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COTOGNO Questa pianta è considerata femminile, perché per i

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COTOGNO Questa pianta è considerata femminile, perché per i
COTOGNO
Questa pianta è considerata femminile, perché per i Greci antichi era dedicata all’amore, tanto che
Solone, il grande legislatore ricorda che nei riti nuziali le cotogne mangiate dalle giovani spose
assicuravano un’ unione matrimoniale perfetta.
Era già conosciuta e coltivata dai Babilonesi.
Intorno a una mela cotogna è intessuta la storia di Aconzio e Cidippe narrata da Callimaco, il poeta
che lavorò nella biblioteca di Alessandria, e da Ovidio, il poeta delle Metamorfosi, che inserisce il
mito nelle Heroides, cioè le Eroine, una raccolta di lettere immaginarie.
Tutto era cominciato il giorno in cui Cidippe navigò verso Delo. Giunta di fronte al tempio di
Artemide, le rotolò fra i piedi una cotogna. Cidippe si guardò intorno, ma non c'erano cotogni
attorno a lei. Dopo un istante di incertezza la nutrice si decise a raccogliere quel frutto misterioso e
vide che sulla buccia erano incise delle lettere. La donna non sapeva leggere e porse la mela a
Cidippe. "Leggi" le disse e la ragazza lesse ad alta voce:
"Giuro per Artemide di non sposare altri se non Aconzio".
Cidippe aveva pronunziato un giuramento.
Il giovane Aconzio osservava la scena di nascosto e, perché Cidippe non dimenticasse, le mandò
una lettera.Qualche tempo dopo i genitori della ragazza, ignorando ciò che era capitato alla figlia, la
promisero a un altro sposo. Ma proprio alla vigilia delle nozze Cidippe si ammalò per volere di
Artemide. La dea pretendeva il rispetto del giuramento fatto in suo nome: Cidippe avrebbe dovuto
sposare Aconzio oppure morire. La ragazza decise finalmente di leggere la lettera che Aconzio le
aveva mandato. Ovidio immagina che Aconzio scriva fra l’altro così:
“Io non sono tanto scaltro né per carattere né per abitudine: credimi, fanciulla, sei tu a
rendermi astuto. Ti ha legata abilmente a me Amore ingegnoso, con parole che ho scritto io, se
pure ho fatto qualcosa. Ho stretto il patto nuziale con parole dettate da lui e fu Amore a
rendermi astuto. Questo mio gesto sia pure chiamato frode e mi si dica pure ingannatore, se è
inganno voler possedere l'oggetto del proprio amore. Ecco che scrivo di nuovo e ti invio parole
di supplica”.
Il mito ha un lieto fine perché il padre di Cidippe decise di interrogare l’oracolo di Delfi, scoprendo
così la potenza del giuramento e acconsentendo infine alle nozze.
Dipinto di Frederick Leighton
La tradizione associava alle cotogne i frutti d’oro del giardino delle Esperidi. Infatti i Greci
chiamavano le cotogne “chrisomelon”. Come riferisce Esiodo nella sua Teogonia, le Esperidi, figlie
di Atlante e di Espero, la stella della sera, sono le ninfe del tramonto o le figlie della notte; queste
splendide fanciulle hanno il compito di custodire un bellissimo giardino e soprattutto un albero
carico di frutti d'oro.
Statua di Ercole in bronzo dorato (II sec a.C.) – Statua detta Ercole Farnese
Il re Euristeo sentì parlare di questi frutti e comandò a Ercole di portarglieli. Durante il suo
girovagare Ercole un giornò si fermò sulle rive di un lago a riposarsi. Dalle acque del lago emerse
una ninfa che gli consigliò di rivolgersi a Nereo. Nereo, per sfuggire alla domanda di Ercole,
cominciò ad assumere tutte le forme possibili e immaginabili per spaventarlo, ma Ercole non tremò;
così Nereo, avendo avuto dimostrazione del coraggio del giovane, confidò ad Ercole che il giardino
delle Esperidi si trovava in Mauritania, il paese di cui era re il titano Atlante, padre delle Esperidi.
L'eroe gli presentò la sua richiesta e Atlante acconsentì facendogli però notare che soltanto lui
poteva cogliere i frutti e che qualcuno doveva sostituirlo. Ercole si caricò dell’immane peso e
Atlante andò a cogliere i frutti, tornando però chiese ad Ercole di prendere definitivamente il suo
posto. Ercole pregòAtlante di poter almeno cambiare spalla; Atlante cadde nel tranello ed Ercole
riuscì a scappare col bottino.
Jan Brueghel il Vecchio
Alcuni autori ritengono che fosse il cotogno il “pomo” colto da Eva nell’Eden. La tradizione dice
che Adamo, per l’agro sapore della cotogna fatale, non poté mandarla giù, quindi tutti gli uomini,
appunto perché figli di Adamo, ne conservano ancora la traccia nel groppo della gola, detto
comunemente “pomo d’Adamo”. Benchè di solito si pensi ad una mela, il testo biblico parla
genericamente di un frutto, del resto le mele anticamente erano sconosciute in Oriente.
Tavola botanica
Ė una pianta dai fiori bianchi con delicate pennellate di rosa, dalle foglie verdi caduche e pelosette
(“tomentose” dicono i botanici) nella pagina inferiore. La pianta è nota soprattutto per i suoi frutti
dalla superficie vellutata, di colore giallo oro e dalla forma ovoidale talvolta più simile ad una mela,
talvolta ad una pera.
Appartiene al genere “Cydonia”, che prende nome dall’antica denominazione di una località
dell’isola di Creta, a testimonianza della sua origine medio-orientale.
Il nome della specie, che è l’unica appartenente a questo genere, è “oblonga”, (un tempo
“vulgaris”), mentre le varietà sono diverse.
Chaenomeles speciosa
Appartiene alla famiglia delle Rosaceae come l’altro arbusto, Chaenomeles speciosa, proveniente
dall’Estremo Oriente, che l’ha soppiantata presso i floricoltori perché fiorisce in modo spettacolare
sui rami ancora nudi. I frutti di entrambe le piante sono profumati, tanto che venivano anche posti
negli armadi e nei cassetti per profumare la biancheria, ma sono sgradevoli se consumati crudi.
Cotognata
La condizione di limitata dolcezza della polpa non significa assenza di zuccheri, ma la loro presenza
è sotto forma di lunghe catene glucidiche, che danno l'effetto soggettivo della scarsa dolcezza; con
la cottura, e quindi con la frammentazione di queste catene, la polpa assume una dolcezza intensa e
un profumo di miele. L'elevato contenuto di pectina produce un veloce addensamento della
confettura o della gelatina. In epoca precedente la diffusione dello zucchero raffinato la confettura
semisolida di cotogne era con il miele (costosissimo) uno dei pochi cibi dolci facilmente disponibili
e soprattutto ben conservabili. Del resto la cotognata andrebbe valorizzata anche oggi perché, oltre
al sapore gradevole, contiene sostanze benefiche per l’intestino.
Linneo
Un accenno alla nomenclatura botanica tradizionale, detta nomenclatura binomiale, o binomia, che
è una convenzione. Come suggerisce il termine binomiale, il nome scientifico di una specie deriva
dalla combinazione di due nomi:


il nome del “genere”, che si scrive con la maiuscola e raggruppa piante simili fra loro
un aggettivo scritto in minuscolo, che caratterizza e distingue quella “specie” dalle altre
appartenenti al quel genere.
Alla base di questo sistema vi è la nomenclatura proposta dal botanico svedese Linneo nel suo
“Systema Naturae” alla metà del 1700. Per questo moltissimi nomi botanici terminano con una
virgola e una L. La Cydonia, al contrario, ha Mill., che si riferisce al botanico Miller, capo
giardiniere del giardino botanico di Chelsea; era contemporaneo di Linneo e dapprima rifiutò la sua
nomenclatura binomiale, poi l’adottò.
Rosaceae
I generi sono poi riuniti in famiglie, spesso affolatissime. Pensiamo appunto alle Rosaceae, che
possono essere rose, la spirea ulmaria che ha ispirato il nome dell’aspirina, la piracanta delle siepi
spinose a protezione dei giardini, e il cotoneaster, meno aggressivo, il “falso cotogno”. Sono
Rosaceae anche tutti i Prunus, che ci danno molti frutti, come ciliegie (Prunus avium), susine
(Prunus domestica), pesche (Prunus persica), albicocche (Prunus armeniaca), mandorle (Prunus
dulcis)
Infine ci sono le sottospecie, i cultivar, gli ibridi, indicati con un “X”
Stemmi
Vi sono in Italia almeno due cittadine che hanno il cotogno nel nome e nello stemma, una vicina a
noi, Codogno, l’altra, Cotignola, in Romagna.
GIGLIO
Lilium- Bulbo
Un altro fiore che possiamo considerare “femminile” è il giglio, o meglio Lilium, un genere a cui
appartengono dalle 70 alle 100 specie ed un’infinità di ibridi dalle colorazioni e dalle forme più
svariate.
Ricordiamo tre particolarità di questo fiore:
1. la corolla è composta da 6 tepali, cioè petali e sepali non distinguibili.
2. ha un caule, cioè un fusto, in parte aereo, foglioso, in parte sotterraneo (ipogeo) detto
squamoso o meglio embricato perché i catafilli, le “foglie”, si dispongono come le tegole,
leggermente sovrapposti.
3. spesso presenta dei bulbilli, che sono organi che permettono la propagazione non sessuata. Il
Lilium bulbiferum prende nome proprio dai bulbilli, presenti all’ascella delle foglie.
S. Antonio
La specie originaria era quasi sicuramente Lilium candidum, quello che accompagna le immagini di
S. Antonio da Padova
Nascita di Venere -Afrodite e il Satiro di Simone Peterzano
Per i Greci era simbolo di fecondità per la sua facilità a riprodursi.
Afrodite, uscita dalla spuma del mare, invidiò il candore del giglio e per dispetto fece crescere al
centro della corolla un enorme pistillo, tanto che da quel momento furono i Satiri a farne il loro
emblema.
(Di Simone Peterzano, maestro di Caravaggio, si conservano a Milano parecchie opere: in S.
Maurizio, S. Barnaba S. Fedele, S. Eufemia, alla Certosa di Garegnano.)
Il mito di Afrodite strapazza la botanica perché in realtà il pistillo è l’organo femminile dei fiori,
che producono negli stami il polline generatore
Principe dei gigli – Santorini- Affresco della primavera
I gigli sono legati anche ad una civiltà più antica, quella minoica dell’isola di Creta, ma anche
all’isola di Santorini (anticamente Thera), che rimanda al mito di Atlantide.
La tesi, sostenuta da Spiridione Marinatos, che il declino della civiltà minoica potesse essere in
relazione con l'attività vulcanica dell'isola di Thera, lo spinse a intraprendere su larga scala in
quest'isola scavi che iniziarono nel 1967. Dopo aver esaminato vari luoghi concentrò i suoi sforzi
presso il villaggio di Akrotiri. Lo scavo portò alla luce documenti che testimoniano l'alto tenore di
vita degli abitanti di Thera, la cui civiltà fiorì dal 3000 a.C.. Inoltre offrì la sequenza degli eventi
geologici che posero fine alla vita dell'isola e che furono così critici per la civiltà minoica in Creta.
È ora chiaro che intorno al 1500 a. C. una serie di terremoti sconvolse l'abitato di Akrotiri. Gli
abitanti fuggirono per non esser sepolti sotto le rovine. Non molto dopo i terremoti il vulcano
esplose. La colata di pietra pomice coprì le rovine e conservò in quasi perfette condizioni le tracce
di quella civiltà, fra cui "l'affresco della Primavera".
Via Lattea – L’origine della Via Lattea
Eracle rischiava di soccombere perché la madre Alcmena lo aveva abbandonato fuori dalle mura di
Tebe temendo l’ira gelosa di Era, con ragione, poiché il padre era proprio Zeus. Alcmena era una
donna virtuosa e non avrebbe mai accettato di tradire il proprio marito, ma fu ingannata da Zeus,
che ne prese le sembianze e, quando si rese conto d’essere stata ingannata e sedotta, preferì disfarsi
della prole.Ercole godeva però della protezione di Atena, che condusse Era a passeggiare accanto al
luogo in cui giaceva il neonato e convinse proprio la tradita ad allattarlo. Ercole si attaccò con tanta
forza al seno della dea che questa lo respinse. Uno spruzzo di latte salì verso il cielo – ed è la Via
Lattea – un altro cadde sulla terra e si tramutò in giglio.
Anche nell’antica Roma i gigli erano consacrati a Giunone, la dea della fecondità.
Susanna e i vecchioni
Il nome ebraico Shushan, da cui Susanna, è legato ai gigli.
Nel cap.13 del libro biblico di Daniele si narra la vicenda conosciuta come “Susanna e i vecchioni”.
Susanna viene notata da due vecchi mentre fa il bagno nel suo giardino. Costoro minacciano di
accusarla presso il marito di averla sorpresa con un giovane amante se non si concede a loro. Al
rifiuto di Susanna l'accusano pubblicamente di adulterio. Portata davanti al tribunale viene
riconosciuta colpevole e condannata a morte mediante lapidazione, ma a questo punto si fa avanti
Daniele: « Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un
giovanetto, chiamato Daniele, il quale si mise a gridare: «Io sono innocente del sangue di lei!»
Tutti si voltarono verso di lui dicendo: «Che vuoi dire con le tue parole?». Allora Daniele, stando
in mezzo a loro, disse: «Siete così stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d'Israele
senza indagare la verità] Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei».
Questo intervento di Daniele, che poi interroga personalmente i due calunniatori e ne fa emergere
l'inganno, costituisce anche l'inizio del suo percorso pubblico di profeta. La reputazione di Susanna
viene restituita all'onore e la fama di Daniele cresce fra il popolo.
Questo episodio edificante ha ispirato i pittori cristiani fin dall’antichità, ma soprattutto nel XVI e
XVII secolo, forse anche perché forniva un pio pretesto per rappresentare la nudità femminile.
I gigli entrano poi prepotentemente nella tradizione cristiana per le parole di Gesù riportate da
Matteo al cap.6 “ Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”
Tutti questi significati e questa simbologia hanno portato una nutrita schiera di pittori ad inserire i
gigli nella rappresentazione dell’episodio dell’annunciazione dell’angelo a Maria. Tra i moltissimi
dipinti
Annunciazione tra S.Ansano e S.Margherita (Uffizi) di Simone Martini, un pittore senese del 1300,
che fu anche miniaturista. Va notata la raffinatezza della linea sinuosa, soprattutto
nell’atteggiamento di Maria che, molto umanamente, tenta di ritrarsi. Qui i gigli, nel loro vaso
dorato, sono proprio al centro, mentre nella maggior parte delle rappresentazioni, è l’angelo a
recarne un ramo.
Annunciazione di Sandro Botticelli, sempre agli Uffizi ( fine 1400). La drammaticità della scena è
resa qui con una certa teatralità. L’angelo distoglie Maria dalle sue letture, ma il pittore ha reso, con
quelle ombre trasparenti, l’idea che il volo si è appena concluso.
Annunciazione di Filippino Lippi, di poco precedente, con l’originale presenza di un secondo
angelo, che reca a sua volta un ramo di gigli.
Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto (1536). Qui Maria vuole renderci partecipi del suo
profondo smarrimento. L’angelo è appena giunto e lo vediamo, realisticamente, dallo svolazzare dei
capelli. L’angelo sta indicando il suo “mandante”. Anche nel ritrarre l’ambiente il pittore ha voluto
sottolinearne la quotidianità e indimenticabile è la presenza del gatto, al centro della scena,
spaventato come la sua padrona, o forse ancor più se pensiamo ai caratteri luciferini del felino.
Forse Lotto ha preso ispirazione da un altro gatto presente sul luogo dell’annuncio, quello di un
rilievo di Andrea Sansovino nella Casa di Loreto (1522), tuttavia Lotto lo ha voluto come
comprimario.
I gigli accompagneranno poi le rappresentazioni di parecchi santi. Ricordiamo solo il giglio bianco
per S.Antonio da Padova e per S.Luigi Gonzaga, il rosso, o giglio di S.Giovanni, detto bulbiferum,
per la presenza dei bulbilli all’ascella delle foglie.
Bastone di S.Giuseppe
Un Vangelo apocrifo narra che, quando Maria giunse all’età di 12 anni, un angelo suggerì a
Zaccaria di convocare tutti i vedovi della zona per trovarle un marito. Ciascuno di essi doveva
portare un bastone affinchè il Signore manifestasse con un segno il prescelto. Dal bastone del
falegname Giuseppe uscì una colomba, ma nel corso dei secoli successivi il racconto venne
modificato e dal bastone di Giuseppe fiorirono gigli, simboli anch’essi, come la colomba, di
purezza.
Giusquiamo - Lilium
Purezza e castità sì, ma anche una vena trasgressiva legata alla magia perché si dice che i gigli
fossero utilizzati dalle streghe, insieme al giusquiamo, per intraprendere i loro voli. Effettivamente i
bulbi contengono sostanze psicotrope che danno una particolare sensazione di leggerezza.
Festa dei gigli
A Nola il 22 giugno di ogni anno si svolge una festa in onore di S. Paolino, che liberò la città dai
Visigoti, offrendosi addirittura come schiavo per riscattare i prigionieri. I Nolani, riconoscenti, si
recarono in processione alla cattedrale portando fasci di gigli. Possiamo tuttavia ipotizzare anche
un’origine pagana di questa tradizione, legata alle celebrazioni per l’ingresso del Sole nella
costellazione estiva del Cancro.
Giglio di Firenze – Seminato di gigli – Punto gigliuccio
I gigli, simboli araldici di Francia e di Firenze, in realtà sono degli iris. Pare che i Fiorentini
ritenessero più nobile il giglio rispetto all’iris violaceo, mentre per la Francia sembra si sia trattato
di un errore di trascrizione. Si narra che il re Luigi VII, durante un conflitto con i feudatari infedeli,
si sia salvato guadando un torrente. Il sovrano osò attraversarlo perché aveva notato una ricca
fioritura di iris che non venivano travolti dalla corrente. Per riconoscenza scelse quei fiori come suo
emblema, ma da “fleur de Louis” si passò poi a “fleur de lys”, che è per l’appunto il giglio.
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