui il pubblico potrà ammirare idee, proposte e nuove tendenze per l’arredamento, salotti, cucine, arredo giardino ma anche materiali edili, infissi, porte, caminetti, pavimenti e ceramiche. 40.000 mq. sviluppati su 4 padiglioni per presentare la casa al completo, per attrarre un pubblico sempre più vasto ed attento al comfort domestico. Tanti stili e tante proposte, tra funzionalità ed estetica, in una panoramica davvero completa, capace di dare una risposta ad ogni esigenza per l’arredo della casa e per la ristrutturazione delle abitazioni. Altro padiglione con migliaia di articoli di artigianato italiano ed estero provenienti dai 5 continenti, lavorazioni locali ed internazionali, abbigliamento e accessori, piccola pelletteria, bigiotteria, tessuti, articoli regalo, profumi, design artistico e artigianato internazionale. 12.000 mq. di profumi e colori, di storie e tradizioni: un’area shopping che da sempre catalizza l’attenzione dei 300 mila visitatori che affollano il padiglione per acquistare direttamente in fiera le ultime tendenze da tutto il mondo!!! Nel padiglione del tempo libero ci sarà un’area dinamica dedicata alla salute, al wellness, al benessere. Dimostrazioni ed animazioni a tema coinvolgeranno il pubblico. Un’ampia offerta di articoli per attività indoor ed outdoor, strumenti musicali, hobbistica, editoria e giochi. 14.000 mq. con tutte le ultime novità in fatto di attrezzature per lo sport, le palestre, il campeggio, camper, roulotte e caravan. Tantissime offerte e proposte per accontentare anche i visitatori più esigenti. Un nuovo settore dedicato ai viaggi avventura in tutte le sue forme ed al mondo che vi ruota attorno. Un’area tematica per viaggiatori al di fuori dalle rotte classiche e per coloro che sono affascinati dall’esplorazione o da viaggi particolari. Operatori, Enti ed aziende del settore faranno da cornice a workshop, incontri, proiezioni e relazioni di grandi viaggiatori, reporter, videomaker, fotografi ed esploratori che dell’avventura hanno fatto una ragione di vita. Dopo il successo delle precedenti edizioni la Fiera Campionaria si trasforma ancora una volta in un grande salone di bellezza dedicato sia al mondo femminile che a quello maschile! Parrucchieri, estetisti, truccatori, visagisti pronti a illustrare le ultime tendenze e a creare nuovi look per un appuntamento importante. Rossetti, smalti, matite per labbra ed occhi, fondotinta, creme per il viso e per il corpo, profumi, ma anche prodotti per i capelli: dagli shampoo alle maschere, dalle spazzole ai phon.... una grande vetrina dove vendere i propri prodotti ad un pubblico desideroso di acquistare articoli nuovi per sentirsi a posto in ogni occasione. 2.000 mq. di coccole per prepararsi al meglio per l’estate. Un “salotto” sfavillante dove non mancheranno appuntamenti, dimostrazioni, corsi di aggiornamento per gli esperti del settore e non solo. E infine per i buongustai un viaggio attraverso le specialità enogastronomiche regionali, i piatti tipici dolci e salati, i salumi, i formaggi, i vini e i liquori. Una vetrina della produzione alimentare italiana ed estera che si trasforma in un piacere per i sensi.10.000 mq. di golosità che stuzzicano i palati dei visitatori pronti a tuffarsi ad acquistare direttamente in fiera un mondo di gusti e sapori sempre nuovi. Un’ottima occasione per proporre cibi e vini di qualità, promuovere il commercio di prodotti DOP e IGP e far apprezzare prelibatezze agricole e casearie.● Panorama 43 Musica Storia degli strumenti a corda, legni, ottoni e percussioni che compongono un Il trombone, riabilitato da Gluck e a cura di Ardea Velikonja S trumento musicale aerofono della famiglia degli ottoni, nella versione moderna e più comune è chiamato trombone a tiro o a coulisse, ed è caratterizzato dalla presenza di una pompa mobile, (“coulisse” o “tiro”, “slide” in inglese), a forma di U, che unisce due tubi paralleli, ed è in questo modo allungabile modificando il percorso dell’aria e l’intonazione dell’armonico di base. Esiste anche quello funzionante a a pistoni, strutturato sul medesimo principio della tromba. Il musicista che suona il trombone è chiamato trombonista. Il più perfetto fra gli strumenti a bocchino Fu questo il primo, fra gli ottoni, a disporre degli armonici nelle sette posizioni degli attuali strumenti a pistoni, e di conseguenza della scala cromatica, grazie alla coulisse, per cui venne in origine considerato il più perfetto degli strumenti a bocchino. Le prime notizie risalgono alla seconda metà del XV secolo, quando lo troviamo raffigurato nel dipinto di Filippo Lippi “L’assunzione della vergine” (affreschi in Santa Maria sopra Minerva a Roma), ed anche in un’opera del Perugino conservato all’Escorial vicino a Madrid. Già allora aveva l’aspetto che si può definire moderno, però con la conicità dei canneggi meno accentuata e la campana molto piccola, con una svasatura quasi assente. L’intonazione di base era il La, ed i principali artigiani costruttori si trovavano nelle Fiandre e a Norimberga. All’inizio del XVII secolo Michael Praetorius illustrò ed elencò, nel suo Syntagma musicum, quattro versioni: “Alt Posaune” (simile al trombone alto), “Gemeine Posaune” (il moderno tenore), “Quart” e “QuintPosaunen” (intonati una quarta e una quinta sotto il tenore) e “Octav Po- 44 Panorama saune” (simile al basso, intonato una ottava sotto il tenore). Nel 1607 l’orchestra de “L’Orfeo” di Claudio Monteverdi - che segna nel contempo anche il suo primo utilizzo “ufficiale” -, ne comprendeva cinque, dal differente registro. Pur sviluppandosi nel tempo - utilizzato principalmente in piccoli gruppi e nelle esecuzioni di musica sacra non divenne parte integrante dell’orchestra sinfonica fino al XVIII secolo, quando fu adottato da Christoph Willibald Gluck (“Ifigenia in Tauride”), Francois Joseph Gossec e poi da Wolfgang Amadeus Mozart (nei raddoppi del coro di tutte le sue messe, nel “Don Giovanni” o addirittura in solo nel “Tuba mirum” del suo Requiem, nel Flauto magico e in altre composizioni). Suscitata successivamente l’attenzione di Beethoven, fu da questi introdotto nella quinta, sesta e nona sinfonia e in tre affascinanti equali per quattro i soli. Non meno interessato, Schubert, lo introdusse nelle sue ultime due sinfonie. In questo periodo e fino alla prima metà del XIX secolo, fu usato molto dalle bande militari tedesche: questo contribuì a modificarne l’intonazione di base da La a Sib, allargarne il canneggio, e ad introdurre la ritorta per abbassare l’intonazione in Fa. Ormai “moderno”, si era ormai sviluppato e diffuso, tanto da essere molto utilizzato da Johannes Brahms, Richard Strauss e Richard Wagner. Insomma i compositori avevano a disposizione uno strumento completo e versatile, al punto che Hector Berlioz affermò esplicitamente che era capace di esprimere un ampio spettro di suggestioni sonore, dal “calmo e posato accento religioso” al “clamore selvaggio dell’orgia”. Nel seguito del XIX secolo i compositori lo utilizzarono in maniera più stereotipata, come rinforzo di voci basse e armonie di insieme, anche se autori come Ludwig van Beethoven, Carl Maria von Weber e Gioachino Rossini lo tennero in significativa considerazione. Solo in tempi successivi, con l’avvento della musica da ballo e lo swing, ossia ormai nel ventesimo secolo, ha avuto di nuovo spazio negli arrangiamenti e negli assoli. In questo periodo, un forte stimolo allo sviluppo della sua tecnica e delle potenzialità espressive che è in grado di esprimere fu dato da musicisti jazz come ad esempio Tommy Dorsey. Attualmente è utilizzato nei più vari generi musicali, dalla musica classica, al jazz, dalla salsa allo ska, dal funk alla musica militare. La differenza nell’armonico di base I vari tipi oggi esistenti si differenziano per la nota dell’armonico di base, il timbro (il quale può essere modificato anche dalla differente laccatura della campana e del resto delle parti), l’estensione e la presenza di una o più ritorte per il trasporto e la modifica della tonalità. Il contralto In genere è raro, ma ultimamente sempre più utilizzato, soprattutto nella musica classica. È tagliato una quarta sopra il tenore (il padre della famiglia, rispetto al quale si fanno i rapporti): è in Mib. In passato era comune anche il contralto in fa (vedi tromboni antichi). Alcune ditte producono contralti con una ritorta in Musica ’orchestra sinfonica (10) Beethoven Sib (se azionata porta praticamente lo strumento in sesta posizione) che rende più agevoli alcuni passaggi nelle posizioni basse e aiuta l’intonazione della settima posizione, essendo quella presa solo con la coulisse sempre leggermente crescente. La ritorta aiuta anche l’esecuzione dei trilli in quanto, avendo più posizioni a disposizione, c’è la possibilità di trovare una combinazione che permetta di avere degli armonici più vicini fra loro, agevolando il trillo. La Yamaha produce una versione particolare di ritorta detta “da trillo”, che serve solo per i trilli e cambia l’intonazione di mezzo tono soltanto. Tutti i produttori, tranne Selmer/ Bach (terza posizione alla campana) costruiscono i contralti con la quarta posizione all’altezza della campana. Il tenore Il più comune, intonato in Sib una ottava sotto la tromba, generalmente senza ritorta, il diametro in millimetri del canneggio va dal 12,2 fino a 13,9 Tenor-basso Viene molto usato in orchestra, ha la ritorta trasportatrice in Fa, grazie alla quale può coprire un’ampia estensione di note, canneggio normalmente da 13,89. Le valvole per il passaggio dell’aria nella ritorta sono di vario tipo, in genere analoghe alle classiche valvole rotative. La definizione tenor-basso è ormai obsoleta, nata assieme alla ritorta. Oramai col termine tenore ci si riferisce a un tenore in Sib oppure uno in Sib con ritorta in Fa, e taluni indicano come tenor-basso uno in Sib con una ritorta in Fa, ma con canneggio largo, da basso. Utilizzato piuttosto spesso dalle orchestre classiche oppure in big band, ha canneggio ampio da 14,3 e ha generalmente 2 ritorte (Alcuni trombonisti bassi utilizzano ancora vecchi modelli, con la sola ritorta Fa, che differiscono dai simili tenori per la cameratura e la campana più ampie). Ci sono due configurazioni possibili delle valvole: quella indipendente e quella dipendente. La configurazione indipendente prevede due ritorte, una in Fa (praticamente azionandola si porta lo strumento in sesta posizione) e una in Solb (quinta posizione). Le due valvole possono essere azionate una alla volta oppure assieme, portando lo strumento in Re, quindi avremo uno strumento in Sib/Solb/Fa/Re. Anche la configurazione dipendente prevede con due ritorte, ma questa volta possiamo azionare la valvola in Fa da sola oppure, azionando la seconda valvola, verrà aperta automaticamente anche la prima quindi avremo uno strumento che potrà passare in Sib/Fa/Re. Trombone contrabbasso Rappresenta lo strumento più grave dell’intera famiglia. Ne esistono modelli in SI bemolle, ossia che si pongono di un’ottava sotto il tenore (che sono spesso caratterizzati da una doppia coulisse), peraltro usati molto raramente, e modelli in FA, una quarta sotto il tenore, che risultano essere poi i più usati, come fanno fede le esecuzioni della Tetralogia di Richard Wagner, dove è presente in organico un Kontrabassposaune. Questi strumenti sono quasi sempre dotati di due ritorte (valvole) che permettono di non utilizzare le posizioni “distanti”, altrimenti raggiungibili solo con il ricorso all’impiego di una maniglia. Tra i moderni costruttori di riferimento di questi strumenti si possono ricordare Laetzsch e Thein, entrambi di Brema. A pistoni Il trombone a pistoni, come anche il suo predecessore a cilindri, è stato molto utilizzato nell’opera italiana e nella musica bandistica. Dato che il suo impiego in gran parte del repertorio classico e romantico prevede corali e armonie, lo strumento a coulisse è stato preferito a quello a pistoni, poiché permette una maggiore accuratezza dell’intonazione. Il suono degli strumenti a pistoni, che solitamente erano e sono costruiti con un canneggio piccolo, non si discostava molto dal suono da quelli a coulisse, che per un gran numero di anni sono stati costruiti con canneggi simili a quelli usati per i tromboni a pistoni. Nonostante questo, lo strumento a pistoni non è scomparso, poiché grazie alla sua maggiore agilità è stato preferito da alcuni strumentisti (come ad esempio i jazzisti Juan Tizol e Bob Brookmeyer) come proprio strumento di elezione. Rimane inoltre ancora al giorno d’oggi molto presente nelle bande musicali. Altri Oltre a quelli finora menzionati esistono anche il trombone soprano (una specie di “tromba a coulisse”) e sopranino (o piccolo), caduti in disuso per la bassa qualità sonora e le grandi problematiche tecniche. Questi due strumenti erano - e lo sono tuttora - suonati in genere da trombettisti. Tromboni antichi Da ricordare infine gli antichi (rinascimentali, sackbut dal francese antico sacquer ovvero estrarre). Molto simili nella struttura a quelli d’oggi, furono utilizzati in gruppi strumentali o in sostituzione o rafforzo della voce. Esistevano principalmente tre taglie: kleine, mittel, quart, (che divennero successivamente Contralto, Tenore e Basso). Secondo i dati contenuti negli archivi della Hofkapelle di Stoccarda e risalenti al 1589, venivano costruiti in taglie diverse “da trasporto” che avevano denominazioni come “secondposaune”, “terzposaune”.● Panorama 45 Sport Pensieri sparsi e ambiti di ri Fatti e misfat a cura di Bruno Bontempo I In alto: un’immagine che riassume l’impotenza del Milan (Ambrosini) di fronte alla cavalcata di Messi. Al centro: i bengala piovuti sul campo allo Stadio Drosina di Pola, causa dell’interruzione della partita tra Istra 1961 e Rijeka. Qui sopra: il ministro croato dello sport, Željko Jovanović, e nel riquadro il presidente della Federcalcio, Vlatko Marković 46 Panorama l calcio per sognare. Il calcio come arte, religione e bellezza. Il calcio come linguaggio comune, modo per riconoscersi e ritrovarsi. Il calcio, figlio del popolo, che non deve cedere alle lusinghe dei potenti, di chi vuole trasformarlo in strumento per produrre denaro, uccidendo la fantasia e l’innocenza. Sono parole dell’uruguaiano Eduardo Galeano, una delle personalità più autorevoli della letteratura latinoamericana, i cui libri, tradotti in molte lingue, combinano documentazione, narrazione, giornalismo, analisi politica e storia. Grande scrittore e appassionato di calcio, con il suo libro “Splendori e miserie del gioco del calcio” ci conduce appunto nel mondo magico del football. Con un’avvertenza: non fidatevi dell’enfasi retorica intorno al pallone, non fidatevi di quanti vogliono illustrare, con la complicità di un grande avvenimento pallonaro, un finto benessere, tralasciando le laceranti contraddizioni, bene e male, miseria e nobiltà, oro e fango, tutto e niente. Tra serio e faceto, tra ottimismo e cautela, il libro finisce per riscoprire come il calcio, per davvero, possa essere una metafora della vita: sentimenti e ribellioni che si celano dietro un dribbling, un gol, un gesto estetico. Spesso il pallone viene utilizzato per far fronte e dimenticare i disagi del quotidiano, più che non per combattere e denunciare malefatte e mancanza di scrupoli, per mettere a nudo il malessere della società, culturale e sociale. Un calcio controllato dalle varie lobby che è diventato territorio ambito dai potenti per le loro ciniche scorribande politiche e finanziarie. Per Galeano la storia del calcio è un triste viaggio dal piacere al dovere, e a mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. Il calcio professionistico ormai condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende, per cui si è trasformato in spettacolo, con molti protagonisti e pochi spettatori, e lo Sport flessione su alcuni aspetti della stagione del football che si avvia a conclusione ti, splendori e miserie, ansie e dolori spettacolo si è trasformato in uno degli affari più lucrosi del mondo, che non si organizza per giocare ma per impedire che si giochi. La tecnocrazia dello sport professionistico cerca di imporre un calcio di pura velocità e forza, che rinunci all’allegria, che atrofizzi la fantasia... “Ma per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile e il nano impartisce una lezione al gigante...” Per fortuna, aggiungiamo noi, appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia contro l’avventura proibita della libertà. Messi e la sua insostenibile leggerezza Uno di questi si chiama Lionel Andrés, Leo per gli amici, Messi per tutti gli altri, il Messia per quanti addirittura stravendono per il calcio, soprannominato la Pulga (la Pulce) per via della sua statura. E lui ripaga a suon di grandi giocate, di gol, di vittorie. E pensare che all’età di 12 anni gli era stata diagnosticata una forma di ipopituitarismo, deficienza di secrezione dell’ormone della crescita. Ma l’Argentina è un Paese povero e neanche il grande River Plate aveva abbastanza denaro per pagargli le cure necessarie. È quindi il Barcelona si interessava al suo talento e si assicurava le prestazioni sportive del ragazzo, che arrivava in Europa insieme alla famiglia, venendo aggregato alle formazioni giovanili dei blaugrana. Nel 2002 sostenne un provino con la squadra italiana del Como, aveva 15 anni e lo scartarono. Un anno dopo esordiva in prima squadra e dopo meno di un anno debuttava in una gara di campionato, diventando il più giovane a giocare nella Liga. Quando realizzava il suo primo gol in prima squadra ave- va solo 17 anni, 10 mesi e 7 giorni. Da allora con il Barcelona ha conquistato cinque volte la Liga, altrettante Supercoppe di Spagna, due Supercoppe UEFA, due Mondiali per club, tre Champions League. E in questi giorni la squadra catalana sta disputando un’altra semifinale, la quinta consecutiva, dopo aver messo out il Milan. Messi non si ferma e continua la sua inarrestabile corsa verso l’Olimpo del calcio. Con la doppietta (sia pure su rigore) infilata ai rossoneri la Pulce argentina con 14 segnature in una stagione di Champions ha eguaglito un altro mito, Altafini del Milan (1962/63). A soli 24 anni Messi, che di recente aveva stabilito con 5 gol il record del maggior numero di reti segnate in una singola partita europea, sembra lanciatissimo verso altre vette mai raggiunge prima dai suoi predecessori e, al momento, è difficile pensare che qualcuno lo possa fermare. Calcio croato, come uscire dalla palude? Ma c’è l’altra faccia del mondo pallonaro, quella che nasconde (si fa per dire) polemiche e violenza, botte e botti, ipocrisie e insulti, scandali e avidità... “Il calcio croato è una palude” ha detto senza mezzi termini il ministro dello sport nel governo di Zagabria, Željko Jovanović. Convinto che non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta, sta conducendo una battaglia per la moralizzazione e la regolamentazione dello sport, e del calcio in particolare. Ma in questa crociata, fondamentalmente giusta e giustificata, Jovanović usa spesso metodi poco ortodossi: evidentemente per il ministro la diplomazia non rassomiglia ad un incontro di pugilato con guanti glacé, nel quale il suono del gong viene sostituito dal cin cin dei bicchieri di champagne, come recita un vecchio aforismo. La vera arte della diplomazia consiste nel non perdere mai il senso della misura, ma chiaramente Jovanović si è lasciato prendere la mano, dimostrandosi poco scaltro, attento, abile, sottile, riservato. Ha fi- nito per sconfinare, lasciandosi andare ad un’...invasione di campo. Primo, è entrato nel (de)merito dei mai abbastanza vituperati dirigenti federali. Secondo, ha suggestionato l’operato degli addetti ai lavori del reparto disciplinare della Lega calcio, in seguito alla decisione dell’arbitro di sospendere la partita di campionato tra Istra 1961 e Rijeka al 70’ sull’1-0 per il ripetuto lancio di bengala in campo. Le regole sono chiare, ma finora mai erano state applicate. Poi, le opinioni del ministro, presente alla partita di Pola, hanno offerto lo spunto per cercare la via del compromesso, in barba a quanto prevedono le norme disciplinari e di sicurezza negli stadi, sulla falsariga del una colpa a ciascuno, non fa male a nessuno, con un riconoscimento del dolo (tra le due tifoserie) alquanto vago, “limitato” all’annullamento della partita, rigiocata poi alla presenza dello “stesso” pubblico (?!) e finita a reti bianche, e alla sanzione pecunaria ai due club. Terzo e ultimo capitolo (ma soltanto per ragioni di spazio...), i dubbi (condivisibili) sulla regolarità di questo campionato, condizionato prima da alcune equivoche promozioni e ripescaggi (scarsa imparzialità sull’adempimento al rispetto delle norme per l’iscrizione al massimo torneo), poi dai noti casi di corruzione (coinvolti dirigenti federali, di società, dell’organizzazione arbitrale), per finire con l’espulsione di una società morosa (Varaždin). Se almeno fosse l’unica... Intanto la Dinamo si è assicurata con largo anticipo il suo settimo titolo consecutivo (in testa è stato un campionato senza storia) ma lo ha festeggiato in una una partita senza pubblico, pena per il ripetuto lancio di bengala. Resta aperta la lotta per la salvezza, che coinvolge anche i fiumani, in vista di una riduzione del numero di squadre per la prossima stagione. Per la quale, al momento, solo le tre zagabresi (Dinamo, Lokomotiva e Zagreb) avrebbero tutti i requisiti richiesti dalla Federcalcio per l’iscrizione al prossimo campionato. Fiera delle assurdità, nuova edizione... ● Panorama 47 Tra storia e gusto Nella cucina monastica non solta di Sostene Schena I l piacere della tavola ebbe in tutto il periodo medievale e rinascimentale un ruolo estremamente importante per la classe nobile; poco o nulla si sa degli usi alimentari della gente comune in quanto non esistono precise documentazioni. La possibilità di ricostruirne gli usi e le tradizioni proviene dagli scritti monastici, dalle indicazioni dietetiche formulate dalla Scuola Salernitana e più tardi dai testi di “sana alimentazione” composti da illustri studiosi, quali il padovano Michele Savonarola che, oltre all’arte culinaria, si interessò ampiamente dei metodi di distillazione e degli usi dei distillati nella farmacopea. A tavola i monaci osservavano rigorosamente le regole dettate dal Concilio, abolendo la carne il venerdì e nei giorni di vigilia. Lo stesso Carlo Magno impose di rispettare il digiuno e l’astinenza nei giorni stabiliti dalla Chiesa. Egli, nei “giorni di magro”, si nutriva una sola volta al giorno di zuppe o di pesce ed evitava i lussuosi banchetti di corte per tutto il periodo quaresimale. Il digiuno rappresentava la morte dei sensi e la purificazione del corpo. In molte comunità monastiche durante la quaresima si digiunava nutrendosi solo di erbe crude consumate in piedi per quaranta giorni. Enrico IV, dopo la scomunica inflittagli dal papa Gregorio VII, osser- 48 Panorama vò un lungo digiuno, a Canossa, seguendo l’esempio di Matilde. I giorni di magro relativi al digiuno e all’astinenza computati dal calendario ecclesiastico erano centosessantasei, mentre i giorni comuni erano centocinquantasei. Non tutte le comunità ecclesiastiche osservavano rigidamente le regole della Chiesa, se in molti monasteri la dieta dei “giorni di magro” era costituita da cibi poveri conditi con qualche goccia d’olio, in altre comunità, come a Cluny, i monaci aggirarono astutamente i divieti evitando le carni e i grassi animali ma scegliendo, tuttavia, pesci di prima qualità, salse, piatti a base di uova, frutta, dolci, vini di pregio. Bernard de la Fontaine, rifiutando il comportamento cluniacense decise di formare una nuova comunità monastica, nel pieno rispetto della regola benedettina e con altri trentadue seguaci nel 1112 fondò a Citeaux l’ordine dei Cistercensi. Feste e ricorrenze Le comunità monastiche generalmente erano molto ricche, potevano contare su ingenti patrimoni ricevuti in dono dai nobili, su una grande abbondanza di prodotti parte dei quali destinata ai poveri. Carlo Magno nel Capitolare obbligava le comunità a ospitare i senzatetto, i poveri, tutti coloro che non trovavano altri luoghi di ristoro e riposo. Sorsero quindi i primi ospitali, ostelli, hotel Dieu ovvero “luoghi di Dio”. Il viandante trovava presso i conventi un angolo di sicurezza, un ristoro per il corpo e lo spirito; molti pellegrini, dopo la permanenza in questi luoghi, sentirono la vocazione per la vita religiosa e indossarono il saio. Notevole fu il contributo dei monaci nel divulgare la religione, l’istruzione, la pratica medica, l’esperienza agricola, la cultura alimentare e le conoscenze culinarie. Agli ospiti del convento si offrivano cibi semplici, carni diverse, “porrate”, zuppe di verdure, pesci di varie specie, quali il merluzzo e l’aringa affumicata, provenienti dal Nord Europa. Dopo il 1200, con l’inizio della coltivazione del riso in Italia, era frequente l’offerta del riso “alla certosi- Tra storia e gusto nto digiuno na” arricchito talvolta con rane, gamberi di fiume o lumache. Durante i giorni di festa le quantità di cibo venivano aumentate di un quarto e le bevande della metà. Fra queste di uso comune erano il vino e la birra nonché la potio, il vino dell’anno precedente, piuttosto mal conservato e aspro, aromatizzato con le spezie. Questa pozione era alquanto apprezzata e considerata un buon tonificante del corpo. La sua distribuzione seguiva un rituale che avveniva ogni sabato e domenica nelle cinquanta feste religiose dedicate ai santi. Le razioni di cibo nei grandi monasteri erano alquanto consistenti, raggiungevano dalle 5000 alle 9000 calorie giornaliere. Durante l’anno erano permessi inoltre ottantasette banchetti commemorativi ai quali partecipavano monaci, canonici, principi e re. Il significato di queste cerimonie conviviali era da attribuirsi al bisogno di preghiere da parte dei nobili, i quali, fornendo ai religiosi la gioia del corpo mediante ingenti offerte di cibo oltre che di altri beni, ricevevano in cambio funzioni liturgiche, buoni auspici di felicità terrena e spirituale. In questo modo tutto si mescolava, il sacro con il profano, il piacere della gola con il banchetto eucaristico, la consacrazione di un luogo di culto o la rievocazione di una ricorrenza con il piacere dei sensi, il tutto vissuto in un clima di felice convivialità. I cibi della gente comune Il cibo del contadino e del villano era molto semplice, il vitto giornaliero consisteva in cipolle, porri, aglio, fagioli, fave, rape, raramente carni. Il pane era l’alimento principe, ma nei lunghi periodi di carestia veniva spesso a mancare per cui era sostituito con la farina di castagne impastata in vari modi. A seconda dei mesi la dieta poteva essere integrata con cibi altamente proteici e grassi, particolare importanza assunse la carne di maiale che costituiva una ricca fonte di nutrimento in quanto - come si sa - tutto poteva essere utilizzato del suino; le parti migliori spettavano ovviamente al signore, ma tutte le frattaglie, le orecchie, il lardo, i sanguinacci, le zampe, rappre- Un gruppo di viaggiatori condivide il pasto sentavano un simbolo di abbondanza per la classe contadina che sapeva utilizzare gli scarti per innumerevoli preparazioni altamente nutritive. Il maiale era il simbolo dell’abbondanza; a esso per tutto l’autunno e l’inverno venivano dedicate feste particolari tuttora parte della tradizione contadina, Nel periodo dedicato all’uccisione del maiale, venivano consumati piatti che ancor oggi appartengono all’antica tradizione medievale, come la cassoeula, piatto tipico piemontese e lombardo, preparato attualmente anche in molte zone della Francia. La leggenda vuole che la cassoeula nasca da un soldato spagnolo che, invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta e che in seguito la giovane abbia proposto con successo il piatto ai suoi datori di lavoro. Una grande concessione per il contadino era talvolta qualche salsiccia (o luganega) che veniva consumata nei giorni di festa. A Natale riceveva di diritto il cappone, con il quale festeggiava la ricorrenza più significativa dell’anno. Verso la fine del 1200 l’aspetto socio-economico d’Europa apparve alquanto instabile; le carestie e le pestilenze aumentarono spaventosamente. Certamente la situazione non era generalizzata, in quanto le città e i luoghi situati lungo le vie mercantili più importanti potevano garantire un minimo approvvigionamento dei beni di consumo. Esistevano tuttavia luoghi impervi e lontani dove non arrivavano né mercanti né merci, solo lo sfruttamento del- le risorse naturali quali lo stagno, la palude, il bosco, poterono in qualche modo offrire alimenti necessari alla sopravvivenza. Verso la fine del Medioevo il significato del “mangiare molto” portò sempre più alla ricerca di cibi raffinati e particolari. I grandi mercati d’Europa acquisirono un notevole sviluppo; con la conquista di nuove vie commerciali le mercanzie d’Oriente e d’Occidente raggiunsero i più importanti centri di scambio. Anche gli umili contadini raffinarono il loro modo di vivere, trovarono indispensabile nutrirsi bene, imitando le consuetudini signorili, ma una spaventosa ondata di peste condusse a un grave regresso economico; la popolazione europea alla fine del 1300 si ridusse di un quarto. Il quindicesimo secolo vide realizzarsi nuove evoluzioni socio-economiche; dopo gli aspri conflitti fra le varie potenze che dominavano l’Italia, nella seconda metà del 1400, venne a instaurarsi un periodo di quiete e di benessere. Il principe divenne il protagonista di ogni evento, rappresentando l’obbedienza, la fedeltà e la consacrazione da parte dei cortigiani e dei suoi fedeli. Un chiaro esempio ne fu l’opera del Machiavelli “Il Principe” nella quale la dignitaria figura venne descritta come simbolo di potere e di assoluta onnipotenza. La cucina e la tavola rispettarono i gusti e i cerimoniali di corte accompagnati da un ricco e strabiliante estetismo e il Rinascimento ne rappresentò il periodo di massimo fulgore. ● (7 - continua) Panorama 49 Gallignana, vette di vera eccellenza I mportante e seguitissima tappa su uno dei percorsi istriani del vino con la ormai tradizionale, decima edizione di Pasquetta della Mostra dei vini dell’Istria Centrale promossa dal Comune di Gallignana con il patrocinio della Contea e dell’Ente per il turismo della Regione Istria. Nelle 18 tra cantine e aziende vitivinicole 114 espositori hanno presentato ben 266 tipi di vino, con vette di vera eccellenza: il 70 p.c. è stato premiato, 23 le medaglie d’oro. Non ricchissima di varietà, ma abbondante l’offerta enogastronomica in 24 punti di ristoro, dal primo pomeriggio tutti peraltro affollatissimi - in barba alla crisi. Accanto alla produzione vinicola la Mostra ha offerto una serie di prodotti che sono ormai autentici nuovi valori aggiunti: grappe e liquori, prosciutti, salumi e pancette, vari tipi di formaggi e miele. Tra i souvenir c’è la prevalente inclinazione al kitsch, ma non manca qualche timida presenza di chi fa ricorso a sguardi artistici, materiali insoliti, di riciclo e reinterpretazione creativa. Alla manifestazione, che si è meritata le lodi del ministro del turismo, Veljko Ostojić, i più presenti tra i vini bianchi sono stati malvasia (voto più alto a Mario Banko da Bassi di Antignana), chardonnay, pinot e moscato, tra i rossi terrano, refosco e merlot (il migliore di Siniša Sergo della vicina Santa Caterina). Uno scherzoso paralogismo, attribuito a un religioso, recita: chi beve bene dorme bene, chi dorme bene non pecca, chi non pecca va in cielo, quindi chi beve bene va in cielo... E così sia! Ma sempre “cum grano salis”! (testo e foto di Bruno Bontempo) Panorama 59