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Capitolo 85 Disturbi del metabolismo degli amminoacidi

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Capitolo 85 Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
Capitolo 85
PERIODO POSTNEONATALE. La maggior parte degli difetti congeniti del metabolismo che sono responsabili di sintomi nei primi
giorni di vita presenta varianti meno gravi con un esordio più
insidioso. Queste forme possono passare inosservate durante il
periodo neonatale, causando un ritardo della diagnosi di alcuni
mesi o persino di anni. Le manifestazioni cliniche precoci di
tali disturbi sono spesso aspecifiche e attribuibili a insulti perinatali.
Le manifestazioni cliniche, come ritardo mentale, deficit motori, regressione dello sviluppo, convulsioni, miopatia, emesi ricorrente e cardiomiopatia, sono di comune riscontro nei bambini
più grandi. I sintomi possono essere episodici o intermittenti, con
episodi acuti intervallati da periodi asintomatici. Questi attacchi
acuti sono generalmente scatenati da situazioni di stress o da insulti catabolici aspecifici come un’infezione e rischiano di causare
il decesso del bambino. Bisogna sospettare un errore congenito
del metabolismo nei bambini che presentano una o alcune delle
seguenti manifestazioni cliniche: ritardo mentale inspiegabile, ritardo dello sviluppo o regressione, deficit motori o convulsioni,
odore insolito (in particolare durante gli episodi acuti), episodi
intermittenti di vomito inspiegabile, acidosi, deterioramento mentale o coma, epatomegalia, calcoli renali, debolezza muscolare o
cardiomiopatia.
Grosse SD, Dezateux C: Newborn screening for inherited metabolic disease.
Lancet 2007;369:5–6.
Marsden D, Larson C, Levy HL: Newborn Screening for metabolic disorders.
J Pediatr 2006;148:577–584.
McBryde KD, Kershaw DB, Bunchman TE, et al: Renal replacement therapy
in the treatment of confirmed or suspected in born errors of metabolism. J
Pediatr 2006;148:770–778.
Waisbren SE: Newborn Screening for metabolid disorders. JAMA
2006;296:993–994.
Capitolo 85 ■ Disturbi del metabolismo
degli amminoacidi
85.1 • FENILALANINA • Iraj Rezvani
La fenilalanina è un amminoacido essenziale. Quando non è
utilizzata per la sintesi proteica, quella assunta con la dieta
è normalmente degradata attraverso la via della tirosina (Fig.
85-1). Un deficit dell’enzima fenilalanina idrossilasi o del suo
cofattore tetraidrobiopterina causa l’accumulo di fenilalanina
nei liquidi corporei e nel sistema nervoso centrale (SNC). La
gravità dell’iperfenilalaninemia dipende dall’entità del deficit
enzimatico e può variare da concentrazioni plasmatiche molto
elevate (20 mg/dL o 1200 mole/L, fenilchetonuria classica
[PKU]) a livelli solo lievemente aumentati (2-6 mg/dL o 120-360
mole/L). Nei bambini con concentrazioni plasmatiche 20 mg/
dL, la fenilalanina in eccesso è convertita in fenilchetoni (fenilpiruvato e fenilacetato; vedi Fig. 85-1), escreti attraverso l’urina
(da cui il termine fenilchetonuria). Nei pazienti con PKU, questi
metaboliti non hanno alcun ruolo nella patogenesi dei danni al
SNC; la loro presenza nei liquidi corporei costituisce semplicemente un indicatore della gravità della condizione. Il cervello
è l’organo maggiormente danneggiato dall’iperfenilalaninemia,
a causa dell’elevata concentrazione di questo amminoacido nel
tessuto cerebrale, che interferisce con il trasporto di altri amminoacidi neutri (tirosina, triptofano). Sono tuttavia stati riscontrati casi di adulti con PKU classica e livello intellettivo normale,
malgrado non siano mai stati trattati mediante una dieta priva
di fenilalanina. La risonanza magnetica spettroscopica e le tecniche di imaging RM hanno dimostrato che, in questi individui,
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■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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il contenuto cerebrale di fenilalanina è analogo a quello dei
soggetti sani.
FENILCHETONURIA CLASSICA (PKU). Se non trattata, una grave
iperfenilalaninemia (livelli plasmatici di fenilalanina 20 mg/dL)
conduce invariabilmente allo sviluppo dei segni e sintomi della
PKU classica (eccetto in rari casi non prevedibili).
Manifestazioni cliniche. I bambini colpiti dalla malattia appaiono solitamente normali alla nascita. Il ritardo mentale si sviluppa
gradualmente e nei primi mesi può non risultare evidente. In seguito, se il disturbo non viene trattato, la gravità del ritardo può
richiedere l’istituzionalizzazione del paziente. Uno dei sintomi di
presentazione più comuni è il vomito, talvolta così intenso da
condurre all’erronea diagnosi di stenosi del piloro. I bambini più
grandi non trattati mostrano iperattività, con movimenti senza
scopo, stereotipie ritmiche e atetosi.
All’esame obiettivo, questi bambini presentano una carnagione
più pallida rispetto ai fratelli sani. Alcuni manifestano eruzioni
cutanee eczematoidi o seborroiche, solitamente lievi, che tendono
a scomparire con la crescita. Il loro corpo emana uno sgradevole
odore di acido di rancido e stantio, causato dall’acido fenilacetico.
I risultati dell’esame neurologico non sono caratteristici. La maggior parte dei bambini è ipertonica, con riflessi tendinei profondi
iperattivi. Circa il 25% presenta convulsioni e oltre il 50% manifesta anomalie elettroencefalografiche. Altri reperti comuni nei
bambini non trattati includono microcefalia, mascella prominente
con denti ampiamente spaziati, ipoplasia dello smalto e ritardo
di crescita. Le manifestazioni classiche di PKU si riscontrano raramente nei Paesi che hanno introdotto programmi di screening
neonatale per l’individuazione precoce di questo disturbo.
FORME LIEVI DI IPERFENILALANINEMIA, IPERFENILALANINEMIA
NON-PKU. Lo screening della PKU ha come obiettivo l’identificazione dei neonati con concentrazioni plasmatiche di fenilalanina
superiori alla norma (2 mg/dL, 120 mole/L) ma 20 mg/dL
(1200 mole/L). Questi bambini non sono in grado di eliminare
i fenilchetoni. Sul piano clinico, possono restare asintomatici, ma
il danno cerebrale si aggrava progressivamente con la crescita.
Rispetto ai bambini con PKU classica, questi pazienti presentano
lievi deficit di fenilalanina idrossilasi o del suo cofattore tetraidrobiopterina (BH4). Nel passato sono stati fatti alcuni tentativi
per classificare i pazienti in differenti sottogruppi, sulla base del
grado di iperfenilalaninemia, ma tale pratica ha una scarsa utilità clinica o terapeutica. Come nella PKU classica, la presenza
di un deficit di BH4 deve essere verificata in tutti i bambini con
iperfenilalaninemia lieve (vedi oltre).
Diagnosi. A causa dell’insorgenza graduale delle manifestazioni
cliniche dell’iperfenilalaninemia, la diagnosi precoce richiede lo
screening di massa di tutti i neonati (vedi oltre). Nei bambini
risultati positivi, la diagnosi andrebbe confermata mediante una
misurazione quantitativa della fenilalanina plasmatica. L’identificazione e la misura dei fenilchetoni nell’urina non è prevista da
nessun programma di screening, ma l’identificazione dei fenilchetoni utilizzando clururo ferrico può rappresentare un test semplice
per la diagnosi di anomalie dello sviluppo e metaboliche. Una
volta formulata la diagnosi di iperfenilalaninemia, è opportuno
escludere la presenza di un deficit del cofattore BH4 (vedi oltre)
con test appositi.
Screening neonatale dell’iperfenilalaninemia. Negli Stati Uniti e in
diversi altri Paesi sono stati sviluppati metodi di screening neonatale di massa efficaci e relativamente poco costosi. Il test di inibizione
batterica di Guthrie, il primo a essere introdotto, è stato sostituito
da metodi quantitativi più precisi, come la spettrometria di massa
tandem e fluorimetrica. Questi metodi richiedono solo poche gocce
di sangue, assorbite su carta da filtro e inviate al laboratorio analisi. Nei bambini con PKU, i livelli ematici di fenilalanina possono
elevarsi a concentrazioni diagnostiche già 4 ore dopo la nascita,
anche in assenza di assunzione di proteine con l’alimentazione. È
tuttavia raccomandabile prelevare il campione ematico nelle prime
24-48 ore di vita dopo assunzione di proteine alimentari per evitare
falsi negativi, in particolare nelle forme più lievi.
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PARTE X
■
Malattie metaboliche
Sintesi proteica
Sintesi proteica
PKU
1
Feniletilamina
CH2
COOH
4-carbinolaminatetraidrobiopterina
Tetraidrobiopterina
(BH4)
4-OH-fenilacetato
CH2
HO
NH2
Fenilalanina
Fenilpiruvato
Fenillactato
CH
CH
COOH
NH2
Tirosina
PKU*
6
Tirosinemia II
2
Fenilacetato
3
Glutammina
Diidrobiopterina
chinoide (BH2)
PKU*
Fenilacetilglutammina
4-OH-fenilpiruvato
Tirosinemia III
7
6-OH-Ossopropile
tetraidropterina
6-Lactoil
tetraidropterina
7-Biopterina (primapterina)
(urina)
Hawkinsina
Eposside + cisteina
7a
Hawkinsinuria
4-OH-cicloesilacetato
6-Piruvoil
tetraidropterina
4
Acido
omogentisico
PKU*
PKU*
Guanosina trifosfato
5
8
Diidroneopterina
trifosfato
Alcaptonuria
Maleilacetoacetato
9
Neopterina
(urina)
Succinilacetoacetato
Succinilacetone
Fumarilacetoacetato
10
Fumarato
Tirosinemia I
Acetoacetato
CO2 H2O
Figura 85-1. Vie metaboliche della fenilalanina e della tirosina. Gli errori congeniti sono segnalati dai due trattini che interrompono le frecce. Le vie per la sintesi
del cofattore BH4 sono illustrate in blu. PKU* si riferisce ai disturbi del metabolismo di BH4 che coinvolgono la fenilalanina, la tirosina e il triptofano idrossilasi
(vedi Figg. 85-2 e 85-5). Enzimi: (1) fenilalanina idrossilasi, (2) carbinolamina deidratasi, (3) diidrobiopterina reduttasi, (4) 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi,
(5) guanosina trifosfato (GTP) cicloidrolasi, (6) tirosina aminotrasferasi, (7a) riarrangiamento intramolecolare, (7+7a) 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi, (8)
acido omogentisico diossigenasi, (9) maleilacetoacetato isomerasi, (10) fumarilacetoacetato idrossilasi.
Trattamento. L’obiettivo della terapia è di ridurre la fenilalanina
nel corpo; latte in polvere privo di questo amminoacido, o con
una concentrazione molto ridotta, è disponibile commercialmente. Questa dieta andrebbe introdotta non appena la diagnosi è
stabilita e andrebbero sottoposti a un simile regime alimentare
anche i bambini con livelli plasmatici di fenilalanina 6 mg/dL
(360 mole/L). Se il livello è compreso tra 2 e 6 mg/dL, non
è invece necessaria alcuna restrizione alimentare. Il trattamento è mirato a mantenere il livello di fenilalanina il più vicino
possibile alla norma. Poiché la fenilalanina non è sintetizzata
dal corpo, l’ipertrattamento può causare un deficit di questo
amminoacido, con conseguente letargia, ritardo nella crescita
staturo-ponderale, anoressia, anemia, eruzioni cutanee, diarrea
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e decesso. La tirosina svolge un ruolo essenziale in questo disturbo, perciò è opportuno verificarne la corretta assunzione. Il
grado di iperfenilalaninemia residua consentito nei pazienti in
trattamento è controverso. Si ritiene comunemente che i livelli
plasmatici di fenilalanina andrebbero mantenuti tra 2 e 6 mg/
dL (120-360 mole/L), per lo meno nei primi 12 anni di vita.
Anche la durata della dieta è controversa, ma dal momento
che l’interruzione della terapia, anche negli adulti, può causare
deterioramento del QI e del rendimento cognitivo, attualmente
si raccomanda ai pazienti di proseguire questa dieta priva di
fenilalanina per tutta la vita.
La somministrazione orale del cofattore tetraidrobiopterina
(BH4) a pazienti con forme lievi di iperfenilalaninemia causate
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Capitolo 85
da un deficit della fenilalanina idrossilasi può ridurre i livelli
plasmatici di fenilalanina, senza costringere il paziente a sottoporsi alla dieta. Un significativa riduzione dei livelli plasmatici
(30%) può essere osservata anche in alcuni pazienti con PKU
classica, in seguito alla somministrazione orale di una singola
dose di BH4 (10 mg/kg). Tuttavia, non è possibile prevedere la
risposta al BH4 sulla base del genotipo, in particolare nei soggetti
doppi eterozigoti. I pazienti a dieta devono essere sottoposti
a un attento monitoraggio dei livelli ematici di fenilalanina; è
inoltre opportuno che siano seguiti da un nutrizionista esperto,
in un centro specializzato. Può essere utile ricorrere a materiale
educativo appositamente ideato per i piccoli pazienti e i loro
familiari.
PKU e gravidanza (PKU materna). Le donne con iperfenilalaninemia che non seguono una dieta specifica presentano un rischio
molto elevato di avere figli con ritardo mentale, microcefalia e
cardiopatia congenita. Queste complicanze sono collegate agli
elevati livelli di fenilalanina presenti nel plasma materno durante la gravidanza e non alla trasmissione al feto di un difetto
genetico. Di conseguenza, le future madri, precedentemente già
trattate per iperfenilalaninemia, dovrebbero proseguire la dieta
priva di fenilalanina prima e durante la gravidanza, in modo
da mantenere il livello di fenilalanina a valori inferiori a 6 mg/
dL (360 mole/L). Tutte le donne con iperfenilalaninemia in
età fertile devono essere informate sui rischi appena esposti di
anomalie congenite.
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Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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Manifestazioni cliniche. I lattanti con deficit del cofattore sono
identificati durante i programmi di screening della PKU grazie
all’evidente iperfenilalaninemia. I livelli plasmatici di fenilalanina possono risultare altrettanto elevati di quelli dei pazienti
con PKU oppure possono collocarsi nel range delle forme lievi
di iperfenilalaninemia. Le manifestazioni neurologiche, come la
perdita del controllo della testa, l’ipotonia del tronco (“floppy
baby”), la scialorrea, le difficoltà di deglutizione e le convulsioni
miocloniche, si sviluppano dopo i 3 mesi di età, malgrado una
dieta adeguata.
Diagnosi. Il deficit del cofattore BH4 e il difetto enzimatico
responsabile possono essere diagnosticati mediante test come la
misura della neopterina (prodotto ossidativo della diidroneopterina trifosfato) e della biopterina (prodotto ossidativo della
diidrobiopterina e tetraidrobiopterina trifosfato) nei liquidi corporei, in particolare nell’urina (vedi Fig. 85-1). Nei pazienti con
deficit di guanosina trifosfato (GTP, Guanosine TriPhosphate) e
cicloidrolasi, l’escrezione urinaria di neopterina e biopterina è
molto ridotta. Nei pazienti con deficit di 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi si riscontra una marcata elevazione dell’escrezione di
neopterina e una concomitante riduzione di quella di biopterina.
Nei pazienti con deficit della diidropteridina reduttasi la neopterina è normale, mentre la biopterina è molto elevata perché il
chinonoide diidrobiopterina non può essere riciclato in BH4. I pazienti con deficit di carbinolamina deidratasi eliminano nell’urina
la 7-biopterina (un isomero anomalo della biopterina).
TEST DA CARICO. Nei pazienti con deficit di BH4 la somministrazione orale di una sua dose (20 mg/kg) normalizza il livello
plasmatico di fenilalanina in 4-8 ore. Per consentire l’interpretazione dei risultati, la concentrazione di fenilalanina nel sangue
dovrebbe essere elevata (400 mole/L). È dunque necessario sospendere la dieta nei due giorni precedenti alla somministrazione
della dose di carico di BH4, altrimenti si può somministrare una
dose di carico di fenilalanina (100 mg/kg) 3 ore prima del test.
TEST ENZIMATICI. Le attività dei vari enzimi possono essere misurate in maniere differenti: quella della diidropteridina
reduttasi sul sangue della carta da filtro usata per lo screening;
quella della 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi nel fegato, nei
reni e negli eritrociti; quella della carbinolamina deidratasi nel
fegato e nei reni; quella della GTP cicloidrolasi nel fegato, nelle
cellule mononucleari stimolate dalla citochina (interferone-) o
nei fibroblasti (l’attività enzimatica è solitamente molto ridotta
nelle cellule non stimolate).
Trattamento. L’obiettivo della terapia è di correggere l’iperfenilalaninemia e il deficit del neurotrasmettitore nel sistema nervoso
centrale.
IPERFENILALANINEMIA DA DEFICIT DEL COFATTORE BH4. Nell’1-2%
dei bambini con iperfenilalaninemia il difetto è localizzato in uno
degli enzimi necessari per la produzione o per il riciclaggio del
cofattore BH4 (Fig. 85-2). In questi bambini si verifica un rapido
deterioramento neurologico, malgrado l’adeguato controllo di
fenilalanina plasmatica conseguente alla diagnosi di PKU. BH4 è
il cofattore non solo per la fenilalanina, ma anche per la tirosina
e la triptofano idrossilasi, che svolgono un ruolo essenziale nella
biosintesi dei neurotrasmettitori dopamina (vedi Fig. 85-2) e serotonina (Fig. 85-5). BH4 è inoltre il cofattore per la ossido nitrico
sintetasi, che catalizza la generazione di ossido nitrico dall’arginina. I bambini con deficit di BH4 sono diagnosticati molto precocemente, perché tutti i pazienti con PKU e iperfenilalaninemia
vengono sottoposti al test per la presenza di tale deficit.
BH4 è sintetizzato dalla guanosina trifosfato attraverso diverse
reazioni enzimatiche (vedi Fig. 85-1). Sono stati descritti 4 diversi
deficit enzimatici responsabili della carenza di BH4. In oltre il
50% dei casi segnalati, è stato riscontrato un deficit di 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi.
Melanosoma
Tirosinasi
Tirosina
PKU*
DOPA
Tirosinasi
BH2
BH4
3,4,diidrossifenilalanina (DOPA)
2
Dopamina
HO
1
CH2
CH
COOH
DOPA chinone
NH2
Tirosina
3
Noradrenalina
4
Adrenalina
Tiroxina
Feomelanina
(polimero giallo-rosso)
Eumelanina
(polimero nero)
Figura 85-2. Altre vie metaboliche che coinvolgono la tirosina. PKU* indica iperfenilalaninemia dovuta a deficit di tetraidrobiopterina (BH4) (vedi Fig. 85-1).
Enzimi: (1) tirosina idrossilasi, (2) acido aromatico L-amino decarbossilasi (AADC), (3) dopamina idrossilasi, (4) feniletanolamina-N-metiltrasferasi (PNMT)
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PARTE X
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Malattie metaboliche
Il controllo dell’iperfenilalaninemia è importante nei pazienti con deficit del cofattore, perché livelli elevati di fenilalanina
interferiscono con il trasporto dei precursori del neurotrasmettitore (tirosina, triptofano). La fenilalanina plasmatica andrebbe
mantenuta a un livello il più vicino possibile alla norma (6
mg/dL), riducendone l’apporto dietetico e somministrando BH4
per via orale. I bambini con deficit di GTP cicloidrolasi o 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi rispondono più rapidamente alla
terapia con BH4 (5-10 mg/kg/die) rispetto a quelli con deficit della
diidropteridina reduttasi, nei quali è spesso necessario ricorrere
a dosi molto elevate (20 mg/kg/die). Negli Stati Uniti il BH4 è
disponibile in commercio, ma a un prezzo elevato.
La somministrazione dei neurotrasmettitori deficitari (L-dopa
e 5-idrossitriptofano) è consigliata anche quando il trattamento
con BH4 normalizza i livelli plasmatici di fenilalanina, perché il ripristino della produzione del neurotrasmettitore richiede tempo.
Nei pazienti con deficit della diidropteridina reduttasi si consiglia
inoltre l’integrazione della terapia con acido folinico.
L’iperprolattinemia che insorge in pazienti con deficit di BH4
può essere dovuta alla carenza di dopamina (principale inibitore
della prolattina) nell’area ipotalamica. La misura dei livelli di
prolattina sierica è il metodo ideale per monitorare il ripristino
del neurotrasmettitore nei pazienti.
Alcuni farmaci, come il trimetoprim-sulfametoxazolo, il metotrexato e altri agenti antileucemici, inibiscono l’attività dell’enzima diidropteridina reduttasi, che dovrebbero essere utilizzati con
cautela nei pazienti con deficit di BH4.
Genetica e prevalenza. La totalità dei difetti che causano iperfenilalaninemia si trasmette con modalità autosomica recessiva.
La prevalenza di PKU negli Stati Uniti è compresa tra 1/14 000
e 1/20 000 nati vivi, mentre quella dell’iperfenilalaninemia nonPKU è stimata a 1/50 000. La malattia è più comune nella razza
bianca e nei nativi americani, più rara nella razza nera, ispanica
e asiatica.
Il gene per la fenilalanina idrossilasi è localizzato sul cromosoma 12q24.1; diverse mutazioni patogenetiche sono state
identificate in differenti famiglie. La maggior parte dei pazienti
risulta doppio eterozigote per due differenti alleli mutanti. Il gene
della PTP sintetasi, che costituisce la più comune causa di deficit
di BH4, è localizzato sul cromosoma 11q22.3-23.3; quello della
diidropteridina reduttasi si trova sul cromosoma 4p15.3.; quelli
della carbinolamina deidratasi e della GTP cicloidrolasi sono
localizzati rispettivamente sui cromosomi 10q22 e 14q22.1-22.2.
Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche di questi
geni. La diagnosi prenatale è realizzabile mediante biopsia dei
villi coriali.
DEFICIT DI TETRAIDROBIOPTERINA SENZA
IPERFENILALANINEMIA
DISTONIA EREDITARIA PROGRESSIVA, DISTONIA AUTOSOMICA DOMINANTE DOPA-SENSIBILE, MALATTIA DI SEGAWA (VEDI ANCHE IL
CAPITOLO 597.3). Questa rara forma di distonia, descritta per la
prima volta in Giappone, è causata da un deficit di GTP cicloidrolasi. Si trasmette con modalità autosomica dominante ed è più
comune nelle donne (4:1).
Le manifestazioni cliniche solitamente insorgono intorno ai 5-6
anni di età e sono preannunciate dalla distonia degli arti inferiori,
che nel giro di qualche anno arriva a coinvolgere anche quelli
superiori. In alcuni pazienti, torcicollo, distonia degli arti superiori e disturbi della coordinazione possono precedere la distonia
degli arti inferiori. Nei primi anni lo sviluppo del bambino appare
normale, ma crescendo alcuni bambini cominciano a manifestare
segni parkinsoniani. I sintomi sono soggetti a marcate variazioni
circadiane: peggiorano alla sera e si attenuano grazie al riposo
notturno. La malattia può essere facilmente confusa con la paralisi cerebrale. Sono stati segnalati anche casi di presentazione
tardiva negli adulti.
I reperti di laboratorio non rivelano alcuna iperfenilalaninemia, ma nel liquor si riscontra una carenza di BH4 e di neopterina. Anche i livelli di dopamina e dei suoi metaboliti (acido
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omovanillico) possono risultare ridotti. Si ritiene che in questa
malattia il deficit enzimatico sia meno grave rispetto alla forma
autosomica recessiva del deficit di GTP cicloidrolasi, associata
a iperfenilalaninemia (vedi sopra). L’esistenza di portatori sani
indica che altri fattori o geni svolgono un ruolo importante nella
patogenesi del fenotipo. I portatori asintomatici possono essere
identificati misurando il rapporto tra fenilalanina e tirosina dopo
la somministrazione orale di una dose di carico di fenilalanina
(100 mg/kg); nei portatori sani il rapporto aumenta notevolmente
(艐3 volte superiore alla norma dopo 2 ore).
La diagnosi può essere confermata dalla riduzione dei livelli
di neopterina e BH4 nel liquor, dalla misura dell’attività dell’enzima e dall’identificazione del difetto genetico (vedi sopra). Sul
piano clinico, la malattia deve essere distinta dalle altre cause di
distonia, come il parkinsonismo infantile, in particolare i deficit
di tirosina idrossilasi (vedi Capitolo 85.2) e di decarbossilasi degli
amminoacidi aromatici. Le oscillazioni circadiane della distonia
suggeriscono la diagnosi di deficit della GTP cicloidrolasi.
Il trattamento con L-dopa, in associazione con un inibitore
periferico della dopa decarbossilasi, consente un notevole miglioramento nella maggior parte dei casi.
85.2 • TIROSINA • Grant A. Mitchell
e Iraj Rezvani
La tirosina, ottenuta dall’ingestione di proteine e da sintesi endogena dalla fenilalanina, è utilizzata per la sintesi proteica ed è
un precursore di dopamina, noradrenalina, adrenalina, melanina
e tirosina. La tirosina in eccesso è metabolizzata in diossido di
carbonio e acqua (vedi Fig. 85-1). L’ipertirosinemia si sviluppa in
presenza di deficit di tirosina aminotrasferasi, 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi (4-HPPD, HydroxyPhenPyruvate Dioxygenase) e fumarilacetoacetato idrossilasi (FAH, FumarylAcetoacetate
Hydrolase). Deficit di altri enzimi coinvolti nella degradazione
della tirosina causano solo un aumento da lieve a impercettibile dei livelli ematici di tirosina. L’ipertirosinemia acquisita
può insorgere in caso di grave disfunzione epatica (insufficienza
epatica), scorbuto (la vitamina C è il cofattore per l’enzima 4-HPPD) e ipertiroidismo. L’ipertirosinemia è un artefatto comune
nei campioni di sangue prelevati da un soggetto che ha appena
mangiato. Lo spettro clinico dell’ipertirosinemia ereditaria non è
stato ancora chiarito nei dettagli.
TIROSINEMIA TIPO I (TIROSINOSI, TIROSINEMIA EREDITARIA, TIROSINEMIA EPATORENALE). Queste patologie, causate da un deficit
dell’enzima FAH, comportano una moderata elevazione della
tirosina sierica, associata a un grave coinvolgimento di fegato,
reni e nervi periferici. Questi reperti sono attribuibili all’accumulo dei metaboliti derivati dalla degradazione della tirosina, in
particolare il succinilacetone.
Manifestazioni cliniche. Normalmente la malattia si presenta fra
i 2 e i 6 mesi, ma in rari casi il neonato risulta sintomatico già
nelle seconda settimana di vita oppure può apparire perfettamente sano per tutto il primo anno. La presentazione precoce aggrava
la prognosi. La mortalità nel primo anno è del 60% nei bambini
che sviluppano i sintomi nei primi 2 mesi, mentre scende al 4%
nei bambini che divengono sintomatici dopo i 6 mesi.
I principali organi colpiti sono il fegato, i nervi periferici e i
reni. In molti casi, l’esordio della malattia è preannunciato da
una crisi epatica acuta, solitamente scatenata da una malattia
intercorrente, che produce uno stato catabolico. Febbre, irritabilità, vomito, emorragia, epatomegalia, ittero, livelli elevati delle
transaminasi nel siero e ipoglicemia sono di comune riscontro.
Il bambino può emanare un odore che ricorda il cavolo lesso,
causato dall’aumento dei metaboliti della metionina. La maggior
parte delle crisi epatiche si risolve spontaneamente, ma alcune
progrediscono in insufficienza epatica, causando il decesso del
paziente. Tra una crisi e l’altra, i seguenti sintomi sono presenti
in forma più o meno grave: deficit nella crescita staturo-ponderale, epatomegalia, disturbi della coagulazione. Con l’età, può
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Capitolo 85
insorgere cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare (quest’ultimo
insolito prima dei 2 anni).
Episodi acuti di neuropatia periferica, che ricordano la porfiria,
si verificano nel 40% dei bambini. Queste crisi, spesso scatenate
da un’infezione minore, sono caratterizzate da un grave dolore
solitamente localizzato alle gambe e associato a postura ipertonica di capo e tronco, inoltre vomito, ileo paralitico e (occasionalmente) lesioni autoindotte della lingua e della mucosa buccale.
Una marcata debolezza e una paralisi si osservano nel 30% degli
episodi e possono condurre a insufficienza respiratoria, con necessità di ventilazione assistita. Tipicamente, le crisi durano da
1 a 7 giorni.
Il coinvolgimento renale si manifesta con una sindrome simile
a quella di Fanconi, con acidosi metabolica con gap anionico
normale, iperfosfaturia, ipofosfatemia e rachitismo resistente alla
vitamina D. L’ecografia rivela spesso nefromegalia e nefrocalcinosi di grado variabile.
Occasionalmente si riscontra cardiomiopatia ipertrofica.
Reperti di laboratorio. Nei pazienti non trattati, i test della funzione epatica presentano anomalie caratteristiche: aumento del
livello di -fetoproteina (spesso marcato); riduzione dei fattori
di coagulazione sintetizzati dal fegato; aumento dei livelli sierici
di transaminasi, in particolare durante le crisi epatiche acute.
La concentrazione sierica di bilirubina aumenta in presenza di
insufficienza epatica. Il riscontro di un aumento dei livelli di
-fetoproteina nel sangue del cordone ombelicale di questi bambini indica una lesione epatica intrauterina. Il livello plasmatico
di tirosina dipende dalla dieta e ha un valore diagnostico inferiore
rispetto alla misura del livello di succinilacetone (vedi oltre).
È possibile riscontrare un’elevazione (caratteristica dell’insufficienza epatica) delle concentrazioni sieriche di metionina e altri
amminoacidi. Iperfosfaturia e ipofosfatemia sono comuni e può
insorgere anche un’aminoaciduria generalizzata. Il livello di acido
5-aminolevulinico nelle urine è elevato, a causa dell’inibizione
dell’idratasi 5-aminolevulinica da parte del succinilacetone. La
presenza di livelli elevati di succinilacetone in siero e urine costituisce un reperto diagnostico (vedi Fig. 85-1).
La diagnosi è solitamente confermata dimostrando l’aumento
dei livelli di succinilacetone nel sangue e nelle urine. I metodi di
screening neonatale consentono di rilevare l’ipertirosinemia, ma
soltanto una minima percentuale di pazienti con tirosinemia di
tipo I viene identificata con queste tecniche. Il succinilacetone,
non rilevato dagli attuali metodi di screening, è il metabolita
di elezione per i primi test. La tirosinemia di tipo I deve essere
differenziata dalle altre cause di epatite e insufficienza epatica
nei bambini, che includono la galattosemia, un’intolleranza ereditaria al fruttosio, l’emocromatosi neonatale, l’epatite a cellule
giganti e la citrullinemia di tipo II (vedi Capitolo 85.11).
Trattamento ed esito. Una dieta con ridotto apporto di fenilalanina e tirosina può rallentare, ma non interrompere, la progressione
della malattia. Il trattamento di elezione è con nitisinone (NTBC,
2-(nitro-4-trifluorometilbenzoil)-1,3-cicloessanedione), che inibisce la degradazione della tirosina a 4-HPPD (vedi Fig. 85-1) e
previene le crisi epatiche e neurologiche acute. I pazienti trattati
seguono anche una dieta a ridotto contenuto di fenilalanina e
tirosina. Il nitisinone è in grado di interrompere o arrestare completamente la progressione della malattia, ma il danno epatico
precedente al trattamento non è reversibile, pertanto i pazienti
devono essere monitorati per lo sviluppo di carcinoma epatocellulare. La presenza di un nodulo epatico, rilevata con tecniche
di imaging, indica solitamente una cirrosi generalizzata, tuttavia
queste tecniche non consentono di distinguere con chiarezza tra
noduli benigni e maligni. Il trapianto di fegato costituisce una
terapia efficace e riduce il rischio di un carcinoma epatocellulare.
L’impatto del trattamento con nitisinone sulla necessità di ricorrere al trapianto è tuttora oggetto di studio, ma dipende dallo
stadio della malattia nel quale è avviata la terapia.
Genetica e prevalenza. La tirosinemia di tipo I si trasmette con
modalità autosomica recessiva. Il gene di FAH è stato mappato
sul cromosoma 15q e sono state identificate svariate mutazioni.
L’analisi del DNA è utile per la diagnosi molecolare prenatale
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Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
555
e per testare i gruppi a rischio per specifiche mutazioni (come
i canadesi-francesi della regione Saguenay-Lac Saint-Jean del
Quebec). La tirosinemia di tipo I è panetnica, sicché l’assenza
di una discendenza canadese-francese o scandinava non esclude
la diagnosi. La prevalenza del disturbo è stimata a 1/1846 nati
vivi nella regione Saguenay-Lac Saint-Jean, mentre la prevalenza
mondiale è compresa tra 1/100 000 e 1/120 000. La diagnosi
prenatale è ottenuta misurando il livello di succinilacetone nel
liquido amniotico, mediante biopsia del villi coriali, prelievo di
un campione enzimatico negli amniociti o con analisi del DNA.
TIROSINEMIA DI TIPO II (SINDROME DI RICHNER-HANHART, TIROSINEMIA OCULOCUTANEA). Questo raro disturbo autosomico recessivo è causato da un deficit dell’enzima tirosina aminotrasferasi,
responsabile di ipercheratosi palmare e plantare, ulcere corneali
erpetiformi e ritardo mentale (vedi Fig. 85-1). Le manifestazioni
oculari spesso insorgono prima delle lesioni cutanee e includono
lacrimazione eccessiva, rossore, dolore e fotofobia. Si ritiene che
le lesioni corneali siano dovute alla deposizione di tirosina e, a
differenza delle ulcere erpetiche, queste lesioni colorano poco con
fluoresceina e sono spesso bilaterali. Le lesioni cutanee, che possono svilupparsi con la crescita, includono placche ipercheratosiche dolenti, non pruriginose, localizzate sulla pianta dei piedi, sui
palmi delle mani sulla punta delle dita. Il ritardo mentale, che si
sviluppa nel 50% dei casi, è solitamente da medio a moderato.
I reperti di laboratorio anomali si limitano a una significativa
ipertirosinemia (20-50 mg/dL; 110-2750 mole/L) e tiroiluria.
Sorprendentemente, anche l’acido 4-idrossifenilpiruvato e i suoi
metaboliti risultano elevati, malgrado si trovino a valle rispetto al
blocco metabolico (vedi Fig. 85-1). Tale reperto si spiega ipotizzando un meccanismo di shunting della tirosina attraverso altre
transaminasi, in presenza di elevate concentrazioni di tirosina.
Questo disturbo è causato dal deficit della frazione citosolica della tirosina aminotrasferasi epatica. A differenza della tirosinemia
di tipo I, le funzioni epatica e renale sono preservate e le concentrazioni sieriche degli altri amminoacidi risultano normali.
La diagnosi è stabilita misurando la concentrazione della tirosina plasmatica. Una elevata ipertirosinemia in un paziente che
non segue una dieta specifica può essere riscontrata anche in caso
di insufficienza epatica, ma nella tirosinemia di tipo II il livello di
tirosina è più elevato e nell’insufficienza epatica le manifestazioni
oculari sono assenti. La diagnosi può essere confermata esaminando l’attività della tirosina aminotrasferasi nel fegato o con
l’analisi del DNA del gene mutante.
Il trattamento mediante una dieta con un ridotto apporto
di tirosina e fenilalanina riduce le anomalie biochimiche e può
consentire uno spiccato miglioramento delle lesioni cutanee e
oculari. È inoltre ipotizzabile che anche il ritardo mentale possa essere prevenuto mediante una precoce restrizione dietetica
della tirosina. Il gene della tirosina aminotrasferasi è mappato
sul cromosoma 16q e sono state identificate diverse mutazioni
patogenetiche. In circa il 50% dei casi segnalati si evidenzia una
discendenza italiana.
TIROSINEMIA DI TIPO III (DEFICIT PRIMARIO DI 4-HPPD). Sono stati
segnalati soltanto pochi casi, individuati per la massima parte in
seguito a determinazioni di amminoacidi per reperti neurologici di
altro tipo. Non è certo che questo deficit enzimatico causi anomalie cliniche. L’età di esordio è tra 1 e 17 mesi. I disturbi segnalati
includono ritardo di sviluppo, convulsioni, atassia intermittente e
comportamento autodistruttivo. Non emergono anomalie epatiche o renali. I lattanti asintomatici sono stati identificati grazie ai
programmi di screening neonatale.
La diagnosi è sospettata nei bambini con incrementi moderati
dei livelli plasmatici di tirosina (350-700 mole/L) e in seguito al
riscontro nelle urine di acido 4-idrossifenilacetico e 4-idrossifenillattico; può essere confermata dalla dimostrazione della ridotta
attività dell’enzima 4-HPPD nella biopsia epatica o dalla presenza
di mutazioni del gene per 4-HPPD.
A causa della possibile associazione con anomalie neurologiche, è ragionevole sottoporre il paziente a restrizione dietetica
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PARTE X
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Malattie metaboliche
dell’apporto di tirosina. È inoltre opportuno tentare la somministrazione di vitamina C, cofattore per 4-HPPD. La malattia è
ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene per 4-HPPD
è localizzato sul cromosoma 12q24-qter.
TIROSINEMIA TRANSITORIA DEL NEONATO. In un numero ridotto di
neonati, la tirosina plasmatica può salire fino a 60 mg/dL (3300
mole/L) durante le prime due settimane di vita. Nella maggior
parte dei casi, si tratta di lattanti prematuri che ricevono una dieta
a elevato contenuto proteico. La malattia è probabilmente il risultato di un ritardo nella maturazione dell’enzima 4-HPPD (vedi Fig.
85-1). In alcuni pazienti si notano letargia, disturbi dell’allattamento e riduzione dell’attività motoria, benché per la maggior parte
questi bambini siano asintomatici e ricevano una diagnosi perché
risultano positivi allo screening per PKU. I reperti di laboratorio
includono una spiccata elevazione della tirosina plasmatica, con
un moderato incremento della fenilalanina plasmatica. La presenza
di una marcata ipertirosinemia consente di differenziare questa
malattia dalla fenilchetonuria. Anche l’acido 4-idrossifenilpiruvico
e i suoi metaboliti (acidi 4-idrossifenilacetico e 4-idrossifenillattico) sono presenti nelle urine. L’ipertirosinemia di solito si risolve
spontaneamente nel primo mese di vita. La riduzione dell’apporto
proteico nella dieta (a 2 g/kg/die) e la somministrazione di vitamina C (200-400 mg/die) consentono una tempestiva correzione
del deficit. La presenza di deficit intellettivi lievi è stata segnalata
in bambini con questo disturbo nati a termine, ma la relazione
causale con l’ipertirosinemia non è ancora stata chiarita.
HAWKINSINURIA. Questa rara malattia (che prende il nome dalla
prima famiglia colpita) è causata da un enzima 4-HPPD mutante,
che catalizza una reazione parziale e rilascia un composto intermedio, utilizzato per la diagnosi (vedi Fig. 85-1). Tale composto
è ridotto per formare acido 4-idrossicicloesilacetico (4-HCAA)
oppure reagisce con il glutatione per formare un acido organico
insolito, detto “hawkinsina” (2-L-cisteina-S-yl-1-4-diidrossicicloess-5-en-1-yl-acido acetico); possono riscontrarsi anche deficit
secondari di glutatione.
Gli individui con questo disturbo presentano sintomi soltanto
nell’infanzia, di solito dopo lo svezzamento, in seguito all’introduzione di una dieta a elevato contenuto proteico. Sono stati
segnalati grave acidosi metabolica, chetosi, deficit nella crescita
staturo-ponderale, lieve epatomegalia e un odore insolito (di piscina). Lo sviluppo mentale è in genere normale.
I bambini colpiti e gli adulti eliminano nell’urina gli acidi organici 4-HCAA, 4-idrossifenilpiruvico e i suoi metaboliti (acidi
4-idrossifenilacetico e 4-idrossifenillattico), 5-ossiprolina (a causa
del deficit secondario di glutatione) e hawkinsina. Il livello di
tirosina plasmatica è solitamente nella norma.
Il trattamento prevede una dieta a ridotto contenuto di proteine (latte materno) o con restrizione di fenilalanina e tirosina. Si
consiglia inoltre un tentativo di somministrazione di elevate dosi
di vitamina C (fino a 1000 mg/die). Dopo il primo anno di età
non è più necessario proseguire la terapia. Una stessa mutazione
(la sostituzione della treonina con il normale codone di alanina
nella posizione 33 del gene 4-HPPD) è stata identificata in pazienti con hawkinsinuria privi di relazioni familiari tra loro.
ALCAPTONURIA. Questo raro disturbo autosomico recessivo (incidenza = 1/250 000) è causato da un deficit dell’ossidasi dell’acido
omogentisico, responsabile dell’accumulo di grandi quantità di
questo acido nel corpo, successivamente escrete con l’urina (vedi
Fig. 85-1).
Le manifestazioni cliniche dell’alcaptonuria includono ocronosi e artrite, che si manifestano nell’età adulta. L’unico segno
del disturbo presente nell’infanzia è un inscurimento delle urine,
causato dall’ossidazione e polimerizzazione dell’acido omogentisico. Se l’urina ha un pH acido, l’inscurimento non si verifica,
nemmeno dopo diverse ore. Se questo segno passa inosservato,
la diagnosi viene ritardata fino all’età adulta. L’ocronosi, che
si manifesta con macchie nere sulla sclera o la cartilagine delle
orecchie, è il risultato dell’accumulo del polimero nero dell’acido
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omogentisico. L’artrite, talvolta disabilitante, colpisce la quasi
totalità dei soggetti con alcaptonuria in età avanzata. Coinvolge
le grandi articolazioni (ginocchio, colonna vertebrale e anca) ed
è solitamente più grave negli uomini. Come l’artrite reumatoide,
questo tipo di artrite è caratterizzato da esacerbazioni acute, ma
i reperti radiologici sono tipici dell’osteoartrite, con caratteristico
restringimento degli spazi articolari e calcificazione dei dischi
intervertebrali. È stata notata una elevata incidenza di malattie
cardiache (valvulite mitralica e aortica, calcificazione delle valvole
cardiache e infarto del miocardio).
La diagnosi è confermata dal riscontro di una notevole quantità di acido omogentisico nell’urina. L’enzima è espresso soltanto
nel fegato e nei reni. Il gene per l’alcaptonuria è localizzato sul
cromosoma 3q e sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. I Paesi in cui la malattie è più comune sono la Repubblica
Dominicana e la Slovacchia.
Non esiste alcun trattamento efficace per questo disturbo. Il
nitisinone (vedi il trattamento della tirosinemia di tipo I) inibisce
la produzione di acido omogentisico, per cui la sua somministrazione in pazienti con alcaptonuria, prima della deposizione del
pigmento, può contribuire alla prevenzione dell’artrite.
DEFICIT DI TIROSINA IDROSSILASI (PARKINSONISMO INFANTILE,
DISTONIA AUTOSOMICA RECESSIVA DOPA-SENSIBILE) (VEDI CAPITOLO 597.3). La tirosina idrossilasi catalizza la formazione di Ldopa dalla tirosina (vedi Fig. 85-2). Il deficit di questo enzima è
stato segnalato in alcuni bambini con distonia e parkinsonismo.
Il quadro clinico somiglia a quello della distonia autosomica
dominante dovuta a deficit di GTP cicloidrolasi (vedi Capitolo
85.1), ma lo spettro clinico del deficit di tisosina idrossilasi non
è del tutto noto.
Le manifestazioni cliniche possono esordire nella prima infanzia e includono movimenti a scatti degli arti, che conducono
a spasticità e rigidità muscolare, inespressività facciale, ptosi,
scialorrea, crisi oculogiriche, parkinsonismo. Il ritardo psicomotorio è stato segnalato in alcuni pazienti. Non si notano invece
variazioni diurne dei sintomi.
I reperti di laboratorio includono una riduzione dei livelli di
dopamina e del suo metabolita (l’acido omovanillico) e concentrazioni normali di tetraidrobiopterina e neopterina nel liquido
spinale. I livelli sierici di prolattina sono solitamente elevati.
La diagnosi deve essere presa in considerazione in presenza di
pazienti con distonia e parkinsonismo ed è stabilita sulla base
dei reperti di laboratorio (vedi sopra) e dei risultati degli studi
genetici. Esami specifici consentono di escludere il deficit di GTP
cicloidrossilasi (vedi sopra).
Il trattamento con L-dopa consente un notevole miglioramento, ma alcuni pazienti non rispondono al farmaco. La malattia
è trasmessa con modalità autosomica recessiva. Il gene per la
tirosina idrossilasi è mappato sul cromosoma 11p.
ALBINISMO. L’albinismo è dovuto a un difetto nella biosintesi e distribuzione della melanina (Tab. 85-1), sintetizzata dai
melanociti a partire dalla tirosina negli organelli intracellulati
definiti melanosomi. I melanociti originano dalla cresta neurale
dell’embrione e migrano verso la cute, gli occhi (coroide e iride)
e i follicoli piliferi. La melanina degli occhi non è secreta nel
tessuto adiacente, mentre il pigmento nella cute e nei follicoli
piliferi è secreto nell’epidermide e nello stelo di peli e capelli. Il
tasso di melanogenesi è minimo negli occhi e molto elevato in
cute e capelli. La via della biosintesi della melanina non è stata
completamente chiarita (vedi Fig. 85-2). I prodotti finali sono due
pigmenti: la feomelanina (di colore giallo-rosso) e l’eumelanina
(di colore marrone-nero).
La manifestazione clinica più comune nell’albinismo generalizzato è l’ipopigmentazione di cute e capelli. I pazienti con
coinvolgimento oculare possono presentare strabismo, fotofobia,
riduzione dell’acuità visiva e presenza di un riflesso rosso. L’iride
appare traslucida e rosata nell’infanzia e assume un colore azzurro pallido o marrone chiaro nell’età adulta. La visione stereoscopica (bioculare) è assente, a causa dell’anomala decussazione
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Capitolo 85
TABELLA 85-1. Classificazione dell’albinismo
TIPO
ALBINISMO OCULOCUTANEO (OCA)
OCA1 (deficit di tirosinasi)
OCA1A (deficit grave)
OCA1B (deficit lieve)*
OCA2 (tirosinasi-positiva)***
Sindromi di Prader-Willi e Angelman
OCA3 (OCA rosso)
Sindrome di Hermansky-Pudlak
Sindrome di Chédiak-Higashi
ALBINISMO OCULARE
OA1 (tipo Nettleship-Falls)
ALBINISMO LOCALIZZATO
Piebaldismo
Sindrome di Waardenburg I e III
Sindrome di Waardenburg II
GENE
CROMOSOMA
TYR
TYR
TYR
P (diluizione occhi-rosa)
P
TYRP1**
HPS1
CHS1
11q
11q
11q
15q
15q
9p
10q
1q
OA
XP
KIT
PAX3
MITF
4q
2q
3p
* Questo comprende le varianti Amish, minimamente pigmentate, albinismo giallo, platino e sensibili alla temperatura.
** Proteina 1 correlata alla tirosinasi.
*** Comprende la OCA marrone.
delle fibre ottiche a livello del chiasma. Circa il 90% delle fibre
ottiche provenienti da un occhio si incrocia e procede verso il lato
opposto, causando anche potenziali visivi evocati asimmetrici. La
cecità e i tumori della pelle costituiscono le sequele tardive delle
forme gravi di albinismo. La melanina è presente anche nella coclea. Gli individui albini sono maggiormente sensibili agli agenti
ototossici, come la gentamicina.
Sono state identificate diverse forme cliniche apparentemente
distinte di albinismo, alcune delle quali sono causate da differenti mutazioni di uno stesso gene. Svariati geni, localizzati su
cromosomi diversi, sono coinvolti nella melanogenesi (vedi Tab.
85-1). I tentativi effettuati per differenziare i tipi di albinismo
sulla base della modalità ereditaria, dell’attività della tirosinasi e
dell’estensione dell’ipopigmentazione non hanno finora condotto
all’elaborazione di una classificazione esaustiva. Quella seguente
si basa allora sulla distribuzione sul corpo e sul tipo di mutazione
genetica, ma non saranno approfonditi tutti i quadri patologici
associati all’albinismo (il lettore interessato può fare riferimento
ai testi più specifici elencati in bibliografia).
Albinismo oculocutaneo (generalizzato) (OCA, OculoCutaneous Albinism). L’assenza di pigmento riguarda cute, occhi, peli e capelli.
Esistono tre forme geneticamente distinte: OCA1, OCA2 e OCA3.
L’ipopigmentazione è generalmente più grave nei pazienti con
OCA3, sebbene i tre gruppi tendano a sovrapporsi e a non essere
sempre distinguibili sul piano clinico. Tutte le forme si trasmettono con modalità autosomica recessiva.
OCA1 (ALBINISMO DA DEFICIT DI TIROSINASI). In questi
pazienti il difetto risiede nel gene della tirosinasi, localizzato sul
cromosoma 11q. Sono stati identificati diversi alleli mutanti e
nella maggior parte dei casi gli individui colpiti sono eterozigoti
doppi per due differenti di questi. Sulla base dell’attività enzimatica e (in grado minore) delle manifestazioni cliniche, l’OCA1 può
essere suddiviso nei sottogruppi OCA1A e OCA1B.
OCA1A (OCA tirosinasi-negativo). Un certo numero di mutazioni del gene della tirosinasi rende l’enzima completamente inattivo. Solitamente gli individui con questa forma costituiscono i casi
più gravi di albinismo generalizzato. Sul piano clinico, l’assenza di
pigmentazione della pelle (bianco latte), di peli e capelli (bianchi) e
degli occhi (iride rosso-grigia) è evidente fino dalla nascita e non si
modifica per il resto della vita. I pazienti non possono abbronzarsi,
né presentano nevi o lentiggini.
OCA1B. Le mutazioni del gene della tirosina causano la produzione di enzimi con una certa attività residua. Sul piano clinico, i soggetti, seppure completamente depigmentati alla nascita,
sviluppano una minima quantità di pigmento con la crescita, che
modifica la colorazione degli occhi in azzurro chiaro o nocciola,
mentre i capelli divengono biondo chiaro. Questi individui possono abbronzarsi e presentano nevi e lentiggini. A seconda del
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Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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grado di pigmentazione, i pazienti con OCA1B erano un tempo
suddivisi in distinti sottogruppi, ritenuti geneticamente diversi.
Una forma interessante della malattia è l’albinismo sensibile alla
temperatura, nel quale la tirosinasi diviene più attiva nelle parti
del corpo più fredde, come gli arti. Questi soggetti sono del tutto
depigmentati nel cuoio capelluto e nel tronco, mentre presentano
una certa quantità di pigmento negli arti.
OCA2 (OCA TIROSINASI-POSITIVA). È la più comune forma di albinismo generalizzato, particolarmente comune nei neri
africani. Sul piano clinico, questi individui presentano una certa
pigmentazione di cute e occhi alla nascita e continuano ad accumulare pigmento nel corso della vita, ma non possono abbronzarsi. I capelli, gialli alla nascita, si scuriscono con gli anni.
Nevi e lentiggini possono essere presenti. Clinicamente questi
soggetti (che presentano un’attività della tirosina normale) non
sono facilmente distinguibili dai pazienti con la forma OCA1B. Il
difetto si trova nel gene p (diluizione occhi-rosa), localizzato sul
cromosoma 15q. Questo gene produce la proteina P, una proteina
di membrana dei melanosomi, la cui funzione non è stata ancora
chiarita con precisione. I pazienti con sindrome di Prader-Willi e
Angelman, che presentano una delezione del cromosoma 15, non
possiedono una copia del gene OCA2 e manifestano una lieve
diluizione del pigmento (vedi Capitolo 80).
OCA3 (ALBINISMO ROSSO). Questa forma è stata identificata solo negli africani, negli afroamericani e nei nativi della
Nuova Guinea. Da adulti, i pazienti hanno capelli rossi e pelle
rosso-bruna, il colore caratteristico di questa forma. Nei bambini
le manifestazioni possono essere confuse con quella dell’OCA2. I
pazienti con OCA3 possono produrre feomelanina, ma non eumelanina. È stata evidenziata una mutazione della proteina 1 legata
alla tirosinasi, la cui funzione resta da chiarire.
SINDROME DI HERMANSKY-PUDLAK. Si tratta di un gruppo di disturbi causato dalla mutazione di uno dei sette geni da
HPS1 a HPS7. Questi geni sono necessari per la normale struttura
e funzione degli organelli derivati dai lisosomi, inclusi i melanosomi e i granuli densi delle piastrine. Nella maggior parte delle
forme, un’OCA tirosinasi-positiva di gravità variabile è associata
a una disfunzione delle piastrine (causata dall’assenza dei granuli
densi) e a un accumulo di materiale ceroide nei tessuti. La malattia
si trasmette con modalità autosomica recessiva e ha una prevalenza elevata in Porto Rico (tipo 1 e 3, frequenza di 1:2000). Le emorragie (come l’espistassi) e un tempo di sanguinamento prolungato
sono comuni. Sul piano istochimico, il materiale ceroide è simile
a quello rinvenuto nella lipofuscinoisi neuronale ceroide. Nella
terza o quarta decade di vita, l’accumulo di questo materiale nei
tessuti può causare una malattia polmonare restrittiva, malattie
infiammatorie intestinali, insufficienza renale e cardiomiopatia. La
maggior parte dei pazienti presenta mutazioni in HPS1, localizzate
sul cromosoma 10q.
SINDROME DI CHÉDIAK-HIGASHI. I pazienti con questa
rara malattia autosomica recessiva manifestano albinismo parziale e suscettibilità alle infezioni, associati alla presenza di granuli lisosomiali giganti perossidasi-positivi nei granulociti (vedi
Capitolo 129). I melanosomi appaiono insolitamente grandi
(macromelanosomi), ma il loro numero è ridotto. I pazienti che
sopravvivono fino all’età adulta possono sviluppare un’iperplasia
linfofollicolare. Sono state identificate mutazioni del gene CHS1
(localizzato sul braccio lungo del cromosoma 1) in presenza di
questa sindrome.
Albinismo oculare (OA, Ocular Albinism). L’albinismo è limitato
agli occhi, essendo presenti tutti i sintomi oculari descritti in precedenza. La forma recessiva legata all’X (OA1) è considerata un’entità separata. Si ritiene che la maggior parte dei casi di albinismo
oculare recessivo costituisca una variante più lieve dell’OCA2.
ALBINISMO OCULARE 1 (OA1, TIPO NETTLESHIP-FALLS).
Soltanto i maschi emizigoti presentano il quadro completo,
mentre la pigmentazione retinica anomala può manifestarsi in
donne eterozigoti portatrici sane. Il gene responsabile di questo
disturbo è localizzato sul braccio corto del cromosoma X. È stato
segnalato anche un albinismo oculare legato all’X con sordità
neurosensoriale tardiva.
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*
C
*
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PARTE X
■
Malattie metaboliche
Albinismo localizzato. Questo disturbo è caratterizzato da aree
localizzate di ipopigmentazione di cute e capelli che sono presenti
già dalla nascita o che insorgono con la crescita.
PIEBALDISMO. I soggetti con questo disturbo autosomico
dominante presentano un ciuffo di capelli bianchi alla nascita.
La cute sottostante è depigmentata e priva di melanociti (come il
ciuffo). In molti casi, si notano macule su volto, tronco e arti. Nei
pazienti colpiti sono state evidenziate mutazioni del gene KIT.
SINDROME DI WAARDENBURG. In questa sindrome la
presenza del ciuffo bianco è associata a spostamento laterale del
canto palpebrale interno, a radice nasale allargata, eterocromia
dell’iride e sordità neurosensoriale. Tale disturbo, trasmesso con
modalità autosomica dominante, può essere suddiviso in 4 sottogruppi. I pazienti con il tipo I presentano spostamento dell’angolo
palpebrale, causato da mutazioni del gene PAX3; quelli con il
tipo II hanno canti palpebrali normali e in alcuni di essi sono
state riscontrate mutazioni del gene MITF; in quelli con tipo III
sono presenti tutti i sintomi del tipo I, più ipoplasia e contratture
degli arti superiori e l’anomalia genetica è localizzata nel gene
PAX3; il tipo IV (eterogeneo), infine, è associato alla malattia
di Hirschsprung ed è attribuito a mutazioni in differenti geni
(EDN3, EDNRB o SOX10).
85.3 • METIONINA • Iraj Rezvani
e David S. Rosenblatt
La via per il catabolismo della metionina, un amminoacido essenziale, produce S-adenosilmetionina (che funziona come donatore
di un gruppo metilico per la metilazione di una varietà di composti) e cisteina, formata attraverso una serie di reazioni definite
trans-solforazione (Fig. 85-3).
OMOCISTINURIA (OMOCISTINEMIA). L’omocisteina (composto intermedio della degradazione della metionina) è in gran parte
rimetilata a metionina. Tale reazione è catalizzata dall’enzima
metionina sintetasi, che richiede un metabolita dell’acido folico
(5-metiltetraidrofolato) come donatore del gruppo metilico e un
metabolita della vitamina B12 (metilcobalamina) come cofattore
(vedi Fig. 85-3). Nel plasma degli individui normali, soltanto il
20-30% dell’omocisteina totale (e del suo dimero) si trova in
forma libera, mentre il resto è legato a proteine in disulfidi misti.
Sono state identificate tre forme principali di omocistinemia e
omocistinuria.
Omocistinuria dovuta a deficit di cistationina -sintetasi. È il più
comune errore congenito del metabolismo della metionina. Circa
il 40% dei pazienti colpiti risponde a dosi elevate di vitamina B6 e
presenta manifestazioni cliniche più lievi rispendo ai soggetti non
responsivi (grazie a un’attività enzimatica residua).
I bambini con questo disturbo appaiono normali alla nascita.
Durante l’infanzia, le manifestazioni cliniche sono aspecifiche e
includono deficit della crescita staturo-ponderale e ritardo dello
sviluppo. La diagnosi è solitamente formulata dopo il terzo anno
di età, in seguito all’insorgenza di una sublussazione del cristallino (ectopia lentis), responsabile di grave miopia e iridodonesi
(tremore dell’iride). In seguito, possono svilupparsi astigmatismo, glaucoma, stafiloma, cataratta, distacco retinico e atrofia
ottica. Il ritardo mentale progressivo è comune, benché alcuni
pazienti preservino un livello intellettivo nella norma. In uno
studio internazionale condotto su 600 pazienti, il range del QI
risultava compreso tra 10 e 135, con i punteggi più elevati che
sono risultati appartenere ai soggetti rispondenti alla terapia con
vitamina B6. Disturbi psichiatrici e comportamentali sono stati
segnalati in 50% dei casi, mentre le convulsioni si riscontrano
nel 20%. I pazienti con omocistinuria manifestano anomalie
scheletriche analoghe a quelle della sindrome di Marfan (vedi
Capitolo 700): solitamente alti e magri, hanno arti allungati e
presentano aracnodattilia. Scoliosi, petto escavato, ginocchio
valgo, piede cavo, palato arcuato e affollamento dentale sono di
comune riscontro. Questi bambini hanno di solito la carnagione
chiara, gli occhi azzurri e presentano il caratteristico eritema
84-92ANA.indd 558
malare. L’osteoporosi generalizzata, in particolare a livello della
colonna vertebrale, costituisce il reperto radiografico principale. Gli episodi trombotici a carico di vasi piccoli e grandi (in
particolare del cervello) sono comuni e possono verificarsi a
qualunque età. Atrofia oculare, paralisi, cor polmonare e grave ipertensione (dovuta agli infarti renali) sono tra le sequele
più gravi del tromboembolismo, causato dai cambiamenti delle
pareti vascolari e dall’aumento dell’adesività delle piastrine secondaria all’incremento dei livelli di omocistina. Il rischio di
tromboembolismo aumenta in seguito a procedure chirurgiche.
Le complicanze rare includono pneumotorace spontaneo e pancreatite acuta.
L’aumento di metionina e omocistina (o omocisteina) nei liquidi corporei costituisce il reperto di laboratorio diagnostico.
La presenza di omocisteina andrebbe verificata nell’urina fresca,
perché questo composto è instabile e tende a scomparire in quella
conservata. La cisteina è assente o molto ridotta nel plasma. La
diagnosi può essere formulata mediante test enzimatico su un
campione di biopsia epatica, mediante coltura di fibroblasti,
colture linfocitarie stimolate con fitoemoagglutinina o analisi
del DNA.
Il trattamento con dosi elevate di vitamina B6 (200-1000 mg/
die) consente un notevole miglioramento nella maggior parte dei
pazienti che rispondono a questa terapia. Il grado di risposta alla
vitamina B6 può variare a seconda delle famiglie. Alcuni pazienti
possono risultare non responsivi a causa di una deplezione di
folato, per cui prima di considerare un paziente non responsivo
è opportuno provare ad aggiungere acido folico (1-5 mg/die) alla
terapia. In questi pazienti non responsivi è consigliata la restrizione dell’assunzione di metionina, associata alla somministrazione di un supplemento di cisteina. L’opportunità delle restrizioni
dietetiche nei soggetti responsivi è una questione controversa;
in alcuni di essi l’aggiunta di betaina può evitare il ricorso alla
dieta. La betaina (trimetilglicina, 6-9 g/die negli adulti o 200-250
mg/kg/die nei bambini) riduce i livelli di omocisteina nei liquidi
corporei, mediante rimetilazione dell’omocisteina a metionina
(vedi Fig. 85-3); ciò può determinare una ulteriore elevazione dei
livelli di metionina plasmatica.
Questo trattamento ha consentito il miglioramento clinico
(prevenzione degli episodi vascolari) in pazienti non responsivi
alla vitamina B6. È stato segnalato un caso di edema cerebrale in
un paziente con omocistinuria non responsivo alla vitamina B6
che non si era attenuto alle restrizioni dietetiche durante la terapia con betaina. La somministrazione di dosi elevate di vitamina
C (1 g/die) migliora la funzione endoteliale, ma gli effetti a lungo
termine non sono noti.
Sono stati descritti oltre 100 casi di gravidanze di donne con
la forma classica di omocistinuria, con esito positivo sia per
la mamma sia per il bambino. Nella maggior parte dei casi, i
bambini erano sani e nati a termine. Gli eventi tromboembolici
postpartum sono rari. Soltanto uno dei 38 pazienti di sesso maschile considerati in questo studio aveva figli normali.
Lo screening neonatale per l’omocistinuria classica indica una
prevalenza mondiale compresa tra 1/200 000 e 1/350 000. Il disturbo sembra più comune nel Nuovo Galles del Sud, in Australia
(1/60 000) e in Irlanda. Il trattamento precoce dei pazienti identificati mediante le procedure di screening ha consentito di ottenere
risultati positivi. In 16 pazienti con la forma non responsiva alla
vitamina B6, sottoposti a trattamento già dalla prima infanzia, il
QI medio era di 94 4. In alcuni casi la terapia sembra consentire la prevenzione della dislocazione del cristallino.
L’omocistinuria è ereditata con modalità autosomica recessiva.
Il gene della cistationina -sintetasi è localizzato sul cromosoma 21q22.3. La diagnosi prenatale è realizzabile mediante test
enzimatico di una coltura di cellule amniotiche, esame dei villi
coriali o analisi del DNA. Diverse mutazioni patogenetiche sono
state identificate in varie famiglie. Nella maggior parte dei casi,
i pazienti colpiti sono doppi eterozigoti per due differenti alleli.
I portatori sani eterozigoti sono solitamente asintomatici e gli
eventi tromboembolici e la malattia coronarica sono più comuni
in questi soggetti rispetto alla popolazione generale.
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Capitolo 85
■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
559
NH2
CH3
Tetraidrofolato
(FH4)
S
(CH2)2 CH
Metionina
COOH
Metioninemia
1
vit B*12
Dimetil
glicino
cblC, D, E, F, G
Metil Cbl
Omocistinuria
CH3
6
N5-Metil
FH4
5,10-Metilene
FH4
S-Adenosilmetionina
S-Adenosilomocisteina
Betaina
2
7
Omocisteina
Omocistinuria
Serina
Omocistinuria
classica
3
Cistationina
Cistationinemia
Acido -chetobutirrico
Omoserina
4
Cisteina
Acido propionico
Glutatione
Taurina
Acido succinico
Sulfito
Deficit di sulfito
ossidasi
5
Solfato
CO2
H2O
Figura 85-3. Vie metaboliche degli amminoacidi contenenti zolfo. Enzimi: (1) metionina adenosiltrasferasi, (2) adenosilomocisteina idrolasi, (3) cistationina
sintetasi, (4) cistationasi, (5) sulfito ossidasi, (6) betaina omocisteina metiltrasferasi, (7) metilene tetraidrofolato reduttasi.
Omocistinuria da difetti nella formazione di metilcobalamina. La
metilcobalamina è il cofattore per l’enzima metionina sintetasi,
che catalizza la rimetilazione dell’omocisteina a metionina.
Esistono per lo meno cinque difetti diversi del metabolismo
intracellulare della cobalamina in grado di interferire con la
formazione di metilcobalamina (per comprendere meglio il metabolismo della cobalamina, vedi l’acidemia metilmalonica, al
Capitolo 85.6 e nelle Figg. 85-3 e 85-4). I cinque difetti sono
designati cblC, cblD, cblE (metionina sintetasi reduttasi), cblG
(metionina sintetatsi) e cblF.
Oltre all’omocistinuria, i pazienti con i difetti cblC, cblD e
cblF presentano anche acidemia metilmalonica, perché risulta
compromessa sia la formazione di adenosilcobalamina sia quella
di metilcobalamina (vedi Capitolo 85.6).
I pazienti con i difetti cblE e cblG non sono in grado di formare
metilcobalamina, perciò sviluppano omocistinuria senza acidemia metilmalonica (vedi Fig. 85-4); in totale, sono stati segnalati
meno di 40 pazienti per ciascuno di questi disturbi.
I pazienti con i diversi tipi di difetti presentano manifestazioni
cliniche analoghe. Nei primi mesi di vita è possibile riscontrare
vomito, disturbi dell’allattamento, letargia, ipotonia e ritardo
dello sviluppo.
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Una delle pazienti con cblG era risultata asintomatica fino ai
21 anni (eccetto per un lieve ritardo dello sviluppo), allorché
aveva sviluppato difficoltà di deambulazione e insensibilità delle
mani.
I reperti di laboratorio includono anemia megaloblastica, omocistinuria e ipometioninemia. La presenza dell’anemia megaloblastica consente di distinguere questi difetti dall’omocitinuria dovuta al deficit di metilenetetraidrofolato reduttasi (vedi oltre). La
presenza di ipometioninemia aiuta a differenziare entrambi questi
disturbi dal deficit di cistationina beta-sintetasi (vedi sopra).
La diagnosi è stabilita sulla base di test di complementazione,
eseguiti in colture di fibroblasti. La diagnosi prenatale è realizzata
mediante esami su colture di cellule amniotiche.
Il gene per cblE (MTRR) è stato localizzato sul cromosoma
5p15.3-p15.2, mentre quello per cblG (MTR) è mappato sul
cromosoma 1q43; sono state descritte diverse mutazioni patogenetiche, inclusa una mutazione comune missense (P1173L) nel
gene MTR.
Il trattamento con vitamina B12, in forma di idrossicobalamina
(1-2 mg/die), è utilizzato per correggere le anomalie biochimiche
e cliniche. I risultati variano a seconda del tipo di difetto e della
consanguineità.
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560
■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
Spazio extracellulare
Sintesi proteica
Mem
bran
a ce
llula
re
CH3
CH3
CH
CH3
CH
COOH
CH3
CH2
NH2
Valina
CH3
CH
CH
COOH
CH3
CH
CH2
NH2
Isoleucina
CH
COOH
Citosol
NH2
Leucina
Leucinaisoleucinemia
Valinemia
(Forma alimentare)
Biotina C N Proteina
O
Degradazione
proteolitica
Acido 2-chetoisovalerico
Malattia delle urine
a sciroppo d’acero
Bioticina
Acido 2-cheto-3-metilvalerico
Tiamina B1
Tiamina B1
Acido 2-chetoisocaproico
Malattia delle urine
a sciroppo d’acero
Tiamina B1
Isovaleril-CoA
Isobutirril-CoA
2-Metilbutirril-CoA
Metacrilil-CoA
Tiglil-CoA
3-Idrossilsobutiril-CoA
2-Metil-3-idrossibutirril-CoA
Acidemia
isovalerica
Deficit
di biotinidasi
3-Metilcrotonil-CoA
CO2
l
so
o
Cit
Acido 3-idrossilisovalerico
Deficit
di 3-metilcrotonil-CoA
carbossilasi
Metilmalonil-CoA
semialdeide
2-Metilacetoacetil-CoA
3-Metilglutaconil-CoA
Aciduria
3-metilglutaconica
Deficit
di -chetotiolasi
CO2
CO2
Biotina
Propionil-CoA
D-Metilmalonil-CoA
Acidemia
propionica
Acido metilcitrico
Biotina
3-Idrossi-3-metilglutaril-CoA
Acidi grassi
a catena dispari
Teonina
Metionina
Colesterolo
Aciduria
3-idrossi-3-metilglutarica-CoA
L-Metilmalonil-CoA
Acido acetoacetico + Acetil-CoA
Acidemia
metilmalonica
cblB
cblA, cblH
Cbl1
Cbl2
MMA
MMA
Adenosil Cbl
Succinil-CoA
Omocistinuria
Metionina
cblG
cblD
CO2 H2O
cblE
MMA HCU
cblC
OHCbl3
Citosol
Mitocondri
Metil Cbl
Cbl2
Acetone
cb
lF
Omocisteina
OH Cbl3
MM
HC A U
TC II
Lisosoma
OHCbl
TC II
Membrana cellulare
Spazio extracellulare
OHCbl3
TC II
Figura 85-4. Vie metaboliche degli amminoacidi a catena ramificata, biotina e vitamina B12 (cobalamina). MMA, acidemia metilmalonica (MethylMalonic Acidemia); HCU, omocistinuria; Cbl, cobalamina; OHCbl, idrossicobalamina; cbl, difetto del metabolismo della cobalamina; TC, transcobalamina.
Omocistinuria da deficit di metilenetetraidrofolato reduttasi
(MTHFR). Questo enzima (MTHFR, MethyleneTetraHydroFolate
Reductase) riduce 5-10 metilenetetraidrofolato per formare 5-metiltetraidrofolato, che fornisce il gruppo metilico necessario per la
rimetilazione dell’omocisteina a metionina (vedi Fig. 85-3).
La gravità del difetto enzimatico e delle manifestazioni cliniche
mutano considerevolmente nelle diverse famiglie. I reperti clinici
variano da apnea, convulsioni, microcefalia, coma e decesso, a
ritardo dello sviluppo, atassia, anomalie motorie e disturbi psichiatrici. Sono stati segnalati casi di malattia vascolare prematura
o neuropatia periferica come uniche manifestazioni del deficit
enzimatico. Malgrado la gravità del deficit, gli adulti possono
risultare del tutto asintomatici. L’esposizione all’ossido nitrico
utilizzato come anestetico (che inibisce la metionina sintasi) in
84-92ANA.indd 560
pazienti con deficit di MTHFR può causare deterioramento neurologico, con conseguente decesso del paziente.
I reperti di laboratorio includono una moderata omocistinemia e
omocistinuria. La concentrazione di metionina è ridotta o normale, consentendo in questo modo di distinguere il disturbo dall’omocistinuria classica, causata dal deficit della cistationina sintasi. L’assenza di anemia megaloblastica differenzia inoltre questa patologia
dall’omocistinuria causata dalla formazione di metilcobalamina
(vedi sopra). In questi pazienti è stato osservato anche tromboembolismo dei vasi. La diagnosi può essere confermata mediante test
enzimatico su colture di fibroblasti o leucociti, oppure in seguito al
riscontro di una mutazione causativa del gene MTHR.
È stato descritto un certo numero di polimorfismi del gene
MTHR. Due di questi (677C T e 1298A C) possono incidere
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Capitolo 85
sui livelli plasmatici di omocisteina e sono stati presi in considerazione come potenziali fattori di rischio per un’ampia gamma
di patologie, tra cui i difetti congeniti, la malattia vascolare, il
cancro, il morbo di Alzheimer. Tali polimorfismi sembrano influire anche sulla probabilità di sopravvivenza in caso di leucemia.
I dati più attendibili attualmente a disposizione suggeriscono un
ruolo del polimorfismo 677C T come fattore di rischio nei
difetti del tubo neurale. Benché il test clinico per il polimorfismo
sia disponibile, il suo valore predittivo nei singoli individui non è
ancora stato determinato. È stato tentato il trattamento dei deficit
gravi di MTHFR con una combinazione di acido folico, vitamina
B6, vitamina B12 e metionina, o con betaina. Il trattamento precoce con quest’ultima sembra il più efficace.
Il disturbo si trasmette con modalità autosomica recessiva;
il gene per l’enzima è stato localizzato sul cromosoma 1p36.3.
Sono state segnalate diverse mutazioni patogenetiche. La diagnosi
prenatale è realizzata misurando l’attività dell’enzima MTHFR in
colture di villi coriali o amniociti, mediante analisi di linkage delle
famiglie informative o analisi del DNA della mutazione.
IPERMETIONINEMIA. L’ipermetioninemia secondaria insorge in
presenza di malattia epatica, tirosinemia di tipo I e omocistinuria classica. Dal momento che è stata riscontrata anche in
lattanti prematuri (e alcuni nati a termine) che ricevevano una
dieta a elevato contenuto proteico, è ipotizzabile che il disturbo sia il risultato di un ritardo nella maturazione dell’enzima
metionina adenosiltrasferasi. Di solito l’anomalia si risolve con
la riduzione dell’apporto proteico. In alcuni pazienti è stata
segnalata la presenza di ipermetioninemia primaria, causata da
un deficit della metionina adenosiltrasferasi epatica (vedi Fig.
85-3). La maggior parte di questi pazienti è stata diagnosticata
nel periodo neonatale grazie allo screening per l’omocistinuria. Gli individui colpiti con attività enzimatica residua restano
asintomatici per tutta la vita, malgrado la persistenza dell’ipermetioninemia. Alcuni lamentano alito cattivo (con caratteristico
odore di cavolo bollito). Un ridotto numero di pazienti con
deficit enzimatico completo presenta anomalie neurologiche collegate alla demielinizzazione (ritardo mentale, distonia, disprassia). Il gene per la metionina adenosiltrasferasi è localizzato sul
cromosoma 10q22; sono state identificate diverse mutazioni
patogenetiche. Anche il deficit di glicina N-metiltrasferasi può
causare ipermetioninemia isolata.
CISTATIONINEMIA (CISTATIONINURIA). La cistationinuria secondaria insorge in pazienti con deficit di vitamina B6 o B12, malattia
epatica (in particolare il danno causato dalla galattosemia), tireotossicosi, epatoblastoma, neuroblastoma, ganglioblastoma o
difetti della rimetilazione a omocisteina. Il deficit di cistationasi
provoca una grave cistationinuria e una cistationinemia da lieve
a moderata; normalmente la cistationina non è rilevabile nel sangue. Il deficit di questo enzima si trasmette con modalità autosomica recessiva e la sua prevalenza è stimata a 1/14 000 di nati vivi.
I soggetti colpiti presentano un’ampia gamma di manifestazioni
cliniche. La mancanza di un quadro clinico coerente e la presenza della cistationinuria in un certo numero di individui normali
suggerisce che il deficit di cistationasi sia privo di un significato
clinico. Per la maggior parte, i casi segnalati rispondono alla somministrazione orale di elevate dosi di vitamina B6 (100 mg/die).
È opportuno instaurare il trattamento non appena formulata la
diagnosi, anche se la sua efficacia resta da dimostrare. Il gene che
codifica per la cistationasi è localizzato sul cromosoma 16.
85.4 • CISTEINA/CISTINA • Iraj Rezvani
La cisteina è un amminoacido non essenziale contenente zolfo,
sintetizzato dalla metionina (vedi Fig. 85-3). In presenza di ossigeno, due molecole di cisteina sono ossidate, per formare la
cistina. I due più comuni disturbi del metabolismo di cisteina/
cistina, la cistinuria e la cistinosi, sono affrontati altrove (vedi
Capitoli 547 e 529.3).
84-92ANA.indd 561
■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
561
DEFICIT DELLA SOLFITO OSSIDASI (DEFICIT DEL COFATTORE MOLIBDENO). Nell’ultima tappa del metabolismo della cisteina, il solfito
è ossidato a solfato dalla solfito ossidasi e questo è escreto nelle
urine (vedi Fig. 85-3). L’enzima richiede un complesso molibdeno-pterina chiamato cofattore molibdeno, il quale è necessario
anche per la funzione di altri due enzimi: la xantina deidrogenasi
(che ossida la xantina e l’ipoxantina in acido urico) e l’aldeide
ossidasi. Tre enzimi, codificati da tre geni differenti localizzati sui
cromosomi 14q24, 6p21.3 e 5q11, sono coinvolti nella sintesi
del cofattore e il deficit di uno qualsiasi di questi enzimi causa il
deficit del cofattore, con fenotipo identico. La maggior parte dei
pazienti ai quali era stato inizialmente diagnosticato un deficit
della solfito ossidasi è risultata invece affetta da un deficit del
cofattore. Entrambe le condizioni sono trasmesse con modalità
autosomica recessiva.
I deficit dell’enzima e del cofattore provocano manifestazioni
cliniche identiche. A qualche settimana dalla nascita si può riscontrare vomito, rifiuto dell’allattamento, convulsioni gravi e
intrattabili (toniche, cloniche, miocloniche) e grave ritardo dello
sviluppo. La dislocazione bilaterale del cristallino è un reperto
comune nei pazienti che sopravvivono al periodo neonatale.
Questi bambini eliminano attraverso le urine grandi quantità
di solfito, tiosolfato, S-sulfocisteina, xantina e ipoxantina. I livelli
sierici e urinari di acido urico e la concentrazione urinaria di
solfato risultano invece diminuiti. Lo screening e le misurazioni
quantitative del solfito andrebbero effettuati utilizzando urina
fresca, perché l’ossidazione a temperatura ambiente può produrre
falsi negativi.
La diagnosi è confermata dalla misura della solfito ossidasi e
del cofattore molibdeno su fibroblasti e biopsia epatica. La diagnosi prenatale è possibile esaminando l’attività della solfito ossidasi in colture di cellule amniotiche o campioni di villi coriali.
Non è disponibile alcun trattamento efficace e la maggior parte
dei pazienti muore entro i primi due anni di vita. La prevalenza
dei due disturbi non è nota.
85.5 • TRIPTOFANO • Iraj Rezvani
Il triptofano è un amminoacido essenziale e un precursore dell’acido nicotinico e della serotonina (Fig. 85-5). Sono stati segnalati
diversi presunti deficit dei vari enzimi coinvolti nel catabolismo
del triptofano, ma nessuna entità clinica distinta è finora emersa. La malattia di Hartnup causa disturbi di assorbimento del
triptofano.
MALATTIA DI HARTNUP. Questo disturbo autosomico recessivo,
che ha preso il nome dalla prima famiglia in cui è stato descritto, consiste in un difetto nel trasporto di amminoacidi monoaminomonocarbossilici (amminoacidi neutri) da parte della
mucosa intestinale o dei tubuli renali. Nella maggior parte dei
casi i bambini con malattia di Hartnup restano asintomatici. La
principale manifestazione clinica nei rari pazienti sintomatici è
la fotosensibilità cutanea. Una moderata esposizione al sole è
sufficiente a provocare arrossamento ed esposizioni prolungate
possono causare eruzioni cutanee simili alla pellagra, talvolta
pruriginose. Può comparire anche un eczema cronico. Le alterazioni cutanee sono state segnalate già in neonati di soli 10 giorni.
Alcuni pazienti possono presentare atassia intermittente, che si
manifesta con andatura instabile e a base allargata e che può
protrarsi per alcuni giorni, sebbene di solito si risolva spontaneamente. Lo sviluppo mentale è generalmente normale, anche se
due membri della prima famiglia segnalata presentavano ritardo
mentale. Sono state osservate alterazioni psicologiche episodiche
solitamente associate agli attacchi di atassia, come irritabilità,
instabilità emotiva, depressione e tendenze al suicidio. In alcuni
pazienti si riscontra bassa statura e glossite atrofica.
La maggior parte dei bambini che hanno ricevuto la diagnosi
di malattia di Hartnup in seguito allo screening neonatale è rimasta asintomatica. Ciò indica che altri fattori sono implicati nella
patogenesi dei sintomi clinici.
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562
■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
Sintesi proteica
NH2
Indolo
CH2
Gut
CH
1
N
Fegato
Indicano
In vitro
BH4
2
BH2
Triptofano
Triptofanemia
PKU* + deficit di serotonina
Serotonina
Melatonina
3
Formilchinurenina
Acido 5-OH-indoloacetico
(5 HIAA)
Blu indigo
“Sindrome del
pannolino blu”
5-OH-triptofano
COOH
Acido nicotinico
Figura 85-5. Via metabolica del triptofano. PKU* indica l’iperfenilalaninemia da deficit di tetraidrobiopterina (vedi Fig. 85-1). Enzimi: (1) triptofano idrossilasi,
(2) L-amminoacido aromatico decarbossilasi (AADC), (3) monoaminaossidasi (MAO).
Il principale reperto di laboratorio è l’aminoaciduria, limitata
agli amminoacidi neutri (alanina, serina, treonina, valina, leucina, isoleucina, fenilalanina, tirosina, triptofano, istidina). L’escrezione urinaria di prolina, idrossiprolina e arginina è normale: un
reperto che consente di distinguere la malattia di Hartnup dalle
altre cause di aminoaciduria generalizzata, come la sindrome di
Fanconi. Le concentrazioni plasmatiche di amminoacidi neutri
sono solitamente normali, ma ciò non deve sorprendere, considerando il fatto che questi amminoacidi sono assorbiti come
dipeptidi e il sistema di trasporto per i piccoli peptidi è integro
nella malattia di Hartnup. In alcuni pazienti si riscontrano grandi
quantità di derivati dell’indolo (specialmente l’indicano), a causa della decomposizione batterica del triptofano non assorbito
nell’intestino.
La diagnosi è stabilita sulla base delle natura intermittente dei
sintomi e dei reperti urinari appena descritti.
Il trattamento con acido nicotinico o nicotinamide (50-300
mg/die) e una dieta a elevato contenuto proteico consentono di
ottenere una risposta favorevole nei pazienti sintomatici. A causa
della natura intermittente delle manifestazioni cliniche, l’efficacia
di questo trattamento è difficile da valutare. La prevalenza del
disturbo è stimata intorno a 1/30 000. Non si segnalano difficoltà
in caso di gravidanza delle pazienti. Il gene per questo disturbo
non è stato ancora identificato.
85.6 • VALINA, LEUCINA, ISOLEUCINA E ACIDEMIE
ORGANICHE COLLEGATE • Iraj Rezvani
e David S. Rosenblatt*
Le prime tappe della degradazione di questi amminoacidi essenziali, a catena ramificata, sono molto simili (vedi Fig. 85-4). I
metaboliti intermedi sono tutti acidi organici e il deficit di uno
qualsiasi degli enzimi di degradazione (fatta eccezione per le
transaminasi) causa acidosi; in tali circostanze, gli acidi organici
prodotti prima del blocco enzimatico si accumulano nei liquidi corporei e vengono infine escreti nell’urina. Questi disturbi
causano acidosi metabolica, solitamente nei primi giorni di vita.
Benché la maggior parte dei reperti clinici sia aspecifica, alcune
manifestazioni possono fornire importanti indicazioni sulla natura del deficit enzimatico.
*David S. Rosenblatt ha contribuito alla sezione dedicata all’acidemia metilmalonica.
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La Figura 85-6 illustra l’approccio clinico in presenza di un neonato con sospetta acidemia organica. La diagnosi definita è solitamente stabilita identificando e misurando specifici acidi organici
nei liquidi corporei (sangue e urine) mediante test enzimatico e
individuazione del gene mutante.
Le acidemie organiche non si limitano ai difetti delle vie cataboliche degli amminoacidi a catena ramificata. I disturbi che
causano un accumulo di altri acidi organici includono quelli derivati dalla lisina (vedi Capitolo 85.13), quelli associati all’acido
lattico (vedi Capitolo 87) e le acidemie dicarbossiliche associate
al catabolismo degli acidi grassi (vedi Capitolo 86.1).
MALATTIA DELLE URINE A SCIROPPO D’ACERO. La decarbossilazione di leucina, isoleucina e valina è realizzata da un complesso
sistema enzimatico (-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata), che utilizza la tiamina pirofosfato (vitamina B1) come
coenzima. Questo enzima mitocondriale è costituito da quattro
sottounità: E1, E1, E2, E3. La sottounità E3 è condivisa con altre
due deidrogenasi, chiamate piruvato deidrogenasi e alfa-chetoglutarato deidrogenasi. Il deficit di questo sistema enzimatico
causa la malattia delle urine a sciroppo d’acero (MSUD, Maple
Syrup Urine Disease) (vedi Fig. 85-4), disturbo che ha preso il
nome dall’inconfondibile odore dolciastro emanato dai liquidi
corporei, in particolare dalle urine. Sulla base dei reperti clinici e
della risposta alla somministrazione di tiamina, sono stati identificati cinque fenotipi della MSUD.
MSUD classica. Questa forma presenta le manifestazioni cliniche più gravi. I lattanti colpiti, normali alla nascita, sviluppano
disturbi dell’allattamento e vomito nel corso della prima settimana di vita, quindi letargia e coma possono insorgere entro qualche
giorno. L’esame obiettivo rivela ipertonia e rigidità muscolare,
con grave opistotono. Periodi di ipertonia possono alternarsi a
fasi di flaccidità. I reperti neurologici sono spesso confusi con la
sepsi generalizzata e la meningite. Può essere presente edema cerebrale, mentre la maggior parte dei lattanti presenta convulsioni
e l’ipoglicemia è comune. A differenza di quanto accade negli
altri stati ipoglicemici, la correzione della glicemia non migliora i
sintomi clinici. I reperti laboratorio sono di solito aspecifici, fatta
eccezione per l’acidosi metabolica. Se non viene trattata, la malattia conduce alla morte nelle prime settimane o mesi di vita.
La diagnosi è speso sospettata a causa dell’odore particolare
emanato da urine, sudore e cerume (vedi Fig. 85-6). L’analisi degli
amminoacidi conferma la marcata elevazione dei livelli plasmatici
di leucina, isoleucina, valina e alloisoleucina (uno stereoisomero
dell’isoleucina che normalmente non si riscontra nel sangue) e
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Capitolo 85
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Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
563
Caratteristiche frequenti
Rifiuto dell’allattamento
Vomito
Acidosi
Disidratazione
Neutropenia
Ipoglicemia
Chetosi
Assenza di manifestazioni cutanee
Chetosi lieve o assente
Manifestazioni cutanee
Deficit multiplo
di carbossilasi*
Assenza di odore
Odore caratteristico
1. Acidemia metilmalonica
2. Acidemia propionica
3. Deficit di chetotiolasi
1. MSUD*
2. Acidemia isovalerica*
1. Aciduria
3-idrossi-3-metilglutarica
2. Deficit di acil CoA
deidrogenasi
3. Deficit di HMG CoA
sintetasi
Figura 85-6. Approccio clinico in presenza di un lattante con acidemia organica. Gli asterischi indicano disturbi nei quali il paziente emana un odore caratteristico
(vedi Tab. 84-21). MSUD, malattia delle urine a sciroppo d’acero.
la carenza di alanina. I livelli di leucina sono di solito più alti
di quelli degli altri tre amminoacidi. L’urina contiene elevate
concentrazioni di leucina, isoleucina, valina e dei rispettivi chetoacidi, che è possibile individuare qualitativamente aggiungendo
all’urina qualche goccia di reagente 2,4-dinitrofenilidrazina (allo
0,1% in 0,1 N HCl); se il test è positivo, si formerà un precipitato
giallastro di 2,4-dinitrofenilidrazone. Durante un episodio acuto,
le tecniche di neuroimaging possono mostrare edema cerebrale,
prominente soprattutto a livello del cervelletto, del tronco cerebrale dorsale, del peduncolo cerebrale e della capsula interna.
Dopo il superamento dello stato acuto e con la crescita, l’imaging
può indicare ipomielinizzazione e atrofia cerebrale. L’attività enzimatica è misurabile nei leucociti e su colture di fibroblasti.
Il trattamento dell’episodio acuto ha come obiettivo l’idratazione e la rapida rimozione degli amminoacidi a catena ramificata e dei loro metaboliti dai tessuti e liquidi corporei. Poiché la
clearance renale di questi composti è scarsa, l’idratazione da sola
può non essere sufficiente a consentire un rapido miglioramento.
La dialisi peritoneale o l’emodialisi è la modalità terapeutica più
efficace nei lattanti gravemente malati e andrebbe avviata tempestivamente. Entro 24 ore dall’esordio del trattamento, si riscontra
solitamente una significativa riduzione dei livelli plasmatici di
leucina, isoleucina e valina. Fornendo al paziente un adeguato
apporto calorico e di nutrienti per via endovenosa o orale, è solitamente possibile correggere lo stato catabolico. Il trattamento
dell’edema cerebrale può richiedere l’utilizzo di mannitolo, furisemide o di una soluzione salina ipertonica.
Il trattamento dopo il superamento della crisi richiede una
dieta a ridotto contenuto di amminoacidi a catena ramificata.
Negli Stati Uniti sono disponibili in commercio alimenti privi
di leucina, isoleucina e valina. Poiché questi amminoacidi non
possono essere sintetizzati endogenamente, piccole dosi andrebbero aggiunte alla dieta, titolandone con precisione la quantità
mediante frequenti analisi dei livelli plasmatici di amminoacidi.
Un disturbo clinico somigliante alla dermatite enteropatica può
insorgere nei bambini con livelli estremamente ridotti di isoleucina, che vanno pertanto aumentati integrandone nella dieta
quantità addizionali, al fine di consentire una guarigione rapida
e completa. I pazienti con MSUD dovrebbero attenersi alla dieta
per tutta la vita. Il trapianto di fegato è stato eseguito in una
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piccola percentuale di bambini con MSUD classica con risultati
promettenti, dal momento che essi si sono rivelati in grado di
tollerare una dieta normale.
La prognosi a lungo termine resta riservata. Una grave chetoacidosi e un edema cerebrale possono insorgere in situazioni stressanti (come infezioni o interventi chirurgici), in particolare durante l’infanzia, mettendo a rischio la sopravvivenza del paziente. I
deficit neurologici e il ritardo mentale sono sequele comuni.
MSUD intermittente. I bambini con questa forma di MSUD, apparentemente sani, sviluppano vomito, odore di sciroppo d’acero,
atassia, letargia e coma durante stati catabolici o di stress come
infezioni o interventi chirurgici. Durante questi attacchi, i reperti
di laboratorio sono indistinguibili da quelli della forma classica
e la prognosi del paziente può essere infausta. Il trattamento
dell’attacco acuto è analogo a quello della MSUD classica. Dopo il superamento della crisi, benché il paziente sia in grado di
tollerare una dieta normale, se ne raccomanda una a ridotto
contenuto di amminoacidi a catena ramificata. Nei soggetti con
questa forma intermittente, l’attività della deidrogenasi è più
elevata rispetto alla forma classica e può raggiungere il 15-20%
dell’attività normale.
MSUD lieve (intermedia). I bambini colpiti sviluppano una forma
lieve della malattia dopo il periodo neonatale. Le manifestazioni
cliniche sono insidiose e limitate al sistema nervoso centrale. I
pazienti presentano ritardo mentale da lieve a moderato (solitamente dopo i 5 mesi di età), con o senza convulsioni. Eliminano
nelle urine moderate quantità di amminoacidi a catena ramificata
e dei loro derivati, dunque emanano un percepibile odore d’acero. Le concentrazioni plasmatiche di leucina, isoleucina e valina
risultano moderatamente aumentate, mentre quelle di lattato e
piruvato sono normali. Nella maggior parte dei casi, la diagnosi
è formulata nel corso di un attacco, quando compaiono i segni e
sintomi della MSUD classica. L’attività della deidrogenasi è ridotta
al 3-30% del normale. Poiché i pazienti con MSUD rispondente
alla tiamina hanno manifestazioni analoghe a quelle evidenziabili
nelle forme lievi, si raccomanda un trial terapeutico con tiamina.
Come nella MSUD classica, il paziente deve sottoporsi a dieta.
MSUD rispondente alla tiamina. Alcuni pazienti con forme lievi o
moderate di MSUD vanno incontro a un miglioramento clinico e
biochimico rilevante se trattati con dosi elevate di tiamina. Alcuni
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PARTE X
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Malattie metaboliche
rispondono a dosi di 10 mg/die, altri richiedono dosi fino a 200
mg/die per almeno 3 settimane. Anche una dieta a basso contenuto di amminoacidi a catena ramificata è necessaria. L’attività
enzimatica è pari al 2-40% del normale.
MSUD da deficit della sottounità E3 (diidrolipoil deidrogenasi). I
pazienti con questo rarissimo disturbo sviluppano acidosi lattica
oltre ai segni e sintomi della MSUD intermedia (perché la sottounità E3 è anche una componente della piruvato deidrogenasi
e dell’-chetoglutarato deidrogenasi). Dopo i due mesi di età, il
coinvolgimento neurologico si manifesta con ipotonia e ritardo
dello sviluppo. I movimenti anomali progrediscono fino all’atassia. Il disturbo può condurre alla morte del paziente nella prima
infanzia.
I reperti di laboratorio includono acidosi lattica persistente,
associata a elevati livelli plasmatici di lattato, piruvato e alanina. Le concentrazioni plasmatiche degli amminoacidi a catena
ramificata risultano moderatamente aumentate. I pazienti eliminano attraverso le urine consistenti quantità di lattato, piruvato,
-glutarato e dei tre chetoacidi a catena ramificata.
Non è disponibile alcun trattamento efficace. Le restrizioni
dietetiche degli amminoacidi a catena ramificata e la somministrazione di elevate dosi di tiamina, biotina e acido lipoico si sono
dimostrate inefficaci.
Genetica e prevalenza della MSUD. Tutte le forme di MSUD
sono ereditate con modalità autosomica recessiva. Il gene per
ciascuna sottounità è localizzato su cromosomi differenti: il gene
E1 si trova sul cromosoma 19q13.1-q13.2; E1 è sul cromosoma
6p22-p21; E2 sul 1p31; E3 sul 7q31-q32. Sono state identificate
diverse mutazioni patogenetiche in pazienti con forme differenti
di MSUD. Un dato fenotipo può essere causato da una varietà
di genotipi. In pazienti con la forma classica, ma con genealogie
differenti, sono state segnalate mutazioni dei geni E1, E1 oppure
E2. Nella maggior parte dei casi i pazienti sono doppi eterozigoti,
che hanno ereditato due differenti alleli mutanti.
La prevalenza è stimata a 1/185 000. La forma classica della
MSUD è più comune nella comunità americana del “Vecchio
ordine dei Mennoniti”, con una prevalenza di 1/358. I pazienti
appartenenti a questa popolazione sono omozigoti per una specifica mutazione (Y394N) nel gene della sottounità E1.
L’individuazione precoce della MSUD è realizzabile mediante
screening neonatale di massa. La diagnosi prenatale è possibile
mediante test enzimatico su colture di amniociti, esame diretto
dei villi coriali o identificazione del gene mutante.
Sono stati descritti diversi casi di gravidanza, con esito positivo, di pazienti con forme differenti di MSUD. Non è stato riscontrato alcun effetto patologico nei figli neonati, mentre episodi di
scompenso metabolico si sono piuttosto verificati nelle madri nel
corso della gravidanza e nel periodo postpartum.
ACIDEMIA ISOVALERICA. Questa rara condizione è causata da un
deficit dell’isovaleril coenzima A (CoA) deidrogenasi (vedi Fig.
85-5).
Le manifestazioni cliniche della forma acuta includono vomito
e grave acidosi nei primi giorni di vita. Letargia, convulsioni e coma possono seguire, causando la morte del paziente se non viene
avviata una terapia adeguata. Il vomito può essere così grave da
suggerire la diagnosi di stenosi del piloro. Può essere presente il
caratteristico odore di “piedi sudati” (vedi Fig. 85-6).
I bambini che sopravvivono a questo episodio acuto soffriranno in seguito della forma intermittente cronica. Esiste anche una
forma più lieve della malattia (forma cronica intermittente), le
cui manifestazioni principali (vomito, letargia, acidosi o coma)
compaiono solo quando il bambino ha alcuni mesi o alcuni anni
di età.
In entrambe le forme, episodi acuti di scompenso metabolico
possono insorgere durante uno stato catabolico, come un’infezione. Sofisticati metodi di screening neonatale hanno consentito
l’identificazione di un fenotipo più lieve, potenzialmente asintomatico; un certo numero di fratelli più grandi di questi neonati
presentava genotipo identico e anomalie biochimiche analoghe,
in assenza di manifestazioni cliniche.
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I reperti di laboratorio durante gli attacchi acuti includono
chetoacidosi, neutropenia, trombocitopenia e occasionalmente
pancitopenia. In alcuni pazienti possono riscontrarsi ipocalcemia,
iperglicemia e iperammoniemia da moderata a grave. L’aumento
del livello plasmatico di ammoniaca può suggerire un difetto del
ciclo dell’urea, ma in questo caso il bambino non risulta acidotico
(vedi Fig. 85-6).
La diagnosi viene stabilita dimostrando la marcata elevazione
dell’acido isovalerico e dei suoi metaboliti (isovalerilglicina, acido
3-idrossiisovalerico) nei liquidi corporei, in particolare nell’urina.
Il principale composto nel plasma è l’isovalerilcarnitina, misurabile su poche gocce di sangue assorbito su carta da filtro. La
misura dell’enzima su colture di fibroblasti consente di confermare la diagnosi.
Il trattamento dell’attacco acuto ha come obiettivo l’idratazione, la correzione dello stato catabolico (fornendo un adeguato
apporto di calorie per via orale o endovenosa), la correzione
dell’acidosi metabolica (mediante infusione di bicarbonato di
sodio) e l’eliminazione dell’acido isovalerico in eccesso. Grazie
all’elevata clearance urinaria dell’isovalerilglicina, la somministrazione di glicina (250 mg/kg/die) contribuisce alla formazione
di isovalerilglicina. Anche la L-carnitina (100 mg/kg/die) incrementa la rimozione di acido isovalerico, formando isovalerilcarnitina, escreta nelle urine. Nei pazienti con iperammoniemia
significativa (ammoniaca nel sangue 200 M) è opportuno
intervenire per ridurre la concentrazione di ammoniaca (vedi
Capitolo 85.11). In caso di fallimento delle misure descritte, è
necessario ricorrere a un’exanguinotrasfusione o a dialisi peritoneale. Dopo il superamento dell’attacco acuto, il paziente deve
attenersi a una dieta a ridotto contenuto proteico (1,0-1,5 g/kg/
die) e assumere integrazione di glicina e carnitina. Nei soggetti
sopravvissuti all’attacco è stata segnalata l’insorgenza di pancreatite (in forma acuta o ricorrente). Un trattamento corretto e
tempestivo consente lo sviluppo normale del bambino.
La diagnosi prenatale può essere realizzata misurando l’isovalerilglicina nel liquido amniotico, mediante test enzimatico su
colture di amniociti o identificazione del gene mutante. Sono stati
descritti diversi casi di gravidanza, con esito positivo sia per la
mamma sia per il bambino. Lo screening neonatale di massa è
attualmente realizzato negli Stati Uniti e in diversi altri Paesi.
L’acidemia isovalerica è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene è localizzato sul cromosoma 15q14-15q15 e sono
state identificate svariate mutazioni patogenetiche. La prevalenza
del disturbo è compresa tra 1/62 500 (in alcune parti della Germania) a 1/250 000 (negli Stati Uniti).
DEFICIT MULTIPLI DI CARBOSSILASI (DIFETTI DI UTILIZZO DELLA
BIOTINA). La biotina è una vitamina solubile in acqua, cofattore
per tutti e quattro gli enzimi carbossilasi: piruvato carbossilasi,
acetil CoA carbossilasi, propionil CoA carbossilasi e 3-metilcrotonil CoA carbossilasi. Gli ultimi due sono coinvolti nelle vie
metaboliche di leucina, isoleucina e valina (vedi Fig. 85-4).
La biotina alimentare è legata alle proteine; la biotina libera
è generata nell’intestino, per azione degli enzimi digestivi, dei
batteri intestinali e forse della biotinidasi. Quest’ultimo enzima,
ritrovato nel siero e in molti tessuti dell’organismo, è essenziale
anche per il riciclo della biotina nel corpo, in quanto la rilascia
dagli apoenzimi (carbossilasi, vedi Fig. 85-4). Per attivare le quattro carbossilasi, la biotina libera deve formare con l’apoproteina
un legame peptidico covalente, catalizzato dalla olocarbossilasi
sintetasi. Il deficit di questo enzima (olocarbossilasi) o della biotidinidasi determina una disfunzione di tutte le carbossilasi, con
conseguente acidemia organica.
Deficit di olocarbossilasi sintetasi (deficit multiplo di carbossilasi,
forma infantile o precoce). I lattanti con questo raro disturbo autosomico recessivo divengono sintomatici nelle prime settimane
di vita, già da qualche ora dopo il parto fino a 21 mesi di età.
Sul piano clinico questi lattanti, normali alla nascita, sviluppano difficoltà di respirazione (tachipnea e apnea), nonché spesso
difficoltà di allattamento, vomito e ipotonia. In caso di mancato
trattamento, insorgono eruzione eritematosa generalizzata con
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Capitolo 85
esfoliazione e alopecia (parziale o totale), deficit nella crescita
staturo-ponderale, irritabilità, convulsioni, letargia e coma. Il
ritardo dello sviluppo è frequente. Il deficit immunologico si manifesta con una suscettibilità alle infezioni. L’urina può emanare
un odore particolare, descritto come simile a quella di gatto.
L’eruzione cutanea, se presente, consente di distinguere questo
disturbo dalle altre forme di acidemia organica (vedi Fig. 85-6).
I reperti di laboratorio includono acidosi metabolica, chetosi,
iperammoniemia e la presenza nei liquidi corporei di un’ampia
gamma di acidi organici, tra cui acido lattico, acido propionico,
acido 3-metilcrotonico, 3-metilcrotonilglicina, tiglilglicina, metilcitrato e acido 3-idrossisovalerico. La diagnosi è confermata
dal test enzimatico su linfociti o coltura di fibroblasti. Di solito
l’enzima mutante presenta un incremento del valore Km per la
biotina; l’attività enzimatica può essere reintegrata con la somministrazione di dosi elevate di biotina.
Il trattamento con biotina (10 mg/die per os) consente di migliorare le manifestazioni cliniche e può correggere le anomalie
biochimiche. La diagnosi e il trattamento precoci sono essenziali
per prevenire i danni neurologici irreversibili. Tuttavia, in alcuni
pazienti non è possibile ottenere una risoluzione completa, nemmeno con dosi elevate di biotina (fino a 80 mg/die).
Il gene dell’olocarbossilasi sintetasi è localizzato sul cromosoma 21q22.1. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in differenti famiglie. La diagnosi prenatale può essere
realizzata tramite la valutazione dell’attività enzimatica su colture
di cellule amniotiche o mediante la misura delle concentrazioni
dei metaboliti intermedi (3-idrossiisovalerato e metilcitrato) nel
liquido amniotico. Donne che avevano già avuto un figlio con
deficit dell’olocarbossilasi sintetasi sono state trattate mediante
somministrazione di biotina nelle fase finale di una nuova gravidanza. I bambini colpiti apparivano normali alla nascita, ma
l’esito a lungo termine del trattamento resta da definire.
Deficit di biotinidasi (deficit multiplo di carbossilasi, forma giovanile o tardiva). L’assenza di biotinidasi determina un deficit di biotina.
I bambini con questo disturbo possono sviluppare manifestazioni
cliniche simili a quelle osservate nel deficit di olocarbossilasi sintetasi, ma i sintomi possono comparire più tardivamente (a qualche
mese o anno di età); sono stati comunque segnalate insorgenze
dei sintomi già nella prima settimana. Di conseguenza, il termine
“tardiva” non si applica a tutti i casi e può risultare fuorviante. Il
ritardo è probabilmente attribuibile alla presenza di una quantità
sufficiente di biotina libera, assunta per via alimentare o derivata
dalla madre. È possibile riscontrare dermatite atopica o seborroica, alopecia, atassia, convulsioni miocloniche, ipotonia, ritardo
dello sviluppo, perdita dell’udito neurosensoriale e immunodeficienza (da anomalie delle cellule T).
In un ridotto numero di bambini che presentava come unici
sintomi una dermatite seborroica intrattabile e un deficit parziale
dell’enzima (15-30% dell’attività preservata), è stata segnalata
una remissione in seguito a somministrazione di biotina. I programmi di screening hanno consentito l’identificazione di adulti e
bambini in cui questo deficit enzimatico non produceva sintomi.
Nella maggior parte dei casi, questi soggetti rivelavano un parziale
deficit dell’attività enzimatica.
I reperti di laboratorio e i livelli degli acidi organici nei liquidi
corporei sono analoghi a quelli riscontrati nel deficit di olocarbossilasi sintetasi (vedi sopra). La diagnosi può essere stabilita
mediante test dell’attività enzimatica nel siero. Un metodo semplificato per lo screening neonatale di massa è attualmente utilizzato
negli Stati Uniti e in molti altri Paesi.
Il trattamento mediante biotina libera (5-20 mg/die) consente
di ottenere un netto miglioramento clinico e biochimico. Questa
terapia è consigliata anche negli individui con deficit parziale di
biotinidasi.
La prevalenza di questo trait autosomico recessivo è stimata a
1/60 000. Il gene per la biotinidasi è localizzato sul cromosoma
3p25; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in
differenti famiglie. La diagnosi prenatale è realizzata mediante
test dell’attività enzimatica su cellule amniotiche o identificazione
del gene mutante.
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Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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Deficit multiplo di carbossilasi da deficit alimentare della biotina.
Un deficit acquisito della biotina può insorgere in neonati che
ricevono una nutrizione parenterale totale priva di integrazione
di biotina, in caso di assunzione a lungo termine di farmaci anticonvulsivanti (fentoina, primidone, carbamazepina), in bambini
con la sindrome dell’intestino corto o diarrea cronica sottoposti
a dieta povera di biotina. Anche un eccessiva ingestione di uova
crude può causare il deficit di biotina, perché la proteina avidina contenuta nell’albume si lega alla biotina, rendendola non
disponibile per l’assorbimento. I bambini con deficit di biotina
sviluppano dermatite, alopecia e infezioni cutanee da candida.
DEFICIT ISOLATO DI 3-METILCROTONIL COA CARBOSSILASI . Questo
enzima è uno delle quattro carbossilasi presenti nel corpo che
richiedono la biotina come cofattore (vedi Fig. 85-4). Il deficit
isolato di questo enzima deve essere distinto dai disturbi del metabolismo della biotina (deficit multiplo di carbossilasi), che causano una diminuzione dell’attività di tutte e quattro le carbossilasi.
La 3-metilcrotonil CoA carbossilasi è un enzima eteromerico
composto dalle sottounità (contenente biotina) e .
Le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili e vanno da un esordio neonatale fatale, con acidosi, grave ipotonia
e convulsioni, alla forma asintomatica nell’adulto. Nella forma
grave, lattanti apparentemente sani sviluppano, in seguito a una
infezione minore, vomito, ipotonia, letargia e convulsioni. L’episodio acuto può causare il decesso del paziente.
I reperti di laboratorio durante gli episodi acuti includono
acidosi da lieve a moderata, chetosi, grave ipoglicemia, iperammoniemia ed elevati livelli sierici di transaminasi epatiche. Nelle
urine si riscontrano notevoli quantità di acido 3-idrossiisovalerico e 3-metilcrotonilglicina. Di solito l’escrezione urinaria di
acido 3-metilcrotonico non risulta aumentata, perché la quantità
di 3-metilcrotonil CoA accumulata è convertita in acido 3-idrossiisovalerico. Il deficit secondario di carnitina è comune. Sul
piano biochimico, questo disturbo deve essere distinto dal deficit
multiplo di carbossilasi (vedi sopra), nel quale, oltre all’acido
3-indrossiisovalerico, si riscontrano acido lattico e metaboliti
dell’acido propionico nei liquidi corporei. La diagnosi può essere
confermata dalla misura dell’attività enzimatica su colture di fibroblasti. Per formulare quella definitiva è necessario dimostrare
la normale attività delle altre carbossilasi.
Si consiglia il trattamento aggressivo degli episodi acuti, mediante idratazione e infusione endovenosa di glucosio e alcalinizzanti. Questi pazienti non rispondono alla terapia con biotina. I
soggetti che in precedenti segnalazioni si erano rivelati responsivi,
probabilmente soffrivano di un deficit multiplo di carbossilasi da
deficit di biotinidasi (vedi sopra). Il trattamento a lungo termine
prevede una dieta con restrizione della leucina, la somministrazione orale di L-carnitina (75-100 mg/kg/die) e la prevenzione
degli stati catabolici. In questi pazienti si prevede una crescita e
uno sviluppo normali.
Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il
gene per la sottounità (MCC1) è localizzato sul cromosoma
3q25-27, mentre il gene per la sottounità (MCC2) si trova sul
cromosoma 5q12-13. Mutazioni in uno dei due geni determinano
il deficit dell’attività enzimatica. Fenotipi simili possono essere causati da genotipi differenti. In entrambi i geni sono state riscontrate
diverse mutazioni patogenetiche in differenti famiglie. Programmi
di screening neonatale basati sulla spettrometria di tandem massa
hanno consentito l’identificazione di un numero inaspettatamente
elevato di bambini con deficit di 3-metilcrotonil CoA carbossilasi
(1:50 000); secondo questi dati, questa condizione è una delle
acidemie organiche più comuni in alcune popolazioni.
ACIDURIA 3-METILGLUTACONICA. Sono noti almeno tre disturbi
ereditari associati a una eccessiva escrezione nelle urine di acido
3-metilglutaconico. Il deficit dell’enzima 3-metilglutaconil CoA
idratasi (vedi Fig. 85-4) è stato documentato in una sola patologia
(tipo I). Nelle altre due forme, l’attività enzimatica risulta normale, malgrado una modesta aciduria 3-metilglutaconica.
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PARTE X
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Malattie metaboliche
Aciduria 3-metilglutaconica di tipo I (deficit di 3-metilglutaconil
CoA idratasi) (vedi Fig. 85-4). Questo raro disturbo autosomico
recessivo si manifesta con ritardo del linguaggio, movimenti coreoatetoidi, atrofia ottica, lieve ritardo psicomotorio e sviluppo di acidosi metabolica durante uno stato catabolico. Sono
stati segnalati casi di adulti asintomatici. I pazienti eliminano
attraverso le urine grandi quantità di acido 3-metilglutaconico e
moderate quantità di acido 3-idrossivalerico e 3-metilglutarico.
Il deficit di 3-metilglutaconil CoA idratasi è stato evidenziato
anche su colture di fibroblasti e linfoblasti. È stato suggerito il
trattamento con una dieta a ridotto contenuto proteico, ma i
suoi benefici terapeutici sul corso clinico della malattia restano
da dimostrare. La somministrazione di L-carnitina si è rivelata
efficace in un paziente. Il gene per l’enzima (AUH) è localizzato
sul cromosoma 9.
Aciduria 3-metilglutaconica di tipo II (cardiomiopatia legata all’X,
neutropenia, ritardo della crescita, e aciduria 3-metilglutaconica con
3-metilglutaconil CoA idratasi, sindrome di Barth). Le manifestazioni
cliniche di questo disturbo, che solitamente emerge poco dopo
la nascita, includono cardiomiopatia dilatativa (che si manifesta
con distress respiratorio e insufficienza cardiaca), ipotonia, ritardo della crescita e neutropenia da grave a moderata. In alcuni
pazienti è stata segnalata una lieve aciduria lattica e/o ipoglicemia. Se il paziente sopravvive all’infanzia, può evidenziarsi un
miglioramento relativo dei sintomi nel corso della crescita. Lo
sviluppo cognitivo è solitamente normale, malgrado il ritardo
della funzione motoria.
I reperti di laboratorio includono un aumento da lieve a moderato dell’escrezione urinaria degli acidi 3-metilglutaconico,
3-metilglutarico e 2-etilidracrilico. La neutropenia è un reperto
comune. In alcuni pazienti è stata segnalata la presenza di acidosi
lattica, ipoglicemia e anomalie della ultrastruttura mitocondriale.
Contrariamente alla aciduria 3-metilglutaconica di tipo I, l’escrezione urinaria di acido 3-idrossiisovalerico non risulta elevata. La
cardiolipina totale e le sue diverse sottoclassi sono molto ridotte
in colture di fibroblasti del derma. Questi dati contribuiscono alla
formulazione della diagnosi. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene si trova sul cromosoma Xq28;
sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. L’attività
dell’enzima 3-metilglutaconil CoA idratasi è normale. La ragione
dell’aumentata escrezione degli acidi organici citati non è nota,
né risulta disponibile alcun trattamento efficace.
Aciduria 3-metilglutaconica di tipo III (sindrome dell’atrofia ottica di
Costeff). Le manifestazioni cliniche includono una precoce atrofia
ottica e il successivo sviluppo di movimenti coreoatetoidi, spasticità, atassia, disartria e lieve ritardo dello sviluppo. Tutti i pazienti
segnalati (eccetto uno) sono ebrei di origine irachena abitanti
in Israele. Questi soggetti eliminano moderate quantità di acido
3-metilglutaconico e 3-metilglutarico. Come nella forma di tipo
II, la ragione dell’aumentata escrezione di questi acidi organici
non è nota. L’attività dell’enzima 3-metilglutaconil CoA idratasi
risulta normale. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica
recessiva. Il gene responsabile (OPA3) si trova sul cromosoma
19q13.2-13.3. Non è disponibile alcun trattamento efficace.
DEFICIT DI ␤-CHETOTIOLASI (DEFICIT DI ACETOACETIL COA TIOLASI
MITOCONDRIALE). Questo enzima mitocondriale reversibile scinde 2-metilacetoacetil CoA (vedi Fig. 85-4) o acetoacetil in una
Acidi grassi
Amminoacidi
chetogenici
Glucosio
3-Idrossibutirato
Acetil-CoA + Acetil-CoA
via
del citrato
Acetil CoA + Acetil CoA
Acetoacetato
Succinil-CoA
Deficit
SCOT
1
4
CoASH
Acetoacetil-CoA
CoASH
Acetoacetil-CoA
Acetil-CoA
2
Acetil-CoA
3-idrossi-3-metilglutaril-CoA
(HMG-CoA)
3-idrossi-3-metilglutaril-CoA
(HMG-CoA)
3
6
Succinato
Acetoacetil-CoA
Sangue
Deficit
di tiolasi
1
CoASH
Acetil-CoA + Acetil-CoA
CoA
Acido mevalonico
5
Acetoacetato
Aciduria
mevalonica
Acido 5-fosfomevalonico
Acetone
Ciclo di Krebs
3-indrossibutirato
CO2 H 2O
Membrana mitocondriale
Citosol
Colesterolo
Tessuto periferico
Membrana mitocondriale
Reni
Citosol
Fegato
Urina
Polmoni
Aria
Figura 85-7. Formazione (nel fegato) e metabolismo (nei tessuti periferici) dei corpi chetonici e sintesi del colesterolo. Enzimi: (1) acetoacetil CoA tiolasi mitocondriale, (2) HMG-CoA sintasi, (3) HMG-CoA liasi, (4) acetoacetil CoA tiolasi citosolica, (5) chinasi mevalonica, (6) succinil CoA:3-chetoacido CoA trasferasi
(SCOT).
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Capitolo 85
direzione e sintetizza questi composti in una reazione inversa
(Fig. 85-7).
Le manifestazioni cliniche sono piuttosto variabili e spaziano
dalla forma asintomatica nell’adulto a gravi episodi di acidosi
nelle prime settimane di vita. I bambini colpiti presentano episodi intermittenti di chetosi e acidosi apparentemente inspiegabili,
che solitamente si verificano dopo un’infezione intercorrente e
rispondono rapidamente a una terapia endovenosa con liquidi o
bicarbonato. Durante gli attacchi può presentarsi anche iperammoniemia da lieve a moderata. In casi isolati sono state segnalate
sia ipoglicemia sia iperglicemia. Il bambino può risultare del
tutto asintomatico tra un episodio e l’altro e riesce a tollerare
una dieta con apporto proteico normale. Lo sviluppo mentale è
normale nella maggior parte dei casi. Gli episodi possono essere
erroneamente diagnosticati come un avvelenamento da salicilato,
a causa delle similitudini tra i reperti clinici e per l’interferenza
degli elevati livelli ematici di acetoacetato con il metodo colorimetrico al salicilato.
I reperti di laboratorio durante gli attacchi acuti includono acidosi, chetosi e iperammoniemia. L’urina contiene grandi quantità
di 2-metilacetoacetato (e il suo prodotto della decarbossilazione,
il butanone), 2-metil-3-idrossibutirato e tiglilglicina. Concentrazioni più basse di questi metaboliti urinari persistono durante i
periodi di apparente remissione dei sintomi. Può essere presente
anche una lieve iperglicinemia. I reperti clinici e biochimici andrebbero differenziati da quelli evidenziabili nel caso di acidemia
propionica o metilmalonica (vedi oltre). La diagnosi può essere
stabilita mediante test enzimatico su colture di fibroblasti o identificazione del gene mutante.
Il trattamento degli episodi acuti prevede idratazione e infusione di bicarbonato per correggere l’acidosi, mentre per lo
stato catabolico può essere usata una soluzione di glucosio al
10% con gli elettroliti appropriati e lipidi endovena. La terapia
a lungo termine prevede la restrizione dell’assunzione di proteine
(1-2 g/kg/die). Si raccomanda anche la somministrazione orale di
L-carnitina (50-100 mg/kg/die) per prevenire un deficit secondario di carnitina. La prognosi a lungo termine sembra favorevole
e questi pazienti sono in grado di condurre una vita normale. Tre
dei pazienti segnalati hanno terminato il liceo e uno si è iscritto
all’università, pure se le anomale concentrazioni dei metaboliti
nei liquidi corporei permanevano in tutti loro. Sono state inoltre
descritte gravidanze con esito positivo sia per la mamma sia per
il bambino.
La patogenesi della chetosi in questo disturbo non è ancora
stata chiarita, perché in presenza di tale deficit enzimatico ci si
aspetterebbe piuttosto una compromissione della formazione di
chetoni (vedi Fig. 85-7). È ipotizzabile che l’acetoacetil CoA in
eccesso prodotto da altre fonti venga usato come substrato per la
sintesi di 3-idrossi-3-metilglutaril (HMG, Hydroxy MethylGlutaryl) CoA nel fegato.
Questo disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva.
La sua prevalenza potrebbe risultare superiore a quella stimata
attualmente. Il tasso più elevato si riscontra in Tunisia. Il gene
(ACAT1) per questo enzima (T2) è localizzato sul cromosoma
11q22.3-23.1.
DEFICIT DI ACETOACETIL COA TIOLASI CITOSOLICA. Questo enzima
catalizza la produzione citosolica di acetoacetil CoA da due moli
di acetil CoA (vedi Fig. 85-7). L’acetoacetil CoA citosolico è il
precursore della sintesi del colesterolo epatico. L’acetoacetil CoA
tiolasi citosolica è un enzima completamente diverso dalla tiolasi
mitocondriale (vedi sopra e Fig. 85-4). Le manifestazioni cliniche
in questa rara forma di deficit enzimatico sono simili a quelle
riscontrate nei pazienti con acidemia mevalonica (vedi oltre).
Nei primi mesi di vita si manifestano un ritardo dello sviluppo
grave e progressivo, una ipotonia e un movimento coreoatetoidi.
I reperti di laboratorio sono aspecifici; nel sangue e nelle urine
è possibile riscontrare elevati livelli di lattato, piruvato, acetoacetato e 3-idrossibutirato, tuttavia un paziente presentava una
concentrazione normale di acetoacetato e 3-idrossibutirato. La
diagnosi può essere stabilita dimostrando la presenza di un deficit
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■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
567
nell’attività della tiolasi citosolica su biopsia epatica, fibroblasti
in coltura o analisi del DNA. Non è disponibile alcun trattamento
efficace. Il gene di questo disturbo è localizzato sul cromosoma
6q25.3-q26.
Deficit di 3-idrossi 3-metilglutaril (HMG) CoA sintasi. Questo enzima catalizza la sintesi, nei mitocondri, di HMG-CoA a partire
dall’acetoacetil CoA. Si tratta di una tappa critica della sintesi dei
chetoni nel fegato (vedi Fig. 85-7). È stato segnalato un numero
molto ridotto di pazienti con questo deficit e l’esordio e l’esito
della malattia risultavano simili nelle totalità dei casi. L’età di
presentazione era compresa tra 18 mesi e 6 anni, con tutti i
bambini asintomatici fino all’insorgenza dell’episodio acuto e
in seguito normali dopo la sua conclusione (fatta eccezione per
una lieve epatomegalia con infiltrazione adiposa). In nessuno
dei pazienti si era verificato un secondo episodio, probabilmente
grazie alle misure preventive adottate per evitare il digiuno prolungato durante periodi di malattia successivi. L’epatomegalia
era riscontrata nella totalità dei pazienti. I reperti di laboratorio
includevano ipoglicemia, acidosi con chetosi lieve o assente, alterazioni della funzione epatica e una grave aciduria dicarbossilica.
I reperti clinici e di laboratorio sono facilmente confondibili con
quelli dei pazienti con difetti del metabolismo degli acidi grassi
(vedi Capitolo 86.1) ma, a differenza di questi ultimi, i pazienti
con deficit di HMG-CoA sintetasi hanno concentrazioni ematiche di acilcarnitina coniugata nella norma. In questi soggetti, le
anomalie cliniche e metaboliche precedentemente descritte sono
scatenate dal digiuno.
Il trattamento consiste nel garantire un apporto calorico adeguato e nell’evitare prolungati periodi di digiuno. Non è necessaria la riduzione dell’apporto proteico.
Il difetto è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il
gene è localizzato sul cromosoma 1p13-p12; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. La presenza di questo
deficit, probabilmente più comune di quanto risulti attualmente, andrebbe sospettata in tutti i bambini con ipoglicemia a
digiuno.
ACIDURIA 3-IDROSSI-3-METILGLUTARICA. Questa malattia è dovuta a un deficit di HMG-CoA liasi (vedi Fig. 85-4), l’enzima limitante che catalizza la conversione di HMG-CoA in acetoacetato
nella chetogenesi (vedi Fig. 85-7).
Sul piano clinico oltre il 60% dei pazienti diviene sintomatico tra i 3 e gli 11 mesi, mentre il 30% circa sviluppa i
sintomi nei primi giorni di vita. È stato segnalato il caso di
un bambino rimasto asintomatico fino ai 15 anni. Episodi di
vomito, grave ipoglicemia, ipotonia, acidosi con chetosi lieve o
assente e deidratazione, si verificano spesso durante uno stato
catabolico come il digiuno o un’infezione intercorrente, possono condurre rapidamente a letargia, atassia e coma. L’epatomegalia è comune. Queste manifestazioni possono essere
erroneamente diagnosticate come sindrome di Reye o deficit
di acil CoA deidrogenasi a catena media (MCAD). I pazienti
sono solitamente asintomatici fra un attacco e l’altro. È stato
segnalato il caso di un bambino di 7 mesi deceduto durante
una malattia febbrile a causa di una cardiomiopatia acuta. Lo
sviluppo è solitamente normale, ma in pazienti con prolungati
episodi di ipoglicemia sono stati riscontrati ritardo mentale e
convulsioni, associati ad anomalie della sostanza bianca (evidenziabili con la RM).
I reperti di laboratorio includono ipoglicemia, iperammoniemia da moderata a grave e acidosi. La chetosi è lieve o assente
(vedi Fig. 85-7). Si riscontra un notevole aumento dell’escrezione
urinaria di acido 3-idrossi-3-metilglutarico e di altri metaboliti
intermedi prossimali del catabolismo della leucina (acidi 3-metilglutaconico e 3-idrossiisovalerico). Questi acidi organici sono
escreti nelle urine come carnitina coniugata, causando un deficit
secondario di carnitina. Durante gli attacchi acuti, anche i livelli
degli acidi glutarico e adipico possono risultare aumentati nelle
urine. La diagnosi è confermata mediante misurazione dell’attività enzimatica su amniociti in coltura, biopsia dei villi coriali o
analisi del DNA.
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■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
Il trattamento degli episodi acuti include idratazione, infusione
di glucosio per controllare l’ipoglicemia, un corretto apporto
calorico e la somministrazione di bicarbonato per correggere
l’acidosi. L’iperammoniemia deve essere trattata tempestivamente
(vedi Capitolo 85.11) e nei casi gravi possono essere necessarie
l’exanguinotrasfusione e la dialisi peritoneale. La gestione a lungo
termine prevede una dieta con restrizione dell’apporto di proteine
e grassi. La somministrazione orale di L-carnitina (50-100 mg/kg/
die) previene l’insorgenza di un deficit secondario di carnitina. È
opportuno evitare digiuni prolungati. È stato segnalato il caso di
un bambino deceduto in seguito a un’immunizzazione di routine.
Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene
per la HMG-CoA liasi è localizzato sul cromosoma 1pter-p33;
sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie
differenti. Il difetto genetico risulta più comune nella popolazione
araba, in particolare in Arabia Saudita.
DEFICIT DI SUCCINIL COA:3-CHETOACIDO COA TRASFERASI. Questo
enzima è necessario per il metabolismo dei corpi chetonici (acetoacetato e 3-idrossibutirato) nei tessuti periferici (vedi Fig. 85-7).
Il suo deficit determina la sottoutilizzazione e l’accumulo di corpi
chetonici e chetoacidosi. Finora è stato segnalato un numero
molto ridotto di pazienti con questo deficit, ma è possibile che
molti casi non vengano diagnosticati.
La malattia si presenta con un episodio acuto di grave e inspiegabile acidosi e chetonuria in un bambino precedentemente
normale. L’esordio avviene nella prima settimana di vita nel 50%
dei pazienti ed entro i due anni nella totalità dei casi. L’episodio
acuto è spesso scatenato da un’infezione intercorrente o da uno
stato catabolico e può causare il decesso del paziente. Di solito,
una chetosi cronica subclinica persiste tra un attacco e l’altro. Lo
sviluppo è abitualmente normale.
I reperti di laboratorio durante l’episodio acuto sono aspecifici
e includono acidosi metabolica e chetonuria, con elevati livelli
di acetoacetato e 3-idrossibutirato nel sangue e nelle urine, dove
non è riscontrato nessun altro acido organico. La glicemia è solitamente normale, ma in due neonati con grave acidosi è stata
segnalata ipoglicemia. Gli amminoacidi plasmatici sono di solito
normali. La diagnosi può essere stabilita dimostrando il deficit
dell’attività enzimatica su fibroblasti in coltura o mediante analisi
del DNA.
Il trattamento degli episodi acuti prevede idratazione, correzione dell’acidosi e controllo dell’apporto calorico mediante una
dieta specifica. Il trattamento a lungo termine include la prevenzione degli stati catabolici e una dieta a elevato contenuto di
carboidrati. Questa diagnosi dovrebbe essere presa in considerazione in presenza di un bambino con chetoacidosi inspiegabile. La
malattia è trasmessa con modalità autosomica recessiva. Il gene
per l’enzima è localizzato sul cromosoma 5p13; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie differenti.
ACIDURIA MEVALONICA. L’acido mevalonico, metabolita intermedio nella sintesi del colesterolo, è convertito in acido 5-fosfomevalonico attraverso l’azione dell’enzima mevalonato chinasi (vedi
Fig. 85-7). Sono state riconosciute due forme sulla base delle
manifestazioni cliniche.
Aciduria mevalonica, forma grave. Le manifestazioni cliniche includono ritardo mentale, deficit nella crescita staturo-ponderale,
ritardo dello sviluppo, ipotonia, atassia, epatosplenomegalia,
cataratta e dismorfismo facciale (dolicocefalia, fronte ampia,
orecchie a basso impianto, taglio degli occhi rivolto verso il
basso, ciglia lunghe). In tutti i pazienti sono state osservate crisi
ricorrenti caratterizzate da febbre, vomito, diarrea, artralgia, edema, linfoadenopatia, ingrossamento di fegato e milza, eruzione
morbilliforme. Questi episodi durano 4-5 giorni e ricorrono fino
a 25 volte l’anno. Durante una crisi può anche sopraggiungere
la morte.
I reperti di laboratorio includono una marcata elevazione del
livello di acido mevalonico nelle urine, la cui concentrazione può
raggiungere 56 000 mole/mole di creatinina (il valore normale
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è 0,3). Anche i livelli plasmatici di acido mevalonico risultano
significativamente aumentati (fino a 54 mole/dL; valore normale
0,004) ed è l’unico acido organico presente in concentrazioni
anomale. Il suo livello aumenta ulteriormente durante le crisi e
tende a essere correlato con la gravità della malattia. La concentrazione sierica di colesterolo è normale o solo leggermente
ridotta, mentre quella di creatina chinasi è nettamente aumentata.
Il tasso di sedimentazione e il livello sierico di 4-leucotriene aumentano durante le crisi. La RM cerebrale rivela una progressiva
atrofia del cervelletto.
La diagnosi può essere confermata dalla valutazione dell’attività enzimatica della mevalonato chinasi su linfociti o fibroblasti in
coltura. Non è disponibile alcuna terapia efficace. Il trattamento
con dosi elevate di prednisone (2 mg/kg/die) consente di ottenere
un certo miglioramento durante le crisi acute. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva. La diagnosi prenatale
è realizzabile mediante la misura dell’acido mevalonico nel liquido amniotico, la valutazione dell’attività enzimatica su colture
di amniociti o villi coriali o l’individuazione del gene mutante.
Il gene per la mevalonato chinasi è localizzato sul cromosoma
12q24.
Febbre periodica con iperimmunoglobulinemia D (aciduria mevalonica, forma lieve). Alcune mutazioni del gene della mevalonato
chinasi causano un lieve deficit dell’enzima, determinando un
quadro clinico di febbre periodica con iperimmunoglobulinemia
D. I pazienti hanno periodici attacchi febbrili, associati a dolore addominale, vomito, diarrea, artralgia, artrite, epatosplenomegalia, linfoadenopatia ed eruzione morbilliforme (petecchie
e porpora nei casi più gravi), che solitamente compare entro
il primo anno di età. Gli attacchi possono essere scatenati da
vaccinazioni, traumi minori o stress; di solito si verificano ogni
1-2 mesi e durano 2-7 giorni. Tra un attacco e l’altro il paziente è asintomatico. L’elevazione dell’immunoglobulina D sierica
(IgD) costituisce il reperto di laboratorio diagnostico; anche l’IgA
risulta aumentata nell’80% dei pazienti. Durante gli attacchi
acuti è possibile riscontrare leucocitosi, aumento della proteina
C-reattiva e lieve aciduria mevalonica. L’elevata concentrazione
sierica di IgD consente di distinguere questa malattia dalla febbre
mediterranea familiare.
Il trattamento degli attacchi acuti è sintomatico. La malattia è
ereditata con modalità autosomica recessiva; la prevalenza è più
elevata nei Paesi dell’Europa occidentale (il 60% dei pazienti è
francese o olandese). L’attività enzimatica è solitamente ridotta
al 5-15% del normale. La patogenesi del disturbo non è stata ancora chiarita. Sono state identificate diverse mutazioni del
gene (localizzato sul cromosoma 12q24), ma una in particolare
(V3771) è presente nell’80% dei pazienti. La prognosi a lungo
termine è solitamente buona, ma in alcuni casi si è riscontrato lo
sviluppo di amiloidosi.
ACIDEMIA PROPIONICA (DEFICIT DI PROPIONIL COA CARBOSSILASI). L’acido propionico è un metabolita intermedio del catabolismo di isoleucina, valina, treonina, metionina, acidi grassi a
catena dispari e colesterolo. Normalmente è carbossilato ad acido
metilmalonico dall’enzima mitocondriale propionil CoA carbossilasi, che richiede il cofattore biotina (vedi Fig. 85-4). L’enzima
è composto dalle due sottounità non identiche e e la biotina
si lega all’.
I reperti clinici sono aspecifici. Nella forma grave i pazienti
sviluppano sintomi nei primi giorni o settimane di vita. I sintomi
iniziali (disturbi dell’allattamento, vomito, ipotonia, letargia, disidratazione e segni clinici di grave chetoacidosi) progrediscono
rapidamente, fino al coma e alla morte. Le convulsioni si riscontrano nel 30% dei bambini colpiti. Se il bambino sopravvive al
primo attacco, episodi analoghi tendono a verificarsi a causa di
infezioni intercorrenti o costipazione o in seguito a una dieta
a elevato contenuto di proteine. Nei bambini sopravvissuti a
diversi attacchi si riscontrano comunemente un ritardo mentale
da moderato a grave e anomalie neurologiche come distonia,
coreoatetosi, tremore e segni piramidali. Nelle forme più lievi il
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Capitolo 85
bambino può presentare ritardo mentale in assenza di attacchi
acuti di chetosi. Alcuni pazienti manifestano episodi di grave
e inspiegabile chetoacidosi, separati da periodi apparentemente asintomatici. Lo screening neonatale di massa ha consentito
l’identificazione di forme più lievi della malattia; alcuni di questi bambini risultavano del tutto asintomatici al momento della
diagnosi. La gravità delle manifestazioni cliniche può variare
nell’ambito di una stessa famiglia: è stato per esempio segnalato
il caso di un bambino diagnosticato a 5 anni, mentre la sorella
tredicenne risultava del tutto asintomatica malgrado presentasse
un identico deficit enzimatico.
I reperti di laboratorio durante l’attacco acuto includono grave
acidosi metabolica con importante gap anionico, chetosi, neutropenia, trombocitopenia e ipoglicemia. L’iperammoniemia da
moderata a grave è comune, ma la sua patogenesi non è stata
ancora chiarita con precisione. L’ammoniemia è solitamente correlata alla gravità del disturbo. Nei pazienti che hanno ricevuto
la diagnosi, la misura dell’ammoniemia plasmatica contribuisce a
pianificare la strategia terapeutica durante gli episodi di esacerbazione. Anche l’iperglicinemia è di riscontro comune. L’elevazione
dei livelli plasmatici e urinari di glicina è stata osservata pure in
pazienti con acidemia metilmalonica. Prima dell’identificazione
degli specifici enzimi in causa, questi disturbi erano complessivamente definiti iperglicinemia chetotica. Nei bambini con acidemia propionica si riscontra una marcata elevazione plasmatica e
urinaria delle concentrazioni di acido propionico e acido metilcitrico (probabilmente derivati dalla condensazione di propionil
CoA con l’acido ossoacetilico). Nell’urina sono presenti anche
l’acido 3-idrossipropionico, la propionilglicina e altri metaboliti
intermedi del catabolismo dell’isoleucina, come l’acido tiglico, la
tigliglicina e l’acido 2-metiloacetoacetico. Tra un attacco acuto e
l’altro può persistere una moderata elevazione dei livelli ematici
di ammoniaca, glicina e degli acidi organici precedentemente
menzionati. La RM e la TC cerebrali possono rivelare atrofia
cerebrale, demielinizzazione e anomalie del globo pallido e dei
gangli basali. Tali reperti sono il risultato di infarti pregressi
causati da accidenti vascolari cerebrali, che possono verificarsi
durante episodi acuti di scompenso metabolico. Tale complicanza (infarto metabolico) può avere luogo anche in pazienti con
altri tipi di acidemia organica e costituisce la principale causa di
sequele neurologiche.
La diagnosi differenziale di acidemia propionica è con deficit
multipli di carbossilasi (vedi sopra e Fig. 85-6). Quest’ultima patologia si presenta con manifestazioni cutanee e con l’escrezione
di grandi quantità di acido lattico, acido 3-metilcrotonico e acido
3-idrossiisovalerico, oltre all’acido propionico. La presenza di
iperammoniemia può suggerire un difetto genetico degli enzimi
del ciclo dell’urea, ma in quest’ultimo caso solitamente i bambini
non presentano acidosi (vedi Fig. 84-1). La diagnosi definitiva
di acidemia propionica può essere stabilita misurando l’attività
enzimatica su colture di leucociti o fibroblasti.
Il trattamento degli attacchi acuti include idratazione, correzione dell’acidosi e miglioramento dello stato catabolico mediante il controllo dell’apporto calorico con una iperalimentazione
parenterale. Già nella fase iniziale del trattamento è opportuno
aggiungere alla soluzione per l’iperalimetazione una quantità minima di proteine (0,25 g/kg/die), scegliendo preferibilmente quelle
deficitarie nei precursori del propionato.
Per prevenire l’eventuale produzione di acido propionico da
parte dei batteri intestinali, si consiglia la sterilizzazione della
flora del tratto intestinale mediante somministrazione orale di antibiotici (neomicina o metronidazolo). Anche la costipazione deve
essere trattata. I pazienti con acidemia propionica possono sviluppare un deficit di carnitina, probabilmente in seguito all’escrezione urinaria di propionilcarnitina formata dall’acido organico
accumulato. La somministrazione di L-carnitina (50-100 mg/
kg/die per via orale, oppure 10 mg/kg/die per via endovenosa)
normalizza l’ossidazione degli acidi grassi e migliora l’acidosi. In
pazienti con iperammoniemia concomitante, è opportuno ricorrere a misure che riducano l’ammoniemia (vedi Capitolo 85.11).
I pazienti con grave acidosi e iperammoniemia richiedono la
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■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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dialisi peritoneale o l’emodialisi, per rimuovere efficacemente
l’ammoniaca e gli altri composti tossici. Benché i neonati con
acidemia propionica vera rispondano raramente alla biotina, nel
corso del primo attacco si consiglia la somministrazione orale
del composto (10 mg/die), da proseguire fino alla formulazione
della diagnosi.
Il trattamento a lungo termine prevede una dieta a ridotto
contenuto di proteine (1,0-1,5 g/kg/die) e la somministrazione
orale di L-carnitina (50-100 mg/kg/die). Proteine di sintesi deficitarie nei precursori del propionato (isoleucina, valina, metionina
e treonina) possono essere usate per aumentare la quantità di
proteine nella dieta (fino a 1,5-2,0 g/kg/die), con una conseguente
modifica minima nella produzione di propionato. Tuttavia, una
quantità eccessiva di queste proteine può causare un deficit degli
amminoacidi essenziali, per evitare il quale l’apporto dietetico
dovrebbe essere costituito prevalentemente da proteine naturali
(50-70%). Alcuni pazienti possono richiedere una terapia alcalina cronica per correggere l’acidosi cronica. Poiché la concentrazione di ammoniaca nel sangue tende a normalizzarsi fra un
attacco e l’altro, il trattamento cronico dell’iperammoniemia non
è solitamente necessario. Gli stati catabolici che possono scatenare gli episodi acuti (infezioni, costipazione) devono essere trattati
in maniera tempestiva e aggressiva. Per garantire al paziente una
dieta equilibrata, è necessario un attento monitoraggio del pH
ematico, della concentrazione degli amminoacidi, del contenuto
urinario di propionato e dei suoi metaboliti, nonché dei parametri
di crescita.
La prognosi a lungo termine resta riservata. Attacchi acuti
particolarmente gravi possono causare la morte del paziente.
Uno sviluppo psicomotorio normale è possibile, sopratutto nelle
forme lievi identificate tempestivamente mediante i programmi
di screening neonatale, ma malgrado una terapia corretta, la
maggior parte dei bambini identificati clinicamente presenta un
deficit neuroevolutivo permanente, come distonia, corea e segni
piramidali. Questi reperti neurologici possono costituire le sequele di un infarto metabolico insorto durante uno scompenso
acuto (vedi sopra).
La diagnosi prenatale è realizzabile mediante la misura dell’attività enzimatica su cellule amniotiche in coltura o campioni di
villi coriali, la misura del metilnitrato nel liquido amniotico o
l’identificazione del gene mutante.
La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva
ed è identificabile mediante screening neonatale di massa. La
prevalenza più elevata si riscontra in Arabia Saudita (da 1:2000
a 1:5000). Il gene per la sottounità (PCCA) è localizzato sul
cromosoma 13q32, quello per la sottounità (PCCB) è mappato
sul cromosoma 3q21-q22. È stato possibile identificare diverse
mutazioni di entrambi i geni. Sono stati segnalati casi di gravidanze con esito positivo.
ACIDEMIA METILMALONICA. L’acido metilmalonico, un isomero
strutturale dell’acido succinico, è normalmente derivato dall’acido propionico nell’ambito della via catabolica di isoleucina,
valina, treonina, metionina, colesterolo e acidi grassi a catena
dispari. Due enzimi sono coinvolti nella conversione dell’acido
D-metilmalonico ad acido succinico: la metilmalonil CoA racemasi, che forma l’L-isomero; la metilmalonil CoA mutasi, che
converte l’acido L-metilmalonico in acido succinico (vedi Fig.
85-4). Quest’ultimo enzima richiede come cofattore l’adenosilcobalamina, un metabolita della vitamina B12. Un deficit di mutasi o
del suo coenzima causano l’accumulo nei liquidi corporei di acido
metilmalonico e dei suoi precursori. L’esistenza di un deficit di
racemasi non è stata ancora confermata.
Sono state identificate almeno due forme di deficit dell’apoenzima mutasi, designate mut0 (attività enzimatico non evidenziabile)
e mut– (presenza di attività residua della mutasi, sebbene anomala). La maggior parte dei pazienti con acidemia metilmalonica
segnalati presenta un deficit dell’apoenzima mutasi (mut0 o mut–)
e non risponde alla terapia con vitamina B12. Nei restanti pazienti
con acidemia metilmalonica, il difetto coinvolge la formazione di
adenosilcobalamina.
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■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
Difetti del metabolismo della vitamina B12 (cobalamina). La vitamina B12 alimentare richiede un fattore intrinseco, una glicoproteina
secreta dalle cellule parietali gastriche, per l’assorbimento nell’ileo
terminale. Tale proteina è trasportata nel sangue da aptocorrina
(TCI) e transcobalamina II (TCII). Il complesso transcobalamina
II-cobalamina (TCII-Cbl) è riconosciuto da uno specifico recettore sulla membrana cellulare e penetra nella cellula mediante
endocitosi. In seguito alla idrolisi nel lisosoma del complesso
TCII-Cbl, la cobalamina libera è rilasciata nel citosol (vedi Fig.
85-4). Il cobalto della molecola è ridotto da tre valenze (cob[III]
alamina) a due (cob[II]alamina) prima di entrare nei mitocondri,
dove si verifica un’ulteriore riduzione a cob[I]alamina. Quest’ultimo composto reagisce con l’adenosina, per formare adenosil
cobalamina (coenzima per la metilmalonil CoA mutasi). La cobalamina libera nel citosol subisce anche una serie di reazioni
enzimatiche ancora da chiarire con precisione, che conducono
alla formazione di metilcobalamina (coenzima per la metionina
sintasi, vedi Fig. 85-3).
Sono stati identificati almeno otto difetti diversi del metabolismo intracellulare della cobalamina, definiti cbl + una lettera
dell’alfabeto da A ad H (cbl indica un difetto in un passaggio
qualsiasi del metabolismo della cobalamina). I difetti cblA, cblH
e cblB causano esclusivamente acidemia metilmalonica; cblB è
provocato da un deficit di adenosilcobalamina trasferasi. Nei pazienti con cblC, cblD e cblF, risultano compromesse sia la sintesi
di adenosilcobalamina sia quella di metilcobalamina, con conseguente omocistinuria in associazione all’acidemia metilmalonica.
I difetti cblE e cblG coivolgono solo la sintesi di metilcobalamina,
causando omocistinuria senza aciduria metilmalonica (ma solitamente è presente anemia megaloblastica).
Le manifestazioni cliniche dei pazienti con acidemia metilmalonica dovuta a mut0, mut–, cblA, cblB e cblH sono analoghe. A
prescindere dalla natura del difetto enzimatico o dall’anomalia
biochimica, la presentazione clinica è estremamente variabile, dal
neonato gravemente malato all’adulto asintomatico. Nelle forme
più gravi, letargia, disturbi dell’allattamento, vomito, tachipnea
(dovuta all’acidosi) e ipotonia si sviluppano nei primi giorni di
vita e, se non trattate, possono progredire fino al coma e alla
morte del paziente. I bambini che sopravvivono al primo attacco
possono andare incontro a nuovi episodi metabolici acuti durante
stati catabolici (come infezioni) o in seguito a una dieta a elevato
contenuto proteico. Tra un attacco e l’altro, solitamente il paziente continua a manifestare ipotonia e disturbi dell’allattamento,
con deficit della crescita staturo-ponderale. Nelle forme più lievi,
sintomi come ipotonia, deficit della crescita staturo-ponderale e
ritardo dello sviluppo possono presentarsi quando il bambino è
più grande. Sono stati segnalati anche casi di individui asintomatici con le anomalie biochimiche tipiche dell’acidemia metilmalonica. È importante sottolineare che il QI e lo sviluppo mentale
dei pazienti con acidemia metilmalonica possono rientrare nel
range normale, malgrado ripetuti attacchi acuti, a prescindere dal
tipo di deficit enzimatico. In uno studio su pazienti con differenti
forme della malattia, il ritardo mentale era riscontrato solo nel
47% di essi. Una ragazza adolescente con deficit mut– aveva un
QI di 129.
La natura episodica del disturbo e le sue caratteristiche anomalie biochimiche possono essere confuse con i sintomi dell’ingestione di etilenglicole.
I reperti di laboratorio includono chetosi, acidosi, anemia,
neutropenia, trombocitopenia, iperglicinemia, iperammoniemia e
la presenza di elevate quantità di acido metilmalonico nei liquidi
corporei (vedi Fig. 85-6). L’acido propionico e i suoi metaboliti
3-idrossipropionato e metilitcrato sono riscontrati nelle urine.
L’iperammoniemia può suggerire la presenza di un difetto genetico negli enzimi del ciclo dell’urea, ma i pazienti con tali difetti
non presentano acidosi (vedi Fig. 84-1). La ragione dell’iperammoniemia non è stata ancora del tutto compresa.
La diagnosi può essere confermata misurando l’incorporazione
di propionato o l’attività della mutasi, eseguendo test di complementazione su colture di fibroblasti o identificando il gene
mutante.
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Il trattamento degli attacchi acuti è analogo a quello attuato
nei pazienti con acidemia propionica (vedi sopra), ma invece della
biotina viene somministrata un’elevata dose di vitamina B12 (1
mg/die). Il trattamento a lungo termine prevede una dieta a basso
contenuto calorico (1,0-1,5 mg/kg/die), la somministrazione orale
di L-carnitina (50-100 mg/kg/die) e vitamina B12 (la dose iniziale
di 1 mg/die può essere ridotta sulla base della risposta clinica).
La composizione proteica della dieta è simile a quella prescritta
a pazienti con acidemia propionica. Una terapia alcalinizzante
cronica è solitamente necessaria per correggere l’acidosi cronica,
in particolare durante la prima infanzia. I livelli ematici di ammoniaca di solito si normalizzano tra un attacco e l’altro, per cui il
trattamento cronico dell’iperammoniemia è richiesto solo in rari
casi. La costipazione o le situazioni di stress (come le infezioni)
che rischiano di scatenare un attacco acuto devono essere prevenute o trattate tempestivamente.
Una complicanza frequente e preoccupante della gestione a
lungo termine di questi pazienti consiste in un’inadeguata alimentazione orale, conseguenza dello scarso appetito. L’alimentazione enterale (mediante sonda nasogastrica o gastrotomia)
dovrebbe essere presa in considerazione nella fase iniziale del
trattamento. Per garantire una dieta equilibrata, è necessario un
attento monitoraggio del pH, dei livelli degli amminoacidi, delle
concentrazioni ematiche e urinarie di metilmalonato e dei parametri di crescita. Il deficit di glutatione, responsabile di elevati
livelli di ascorbato, è stato descritto in un paziente. Il trapianto
di fegato (e di fegato e reni combinato) è stato tentato con successo variabile.
La prognosi dipende dalla gravità dei sintomi e dall’insorgenza di complicanze (vedi oltre). In generale, i pazienti con deficit
dell’apoenzima mutasi (mut0, mut–) hanno una prognosi meno
favorevole; il difetto cblA ha un esito migliore rispetto al cblB.
Nei sopravvissuti sono state notate un certo numero di complicanze. In alcuni pazienti nel corso di un attacco acuto di scompenso metabolico si sono verificati infarti cerebrali, in particolare
a livello dei gangli basali (globo pallido), con conseguenti sequele
extrapiramidali (tremori, distonia) e piramidali (paraplegia). La
patogenesi di questa complicanza resta poco chiara.
In alcuni pazienti più grandi con questo disturbo è stata riscontrata un’insufficienza renale che ha reso necessario il trapianto.
Questa complicanza può essere osservata in tutte le forme genetiche del deficit e si ritiene che la sua principale causa sia la nefrite
tubulointerstiziale, la cui patogenesi resta da definire.
Episodi di pancreatite acuta e ricorrente sono stati osservati già
in lattanti di 13 mesi. Questa complicanza è una delle principali
cause di ricovero in ospedale.
La prevalenza della malattia è stimata a 1/48 000. Tutti i difetti responsabili di acidemia metilmalonica sono ereditati con
modalità autosomica recessiva. Lo screening neonatale di massa
è realizzato mediante spettrometria di tandem massa. Il gene per
la mutasi è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6; sono
state identificate almeno 160 differenti mutazioni patogenetiche
del gene mut, incluso un certo numero di mutazioni specifiche
per determinate etnie. Sono stati segnalati neonati con acidemia
metilmalonica e grave diabete dovuto all’assenza di cellule che
presentano grave isodisomia paterna uniparentale del cromosoma 6. In un certo numero di pazienti sono state identificate
mutazioni del gene per cblA (MMAB, localizzato sul cromosoma
4q31-q31.2). Il gene per cblH non è stato ancora mappato.
Sono state descritte diverse gravidanze con esito positivo sia
per la mamma sia per il bambino.
ACIDURIA METILMALONICA COMBINATA A OMOCISTINURIA (DIFETTI
cblC, cblD, cblF). Sono stati segnalati circa 200 pazienti con acidemia metilmalonica e omocistinuria dovuta a difetti cblC, cblD
o cblF (vedi Figg. 85-3 e 85-4). La maggior parte dei soggetti
presenta il difetto cblC, 5 hanno il cblD e 9 il cblF. Il difetto cblC
è attualmente suddiviso in due varianti, la prima con disfunzione della metionina sintasi e la seconda della metilmanolil CoA
mutasi.
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Capitolo 85
I reperti neurologici sono più evidenti nelle forme cblC e cblD.
I pazienti con cblC sviluppano nei primi mesi di vita un deficit staturo-ponderale, letargia, disturbi dell’allattamento, ritardo
mentale e convulsioni. Sono stati segnalati anche difetti a esordio
tardivo, con improvvisa insorgenza di demenza e mielopatia.
L’anemia megaloblastica è di comune riscontro. Nei liquidi
corporei si nota un aumento da lieve a moderato della concentrazione di acido metilmalonico e omocisteina. A differenza dei pazienti con omocistinuria classica, i livelli plasmatici di metionina
risultano ridotti o normali. Non è presente iperammoniemia, né
iperglicinemia. Nei primi due pazienti con cblF segnalati, i sintomi
(disturbo dell’attattamento, ritardo di crescita e dello sviluppo,
stomatite persistente) si erano manifestati nelle prime 3 settimane
di vita. Soltanto uno dei due presentava anemia megaloblastica
e omocistinuria, mentre in entrambi si riscontrava una moderata acidemia metilmalonica. Uno dei pazienti, diagnosticato a 10
anni di età, presentava sintomi suggestivi dell’artrite reumatoide,
un’anomala pigmentazione cutanea ed encefalopatia. Nei pazienti
con difetto cblF è stato notato un malassorbimento di vitamina
B12.
L’esperienza nel trattamento di pazienti con i difetti cblC, cblD e
cblF è ancora piuttosto limitata. Elevate dosi di idrossicobalamina
(1-2 mg/die), in associazione a betaina (6-9 g/die), sembrano produrre un miglioramento biochimico, ma l’effetto clinico è minimo.
Le complicanze più gravi nei pazienti con difetto cblC consistono
in anemia emolitica inspiegabile, idrocefalo e insufficienza cardiaca congestiva. Il gene per cblC è localizzato sul cromosoma 1.
I pazienti con difetto cblE e cblG non presentano acidemia
metilmalonica (vedi Capitolo 85.3).
■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
571
85.7 • GLICINA • Iraj Rezvani
La glicina è un amminoacido non essenziale, sintetizzato prevalentemente dalla serina e dalla treonina. La principale via catabolica richiede il sistema di scissione della glicina, per scindere il
primo carbonio di glicina e convertirlo in diossido di carbonio
(Fig. 85-8). La proteina di scissione della glicina, un multienzima
mitocondriale, è composta da quattro proteine, codificate da
differenti geni: la proteina P, la proteina H, la proteina T e la
proteina L.
IPERGLICINEMIA. Elevati livelli di glicina nei liquidi corporei si
riscontrano nell’acidemia propionica e nell’acidemia metilmalonica, collettivamente definite iperglicinemia chetotica perché
caratterizzate dall’insorgenza di episodi di grave acidosi e chetosi.
La patogenesi dell’iperglicinemia in questi disturbi non è ancora
del tutto chiara, ma in alcuni pazienti è stata dimostrata l’inibizione dell’enzima di scissione della glicina da parte di vari acidi
organici. L’espressione iperglicinemia non chetotica è riservata ai
disturbi clinici causati dal deficit genetico del sistema di scissione
della glicina (vedi Fig. 85-8). In questi casi si ha l’iperglicinemia
in assenza di chetosi.
IPERGLICINEMIA NON CHETOTICA. Sono state identificate quattro
forme di questa malattia, definite neonatale, infantile, a esordio
tardivo e transitoria.
Iperglicinemia neonatale. È la forma più comune di iperglicemia
non chetotica (NKH, NonKetotic Hyperglycinemia). Le manifestazioni cliniche compaiono nei primi giorni di vita (tra 6 ore e 8
Colina
CH3FH4
CO2 NH3
HOCH2FH4
1
Betaina
Trimetilamina
FH4
Sarcosina
8
Glicina
FH4
Trimetilamina-N-ossido
inemia
s
Sarco
Prolina
Pir
uv
Serina
Trimetilaminuria
5
NKH*
ato
Os
sa
Piruvato
Alanina
lur
ia
2
tip
nin
oI
a
Acido
gliossilico
I
Acido
glicolico
3
Ala
ipo I
ria t
alu
Oss
Etilene
glicol
7
6
6
Acido L-glicerico
Idrossipiruvato
Acido ossalico
Vitamina C
3
Fruttosio
Acido D-glicerico
Acidemia
D-glicerica
Glucosio
4
Acido 2-fosfo D-glicerico
Piruvato
Figura 85-8. Vie metaboliche di glicina e acido glossilico. Enzimi: (1) enzima di scissione della glicina; (2) alanina:gliossilato aminotrasferasi, (3) acido D-glicerico
deidrogenasi, (4) glicerato chinasi, (5) trimetilamina ossidasi, (6) lattato deidrogenasi, (7) glicolato ossidasi, (8) sarcosina deidrogenasi. FH4, tetraidrofolato;
NkH*, iperglicinemia non chetotica.
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■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
giorni dopo la nascita). Sintomi come disturbi dell’allattamento,
letargia e grave ipotonia possono progredire rapidamente in coma profondo e apnea, causando il decesso del paziente. Le convulsioni, in particolare miocloniche e singhiozzo, sono comuni.
I reperti di laboratorio rivelano iperglicemia da moderata a
grave (fino a otto volte superiore alla norma) e iperglicinuria.
L’inequivocabile aumento della concentrazione di glicina nel liquor (da 10 a 30 volte superiore alla norma) e l’elevato rapporto
tra concentrazione della glicina nel liquor e nel plasma (0,08)
sono i reperti diagnostici della NKH. Il pH sierico è normale,
mentre i livelli plasmatici della serina sono solitamente ridotti.
Malgrado la terapia, il 30% circa dei bambini colpiti non
sopravvive alla malattia. Chi invece sopravvive sviluppa un
profondo ritardo psicomotorio e disturbi convulsivi intrattabili
(convulsioni miocloniche e/o grande male). In qualche caso, è
stato riscontrato idrocefalo (che ha richiesto l’impianto di una
derivazione) e ipertensione polmonare.
NKH infantile. Alcuni neonati precedentemente sani sviluppano
segni e sintomi della NKH neonatale (vedi sopra) dopo i sei mesi
di età. Le convulsioni costituiscono il segno di presentazione più
comune. Questo disturbo è più lieve del precedente; nella maggior parte dei casi i bambini sopravvivono e il ritardo mentale è
meno grave. I reperti di laboratorio sono identici a quelli della
forma neonatale.
NKH a esordio tardivo, forma episodica lieve. Le principali manifestazioni cliniche sono diplegia spastica progressiva, atrofia
ottica e movimenti coreoatetosici. L’età di esordio è compresa fra
i 2 e i 33 anni. In alcuni pazienti, sintomi di delirium, corea e paralisi verticale dello sguardo possono verificarsi occasionalmente,
in seguito a una infezione intercorrente. Lo sviluppo mentale è
normale, ma sono stati segnalati casi di lieve ritardo. Soltanto
un paziente presentava convulsioni. I reperti di laboratorio sono
simili a quelli della forma neonatale, ma meno pronunciati.
NKH transitoria. Le manifestazioni cliniche e di laboratorio di
questa forma sono indistinguibili da quelle neonatali. Tuttavia,
tra le 2 e le 8 settimane di vita i livelli di glicina nel plasma e
nel liquido cerebrospinale tendono a normalizzarsi, consentendo
una guarigione clinica completa. Nella maggior parte dei pazienti
lo sviluppo procede normalmente, senza sequele neurologiche,
ma in alcuni casi è stato notato ritardo mentale. L’eziologia del
disturbo non è nota, ma è ipotizzabile che dipenda da un’immaturità del sistema enzimatico.
La diagnosi differenziale delle NKH è con l’iperglicinemia chetotica, l’aciduria D-glicerica (vedi oltre) e l’ingestione di acido valproico. Quest’ultimo composto causa un moderato aumento della
concentrazione ematica e urinaria di glicina. Ripetuti esami dopo
la sospensione del farmaco consentono di formulare la diagnosi.
La diagnosi è stabilita sulla base dei test enzimatici su campioni
epatici e cerebrali, oppure mediante identificazione della mutazione. L’attività enzimatica nella forma neonatale è quasi nulla,
mentre nelle altre forme è presente una certa attività residua.
Nella maggior parte dei pazienti con la forma neonatale il difetto
enzimatico è localizzato nella proteina P; negli altri casi colpisce
la proteina T. Il test enzimatico su tre pazienti con le forme a
esordio infantile e tardivo ha rivelato due difetti della proteina
T e uno della H. Non è disponibile alcun trattamento efficace.
L’exanguinotrasfusione, la restrizione dietetica della glicina e la
somministrazione di benzoato di sodio o folato non hanno alterato l’esito neurologico. Farmaci che contrastano l’effetto della
glicina sulle cellule neuronali, come la stricnina, il diazepam e il
destrometorfano, si sono dimostrati benefici solo nei pazienti con
le forme più lievi.
La NKH è ereditata con modalità autosomica recessiva. La
prevalenza non è nota, ma un’elevata frequenza del disturbo è
stata notata in Finlandia settentrionale (1/12 000). Il gene per
la proteina P è localizzato sul cromosoma 9p22, quello per la
proteina H sul cromosoma 16p24 e quello per la proteina T sul
cromosoma 3p21-p21.1. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. La diagnosi prenatale è realizzata mediante la
misura dell’attività enzimatica su biopsia dei villi coriali o identificazione del gene mutante.
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SARCOSINEMIA. Questo difetto metabolico, privo di un quadro
clinico coerente, è caratterizzato dall’aumento della concentrazione di sarcosina (N-metilglicina) sia nel sangue sia nelle urine. È
provocato da un errore congenito del metabolismo a trasmissione
autosomica recessiva che coinvolge la sarcosina diedrogenasi (enzima che converte la sarcosina in glicina, vedi Fig. 85-8). Il gene
per questo enzima è localizzato sul cromosoma 9q33-q34.
ACIDURIA D-GLICERICA. L’acido d-glicerico è un metabolita intermedio del metabolismo di serina e fruttosio (vedi Fig. 85-8). Sono
state identificate almeno due forme di questa rara malattia. Nella
prima, le manifestazioni cliniche di grave encefalopatia (ipotonia,
convulsioni, deficit motori e mentali) e i reperti di laboratorio
(iperglicinemia e iperglicinuria) suggeriscono una iperglicinemia
non chetotica. Si riscontra l’escrezione di grandi quantità di acido
d-glicerico (composto normalmente non rilevabile nelle urine).
Studi enzimatici hanno segnalato il deficit di glicerato chinasi in un paziente e la riduzione dell’attività della deidrogenasi
d-glicerica in un altro.
Nella seconda forma, i reperti principali consistono in acidosi
metabolica persistente e ritardo dello sviluppo. Grandi quantità
di acido d-glicerico sono escrete nelle urine, in assenza di iperglicinemia. Il difetto enzimatico di questi pazienti non è noto.
Non è disponibile alcuna terapia efficace. La restrizione del
fruttosio ha consentito di limitare le convulsioni in un paziente.
TRIMETILAMINURIA. La trimetilina è normalmente prodotta
nell’intestino, in seguito a scissione della colina alimentare e
dell’ossido di trimetilamina da parte dei batteri. Uova e pesce costituiscono la principale fonte di colina e il pesce è particolarmente
ricco anche di ossido di trimetilamina. La trimetilina è assorbita
e ossidata nel fegato da trimetilamina ossidasi (monoossigenasi
contenente flavina) a trimetilamina ossidasi, un composto privo
di odore escreto nelle urine (vedi Fig. 85-8). Il deficit di questo
enzima determina una escrezione massiva di trimetilamina nelle
urine. Sono stati segnalati diversi pazienti con trimetilaminuria
asintomatica. L’odore emanato da essi, che somiglia a quello di
pesce marcio, può avere significative ripercussioni psicosociali.
Una dieta priva di pesce, uova, fegato e degli altri alimenti ricchi
di colina (come noci e cereali) riduce significativamente l’odore.
Il gene per la trimetilamina ossidasi è localizzato sul cromosoma
1q23-q25.
IPEROSSALURIA E OSSALOSI. Normalmente l’acido ossalico deriva prevalentemente dall’ossidazione dell’acido gliossilico e, in
grado minore, dall’ossidazione dell’acido ascorbico (vedi Fig.
85-8). L’acido gliossilico, a sua volta, è formato dall’ossidazione
dell’acido glicolico nei preossisomi.
La fonte dell’acido glicolico non è stata ancora identificata. Alimenti come spinaci e rabarbaro costituiscono la principale fonte
esogena di questo composto. L’acido ossalico non può essere ulteriormente metabolizzato ed è escreto nelle urine come ossalati.
L’ossalato di calcio è relativamente insolubile in acqua e, se la
sua concentrazione nel corpo aumenta, precipita nei tessuti (reni
e articolazioni).
L’iperossaluria secondaria è stata osservata in caso di deficit
di piridossina (cofattore della alanina-gliossilato aminotrasferasi,
vedi Fig. 85-8) in seguito a ingestione di etilenglicole o di dosi elevate di vitamina C, dopo somministrazione dell’agente anestetico
metossiflurano (che ossida direttamente ad acido ossalico) e in
pazienti con malattie infiammatorie intestinali o estesa resezione
dell’intestino (iperossaluria enterica). L’ingestione di piante con
un elevato contenuto di acido ossalico, come l’acetosa, può provocare una iperossaluria fatale. La precipitazione di ossalato di
calcio nei tessuti causa ipocalcemia, necrosi epatica, insufficienza
renale, aritmia cardiaca e anche il decesso. La dose letale di acido
ossalico è stimata tra 5 e 30 g.
L’iperossaluria primaria è una rara malattia genetica caratterizzata dall’accumulo nel corpo di grandi quantità di ossalati. Ne
sono state identificate due forme. Il termine ossalosi si riferisce
alla deposizione di ossalato di calcio nei parenchimi.
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Capitolo 85
Iperossaluria primaria di tipo I. Questa rara malattia costituisce la forma più comune di iperossaluria, causata da un deficit
dell’enzima perossisomale alanina-gliossilato aminotrasferasi,
espresso soltanto nei perossisomi epatici e che richiede piridossina (vitamina B6) come cofattore. In assenza di questo enzima,
l’acido gliossilico non può essere convertito in glicina ed è trasferito nel citosol, dove è ossidato ad acido ossalico nei perossisomi
(vedi Fig. 85-8).
L’età di presentazione è estremamente variabile. La maggior
parte dei pazienti diviene sintomatica prima dei 5 anni, ma nel
10% dei casi i sintomi si sviluppano fino entro il primo anno
(ossaluria neonatale). Le manifestazioni cliniche iniziali sono collegate alla presenza di calcoli renali o nefrocalcinosi. Le coliche
renali e l’ematuria asintomatica causano un graduale deterioramento della funzione renale, che si manifesta con ritardo di crescita e uremia. Se la malattia non è trattata, solitamente il decesso
sopraggiunge entro i 20 anni in seguito a insufficienza renale.
L’artrite acuta è una manifestazione rara, facilmente scambiata
per gotta a causa dell’elevazione dell’acido urico (frequente nei
pazienti con iperossaluria di tipo I). Sono stati segnalati anche
casi tardivi di presentazione dei sintomi in età adulta. La retinopatia cristallina e la neuropatia ottica, responsabili di perdita
visiva, sono state riscontrate in alcuni pazienti.
Il principale reperto di laboratorio consiste in un marcato
aumento dell’escrezione urinaria di ossalato (l’ escrezione normale è di 10-50 mg/die). La presenza di cristalli di ossalato
nel sedimento urinario è raramente utile sul piano diagnostico,
perché questi cristalli si riscontrano spesso anche negli individui
sani. L’escrezione urinaria di acido glicolico e acido glicossilico
risulta aumentata. La diagnosi può essere confermata mediante
un dosaggio dell’enzima su campioni epatici o l’identificazione
del gene mutante.
Il trattamento medico è del tutto insoddisfacente. In alcuni
pazienti la somministrazione di dosi elevate di piridossina riduce
l’escrezione urinaria di ossalato. In pazienti con insufficienza renale il trapianto non ha consentito di migliorare l’esito, a causa di
una recidiva dell’ossalosi nel rene trapiantato. Il trapianto combinato di rene e fegato ha invece determinato una significativa
riduzione di ossalato plasmatico e urinario in un certo numero di
pazienti e costituisce attualmente il trattamento più efficace.
La malattia è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il
gene per questo enzima è localizzato sul cromosoma 2q36-q37.
Ne sono state descritte diverse mutazioni, tra cui la più comune è
l’errata localizzazione dell’enzima ai mitocondri invece che ai perossisomi. L’attività dell’enzima in vitro può raggiungere i livelli
riscontrati negli eterozigoti obbligati. Tuttavia, la funzione in vivo
resta deficitaria. Si stima che il 30% dei pazienti con iperossaluria
di tipo I abbia questo difetto.
La diagnosi prenatale prevede la misura dell’attività epatica
dell’enzima nel feto, mediante biopsia con ago aspirato o analisi
del DNA su campioni dei villi coriali.
Iperossaluria primaria di tipo II (aciduria L-glicerica). Questa rara
malattia è dovuta al deficit del complesso enzimatico D-glicerato
deidrogenasi (idrossipiruvato reduttasi)/gliossilato reduttasi (vedi
Fig. 85-8). Il deficit nell’attività di questo enzima determina un
accumulo di due metaboliti intermedi: idrossipiruvato (chetoacido
della serina) e acido glicossilico, entrambi ulteriormente metabolizzati dalla lattato deidrogenasi rispettivamente in acido L-glicerico e acido ossalico. Circa il 30% dei pazienti segnalati appartiene
alla popolazione indiana di Manitoba Saulteaux-Ojibway.
Sul piano clinico questi pazienti sono indistinguibili da quelli
con le altre forme di iperossaluria di tipo I, anche se l’insufficienza
renale è meno comune. Calcoli renali, che si presentano con coliche ed ematuria, possono svilupparsi prima dei due anni. Oltre
agli elevati livelli di ossalato, l’urina contiene grandi quantità di
acido L-glicerico (normalmente non presente). L’escrezione urinaria di acido glicolico e acido gliossilico non risulta accresciuta.
La presenza di acido L-glicerico, senza l’aumento dei livelli degli
acidi glicolico e gliossilico, consente di formulare la diagnosi
differenziale con l’iperossaluria di tipo I. Il gene è mappato sul
cromosoma 9cen. Non è disponibile alcuna terapia efficace.
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■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
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DEFICIT DI CREATINA. La creatina è sintetizzata nel fegato, nel
pancreas e nei reni a partire dall’arginina e dalla glicina (Fig.
85-9) ed è trasportata ai muscoli e al cervello, dove si riscontra
una elevata attività della creatina chinasi. La fosforilazione e
defosforilazione della creatina da parte di questo enzima, nonché
dell’adenosina difosfato e trifosfato, fornisce l’energia necessaria
per molte reazioni in questi organi. La creatina è metabolizzata
non-enzimaticamente in creatinina a un ritmo costante ed è in
seguito escreta nell’urina. Sono note tre condizioni genetiche in
grado di determinare un deficit di creatina nei tessuti. Due sono
causate da un deficit degli enzimi coinvolti nella biosintesi della
creatina: l’arginina-glicina aminotrasferasi (AGAT) e la guanidinoacetato metiltrasferasi (GAMT) (vedi Fig. 85-9) ed entrambe
rispondono positivamente all’assunzione di un supplemento di
creatina, al contrario della terza condizione genetica, determinata
da un deficit del trasportatore della creatinina (CRTR, Creatinine
Transporter).
Le manifestazioni cliniche dei tre difetti sono simili; possono
comparire nelle prime settimane o mesi di vita e sono collegate
a muscoli e cervello. Ritardo dello sviluppo, ritardo mentale, disturbi del linguaggio e convulsioni sono di comune riscontro. Nei
casi più gravi di difetto GAMT possiamo osservare movimenti
distonici ipercinetici.
I reperti di laboratorio includono una riduzione dei livelli di
creatina e creatinina nel sangue e nelle urine dei pazienti con
difetti AGAT e GAMT. Una marcata elevazione del guanidinoacetato in sangue, urine e specialmente nel liquido cerebrospinale
sono i reperti diagnostici dei difetti GAMT, mentre nell’AGAT
si riscontrano ridotti livelli di guanidinoacetato. L’assenza di creatina e creatina fosfato (in tutti e tre i difetti) e l’aumento dei
livelli di guanidinoacetato (in presenza di difetto GAMT) possono essere dimostrati mediante RMS cerebrale. La RM mostra
iperintensità del segnale del globo pallido. La diagnosi di difetto
AGAT o GAMT può essere confermata dalla misura dell’enzima
nel fegato, su colture di fibroblasti, linfoblasti stimolati o mediante analisi del DNA del gene. La diagnosi di CRTR è confermata
dall’analisi genetica o dalla fissazione della creatina da parte dei
fibroblasti.
Il trattamento con assunzione orale di creatina monoidrato
(350 mg-2 g/kg/die) ha consentito un significativo miglioramento
del tono muscolare e dello sviluppo mentale, nonché la normalizzazione dei reperti MR ed elettroencefalografici nei pazienti con
difetto AGAT e GAMT. Si ritiene che il trattamento precoce possa
garantire uno sviluppo normale. Non è disponibile alcuna terapia
per il difetto CRTR. I difetti AGAT e GAMT sono ereditati con
modalità autosomica recessiva, mentre CRTR è legato all’X. La
prevalenza di questo deficit enzimatico non è nota; 4 soggetti
con difetto GAMT (3 dei quali appartenenti alla stessa famiglia)
sono stati identificati in uno studio condotto su 180 pazienti istituzionalizzati con grave handicap mentale. È opportuno prendere
in considerazione questo deficit in presenza di un paziente con
disturbi cerebrali e muscolari, perché il trattamento precoce può
garantire un’ottima risposta.
85.8 • SERINA • Iraj Rezvani
La serina è un amminoacido non essenziale sintetizzato da glucosio e glicina (vedi Fig. 85-9).
DEFICIT DI 3-FOSFOGLICERATO DEIDROGENASI. Il deficit di questo
enzima causa quello di serina e glicina nell’organismo. Le manifestazioni cliniche, sviluppate già nei primi mesi di vita, includono
microcefalia, grave ritardo psicomotorio e convulsioni intrattabili. Possono essere presenti anche deficit staturo-ponderale,
tetraplegia spastica, nistagmo, cataratta, ipogonadismo e anemia
megaloblastica. I reperti di laboratorio includono la riduzione
dei livelli plasmatici di serina e glicina nel liquido cerebrospinale.
Nelle urine non si riscontra alcun acido organico anomalo. La
risonanza magnetica cerebrale mostra una significativa attenuazione della materia bianca e mielinizzazione incompleta.
23-09-2008 11:52:00
574
■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
Glucosio
3-Fosfoglicerato
Deficit di 3-fosfoglicerato
deidrogenasi
1
3-Fosfopiruvato
Sarcosina
Glutammato
Gliossilato
2-Chetoglutarato
Glicina
Serina
Figura 85-9. Vie della sintesi di serina e creatinina.
Enzimi: (1) 3-fosfoglicerato deidrogenasi, (2) guanidinoacetato metiltrasferasi (GAMT), (3) arginina:glicina
aminotrasferasi (AGAT).
3-Fosfoserina
Arginina
3
Ornitina
Guanidinoacetato
S-Adenosilmetionina
2
S-Adenosilomocisteina
Deficit
di creatinina
Creatina
Creatinina
Urina
La diagnosi può essere confermata mediante la misura dell’attività enzimatica in colture di fibroblasti e tramite l’analisi del
DNA.
Il trattamento con serina (200-600 mg/kg/die, assunzione orale), anche in associazione con glicina (200-300 mg/kg/die), consente di normalizzare i livelli di serina nel sangue e nel liquido
cerebrospinale. Questo trattamento produce un significativo miglioramento di tutti i sintomi clinici, fatta eccezione per il ritardo
psicomotorio; le convulsioni si attenuano dopo qualche giorno
di terapia e possono risolversi completamente. La microcefalia
migliora nei bambini molto piccoli. Si ritiene che il ritardo psicomotorio possa essere prevenuto iniziando il trattamento nei
primi giorni di vita.
Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il
gene per l’enzima 3-fosfoglicerato deidrogenasi è localizzato sul
cromosoma 1q12 ed è stato identificato un certo numero di
mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. La diagnosi prenatale è stata effettuata mediante analisi del DNA nelle famiglie
in cui si erano già verificati dei casi. La somministrazione di
serina alla madre ha consentito di correggere la microcefalia
del feto, come dimostrato dalle tecniche di imaging. La risposta
favorevole dei pazienti al trattamento rende particolarmente importante la formulazione tempestiva di una diagnosi in bambini
con microcefalia e difetti neurologici come ritardo psicomotorio
o convulsioni.
85.9 • PROLINA • Iraj Rezvani
Nel collagene si riscontrano elevate concentrazioni di prolina e
idrossiprolina. In condizioni normali questi due amminoacidi
non sono rilevati né nelle urine, né in forma libera (eccetto che
nella prima infanzia). L’escrezione di idrossiprolina “legata” (dipeptidi e tripeptidi contenenti idrossiprolina) riflette il turnover
del collagene e aumenta in caso di disturbi che ne provocano
l’accelerazione, come il rachitismo e l’iperparatiroidismo.
IPERPROLINEMIA. Sono state descritte due forme di questo raro disturbo autosomico recessivo. L’iperprolinemia di tipo I è
causata da un deficit di prolina deidrogenasi, mentre il tipo II è
dovuto a un difetto dell’enzima acido ’-pirrolina-5-carbossilico
84-92ANA.indd 574
deidrogenasi (Fig. 85-10). Nessuno dei due tipi causa manifestazioni cliniche specifiche attribuibili all’iperprolinemia, mentre in
entrambi si riscontrano l’aumento della concentrazione di prolina
nel sangue (più pronunciato nel tipo II) e la prolinuria. Anche
l’idrossiprolina e la glicina sono escrete in quantità anomale nelle
urine, a causa della saturazione del meccanismo di riassorbimento tubulare determinato dalla prolinuria. La presenza nel plasma
e nelle urine di acido ’-pirrolina-5-carbossilico deidrogenasi consente di formulare la diagnosi differenziale tra tipo I e II. Non è
opportuno alcun trattamento dei soggetti colpiti.
Il gene per la prolina deidrogenasi è mappato sul cromosoma
22q11.2. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche,
alcune delle quali sono associate a un aumento del rischio di
schizofrenia. La microdelezione del cromosoma 22q11.2 causa la
sindrome velocardiofaciale (DiGeorge, Shpritzen). In uno studio,
8 dei 15 pazienti con questa sindrome presentavano anche iperprolinemia di tipo I. È stata suggerita l’opportunità di sottoporre
i pazienti con iperprolinemia a screening (mediante analisi FISH)
per la presenza di microdelezioni del cromosoma 22q11.2. Il gene
per l’acido ’-pirrolina-5-carbossilico deidrogenasi è localizzato
sul cromosoma 1p36.
DEFICIT DI PROLIDASI. Durante la degradazione del collagene,
imidopeptidi come la glicoprolina sono liberati e scissi dalla
prolidasi tissutale. Questo enzima richiede manganese per funzionare correttamente. Il deficit di prolidasi, ereditato con modalità
autosomica recessiva, determina un accumulo di imidopeptidasi
nei liquidi corporei.
L’età di comparsa di questo raro disturbo è piuttosto variabile
(tra i 19 mesi e i 19 anni). Le manifestazioni cliniche includono
ricorrenti ulcere cutanee dolenti, tipicamente su mani e gambe.
Queste ulcere possono essere precedute, anche di diversi anni,
da lesioni cutanee diverse, come eruzione eritematosa maculopapulare squamosa, porpora e telangiectasie. Le ulcere tendono
a infettarsi e la loro guarigione può richiedere da 4 a 7 mesi.
Nella maggior parte dei pazienti compaiono anche deficit motori
e mentali da lievi a moderati e suscettibilità alle infezioni (otite
media ricorrente, sinusite, infezioni respiratorie, splenomegalia).
Le infezioni costituiscono la più frequente causa di mortalità.
Alcuni pazienti presentano anomalie craniofacciali come ptosi,
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Capitolo 85
■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
1
Figura 85-10. Vie metaboliche della prolina. Enzimi: (1) prolina ossidasi, (2) acido ’-pirrolina-5-carbossilico deidrogenasi, (3) idrossiprolina ossidasi.
N
H
COOH
Prolinemia I
■
575
2
Acido
-pirrolina5-carbossilico
Prolinemia II
Acido
glutammico
Prolina
Ornitina
3
Idrossiprolina
Idrossiprolinemia
proptosi oculare e suture craniche prominenti. Sono stati segnalati anche casi asintomatici. Lo sviluppo di lupus eritematoso
sistemico (LES) è stato osservato nei bambini di una famiglia; i
pazienti giovani con LES andrebbero sottoposti a screening per
il deficit di prolidasi. Livelli elevati di imidodipeptidi nelle urine
costituiscono un reperto diagnostico. Il test enzimatico può essere
eseguito su eritrociti o colture di fibroblasti cutanei.
La prescrizione di supplementazioni orali di prolina, acido
ascorbico e manganese e l’uso topico di prolina e glicina consente
un miglioramento delle ulcere, ma il trattamento non è risultato
efficace in tutti i pazienti.
Il gene per l’enzima prolidasi è localizzato sul cromosoma
19cen-q13.11. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie differenti.
85.10 • ACIDO GLUTAMMICO • Iraj Rezvani
Il glutatione (-glutamilcisteinilglicina) è il prodotto principale dell’acido glutammico nell’organismo. Questo tripeptide
ubiquitario è sintetizzato e degradato attraverso un complesso
ciclo, chiamato ciclo del -glutamil (Fig. 85-11). Grazie al suo
gruppo sulfidril (-SH) e alla sua abbondanza nella cellula, il glutatione protegge dall’ossidazione gli altri composti contenenti
sulfidril (come l’enzima e il coenzima A). È inoltre coinvolto
nella detossificazione dei perossidi, tra cui l’idrogeno perossido e contribuisce a mantenere in stato ridotto il contenuto
cellulare. La più comune conseguenza del deficit di glutatione
è l’anemia emolitica. Il glutatione partecipa anche al trasporto
degli amminoacidi attraverso la membrana cellulare grazie al
ciclo del -glutamil.
DEFICIT DI GLUTATIONE SINTETASI. Sono state segnalate tre forme
del disturbo. Nella forma grave, dovuta a un deficit generalizzato
dell’enzima, si riscontra invariabilmente grave acidosi e 5-ossoprolinuria massiva. Nella forma lieve, in cui il deficit enzimatico
determina un deficit di glutatione soltanto negli eritrociti, non
si osserva né l’acidosi, né la 5-ossoprolinuria. È stata segnalata
anche una forma moderata, nella quale l’anemia emolitica è
associata a un grado variabile di acidosi e 5-ossoprolinuria. In
tutte le forme i pazienti presentano anemia emolitica secondaria
al deficit di glutatione. Tutte e tre sono comunque rare: in totale
sono stati segnalati soltanto 65 pazienti.
Deficit di glutatione sintetasi, forma grave (acidemia piroglutammica, grave 5-ossoprolinuria) e forma moderata. Le manifestazioni
cliniche di questa rara malattia compaiono nei primi giorni di
vita e includono acidosi metabolica, ittero e anemia emolitica da
grave a moderata. L’acidosi cronica persiste dopo la guarigione.
Simili episodi di acidosi potenzialmente mortale si riscontrano
anche in presenza di gastroenterite e infezioni o in seguito a
un intervento chirurgico. Con la crescita, il danno neurologico
progressivo si manifesta con ritardo mentale, tetraparesi spastica,
atassia, tremore, disartria e convulsioni. In alcuni pazienti si osserva una suscettibilità alle infezioni, probabilmente dovuta alla
84-92ANA.indd 575
Acido pirrolina-3-idrossi5-carbossilico
Acido
piruvico
Acido
glicossilico
disfunzione granulocitaria. Rispetto alla forma grave, i pazienti
con la forma moderata presentano un’acidosi più lieve e una
5-ossoprolinuria meno marcata; le manifestazioni neurologiche
sono assenti.
I reperti di laboratorio includono acidosi metabolica, anemia
emolitica da lieve a moderata, 5-ossoprolinuria, elevate concentrazioni della quale si ritrovano anche nel sangue. Il contenuto
di glutatione degli eritrociti è nettamente ridotto. Si ritiene che
l’aumento della sintesi di 5-ossoprolina in questo disturbo sia
dovuto alla conversione di -glutamilcisteina in 5-ossoprolinada
parte dell’enzima -glutamil ciclotrasferasi (vedi Fig. 85-11). La
produzione di -glutamilcisteina aumenta enormemente in seguito alla rimozione del normale effetto inibitorio del glutatione. Il
deficit della glutatione sintetasi è stato dimostrato in una grande
varietà di cellule, inclusi gli eritrociti.
Il trattamento degli attacchi acuti prevede idratazione, correzione dell’acidosi (mediante infusione di bicarbonato di sodio) e
misure per correggere l’anemia e l’iperbilirubinemia. La somministrazione cronica di alcali è solitamente necessaria. Si consiglia
anche di prescrivere elevate dosi di vitamina C ed E. Farmaci
e ossidanti noti per causare emolisi e stati catabolici stressanti
dovrebbero essere evitati. La somministrazione orale di analoghi
del glutatione è stata tentata con risultati variabili.
La diagnosi prenatale è realizzata mediante la misurazione
della 5-ossoprolina nel liquido amniotico, l’analisi enzimatica su
amniociti in coltura o campioni di villi coriali oppure l’analisi del
DNA del gene. È stato segnalato un caso una gravidanza di una
donna con la forma moderata della malattia, con esito positivo
sia per la madre sia per il bambino.
Deficit di glutatione sintetasi, forma lieve. Questa forma è stata
segnalata solo in un numero molto ridotto di pazienti. L’unico reperto clinico consiste in un’anemia emolitica da lieve a moderata.
In alcuni casi si riscontra splenomegalia. Lo sviluppo mentale è
normale e non si osservano acidosi metabolica né aumento della
concentrazione di 5-ossoprolina. Questa malattia è causata da
mutazioni del gene che codifica per l’enzima glutatione sintetasi,
che è probabile che lo rendano instabile risparmiando la sua normale funzione catalitica. L’accelerazione del turnover enzimatico
causata dalle mutazioni non ha conseguenze sui tessuti con sintesi
proteica normale, fatta eccezione per gli eritrociti, nei quali l’assenza di sintesi proteica porta a un grave deficit di glutatione. Il
trattamento è identico a quello prescritto per l’anemia emolitica;
si consiglia inoltre di evitare farmaci e ossidanti che possono
scatenare il processo emolitico.
Tutte le forme della malattia sono ereditate con modalità autosomica recessiva. Il gene per questo enzima è localizzato sul
cromosoma 20q11.2. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti.
Deficit di 5-ossoprolinasi (5-ossoprolinuria). La principale causa
di una 5-ossoprolinuria grave è il deficit di glutatione sintetasi
(vedi sopra), mentre una 5-ossoprolinuria moderata è stata riscontrata in un’ampia gamma di disturbi metabolici e acquisiti,
come la sindrome di Stevens-Johnson, gravi ustioni, omocistinuria, difetti del ciclo dell’urea e tirosinemia di tipo I.
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576
■
■
PARTE X
Malattie metaboliche
Amminoacido
all’esterno
della cellula
Glutatione (GSH)
(-Glutamilcisteinilglicina)
Deficit di glutatione
sintetasi
5
Glutationemia
1
Glutamil cisteina
Amminoacido -glutamil
4
2
Figura 85-11. Ciclo del -glutamil. Sono
segnalati i difetti della sintesi e degradazione del glutatione. Enzimi: (1) -glutamil
transpeptidasi, (2) -glutamil ciclotrasferasi, (3) 5-ossoprolinasi, (4) -glutamilcisteina trasferasi, (5) glutatione sintetasi, (6)
acido glutammico decarbossilasi, (7) GABA transaminasi, (8) succinico semialdeide
deidrogenasi.
Amminoacido
nella cellula
2
Lisina
Istidina
Prolina
Ornitina
Acido glutammico
3
Ossoprolinuria
5-ossoprolina
(acido piroglutammico)
6
Dipendenza da vitamina B6
CO2
Aciduria
-idrossibutirrica
7
GABA
Deficit
di transaminasi
GABA
Semialdeide
acido succinico
Acido succinico
8
Acido -idrossibutirrico
È stato identificato solo un ridotto numero di pazienti con
5-ossoprolinuria moderata (4-10 g/die) dovuta a deficit di 5-ossoprolinasi. Finora non è emerso alcun quadro clinico specifico. In
due pazienti è stato segnalato un ritardo mentale da moderato a
grave. Si sono verificati anche casi asintomatici di questo difetto
enzimatico, per cui non è certo che esso abbia conseguenze cliniche. Non è previsto alcun trattamento.
Deficit di ␥-glutamilcisteina sintasi. Sono stati descritti pochissimi pazienti con questo deficit enzimatico, di cui la principale
manifestazione clinica è costituita da una lieve anemia emolitica
cronica. Gravi attacchi di emolisi si sono verificati in seguito a
esposizione ai sulfonamidici. In due fratelli adulti è stata riscontrata una neuropatia periferica e una progressiva degenerazione
spinocerebellare.
I reperti di laboratorio dell’anemia emolitica cronica sono
presenti in tutti i pazienti, così come un’aminoaciduria generalizzata, perché il ciclo -glutamil è coinvolto nel trasporto degli
amminoacidi nelle cellule (vedi Fig. 85-11).
Il trattamento è analogo a quello per l’anemia emolitica, oltre
ad andare evitati farmaci e ossidanti in grado di scatenare il
processo emolitico. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva.
GLUTATIONEMIA (DEFICIT DI -GLUTAMIL TRANSPEPTIDASI). Questo enzima è presente in ogni cellula con funzioni secretorie o
di assorbimento e abbonda in particolare nei reni, nel pancreas,
nell’intestino e nel fegato. È contenuto anche nella bile. La sua
misura nel sangue è eseguita di routine per valutare la funzionalità epatica e per diagnosticare patologie delle vie biliari.
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Il deficit di questo enzima causa un’elevazione della concentrazione di glutatione nei liquidi corporei, ma i livelli cellulari
restano nella norma. Il numero di pazienti segnalati è molto
ridotto, perciò la gamma delle manifestazioni cliniche non è stata ancora ben definita. In tre pazienti sono stati osservati gravi
problemi comportamentali e ritardo mentale da lieve a moderato.
Una delle due sorelle descritte con questa condizione, da adulta
aveva un’intelligenza normale, mentre l’altra aveva sviluppato la
sindrome di Prader-Willi.
I reperti di laboratorio includono un marcato aumento delle
concentrazioni urinarie di glutatione (fino a 1 g/die), -glutamilcisteina e cisteina. Contrariamente alle previsioni, nessuno dei
pazienti segnalati presentava aminoaciduria generalizzata (vedi
Fig. 85-11).
La diagnosi può essere confermata misurando l’attività enzimatica su leucociti o colture di fibroblasti cutanei. Non è disponibile
alcun trattamento efficace.
Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. L’enzima -glutamil transpeptidasi è una proteina complessa codificata da almeno sette geni diversi.
ERRORI CONGENITI DEL METABOLISMO DELL’ACIDO ␥-AMINOBUTIRRICO. La decarbossilazione dell’acido glutammico da parte
della glutammildecarbossilasi (GAD, Glutamic Acid Decarboxylase) è la principale via biosintetica per la produzione dell’acido -aminobutirrico (GABA, Gamma-AminoButyric Acid) nel
cervello e negli altri organi, in particolare reni e cellule beta del
pancreas. Questo enzima richiede piridossina (vitamina B6) come cofattore (vedi Fig. 85-11). Sono stati identificati due enzimi
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Capitolo 85
GAD (GAD65 e GAD67). GAD67 è il principale enzima nel cervello,
mentre GAD65 prevale nelle cellule beta. Gli anticorpi contro
GAD65 e GAD67 sono rispettivamente i marker principali per il
diabete di tipo I e per la “sindrome dell’uomo rigido” (stiff-man
syndrome). Il gene per GAD65 si trova sul cromosoma 10p11.23,
mentre quello per GAD67 è sul cromosoma 2q31. Il knockout del
gene per GAD67 nelle cavie causa palatoschisi e un altro studio ha
evidenziato il collegamento tra le mutazioni di GAD67 e il labbro
leporino negli esseri umani.
Dipendenza da piridossina (vitamina B6) con convulsioni. Questo disturbo autosomico recessivo è dovuto a un deficit di GABA a livello cerebrale, presumibilmente causato da una riduzione dell’attività di GAD. La principale manifestazione clinica è costituita dalle
convulsioni, che compaiono solitamente nelle prime ore di vita e
che non rispondono alla tradizionale terapia anticonvulsivante.
Nella maggior parte dei casi la somministrazione di dosi elevate di
vitamina B6 (10-100 mg/kg) consente un rilevante miglioramento
delle convulsioni e delle anomalie elettroencefalografiche. Sono
state segnalate forme a esordio tardivo di questa malattia (fino ai 5
anni di età), perciò si raccomanda un trial terapeutico con vitamina B6 in tutti i bambini con convulsioni intrattabili. La dipendenza
in genere permane per il resto della vita. Sono stati notati altri
reperti neurologici, come un ritardo del linguaggio.
Studi di laboratorio hanno rivelato un aumento del glutammato
e una riduzione dei livelli di GABA nel cervello e nel liquor.
La patogenesi del disturbo resta sconosciuta. L’incremento della Km dell’enzima GAD per il suo cofattore (vitamina B6) sembra
una spiegazione logica, ma non sono state documentate anomalie
nell’attività del GAD nel cervello. Studi sul DNA del gene per
GAD65 e GAD67 non hanno rivelato alcuna mutazione. L’analisi
di linkage ha consentito di mappare il disturbo sul braccio lungo
del cromosoma 5q31.2, un locus completamente differente da
quelli dei geni GAD.
Il trattamento cronico con elevate dosi quotidiane di vitamina
B risulta necessario.
Deficit di GABA transaminasi. È un disturbo autosomico recessivo estremamente raro, documentato in tre bambini appartenenti
a due diverse famiglie. Le manifestazioni cliniche includono grave
ritardo psicomotorio, ipotonia, iperreflessia, letargia e convulsioni refrattarie. Un aumento della crescita lineare è stato segnalato
nei primi due pazienti, ma non nel terzo. Nel liquor si è riscontrato un aumento delle concentrazioni di GABA e -alanina.
L’esame post mortem del tessuto cerebrale ha rivelato la presenza
di leucodistrofia. Il deficit della GABA transaminasi può essere
dimostrato nel cervello e nei linfociti. Non è disponibile alcun
trattamento efficace e anche la somministrazione di vitamina B6
è risultata inefficace. Il gene per questo enzima è localizzato sul
cromosoma 16p13.3.
Aciduria ␥-idrossibutirrica (deficit di succinico semialdeide deidrogenasi). Sono stati segnalati più di 150 pazienti con questo
deficit enzimatico (vedi Fig. 85-11). Le manifestazioni cliniche,
che solitamente compaiono nella prima infanzia, includono ritardo mentale da lieve a moderato, ritardo del linguaggio, marcata
ipotonia, atassia e convulsioni. Altri reperti associati sono aprassia oculomotoria, coreoatetosi, tratti autistici e comportamento
aggressivo. L’atassia può migliorare con la crescita.
Studi di laboratorio hanno rivelato una marcata elevazione
della concentrazione di acido -idrossibutirrico nel sangue (fino
a 200 volte), nel liquido spinale (fino a 1200 volte) e nell’urina
(fino a 800 volte). Non è presente acidosi. L’escrezione urinaria
di acido -idrossibutirrico decresce con l’età. L’aumento delle
concentrazioni di glicina può essere riscontrato anche nel plasma,
nell’urina e nel liquido spinale.
La diagnosi è confermata con la misura dell’attività enzimatica
nei linfociti; quella prenatale è realizzata mediante la misurazione dell’acido -idrossibutirrico nel liquido amniotico, un test
enzimatico sugli amniociti o una biopsia su un campione di villi
coriali.
Il trattamento è risultato ampiamente inefficace. In alcuni pazienti la somministrazione di vigabatrin ha consentito un certo
miglioramento dell’atassia e del ritardo mentale. Il disturbo è
ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene per la succi-
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■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
577
nico semialdeide deidrogenasi è localizzato sul cromosoma 6p22;
sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie
differenti. Il ruolo dell’acido -idrossibutirrico nella patogenesi
della malattia resta da chiarire, poiché la somministrazione di
questo composto nell’uomo e nell’animale ha prodotto effetti opposti. Il -idrossi-butirrato è stato usato illecitamente come droga
ricreazionale per i suoi effetti anestetici ed è una delle cosidette
date-rape drug (vedi anche il Capitolo 113).
Deficit congenito di glutammina. Questo raro disturbo è dovuto
a un deficit della glutammina sintasi. La glutammina è assente
nel plasma, nelle urine e nel liquido cerebrospinale, ma i livelli
di glutammato restano nella norma. Le manifestazioni includono
malformazioni cerebrali (anomalie delle circonvoluzioni, lesioni
della materia bianca), insufficienza multiorgano (tra cui respiratoria) e decesso neonatale. È ipotizzabile che venga trasmesso con
modalità autosomica; il gene è localizzato sul cromosoma 1q31.
85.11 • CICLO DELL’UREA E IPERAMMONIEMIA
(ARGININA, CITRULLINA, ORNITINA) • Iraj Rezvani
Il catabolismo degli amminoacidi determina la produzione di
ammoniaca libera, un composto estremamente tossico per il
sistema nervoso centrale. L’ammoniaca è detossificata in urea
attraverso una serie di reazioni note come ciclo di Krebs-Henseleit o ciclo dell’urea (Fig. 85-12). La sintesi di urea richiede
5 enzimi: carbamil fosfato sintetasi (CPS, Carbamyl Phosphate
Synthetase), ornitina transcarbamilasi (OTC), argininosuccinato
sintetatsi (AS), argininosuccinato liasi (AL) e arginasi. Un terzo
enzima, l’N-acetilglutammato sintetasi, è necessario per la sintesi
di N-acetilglutammato, un attivatore dell’enzima CPS. Sono stati
osservati deficit specifici di ciascuno di questi enzimi; con una
prevalenza di 1/30 000 nati viti, costituiscono la più comune
causa genetica di iperammoniemia neonatale.
CAUSE GENETICHE DELL’IPERAMMONIEMIA. Oltre ai difetti genetici
degli enzimi del ciclo dell’urea, si osserva anche un marcato aumento dei livelli plasmatici di ammoniaca in altri errori congeniti
del metabolismo (Tab. 85-2).
MANIFESTAZIONI CLINICHE DI IPERAMMONIEMIA. Nel periodo
neonatale i sintomi e i segni sono collegati prevalentemente
a disfunzioni cerebrali e, a prescindere dalla cause specifiche
dell’iperammoniemia, risultano molto simili. Il bambino, normale
alla nascita, diviene sintomatico entro qualche giorno, in seguito
all’assunzione di proteine alimentari. Sintomi come il rifiuto di
mangiare, il vomito, la tachipnea e la letargia progrediscono
rapidamente verso un coma profondo. Nei bambini più grandi, l’iperammoniemia acuta si manifesta con vomito e anomalie
neurologiche come atassia, confusione mentale, agitazione, irritabilità e aggressività. Queste manifestazioni possono alternarsi
a periodi di letargia e sonnolenza, che possono progredire fino
al coma. Quando il difetto è causato da deficit degli enzimi del
ciclo dell’urea, gli esami di laboratorio di routine non mostrano
reperti specifici. L’azotemia è solitamente bassa. Il pH sierico è
normale o lievemente elevato. Nei neonati con iperammoniemia
viene spesso posta diagnosi di sepsi ed essi possono morire senza
una diagnosi corretta. La TC può rivelare edema cerebrale (Fig.
85-13). L’autopsia di solito non rivela segni specifici. È fondamentale misurare l’ammoniemia in tutti i lattanti malati con manifestazioni cliniche non attribuibili chiaramente a infezioni.
DIAGNOSI. Il criterio principale per la diagnosi è l’iperammoniemia. La concentrazione plasmatica di ammoniaca è solitamente
200 mol/L (i valori normali sono 35 mol/L). La Figura
85-14 illustra l’approccio clinico nel caso di un neonato con
iperammoniemia. I pazienti con deficit di CPS o OTC non presentano anomalie specifiche degli amminoacidi plasmatici, fatta eccezione per un aumento, secondario all’iperammoniemia, dei livelli
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■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
Benzoato
Glicina Benzoil CoA
Glutammato
Ammoniaca CO2 ATP
Deficit
NAG
sintetasi
Deficit CPS
Acido N-acetil-glutammico (NAG)
1
7
Ippurato
Urina
Glutammina
Fenilacetato
Urina
Fenilacetil
glutammina
Urina
Carbamil fosfato
Prolina
Acetil CoA
Acido
Acido glutammico
glutammico
-semialdeide
Atrofia girata
6
Deficit OTC
Ornitina
2
Citrullina
Membrana mitocondriale
CO2
Sindrome HHH*
Putrescina
Citrullina
Urea
Ornitina
Acido aspartico
Citosol
5
Argininemia
3
Arginina
Acido
fumarico
Citrullinemia
4
Acido argininosuccinico
Aciduria
argininosuccinica
Figura 85-12. Ciclo dell’urea: via per l’eliminazione dell’ammoniaca e per il metabolismo dell’ornitina. Le reazioni che si realizzano nei mitocondri sono rappresentate in blu. Le frecce interrotte indicano le vie metaboliche alternative per l’eliminazione dell’ammoniaca. Enzimi: (1) carbamil fosfato sintetasi (CPS), (2) ornitina
transcarbamilasi (OTC), (3) acido argininosuccinico sintetasi (AS), (4) acido argininosuccinico liasi, (5) arginasi, (6) ornitina 5-aminotrasferasi, (7) N-acetilglutammato (NAG) sintetasi.* Sindrome HHH, iperammoniemia-iperornitinemia-omocitrullinemia (Hyperammonemia-Hyperornithinemia-Homocitrullinemia).
TABELLA 85-2. Errori congeniti del metabolismo che causano
iperammoniemia
Deficit degli enzimi del ciclo dell’urea
Carbamil fosfato sintetasi (CPS)
Ornitina transcarbamilasi (OTC)
Argininosuccinato sintetasi (AS)
Argininosuccinato liasi (AL)
Arginasi
N-Acetilglutammato sintetasi
Acidemie organiche
Acidemia propionica
Acidemia metilmalonica
Acidemia isovalerica
Deficit di -chetotiolasi
Deficit multiplo di carbossilasi
Deficit di acil CoA deidrogenasi degli acidi grassi a catena media
Acidemia glutarica di tipo II
Aciduria 3-idrossi-3-metilglutarica
Intolleranza lisinurica alle proteine
Sindrome di iperammoniemia-iperornitinemia-omocitrullinemia
Iperammoniemia transitoria neonatale
Iperinsulinismo congenito con iperammoniemia
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di glutammina, acido aspartico e alanina. Un marcato aumento
dei livelli di acido orotico nelle urine consente di formulare la
diagnosi differenziale tra deficit OTC e CPS. Nei pazienti con deficit di AS, AL o arginasi si riscontra un significativo aumento dei
livelli plasmatici di citrullina, acido argininosuccinico o arginina.
La distinzione fra deficit CPS e deficit di N-acetilglutammato
(NAG) sintetasi può richiedere un dosaggio dei rispettivi enzimi,
sebbene il miglioramento clinico in seguito all’assunzione orale
di carbamilglutammato suggerisca la presenza di un deficit di
NAG sintetasi.
TRATTAMENTO DELL’IPERAMMONIEMIA ACUTA. L’iperammoniemia
acuta deve essere trattata in maniera tempestiva e aggressiva.
L’obiettivo della terapia è di rimuovere l’ammoniaca dal corpo,
garantendo allo stesso tempo un apporto calorico e di amminoacidi essenziali che interrompa la degradazione delle proteine
endogene (Tab. 85-3).
Si consiglia la somministrazione endovenosa di una corretta
quantità di calorie, liquidi ed elettroliti. I lipidi endovena (1
g/kg/die) costituiscono una efficace fonte di calorie. Una dose
minima di proteine (0,25 g/kg/die), preferibilmente in forma di
amminoacidi essenziali, andrebbe aggiunta ai liquidi endovena
per prevenire gli stati catabolici. L’alimentazione orale con latte a
ridotto contenuto proteico (0,5-1,0 g/kg/die) attraverso una sonda nasogastrica andrebbe avviata non appena il miglioramento
delle condizioni cliniche lo consente.
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Capitolo 85
■
■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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B
A
Figura 85-13. Tomografia computerizzata in un paziente con encefalopatia iperammonemica, dovuta a deficit di ornitina transcarbamilasi. A, Immagine realizzata
subito dopo il ricovero in ospedale. B, L’immagine realizzata 24 ore dopo il ricovero mostra la presenza di edema emisferico bilaterale, con cancellazione degli
spazi del liquido cerebrospinale (Da Brusiloe SW: Hyperammonemic encephalopathy, Medicine, 2002; 81:240.)
Eseguire emogasanalisi
Acidosi
Assenza di acidosi
Dosaggio
degli acidi organici
Dosaggio
degli amminoacidi plasmatici
Assenza di aumento
di specifici amminoacidi
Aumento di uno specifico
amminoacido
Dosaggio dell’acido
orotico nelle urine
Elevato
Normale o ridotto
Dosaggio
della citrullina plasmatica
Acidemie
organiche
Citrullinemia
Argininemia
Acidemia
argininosuccinica
Sindrome
HHH
Deficit
di OTC
Ridotta
Normale o elevata
Deficit
di CPS
o NAG sintetasi
Iperammoniemia
transitoria
del neonato
Figura 85-14. Approccio clinico in presenza di un neonato con iperammoniemia sintomatica. CPS, carbamil fosfato sintetasi; sindrome HHH, iperammoniemiaiperornitinemia-omocitrullinemia; NAG, N-acetilglutammato; OTC, ornitina transcarbamilasi.
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PARTE X
■
Malattie metaboliche
TABELLA 85-3. Trattamento dell’iperammoniemia acuta nel lattante
1. Garantire, per via endovenosa, un adeguato apporto di calorie, liquidi ed elettroliti (10% di glucosio
e 1 g/kg/die di lipidi). Aggiungere una quantità minima di proteine, preferibilmente un composto
di amminoacidi essenziali (0,25 g/kg/die) durante le prime 24 ore di terapia.
2. Fornire dosi di attacco dei seguenti composti (da aggiungere a 20 mL/kg di una soluzione al 10%
di glucosio, infusa in 1-2 ore):
sodio benzoato, 200 mg/kg (5,5 g/nm2)*
sodio fenilacetato, 250 mg/kg (5,5 g/nm2)*
arginina idrocloride, 200-600 mg/kg (4,0-12,0 g/nm2) in soluzione al 10%
3. Proseguire l’infusione di sodio benzoato* (250-500 mg/kg/die), sodio fenilacetato (250-500 mg/kg/die)
e arginina (200-600 mg/kg/die)**. Questi composti andrebbero aggiunti alla dose quotidiana di liquidi
endovena.
4. Se il trattamento non riesce a determinare un’apprezzabile riduzione dell’ammoniaca, avviare la dialisi
peritoneale o l’emodialisi.
*Questi composti sono solitamente preparati per l’uso endovenoso in soluzioni all’1-2%. Il sodio contenuto in questi farmaci
andrebbe calcolato nell’apporto quotidiano.
**La dose più elevata è consigliata nel trattamento di pazienti con citrullinemia e aciduria argininosuccinica. L’arginina non è
indicata nei pazienti con deficit di arginasi e in quelli con iperammoniemia secondaria ad acidemia organica.
A causa della scarsa clearance renale dell’ammoniaca, la sua
rimozione dal corpo deve essere accelerata mediante la formazione di composti a elevata clearance. Il benzoato di sodio forma
acido ippurico con la glicina endogena (vedi Fig. 85.12). Ciascuna mole di benzoato rimuove 1 mole di ammoniaca in forma di
glicina. Il fenilacetato si coniuga con la glutammina per formare
fenilacetilglutammina, facilmente escreta nelle urine. Una mole di
fenilacetato rimuove dal corpo 2 moli di ammoniaca in forma di
glutammina (vedi Fig. 85-12).
La somministrazione di arginina è efficace nel trattamento
dell’iperammoniemia dovuta a deficit del ciclo dell’urea (eccetto in pazienti con deficit di arginina), perché fornisce al ciclo
ornitidina e NAG (vedi Fig. 85-12). Nei pazienti con citrullinemia, 1 mole di arginina reagisce con 1 mole di ammoniaca (in
forma di carbamil fosfato) per formare citrullina. Nei pazienti
con acidemia argininosuccinica, 2 moli di ammoniaca (in orma
di carbamil fosfato e aspartato) reagiscono con l’arginina per
formare acido argininosuccinico. Citrullina e acido argininosuccinico sono molto meno tossici dell’ammoniaca e più facilmente
eliminabili dai reni. Nei pazienti con deficit CPS o OTC è indicata
la somministrazione di arginina, perché in queste malattie diviene
un amminoacido essenziale. I pazienti con deficit OTC traggono
beneficio dall’assunzione di citrullina (200 mg/kg/die), in quanto
una sua mole può accettarne 1 di ammoniaca (come acido aspartico) per formare arginina. La somministrazione di arginina o
citrullina è controindicata in pazienti con deficit di arginasi, una
rara malattia il cui sintomo di presentazione è talvolta costituito
dall’iperammoniemia acuta. Nei pazienti con iperammoniemia
secondaria ad acidemie organiche, il trattamento con arginina
non è indicato, perché non consente di ottenere alcun effetto
benefico. In un neonato al primo attacco di iperammoniemia l’arginina andrebbe somministrata fino alla formulazione della diagnosi. Benzoato, fenilacetato e arginina possono essere prescritti
in associazione per massimizzare l’effetto terapeutico. Una dose
di attacco di questi composti è seguita dall’infusione continua,
fino alla risoluzione dello stato acuto (vedi Tab. 85-3). Benzoato
e fenilacetato sono generalmente disponibili in forma di soluzioni
concentrate e devono essere opportunamente diluiti (soluzione
all’1-2%) per l’uso endovenoso. Le dosi terapeutiche raccomandate per entrambi i composti rilasciano una rilevante quantità di
sodio, che dovrebbe essere considerata nell’apporto quotidiano.
Negli Stati Uniti è disponibile per l’uso endovenoso un preparato
commerciale di sodio benzoato e sodio fenilacetato. Benzoato e
fenilacetato andrebbero impiegati con cautela nei neonati con
iperbilirubinemia, perché possono causare una dislocazione della
bilirubina dall’albumina (vedi Capitolo 102.4). Nei neonati a
rischio, prima di procedere alla somministrazione di benzoato e
fenilacetato è consigliabile ridurre la bilirubina a un livello sicuro.
Se le terapie illustrate falliscono l’obiettivo di ridurre entro qualche ora i livelli plasmatici di ammoniaca, è opportuno ricorrere a
emodialisi o dialisi peritoneale. L’exanguinotrasfusione non con-
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sente una riduzione significativa dell’ammoniaca nel corpo e va
utilizzata soltanto se non è possibile ricorrere tempestivamente
alla dialisi o se il neonato presenta iperbilirubinemia (vedi sopra).
L’emodialisi, pure rappresentando il sistema più efficace per la riduzione dell’ammonica, è una procedura tecnicamente complessa,
difficile da eseguire e non sempre disponibile. La dialisi peritoneale
è il metodo più rapido e pratico per il trattamento dei pazienti con
grave iperammoniemia; entro qualche ora si riscontra solitamente
una netta riduzione del livello plasmatico di ammoniaca e, nella
maggior parte dei pazienti, il livello si normalizza completamente
entro 48 ore. Nei pazienti con iperammoniemia dovuta ad acidemia organica, la dialisi peritoneale rimuove efficacemente dal
corpo sia gli acidi organici nocivi sia l’ammoniaca.
Per limitare la possibile produzione di ammoniaca da parte
dei batteri intestinali, la somministrazione orale di neomicina e
lattulosio attraverso una sonda nasogastrica andrebbe avviata
tempestivamente. Può riscontrarsi un intervallo considerevole tra
la normalizzazione dell’ammoniaca e il miglioramento delle condizioni neurologiche del paziente. Prima che il neonato recuperi
completamente lo stato di allerta sono talvolta necessari diversi
giorni.
Terapia a lungo termine. Una volta recuperata l’allerta, la terapia dovrebbe essere mirata alle cause dell’iperammoniemia. In
generale, tutti i pazienti richiedono un certo grado di restrizione proteica nella dieta (1-2 g/kg/die), a prescindere dal difetto
enzimatico. Nei pazienti con difetti del ciclo dell’urea, il mantenimento dei livelli ematici di ammoniaca nel range normale
richiede l’assunzione cronica di benzoato (250-500 mg/kg/die),
fenilacetato (250-500 mg/kg/die) e arginina (200-400 mg/kg/die)
o citrullina (in presenza di deficit OTC, 200-400 mg/kg/die). Il
fenilbutirrato può essere sostituito al fenilacetato, se il paziente o
i suoi familiari fanno fatica a tollerare il suo cattivo odore. Negli
Stati Uniti è disponibile per l’uso orale un preparato commerciale
del composto. La supplementazione di carnitina è raccomandata,
poiché il benzoato e il fenilacetato possono causarne la deplezione, anche se i benefici clinici di questo composto restano da
dimostrare. Lesioni cutanee simili ad acrodermatite entropatica
sono state notate in alcuni pazienti con differenti tipi di difetti
del ciclo dell’urea, presumibilmente dovuti a deficit di amminoacidi essenziali, in particolare arginina, causati da un’eccessiva
riduzione dell’apporto di proteine. Gli stati catabolici scatenati
dall’iperammoniemia andrebbero evitati. In pazienti con deficit
CPS, PTC e AS, gli attacchi acuti di iperammoniemia possono
essere provocati dalla somministrazione di valporato.
DEFICIT DI CARBAMIL FOSFATO SINTETASI (CPS) E N-ACETILGLUTAMMATO (NAG) SINTETASI (VEDI FIG. 85-12). Il deficit di questi due
enzimi produce manifestazioni cliniche e biochimiche analoghe.
La gravità dei sintomi e l’età di presentazione sono estremamente
variabili, sebbene nella maggior parte dei casi il bambino divenga
sintomatico nei primi giorni di vita, con segni e sintomi di iperammoniemia (rifiuto di mangiare, vomito, letargia, convulsioni
e coma). Le forme tardive (fino ai 32 anni di età) possono manifestarsi con attacchi acuti di iperammoniemia in un individuo
apparentemente normale. Questi episodi possono condurre al
coma e al decesso (è stato segnalato il caso di una paziente di 26
anni, precedentemente asintomatica, deceduta a causa dell’iperammoniemia durante il parto). Sono state osservate anche forme
intermedie con ritardo mentale, iperammoniemia subclinica cronica e attacchi episodici di iperammoniemia acuta.
I reperti di laboratorio includono iperammoniemia in assenza
di aumento delle concentrazioni plasmatiche di specifici amminoacidi; il marcato innalzamento dei livelli plasmatici di glutammina e alanina osservato in questi pazienti è secondario all’iperammoniemia. L’acido orotico è normalmente assente o molto
ridotto nelle urine (vedi Fig. 85-14).
Il trattamento degli attacchi acuti di iperammoniemia e la
terapia a lungo termine sono stati già descritti in precedenza
(vedi Tab. 85-3). I pazienti con deficit di NAG sintetasi traggono
giovamento dalla somministrazione orale di carbamilglutammato. È dunque importante porre diagnosi differenziate fra i deficit
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Capitolo 85
di CPS e NAG sintetasi, mediante la misurazione dell’attività
enzimatica su biopsie epatiche. Il deficit di NAG sintetasi è raro
in Nord America. Il deficit di CPS è ereditato con modalità autosomica recessiva; l’enzima è normalmente presente nel fegato e
nell’intestino. Il gene è mappato sul cromosoma 2q35. Sono state
identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti.
La prevalenza del disturbo non è nota.
DEFICIT DI ORNITINA TRANSCARBAMILASI (OTC) (VEDI FIG. 85-12).
Questo disturbo legato all’X parzialmente dominante colpisce in
forma più grave gli emizigoti di sesso maschile rispetto alle donne
eterozigoti, che pure potendo presentare la forma più lieve, nella
maggior parte dei casi (75%) sono asintomatiche. È il disturbo
del ciclo dell’urea più comune.
La principale manifestazione clinica nei neonati maschi è la grave iperammoniemia (vedi sopra), che compare nei primi giorni di
vita. Forme più lievi del disturbo sono riscontrate comunemente
nelle donne eterozigoti e in alcuni uomini e sono caratterizzate da
manifestazioni episodiche che possono insorgere a qualsiasi età
(di solito dopo l’infanzia). Gli episodi di iperammoniemia (con
vomito e disturbi neurologici come atassia, confusione mentale,
agitazione e aggressività) sono separati da periodi asintomatici.
Questi episodi solitamente si verificano a causa di una dieta a
elevato contenuto proteico o in seguito a uno stato catabolico
(come un’infezione). Durante uno di questi attacchi può verificarsi il coma da iperammoniemia, l’edema cerebrale o il decesso
del paziente (vedi Fig. 85-13). Lo sviluppo mentale può procedere
normalmente, ma un ritardo da lieve a moderato è comune. Nei
sopravvissuti sono stati riscontrati calcoli biliari, ma il meccanismo patogenetico resta da chiarire.
Il principale reperto di laboratorio durante gli attacchi acuti è
l’iperammoniemia, in assenza di elevazione di specifici amminoacidi nel sangue. L’incremento delle concentrazioni plasmatiche di
glutammina e alanina è secondario all’iperammoniemia. Il marcato aumento dell’escrezione urinaria di acido orotico consente di
formulare la diagnosi differenziale tra questo disturbo e il deficit
di CPS (vedi Fig. 85-14). Ororati possono precipitare nell’urina
come renella o calcoli. Nella forma lieve queste anomalie di laboratorio possono normalizzarsi tra un attacco e l’altro. Questa
forma deve essere distinta da tutti gli altri disturbi episodici infantili. In particolare, l’intolleranza lisinurica alle proteine (vedi
Capitolo 85.13) mima le caratteristiche cliniche e biochimiche del
deficit di OTC. L’aumento dell’escrezione urinaria di lisina, ornitina e arginina e l’elevazione della concentrazione di citrullina nel
sangue sono reperti tipici dell’intolleranza lisinurica alle proteine,
mentre non compaiono nei pazienti con deficit OTC.
La diagnosi può essere confermata mediante la misurazione
dell’attività enzimatica, normalmente presente soltanto nel fegato,
o tramite l’identificazione del gene mutante. La diagnosi prenatale è realizzata con una biopsia epatica fetale o con l’analisi del
DNA su campioni di villi coriali. Un carico orale di proteine, che
aumenta l’ammoniaca plasmatica e il livello di acido orotico nelle
urine, può consentire l’identificazione di donne asintomatiche portatrici sane, nelle quali può essere presente una lieve disfunzione
cerebrale. Anche il marcato aumento dell’orotidina nelle urine in
seguito a un test da carico con allopurinolo contribuisce all’identificazione delle donne eterozigoti obbligate portatrici sane.
Il trattamento degli attacchi acuti di iperammoniemia e la
terapia a lungo termine sono già stati descritti in precedenza. La
citrullina è usata in sostituzione dell’arginina in pazienti con deficit OTC. Il trapianto di fegato costituisce un’ottima opportunità
terapeutica definitiva in pazienti ben controllati che sono riusciti
a evitare crisi multiple di iperammoniemia. Il gene per l’ornitina
transcarbossilasi è stato mappato sul cromosoma X (Xp21.1).
Sono state identificate circa 200 mutazioni patogenetiche in pazienti diversi. In molti casi la gravità del fenotipo dipende dal
grado del deficit enzimatico e dal genotipo. Le madri dei bambini
colpiti sono portatrici del gene mutante. È stato segnalato il caso
di una madre con due figli maschi colpiti malgrado un genotipo
normale, cosicché per spiegare il riscontro è stato chiamato in
causa il mosaicismo gonadico in essa.
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Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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DEFICIT DI ARGININOSUCCINATO SINTETASI (AS) (CITRULLINEMIA)
(VEDI FIG. 85-12). Sono state identificate due forme di citrullinemia,
clinicamente e geneticamente distinte. La forma classica (tipo 1) è
dovuta a un deficit dell’enzima AS, mentre la forma adulta (tipo
II) è causata dal deficit di una proteina di trasporto mitocondriale
chiamata citrina.
Citrullinemia di tipo I (citrullinemia classica, CTLN 1). Questo disturbo, determinato dal deficit di AS (vedi Fig. 85-12), presenta
manifestazioni cliniche variabili, che dipendono dal grado del deficit. Sono state identificate due forme principali. La forma grave
o neonatale, la più comune, compare nei primi giorni di vita, con
i segni e i sintomi dell’iperammoniemia (vedi sopra), mentre nella
forma subacuta o lieve i sintomi clinici (deficit staturo-ponderale,
vomito frequente, ritardo dello sviluppo, capelli secchi e fragili)
compaiono gradualmente dopo il primo anno di età. L’iperammoniemia acuta, scatenata da uno stato catabolico intercorrente,
può portare alla diagnosi.
I reperti di laboratorio sono simili a quelli riscontrati nei
pazienti con deficit OTC, fatta eccezione per l’elevazione della concentrazione plasmatica di citrullina (50-100 volte oltre il
normale) (vedi Fig. 85-14). L’escrezione urinaria di acido orotico
è moderatamente aumentata; può aversi cristalluria, dovuta alla
precipitazione di orotati. La diagnosi è confermata mediante un
esame dell’attività enzimatica in fibroblasti in coltura o mediante analisi del DNA. La diagnosi prenatale è eseguita valutando
l’attività enzimatica su colture di cellule amniotiche o un’analisi
del DNA di campioni di villi coriali.
Il trattamento degli attacchi acuti di iperammoniemia e la
terapia a lungo termine del disturbo sono stati delineati nelle pagine precedenti. La concentrazione plasmatica di citrullina resta
elevata anche tra un attacco e l’altro e può aumentare ulteriormente in seguito a somministrazione di arginina. La prognosi
è sfavorevole nei neonati sintomatici, mentre i pazienti con la
forma lieve possono essere trattati efficacemente con una dieta
a ridotto contenuto di proteine associata alla terapia con sodio
benzoato e arginina. Il ritardo mentale da lieve a moderato è una
sequela comune, anche nei pazienti trattati con successo.
La citrullinemia è ereditata con modalità autosomica recessiva.
Il gene è localizzato sul cromosoma 9q34. Sono state identificate
varie mutazioni patogenetiche in diverse famiglie. La maggior
parte dei pazienti è doppia eterozigote per due differenti alleli.
La prevalenza del disturbo non è nota.
Citrullinemia da deficit di citrina (citrullinemia di tipo II, CLTN 2).
La citrina è una proteina di trasporto mitocondriale, codificata
da un gene (SLC25A13) localizzato sul cromosoma 7q21.3. Una
delle funzioni di questa proteina è il trasporto dell’aspartato dai
mitocondri al citoplasma; l’aspartato è necessario per convertire
la citrullina in acido argininosuccinico (vedi Fig. 85-12). Il deficit
di citrina causa un’alterazione del ciclo dell’urea. L’attività AS
è deficitaria nel fegato di questi pazienti, ma non sono state riscontrate mutazioni del gene per l’AS. È ipotizzabile che il deficit
di citrina o il suo gene mutato interferiscano con la traslazione
dell’mRNA per l’enzima AS nel fegato. La mutazione del gene per
la citrina produce due differenti quadri clinici, segnalati esclusivamente in Giappone.
Colestasi intraepatica neonatale (citrullinemia di tipo II, forma
neonatale). Le manifestazioni cliniche e di laboratorio, che solitamente esordiscono a 3 mesi di età, includono ittero colestatico
con iperbilirubinemia diretta (coniugata) da lieve a moderata,
marcata ipoproteinemia, disturbi della coagulazione (aumento
del tempo di protrombina e del tempo parziale di tromboplastina) e una elevazione dell’attività di -glutamiltranspeptidasi
(GGTP) e di fosfatasi alcalina; le transaminasi epatiche sono di solito normali. Anche le concentrazioni plasmatiche di
ammoniaca e citrullina rientrano nella norma, ma sono state
segnalate moderati innalzamenti. Si può riscontrare anche un
aumento della concentrazione plasmatica di metionina, tirosina,
alanina e treonina. L’elevazione dei livelli sierici di galattosio
è stata segnalata in alcuni casi, ma tutti gli enzimi coinvolti nel metabolismo del galattosio sono normali. La ragione
dell’ipergalattosemia non è nota. È presente anche un significa-
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PARTE X
■
Malattie metaboliche
tivo accrescimento del livello sierico di -fetoproteina. Questi
reperti suggeriscono la presenza di tirosinemia di tipo I, ma la
mancanza di escrezione urinaria di succinilacetone consente di
escluderla (vedi Capitolo 85.2).
La biopsia epatica rivela infiltrazioni adipose, colestasi con
canalicoli dilatati e una fibrosi di grado moderato. Il disturbo
è solitamente auto-limitante e la maggior parte dei bambini si
ristabilisce spontaneamente entro il primo anno di età con un
semplice trattamento sintomatico e di supporto. L’iperammoniemia e l’ipercitrullinemia, se presenti, vanno trattate con una dieta
a ridotto contenuto proteico e altre misure appropriate (vedi
sopra). L’insufficienza epatica, tale da richiedere il trapianto, è
stata riscontrata in alcuni rari casi. Benché il disturbo si manifesti
quasi esclusivamente in Giappone, la diagnosi andrebbe presa
in considerazione in presenza di epatite neonatale con colestasi.
I dati sulla prognosi a lungo termine e sulla storia naturale del
disturbo sono limitati. È stata segnalata la possibilità di progressione verso la forma adulta (vedi oltre) dopo diversi anni di
apparente asintomaticità.
Citrullinemia di tipo II, forma adulta (citrullinemia a esordio tardivo, citrullinemia di tipo II, forma lieve). Questa forma esordisce
improvvisamente in un individuo precedentemente normale e si
manifesta con sintomi neuropsichiatrici come disorientamento,
delirio, allucinazioni, comportamento aberrante, tremori e psicosi. L’iperammoniemia e l’ipercitrullinemia sono presenti in grado
moderato. L’età di esordio è solitamente compresa tra i 20 e i 40
anni (ma il range va da 11 a 79 anni). I pazienti che si ristabiliscono dopo il primo episodio tendono ad avere attacchi ricorrenti; nella maggior parte dei casi lo sviluppo di edema cerebrale
causa la morte del paziente entro pochi anni dalla diagnosi. Le
complicanze principali di chi sopravvive sono pancreatite, iperlipidemia ed epatoma. Il trattamento medico si è rivelato inutile
nel prevenire gli attacchi. Il trapianto di fegato è attualmente la
terapia più efficace.
Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche del gene
nelle famiglie giapponesi colpite. La patogenesi della citrullinemia
di tipo II (forma adulta e neonatale) resta enigmatica. Malgrado
la frequenza del gene anomalo sia piuttosto elevata in Giappone
(1:20 000 omozigosità), il disturbo clinico ha una frequenza di solo 1:100 000. Ciò indica che un numero significativo di individui
omozigoti resta asintomatico. Sono stati documentati pochissimi
casi di individui non giapponesi colpiti.
DEFICIT DI ARGININOSUCCINATO LIASI (AL) (ACIDURIA ARGININOSUCCINICA) (VEDI FIG. 85-12). La gravità delle manifestazioni
cliniche e biochimiche varia considerevolmente. Nella forma
neonatale, segni e sintomi di grave iperammoniemia (vedi sopra)
si sviluppano nei primi giorni di vita; la mortalità è solitamente
elevata. I bambini che sopravvivono al primo episodio acuto
seguono il decorso clinico della forma subacuta, il cui sintomo principale è il ritardo mentale, associato a deficit staturoponderale ed epatomegalia. Il riscontro di capelli fragili e secchi
ha un importante valore diagnostico. In alcuni pazienti è stata
segnalata la presenza di calcoli biliari. Solitamente gli attacchi
acuti di grave iperammoniemia si verificano durante uno stato
catabolico.
I reperti di laboratorio includono iperammoniemia, moderata
elevazione degli enzimi epatici, un aumento aspecifico dei livelli
plasmatici di citrullina e alanina (minore rispetto a quello osservato nella citrullinemia) e un marcato incremento di quello
di acido argininosuccinico (vedi Fig. 85-14). Nelle analisi degli
amminoacidi, l’acido argininosuccinico compare tra la regione
dell’isoleucina e quella della metionina e ciò può essere fonte di
confusione diagnostica. Questo acido può essere riscontrata in
grande quantità anche nell’urina e soprattutto nel liquor, dove i
livelli sono solitamente più elevati di quelli plasmatici. L’enzima è
normalmente presente negli eritrociti, nel fegato e nei fibroblasti
in coltura. La diagnosi prenatale è realizzata mediante misura
dell’attività enzimatica su colture di cellule amniotiche o identificazione del gene mutante. L’acido argininocuccinico è elevato
anche nel liquido amniotico dei feti colpiti.
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Il trattamento degli attacchi di iperammoniemia acuta e la gestione a lungo termine sono già stati considerati. Le sequele più
comuni sono ritardo mentale, persistente epatomegalia con lieve
aumento degli enzimi epatici, tendenza al sanguinamento dovuta
a disturbi della coagulazione. Il deficit è ereditato con modalità
autosomica recessiva, con una prevalenza di 1/70 000 nati vivi.
Il gene è localizzato sul cromosoma 7cen-q11.2.
DEFICIT DI ARGINASI (IPERARGININEMIA) (VEDI FIG. 85-12). Questo
deficit è ereditato con modalità autosomica recessiva. Negli esseri
umani si riscontrano due tipi di arginasi geneticamente distinti: il
tipo citosolico (A1) è espresso nel fegato e negli eritrociti; l’altro
tipo (A2) si ritrova nei mitocondri renali e cerebrali. Il gene per
l’enzima citosolico, uno dei geni deficitari nei pazienti con deficit
di arginasi, è localizzato sul cromosoma 6q23. Il ruolo dell’enzima mitocondriale non è stato ancora completamente chiarito; la
sua attività aumenta in pazienti con arginiemia, ma non ha effetti
protettivi. Sono state identificate svariate mutazioni patogenetiche in famiglie diverse.
Le manifestazioni cliniche di questa rara malattia sono piuttosto diverse da quelle degli altri deficit del ciclo dell’urea.
L’esordio è insidioso; il bambino può rimanere del tutto asintomatico nei primi mesi di vita o talvolta nei primi anni. Una progressiva diplegia spastica, con arti inferiori incrociati a forbice,
movimenti coreoatetosici e perdita delle acquisizioni evolutive
in un bambino precedentemente sano, suggerisce una malattia
degenerativa del sistema nervoso centrale. Due bambini sono
stati sottoposti per anni al trattamento per la paralisi cerebrale prima della conferma della diagnosi di deficit di arginasi.
Il ritardo mentale è progressivo; le convulsioni sono comuni,
ma gli episodi di grave iperammoniemia sono rari. Può essere
presente epatomegalia. È stata segnalata anche una forma neonatale acuta con convulsioni intrattabili, edema cerebrale e
mortalità elevata.
I reperti di laboratorio includono una marcata elevazione
dell’arginina nel plasma e nel liquido cerebrospinale (vedi Fig.
85-14). L’acido orotico nelle urine è moderatamente aumentato.
I livelli plasmatici di ammoniaca possono risultare normali e limitatamente elevati. L’escrezione urinaria di arginina, lisina, cistina
e ornitina è di solito più alta, ma sono stati documentati anche
livelli normali, per cui la determinazione degli amminoacidi nel
plasma è fondamentale per la diagnosi. I guanidino composti
(acido -cheto-guanidinovalerico, acido argininico) sono notevolmente accresciuti nelle urine. La diagnosi è confermata dalla
valutazione dell’attività dell’arginasi negli eritrociti.
Il trattamento prevede una dieta a basso conenuto calorico e
priva di arginina. La somministrazione di una proteina sintetica
composta da amminoacidi essenziali consente un rilevante decremento della concentrazione plasmatica di arginina e un miglioramento delle anomalie neurologiche. La composizione della dieta
e l’apporto quotidiano di proteine devono essere monitorati con
frequenti determinazioni di amminoacidi. Anche il sodio benzoato (250-375 mg/kg/die) è efficace nel controllare l’iperammoniemia (se presente); con questo trattamento è stata notata una
riduzione dei livelli plasmatici di arginina. Il ritardo mentale è
una sequela comune. È stato documentato il caso di un paziente
che, all’età di 9 anni, aveva sviluppato diabete, malgrado la sua
argininemia fosse sotto controllo.
IPERAMMONIEMIA TRANSITORIA DEL NEONATO. Benché i livelli
plasmatici di ammoniaca nei neonati a termine siano entro i limiti
normali, un peso particolarmente ridotto può essere associato a
lieve iperammoniemia (40-50 mol/L), che dura per circa 6-8
settimane. Questi neonati sono asintomatici e follow-up condotti
fino ai 18 mesi di età non hanno rivelato alcun deficit neurologico
significativo.
In alcuni è stata osservata iperammoniemia grave transitoria.
La maggior parte dei bambini colpiti è prematura e presenta lieve
distress respiratorio. Il coma da iperammoniemia può insorgere
nei primi 2-3 giorni di vita, compromettendo la sopravvivenza se
il trattamento non è avviato tempestivamente. Gli studi di labora-
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Capitolo 85
■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
583
torio rivelano marcata iperammoniemia (ammoniaca plasmatica
fino a 4000 mol/L), con un moderato aumento dei livelli plasmatici di glutammina e alanina. Le concentrazioni plasmatiche
degli amminoacidi intermedi del ciclo dell’urea sono solitamente
normali, fatta eccezione per la citrullina, che può comparire limitatamente elevata. La causa del disturbo è sconosciuta. L’attività
enzimatica del ciclo dell’urea è normale.
Il trattamento dell’iperammoniemia deve essere tempestivo e
aggressivo (vedi sopra). La guarigione senza sequele è comune
e l’iperammoniemia non si ripresenta, nemmeno con una dieta
normale.
85.12 • ISTIDINA • Iraj Rezvani
ORNITINA. L’ornitina è uno dei metaboliti intermedi del ciclo
dell’urea che non è incorporato in proteine naturali, essendo infatti generata nel citosol a partire dall’arginina e dovendo essere
trasportata nei mitocondri, dove è utilizzata per la produzione
di citrullina come substrato per l’enzima OTC. L’ornitina in
eccesso è catabolizzata da due enzimi: l’ornitina 5-aminotrasferasi, un enzima mitocondriale che converte l’ornitina in un
precursore della prolina; l’ornitina decarbossilasi, che riside nel
citosol e converte l’ornitina in putrescina (vedi Fig. 85-12). Due
disturbi genetici determinano iperornitinemia: l’atrofia girata
della retina e la sindrome da iperammoniemia-iperornitinemiaomocitrullinemia.
Atrofia girata della retina e della coroide. Questo raro disturbo
autosomico recessivo è causato da un deficit dell’enzima ornitina
5-aminotrasferasi (vedi Fig. 85-12). Circa il 30% dei casi è stato
segnalato in Finlandia. Le manifestazioni cliniche sono limitate
agli occhi e includono cecità notturna, miopia, perdita visiva
periferica e cataratta sottocapsulare posteriore. Tali sintomi esordiscono tra i 5 e i 10 anni di età e progrediscono fino alla cecità
totale entro la quarta decade di vita. Le lesioni atrofiche della
retina somigliano a circonvoluzioni cerebrali. I pazienti di solito
hanno una intelligenza normale. Si riscontra un aumento del
livello plasmatico di ornitina da 10 a 20 volte rispetto alla norma (400-1400 mol/L). L’iperammoniemia invece non compare,
né si nota l’aumento di altri amminoacidi; i livelli plasmatici di
glutammato, glutammina, lisina, creatina e creatinina risultano
moderatamente ridotti. Alcuni pazienti rispondono parzialmente
a dosi elevate di piridossina (500-1000 mg/die). Una dieta priva
di arginina, in associazione a supplementazione di lisina, prolina
e creatina, ha consentito la diminuzione della concentrazione plasmatica di ornitina e un certo miglioramento clinico. Il gene per
l’ornitina 5-aminotrasferasi è localizzato sul cromosoma 10q26.
Almeno 60 mutazioni patogenetiche sono state identificate in
famiglie differenti.
La principale via del catabolismo della lisina implica la sua
condensazione con l’acido -chetoglutarico, per formare saccaropina. La saccaropina è poi degradata in acido -aminoadipico
semialdeide e acido glutarrico. Questi primi due passaggi sono
catalizzati dall’-aminoadipico semialdeide sintasi, dalla lisinachetoglutarrato reduttasi e dalla saccaropina deidrogenasi (Fig.
85-15). In una via metabolica minore per la degradazione della
lisina, questa è in primo luogo transaminata e poi condensata
nella forma ciclica: l’acido pipecolico. Si tratta della via principale per la D-lisina nel corpo e la L-lisina nel cervello (vedi
Fig. 85-15).
L’iperlisinemia, l’acidemia -aminoadipica e l’acidemia
-chetoadipica sono tre disturbi dovuti a errori congeniti del
metabolismo della lisina. Gli individui con questi disturbi sono
solitamente asintomatici.
SINDROME DI IPERAMMONIEMIA-IPERORNITINEMIA-OMOCITRULLINEMIA. Questa rara malattia, ereditata con modalità autosomica recessiva, è causata da un difetto del sistema di trasporto
dell’ornitina dal citosol ai mitocondri, responsabile dell’accumulo
di ornitina nel citosol e di un deficit all’interno dei mitocondri.
L’accumulo causa iperornitinemia, mentre il deficit altera il ciclo
dell’urea, con conseguente iperammoniemia (vedi Fig. 85-12).
L’omocitrullina è presumibilmente formata dalla reazione tra carbamil fosfato mitocondriale e lisina, che si verifica a causa del
deficit intramitocondriale di ornitina. Le manifestazioni cliniche
di iperammoniemia possono svilupparsi poco dopo la nascita,
oppure risultano ritardate fino all’età adulta. Gli episodi acuti
di iperammoniemia si manifestano con rifiuto dell’allattamento,
vomito e letargia; durante l’infanzia può insorgere il coma. Se il
disturbo non viene diagnosticato, possono svilupparsi segni neurologici progressivi, come debolezza degli arti inferiori, accentuazione dei riflessi tendinei profondi, spasticità, clono, convulsioni
e ritardo psicomotorio di grado variabile. Non è stato osservato
un coinvolgimento oculare.
I reperti di laboratorio rivelano un marcato aumento dei livelli
plasmatici di ornitina e di omocitrullina, oltre all’iperammonimia. La somministrazione orale di ornitina può consentire un miglioramento clinico in alcuni pazienti. Il gene per questo disturbo
(SLC25A15) è localizzato sul cromosoma 13q14.
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L’istidina è un amminoacido essenziale soltanto durante l’infanzia. La sua via biosintetica negli adulti non è stata ancora chiarita con precisione. L’istidina è degradata in acido glutammico
attraverso la via dell’acido urocanico. Sono stati segnalati diversi
disturbi genetici che coinvolgono la via di degradazione, ma nessuno sembra avere conseguenze cliniche.
85.13 • LISINA • Iraj Rezvani
ACIDURIA GLUTARICA DI TIPO I. L’acido glutarico è un composto
intermedio della degradazione di lisina (vedi Fig. 85-15), idrossilisina e triptofano. L’aciduria glutarica di tipo I, disturbo causato
da un deficit di glutaril CoA deidrogenasi, deve essere distinta
dall’aciduria glutarica di tipo II, causata da un difetto del sistema
di trasporto degli elettroni (vedi Capitolo 86.1).
Manifestazioni cliniche. I bambini con aciduria di tipo I possono apparire asintomatici fino ai 2 anni. La macrocefalia è di
comune riscontro. I sintomi (ipotonia, perdita di controllo della
testa, coreoatetosi, convulsioni, rigidità generalizzata, opistotono
e distonia) possono insorgere improvvisamente in un lattante precedentemente sano, come conseguenza di un’infezione minore. Il
recupero dopo il primo attacco è di solito lento e alcune anomalie
neurologiche residue possono persistere (in particolare distonia
e movimenti extrapiramidali). Successive infezioni intercorrenti
rischiano di scatenare nuovi episodi acuti simili al primo. In altri
pazienti, tali segni e sintomi si sviluppano gradualmente nei primi
anni di vita; l’ipotonia e la coreoatetosi tendono a progredire,
causando rigidità e distonia. In questi pazienti, gli episodi acuti di
scompenso metabolico (con vomito, chetosi, convulsioni e coma)
possono essere scatenati da infezioni o altri stati catabolici. La
mortalità è frequente nella prima decade di vita, nel corso di un
episodio acuto. Le abilità intelletuali restano nella norma nella
maggior parte dei pazienti.
Reperti di laboratorio. Durante gli episodi acuti è possibile riscontrare acidosi metabolica da lieve a moderata e chetosi. In
alcuni pazienti si osservano ipoglicemia, iperammoniemia e aumento delle transaminasi sieriche. Elevate concentrazioni di acido
glutarrico si ritrovano solitamente in urine, sangue e liquido cerebrospinale. Anche l’acido 3-idrossiglutarrico può essere presente
nelle urine. Questi reperti consentono di formulare la diagnosi
differenziale tra l’aciduria glutarica di tipo I e II (nel secondo tipo,
è piuttosto l’acido 2-idrossiglutarico a risultare aumentato). Le
concentrazioni plasmatiche di amminoacidi sono di solito entro i
limiti normali. Tra un attacco e l’altro, i reperti di laboratio appaiono aspecifici. Sono stati segnalati casi di bambini molto gravi, in
assenza di aciduria glutarica, in alcuni dei quali l’acido glutarico
è elevato soltanto nel liquor. L’attività dell’enzima glutaril CoA
deidrogenasi andrebbe sempre misurata (su leucociti o fibroblasti
in coltura) in presenza di un bambino con distonia progressiva
e discinesia. La TC o la RM cerebrale rivelano macrocefalia,
ventricoli laterali dilatati, atrofia corticale, fibrosi e atrofia del
nucleo striato (putamen e caudato).
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PARTE X
■
Malattie metaboliche
Sintesi proteica
-N-acetil-lisina
-N-acetil-lisina
NH2
NH2
(CH2)4
Acido -cheto-aminocaproico
CH
Lisina COOH
1
Saccaropina
Acido
2-chetoglutarrico
Lisinemia
Acido piperidina2-carbossilico
2
Lisinemia
Omoarginina
Omocitrullina
Acido
glutammico
Acido
-aminoadipico
-Semialdeide
6
Acido
pipecolico
Acido piperidina6-carbossilico
Acidemia pipecolica
Acido
-aminoadipico
CO2
5
Acido
acetoacetico
Acido
glutaconico
Aciduria
glutarica di tipo I
Acido
glutarico
4
Aciduria
-chetoadipica
3
Acido
-chetoadipico
Aciduria
-aminoadipica
Triptofano
Figura 85-15. Vie metaboliche della lisina. Enzimi: (1) lisina chetoglutarato reduttasi, (2) saccaropina deidrogenasi, (3) acido -aminoadipico trasferasi, (4) acido
-aminoadipico deidrogenasi, (5) glutaril CoA deidrogenasi, (6) -aminoadipico semialdeide ossidasi.
Trattamento. Una dieta a ridotto contenuto di proteine (priva in
particolare di lisina e triptofano) e la somministrazione di dosi
elavate (200-300 mg/die) di riboflavina (coenzima per la glutaril
CoA deidrogenasi) e L-carnitina (50-100 mg/kg/die) producono
una rilevante riduzione dei livelli di acido glutarico nei liquidi
somatici, ma gli effetti clinici di questa terapia sono variabili.
L’aggiunta di un GABA analogo e di acido valproico al regime
terapeutico ne potenzia gli effetti positivi in alcuni pazienti.
Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. La
sua prevalenza non è nota, benché sia più elevata in Svezia e tra
gli Amish degli Stati Uniti. Il gene è localizzato sul cromosoma
19p13.2; sono state identificate varie mutazioni patogenetiche
in famiglie differenti. Una singola mutazione (A421V) è stata
riscontrata in tutti i soggetti colpiti appartenenti alla popolazione
Amish di Lancaster County.
La diagnosi prenatale è realizzata dimostrando l’aumento delle
concentrazioni di acido glutarico nel liquido amniotico, tramite
l’esame dell’attività enzimatica su amniociti o campioni di villi
coriali oppure mediante identificazione del gene mutante.
INTOLLERANZA LISINURICA ALLE PROTEINE (INTOLLERANZA FAMILIARE ALLE PROTEINE). Questo raro disturbo autosomico recessivo è dovuto a un difetto del trasporto degli amminoacidi
cationici lisina, ornitina e arginina, a livello di reni e intestino.
A differenza dei pazienti con cistinuria, in questi soggetti non si
riscontra alcun aumento dell’escrezione urinaria di cistina. Circa
il 50% dei casi segnalati è in Finlandia, dove la prevalenza è di
1/60 000.
Le manifestazioni cliniche consistono in rifiuto dell’allattamento, nausea, avversione alle proteine, vomito, diarrea lieve, defict
staturo-ponderale, deperimento e ipotonia. Di solito i bambini
allattati al seno restano asintomatici fino a poco dopo lo svezzamento, ciò che può essere dovuto al ridotto contenuto proteico
del latte materno. Episodi di iperammoniemia possono verificarsi
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a causa di una dieta a elevato contenuto di proteine. Nei pazienti che non ricevono una diagnosi tempestiva può comparire
epatosplenomegalia da lieve a moderata, osteoporosi, fragilità
dei capelli, estrema magrezza degli arti con moderata adiposità
centripeta e ritardo della crescita. Lo sviluppo mentale è solitamente normale, ma un ritardo moderato è stato osservato nel
20% dei pazienti. La polmonite intestiziale, che si manifesta con
febbre, affaticabilità, tosse e dispnea, può insorgere sia come
episodio acuto sia in forma progressiva cronica. In alcuni pazienti la diagnosi è stata formulata solo dopo la comparsa delle
manifestazioni polmonari. La fibrosi polmonare è stata osservata
nelle radiografie di oltre il 65% dei pazienti, in assenza di manifestazioni cliniche di coinvolgimento polmonare. Una frequente
causa di mortalità nei pazienti più grandi è rappresentata dalla
proteinosi polmonare acuta, associata a un coinvolgimento renale
(che ricorda la glomerulonefrite).
I reperti di laboratorio possono rivelare iperammoniemia e
un’elevata concentrazione di acido orotico nelle urine, che si
sviluppano solo dopo l’assunzione di proteine. La concentrazione
ematica di ammoniaca a digiuno e l’escrezione urinaria di acido
orotico sono solitamente normali. Le concentrazioni plasmatiche
di lisina, arginina e ornitina sono lievemente aumentate, mentre
i livelli urinari di questi amminoacidi (in particolare la lisina) lo
risultano in maniera netta. Il meccanismo responsabile dell’iperammoniemia non è ancora stato chiarito: tutti gli enzimi del
ciclo dell’urea sono normali, per cui essa può essere collegata a
un disturbo del ciclo dell’urea secondario a un deficit di arginina
e ornitina. Nei pazienti con cistinuria l’iperammoniemia non si
riscontra, benché si presenti anche in questo caso un disturbo
del trasporto di lisina, arginina e ornitina sia nell’intestino sia
nei reni. Le concentrazioni plasmatiche di alanina, glutamina,
serina, glicina, prolina e citrullina sono solitamente aumentate.
Tali anomalie possono essere secondarie all’iperammoniemia e
non sono specifiche di questo disturbo.
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Capitolo 85
In questi pazienti sono state segnalati anche una lieve anemia
e un aumento dei livelli sierici di ferritina, deidrogenasi lattica e
globulina legante la tiroxina. La diagnosi differenziale è con l’iperammoniemia dovuta a difetti del ciclo dell’urea (vedi Capitolo
85.11), specialmente in donne eterozigoti con deficit di OTC.
L’aumento dell’escrezione urinaria di lisina, ornitina e arginina e
l’elevazione dei livelli plasmatici di citrullina non si riscontrano
nei pazienti con questo deficit.
In questa malattia il difetto di trasporto è localizzato nella
membrana basolaterale (antiluminale) degli enterociti e nell’epitelio tubulare renale. Ciò spiega come mai gli amminoacidi cationici non siano in grado di attraversare queste cellule, anche
se somministrati in forma di dipeptidi. La lisina in forma di
dipeptide attraversa la membrana luminale degli enterociti, ma si
idrolizza per liberare molecole di lisina nel citoplasma. La lisina
libera, incapace di attraversare la membrana basolaterale delle
cellule, diffonde nuovamente verso il lume.
Il trattamento con una dieta a ridotto contenuto proteico
(1,0-1,5 g/kg/die), con supplemento di citrullina (3-8 g/die), ha
consentito di ottenere un miglioramento clinico e biochimico. Gli
episodi di iperammoniemia andrebbero trattati tempestivamente
(vedi Capitolo 85.11). La somministrazione di lisina è inutile,
perché è scarsamente assorbita e tende a provocare diarrea e dolore addominale. Il trattamento con dosi elevate di prednisone e
il lavaggio broncoalveolare si sono rivelati efficaci nella gestione
delle complicanze polmonari acute.
Il gene dell’intolleranza lisinurica alle proteine (SLC7A7) è localizzato sul cromosoma 14q11.2. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. Nei casi segnalati, la
gravidanza di pazienti con il disturbo è stata complicata da anemia,
trombocitopenia, tossicosi ed emorragia (ma i neonati erano sani).
85.14 • ACIDO ASPARTICO (MALATTIA DI CANAVAN) •
Reuben Matalon
L’acido N-acetilaspartico, un derivato dell’acido aspartico, è sintetizzato nel cervello, dove si ritrova in concentrazioni elevate
(analoghe a quelle dell’acido glutammico). La sua funzione è
sconosciuta, ma una sua eccessiva quantità nelle urine e un deficit
dell’enzima aspartoaciclasi (che scinde il gruppo N-acetil dall’acido N-acetilaspartico) sono associati alla malattia di Canavan.
MALATTIA DI CANAVAN. La malattia di Canavan è un disturbo
autosomico recessivo caratterizzato dalla degenerazione spongiforme della sostanza bianca cerebrale, con conseguente grave
leucodistrofia. La prevalenza è maggiore nei discendenti degli
ebrei ashkenaziti rispetto agli altri gruppi etnici.
Eziologia e patologia. Il deficit dell’enzima aspartoaciclasi causa
un accumulo di acido N-acetilaspartico nella sostanza bianca
cerebrale e una massiva escrezione urinaria di questo composto.
Quantità eccessive di acido N-acetilaspartico sono presenti anche
nel sangue e nel liquido cerebrospinale. Nella sostanza bianca si
nota una impressionante vacuolizzazione e un edema astrocitico.
Il microscopio elettronico rivela la distorsione dei mitocondri.
Con il progredire della malattia, l’atrofia cerebrale causa ingrandimento ventricolare.
Manifestazioni cliniche. La malattia presenta una gravità variabile. I bambini appaiono solitamente normali alla nascita e possono restare asintomatici fino ai 3-6 mesi di età, quando sviluppano
macrocefalia progressiva, grave ipotonia e persistente difficoltà
di controllo del capo. Con la crescita il ritardo dello sviluppo
diviene evidente. Il bambino appare iperreflessico e ipertonico;
può riscontrarsi anche rigidità articolare. In seguito compaiono
convulsioni e atrofia ottica. Nel primo anno di vita si notano
anche difficoltà di allattamento, deficit ponderale e reflusso gastroesofageo; la deglutizione si deteriora fra il secondo e il terzo
anno, richiedendo alimentazione nasogastrica o una gastrostomia
permanente. La mortalità nella prima decade è molto elevata.
Tecniche di nursing adeguate possono prolungare la sopravvivenza dei pazienti alla seconda decade.
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■
Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
■
585
Malattia di Canavan atipica. Alcuni pazienti con malattia di Canavan possono presentare un allele lieve (Y288C), una sostituzione della tirosina con cisteina (R71H) o dell’arginina con l’istidina.
In questi casi la diagnosi è difficile da formulare. L’escrezione di
acido N-acetilaspartico risulta moderatamente aumentata nelle
urine e la RM cerebrale mostra un incremento dell’intensità del
segnale dei gangli basali (che può condurre all’erronea diagnosi
di malattia mitocondriale).
Diagnosi. La TC e la RM rivelano una diffusa degenerazione
della sostanza bianca, prevalentemente negli emisferi cerebrali,
con minore coinvolgimento di cervelletto e tronco (Fig. 85-16).
Possono rendersi necessarie valutazioni ripetute. L’RMS eseguita
contemporaneamente alla RM può mostrare un elevato picco di
acido N-acetilaspartico, suggestivo della malattia. La diagnosi
differenziale dovrebbe includere la malattia di Alexander (un’altra leucodistrofia con macrocefalia), in cui la progressione è di
solito lenta e l’ipotonia è meno pronunciata. La biopsia cerebrale
mostra degenerazione spongiforme delle fibre mieliniche, edema
astrocitico e mitocondri allungati. La diagnosi definitiva può
essere stabilita ricercando l’elevazione di acido N-acetilaspartico
nel sangue o nelle urine. Un deficit di aspartoaciclasi può essere
evidenziato su colture di fibroblasti cutanei. Il metodo di elezione
per la formulazione della diagnosi è quello biochimico. Nelle urine dei soggetti normali si riscontra sono una traccia di acido Nacetilaspartico (24 16 mol/mmol creatinina), mentre nei pazienti con malattia di Canavan si osserva un range di 1440 ± 873
mol/mmol creatinina. Elevati livelli di acido N-acetilaspartico
sono evidenziabili anche nel plasma, nel liquido cerebrospinale e
nel tessuto cerebrale. L’attività dell’aspartoaciclasi nei fibroblasti
dei portatori obbligati è ridotta al 50% (o ancora meno) di quella
dei soggetti normali.
Il gene per l’aspartoaciclasi è stato clonato e le mutazioni che
conducono alla malattia di Canavan sono state identificate. Vi
sono due mutazioni prevalenti negli ebrei ashkenaziti, la prima
delle quali, che è la più frequente, coinvolgendo l’83% dei 100
alleli mutanti esaminati nei pazienti di questo gruppo etnico,
è una sostituzione di amminoacidi (E285A) nella quale l’acido
Figura 85-16. RM assiale pesata in T di un paziente di 2 anni con malattia di
Canavan. L’esteso ispessimento della sostanza bianca è evidente.
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586
■
PARTE X
■
Malattie metaboliche
glutammico prende il posto dell’alanina. La seconda mutazione
è invece responsabile del 13% dei 100 alleli mutanti esaminati,
è di tipo nonsense e causa un’interruzione della sequenza di
codifica della tirosina (Y231X). Nella popolazione generale si
riscontra una più ampia variabilità delle mutazioni, mentre le due
descritte sono rare. Nei pazienti non ebrei, la mutazione (A305E),
sostituzione di alanina con acido glutammico, è responsabile del
40% dei 62 alleli mutanti. Insieme alla diagnosi di malattia di
Canavan è importante ottenere una diagnosi molecolare, in modo
da garantire alla famiglia un accurato counseling. Se le mutazioni
non sono note, la diagnosi prenatale si affida sul livello di acido
N-acetilaspartico nel liquido amniotico. Nei pazienti ebrei la frequenza dei portatori può raggiungere 1:36 (analoga a quella della
malattia di Tay-Sachs), perciò è opportuno lo screening.
Trattamento e prevenzione. Non è disponibile alcun trattamento
specifico. I disturbi dell’allattamento e le convulsioni vanno trattati su base individuale. Il couseling genetico, l’individuazione dei
portatori e la diagnosi prenatale costituiscono gli unici metodi
di prevenzione. L’iniezione nei ventricoli di liposomi con il gene
per l’aspartoaciclasi umana è stata realizzata su due bambini con
malattia di Canavan, ma i risultati non sono incoraggianti.
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