Capitolo 85 Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
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Capitolo 85 Disturbi del metabolismo degli amminoacidi
Capitolo 85 PERIODO POSTNEONATALE. La maggior parte degli difetti congeniti del metabolismo che sono responsabili di sintomi nei primi giorni di vita presenta varianti meno gravi con un esordio più insidioso. Queste forme possono passare inosservate durante il periodo neonatale, causando un ritardo della diagnosi di alcuni mesi o persino di anni. Le manifestazioni cliniche precoci di tali disturbi sono spesso aspecifiche e attribuibili a insulti perinatali. Le manifestazioni cliniche, come ritardo mentale, deficit motori, regressione dello sviluppo, convulsioni, miopatia, emesi ricorrente e cardiomiopatia, sono di comune riscontro nei bambini più grandi. I sintomi possono essere episodici o intermittenti, con episodi acuti intervallati da periodi asintomatici. Questi attacchi acuti sono generalmente scatenati da situazioni di stress o da insulti catabolici aspecifici come un’infezione e rischiano di causare il decesso del bambino. Bisogna sospettare un errore congenito del metabolismo nei bambini che presentano una o alcune delle seguenti manifestazioni cliniche: ritardo mentale inspiegabile, ritardo dello sviluppo o regressione, deficit motori o convulsioni, odore insolito (in particolare durante gli episodi acuti), episodi intermittenti di vomito inspiegabile, acidosi, deterioramento mentale o coma, epatomegalia, calcoli renali, debolezza muscolare o cardiomiopatia. Grosse SD, Dezateux C: Newborn screening for inherited metabolic disease. Lancet 2007;369:5–6. Marsden D, Larson C, Levy HL: Newborn Screening for metabolic disorders. J Pediatr 2006;148:577–584. McBryde KD, Kershaw DB, Bunchman TE, et al: Renal replacement therapy in the treatment of confirmed or suspected in born errors of metabolism. J Pediatr 2006;148:770–778. Waisbren SE: Newborn Screening for metabolid disorders. JAMA 2006;296:993–994. Capitolo 85 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi 85.1 • FENILALANINA • Iraj Rezvani La fenilalanina è un amminoacido essenziale. Quando non è utilizzata per la sintesi proteica, quella assunta con la dieta è normalmente degradata attraverso la via della tirosina (Fig. 85-1). Un deficit dell’enzima fenilalanina idrossilasi o del suo cofattore tetraidrobiopterina causa l’accumulo di fenilalanina nei liquidi corporei e nel sistema nervoso centrale (SNC). La gravità dell’iperfenilalaninemia dipende dall’entità del deficit enzimatico e può variare da concentrazioni plasmatiche molto elevate (20 mg/dL o 1200 mole/L, fenilchetonuria classica [PKU]) a livelli solo lievemente aumentati (2-6 mg/dL o 120-360 mole/L). Nei bambini con concentrazioni plasmatiche 20 mg/ dL, la fenilalanina in eccesso è convertita in fenilchetoni (fenilpiruvato e fenilacetato; vedi Fig. 85-1), escreti attraverso l’urina (da cui il termine fenilchetonuria). Nei pazienti con PKU, questi metaboliti non hanno alcun ruolo nella patogenesi dei danni al SNC; la loro presenza nei liquidi corporei costituisce semplicemente un indicatore della gravità della condizione. Il cervello è l’organo maggiormente danneggiato dall’iperfenilalaninemia, a causa dell’elevata concentrazione di questo amminoacido nel tessuto cerebrale, che interferisce con il trasporto di altri amminoacidi neutri (tirosina, triptofano). Sono tuttavia stati riscontrati casi di adulti con PKU classica e livello intellettivo normale, malgrado non siano mai stati trattati mediante una dieta priva di fenilalanina. La risonanza magnetica spettroscopica e le tecniche di imaging RM hanno dimostrato che, in questi individui, 84-92ANA.indd 551 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 551 il contenuto cerebrale di fenilalanina è analogo a quello dei soggetti sani. FENILCHETONURIA CLASSICA (PKU). Se non trattata, una grave iperfenilalaninemia (livelli plasmatici di fenilalanina 20 mg/dL) conduce invariabilmente allo sviluppo dei segni e sintomi della PKU classica (eccetto in rari casi non prevedibili). Manifestazioni cliniche. I bambini colpiti dalla malattia appaiono solitamente normali alla nascita. Il ritardo mentale si sviluppa gradualmente e nei primi mesi può non risultare evidente. In seguito, se il disturbo non viene trattato, la gravità del ritardo può richiedere l’istituzionalizzazione del paziente. Uno dei sintomi di presentazione più comuni è il vomito, talvolta così intenso da condurre all’erronea diagnosi di stenosi del piloro. I bambini più grandi non trattati mostrano iperattività, con movimenti senza scopo, stereotipie ritmiche e atetosi. All’esame obiettivo, questi bambini presentano una carnagione più pallida rispetto ai fratelli sani. Alcuni manifestano eruzioni cutanee eczematoidi o seborroiche, solitamente lievi, che tendono a scomparire con la crescita. Il loro corpo emana uno sgradevole odore di acido di rancido e stantio, causato dall’acido fenilacetico. I risultati dell’esame neurologico non sono caratteristici. La maggior parte dei bambini è ipertonica, con riflessi tendinei profondi iperattivi. Circa il 25% presenta convulsioni e oltre il 50% manifesta anomalie elettroencefalografiche. Altri reperti comuni nei bambini non trattati includono microcefalia, mascella prominente con denti ampiamente spaziati, ipoplasia dello smalto e ritardo di crescita. Le manifestazioni classiche di PKU si riscontrano raramente nei Paesi che hanno introdotto programmi di screening neonatale per l’individuazione precoce di questo disturbo. FORME LIEVI DI IPERFENILALANINEMIA, IPERFENILALANINEMIA NON-PKU. Lo screening della PKU ha come obiettivo l’identificazione dei neonati con concentrazioni plasmatiche di fenilalanina superiori alla norma (2 mg/dL, 120 mole/L) ma 20 mg/dL (1200 mole/L). Questi bambini non sono in grado di eliminare i fenilchetoni. Sul piano clinico, possono restare asintomatici, ma il danno cerebrale si aggrava progressivamente con la crescita. Rispetto ai bambini con PKU classica, questi pazienti presentano lievi deficit di fenilalanina idrossilasi o del suo cofattore tetraidrobiopterina (BH4). Nel passato sono stati fatti alcuni tentativi per classificare i pazienti in differenti sottogruppi, sulla base del grado di iperfenilalaninemia, ma tale pratica ha una scarsa utilità clinica o terapeutica. Come nella PKU classica, la presenza di un deficit di BH4 deve essere verificata in tutti i bambini con iperfenilalaninemia lieve (vedi oltre). Diagnosi. A causa dell’insorgenza graduale delle manifestazioni cliniche dell’iperfenilalaninemia, la diagnosi precoce richiede lo screening di massa di tutti i neonati (vedi oltre). Nei bambini risultati positivi, la diagnosi andrebbe confermata mediante una misurazione quantitativa della fenilalanina plasmatica. L’identificazione e la misura dei fenilchetoni nell’urina non è prevista da nessun programma di screening, ma l’identificazione dei fenilchetoni utilizzando clururo ferrico può rappresentare un test semplice per la diagnosi di anomalie dello sviluppo e metaboliche. Una volta formulata la diagnosi di iperfenilalaninemia, è opportuno escludere la presenza di un deficit del cofattore BH4 (vedi oltre) con test appositi. Screening neonatale dell’iperfenilalaninemia. Negli Stati Uniti e in diversi altri Paesi sono stati sviluppati metodi di screening neonatale di massa efficaci e relativamente poco costosi. Il test di inibizione batterica di Guthrie, il primo a essere introdotto, è stato sostituito da metodi quantitativi più precisi, come la spettrometria di massa tandem e fluorimetrica. Questi metodi richiedono solo poche gocce di sangue, assorbite su carta da filtro e inviate al laboratorio analisi. Nei bambini con PKU, i livelli ematici di fenilalanina possono elevarsi a concentrazioni diagnostiche già 4 ore dopo la nascita, anche in assenza di assunzione di proteine con l’alimentazione. È tuttavia raccomandabile prelevare il campione ematico nelle prime 24-48 ore di vita dopo assunzione di proteine alimentari per evitare falsi negativi, in particolare nelle forme più lievi. 23-09-2008 11:51:58 552 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Sintesi proteica Sintesi proteica PKU 1 Feniletilamina CH2 COOH 4-carbinolaminatetraidrobiopterina Tetraidrobiopterina (BH4) 4-OH-fenilacetato CH2 HO NH2 Fenilalanina Fenilpiruvato Fenillactato CH CH COOH NH2 Tirosina PKU* 6 Tirosinemia II 2 Fenilacetato 3 Glutammina Diidrobiopterina chinoide (BH2) PKU* Fenilacetilglutammina 4-OH-fenilpiruvato Tirosinemia III 7 6-OH-Ossopropile tetraidropterina 6-Lactoil tetraidropterina 7-Biopterina (primapterina) (urina) Hawkinsina Eposside + cisteina 7a Hawkinsinuria 4-OH-cicloesilacetato 6-Piruvoil tetraidropterina 4 Acido omogentisico PKU* PKU* Guanosina trifosfato 5 8 Diidroneopterina trifosfato Alcaptonuria Maleilacetoacetato 9 Neopterina (urina) Succinilacetoacetato Succinilacetone Fumarilacetoacetato 10 Fumarato Tirosinemia I Acetoacetato CO2 H2O Figura 85-1. Vie metaboliche della fenilalanina e della tirosina. Gli errori congeniti sono segnalati dai due trattini che interrompono le frecce. Le vie per la sintesi del cofattore BH4 sono illustrate in blu. PKU* si riferisce ai disturbi del metabolismo di BH4 che coinvolgono la fenilalanina, la tirosina e il triptofano idrossilasi (vedi Figg. 85-2 e 85-5). Enzimi: (1) fenilalanina idrossilasi, (2) carbinolamina deidratasi, (3) diidrobiopterina reduttasi, (4) 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi, (5) guanosina trifosfato (GTP) cicloidrolasi, (6) tirosina aminotrasferasi, (7a) riarrangiamento intramolecolare, (7+7a) 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi, (8) acido omogentisico diossigenasi, (9) maleilacetoacetato isomerasi, (10) fumarilacetoacetato idrossilasi. Trattamento. L’obiettivo della terapia è di ridurre la fenilalanina nel corpo; latte in polvere privo di questo amminoacido, o con una concentrazione molto ridotta, è disponibile commercialmente. Questa dieta andrebbe introdotta non appena la diagnosi è stabilita e andrebbero sottoposti a un simile regime alimentare anche i bambini con livelli plasmatici di fenilalanina 6 mg/dL (360 mole/L). Se il livello è compreso tra 2 e 6 mg/dL, non è invece necessaria alcuna restrizione alimentare. Il trattamento è mirato a mantenere il livello di fenilalanina il più vicino possibile alla norma. Poiché la fenilalanina non è sintetizzata dal corpo, l’ipertrattamento può causare un deficit di questo amminoacido, con conseguente letargia, ritardo nella crescita staturo-ponderale, anoressia, anemia, eruzioni cutanee, diarrea 84-92ANA.indd 552 e decesso. La tirosina svolge un ruolo essenziale in questo disturbo, perciò è opportuno verificarne la corretta assunzione. Il grado di iperfenilalaninemia residua consentito nei pazienti in trattamento è controverso. Si ritiene comunemente che i livelli plasmatici di fenilalanina andrebbero mantenuti tra 2 e 6 mg/ dL (120-360 mole/L), per lo meno nei primi 12 anni di vita. Anche la durata della dieta è controversa, ma dal momento che l’interruzione della terapia, anche negli adulti, può causare deterioramento del QI e del rendimento cognitivo, attualmente si raccomanda ai pazienti di proseguire questa dieta priva di fenilalanina per tutta la vita. La somministrazione orale del cofattore tetraidrobiopterina (BH4) a pazienti con forme lievi di iperfenilalaninemia causate 23-09-2008 11:51:58 Capitolo 85 da un deficit della fenilalanina idrossilasi può ridurre i livelli plasmatici di fenilalanina, senza costringere il paziente a sottoporsi alla dieta. Un significativa riduzione dei livelli plasmatici (30%) può essere osservata anche in alcuni pazienti con PKU classica, in seguito alla somministrazione orale di una singola dose di BH4 (10 mg/kg). Tuttavia, non è possibile prevedere la risposta al BH4 sulla base del genotipo, in particolare nei soggetti doppi eterozigoti. I pazienti a dieta devono essere sottoposti a un attento monitoraggio dei livelli ematici di fenilalanina; è inoltre opportuno che siano seguiti da un nutrizionista esperto, in un centro specializzato. Può essere utile ricorrere a materiale educativo appositamente ideato per i piccoli pazienti e i loro familiari. PKU e gravidanza (PKU materna). Le donne con iperfenilalaninemia che non seguono una dieta specifica presentano un rischio molto elevato di avere figli con ritardo mentale, microcefalia e cardiopatia congenita. Queste complicanze sono collegate agli elevati livelli di fenilalanina presenti nel plasma materno durante la gravidanza e non alla trasmissione al feto di un difetto genetico. Di conseguenza, le future madri, precedentemente già trattate per iperfenilalaninemia, dovrebbero proseguire la dieta priva di fenilalanina prima e durante la gravidanza, in modo da mantenere il livello di fenilalanina a valori inferiori a 6 mg/ dL (360 mole/L). Tutte le donne con iperfenilalaninemia in età fertile devono essere informate sui rischi appena esposti di anomalie congenite. ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 553 Manifestazioni cliniche. I lattanti con deficit del cofattore sono identificati durante i programmi di screening della PKU grazie all’evidente iperfenilalaninemia. I livelli plasmatici di fenilalanina possono risultare altrettanto elevati di quelli dei pazienti con PKU oppure possono collocarsi nel range delle forme lievi di iperfenilalaninemia. Le manifestazioni neurologiche, come la perdita del controllo della testa, l’ipotonia del tronco (“floppy baby”), la scialorrea, le difficoltà di deglutizione e le convulsioni miocloniche, si sviluppano dopo i 3 mesi di età, malgrado una dieta adeguata. Diagnosi. Il deficit del cofattore BH4 e il difetto enzimatico responsabile possono essere diagnosticati mediante test come la misura della neopterina (prodotto ossidativo della diidroneopterina trifosfato) e della biopterina (prodotto ossidativo della diidrobiopterina e tetraidrobiopterina trifosfato) nei liquidi corporei, in particolare nell’urina (vedi Fig. 85-1). Nei pazienti con deficit di guanosina trifosfato (GTP, Guanosine TriPhosphate) e cicloidrolasi, l’escrezione urinaria di neopterina e biopterina è molto ridotta. Nei pazienti con deficit di 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi si riscontra una marcata elevazione dell’escrezione di neopterina e una concomitante riduzione di quella di biopterina. Nei pazienti con deficit della diidropteridina reduttasi la neopterina è normale, mentre la biopterina è molto elevata perché il chinonoide diidrobiopterina non può essere riciclato in BH4. I pazienti con deficit di carbinolamina deidratasi eliminano nell’urina la 7-biopterina (un isomero anomalo della biopterina). TEST DA CARICO. Nei pazienti con deficit di BH4 la somministrazione orale di una sua dose (20 mg/kg) normalizza il livello plasmatico di fenilalanina in 4-8 ore. Per consentire l’interpretazione dei risultati, la concentrazione di fenilalanina nel sangue dovrebbe essere elevata (400 mole/L). È dunque necessario sospendere la dieta nei due giorni precedenti alla somministrazione della dose di carico di BH4, altrimenti si può somministrare una dose di carico di fenilalanina (100 mg/kg) 3 ore prima del test. TEST ENZIMATICI. Le attività dei vari enzimi possono essere misurate in maniere differenti: quella della diidropteridina reduttasi sul sangue della carta da filtro usata per lo screening; quella della 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi nel fegato, nei reni e negli eritrociti; quella della carbinolamina deidratasi nel fegato e nei reni; quella della GTP cicloidrolasi nel fegato, nelle cellule mononucleari stimolate dalla citochina (interferone-) o nei fibroblasti (l’attività enzimatica è solitamente molto ridotta nelle cellule non stimolate). Trattamento. L’obiettivo della terapia è di correggere l’iperfenilalaninemia e il deficit del neurotrasmettitore nel sistema nervoso centrale. IPERFENILALANINEMIA DA DEFICIT DEL COFATTORE BH4. Nell’1-2% dei bambini con iperfenilalaninemia il difetto è localizzato in uno degli enzimi necessari per la produzione o per il riciclaggio del cofattore BH4 (Fig. 85-2). In questi bambini si verifica un rapido deterioramento neurologico, malgrado l’adeguato controllo di fenilalanina plasmatica conseguente alla diagnosi di PKU. BH4 è il cofattore non solo per la fenilalanina, ma anche per la tirosina e la triptofano idrossilasi, che svolgono un ruolo essenziale nella biosintesi dei neurotrasmettitori dopamina (vedi Fig. 85-2) e serotonina (Fig. 85-5). BH4 è inoltre il cofattore per la ossido nitrico sintetasi, che catalizza la generazione di ossido nitrico dall’arginina. I bambini con deficit di BH4 sono diagnosticati molto precocemente, perché tutti i pazienti con PKU e iperfenilalaninemia vengono sottoposti al test per la presenza di tale deficit. BH4 è sintetizzato dalla guanosina trifosfato attraverso diverse reazioni enzimatiche (vedi Fig. 85-1). Sono stati descritti 4 diversi deficit enzimatici responsabili della carenza di BH4. In oltre il 50% dei casi segnalati, è stato riscontrato un deficit di 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi. Melanosoma Tirosinasi Tirosina PKU* DOPA Tirosinasi BH2 BH4 3,4,diidrossifenilalanina (DOPA) 2 Dopamina HO 1 CH2 CH COOH DOPA chinone NH2 Tirosina 3 Noradrenalina 4 Adrenalina Tiroxina Feomelanina (polimero giallo-rosso) Eumelanina (polimero nero) Figura 85-2. Altre vie metaboliche che coinvolgono la tirosina. PKU* indica iperfenilalaninemia dovuta a deficit di tetraidrobiopterina (BH4) (vedi Fig. 85-1). Enzimi: (1) tirosina idrossilasi, (2) acido aromatico L-amino decarbossilasi (AADC), (3) dopamina idrossilasi, (4) feniletanolamina-N-metiltrasferasi (PNMT) 84-92ANA.indd 553 23-09-2008 11:51:58 554 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Il controllo dell’iperfenilalaninemia è importante nei pazienti con deficit del cofattore, perché livelli elevati di fenilalanina interferiscono con il trasporto dei precursori del neurotrasmettitore (tirosina, triptofano). La fenilalanina plasmatica andrebbe mantenuta a un livello il più vicino possibile alla norma (6 mg/dL), riducendone l’apporto dietetico e somministrando BH4 per via orale. I bambini con deficit di GTP cicloidrolasi o 6-piruvoiltetraidropterina sintetasi rispondono più rapidamente alla terapia con BH4 (5-10 mg/kg/die) rispetto a quelli con deficit della diidropteridina reduttasi, nei quali è spesso necessario ricorrere a dosi molto elevate (20 mg/kg/die). Negli Stati Uniti il BH4 è disponibile in commercio, ma a un prezzo elevato. La somministrazione dei neurotrasmettitori deficitari (L-dopa e 5-idrossitriptofano) è consigliata anche quando il trattamento con BH4 normalizza i livelli plasmatici di fenilalanina, perché il ripristino della produzione del neurotrasmettitore richiede tempo. Nei pazienti con deficit della diidropteridina reduttasi si consiglia inoltre l’integrazione della terapia con acido folinico. L’iperprolattinemia che insorge in pazienti con deficit di BH4 può essere dovuta alla carenza di dopamina (principale inibitore della prolattina) nell’area ipotalamica. La misura dei livelli di prolattina sierica è il metodo ideale per monitorare il ripristino del neurotrasmettitore nei pazienti. Alcuni farmaci, come il trimetoprim-sulfametoxazolo, il metotrexato e altri agenti antileucemici, inibiscono l’attività dell’enzima diidropteridina reduttasi, che dovrebbero essere utilizzati con cautela nei pazienti con deficit di BH4. Genetica e prevalenza. La totalità dei difetti che causano iperfenilalaninemia si trasmette con modalità autosomica recessiva. La prevalenza di PKU negli Stati Uniti è compresa tra 1/14 000 e 1/20 000 nati vivi, mentre quella dell’iperfenilalaninemia nonPKU è stimata a 1/50 000. La malattia è più comune nella razza bianca e nei nativi americani, più rara nella razza nera, ispanica e asiatica. Il gene per la fenilalanina idrossilasi è localizzato sul cromosoma 12q24.1; diverse mutazioni patogenetiche sono state identificate in differenti famiglie. La maggior parte dei pazienti risulta doppio eterozigote per due differenti alleli mutanti. Il gene della PTP sintetasi, che costituisce la più comune causa di deficit di BH4, è localizzato sul cromosoma 11q22.3-23.3; quello della diidropteridina reduttasi si trova sul cromosoma 4p15.3.; quelli della carbinolamina deidratasi e della GTP cicloidrolasi sono localizzati rispettivamente sui cromosomi 10q22 e 14q22.1-22.2. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche di questi geni. La diagnosi prenatale è realizzabile mediante biopsia dei villi coriali. DEFICIT DI TETRAIDROBIOPTERINA SENZA IPERFENILALANINEMIA DISTONIA EREDITARIA PROGRESSIVA, DISTONIA AUTOSOMICA DOMINANTE DOPA-SENSIBILE, MALATTIA DI SEGAWA (VEDI ANCHE IL CAPITOLO 597.3). Questa rara forma di distonia, descritta per la prima volta in Giappone, è causata da un deficit di GTP cicloidrolasi. Si trasmette con modalità autosomica dominante ed è più comune nelle donne (4:1). Le manifestazioni cliniche solitamente insorgono intorno ai 5-6 anni di età e sono preannunciate dalla distonia degli arti inferiori, che nel giro di qualche anno arriva a coinvolgere anche quelli superiori. In alcuni pazienti, torcicollo, distonia degli arti superiori e disturbi della coordinazione possono precedere la distonia degli arti inferiori. Nei primi anni lo sviluppo del bambino appare normale, ma crescendo alcuni bambini cominciano a manifestare segni parkinsoniani. I sintomi sono soggetti a marcate variazioni circadiane: peggiorano alla sera e si attenuano grazie al riposo notturno. La malattia può essere facilmente confusa con la paralisi cerebrale. Sono stati segnalati anche casi di presentazione tardiva negli adulti. I reperti di laboratorio non rivelano alcuna iperfenilalaninemia, ma nel liquor si riscontra una carenza di BH4 e di neopterina. Anche i livelli di dopamina e dei suoi metaboliti (acido 84-92ANA.indd 554 omovanillico) possono risultare ridotti. Si ritiene che in questa malattia il deficit enzimatico sia meno grave rispetto alla forma autosomica recessiva del deficit di GTP cicloidrolasi, associata a iperfenilalaninemia (vedi sopra). L’esistenza di portatori sani indica che altri fattori o geni svolgono un ruolo importante nella patogenesi del fenotipo. I portatori asintomatici possono essere identificati misurando il rapporto tra fenilalanina e tirosina dopo la somministrazione orale di una dose di carico di fenilalanina (100 mg/kg); nei portatori sani il rapporto aumenta notevolmente (艐3 volte superiore alla norma dopo 2 ore). La diagnosi può essere confermata dalla riduzione dei livelli di neopterina e BH4 nel liquor, dalla misura dell’attività dell’enzima e dall’identificazione del difetto genetico (vedi sopra). Sul piano clinico, la malattia deve essere distinta dalle altre cause di distonia, come il parkinsonismo infantile, in particolare i deficit di tirosina idrossilasi (vedi Capitolo 85.2) e di decarbossilasi degli amminoacidi aromatici. Le oscillazioni circadiane della distonia suggeriscono la diagnosi di deficit della GTP cicloidrolasi. Il trattamento con L-dopa, in associazione con un inibitore periferico della dopa decarbossilasi, consente un notevole miglioramento nella maggior parte dei casi. 85.2 • TIROSINA • Grant A. Mitchell e Iraj Rezvani La tirosina, ottenuta dall’ingestione di proteine e da sintesi endogena dalla fenilalanina, è utilizzata per la sintesi proteica ed è un precursore di dopamina, noradrenalina, adrenalina, melanina e tirosina. La tirosina in eccesso è metabolizzata in diossido di carbonio e acqua (vedi Fig. 85-1). L’ipertirosinemia si sviluppa in presenza di deficit di tirosina aminotrasferasi, 4-idrossifenilpiruvato diossigenasi (4-HPPD, HydroxyPhenPyruvate Dioxygenase) e fumarilacetoacetato idrossilasi (FAH, FumarylAcetoacetate Hydrolase). Deficit di altri enzimi coinvolti nella degradazione della tirosina causano solo un aumento da lieve a impercettibile dei livelli ematici di tirosina. L’ipertirosinemia acquisita può insorgere in caso di grave disfunzione epatica (insufficienza epatica), scorbuto (la vitamina C è il cofattore per l’enzima 4-HPPD) e ipertiroidismo. L’ipertirosinemia è un artefatto comune nei campioni di sangue prelevati da un soggetto che ha appena mangiato. Lo spettro clinico dell’ipertirosinemia ereditaria non è stato ancora chiarito nei dettagli. TIROSINEMIA TIPO I (TIROSINOSI, TIROSINEMIA EREDITARIA, TIROSINEMIA EPATORENALE). Queste patologie, causate da un deficit dell’enzima FAH, comportano una moderata elevazione della tirosina sierica, associata a un grave coinvolgimento di fegato, reni e nervi periferici. Questi reperti sono attribuibili all’accumulo dei metaboliti derivati dalla degradazione della tirosina, in particolare il succinilacetone. Manifestazioni cliniche. Normalmente la malattia si presenta fra i 2 e i 6 mesi, ma in rari casi il neonato risulta sintomatico già nelle seconda settimana di vita oppure può apparire perfettamente sano per tutto il primo anno. La presentazione precoce aggrava la prognosi. La mortalità nel primo anno è del 60% nei bambini che sviluppano i sintomi nei primi 2 mesi, mentre scende al 4% nei bambini che divengono sintomatici dopo i 6 mesi. I principali organi colpiti sono il fegato, i nervi periferici e i reni. In molti casi, l’esordio della malattia è preannunciato da una crisi epatica acuta, solitamente scatenata da una malattia intercorrente, che produce uno stato catabolico. Febbre, irritabilità, vomito, emorragia, epatomegalia, ittero, livelli elevati delle transaminasi nel siero e ipoglicemia sono di comune riscontro. Il bambino può emanare un odore che ricorda il cavolo lesso, causato dall’aumento dei metaboliti della metionina. La maggior parte delle crisi epatiche si risolve spontaneamente, ma alcune progrediscono in insufficienza epatica, causando il decesso del paziente. Tra una crisi e l’altra, i seguenti sintomi sono presenti in forma più o meno grave: deficit nella crescita staturo-ponderale, epatomegalia, disturbi della coagulazione. Con l’età, può 23-09-2008 11:51:58 Capitolo 85 insorgere cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare (quest’ultimo insolito prima dei 2 anni). Episodi acuti di neuropatia periferica, che ricordano la porfiria, si verificano nel 40% dei bambini. Queste crisi, spesso scatenate da un’infezione minore, sono caratterizzate da un grave dolore solitamente localizzato alle gambe e associato a postura ipertonica di capo e tronco, inoltre vomito, ileo paralitico e (occasionalmente) lesioni autoindotte della lingua e della mucosa buccale. Una marcata debolezza e una paralisi si osservano nel 30% degli episodi e possono condurre a insufficienza respiratoria, con necessità di ventilazione assistita. Tipicamente, le crisi durano da 1 a 7 giorni. Il coinvolgimento renale si manifesta con una sindrome simile a quella di Fanconi, con acidosi metabolica con gap anionico normale, iperfosfaturia, ipofosfatemia e rachitismo resistente alla vitamina D. L’ecografia rivela spesso nefromegalia e nefrocalcinosi di grado variabile. Occasionalmente si riscontra cardiomiopatia ipertrofica. Reperti di laboratorio. Nei pazienti non trattati, i test della funzione epatica presentano anomalie caratteristiche: aumento del livello di -fetoproteina (spesso marcato); riduzione dei fattori di coagulazione sintetizzati dal fegato; aumento dei livelli sierici di transaminasi, in particolare durante le crisi epatiche acute. La concentrazione sierica di bilirubina aumenta in presenza di insufficienza epatica. Il riscontro di un aumento dei livelli di -fetoproteina nel sangue del cordone ombelicale di questi bambini indica una lesione epatica intrauterina. Il livello plasmatico di tirosina dipende dalla dieta e ha un valore diagnostico inferiore rispetto alla misura del livello di succinilacetone (vedi oltre). È possibile riscontrare un’elevazione (caratteristica dell’insufficienza epatica) delle concentrazioni sieriche di metionina e altri amminoacidi. Iperfosfaturia e ipofosfatemia sono comuni e può insorgere anche un’aminoaciduria generalizzata. Il livello di acido 5-aminolevulinico nelle urine è elevato, a causa dell’inibizione dell’idratasi 5-aminolevulinica da parte del succinilacetone. La presenza di livelli elevati di succinilacetone in siero e urine costituisce un reperto diagnostico (vedi Fig. 85-1). La diagnosi è solitamente confermata dimostrando l’aumento dei livelli di succinilacetone nel sangue e nelle urine. I metodi di screening neonatale consentono di rilevare l’ipertirosinemia, ma soltanto una minima percentuale di pazienti con tirosinemia di tipo I viene identificata con queste tecniche. Il succinilacetone, non rilevato dagli attuali metodi di screening, è il metabolita di elezione per i primi test. La tirosinemia di tipo I deve essere differenziata dalle altre cause di epatite e insufficienza epatica nei bambini, che includono la galattosemia, un’intolleranza ereditaria al fruttosio, l’emocromatosi neonatale, l’epatite a cellule giganti e la citrullinemia di tipo II (vedi Capitolo 85.11). Trattamento ed esito. Una dieta con ridotto apporto di fenilalanina e tirosina può rallentare, ma non interrompere, la progressione della malattia. Il trattamento di elezione è con nitisinone (NTBC, 2-(nitro-4-trifluorometilbenzoil)-1,3-cicloessanedione), che inibisce la degradazione della tirosina a 4-HPPD (vedi Fig. 85-1) e previene le crisi epatiche e neurologiche acute. I pazienti trattati seguono anche una dieta a ridotto contenuto di fenilalanina e tirosina. Il nitisinone è in grado di interrompere o arrestare completamente la progressione della malattia, ma il danno epatico precedente al trattamento non è reversibile, pertanto i pazienti devono essere monitorati per lo sviluppo di carcinoma epatocellulare. La presenza di un nodulo epatico, rilevata con tecniche di imaging, indica solitamente una cirrosi generalizzata, tuttavia queste tecniche non consentono di distinguere con chiarezza tra noduli benigni e maligni. Il trapianto di fegato costituisce una terapia efficace e riduce il rischio di un carcinoma epatocellulare. L’impatto del trattamento con nitisinone sulla necessità di ricorrere al trapianto è tuttora oggetto di studio, ma dipende dallo stadio della malattia nel quale è avviata la terapia. Genetica e prevalenza. La tirosinemia di tipo I si trasmette con modalità autosomica recessiva. Il gene di FAH è stato mappato sul cromosoma 15q e sono state identificate svariate mutazioni. L’analisi del DNA è utile per la diagnosi molecolare prenatale 84-92ANA.indd 555 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 555 e per testare i gruppi a rischio per specifiche mutazioni (come i canadesi-francesi della regione Saguenay-Lac Saint-Jean del Quebec). La tirosinemia di tipo I è panetnica, sicché l’assenza di una discendenza canadese-francese o scandinava non esclude la diagnosi. La prevalenza del disturbo è stimata a 1/1846 nati vivi nella regione Saguenay-Lac Saint-Jean, mentre la prevalenza mondiale è compresa tra 1/100 000 e 1/120 000. La diagnosi prenatale è ottenuta misurando il livello di succinilacetone nel liquido amniotico, mediante biopsia del villi coriali, prelievo di un campione enzimatico negli amniociti o con analisi del DNA. TIROSINEMIA DI TIPO II (SINDROME DI RICHNER-HANHART, TIROSINEMIA OCULOCUTANEA). Questo raro disturbo autosomico recessivo è causato da un deficit dell’enzima tirosina aminotrasferasi, responsabile di ipercheratosi palmare e plantare, ulcere corneali erpetiformi e ritardo mentale (vedi Fig. 85-1). Le manifestazioni oculari spesso insorgono prima delle lesioni cutanee e includono lacrimazione eccessiva, rossore, dolore e fotofobia. Si ritiene che le lesioni corneali siano dovute alla deposizione di tirosina e, a differenza delle ulcere erpetiche, queste lesioni colorano poco con fluoresceina e sono spesso bilaterali. Le lesioni cutanee, che possono svilupparsi con la crescita, includono placche ipercheratosiche dolenti, non pruriginose, localizzate sulla pianta dei piedi, sui palmi delle mani sulla punta delle dita. Il ritardo mentale, che si sviluppa nel 50% dei casi, è solitamente da medio a moderato. I reperti di laboratorio anomali si limitano a una significativa ipertirosinemia (20-50 mg/dL; 110-2750 mole/L) e tiroiluria. Sorprendentemente, anche l’acido 4-idrossifenilpiruvato e i suoi metaboliti risultano elevati, malgrado si trovino a valle rispetto al blocco metabolico (vedi Fig. 85-1). Tale reperto si spiega ipotizzando un meccanismo di shunting della tirosina attraverso altre transaminasi, in presenza di elevate concentrazioni di tirosina. Questo disturbo è causato dal deficit della frazione citosolica della tirosina aminotrasferasi epatica. A differenza della tirosinemia di tipo I, le funzioni epatica e renale sono preservate e le concentrazioni sieriche degli altri amminoacidi risultano normali. La diagnosi è stabilita misurando la concentrazione della tirosina plasmatica. Una elevata ipertirosinemia in un paziente che non segue una dieta specifica può essere riscontrata anche in caso di insufficienza epatica, ma nella tirosinemia di tipo II il livello di tirosina è più elevato e nell’insufficienza epatica le manifestazioni oculari sono assenti. La diagnosi può essere confermata esaminando l’attività della tirosina aminotrasferasi nel fegato o con l’analisi del DNA del gene mutante. Il trattamento mediante una dieta con un ridotto apporto di tirosina e fenilalanina riduce le anomalie biochimiche e può consentire uno spiccato miglioramento delle lesioni cutanee e oculari. È inoltre ipotizzabile che anche il ritardo mentale possa essere prevenuto mediante una precoce restrizione dietetica della tirosina. Il gene della tirosina aminotrasferasi è mappato sul cromosoma 16q e sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. In circa il 50% dei casi segnalati si evidenzia una discendenza italiana. TIROSINEMIA DI TIPO III (DEFICIT PRIMARIO DI 4-HPPD). Sono stati segnalati soltanto pochi casi, individuati per la massima parte in seguito a determinazioni di amminoacidi per reperti neurologici di altro tipo. Non è certo che questo deficit enzimatico causi anomalie cliniche. L’età di esordio è tra 1 e 17 mesi. I disturbi segnalati includono ritardo di sviluppo, convulsioni, atassia intermittente e comportamento autodistruttivo. Non emergono anomalie epatiche o renali. I lattanti asintomatici sono stati identificati grazie ai programmi di screening neonatale. La diagnosi è sospettata nei bambini con incrementi moderati dei livelli plasmatici di tirosina (350-700 mole/L) e in seguito al riscontro nelle urine di acido 4-idrossifenilacetico e 4-idrossifenillattico; può essere confermata dalla dimostrazione della ridotta attività dell’enzima 4-HPPD nella biopsia epatica o dalla presenza di mutazioni del gene per 4-HPPD. A causa della possibile associazione con anomalie neurologiche, è ragionevole sottoporre il paziente a restrizione dietetica 23-09-2008 11:51:59 556 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche dell’apporto di tirosina. È inoltre opportuno tentare la somministrazione di vitamina C, cofattore per 4-HPPD. La malattia è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene per 4-HPPD è localizzato sul cromosoma 12q24-qter. TIROSINEMIA TRANSITORIA DEL NEONATO. In un numero ridotto di neonati, la tirosina plasmatica può salire fino a 60 mg/dL (3300 mole/L) durante le prime due settimane di vita. Nella maggior parte dei casi, si tratta di lattanti prematuri che ricevono una dieta a elevato contenuto proteico. La malattia è probabilmente il risultato di un ritardo nella maturazione dell’enzima 4-HPPD (vedi Fig. 85-1). In alcuni pazienti si notano letargia, disturbi dell’allattamento e riduzione dell’attività motoria, benché per la maggior parte questi bambini siano asintomatici e ricevano una diagnosi perché risultano positivi allo screening per PKU. I reperti di laboratorio includono una spiccata elevazione della tirosina plasmatica, con un moderato incremento della fenilalanina plasmatica. La presenza di una marcata ipertirosinemia consente di differenziare questa malattia dalla fenilchetonuria. Anche l’acido 4-idrossifenilpiruvico e i suoi metaboliti (acidi 4-idrossifenilacetico e 4-idrossifenillattico) sono presenti nelle urine. L’ipertirosinemia di solito si risolve spontaneamente nel primo mese di vita. La riduzione dell’apporto proteico nella dieta (a 2 g/kg/die) e la somministrazione di vitamina C (200-400 mg/die) consentono una tempestiva correzione del deficit. La presenza di deficit intellettivi lievi è stata segnalata in bambini con questo disturbo nati a termine, ma la relazione causale con l’ipertirosinemia non è ancora stata chiarita. HAWKINSINURIA. Questa rara malattia (che prende il nome dalla prima famiglia colpita) è causata da un enzima 4-HPPD mutante, che catalizza una reazione parziale e rilascia un composto intermedio, utilizzato per la diagnosi (vedi Fig. 85-1). Tale composto è ridotto per formare acido 4-idrossicicloesilacetico (4-HCAA) oppure reagisce con il glutatione per formare un acido organico insolito, detto “hawkinsina” (2-L-cisteina-S-yl-1-4-diidrossicicloess-5-en-1-yl-acido acetico); possono riscontrarsi anche deficit secondari di glutatione. Gli individui con questo disturbo presentano sintomi soltanto nell’infanzia, di solito dopo lo svezzamento, in seguito all’introduzione di una dieta a elevato contenuto proteico. Sono stati segnalati grave acidosi metabolica, chetosi, deficit nella crescita staturo-ponderale, lieve epatomegalia e un odore insolito (di piscina). Lo sviluppo mentale è in genere normale. I bambini colpiti e gli adulti eliminano nell’urina gli acidi organici 4-HCAA, 4-idrossifenilpiruvico e i suoi metaboliti (acidi 4-idrossifenilacetico e 4-idrossifenillattico), 5-ossiprolina (a causa del deficit secondario di glutatione) e hawkinsina. Il livello di tirosina plasmatica è solitamente nella norma. Il trattamento prevede una dieta a ridotto contenuto di proteine (latte materno) o con restrizione di fenilalanina e tirosina. Si consiglia inoltre un tentativo di somministrazione di elevate dosi di vitamina C (fino a 1000 mg/die). Dopo il primo anno di età non è più necessario proseguire la terapia. Una stessa mutazione (la sostituzione della treonina con il normale codone di alanina nella posizione 33 del gene 4-HPPD) è stata identificata in pazienti con hawkinsinuria privi di relazioni familiari tra loro. ALCAPTONURIA. Questo raro disturbo autosomico recessivo (incidenza = 1/250 000) è causato da un deficit dell’ossidasi dell’acido omogentisico, responsabile dell’accumulo di grandi quantità di questo acido nel corpo, successivamente escrete con l’urina (vedi Fig. 85-1). Le manifestazioni cliniche dell’alcaptonuria includono ocronosi e artrite, che si manifestano nell’età adulta. L’unico segno del disturbo presente nell’infanzia è un inscurimento delle urine, causato dall’ossidazione e polimerizzazione dell’acido omogentisico. Se l’urina ha un pH acido, l’inscurimento non si verifica, nemmeno dopo diverse ore. Se questo segno passa inosservato, la diagnosi viene ritardata fino all’età adulta. L’ocronosi, che si manifesta con macchie nere sulla sclera o la cartilagine delle orecchie, è il risultato dell’accumulo del polimero nero dell’acido 84-92ANA.indd 556 omogentisico. L’artrite, talvolta disabilitante, colpisce la quasi totalità dei soggetti con alcaptonuria in età avanzata. Coinvolge le grandi articolazioni (ginocchio, colonna vertebrale e anca) ed è solitamente più grave negli uomini. Come l’artrite reumatoide, questo tipo di artrite è caratterizzato da esacerbazioni acute, ma i reperti radiologici sono tipici dell’osteoartrite, con caratteristico restringimento degli spazi articolari e calcificazione dei dischi intervertebrali. È stata notata una elevata incidenza di malattie cardiache (valvulite mitralica e aortica, calcificazione delle valvole cardiache e infarto del miocardio). La diagnosi è confermata dal riscontro di una notevole quantità di acido omogentisico nell’urina. L’enzima è espresso soltanto nel fegato e nei reni. Il gene per l’alcaptonuria è localizzato sul cromosoma 3q e sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. I Paesi in cui la malattie è più comune sono la Repubblica Dominicana e la Slovacchia. Non esiste alcun trattamento efficace per questo disturbo. Il nitisinone (vedi il trattamento della tirosinemia di tipo I) inibisce la produzione di acido omogentisico, per cui la sua somministrazione in pazienti con alcaptonuria, prima della deposizione del pigmento, può contribuire alla prevenzione dell’artrite. DEFICIT DI TIROSINA IDROSSILASI (PARKINSONISMO INFANTILE, DISTONIA AUTOSOMICA RECESSIVA DOPA-SENSIBILE) (VEDI CAPITOLO 597.3). La tirosina idrossilasi catalizza la formazione di Ldopa dalla tirosina (vedi Fig. 85-2). Il deficit di questo enzima è stato segnalato in alcuni bambini con distonia e parkinsonismo. Il quadro clinico somiglia a quello della distonia autosomica dominante dovuta a deficit di GTP cicloidrolasi (vedi Capitolo 85.1), ma lo spettro clinico del deficit di tisosina idrossilasi non è del tutto noto. Le manifestazioni cliniche possono esordire nella prima infanzia e includono movimenti a scatti degli arti, che conducono a spasticità e rigidità muscolare, inespressività facciale, ptosi, scialorrea, crisi oculogiriche, parkinsonismo. Il ritardo psicomotorio è stato segnalato in alcuni pazienti. Non si notano invece variazioni diurne dei sintomi. I reperti di laboratorio includono una riduzione dei livelli di dopamina e del suo metabolita (l’acido omovanillico) e concentrazioni normali di tetraidrobiopterina e neopterina nel liquido spinale. I livelli sierici di prolattina sono solitamente elevati. La diagnosi deve essere presa in considerazione in presenza di pazienti con distonia e parkinsonismo ed è stabilita sulla base dei reperti di laboratorio (vedi sopra) e dei risultati degli studi genetici. Esami specifici consentono di escludere il deficit di GTP cicloidrossilasi (vedi sopra). Il trattamento con L-dopa consente un notevole miglioramento, ma alcuni pazienti non rispondono al farmaco. La malattia è trasmessa con modalità autosomica recessiva. Il gene per la tirosina idrossilasi è mappato sul cromosoma 11p. ALBINISMO. L’albinismo è dovuto a un difetto nella biosintesi e distribuzione della melanina (Tab. 85-1), sintetizzata dai melanociti a partire dalla tirosina negli organelli intracellulati definiti melanosomi. I melanociti originano dalla cresta neurale dell’embrione e migrano verso la cute, gli occhi (coroide e iride) e i follicoli piliferi. La melanina degli occhi non è secreta nel tessuto adiacente, mentre il pigmento nella cute e nei follicoli piliferi è secreto nell’epidermide e nello stelo di peli e capelli. Il tasso di melanogenesi è minimo negli occhi e molto elevato in cute e capelli. La via della biosintesi della melanina non è stata completamente chiarita (vedi Fig. 85-2). I prodotti finali sono due pigmenti: la feomelanina (di colore giallo-rosso) e l’eumelanina (di colore marrone-nero). La manifestazione clinica più comune nell’albinismo generalizzato è l’ipopigmentazione di cute e capelli. I pazienti con coinvolgimento oculare possono presentare strabismo, fotofobia, riduzione dell’acuità visiva e presenza di un riflesso rosso. L’iride appare traslucida e rosata nell’infanzia e assume un colore azzurro pallido o marrone chiaro nell’età adulta. La visione stereoscopica (bioculare) è assente, a causa dell’anomala decussazione 23-09-2008 11:51:59 Capitolo 85 TABELLA 85-1. Classificazione dell’albinismo TIPO ALBINISMO OCULOCUTANEO (OCA) OCA1 (deficit di tirosinasi) OCA1A (deficit grave) OCA1B (deficit lieve)* OCA2 (tirosinasi-positiva)*** Sindromi di Prader-Willi e Angelman OCA3 (OCA rosso) Sindrome di Hermansky-Pudlak Sindrome di Chédiak-Higashi ALBINISMO OCULARE OA1 (tipo Nettleship-Falls) ALBINISMO LOCALIZZATO Piebaldismo Sindrome di Waardenburg I e III Sindrome di Waardenburg II GENE CROMOSOMA TYR TYR TYR P (diluizione occhi-rosa) P TYRP1** HPS1 CHS1 11q 11q 11q 15q 15q 9p 10q 1q OA XP KIT PAX3 MITF 4q 2q 3p * Questo comprende le varianti Amish, minimamente pigmentate, albinismo giallo, platino e sensibili alla temperatura. ** Proteina 1 correlata alla tirosinasi. *** Comprende la OCA marrone. delle fibre ottiche a livello del chiasma. Circa il 90% delle fibre ottiche provenienti da un occhio si incrocia e procede verso il lato opposto, causando anche potenziali visivi evocati asimmetrici. La cecità e i tumori della pelle costituiscono le sequele tardive delle forme gravi di albinismo. La melanina è presente anche nella coclea. Gli individui albini sono maggiormente sensibili agli agenti ototossici, come la gentamicina. Sono state identificate diverse forme cliniche apparentemente distinte di albinismo, alcune delle quali sono causate da differenti mutazioni di uno stesso gene. Svariati geni, localizzati su cromosomi diversi, sono coinvolti nella melanogenesi (vedi Tab. 85-1). I tentativi effettuati per differenziare i tipi di albinismo sulla base della modalità ereditaria, dell’attività della tirosinasi e dell’estensione dell’ipopigmentazione non hanno finora condotto all’elaborazione di una classificazione esaustiva. Quella seguente si basa allora sulla distribuzione sul corpo e sul tipo di mutazione genetica, ma non saranno approfonditi tutti i quadri patologici associati all’albinismo (il lettore interessato può fare riferimento ai testi più specifici elencati in bibliografia). Albinismo oculocutaneo (generalizzato) (OCA, OculoCutaneous Albinism). L’assenza di pigmento riguarda cute, occhi, peli e capelli. Esistono tre forme geneticamente distinte: OCA1, OCA2 e OCA3. L’ipopigmentazione è generalmente più grave nei pazienti con OCA3, sebbene i tre gruppi tendano a sovrapporsi e a non essere sempre distinguibili sul piano clinico. Tutte le forme si trasmettono con modalità autosomica recessiva. OCA1 (ALBINISMO DA DEFICIT DI TIROSINASI). In questi pazienti il difetto risiede nel gene della tirosinasi, localizzato sul cromosoma 11q. Sono stati identificati diversi alleli mutanti e nella maggior parte dei casi gli individui colpiti sono eterozigoti doppi per due differenti di questi. Sulla base dell’attività enzimatica e (in grado minore) delle manifestazioni cliniche, l’OCA1 può essere suddiviso nei sottogruppi OCA1A e OCA1B. OCA1A (OCA tirosinasi-negativo). Un certo numero di mutazioni del gene della tirosinasi rende l’enzima completamente inattivo. Solitamente gli individui con questa forma costituiscono i casi più gravi di albinismo generalizzato. Sul piano clinico, l’assenza di pigmentazione della pelle (bianco latte), di peli e capelli (bianchi) e degli occhi (iride rosso-grigia) è evidente fino dalla nascita e non si modifica per il resto della vita. I pazienti non possono abbronzarsi, né presentano nevi o lentiggini. OCA1B. Le mutazioni del gene della tirosina causano la produzione di enzimi con una certa attività residua. Sul piano clinico, i soggetti, seppure completamente depigmentati alla nascita, sviluppano una minima quantità di pigmento con la crescita, che modifica la colorazione degli occhi in azzurro chiaro o nocciola, mentre i capelli divengono biondo chiaro. Questi individui possono abbronzarsi e presentano nevi e lentiggini. A seconda del 84-92ANA.indd 557 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 557 grado di pigmentazione, i pazienti con OCA1B erano un tempo suddivisi in distinti sottogruppi, ritenuti geneticamente diversi. Una forma interessante della malattia è l’albinismo sensibile alla temperatura, nel quale la tirosinasi diviene più attiva nelle parti del corpo più fredde, come gli arti. Questi soggetti sono del tutto depigmentati nel cuoio capelluto e nel tronco, mentre presentano una certa quantità di pigmento negli arti. OCA2 (OCA TIROSINASI-POSITIVA). È la più comune forma di albinismo generalizzato, particolarmente comune nei neri africani. Sul piano clinico, questi individui presentano una certa pigmentazione di cute e occhi alla nascita e continuano ad accumulare pigmento nel corso della vita, ma non possono abbronzarsi. I capelli, gialli alla nascita, si scuriscono con gli anni. Nevi e lentiggini possono essere presenti. Clinicamente questi soggetti (che presentano un’attività della tirosina normale) non sono facilmente distinguibili dai pazienti con la forma OCA1B. Il difetto si trova nel gene p (diluizione occhi-rosa), localizzato sul cromosoma 15q. Questo gene produce la proteina P, una proteina di membrana dei melanosomi, la cui funzione non è stata ancora chiarita con precisione. I pazienti con sindrome di Prader-Willi e Angelman, che presentano una delezione del cromosoma 15, non possiedono una copia del gene OCA2 e manifestano una lieve diluizione del pigmento (vedi Capitolo 80). OCA3 (ALBINISMO ROSSO). Questa forma è stata identificata solo negli africani, negli afroamericani e nei nativi della Nuova Guinea. Da adulti, i pazienti hanno capelli rossi e pelle rosso-bruna, il colore caratteristico di questa forma. Nei bambini le manifestazioni possono essere confuse con quella dell’OCA2. I pazienti con OCA3 possono produrre feomelanina, ma non eumelanina. È stata evidenziata una mutazione della proteina 1 legata alla tirosinasi, la cui funzione resta da chiarire. SINDROME DI HERMANSKY-PUDLAK. Si tratta di un gruppo di disturbi causato dalla mutazione di uno dei sette geni da HPS1 a HPS7. Questi geni sono necessari per la normale struttura e funzione degli organelli derivati dai lisosomi, inclusi i melanosomi e i granuli densi delle piastrine. Nella maggior parte delle forme, un’OCA tirosinasi-positiva di gravità variabile è associata a una disfunzione delle piastrine (causata dall’assenza dei granuli densi) e a un accumulo di materiale ceroide nei tessuti. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva e ha una prevalenza elevata in Porto Rico (tipo 1 e 3, frequenza di 1:2000). Le emorragie (come l’espistassi) e un tempo di sanguinamento prolungato sono comuni. Sul piano istochimico, il materiale ceroide è simile a quello rinvenuto nella lipofuscinoisi neuronale ceroide. Nella terza o quarta decade di vita, l’accumulo di questo materiale nei tessuti può causare una malattia polmonare restrittiva, malattie infiammatorie intestinali, insufficienza renale e cardiomiopatia. La maggior parte dei pazienti presenta mutazioni in HPS1, localizzate sul cromosoma 10q. SINDROME DI CHÉDIAK-HIGASHI. I pazienti con questa rara malattia autosomica recessiva manifestano albinismo parziale e suscettibilità alle infezioni, associati alla presenza di granuli lisosomiali giganti perossidasi-positivi nei granulociti (vedi Capitolo 129). I melanosomi appaiono insolitamente grandi (macromelanosomi), ma il loro numero è ridotto. I pazienti che sopravvivono fino all’età adulta possono sviluppare un’iperplasia linfofollicolare. Sono state identificate mutazioni del gene CHS1 (localizzato sul braccio lungo del cromosoma 1) in presenza di questa sindrome. Albinismo oculare (OA, Ocular Albinism). L’albinismo è limitato agli occhi, essendo presenti tutti i sintomi oculari descritti in precedenza. La forma recessiva legata all’X (OA1) è considerata un’entità separata. Si ritiene che la maggior parte dei casi di albinismo oculare recessivo costituisca una variante più lieve dell’OCA2. ALBINISMO OCULARE 1 (OA1, TIPO NETTLESHIP-FALLS). Soltanto i maschi emizigoti presentano il quadro completo, mentre la pigmentazione retinica anomala può manifestarsi in donne eterozigoti portatrici sane. Il gene responsabile di questo disturbo è localizzato sul braccio corto del cromosoma X. È stato segnalato anche un albinismo oculare legato all’X con sordità neurosensoriale tardiva. 23-09-2008 11:51:59 * C * 558 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Albinismo localizzato. Questo disturbo è caratterizzato da aree localizzate di ipopigmentazione di cute e capelli che sono presenti già dalla nascita o che insorgono con la crescita. PIEBALDISMO. I soggetti con questo disturbo autosomico dominante presentano un ciuffo di capelli bianchi alla nascita. La cute sottostante è depigmentata e priva di melanociti (come il ciuffo). In molti casi, si notano macule su volto, tronco e arti. Nei pazienti colpiti sono state evidenziate mutazioni del gene KIT. SINDROME DI WAARDENBURG. In questa sindrome la presenza del ciuffo bianco è associata a spostamento laterale del canto palpebrale interno, a radice nasale allargata, eterocromia dell’iride e sordità neurosensoriale. Tale disturbo, trasmesso con modalità autosomica dominante, può essere suddiviso in 4 sottogruppi. I pazienti con il tipo I presentano spostamento dell’angolo palpebrale, causato da mutazioni del gene PAX3; quelli con il tipo II hanno canti palpebrali normali e in alcuni di essi sono state riscontrate mutazioni del gene MITF; in quelli con tipo III sono presenti tutti i sintomi del tipo I, più ipoplasia e contratture degli arti superiori e l’anomalia genetica è localizzata nel gene PAX3; il tipo IV (eterogeneo), infine, è associato alla malattia di Hirschsprung ed è attribuito a mutazioni in differenti geni (EDN3, EDNRB o SOX10). 85.3 • METIONINA • Iraj Rezvani e David S. Rosenblatt La via per il catabolismo della metionina, un amminoacido essenziale, produce S-adenosilmetionina (che funziona come donatore di un gruppo metilico per la metilazione di una varietà di composti) e cisteina, formata attraverso una serie di reazioni definite trans-solforazione (Fig. 85-3). OMOCISTINURIA (OMOCISTINEMIA). L’omocisteina (composto intermedio della degradazione della metionina) è in gran parte rimetilata a metionina. Tale reazione è catalizzata dall’enzima metionina sintetasi, che richiede un metabolita dell’acido folico (5-metiltetraidrofolato) come donatore del gruppo metilico e un metabolita della vitamina B12 (metilcobalamina) come cofattore (vedi Fig. 85-3). Nel plasma degli individui normali, soltanto il 20-30% dell’omocisteina totale (e del suo dimero) si trova in forma libera, mentre il resto è legato a proteine in disulfidi misti. Sono state identificate tre forme principali di omocistinemia e omocistinuria. Omocistinuria dovuta a deficit di cistationina -sintetasi. È il più comune errore congenito del metabolismo della metionina. Circa il 40% dei pazienti colpiti risponde a dosi elevate di vitamina B6 e presenta manifestazioni cliniche più lievi rispendo ai soggetti non responsivi (grazie a un’attività enzimatica residua). I bambini con questo disturbo appaiono normali alla nascita. Durante l’infanzia, le manifestazioni cliniche sono aspecifiche e includono deficit della crescita staturo-ponderale e ritardo dello sviluppo. La diagnosi è solitamente formulata dopo il terzo anno di età, in seguito all’insorgenza di una sublussazione del cristallino (ectopia lentis), responsabile di grave miopia e iridodonesi (tremore dell’iride). In seguito, possono svilupparsi astigmatismo, glaucoma, stafiloma, cataratta, distacco retinico e atrofia ottica. Il ritardo mentale progressivo è comune, benché alcuni pazienti preservino un livello intellettivo nella norma. In uno studio internazionale condotto su 600 pazienti, il range del QI risultava compreso tra 10 e 135, con i punteggi più elevati che sono risultati appartenere ai soggetti rispondenti alla terapia con vitamina B6. Disturbi psichiatrici e comportamentali sono stati segnalati in 50% dei casi, mentre le convulsioni si riscontrano nel 20%. I pazienti con omocistinuria manifestano anomalie scheletriche analoghe a quelle della sindrome di Marfan (vedi Capitolo 700): solitamente alti e magri, hanno arti allungati e presentano aracnodattilia. Scoliosi, petto escavato, ginocchio valgo, piede cavo, palato arcuato e affollamento dentale sono di comune riscontro. Questi bambini hanno di solito la carnagione chiara, gli occhi azzurri e presentano il caratteristico eritema 84-92ANA.indd 558 malare. L’osteoporosi generalizzata, in particolare a livello della colonna vertebrale, costituisce il reperto radiografico principale. Gli episodi trombotici a carico di vasi piccoli e grandi (in particolare del cervello) sono comuni e possono verificarsi a qualunque età. Atrofia oculare, paralisi, cor polmonare e grave ipertensione (dovuta agli infarti renali) sono tra le sequele più gravi del tromboembolismo, causato dai cambiamenti delle pareti vascolari e dall’aumento dell’adesività delle piastrine secondaria all’incremento dei livelli di omocistina. Il rischio di tromboembolismo aumenta in seguito a procedure chirurgiche. Le complicanze rare includono pneumotorace spontaneo e pancreatite acuta. L’aumento di metionina e omocistina (o omocisteina) nei liquidi corporei costituisce il reperto di laboratorio diagnostico. La presenza di omocisteina andrebbe verificata nell’urina fresca, perché questo composto è instabile e tende a scomparire in quella conservata. La cisteina è assente o molto ridotta nel plasma. La diagnosi può essere formulata mediante test enzimatico su un campione di biopsia epatica, mediante coltura di fibroblasti, colture linfocitarie stimolate con fitoemoagglutinina o analisi del DNA. Il trattamento con dosi elevate di vitamina B6 (200-1000 mg/ die) consente un notevole miglioramento nella maggior parte dei pazienti che rispondono a questa terapia. Il grado di risposta alla vitamina B6 può variare a seconda delle famiglie. Alcuni pazienti possono risultare non responsivi a causa di una deplezione di folato, per cui prima di considerare un paziente non responsivo è opportuno provare ad aggiungere acido folico (1-5 mg/die) alla terapia. In questi pazienti non responsivi è consigliata la restrizione dell’assunzione di metionina, associata alla somministrazione di un supplemento di cisteina. L’opportunità delle restrizioni dietetiche nei soggetti responsivi è una questione controversa; in alcuni di essi l’aggiunta di betaina può evitare il ricorso alla dieta. La betaina (trimetilglicina, 6-9 g/die negli adulti o 200-250 mg/kg/die nei bambini) riduce i livelli di omocisteina nei liquidi corporei, mediante rimetilazione dell’omocisteina a metionina (vedi Fig. 85-3); ciò può determinare una ulteriore elevazione dei livelli di metionina plasmatica. Questo trattamento ha consentito il miglioramento clinico (prevenzione degli episodi vascolari) in pazienti non responsivi alla vitamina B6. È stato segnalato un caso di edema cerebrale in un paziente con omocistinuria non responsivo alla vitamina B6 che non si era attenuto alle restrizioni dietetiche durante la terapia con betaina. La somministrazione di dosi elevate di vitamina C (1 g/die) migliora la funzione endoteliale, ma gli effetti a lungo termine non sono noti. Sono stati descritti oltre 100 casi di gravidanze di donne con la forma classica di omocistinuria, con esito positivo sia per la mamma sia per il bambino. Nella maggior parte dei casi, i bambini erano sani e nati a termine. Gli eventi tromboembolici postpartum sono rari. Soltanto uno dei 38 pazienti di sesso maschile considerati in questo studio aveva figli normali. Lo screening neonatale per l’omocistinuria classica indica una prevalenza mondiale compresa tra 1/200 000 e 1/350 000. Il disturbo sembra più comune nel Nuovo Galles del Sud, in Australia (1/60 000) e in Irlanda. Il trattamento precoce dei pazienti identificati mediante le procedure di screening ha consentito di ottenere risultati positivi. In 16 pazienti con la forma non responsiva alla vitamina B6, sottoposti a trattamento già dalla prima infanzia, il QI medio era di 94 4. In alcuni casi la terapia sembra consentire la prevenzione della dislocazione del cristallino. L’omocistinuria è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene della cistationina -sintetasi è localizzato sul cromosoma 21q22.3. La diagnosi prenatale è realizzabile mediante test enzimatico di una coltura di cellule amniotiche, esame dei villi coriali o analisi del DNA. Diverse mutazioni patogenetiche sono state identificate in varie famiglie. Nella maggior parte dei casi, i pazienti colpiti sono doppi eterozigoti per due differenti alleli. I portatori sani eterozigoti sono solitamente asintomatici e gli eventi tromboembolici e la malattia coronarica sono più comuni in questi soggetti rispetto alla popolazione generale. 23-09-2008 11:51:59 Capitolo 85 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 559 NH2 CH3 Tetraidrofolato (FH4) S (CH2)2 CH Metionina COOH Metioninemia 1 vit B*12 Dimetil glicino cblC, D, E, F, G Metil Cbl Omocistinuria CH3 6 N5-Metil FH4 5,10-Metilene FH4 S-Adenosilmetionina S-Adenosilomocisteina Betaina 2 7 Omocisteina Omocistinuria Serina Omocistinuria classica 3 Cistationina Cistationinemia Acido -chetobutirrico Omoserina 4 Cisteina Acido propionico Glutatione Taurina Acido succinico Sulfito Deficit di sulfito ossidasi 5 Solfato CO2 H2O Figura 85-3. Vie metaboliche degli amminoacidi contenenti zolfo. Enzimi: (1) metionina adenosiltrasferasi, (2) adenosilomocisteina idrolasi, (3) cistationina sintetasi, (4) cistationasi, (5) sulfito ossidasi, (6) betaina omocisteina metiltrasferasi, (7) metilene tetraidrofolato reduttasi. Omocistinuria da difetti nella formazione di metilcobalamina. La metilcobalamina è il cofattore per l’enzima metionina sintetasi, che catalizza la rimetilazione dell’omocisteina a metionina. Esistono per lo meno cinque difetti diversi del metabolismo intracellulare della cobalamina in grado di interferire con la formazione di metilcobalamina (per comprendere meglio il metabolismo della cobalamina, vedi l’acidemia metilmalonica, al Capitolo 85.6 e nelle Figg. 85-3 e 85-4). I cinque difetti sono designati cblC, cblD, cblE (metionina sintetasi reduttasi), cblG (metionina sintetatsi) e cblF. Oltre all’omocistinuria, i pazienti con i difetti cblC, cblD e cblF presentano anche acidemia metilmalonica, perché risulta compromessa sia la formazione di adenosilcobalamina sia quella di metilcobalamina (vedi Capitolo 85.6). I pazienti con i difetti cblE e cblG non sono in grado di formare metilcobalamina, perciò sviluppano omocistinuria senza acidemia metilmalonica (vedi Fig. 85-4); in totale, sono stati segnalati meno di 40 pazienti per ciascuno di questi disturbi. I pazienti con i diversi tipi di difetti presentano manifestazioni cliniche analoghe. Nei primi mesi di vita è possibile riscontrare vomito, disturbi dell’allattamento, letargia, ipotonia e ritardo dello sviluppo. 84-92ANA.indd 559 Una delle pazienti con cblG era risultata asintomatica fino ai 21 anni (eccetto per un lieve ritardo dello sviluppo), allorché aveva sviluppato difficoltà di deambulazione e insensibilità delle mani. I reperti di laboratorio includono anemia megaloblastica, omocistinuria e ipometioninemia. La presenza dell’anemia megaloblastica consente di distinguere questi difetti dall’omocitinuria dovuta al deficit di metilenetetraidrofolato reduttasi (vedi oltre). La presenza di ipometioninemia aiuta a differenziare entrambi questi disturbi dal deficit di cistationina beta-sintetasi (vedi sopra). La diagnosi è stabilita sulla base di test di complementazione, eseguiti in colture di fibroblasti. La diagnosi prenatale è realizzata mediante esami su colture di cellule amniotiche. Il gene per cblE (MTRR) è stato localizzato sul cromosoma 5p15.3-p15.2, mentre quello per cblG (MTR) è mappato sul cromosoma 1q43; sono state descritte diverse mutazioni patogenetiche, inclusa una mutazione comune missense (P1173L) nel gene MTR. Il trattamento con vitamina B12, in forma di idrossicobalamina (1-2 mg/die), è utilizzato per correggere le anomalie biochimiche e cliniche. I risultati variano a seconda del tipo di difetto e della consanguineità. 23-09-2008 11:51:59 560 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Spazio extracellulare Sintesi proteica Mem bran a ce llula re CH3 CH3 CH CH3 CH COOH CH3 CH2 NH2 Valina CH3 CH CH COOH CH3 CH CH2 NH2 Isoleucina CH COOH Citosol NH2 Leucina Leucinaisoleucinemia Valinemia (Forma alimentare) Biotina C N Proteina O Degradazione proteolitica Acido 2-chetoisovalerico Malattia delle urine a sciroppo d’acero Bioticina Acido 2-cheto-3-metilvalerico Tiamina B1 Tiamina B1 Acido 2-chetoisocaproico Malattia delle urine a sciroppo d’acero Tiamina B1 Isovaleril-CoA Isobutirril-CoA 2-Metilbutirril-CoA Metacrilil-CoA Tiglil-CoA 3-Idrossilsobutiril-CoA 2-Metil-3-idrossibutirril-CoA Acidemia isovalerica Deficit di biotinidasi 3-Metilcrotonil-CoA CO2 l so o Cit Acido 3-idrossilisovalerico Deficit di 3-metilcrotonil-CoA carbossilasi Metilmalonil-CoA semialdeide 2-Metilacetoacetil-CoA 3-Metilglutaconil-CoA Aciduria 3-metilglutaconica Deficit di -chetotiolasi CO2 CO2 Biotina Propionil-CoA D-Metilmalonil-CoA Acidemia propionica Acido metilcitrico Biotina 3-Idrossi-3-metilglutaril-CoA Acidi grassi a catena dispari Teonina Metionina Colesterolo Aciduria 3-idrossi-3-metilglutarica-CoA L-Metilmalonil-CoA Acido acetoacetico + Acetil-CoA Acidemia metilmalonica cblB cblA, cblH Cbl1 Cbl2 MMA MMA Adenosil Cbl Succinil-CoA Omocistinuria Metionina cblG cblD CO2 H2O cblE MMA HCU cblC OHCbl3 Citosol Mitocondri Metil Cbl Cbl2 Acetone cb lF Omocisteina OH Cbl3 MM HC A U TC II Lisosoma OHCbl TC II Membrana cellulare Spazio extracellulare OHCbl3 TC II Figura 85-4. Vie metaboliche degli amminoacidi a catena ramificata, biotina e vitamina B12 (cobalamina). MMA, acidemia metilmalonica (MethylMalonic Acidemia); HCU, omocistinuria; Cbl, cobalamina; OHCbl, idrossicobalamina; cbl, difetto del metabolismo della cobalamina; TC, transcobalamina. Omocistinuria da deficit di metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR). Questo enzima (MTHFR, MethyleneTetraHydroFolate Reductase) riduce 5-10 metilenetetraidrofolato per formare 5-metiltetraidrofolato, che fornisce il gruppo metilico necessario per la rimetilazione dell’omocisteina a metionina (vedi Fig. 85-3). La gravità del difetto enzimatico e delle manifestazioni cliniche mutano considerevolmente nelle diverse famiglie. I reperti clinici variano da apnea, convulsioni, microcefalia, coma e decesso, a ritardo dello sviluppo, atassia, anomalie motorie e disturbi psichiatrici. Sono stati segnalati casi di malattia vascolare prematura o neuropatia periferica come uniche manifestazioni del deficit enzimatico. Malgrado la gravità del deficit, gli adulti possono risultare del tutto asintomatici. L’esposizione all’ossido nitrico utilizzato come anestetico (che inibisce la metionina sintasi) in 84-92ANA.indd 560 pazienti con deficit di MTHFR può causare deterioramento neurologico, con conseguente decesso del paziente. I reperti di laboratorio includono una moderata omocistinemia e omocistinuria. La concentrazione di metionina è ridotta o normale, consentendo in questo modo di distinguere il disturbo dall’omocistinuria classica, causata dal deficit della cistationina sintasi. L’assenza di anemia megaloblastica differenzia inoltre questa patologia dall’omocistinuria causata dalla formazione di metilcobalamina (vedi sopra). In questi pazienti è stato osservato anche tromboembolismo dei vasi. La diagnosi può essere confermata mediante test enzimatico su colture di fibroblasti o leucociti, oppure in seguito al riscontro di una mutazione causativa del gene MTHR. È stato descritto un certo numero di polimorfismi del gene MTHR. Due di questi (677C T e 1298A C) possono incidere 23-09-2008 11:51:59 Capitolo 85 sui livelli plasmatici di omocisteina e sono stati presi in considerazione come potenziali fattori di rischio per un’ampia gamma di patologie, tra cui i difetti congeniti, la malattia vascolare, il cancro, il morbo di Alzheimer. Tali polimorfismi sembrano influire anche sulla probabilità di sopravvivenza in caso di leucemia. I dati più attendibili attualmente a disposizione suggeriscono un ruolo del polimorfismo 677C T come fattore di rischio nei difetti del tubo neurale. Benché il test clinico per il polimorfismo sia disponibile, il suo valore predittivo nei singoli individui non è ancora stato determinato. È stato tentato il trattamento dei deficit gravi di MTHFR con una combinazione di acido folico, vitamina B6, vitamina B12 e metionina, o con betaina. Il trattamento precoce con quest’ultima sembra il più efficace. Il disturbo si trasmette con modalità autosomica recessiva; il gene per l’enzima è stato localizzato sul cromosoma 1p36.3. Sono state segnalate diverse mutazioni patogenetiche. La diagnosi prenatale è realizzata misurando l’attività dell’enzima MTHFR in colture di villi coriali o amniociti, mediante analisi di linkage delle famiglie informative o analisi del DNA della mutazione. IPERMETIONINEMIA. L’ipermetioninemia secondaria insorge in presenza di malattia epatica, tirosinemia di tipo I e omocistinuria classica. Dal momento che è stata riscontrata anche in lattanti prematuri (e alcuni nati a termine) che ricevevano una dieta a elevato contenuto proteico, è ipotizzabile che il disturbo sia il risultato di un ritardo nella maturazione dell’enzima metionina adenosiltrasferasi. Di solito l’anomalia si risolve con la riduzione dell’apporto proteico. In alcuni pazienti è stata segnalata la presenza di ipermetioninemia primaria, causata da un deficit della metionina adenosiltrasferasi epatica (vedi Fig. 85-3). La maggior parte di questi pazienti è stata diagnosticata nel periodo neonatale grazie allo screening per l’omocistinuria. Gli individui colpiti con attività enzimatica residua restano asintomatici per tutta la vita, malgrado la persistenza dell’ipermetioninemia. Alcuni lamentano alito cattivo (con caratteristico odore di cavolo bollito). Un ridotto numero di pazienti con deficit enzimatico completo presenta anomalie neurologiche collegate alla demielinizzazione (ritardo mentale, distonia, disprassia). Il gene per la metionina adenosiltrasferasi è localizzato sul cromosoma 10q22; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. Anche il deficit di glicina N-metiltrasferasi può causare ipermetioninemia isolata. CISTATIONINEMIA (CISTATIONINURIA). La cistationinuria secondaria insorge in pazienti con deficit di vitamina B6 o B12, malattia epatica (in particolare il danno causato dalla galattosemia), tireotossicosi, epatoblastoma, neuroblastoma, ganglioblastoma o difetti della rimetilazione a omocisteina. Il deficit di cistationasi provoca una grave cistationinuria e una cistationinemia da lieve a moderata; normalmente la cistationina non è rilevabile nel sangue. Il deficit di questo enzima si trasmette con modalità autosomica recessiva e la sua prevalenza è stimata a 1/14 000 di nati vivi. I soggetti colpiti presentano un’ampia gamma di manifestazioni cliniche. La mancanza di un quadro clinico coerente e la presenza della cistationinuria in un certo numero di individui normali suggerisce che il deficit di cistationasi sia privo di un significato clinico. Per la maggior parte, i casi segnalati rispondono alla somministrazione orale di elevate dosi di vitamina B6 (100 mg/die). È opportuno instaurare il trattamento non appena formulata la diagnosi, anche se la sua efficacia resta da dimostrare. Il gene che codifica per la cistationasi è localizzato sul cromosoma 16. 85.4 • CISTEINA/CISTINA • Iraj Rezvani La cisteina è un amminoacido non essenziale contenente zolfo, sintetizzato dalla metionina (vedi Fig. 85-3). In presenza di ossigeno, due molecole di cisteina sono ossidate, per formare la cistina. I due più comuni disturbi del metabolismo di cisteina/ cistina, la cistinuria e la cistinosi, sono affrontati altrove (vedi Capitoli 547 e 529.3). 84-92ANA.indd 561 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 561 DEFICIT DELLA SOLFITO OSSIDASI (DEFICIT DEL COFATTORE MOLIBDENO). Nell’ultima tappa del metabolismo della cisteina, il solfito è ossidato a solfato dalla solfito ossidasi e questo è escreto nelle urine (vedi Fig. 85-3). L’enzima richiede un complesso molibdeno-pterina chiamato cofattore molibdeno, il quale è necessario anche per la funzione di altri due enzimi: la xantina deidrogenasi (che ossida la xantina e l’ipoxantina in acido urico) e l’aldeide ossidasi. Tre enzimi, codificati da tre geni differenti localizzati sui cromosomi 14q24, 6p21.3 e 5q11, sono coinvolti nella sintesi del cofattore e il deficit di uno qualsiasi di questi enzimi causa il deficit del cofattore, con fenotipo identico. La maggior parte dei pazienti ai quali era stato inizialmente diagnosticato un deficit della solfito ossidasi è risultata invece affetta da un deficit del cofattore. Entrambe le condizioni sono trasmesse con modalità autosomica recessiva. I deficit dell’enzima e del cofattore provocano manifestazioni cliniche identiche. A qualche settimana dalla nascita si può riscontrare vomito, rifiuto dell’allattamento, convulsioni gravi e intrattabili (toniche, cloniche, miocloniche) e grave ritardo dello sviluppo. La dislocazione bilaterale del cristallino è un reperto comune nei pazienti che sopravvivono al periodo neonatale. Questi bambini eliminano attraverso le urine grandi quantità di solfito, tiosolfato, S-sulfocisteina, xantina e ipoxantina. I livelli sierici e urinari di acido urico e la concentrazione urinaria di solfato risultano invece diminuiti. Lo screening e le misurazioni quantitative del solfito andrebbero effettuati utilizzando urina fresca, perché l’ossidazione a temperatura ambiente può produrre falsi negativi. La diagnosi è confermata dalla misura della solfito ossidasi e del cofattore molibdeno su fibroblasti e biopsia epatica. La diagnosi prenatale è possibile esaminando l’attività della solfito ossidasi in colture di cellule amniotiche o campioni di villi coriali. Non è disponibile alcun trattamento efficace e la maggior parte dei pazienti muore entro i primi due anni di vita. La prevalenza dei due disturbi non è nota. 85.5 • TRIPTOFANO • Iraj Rezvani Il triptofano è un amminoacido essenziale e un precursore dell’acido nicotinico e della serotonina (Fig. 85-5). Sono stati segnalati diversi presunti deficit dei vari enzimi coinvolti nel catabolismo del triptofano, ma nessuna entità clinica distinta è finora emersa. La malattia di Hartnup causa disturbi di assorbimento del triptofano. MALATTIA DI HARTNUP. Questo disturbo autosomico recessivo, che ha preso il nome dalla prima famiglia in cui è stato descritto, consiste in un difetto nel trasporto di amminoacidi monoaminomonocarbossilici (amminoacidi neutri) da parte della mucosa intestinale o dei tubuli renali. Nella maggior parte dei casi i bambini con malattia di Hartnup restano asintomatici. La principale manifestazione clinica nei rari pazienti sintomatici è la fotosensibilità cutanea. Una moderata esposizione al sole è sufficiente a provocare arrossamento ed esposizioni prolungate possono causare eruzioni cutanee simili alla pellagra, talvolta pruriginose. Può comparire anche un eczema cronico. Le alterazioni cutanee sono state segnalate già in neonati di soli 10 giorni. Alcuni pazienti possono presentare atassia intermittente, che si manifesta con andatura instabile e a base allargata e che può protrarsi per alcuni giorni, sebbene di solito si risolva spontaneamente. Lo sviluppo mentale è generalmente normale, anche se due membri della prima famiglia segnalata presentavano ritardo mentale. Sono state osservate alterazioni psicologiche episodiche solitamente associate agli attacchi di atassia, come irritabilità, instabilità emotiva, depressione e tendenze al suicidio. In alcuni pazienti si riscontra bassa statura e glossite atrofica. La maggior parte dei bambini che hanno ricevuto la diagnosi di malattia di Hartnup in seguito allo screening neonatale è rimasta asintomatica. Ciò indica che altri fattori sono implicati nella patogenesi dei sintomi clinici. 23-09-2008 11:51:59 562 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Sintesi proteica NH2 Indolo CH2 Gut CH 1 N Fegato Indicano In vitro BH4 2 BH2 Triptofano Triptofanemia PKU* + deficit di serotonina Serotonina Melatonina 3 Formilchinurenina Acido 5-OH-indoloacetico (5 HIAA) Blu indigo “Sindrome del pannolino blu” 5-OH-triptofano COOH Acido nicotinico Figura 85-5. Via metabolica del triptofano. PKU* indica l’iperfenilalaninemia da deficit di tetraidrobiopterina (vedi Fig. 85-1). Enzimi: (1) triptofano idrossilasi, (2) L-amminoacido aromatico decarbossilasi (AADC), (3) monoaminaossidasi (MAO). Il principale reperto di laboratorio è l’aminoaciduria, limitata agli amminoacidi neutri (alanina, serina, treonina, valina, leucina, isoleucina, fenilalanina, tirosina, triptofano, istidina). L’escrezione urinaria di prolina, idrossiprolina e arginina è normale: un reperto che consente di distinguere la malattia di Hartnup dalle altre cause di aminoaciduria generalizzata, come la sindrome di Fanconi. Le concentrazioni plasmatiche di amminoacidi neutri sono solitamente normali, ma ciò non deve sorprendere, considerando il fatto che questi amminoacidi sono assorbiti come dipeptidi e il sistema di trasporto per i piccoli peptidi è integro nella malattia di Hartnup. In alcuni pazienti si riscontrano grandi quantità di derivati dell’indolo (specialmente l’indicano), a causa della decomposizione batterica del triptofano non assorbito nell’intestino. La diagnosi è stabilita sulla base delle natura intermittente dei sintomi e dei reperti urinari appena descritti. Il trattamento con acido nicotinico o nicotinamide (50-300 mg/die) e una dieta a elevato contenuto proteico consentono di ottenere una risposta favorevole nei pazienti sintomatici. A causa della natura intermittente delle manifestazioni cliniche, l’efficacia di questo trattamento è difficile da valutare. La prevalenza del disturbo è stimata intorno a 1/30 000. Non si segnalano difficoltà in caso di gravidanza delle pazienti. Il gene per questo disturbo non è stato ancora identificato. 85.6 • VALINA, LEUCINA, ISOLEUCINA E ACIDEMIE ORGANICHE COLLEGATE • Iraj Rezvani e David S. Rosenblatt* Le prime tappe della degradazione di questi amminoacidi essenziali, a catena ramificata, sono molto simili (vedi Fig. 85-4). I metaboliti intermedi sono tutti acidi organici e il deficit di uno qualsiasi degli enzimi di degradazione (fatta eccezione per le transaminasi) causa acidosi; in tali circostanze, gli acidi organici prodotti prima del blocco enzimatico si accumulano nei liquidi corporei e vengono infine escreti nell’urina. Questi disturbi causano acidosi metabolica, solitamente nei primi giorni di vita. Benché la maggior parte dei reperti clinici sia aspecifica, alcune manifestazioni possono fornire importanti indicazioni sulla natura del deficit enzimatico. *David S. Rosenblatt ha contribuito alla sezione dedicata all’acidemia metilmalonica. 84-92ANA.indd 562 La Figura 85-6 illustra l’approccio clinico in presenza di un neonato con sospetta acidemia organica. La diagnosi definita è solitamente stabilita identificando e misurando specifici acidi organici nei liquidi corporei (sangue e urine) mediante test enzimatico e individuazione del gene mutante. Le acidemie organiche non si limitano ai difetti delle vie cataboliche degli amminoacidi a catena ramificata. I disturbi che causano un accumulo di altri acidi organici includono quelli derivati dalla lisina (vedi Capitolo 85.13), quelli associati all’acido lattico (vedi Capitolo 87) e le acidemie dicarbossiliche associate al catabolismo degli acidi grassi (vedi Capitolo 86.1). MALATTIA DELLE URINE A SCIROPPO D’ACERO. La decarbossilazione di leucina, isoleucina e valina è realizzata da un complesso sistema enzimatico (-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata), che utilizza la tiamina pirofosfato (vitamina B1) come coenzima. Questo enzima mitocondriale è costituito da quattro sottounità: E1, E1, E2, E3. La sottounità E3 è condivisa con altre due deidrogenasi, chiamate piruvato deidrogenasi e alfa-chetoglutarato deidrogenasi. Il deficit di questo sistema enzimatico causa la malattia delle urine a sciroppo d’acero (MSUD, Maple Syrup Urine Disease) (vedi Fig. 85-4), disturbo che ha preso il nome dall’inconfondibile odore dolciastro emanato dai liquidi corporei, in particolare dalle urine. Sulla base dei reperti clinici e della risposta alla somministrazione di tiamina, sono stati identificati cinque fenotipi della MSUD. MSUD classica. Questa forma presenta le manifestazioni cliniche più gravi. I lattanti colpiti, normali alla nascita, sviluppano disturbi dell’allattamento e vomito nel corso della prima settimana di vita, quindi letargia e coma possono insorgere entro qualche giorno. L’esame obiettivo rivela ipertonia e rigidità muscolare, con grave opistotono. Periodi di ipertonia possono alternarsi a fasi di flaccidità. I reperti neurologici sono spesso confusi con la sepsi generalizzata e la meningite. Può essere presente edema cerebrale, mentre la maggior parte dei lattanti presenta convulsioni e l’ipoglicemia è comune. A differenza di quanto accade negli altri stati ipoglicemici, la correzione della glicemia non migliora i sintomi clinici. I reperti laboratorio sono di solito aspecifici, fatta eccezione per l’acidosi metabolica. Se non viene trattata, la malattia conduce alla morte nelle prime settimane o mesi di vita. La diagnosi è speso sospettata a causa dell’odore particolare emanato da urine, sudore e cerume (vedi Fig. 85-6). L’analisi degli amminoacidi conferma la marcata elevazione dei livelli plasmatici di leucina, isoleucina, valina e alloisoleucina (uno stereoisomero dell’isoleucina che normalmente non si riscontra nel sangue) e 23-09-2008 11:51:59 Capitolo 85 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 563 Caratteristiche frequenti Rifiuto dell’allattamento Vomito Acidosi Disidratazione Neutropenia Ipoglicemia Chetosi Assenza di manifestazioni cutanee Chetosi lieve o assente Manifestazioni cutanee Deficit multiplo di carbossilasi* Assenza di odore Odore caratteristico 1. Acidemia metilmalonica 2. Acidemia propionica 3. Deficit di chetotiolasi 1. MSUD* 2. Acidemia isovalerica* 1. Aciduria 3-idrossi-3-metilglutarica 2. Deficit di acil CoA deidrogenasi 3. Deficit di HMG CoA sintetasi Figura 85-6. Approccio clinico in presenza di un lattante con acidemia organica. Gli asterischi indicano disturbi nei quali il paziente emana un odore caratteristico (vedi Tab. 84-21). MSUD, malattia delle urine a sciroppo d’acero. la carenza di alanina. I livelli di leucina sono di solito più alti di quelli degli altri tre amminoacidi. L’urina contiene elevate concentrazioni di leucina, isoleucina, valina e dei rispettivi chetoacidi, che è possibile individuare qualitativamente aggiungendo all’urina qualche goccia di reagente 2,4-dinitrofenilidrazina (allo 0,1% in 0,1 N HCl); se il test è positivo, si formerà un precipitato giallastro di 2,4-dinitrofenilidrazone. Durante un episodio acuto, le tecniche di neuroimaging possono mostrare edema cerebrale, prominente soprattutto a livello del cervelletto, del tronco cerebrale dorsale, del peduncolo cerebrale e della capsula interna. Dopo il superamento dello stato acuto e con la crescita, l’imaging può indicare ipomielinizzazione e atrofia cerebrale. L’attività enzimatica è misurabile nei leucociti e su colture di fibroblasti. Il trattamento dell’episodio acuto ha come obiettivo l’idratazione e la rapida rimozione degli amminoacidi a catena ramificata e dei loro metaboliti dai tessuti e liquidi corporei. Poiché la clearance renale di questi composti è scarsa, l’idratazione da sola può non essere sufficiente a consentire un rapido miglioramento. La dialisi peritoneale o l’emodialisi è la modalità terapeutica più efficace nei lattanti gravemente malati e andrebbe avviata tempestivamente. Entro 24 ore dall’esordio del trattamento, si riscontra solitamente una significativa riduzione dei livelli plasmatici di leucina, isoleucina e valina. Fornendo al paziente un adeguato apporto calorico e di nutrienti per via endovenosa o orale, è solitamente possibile correggere lo stato catabolico. Il trattamento dell’edema cerebrale può richiedere l’utilizzo di mannitolo, furisemide o di una soluzione salina ipertonica. Il trattamento dopo il superamento della crisi richiede una dieta a ridotto contenuto di amminoacidi a catena ramificata. Negli Stati Uniti sono disponibili in commercio alimenti privi di leucina, isoleucina e valina. Poiché questi amminoacidi non possono essere sintetizzati endogenamente, piccole dosi andrebbero aggiunte alla dieta, titolandone con precisione la quantità mediante frequenti analisi dei livelli plasmatici di amminoacidi. Un disturbo clinico somigliante alla dermatite enteropatica può insorgere nei bambini con livelli estremamente ridotti di isoleucina, che vanno pertanto aumentati integrandone nella dieta quantità addizionali, al fine di consentire una guarigione rapida e completa. I pazienti con MSUD dovrebbero attenersi alla dieta per tutta la vita. Il trapianto di fegato è stato eseguito in una 84-92ANA.indd 563 piccola percentuale di bambini con MSUD classica con risultati promettenti, dal momento che essi si sono rivelati in grado di tollerare una dieta normale. La prognosi a lungo termine resta riservata. Una grave chetoacidosi e un edema cerebrale possono insorgere in situazioni stressanti (come infezioni o interventi chirurgici), in particolare durante l’infanzia, mettendo a rischio la sopravvivenza del paziente. I deficit neurologici e il ritardo mentale sono sequele comuni. MSUD intermittente. I bambini con questa forma di MSUD, apparentemente sani, sviluppano vomito, odore di sciroppo d’acero, atassia, letargia e coma durante stati catabolici o di stress come infezioni o interventi chirurgici. Durante questi attacchi, i reperti di laboratorio sono indistinguibili da quelli della forma classica e la prognosi del paziente può essere infausta. Il trattamento dell’attacco acuto è analogo a quello della MSUD classica. Dopo il superamento della crisi, benché il paziente sia in grado di tollerare una dieta normale, se ne raccomanda una a ridotto contenuto di amminoacidi a catena ramificata. Nei soggetti con questa forma intermittente, l’attività della deidrogenasi è più elevata rispetto alla forma classica e può raggiungere il 15-20% dell’attività normale. MSUD lieve (intermedia). I bambini colpiti sviluppano una forma lieve della malattia dopo il periodo neonatale. Le manifestazioni cliniche sono insidiose e limitate al sistema nervoso centrale. I pazienti presentano ritardo mentale da lieve a moderato (solitamente dopo i 5 mesi di età), con o senza convulsioni. Eliminano nelle urine moderate quantità di amminoacidi a catena ramificata e dei loro derivati, dunque emanano un percepibile odore d’acero. Le concentrazioni plasmatiche di leucina, isoleucina e valina risultano moderatamente aumentate, mentre quelle di lattato e piruvato sono normali. Nella maggior parte dei casi, la diagnosi è formulata nel corso di un attacco, quando compaiono i segni e sintomi della MSUD classica. L’attività della deidrogenasi è ridotta al 3-30% del normale. Poiché i pazienti con MSUD rispondente alla tiamina hanno manifestazioni analoghe a quelle evidenziabili nelle forme lievi, si raccomanda un trial terapeutico con tiamina. Come nella MSUD classica, il paziente deve sottoporsi a dieta. MSUD rispondente alla tiamina. Alcuni pazienti con forme lievi o moderate di MSUD vanno incontro a un miglioramento clinico e biochimico rilevante se trattati con dosi elevate di tiamina. Alcuni 23-09-2008 11:51:59 564 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche rispondono a dosi di 10 mg/die, altri richiedono dosi fino a 200 mg/die per almeno 3 settimane. Anche una dieta a basso contenuto di amminoacidi a catena ramificata è necessaria. L’attività enzimatica è pari al 2-40% del normale. MSUD da deficit della sottounità E3 (diidrolipoil deidrogenasi). I pazienti con questo rarissimo disturbo sviluppano acidosi lattica oltre ai segni e sintomi della MSUD intermedia (perché la sottounità E3 è anche una componente della piruvato deidrogenasi e dell’-chetoglutarato deidrogenasi). Dopo i due mesi di età, il coinvolgimento neurologico si manifesta con ipotonia e ritardo dello sviluppo. I movimenti anomali progrediscono fino all’atassia. Il disturbo può condurre alla morte del paziente nella prima infanzia. I reperti di laboratorio includono acidosi lattica persistente, associata a elevati livelli plasmatici di lattato, piruvato e alanina. Le concentrazioni plasmatiche degli amminoacidi a catena ramificata risultano moderatamente aumentate. I pazienti eliminano attraverso le urine consistenti quantità di lattato, piruvato, -glutarato e dei tre chetoacidi a catena ramificata. Non è disponibile alcun trattamento efficace. Le restrizioni dietetiche degli amminoacidi a catena ramificata e la somministrazione di elevate dosi di tiamina, biotina e acido lipoico si sono dimostrate inefficaci. Genetica e prevalenza della MSUD. Tutte le forme di MSUD sono ereditate con modalità autosomica recessiva. Il gene per ciascuna sottounità è localizzato su cromosomi differenti: il gene E1 si trova sul cromosoma 19q13.1-q13.2; E1 è sul cromosoma 6p22-p21; E2 sul 1p31; E3 sul 7q31-q32. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in pazienti con forme differenti di MSUD. Un dato fenotipo può essere causato da una varietà di genotipi. In pazienti con la forma classica, ma con genealogie differenti, sono state segnalate mutazioni dei geni E1, E1 oppure E2. Nella maggior parte dei casi i pazienti sono doppi eterozigoti, che hanno ereditato due differenti alleli mutanti. La prevalenza è stimata a 1/185 000. La forma classica della MSUD è più comune nella comunità americana del “Vecchio ordine dei Mennoniti”, con una prevalenza di 1/358. I pazienti appartenenti a questa popolazione sono omozigoti per una specifica mutazione (Y394N) nel gene della sottounità E1. L’individuazione precoce della MSUD è realizzabile mediante screening neonatale di massa. La diagnosi prenatale è possibile mediante test enzimatico su colture di amniociti, esame diretto dei villi coriali o identificazione del gene mutante. Sono stati descritti diversi casi di gravidanza, con esito positivo, di pazienti con forme differenti di MSUD. Non è stato riscontrato alcun effetto patologico nei figli neonati, mentre episodi di scompenso metabolico si sono piuttosto verificati nelle madri nel corso della gravidanza e nel periodo postpartum. ACIDEMIA ISOVALERICA. Questa rara condizione è causata da un deficit dell’isovaleril coenzima A (CoA) deidrogenasi (vedi Fig. 85-5). Le manifestazioni cliniche della forma acuta includono vomito e grave acidosi nei primi giorni di vita. Letargia, convulsioni e coma possono seguire, causando la morte del paziente se non viene avviata una terapia adeguata. Il vomito può essere così grave da suggerire la diagnosi di stenosi del piloro. Può essere presente il caratteristico odore di “piedi sudati” (vedi Fig. 85-6). I bambini che sopravvivono a questo episodio acuto soffriranno in seguito della forma intermittente cronica. Esiste anche una forma più lieve della malattia (forma cronica intermittente), le cui manifestazioni principali (vomito, letargia, acidosi o coma) compaiono solo quando il bambino ha alcuni mesi o alcuni anni di età. In entrambe le forme, episodi acuti di scompenso metabolico possono insorgere durante uno stato catabolico, come un’infezione. Sofisticati metodi di screening neonatale hanno consentito l’identificazione di un fenotipo più lieve, potenzialmente asintomatico; un certo numero di fratelli più grandi di questi neonati presentava genotipo identico e anomalie biochimiche analoghe, in assenza di manifestazioni cliniche. 84-92ANA.indd 564 I reperti di laboratorio durante gli attacchi acuti includono chetoacidosi, neutropenia, trombocitopenia e occasionalmente pancitopenia. In alcuni pazienti possono riscontrarsi ipocalcemia, iperglicemia e iperammoniemia da moderata a grave. L’aumento del livello plasmatico di ammoniaca può suggerire un difetto del ciclo dell’urea, ma in questo caso il bambino non risulta acidotico (vedi Fig. 85-6). La diagnosi viene stabilita dimostrando la marcata elevazione dell’acido isovalerico e dei suoi metaboliti (isovalerilglicina, acido 3-idrossiisovalerico) nei liquidi corporei, in particolare nell’urina. Il principale composto nel plasma è l’isovalerilcarnitina, misurabile su poche gocce di sangue assorbito su carta da filtro. La misura dell’enzima su colture di fibroblasti consente di confermare la diagnosi. Il trattamento dell’attacco acuto ha come obiettivo l’idratazione, la correzione dello stato catabolico (fornendo un adeguato apporto di calorie per via orale o endovenosa), la correzione dell’acidosi metabolica (mediante infusione di bicarbonato di sodio) e l’eliminazione dell’acido isovalerico in eccesso. Grazie all’elevata clearance urinaria dell’isovalerilglicina, la somministrazione di glicina (250 mg/kg/die) contribuisce alla formazione di isovalerilglicina. Anche la L-carnitina (100 mg/kg/die) incrementa la rimozione di acido isovalerico, formando isovalerilcarnitina, escreta nelle urine. Nei pazienti con iperammoniemia significativa (ammoniaca nel sangue 200 M) è opportuno intervenire per ridurre la concentrazione di ammoniaca (vedi Capitolo 85.11). In caso di fallimento delle misure descritte, è necessario ricorrere a un’exanguinotrasfusione o a dialisi peritoneale. Dopo il superamento dell’attacco acuto, il paziente deve attenersi a una dieta a ridotto contenuto proteico (1,0-1,5 g/kg/ die) e assumere integrazione di glicina e carnitina. Nei soggetti sopravvissuti all’attacco è stata segnalata l’insorgenza di pancreatite (in forma acuta o ricorrente). Un trattamento corretto e tempestivo consente lo sviluppo normale del bambino. La diagnosi prenatale può essere realizzata misurando l’isovalerilglicina nel liquido amniotico, mediante test enzimatico su colture di amniociti o identificazione del gene mutante. Sono stati descritti diversi casi di gravidanza, con esito positivo sia per la mamma sia per il bambino. Lo screening neonatale di massa è attualmente realizzato negli Stati Uniti e in diversi altri Paesi. L’acidemia isovalerica è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene è localizzato sul cromosoma 15q14-15q15 e sono state identificate svariate mutazioni patogenetiche. La prevalenza del disturbo è compresa tra 1/62 500 (in alcune parti della Germania) a 1/250 000 (negli Stati Uniti). DEFICIT MULTIPLI DI CARBOSSILASI (DIFETTI DI UTILIZZO DELLA BIOTINA). La biotina è una vitamina solubile in acqua, cofattore per tutti e quattro gli enzimi carbossilasi: piruvato carbossilasi, acetil CoA carbossilasi, propionil CoA carbossilasi e 3-metilcrotonil CoA carbossilasi. Gli ultimi due sono coinvolti nelle vie metaboliche di leucina, isoleucina e valina (vedi Fig. 85-4). La biotina alimentare è legata alle proteine; la biotina libera è generata nell’intestino, per azione degli enzimi digestivi, dei batteri intestinali e forse della biotinidasi. Quest’ultimo enzima, ritrovato nel siero e in molti tessuti dell’organismo, è essenziale anche per il riciclo della biotina nel corpo, in quanto la rilascia dagli apoenzimi (carbossilasi, vedi Fig. 85-4). Per attivare le quattro carbossilasi, la biotina libera deve formare con l’apoproteina un legame peptidico covalente, catalizzato dalla olocarbossilasi sintetasi. Il deficit di questo enzima (olocarbossilasi) o della biotidinidasi determina una disfunzione di tutte le carbossilasi, con conseguente acidemia organica. Deficit di olocarbossilasi sintetasi (deficit multiplo di carbossilasi, forma infantile o precoce). I lattanti con questo raro disturbo autosomico recessivo divengono sintomatici nelle prime settimane di vita, già da qualche ora dopo il parto fino a 21 mesi di età. Sul piano clinico questi lattanti, normali alla nascita, sviluppano difficoltà di respirazione (tachipnea e apnea), nonché spesso difficoltà di allattamento, vomito e ipotonia. In caso di mancato trattamento, insorgono eruzione eritematosa generalizzata con 23-09-2008 11:51:59 Capitolo 85 esfoliazione e alopecia (parziale o totale), deficit nella crescita staturo-ponderale, irritabilità, convulsioni, letargia e coma. Il ritardo dello sviluppo è frequente. Il deficit immunologico si manifesta con una suscettibilità alle infezioni. L’urina può emanare un odore particolare, descritto come simile a quella di gatto. L’eruzione cutanea, se presente, consente di distinguere questo disturbo dalle altre forme di acidemia organica (vedi Fig. 85-6). I reperti di laboratorio includono acidosi metabolica, chetosi, iperammoniemia e la presenza nei liquidi corporei di un’ampia gamma di acidi organici, tra cui acido lattico, acido propionico, acido 3-metilcrotonico, 3-metilcrotonilglicina, tiglilglicina, metilcitrato e acido 3-idrossisovalerico. La diagnosi è confermata dal test enzimatico su linfociti o coltura di fibroblasti. Di solito l’enzima mutante presenta un incremento del valore Km per la biotina; l’attività enzimatica può essere reintegrata con la somministrazione di dosi elevate di biotina. Il trattamento con biotina (10 mg/die per os) consente di migliorare le manifestazioni cliniche e può correggere le anomalie biochimiche. La diagnosi e il trattamento precoci sono essenziali per prevenire i danni neurologici irreversibili. Tuttavia, in alcuni pazienti non è possibile ottenere una risoluzione completa, nemmeno con dosi elevate di biotina (fino a 80 mg/die). Il gene dell’olocarbossilasi sintetasi è localizzato sul cromosoma 21q22.1. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in differenti famiglie. La diagnosi prenatale può essere realizzata tramite la valutazione dell’attività enzimatica su colture di cellule amniotiche o mediante la misura delle concentrazioni dei metaboliti intermedi (3-idrossiisovalerato e metilcitrato) nel liquido amniotico. Donne che avevano già avuto un figlio con deficit dell’olocarbossilasi sintetasi sono state trattate mediante somministrazione di biotina nelle fase finale di una nuova gravidanza. I bambini colpiti apparivano normali alla nascita, ma l’esito a lungo termine del trattamento resta da definire. Deficit di biotinidasi (deficit multiplo di carbossilasi, forma giovanile o tardiva). L’assenza di biotinidasi determina un deficit di biotina. I bambini con questo disturbo possono sviluppare manifestazioni cliniche simili a quelle osservate nel deficit di olocarbossilasi sintetasi, ma i sintomi possono comparire più tardivamente (a qualche mese o anno di età); sono stati comunque segnalate insorgenze dei sintomi già nella prima settimana. Di conseguenza, il termine “tardiva” non si applica a tutti i casi e può risultare fuorviante. Il ritardo è probabilmente attribuibile alla presenza di una quantità sufficiente di biotina libera, assunta per via alimentare o derivata dalla madre. È possibile riscontrare dermatite atopica o seborroica, alopecia, atassia, convulsioni miocloniche, ipotonia, ritardo dello sviluppo, perdita dell’udito neurosensoriale e immunodeficienza (da anomalie delle cellule T). In un ridotto numero di bambini che presentava come unici sintomi una dermatite seborroica intrattabile e un deficit parziale dell’enzima (15-30% dell’attività preservata), è stata segnalata una remissione in seguito a somministrazione di biotina. I programmi di screening hanno consentito l’identificazione di adulti e bambini in cui questo deficit enzimatico non produceva sintomi. Nella maggior parte dei casi, questi soggetti rivelavano un parziale deficit dell’attività enzimatica. I reperti di laboratorio e i livelli degli acidi organici nei liquidi corporei sono analoghi a quelli riscontrati nel deficit di olocarbossilasi sintetasi (vedi sopra). La diagnosi può essere stabilita mediante test dell’attività enzimatica nel siero. Un metodo semplificato per lo screening neonatale di massa è attualmente utilizzato negli Stati Uniti e in molti altri Paesi. Il trattamento mediante biotina libera (5-20 mg/die) consente di ottenere un netto miglioramento clinico e biochimico. Questa terapia è consigliata anche negli individui con deficit parziale di biotinidasi. La prevalenza di questo trait autosomico recessivo è stimata a 1/60 000. Il gene per la biotinidasi è localizzato sul cromosoma 3p25; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in differenti famiglie. La diagnosi prenatale è realizzata mediante test dell’attività enzimatica su cellule amniotiche o identificazione del gene mutante. 84-92ANA.indd 565 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 565 Deficit multiplo di carbossilasi da deficit alimentare della biotina. Un deficit acquisito della biotina può insorgere in neonati che ricevono una nutrizione parenterale totale priva di integrazione di biotina, in caso di assunzione a lungo termine di farmaci anticonvulsivanti (fentoina, primidone, carbamazepina), in bambini con la sindrome dell’intestino corto o diarrea cronica sottoposti a dieta povera di biotina. Anche un eccessiva ingestione di uova crude può causare il deficit di biotina, perché la proteina avidina contenuta nell’albume si lega alla biotina, rendendola non disponibile per l’assorbimento. I bambini con deficit di biotina sviluppano dermatite, alopecia e infezioni cutanee da candida. DEFICIT ISOLATO DI 3-METILCROTONIL COA CARBOSSILASI . Questo enzima è uno delle quattro carbossilasi presenti nel corpo che richiedono la biotina come cofattore (vedi Fig. 85-4). Il deficit isolato di questo enzima deve essere distinto dai disturbi del metabolismo della biotina (deficit multiplo di carbossilasi), che causano una diminuzione dell’attività di tutte e quattro le carbossilasi. La 3-metilcrotonil CoA carbossilasi è un enzima eteromerico composto dalle sottounità (contenente biotina) e . Le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili e vanno da un esordio neonatale fatale, con acidosi, grave ipotonia e convulsioni, alla forma asintomatica nell’adulto. Nella forma grave, lattanti apparentemente sani sviluppano, in seguito a una infezione minore, vomito, ipotonia, letargia e convulsioni. L’episodio acuto può causare il decesso del paziente. I reperti di laboratorio durante gli episodi acuti includono acidosi da lieve a moderata, chetosi, grave ipoglicemia, iperammoniemia ed elevati livelli sierici di transaminasi epatiche. Nelle urine si riscontrano notevoli quantità di acido 3-idrossiisovalerico e 3-metilcrotonilglicina. Di solito l’escrezione urinaria di acido 3-metilcrotonico non risulta aumentata, perché la quantità di 3-metilcrotonil CoA accumulata è convertita in acido 3-idrossiisovalerico. Il deficit secondario di carnitina è comune. Sul piano biochimico, questo disturbo deve essere distinto dal deficit multiplo di carbossilasi (vedi sopra), nel quale, oltre all’acido 3-indrossiisovalerico, si riscontrano acido lattico e metaboliti dell’acido propionico nei liquidi corporei. La diagnosi può essere confermata dalla misura dell’attività enzimatica su colture di fibroblasti. Per formulare quella definitiva è necessario dimostrare la normale attività delle altre carbossilasi. Si consiglia il trattamento aggressivo degli episodi acuti, mediante idratazione e infusione endovenosa di glucosio e alcalinizzanti. Questi pazienti non rispondono alla terapia con biotina. I soggetti che in precedenti segnalazioni si erano rivelati responsivi, probabilmente soffrivano di un deficit multiplo di carbossilasi da deficit di biotinidasi (vedi sopra). Il trattamento a lungo termine prevede una dieta con restrizione della leucina, la somministrazione orale di L-carnitina (75-100 mg/kg/die) e la prevenzione degli stati catabolici. In questi pazienti si prevede una crescita e uno sviluppo normali. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene per la sottounità (MCC1) è localizzato sul cromosoma 3q25-27, mentre il gene per la sottounità (MCC2) si trova sul cromosoma 5q12-13. Mutazioni in uno dei due geni determinano il deficit dell’attività enzimatica. Fenotipi simili possono essere causati da genotipi differenti. In entrambi i geni sono state riscontrate diverse mutazioni patogenetiche in differenti famiglie. Programmi di screening neonatale basati sulla spettrometria di tandem massa hanno consentito l’identificazione di un numero inaspettatamente elevato di bambini con deficit di 3-metilcrotonil CoA carbossilasi (1:50 000); secondo questi dati, questa condizione è una delle acidemie organiche più comuni in alcune popolazioni. ACIDURIA 3-METILGLUTACONICA. Sono noti almeno tre disturbi ereditari associati a una eccessiva escrezione nelle urine di acido 3-metilglutaconico. Il deficit dell’enzima 3-metilglutaconil CoA idratasi (vedi Fig. 85-4) è stato documentato in una sola patologia (tipo I). Nelle altre due forme, l’attività enzimatica risulta normale, malgrado una modesta aciduria 3-metilglutaconica. 23-09-2008 11:52:00 566 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Aciduria 3-metilglutaconica di tipo I (deficit di 3-metilglutaconil CoA idratasi) (vedi Fig. 85-4). Questo raro disturbo autosomico recessivo si manifesta con ritardo del linguaggio, movimenti coreoatetoidi, atrofia ottica, lieve ritardo psicomotorio e sviluppo di acidosi metabolica durante uno stato catabolico. Sono stati segnalati casi di adulti asintomatici. I pazienti eliminano attraverso le urine grandi quantità di acido 3-metilglutaconico e moderate quantità di acido 3-idrossivalerico e 3-metilglutarico. Il deficit di 3-metilglutaconil CoA idratasi è stato evidenziato anche su colture di fibroblasti e linfoblasti. È stato suggerito il trattamento con una dieta a ridotto contenuto proteico, ma i suoi benefici terapeutici sul corso clinico della malattia restano da dimostrare. La somministrazione di L-carnitina si è rivelata efficace in un paziente. Il gene per l’enzima (AUH) è localizzato sul cromosoma 9. Aciduria 3-metilglutaconica di tipo II (cardiomiopatia legata all’X, neutropenia, ritardo della crescita, e aciduria 3-metilglutaconica con 3-metilglutaconil CoA idratasi, sindrome di Barth). Le manifestazioni cliniche di questo disturbo, che solitamente emerge poco dopo la nascita, includono cardiomiopatia dilatativa (che si manifesta con distress respiratorio e insufficienza cardiaca), ipotonia, ritardo della crescita e neutropenia da grave a moderata. In alcuni pazienti è stata segnalata una lieve aciduria lattica e/o ipoglicemia. Se il paziente sopravvive all’infanzia, può evidenziarsi un miglioramento relativo dei sintomi nel corso della crescita. Lo sviluppo cognitivo è solitamente normale, malgrado il ritardo della funzione motoria. I reperti di laboratorio includono un aumento da lieve a moderato dell’escrezione urinaria degli acidi 3-metilglutaconico, 3-metilglutarico e 2-etilidracrilico. La neutropenia è un reperto comune. In alcuni pazienti è stata segnalata la presenza di acidosi lattica, ipoglicemia e anomalie della ultrastruttura mitocondriale. Contrariamente alla aciduria 3-metilglutaconica di tipo I, l’escrezione urinaria di acido 3-idrossiisovalerico non risulta elevata. La cardiolipina totale e le sue diverse sottoclassi sono molto ridotte in colture di fibroblasti del derma. Questi dati contribuiscono alla formulazione della diagnosi. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene si trova sul cromosoma Xq28; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. L’attività dell’enzima 3-metilglutaconil CoA idratasi è normale. La ragione dell’aumentata escrezione degli acidi organici citati non è nota, né risulta disponibile alcun trattamento efficace. Aciduria 3-metilglutaconica di tipo III (sindrome dell’atrofia ottica di Costeff). Le manifestazioni cliniche includono una precoce atrofia ottica e il successivo sviluppo di movimenti coreoatetoidi, spasticità, atassia, disartria e lieve ritardo dello sviluppo. Tutti i pazienti segnalati (eccetto uno) sono ebrei di origine irachena abitanti in Israele. Questi soggetti eliminano moderate quantità di acido 3-metilglutaconico e 3-metilglutarico. Come nella forma di tipo II, la ragione dell’aumentata escrezione di questi acidi organici non è nota. L’attività dell’enzima 3-metilglutaconil CoA idratasi risulta normale. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene responsabile (OPA3) si trova sul cromosoma 19q13.2-13.3. Non è disponibile alcun trattamento efficace. DEFICIT DI -CHETOTIOLASI (DEFICIT DI ACETOACETIL COA TIOLASI MITOCONDRIALE). Questo enzima mitocondriale reversibile scinde 2-metilacetoacetil CoA (vedi Fig. 85-4) o acetoacetil in una Acidi grassi Amminoacidi chetogenici Glucosio 3-Idrossibutirato Acetil-CoA + Acetil-CoA via del citrato Acetil CoA + Acetil CoA Acetoacetato Succinil-CoA Deficit SCOT 1 4 CoASH Acetoacetil-CoA CoASH Acetoacetil-CoA Acetil-CoA 2 Acetil-CoA 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA (HMG-CoA) 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA (HMG-CoA) 3 6 Succinato Acetoacetil-CoA Sangue Deficit di tiolasi 1 CoASH Acetil-CoA + Acetil-CoA CoA Acido mevalonico 5 Acetoacetato Aciduria mevalonica Acido 5-fosfomevalonico Acetone Ciclo di Krebs 3-indrossibutirato CO2 H 2O Membrana mitocondriale Citosol Colesterolo Tessuto periferico Membrana mitocondriale Reni Citosol Fegato Urina Polmoni Aria Figura 85-7. Formazione (nel fegato) e metabolismo (nei tessuti periferici) dei corpi chetonici e sintesi del colesterolo. Enzimi: (1) acetoacetil CoA tiolasi mitocondriale, (2) HMG-CoA sintasi, (3) HMG-CoA liasi, (4) acetoacetil CoA tiolasi citosolica, (5) chinasi mevalonica, (6) succinil CoA:3-chetoacido CoA trasferasi (SCOT). 84-92ANA.indd 566 23-09-2008 11:52:00 Capitolo 85 direzione e sintetizza questi composti in una reazione inversa (Fig. 85-7). Le manifestazioni cliniche sono piuttosto variabili e spaziano dalla forma asintomatica nell’adulto a gravi episodi di acidosi nelle prime settimane di vita. I bambini colpiti presentano episodi intermittenti di chetosi e acidosi apparentemente inspiegabili, che solitamente si verificano dopo un’infezione intercorrente e rispondono rapidamente a una terapia endovenosa con liquidi o bicarbonato. Durante gli attacchi può presentarsi anche iperammoniemia da lieve a moderata. In casi isolati sono state segnalate sia ipoglicemia sia iperglicemia. Il bambino può risultare del tutto asintomatico tra un episodio e l’altro e riesce a tollerare una dieta con apporto proteico normale. Lo sviluppo mentale è normale nella maggior parte dei casi. Gli episodi possono essere erroneamente diagnosticati come un avvelenamento da salicilato, a causa delle similitudini tra i reperti clinici e per l’interferenza degli elevati livelli ematici di acetoacetato con il metodo colorimetrico al salicilato. I reperti di laboratorio durante gli attacchi acuti includono acidosi, chetosi e iperammoniemia. L’urina contiene grandi quantità di 2-metilacetoacetato (e il suo prodotto della decarbossilazione, il butanone), 2-metil-3-idrossibutirato e tiglilglicina. Concentrazioni più basse di questi metaboliti urinari persistono durante i periodi di apparente remissione dei sintomi. Può essere presente anche una lieve iperglicinemia. I reperti clinici e biochimici andrebbero differenziati da quelli evidenziabili nel caso di acidemia propionica o metilmalonica (vedi oltre). La diagnosi può essere stabilita mediante test enzimatico su colture di fibroblasti o identificazione del gene mutante. Il trattamento degli episodi acuti prevede idratazione e infusione di bicarbonato per correggere l’acidosi, mentre per lo stato catabolico può essere usata una soluzione di glucosio al 10% con gli elettroliti appropriati e lipidi endovena. La terapia a lungo termine prevede la restrizione dell’assunzione di proteine (1-2 g/kg/die). Si raccomanda anche la somministrazione orale di L-carnitina (50-100 mg/kg/die) per prevenire un deficit secondario di carnitina. La prognosi a lungo termine sembra favorevole e questi pazienti sono in grado di condurre una vita normale. Tre dei pazienti segnalati hanno terminato il liceo e uno si è iscritto all’università, pure se le anomale concentrazioni dei metaboliti nei liquidi corporei permanevano in tutti loro. Sono state inoltre descritte gravidanze con esito positivo sia per la mamma sia per il bambino. La patogenesi della chetosi in questo disturbo non è ancora stata chiarita, perché in presenza di tale deficit enzimatico ci si aspetterebbe piuttosto una compromissione della formazione di chetoni (vedi Fig. 85-7). È ipotizzabile che l’acetoacetil CoA in eccesso prodotto da altre fonti venga usato come substrato per la sintesi di 3-idrossi-3-metilglutaril (HMG, Hydroxy MethylGlutaryl) CoA nel fegato. Questo disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. La sua prevalenza potrebbe risultare superiore a quella stimata attualmente. Il tasso più elevato si riscontra in Tunisia. Il gene (ACAT1) per questo enzima (T2) è localizzato sul cromosoma 11q22.3-23.1. DEFICIT DI ACETOACETIL COA TIOLASI CITOSOLICA. Questo enzima catalizza la produzione citosolica di acetoacetil CoA da due moli di acetil CoA (vedi Fig. 85-7). L’acetoacetil CoA citosolico è il precursore della sintesi del colesterolo epatico. L’acetoacetil CoA tiolasi citosolica è un enzima completamente diverso dalla tiolasi mitocondriale (vedi sopra e Fig. 85-4). Le manifestazioni cliniche in questa rara forma di deficit enzimatico sono simili a quelle riscontrate nei pazienti con acidemia mevalonica (vedi oltre). Nei primi mesi di vita si manifestano un ritardo dello sviluppo grave e progressivo, una ipotonia e un movimento coreoatetoidi. I reperti di laboratorio sono aspecifici; nel sangue e nelle urine è possibile riscontrare elevati livelli di lattato, piruvato, acetoacetato e 3-idrossibutirato, tuttavia un paziente presentava una concentrazione normale di acetoacetato e 3-idrossibutirato. La diagnosi può essere stabilita dimostrando la presenza di un deficit 84-92ANA.indd 567 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 567 nell’attività della tiolasi citosolica su biopsia epatica, fibroblasti in coltura o analisi del DNA. Non è disponibile alcun trattamento efficace. Il gene di questo disturbo è localizzato sul cromosoma 6q25.3-q26. Deficit di 3-idrossi 3-metilglutaril (HMG) CoA sintasi. Questo enzima catalizza la sintesi, nei mitocondri, di HMG-CoA a partire dall’acetoacetil CoA. Si tratta di una tappa critica della sintesi dei chetoni nel fegato (vedi Fig. 85-7). È stato segnalato un numero molto ridotto di pazienti con questo deficit e l’esordio e l’esito della malattia risultavano simili nelle totalità dei casi. L’età di presentazione era compresa tra 18 mesi e 6 anni, con tutti i bambini asintomatici fino all’insorgenza dell’episodio acuto e in seguito normali dopo la sua conclusione (fatta eccezione per una lieve epatomegalia con infiltrazione adiposa). In nessuno dei pazienti si era verificato un secondo episodio, probabilmente grazie alle misure preventive adottate per evitare il digiuno prolungato durante periodi di malattia successivi. L’epatomegalia era riscontrata nella totalità dei pazienti. I reperti di laboratorio includevano ipoglicemia, acidosi con chetosi lieve o assente, alterazioni della funzione epatica e una grave aciduria dicarbossilica. I reperti clinici e di laboratorio sono facilmente confondibili con quelli dei pazienti con difetti del metabolismo degli acidi grassi (vedi Capitolo 86.1) ma, a differenza di questi ultimi, i pazienti con deficit di HMG-CoA sintetasi hanno concentrazioni ematiche di acilcarnitina coniugata nella norma. In questi soggetti, le anomalie cliniche e metaboliche precedentemente descritte sono scatenate dal digiuno. Il trattamento consiste nel garantire un apporto calorico adeguato e nell’evitare prolungati periodi di digiuno. Non è necessaria la riduzione dell’apporto proteico. Il difetto è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene è localizzato sul cromosoma 1p13-p12; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. La presenza di questo deficit, probabilmente più comune di quanto risulti attualmente, andrebbe sospettata in tutti i bambini con ipoglicemia a digiuno. ACIDURIA 3-IDROSSI-3-METILGLUTARICA. Questa malattia è dovuta a un deficit di HMG-CoA liasi (vedi Fig. 85-4), l’enzima limitante che catalizza la conversione di HMG-CoA in acetoacetato nella chetogenesi (vedi Fig. 85-7). Sul piano clinico oltre il 60% dei pazienti diviene sintomatico tra i 3 e gli 11 mesi, mentre il 30% circa sviluppa i sintomi nei primi giorni di vita. È stato segnalato il caso di un bambino rimasto asintomatico fino ai 15 anni. Episodi di vomito, grave ipoglicemia, ipotonia, acidosi con chetosi lieve o assente e deidratazione, si verificano spesso durante uno stato catabolico come il digiuno o un’infezione intercorrente, possono condurre rapidamente a letargia, atassia e coma. L’epatomegalia è comune. Queste manifestazioni possono essere erroneamente diagnosticate come sindrome di Reye o deficit di acil CoA deidrogenasi a catena media (MCAD). I pazienti sono solitamente asintomatici fra un attacco e l’altro. È stato segnalato il caso di un bambino di 7 mesi deceduto durante una malattia febbrile a causa di una cardiomiopatia acuta. Lo sviluppo è solitamente normale, ma in pazienti con prolungati episodi di ipoglicemia sono stati riscontrati ritardo mentale e convulsioni, associati ad anomalie della sostanza bianca (evidenziabili con la RM). I reperti di laboratorio includono ipoglicemia, iperammoniemia da moderata a grave e acidosi. La chetosi è lieve o assente (vedi Fig. 85-7). Si riscontra un notevole aumento dell’escrezione urinaria di acido 3-idrossi-3-metilglutarico e di altri metaboliti intermedi prossimali del catabolismo della leucina (acidi 3-metilglutaconico e 3-idrossiisovalerico). Questi acidi organici sono escreti nelle urine come carnitina coniugata, causando un deficit secondario di carnitina. Durante gli attacchi acuti, anche i livelli degli acidi glutarico e adipico possono risultare aumentati nelle urine. La diagnosi è confermata mediante misurazione dell’attività enzimatica su amniociti in coltura, biopsia dei villi coriali o analisi del DNA. 23-09-2008 11:52:00 568 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Il trattamento degli episodi acuti include idratazione, infusione di glucosio per controllare l’ipoglicemia, un corretto apporto calorico e la somministrazione di bicarbonato per correggere l’acidosi. L’iperammoniemia deve essere trattata tempestivamente (vedi Capitolo 85.11) e nei casi gravi possono essere necessarie l’exanguinotrasfusione e la dialisi peritoneale. La gestione a lungo termine prevede una dieta con restrizione dell’apporto di proteine e grassi. La somministrazione orale di L-carnitina (50-100 mg/kg/ die) previene l’insorgenza di un deficit secondario di carnitina. È opportuno evitare digiuni prolungati. È stato segnalato il caso di un bambino deceduto in seguito a un’immunizzazione di routine. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene per la HMG-CoA liasi è localizzato sul cromosoma 1pter-p33; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. Il difetto genetico risulta più comune nella popolazione araba, in particolare in Arabia Saudita. DEFICIT DI SUCCINIL COA:3-CHETOACIDO COA TRASFERASI. Questo enzima è necessario per il metabolismo dei corpi chetonici (acetoacetato e 3-idrossibutirato) nei tessuti periferici (vedi Fig. 85-7). Il suo deficit determina la sottoutilizzazione e l’accumulo di corpi chetonici e chetoacidosi. Finora è stato segnalato un numero molto ridotto di pazienti con questo deficit, ma è possibile che molti casi non vengano diagnosticati. La malattia si presenta con un episodio acuto di grave e inspiegabile acidosi e chetonuria in un bambino precedentemente normale. L’esordio avviene nella prima settimana di vita nel 50% dei pazienti ed entro i due anni nella totalità dei casi. L’episodio acuto è spesso scatenato da un’infezione intercorrente o da uno stato catabolico e può causare il decesso del paziente. Di solito, una chetosi cronica subclinica persiste tra un attacco e l’altro. Lo sviluppo è abitualmente normale. I reperti di laboratorio durante l’episodio acuto sono aspecifici e includono acidosi metabolica e chetonuria, con elevati livelli di acetoacetato e 3-idrossibutirato nel sangue e nelle urine, dove non è riscontrato nessun altro acido organico. La glicemia è solitamente normale, ma in due neonati con grave acidosi è stata segnalata ipoglicemia. Gli amminoacidi plasmatici sono di solito normali. La diagnosi può essere stabilita dimostrando il deficit dell’attività enzimatica su fibroblasti in coltura o mediante analisi del DNA. Il trattamento degli episodi acuti prevede idratazione, correzione dell’acidosi e controllo dell’apporto calorico mediante una dieta specifica. Il trattamento a lungo termine include la prevenzione degli stati catabolici e una dieta a elevato contenuto di carboidrati. Questa diagnosi dovrebbe essere presa in considerazione in presenza di un bambino con chetoacidosi inspiegabile. La malattia è trasmessa con modalità autosomica recessiva. Il gene per l’enzima è localizzato sul cromosoma 5p13; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. ACIDURIA MEVALONICA. L’acido mevalonico, metabolita intermedio nella sintesi del colesterolo, è convertito in acido 5-fosfomevalonico attraverso l’azione dell’enzima mevalonato chinasi (vedi Fig. 85-7). Sono state riconosciute due forme sulla base delle manifestazioni cliniche. Aciduria mevalonica, forma grave. Le manifestazioni cliniche includono ritardo mentale, deficit nella crescita staturo-ponderale, ritardo dello sviluppo, ipotonia, atassia, epatosplenomegalia, cataratta e dismorfismo facciale (dolicocefalia, fronte ampia, orecchie a basso impianto, taglio degli occhi rivolto verso il basso, ciglia lunghe). In tutti i pazienti sono state osservate crisi ricorrenti caratterizzate da febbre, vomito, diarrea, artralgia, edema, linfoadenopatia, ingrossamento di fegato e milza, eruzione morbilliforme. Questi episodi durano 4-5 giorni e ricorrono fino a 25 volte l’anno. Durante una crisi può anche sopraggiungere la morte. I reperti di laboratorio includono una marcata elevazione del livello di acido mevalonico nelle urine, la cui concentrazione può raggiungere 56 000 mole/mole di creatinina (il valore normale 84-92ANA.indd 568 è 0,3). Anche i livelli plasmatici di acido mevalonico risultano significativamente aumentati (fino a 54 mole/dL; valore normale 0,004) ed è l’unico acido organico presente in concentrazioni anomale. Il suo livello aumenta ulteriormente durante le crisi e tende a essere correlato con la gravità della malattia. La concentrazione sierica di colesterolo è normale o solo leggermente ridotta, mentre quella di creatina chinasi è nettamente aumentata. Il tasso di sedimentazione e il livello sierico di 4-leucotriene aumentano durante le crisi. La RM cerebrale rivela una progressiva atrofia del cervelletto. La diagnosi può essere confermata dalla valutazione dell’attività enzimatica della mevalonato chinasi su linfociti o fibroblasti in coltura. Non è disponibile alcuna terapia efficace. Il trattamento con dosi elevate di prednisone (2 mg/kg/die) consente di ottenere un certo miglioramento durante le crisi acute. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva. La diagnosi prenatale è realizzabile mediante la misura dell’acido mevalonico nel liquido amniotico, la valutazione dell’attività enzimatica su colture di amniociti o villi coriali o l’individuazione del gene mutante. Il gene per la mevalonato chinasi è localizzato sul cromosoma 12q24. Febbre periodica con iperimmunoglobulinemia D (aciduria mevalonica, forma lieve). Alcune mutazioni del gene della mevalonato chinasi causano un lieve deficit dell’enzima, determinando un quadro clinico di febbre periodica con iperimmunoglobulinemia D. I pazienti hanno periodici attacchi febbrili, associati a dolore addominale, vomito, diarrea, artralgia, artrite, epatosplenomegalia, linfoadenopatia ed eruzione morbilliforme (petecchie e porpora nei casi più gravi), che solitamente compare entro il primo anno di età. Gli attacchi possono essere scatenati da vaccinazioni, traumi minori o stress; di solito si verificano ogni 1-2 mesi e durano 2-7 giorni. Tra un attacco e l’altro il paziente è asintomatico. L’elevazione dell’immunoglobulina D sierica (IgD) costituisce il reperto di laboratorio diagnostico; anche l’IgA risulta aumentata nell’80% dei pazienti. Durante gli attacchi acuti è possibile riscontrare leucocitosi, aumento della proteina C-reattiva e lieve aciduria mevalonica. L’elevata concentrazione sierica di IgD consente di distinguere questa malattia dalla febbre mediterranea familiare. Il trattamento degli attacchi acuti è sintomatico. La malattia è ereditata con modalità autosomica recessiva; la prevalenza è più elevata nei Paesi dell’Europa occidentale (il 60% dei pazienti è francese o olandese). L’attività enzimatica è solitamente ridotta al 5-15% del normale. La patogenesi del disturbo non è stata ancora chiarita. Sono state identificate diverse mutazioni del gene (localizzato sul cromosoma 12q24), ma una in particolare (V3771) è presente nell’80% dei pazienti. La prognosi a lungo termine è solitamente buona, ma in alcuni casi si è riscontrato lo sviluppo di amiloidosi. ACIDEMIA PROPIONICA (DEFICIT DI PROPIONIL COA CARBOSSILASI). L’acido propionico è un metabolita intermedio del catabolismo di isoleucina, valina, treonina, metionina, acidi grassi a catena dispari e colesterolo. Normalmente è carbossilato ad acido metilmalonico dall’enzima mitocondriale propionil CoA carbossilasi, che richiede il cofattore biotina (vedi Fig. 85-4). L’enzima è composto dalle due sottounità non identiche e e la biotina si lega all’. I reperti clinici sono aspecifici. Nella forma grave i pazienti sviluppano sintomi nei primi giorni o settimane di vita. I sintomi iniziali (disturbi dell’allattamento, vomito, ipotonia, letargia, disidratazione e segni clinici di grave chetoacidosi) progrediscono rapidamente, fino al coma e alla morte. Le convulsioni si riscontrano nel 30% dei bambini colpiti. Se il bambino sopravvive al primo attacco, episodi analoghi tendono a verificarsi a causa di infezioni intercorrenti o costipazione o in seguito a una dieta a elevato contenuto di proteine. Nei bambini sopravvissuti a diversi attacchi si riscontrano comunemente un ritardo mentale da moderato a grave e anomalie neurologiche come distonia, coreoatetosi, tremore e segni piramidali. Nelle forme più lievi il 23-09-2008 11:52:00 Capitolo 85 bambino può presentare ritardo mentale in assenza di attacchi acuti di chetosi. Alcuni pazienti manifestano episodi di grave e inspiegabile chetoacidosi, separati da periodi apparentemente asintomatici. Lo screening neonatale di massa ha consentito l’identificazione di forme più lievi della malattia; alcuni di questi bambini risultavano del tutto asintomatici al momento della diagnosi. La gravità delle manifestazioni cliniche può variare nell’ambito di una stessa famiglia: è stato per esempio segnalato il caso di un bambino diagnosticato a 5 anni, mentre la sorella tredicenne risultava del tutto asintomatica malgrado presentasse un identico deficit enzimatico. I reperti di laboratorio durante l’attacco acuto includono grave acidosi metabolica con importante gap anionico, chetosi, neutropenia, trombocitopenia e ipoglicemia. L’iperammoniemia da moderata a grave è comune, ma la sua patogenesi non è stata ancora chiarita con precisione. L’ammoniemia è solitamente correlata alla gravità del disturbo. Nei pazienti che hanno ricevuto la diagnosi, la misura dell’ammoniemia plasmatica contribuisce a pianificare la strategia terapeutica durante gli episodi di esacerbazione. Anche l’iperglicinemia è di riscontro comune. L’elevazione dei livelli plasmatici e urinari di glicina è stata osservata pure in pazienti con acidemia metilmalonica. Prima dell’identificazione degli specifici enzimi in causa, questi disturbi erano complessivamente definiti iperglicinemia chetotica. Nei bambini con acidemia propionica si riscontra una marcata elevazione plasmatica e urinaria delle concentrazioni di acido propionico e acido metilcitrico (probabilmente derivati dalla condensazione di propionil CoA con l’acido ossoacetilico). Nell’urina sono presenti anche l’acido 3-idrossipropionico, la propionilglicina e altri metaboliti intermedi del catabolismo dell’isoleucina, come l’acido tiglico, la tigliglicina e l’acido 2-metiloacetoacetico. Tra un attacco acuto e l’altro può persistere una moderata elevazione dei livelli ematici di ammoniaca, glicina e degli acidi organici precedentemente menzionati. La RM e la TC cerebrali possono rivelare atrofia cerebrale, demielinizzazione e anomalie del globo pallido e dei gangli basali. Tali reperti sono il risultato di infarti pregressi causati da accidenti vascolari cerebrali, che possono verificarsi durante episodi acuti di scompenso metabolico. Tale complicanza (infarto metabolico) può avere luogo anche in pazienti con altri tipi di acidemia organica e costituisce la principale causa di sequele neurologiche. La diagnosi differenziale di acidemia propionica è con deficit multipli di carbossilasi (vedi sopra e Fig. 85-6). Quest’ultima patologia si presenta con manifestazioni cutanee e con l’escrezione di grandi quantità di acido lattico, acido 3-metilcrotonico e acido 3-idrossiisovalerico, oltre all’acido propionico. La presenza di iperammoniemia può suggerire un difetto genetico degli enzimi del ciclo dell’urea, ma in quest’ultimo caso solitamente i bambini non presentano acidosi (vedi Fig. 84-1). La diagnosi definitiva di acidemia propionica può essere stabilita misurando l’attività enzimatica su colture di leucociti o fibroblasti. Il trattamento degli attacchi acuti include idratazione, correzione dell’acidosi e miglioramento dello stato catabolico mediante il controllo dell’apporto calorico con una iperalimentazione parenterale. Già nella fase iniziale del trattamento è opportuno aggiungere alla soluzione per l’iperalimetazione una quantità minima di proteine (0,25 g/kg/die), scegliendo preferibilmente quelle deficitarie nei precursori del propionato. Per prevenire l’eventuale produzione di acido propionico da parte dei batteri intestinali, si consiglia la sterilizzazione della flora del tratto intestinale mediante somministrazione orale di antibiotici (neomicina o metronidazolo). Anche la costipazione deve essere trattata. I pazienti con acidemia propionica possono sviluppare un deficit di carnitina, probabilmente in seguito all’escrezione urinaria di propionilcarnitina formata dall’acido organico accumulato. La somministrazione di L-carnitina (50-100 mg/ kg/die per via orale, oppure 10 mg/kg/die per via endovenosa) normalizza l’ossidazione degli acidi grassi e migliora l’acidosi. In pazienti con iperammoniemia concomitante, è opportuno ricorrere a misure che riducano l’ammoniemia (vedi Capitolo 85.11). I pazienti con grave acidosi e iperammoniemia richiedono la 84-92ANA.indd 569 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 569 dialisi peritoneale o l’emodialisi, per rimuovere efficacemente l’ammoniaca e gli altri composti tossici. Benché i neonati con acidemia propionica vera rispondano raramente alla biotina, nel corso del primo attacco si consiglia la somministrazione orale del composto (10 mg/die), da proseguire fino alla formulazione della diagnosi. Il trattamento a lungo termine prevede una dieta a ridotto contenuto di proteine (1,0-1,5 g/kg/die) e la somministrazione orale di L-carnitina (50-100 mg/kg/die). Proteine di sintesi deficitarie nei precursori del propionato (isoleucina, valina, metionina e treonina) possono essere usate per aumentare la quantità di proteine nella dieta (fino a 1,5-2,0 g/kg/die), con una conseguente modifica minima nella produzione di propionato. Tuttavia, una quantità eccessiva di queste proteine può causare un deficit degli amminoacidi essenziali, per evitare il quale l’apporto dietetico dovrebbe essere costituito prevalentemente da proteine naturali (50-70%). Alcuni pazienti possono richiedere una terapia alcalina cronica per correggere l’acidosi cronica. Poiché la concentrazione di ammoniaca nel sangue tende a normalizzarsi fra un attacco e l’altro, il trattamento cronico dell’iperammoniemia non è solitamente necessario. Gli stati catabolici che possono scatenare gli episodi acuti (infezioni, costipazione) devono essere trattati in maniera tempestiva e aggressiva. Per garantire al paziente una dieta equilibrata, è necessario un attento monitoraggio del pH ematico, della concentrazione degli amminoacidi, del contenuto urinario di propionato e dei suoi metaboliti, nonché dei parametri di crescita. La prognosi a lungo termine resta riservata. Attacchi acuti particolarmente gravi possono causare la morte del paziente. Uno sviluppo psicomotorio normale è possibile, sopratutto nelle forme lievi identificate tempestivamente mediante i programmi di screening neonatale, ma malgrado una terapia corretta, la maggior parte dei bambini identificati clinicamente presenta un deficit neuroevolutivo permanente, come distonia, corea e segni piramidali. Questi reperti neurologici possono costituire le sequele di un infarto metabolico insorto durante uno scompenso acuto (vedi sopra). La diagnosi prenatale è realizzabile mediante la misura dell’attività enzimatica su cellule amniotiche in coltura o campioni di villi coriali, la misura del metilnitrato nel liquido amniotico o l’identificazione del gene mutante. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva ed è identificabile mediante screening neonatale di massa. La prevalenza più elevata si riscontra in Arabia Saudita (da 1:2000 a 1:5000). Il gene per la sottounità (PCCA) è localizzato sul cromosoma 13q32, quello per la sottounità (PCCB) è mappato sul cromosoma 3q21-q22. È stato possibile identificare diverse mutazioni di entrambi i geni. Sono stati segnalati casi di gravidanze con esito positivo. ACIDEMIA METILMALONICA. L’acido metilmalonico, un isomero strutturale dell’acido succinico, è normalmente derivato dall’acido propionico nell’ambito della via catabolica di isoleucina, valina, treonina, metionina, colesterolo e acidi grassi a catena dispari. Due enzimi sono coinvolti nella conversione dell’acido D-metilmalonico ad acido succinico: la metilmalonil CoA racemasi, che forma l’L-isomero; la metilmalonil CoA mutasi, che converte l’acido L-metilmalonico in acido succinico (vedi Fig. 85-4). Quest’ultimo enzima richiede come cofattore l’adenosilcobalamina, un metabolita della vitamina B12. Un deficit di mutasi o del suo coenzima causano l’accumulo nei liquidi corporei di acido metilmalonico e dei suoi precursori. L’esistenza di un deficit di racemasi non è stata ancora confermata. Sono state identificate almeno due forme di deficit dell’apoenzima mutasi, designate mut0 (attività enzimatico non evidenziabile) e mut– (presenza di attività residua della mutasi, sebbene anomala). La maggior parte dei pazienti con acidemia metilmalonica segnalati presenta un deficit dell’apoenzima mutasi (mut0 o mut–) e non risponde alla terapia con vitamina B12. Nei restanti pazienti con acidemia metilmalonica, il difetto coinvolge la formazione di adenosilcobalamina. 23-09-2008 11:52:00 570 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Difetti del metabolismo della vitamina B12 (cobalamina). La vitamina B12 alimentare richiede un fattore intrinseco, una glicoproteina secreta dalle cellule parietali gastriche, per l’assorbimento nell’ileo terminale. Tale proteina è trasportata nel sangue da aptocorrina (TCI) e transcobalamina II (TCII). Il complesso transcobalamina II-cobalamina (TCII-Cbl) è riconosciuto da uno specifico recettore sulla membrana cellulare e penetra nella cellula mediante endocitosi. In seguito alla idrolisi nel lisosoma del complesso TCII-Cbl, la cobalamina libera è rilasciata nel citosol (vedi Fig. 85-4). Il cobalto della molecola è ridotto da tre valenze (cob[III] alamina) a due (cob[II]alamina) prima di entrare nei mitocondri, dove si verifica un’ulteriore riduzione a cob[I]alamina. Quest’ultimo composto reagisce con l’adenosina, per formare adenosil cobalamina (coenzima per la metilmalonil CoA mutasi). La cobalamina libera nel citosol subisce anche una serie di reazioni enzimatiche ancora da chiarire con precisione, che conducono alla formazione di metilcobalamina (coenzima per la metionina sintasi, vedi Fig. 85-3). Sono stati identificati almeno otto difetti diversi del metabolismo intracellulare della cobalamina, definiti cbl + una lettera dell’alfabeto da A ad H (cbl indica un difetto in un passaggio qualsiasi del metabolismo della cobalamina). I difetti cblA, cblH e cblB causano esclusivamente acidemia metilmalonica; cblB è provocato da un deficit di adenosilcobalamina trasferasi. Nei pazienti con cblC, cblD e cblF, risultano compromesse sia la sintesi di adenosilcobalamina sia quella di metilcobalamina, con conseguente omocistinuria in associazione all’acidemia metilmalonica. I difetti cblE e cblG coivolgono solo la sintesi di metilcobalamina, causando omocistinuria senza aciduria metilmalonica (ma solitamente è presente anemia megaloblastica). Le manifestazioni cliniche dei pazienti con acidemia metilmalonica dovuta a mut0, mut–, cblA, cblB e cblH sono analoghe. A prescindere dalla natura del difetto enzimatico o dall’anomalia biochimica, la presentazione clinica è estremamente variabile, dal neonato gravemente malato all’adulto asintomatico. Nelle forme più gravi, letargia, disturbi dell’allattamento, vomito, tachipnea (dovuta all’acidosi) e ipotonia si sviluppano nei primi giorni di vita e, se non trattate, possono progredire fino al coma e alla morte del paziente. I bambini che sopravvivono al primo attacco possono andare incontro a nuovi episodi metabolici acuti durante stati catabolici (come infezioni) o in seguito a una dieta a elevato contenuto proteico. Tra un attacco e l’altro, solitamente il paziente continua a manifestare ipotonia e disturbi dell’allattamento, con deficit della crescita staturo-ponderale. Nelle forme più lievi, sintomi come ipotonia, deficit della crescita staturo-ponderale e ritardo dello sviluppo possono presentarsi quando il bambino è più grande. Sono stati segnalati anche casi di individui asintomatici con le anomalie biochimiche tipiche dell’acidemia metilmalonica. È importante sottolineare che il QI e lo sviluppo mentale dei pazienti con acidemia metilmalonica possono rientrare nel range normale, malgrado ripetuti attacchi acuti, a prescindere dal tipo di deficit enzimatico. In uno studio su pazienti con differenti forme della malattia, il ritardo mentale era riscontrato solo nel 47% di essi. Una ragazza adolescente con deficit mut– aveva un QI di 129. La natura episodica del disturbo e le sue caratteristiche anomalie biochimiche possono essere confuse con i sintomi dell’ingestione di etilenglicole. I reperti di laboratorio includono chetosi, acidosi, anemia, neutropenia, trombocitopenia, iperglicinemia, iperammoniemia e la presenza di elevate quantità di acido metilmalonico nei liquidi corporei (vedi Fig. 85-6). L’acido propionico e i suoi metaboliti 3-idrossipropionato e metilitcrato sono riscontrati nelle urine. L’iperammoniemia può suggerire la presenza di un difetto genetico negli enzimi del ciclo dell’urea, ma i pazienti con tali difetti non presentano acidosi (vedi Fig. 84-1). La ragione dell’iperammoniemia non è stata ancora del tutto compresa. La diagnosi può essere confermata misurando l’incorporazione di propionato o l’attività della mutasi, eseguendo test di complementazione su colture di fibroblasti o identificando il gene mutante. 84-92ANA.indd 570 Il trattamento degli attacchi acuti è analogo a quello attuato nei pazienti con acidemia propionica (vedi sopra), ma invece della biotina viene somministrata un’elevata dose di vitamina B12 (1 mg/die). Il trattamento a lungo termine prevede una dieta a basso contenuto calorico (1,0-1,5 mg/kg/die), la somministrazione orale di L-carnitina (50-100 mg/kg/die) e vitamina B12 (la dose iniziale di 1 mg/die può essere ridotta sulla base della risposta clinica). La composizione proteica della dieta è simile a quella prescritta a pazienti con acidemia propionica. Una terapia alcalinizzante cronica è solitamente necessaria per correggere l’acidosi cronica, in particolare durante la prima infanzia. I livelli ematici di ammoniaca di solito si normalizzano tra un attacco e l’altro, per cui il trattamento cronico dell’iperammoniemia è richiesto solo in rari casi. La costipazione o le situazioni di stress (come le infezioni) che rischiano di scatenare un attacco acuto devono essere prevenute o trattate tempestivamente. Una complicanza frequente e preoccupante della gestione a lungo termine di questi pazienti consiste in un’inadeguata alimentazione orale, conseguenza dello scarso appetito. L’alimentazione enterale (mediante sonda nasogastrica o gastrotomia) dovrebbe essere presa in considerazione nella fase iniziale del trattamento. Per garantire una dieta equilibrata, è necessario un attento monitoraggio del pH, dei livelli degli amminoacidi, delle concentrazioni ematiche e urinarie di metilmalonato e dei parametri di crescita. Il deficit di glutatione, responsabile di elevati livelli di ascorbato, è stato descritto in un paziente. Il trapianto di fegato (e di fegato e reni combinato) è stato tentato con successo variabile. La prognosi dipende dalla gravità dei sintomi e dall’insorgenza di complicanze (vedi oltre). In generale, i pazienti con deficit dell’apoenzima mutasi (mut0, mut–) hanno una prognosi meno favorevole; il difetto cblA ha un esito migliore rispetto al cblB. Nei sopravvissuti sono state notate un certo numero di complicanze. In alcuni pazienti nel corso di un attacco acuto di scompenso metabolico si sono verificati infarti cerebrali, in particolare a livello dei gangli basali (globo pallido), con conseguenti sequele extrapiramidali (tremori, distonia) e piramidali (paraplegia). La patogenesi di questa complicanza resta poco chiara. In alcuni pazienti più grandi con questo disturbo è stata riscontrata un’insufficienza renale che ha reso necessario il trapianto. Questa complicanza può essere osservata in tutte le forme genetiche del deficit e si ritiene che la sua principale causa sia la nefrite tubulointerstiziale, la cui patogenesi resta da definire. Episodi di pancreatite acuta e ricorrente sono stati osservati già in lattanti di 13 mesi. Questa complicanza è una delle principali cause di ricovero in ospedale. La prevalenza della malattia è stimata a 1/48 000. Tutti i difetti responsabili di acidemia metilmalonica sono ereditati con modalità autosomica recessiva. Lo screening neonatale di massa è realizzato mediante spettrometria di tandem massa. Il gene per la mutasi è localizzato sul braccio corto del cromosoma 6; sono state identificate almeno 160 differenti mutazioni patogenetiche del gene mut, incluso un certo numero di mutazioni specifiche per determinate etnie. Sono stati segnalati neonati con acidemia metilmalonica e grave diabete dovuto all’assenza di cellule che presentano grave isodisomia paterna uniparentale del cromosoma 6. In un certo numero di pazienti sono state identificate mutazioni del gene per cblA (MMAB, localizzato sul cromosoma 4q31-q31.2). Il gene per cblH non è stato ancora mappato. Sono state descritte diverse gravidanze con esito positivo sia per la mamma sia per il bambino. ACIDURIA METILMALONICA COMBINATA A OMOCISTINURIA (DIFETTI cblC, cblD, cblF). Sono stati segnalati circa 200 pazienti con acidemia metilmalonica e omocistinuria dovuta a difetti cblC, cblD o cblF (vedi Figg. 85-3 e 85-4). La maggior parte dei soggetti presenta il difetto cblC, 5 hanno il cblD e 9 il cblF. Il difetto cblC è attualmente suddiviso in due varianti, la prima con disfunzione della metionina sintasi e la seconda della metilmanolil CoA mutasi. 23-09-2008 11:52:00 Capitolo 85 I reperti neurologici sono più evidenti nelle forme cblC e cblD. I pazienti con cblC sviluppano nei primi mesi di vita un deficit staturo-ponderale, letargia, disturbi dell’allattamento, ritardo mentale e convulsioni. Sono stati segnalati anche difetti a esordio tardivo, con improvvisa insorgenza di demenza e mielopatia. L’anemia megaloblastica è di comune riscontro. Nei liquidi corporei si nota un aumento da lieve a moderato della concentrazione di acido metilmalonico e omocisteina. A differenza dei pazienti con omocistinuria classica, i livelli plasmatici di metionina risultano ridotti o normali. Non è presente iperammoniemia, né iperglicinemia. Nei primi due pazienti con cblF segnalati, i sintomi (disturbo dell’attattamento, ritardo di crescita e dello sviluppo, stomatite persistente) si erano manifestati nelle prime 3 settimane di vita. Soltanto uno dei due presentava anemia megaloblastica e omocistinuria, mentre in entrambi si riscontrava una moderata acidemia metilmalonica. Uno dei pazienti, diagnosticato a 10 anni di età, presentava sintomi suggestivi dell’artrite reumatoide, un’anomala pigmentazione cutanea ed encefalopatia. Nei pazienti con difetto cblF è stato notato un malassorbimento di vitamina B12. L’esperienza nel trattamento di pazienti con i difetti cblC, cblD e cblF è ancora piuttosto limitata. Elevate dosi di idrossicobalamina (1-2 mg/die), in associazione a betaina (6-9 g/die), sembrano produrre un miglioramento biochimico, ma l’effetto clinico è minimo. Le complicanze più gravi nei pazienti con difetto cblC consistono in anemia emolitica inspiegabile, idrocefalo e insufficienza cardiaca congestiva. Il gene per cblC è localizzato sul cromosoma 1. I pazienti con difetto cblE e cblG non presentano acidemia metilmalonica (vedi Capitolo 85.3). ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 571 85.7 • GLICINA • Iraj Rezvani La glicina è un amminoacido non essenziale, sintetizzato prevalentemente dalla serina e dalla treonina. La principale via catabolica richiede il sistema di scissione della glicina, per scindere il primo carbonio di glicina e convertirlo in diossido di carbonio (Fig. 85-8). La proteina di scissione della glicina, un multienzima mitocondriale, è composta da quattro proteine, codificate da differenti geni: la proteina P, la proteina H, la proteina T e la proteina L. IPERGLICINEMIA. Elevati livelli di glicina nei liquidi corporei si riscontrano nell’acidemia propionica e nell’acidemia metilmalonica, collettivamente definite iperglicinemia chetotica perché caratterizzate dall’insorgenza di episodi di grave acidosi e chetosi. La patogenesi dell’iperglicinemia in questi disturbi non è ancora del tutto chiara, ma in alcuni pazienti è stata dimostrata l’inibizione dell’enzima di scissione della glicina da parte di vari acidi organici. L’espressione iperglicinemia non chetotica è riservata ai disturbi clinici causati dal deficit genetico del sistema di scissione della glicina (vedi Fig. 85-8). In questi casi si ha l’iperglicinemia in assenza di chetosi. IPERGLICINEMIA NON CHETOTICA. Sono state identificate quattro forme di questa malattia, definite neonatale, infantile, a esordio tardivo e transitoria. Iperglicinemia neonatale. È la forma più comune di iperglicemia non chetotica (NKH, NonKetotic Hyperglycinemia). Le manifestazioni cliniche compaiono nei primi giorni di vita (tra 6 ore e 8 Colina CH3FH4 CO2 NH3 HOCH2FH4 1 Betaina Trimetilamina FH4 Sarcosina 8 Glicina FH4 Trimetilamina-N-ossido inemia s Sarco Prolina Pir uv Serina Trimetilaminuria 5 NKH* ato Os sa Piruvato Alanina lur ia 2 tip nin oI a Acido gliossilico I Acido glicolico 3 Ala ipo I ria t alu Oss Etilene glicol 7 6 6 Acido L-glicerico Idrossipiruvato Acido ossalico Vitamina C 3 Fruttosio Acido D-glicerico Acidemia D-glicerica Glucosio 4 Acido 2-fosfo D-glicerico Piruvato Figura 85-8. Vie metaboliche di glicina e acido glossilico. Enzimi: (1) enzima di scissione della glicina; (2) alanina:gliossilato aminotrasferasi, (3) acido D-glicerico deidrogenasi, (4) glicerato chinasi, (5) trimetilamina ossidasi, (6) lattato deidrogenasi, (7) glicolato ossidasi, (8) sarcosina deidrogenasi. FH4, tetraidrofolato; NkH*, iperglicinemia non chetotica. 84-92ANA.indd 571 23-09-2008 11:52:00 572 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche giorni dopo la nascita). Sintomi come disturbi dell’allattamento, letargia e grave ipotonia possono progredire rapidamente in coma profondo e apnea, causando il decesso del paziente. Le convulsioni, in particolare miocloniche e singhiozzo, sono comuni. I reperti di laboratorio rivelano iperglicemia da moderata a grave (fino a otto volte superiore alla norma) e iperglicinuria. L’inequivocabile aumento della concentrazione di glicina nel liquor (da 10 a 30 volte superiore alla norma) e l’elevato rapporto tra concentrazione della glicina nel liquor e nel plasma (0,08) sono i reperti diagnostici della NKH. Il pH sierico è normale, mentre i livelli plasmatici della serina sono solitamente ridotti. Malgrado la terapia, il 30% circa dei bambini colpiti non sopravvive alla malattia. Chi invece sopravvive sviluppa un profondo ritardo psicomotorio e disturbi convulsivi intrattabili (convulsioni miocloniche e/o grande male). In qualche caso, è stato riscontrato idrocefalo (che ha richiesto l’impianto di una derivazione) e ipertensione polmonare. NKH infantile. Alcuni neonati precedentemente sani sviluppano segni e sintomi della NKH neonatale (vedi sopra) dopo i sei mesi di età. Le convulsioni costituiscono il segno di presentazione più comune. Questo disturbo è più lieve del precedente; nella maggior parte dei casi i bambini sopravvivono e il ritardo mentale è meno grave. I reperti di laboratorio sono identici a quelli della forma neonatale. NKH a esordio tardivo, forma episodica lieve. Le principali manifestazioni cliniche sono diplegia spastica progressiva, atrofia ottica e movimenti coreoatetosici. L’età di esordio è compresa fra i 2 e i 33 anni. In alcuni pazienti, sintomi di delirium, corea e paralisi verticale dello sguardo possono verificarsi occasionalmente, in seguito a una infezione intercorrente. Lo sviluppo mentale è normale, ma sono stati segnalati casi di lieve ritardo. Soltanto un paziente presentava convulsioni. I reperti di laboratorio sono simili a quelli della forma neonatale, ma meno pronunciati. NKH transitoria. Le manifestazioni cliniche e di laboratorio di questa forma sono indistinguibili da quelle neonatali. Tuttavia, tra le 2 e le 8 settimane di vita i livelli di glicina nel plasma e nel liquido cerebrospinale tendono a normalizzarsi, consentendo una guarigione clinica completa. Nella maggior parte dei pazienti lo sviluppo procede normalmente, senza sequele neurologiche, ma in alcuni casi è stato notato ritardo mentale. L’eziologia del disturbo non è nota, ma è ipotizzabile che dipenda da un’immaturità del sistema enzimatico. La diagnosi differenziale delle NKH è con l’iperglicinemia chetotica, l’aciduria D-glicerica (vedi oltre) e l’ingestione di acido valproico. Quest’ultimo composto causa un moderato aumento della concentrazione ematica e urinaria di glicina. Ripetuti esami dopo la sospensione del farmaco consentono di formulare la diagnosi. La diagnosi è stabilita sulla base dei test enzimatici su campioni epatici e cerebrali, oppure mediante identificazione della mutazione. L’attività enzimatica nella forma neonatale è quasi nulla, mentre nelle altre forme è presente una certa attività residua. Nella maggior parte dei pazienti con la forma neonatale il difetto enzimatico è localizzato nella proteina P; negli altri casi colpisce la proteina T. Il test enzimatico su tre pazienti con le forme a esordio infantile e tardivo ha rivelato due difetti della proteina T e uno della H. Non è disponibile alcun trattamento efficace. L’exanguinotrasfusione, la restrizione dietetica della glicina e la somministrazione di benzoato di sodio o folato non hanno alterato l’esito neurologico. Farmaci che contrastano l’effetto della glicina sulle cellule neuronali, come la stricnina, il diazepam e il destrometorfano, si sono dimostrati benefici solo nei pazienti con le forme più lievi. La NKH è ereditata con modalità autosomica recessiva. La prevalenza non è nota, ma un’elevata frequenza del disturbo è stata notata in Finlandia settentrionale (1/12 000). Il gene per la proteina P è localizzato sul cromosoma 9p22, quello per la proteina H sul cromosoma 16p24 e quello per la proteina T sul cromosoma 3p21-p21.1. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche. La diagnosi prenatale è realizzata mediante la misura dell’attività enzimatica su biopsia dei villi coriali o identificazione del gene mutante. 84-92ANA.indd 572 SARCOSINEMIA. Questo difetto metabolico, privo di un quadro clinico coerente, è caratterizzato dall’aumento della concentrazione di sarcosina (N-metilglicina) sia nel sangue sia nelle urine. È provocato da un errore congenito del metabolismo a trasmissione autosomica recessiva che coinvolge la sarcosina diedrogenasi (enzima che converte la sarcosina in glicina, vedi Fig. 85-8). Il gene per questo enzima è localizzato sul cromosoma 9q33-q34. ACIDURIA D-GLICERICA. L’acido d-glicerico è un metabolita intermedio del metabolismo di serina e fruttosio (vedi Fig. 85-8). Sono state identificate almeno due forme di questa rara malattia. Nella prima, le manifestazioni cliniche di grave encefalopatia (ipotonia, convulsioni, deficit motori e mentali) e i reperti di laboratorio (iperglicinemia e iperglicinuria) suggeriscono una iperglicinemia non chetotica. Si riscontra l’escrezione di grandi quantità di acido d-glicerico (composto normalmente non rilevabile nelle urine). Studi enzimatici hanno segnalato il deficit di glicerato chinasi in un paziente e la riduzione dell’attività della deidrogenasi d-glicerica in un altro. Nella seconda forma, i reperti principali consistono in acidosi metabolica persistente e ritardo dello sviluppo. Grandi quantità di acido d-glicerico sono escrete nelle urine, in assenza di iperglicinemia. Il difetto enzimatico di questi pazienti non è noto. Non è disponibile alcuna terapia efficace. La restrizione del fruttosio ha consentito di limitare le convulsioni in un paziente. TRIMETILAMINURIA. La trimetilina è normalmente prodotta nell’intestino, in seguito a scissione della colina alimentare e dell’ossido di trimetilamina da parte dei batteri. Uova e pesce costituiscono la principale fonte di colina e il pesce è particolarmente ricco anche di ossido di trimetilamina. La trimetilina è assorbita e ossidata nel fegato da trimetilamina ossidasi (monoossigenasi contenente flavina) a trimetilamina ossidasi, un composto privo di odore escreto nelle urine (vedi Fig. 85-8). Il deficit di questo enzima determina una escrezione massiva di trimetilamina nelle urine. Sono stati segnalati diversi pazienti con trimetilaminuria asintomatica. L’odore emanato da essi, che somiglia a quello di pesce marcio, può avere significative ripercussioni psicosociali. Una dieta priva di pesce, uova, fegato e degli altri alimenti ricchi di colina (come noci e cereali) riduce significativamente l’odore. Il gene per la trimetilamina ossidasi è localizzato sul cromosoma 1q23-q25. IPEROSSALURIA E OSSALOSI. Normalmente l’acido ossalico deriva prevalentemente dall’ossidazione dell’acido gliossilico e, in grado minore, dall’ossidazione dell’acido ascorbico (vedi Fig. 85-8). L’acido gliossilico, a sua volta, è formato dall’ossidazione dell’acido glicolico nei preossisomi. La fonte dell’acido glicolico non è stata ancora identificata. Alimenti come spinaci e rabarbaro costituiscono la principale fonte esogena di questo composto. L’acido ossalico non può essere ulteriormente metabolizzato ed è escreto nelle urine come ossalati. L’ossalato di calcio è relativamente insolubile in acqua e, se la sua concentrazione nel corpo aumenta, precipita nei tessuti (reni e articolazioni). L’iperossaluria secondaria è stata osservata in caso di deficit di piridossina (cofattore della alanina-gliossilato aminotrasferasi, vedi Fig. 85-8) in seguito a ingestione di etilenglicole o di dosi elevate di vitamina C, dopo somministrazione dell’agente anestetico metossiflurano (che ossida direttamente ad acido ossalico) e in pazienti con malattie infiammatorie intestinali o estesa resezione dell’intestino (iperossaluria enterica). L’ingestione di piante con un elevato contenuto di acido ossalico, come l’acetosa, può provocare una iperossaluria fatale. La precipitazione di ossalato di calcio nei tessuti causa ipocalcemia, necrosi epatica, insufficienza renale, aritmia cardiaca e anche il decesso. La dose letale di acido ossalico è stimata tra 5 e 30 g. L’iperossaluria primaria è una rara malattia genetica caratterizzata dall’accumulo nel corpo di grandi quantità di ossalati. Ne sono state identificate due forme. Il termine ossalosi si riferisce alla deposizione di ossalato di calcio nei parenchimi. 23-09-2008 11:52:00 Capitolo 85 Iperossaluria primaria di tipo I. Questa rara malattia costituisce la forma più comune di iperossaluria, causata da un deficit dell’enzima perossisomale alanina-gliossilato aminotrasferasi, espresso soltanto nei perossisomi epatici e che richiede piridossina (vitamina B6) come cofattore. In assenza di questo enzima, l’acido gliossilico non può essere convertito in glicina ed è trasferito nel citosol, dove è ossidato ad acido ossalico nei perossisomi (vedi Fig. 85-8). L’età di presentazione è estremamente variabile. La maggior parte dei pazienti diviene sintomatica prima dei 5 anni, ma nel 10% dei casi i sintomi si sviluppano fino entro il primo anno (ossaluria neonatale). Le manifestazioni cliniche iniziali sono collegate alla presenza di calcoli renali o nefrocalcinosi. Le coliche renali e l’ematuria asintomatica causano un graduale deterioramento della funzione renale, che si manifesta con ritardo di crescita e uremia. Se la malattia non è trattata, solitamente il decesso sopraggiunge entro i 20 anni in seguito a insufficienza renale. L’artrite acuta è una manifestazione rara, facilmente scambiata per gotta a causa dell’elevazione dell’acido urico (frequente nei pazienti con iperossaluria di tipo I). Sono stati segnalati anche casi tardivi di presentazione dei sintomi in età adulta. La retinopatia cristallina e la neuropatia ottica, responsabili di perdita visiva, sono state riscontrate in alcuni pazienti. Il principale reperto di laboratorio consiste in un marcato aumento dell’escrezione urinaria di ossalato (l’ escrezione normale è di 10-50 mg/die). La presenza di cristalli di ossalato nel sedimento urinario è raramente utile sul piano diagnostico, perché questi cristalli si riscontrano spesso anche negli individui sani. L’escrezione urinaria di acido glicolico e acido glicossilico risulta aumentata. La diagnosi può essere confermata mediante un dosaggio dell’enzima su campioni epatici o l’identificazione del gene mutante. Il trattamento medico è del tutto insoddisfacente. In alcuni pazienti la somministrazione di dosi elevate di piridossina riduce l’escrezione urinaria di ossalato. In pazienti con insufficienza renale il trapianto non ha consentito di migliorare l’esito, a causa di una recidiva dell’ossalosi nel rene trapiantato. Il trapianto combinato di rene e fegato ha invece determinato una significativa riduzione di ossalato plasmatico e urinario in un certo numero di pazienti e costituisce attualmente il trattamento più efficace. La malattia è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene per questo enzima è localizzato sul cromosoma 2q36-q37. Ne sono state descritte diverse mutazioni, tra cui la più comune è l’errata localizzazione dell’enzima ai mitocondri invece che ai perossisomi. L’attività dell’enzima in vitro può raggiungere i livelli riscontrati negli eterozigoti obbligati. Tuttavia, la funzione in vivo resta deficitaria. Si stima che il 30% dei pazienti con iperossaluria di tipo I abbia questo difetto. La diagnosi prenatale prevede la misura dell’attività epatica dell’enzima nel feto, mediante biopsia con ago aspirato o analisi del DNA su campioni dei villi coriali. Iperossaluria primaria di tipo II (aciduria L-glicerica). Questa rara malattia è dovuta al deficit del complesso enzimatico D-glicerato deidrogenasi (idrossipiruvato reduttasi)/gliossilato reduttasi (vedi Fig. 85-8). Il deficit nell’attività di questo enzima determina un accumulo di due metaboliti intermedi: idrossipiruvato (chetoacido della serina) e acido glicossilico, entrambi ulteriormente metabolizzati dalla lattato deidrogenasi rispettivamente in acido L-glicerico e acido ossalico. Circa il 30% dei pazienti segnalati appartiene alla popolazione indiana di Manitoba Saulteaux-Ojibway. Sul piano clinico questi pazienti sono indistinguibili da quelli con le altre forme di iperossaluria di tipo I, anche se l’insufficienza renale è meno comune. Calcoli renali, che si presentano con coliche ed ematuria, possono svilupparsi prima dei due anni. Oltre agli elevati livelli di ossalato, l’urina contiene grandi quantità di acido L-glicerico (normalmente non presente). L’escrezione urinaria di acido glicolico e acido gliossilico non risulta accresciuta. La presenza di acido L-glicerico, senza l’aumento dei livelli degli acidi glicolico e gliossilico, consente di formulare la diagnosi differenziale con l’iperossaluria di tipo I. Il gene è mappato sul cromosoma 9cen. Non è disponibile alcuna terapia efficace. 84-92ANA.indd 573 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 573 DEFICIT DI CREATINA. La creatina è sintetizzata nel fegato, nel pancreas e nei reni a partire dall’arginina e dalla glicina (Fig. 85-9) ed è trasportata ai muscoli e al cervello, dove si riscontra una elevata attività della creatina chinasi. La fosforilazione e defosforilazione della creatina da parte di questo enzima, nonché dell’adenosina difosfato e trifosfato, fornisce l’energia necessaria per molte reazioni in questi organi. La creatina è metabolizzata non-enzimaticamente in creatinina a un ritmo costante ed è in seguito escreta nell’urina. Sono note tre condizioni genetiche in grado di determinare un deficit di creatina nei tessuti. Due sono causate da un deficit degli enzimi coinvolti nella biosintesi della creatina: l’arginina-glicina aminotrasferasi (AGAT) e la guanidinoacetato metiltrasferasi (GAMT) (vedi Fig. 85-9) ed entrambe rispondono positivamente all’assunzione di un supplemento di creatina, al contrario della terza condizione genetica, determinata da un deficit del trasportatore della creatinina (CRTR, Creatinine Transporter). Le manifestazioni cliniche dei tre difetti sono simili; possono comparire nelle prime settimane o mesi di vita e sono collegate a muscoli e cervello. Ritardo dello sviluppo, ritardo mentale, disturbi del linguaggio e convulsioni sono di comune riscontro. Nei casi più gravi di difetto GAMT possiamo osservare movimenti distonici ipercinetici. I reperti di laboratorio includono una riduzione dei livelli di creatina e creatinina nel sangue e nelle urine dei pazienti con difetti AGAT e GAMT. Una marcata elevazione del guanidinoacetato in sangue, urine e specialmente nel liquido cerebrospinale sono i reperti diagnostici dei difetti GAMT, mentre nell’AGAT si riscontrano ridotti livelli di guanidinoacetato. L’assenza di creatina e creatina fosfato (in tutti e tre i difetti) e l’aumento dei livelli di guanidinoacetato (in presenza di difetto GAMT) possono essere dimostrati mediante RMS cerebrale. La RM mostra iperintensità del segnale del globo pallido. La diagnosi di difetto AGAT o GAMT può essere confermata dalla misura dell’enzima nel fegato, su colture di fibroblasti, linfoblasti stimolati o mediante analisi del DNA del gene. La diagnosi di CRTR è confermata dall’analisi genetica o dalla fissazione della creatina da parte dei fibroblasti. Il trattamento con assunzione orale di creatina monoidrato (350 mg-2 g/kg/die) ha consentito un significativo miglioramento del tono muscolare e dello sviluppo mentale, nonché la normalizzazione dei reperti MR ed elettroencefalografici nei pazienti con difetto AGAT e GAMT. Si ritiene che il trattamento precoce possa garantire uno sviluppo normale. Non è disponibile alcuna terapia per il difetto CRTR. I difetti AGAT e GAMT sono ereditati con modalità autosomica recessiva, mentre CRTR è legato all’X. La prevalenza di questo deficit enzimatico non è nota; 4 soggetti con difetto GAMT (3 dei quali appartenenti alla stessa famiglia) sono stati identificati in uno studio condotto su 180 pazienti istituzionalizzati con grave handicap mentale. È opportuno prendere in considerazione questo deficit in presenza di un paziente con disturbi cerebrali e muscolari, perché il trattamento precoce può garantire un’ottima risposta. 85.8 • SERINA • Iraj Rezvani La serina è un amminoacido non essenziale sintetizzato da glucosio e glicina (vedi Fig. 85-9). DEFICIT DI 3-FOSFOGLICERATO DEIDROGENASI. Il deficit di questo enzima causa quello di serina e glicina nell’organismo. Le manifestazioni cliniche, sviluppate già nei primi mesi di vita, includono microcefalia, grave ritardo psicomotorio e convulsioni intrattabili. Possono essere presenti anche deficit staturo-ponderale, tetraplegia spastica, nistagmo, cataratta, ipogonadismo e anemia megaloblastica. I reperti di laboratorio includono la riduzione dei livelli plasmatici di serina e glicina nel liquido cerebrospinale. Nelle urine non si riscontra alcun acido organico anomalo. La risonanza magnetica cerebrale mostra una significativa attenuazione della materia bianca e mielinizzazione incompleta. 23-09-2008 11:52:00 574 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Glucosio 3-Fosfoglicerato Deficit di 3-fosfoglicerato deidrogenasi 1 3-Fosfopiruvato Sarcosina Glutammato Gliossilato 2-Chetoglutarato Glicina Serina Figura 85-9. Vie della sintesi di serina e creatinina. Enzimi: (1) 3-fosfoglicerato deidrogenasi, (2) guanidinoacetato metiltrasferasi (GAMT), (3) arginina:glicina aminotrasferasi (AGAT). 3-Fosfoserina Arginina 3 Ornitina Guanidinoacetato S-Adenosilmetionina 2 S-Adenosilomocisteina Deficit di creatinina Creatina Creatinina Urina La diagnosi può essere confermata mediante la misura dell’attività enzimatica in colture di fibroblasti e tramite l’analisi del DNA. Il trattamento con serina (200-600 mg/kg/die, assunzione orale), anche in associazione con glicina (200-300 mg/kg/die), consente di normalizzare i livelli di serina nel sangue e nel liquido cerebrospinale. Questo trattamento produce un significativo miglioramento di tutti i sintomi clinici, fatta eccezione per il ritardo psicomotorio; le convulsioni si attenuano dopo qualche giorno di terapia e possono risolversi completamente. La microcefalia migliora nei bambini molto piccoli. Si ritiene che il ritardo psicomotorio possa essere prevenuto iniziando il trattamento nei primi giorni di vita. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene per l’enzima 3-fosfoglicerato deidrogenasi è localizzato sul cromosoma 1q12 ed è stato identificato un certo numero di mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. La diagnosi prenatale è stata effettuata mediante analisi del DNA nelle famiglie in cui si erano già verificati dei casi. La somministrazione di serina alla madre ha consentito di correggere la microcefalia del feto, come dimostrato dalle tecniche di imaging. La risposta favorevole dei pazienti al trattamento rende particolarmente importante la formulazione tempestiva di una diagnosi in bambini con microcefalia e difetti neurologici come ritardo psicomotorio o convulsioni. 85.9 • PROLINA • Iraj Rezvani Nel collagene si riscontrano elevate concentrazioni di prolina e idrossiprolina. In condizioni normali questi due amminoacidi non sono rilevati né nelle urine, né in forma libera (eccetto che nella prima infanzia). L’escrezione di idrossiprolina “legata” (dipeptidi e tripeptidi contenenti idrossiprolina) riflette il turnover del collagene e aumenta in caso di disturbi che ne provocano l’accelerazione, come il rachitismo e l’iperparatiroidismo. IPERPROLINEMIA. Sono state descritte due forme di questo raro disturbo autosomico recessivo. L’iperprolinemia di tipo I è causata da un deficit di prolina deidrogenasi, mentre il tipo II è dovuto a un difetto dell’enzima acido ’-pirrolina-5-carbossilico 84-92ANA.indd 574 deidrogenasi (Fig. 85-10). Nessuno dei due tipi causa manifestazioni cliniche specifiche attribuibili all’iperprolinemia, mentre in entrambi si riscontrano l’aumento della concentrazione di prolina nel sangue (più pronunciato nel tipo II) e la prolinuria. Anche l’idrossiprolina e la glicina sono escrete in quantità anomale nelle urine, a causa della saturazione del meccanismo di riassorbimento tubulare determinato dalla prolinuria. La presenza nel plasma e nelle urine di acido ’-pirrolina-5-carbossilico deidrogenasi consente di formulare la diagnosi differenziale tra tipo I e II. Non è opportuno alcun trattamento dei soggetti colpiti. Il gene per la prolina deidrogenasi è mappato sul cromosoma 22q11.2. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche, alcune delle quali sono associate a un aumento del rischio di schizofrenia. La microdelezione del cromosoma 22q11.2 causa la sindrome velocardiofaciale (DiGeorge, Shpritzen). In uno studio, 8 dei 15 pazienti con questa sindrome presentavano anche iperprolinemia di tipo I. È stata suggerita l’opportunità di sottoporre i pazienti con iperprolinemia a screening (mediante analisi FISH) per la presenza di microdelezioni del cromosoma 22q11.2. Il gene per l’acido ’-pirrolina-5-carbossilico deidrogenasi è localizzato sul cromosoma 1p36. DEFICIT DI PROLIDASI. Durante la degradazione del collagene, imidopeptidi come la glicoprolina sono liberati e scissi dalla prolidasi tissutale. Questo enzima richiede manganese per funzionare correttamente. Il deficit di prolidasi, ereditato con modalità autosomica recessiva, determina un accumulo di imidopeptidasi nei liquidi corporei. L’età di comparsa di questo raro disturbo è piuttosto variabile (tra i 19 mesi e i 19 anni). Le manifestazioni cliniche includono ricorrenti ulcere cutanee dolenti, tipicamente su mani e gambe. Queste ulcere possono essere precedute, anche di diversi anni, da lesioni cutanee diverse, come eruzione eritematosa maculopapulare squamosa, porpora e telangiectasie. Le ulcere tendono a infettarsi e la loro guarigione può richiedere da 4 a 7 mesi. Nella maggior parte dei pazienti compaiono anche deficit motori e mentali da lievi a moderati e suscettibilità alle infezioni (otite media ricorrente, sinusite, infezioni respiratorie, splenomegalia). Le infezioni costituiscono la più frequente causa di mortalità. Alcuni pazienti presentano anomalie craniofacciali come ptosi, 23-09-2008 11:52:00 Capitolo 85 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi 1 Figura 85-10. Vie metaboliche della prolina. Enzimi: (1) prolina ossidasi, (2) acido ’-pirrolina-5-carbossilico deidrogenasi, (3) idrossiprolina ossidasi. N H COOH Prolinemia I ■ 575 2 Acido -pirrolina5-carbossilico Prolinemia II Acido glutammico Prolina Ornitina 3 Idrossiprolina Idrossiprolinemia proptosi oculare e suture craniche prominenti. Sono stati segnalati anche casi asintomatici. Lo sviluppo di lupus eritematoso sistemico (LES) è stato osservato nei bambini di una famiglia; i pazienti giovani con LES andrebbero sottoposti a screening per il deficit di prolidasi. Livelli elevati di imidodipeptidi nelle urine costituiscono un reperto diagnostico. Il test enzimatico può essere eseguito su eritrociti o colture di fibroblasti cutanei. La prescrizione di supplementazioni orali di prolina, acido ascorbico e manganese e l’uso topico di prolina e glicina consente un miglioramento delle ulcere, ma il trattamento non è risultato efficace in tutti i pazienti. Il gene per l’enzima prolidasi è localizzato sul cromosoma 19cen-q13.11. Sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. 85.10 • ACIDO GLUTAMMICO • Iraj Rezvani Il glutatione (-glutamilcisteinilglicina) è il prodotto principale dell’acido glutammico nell’organismo. Questo tripeptide ubiquitario è sintetizzato e degradato attraverso un complesso ciclo, chiamato ciclo del -glutamil (Fig. 85-11). Grazie al suo gruppo sulfidril (-SH) e alla sua abbondanza nella cellula, il glutatione protegge dall’ossidazione gli altri composti contenenti sulfidril (come l’enzima e il coenzima A). È inoltre coinvolto nella detossificazione dei perossidi, tra cui l’idrogeno perossido e contribuisce a mantenere in stato ridotto il contenuto cellulare. La più comune conseguenza del deficit di glutatione è l’anemia emolitica. Il glutatione partecipa anche al trasporto degli amminoacidi attraverso la membrana cellulare grazie al ciclo del -glutamil. DEFICIT DI GLUTATIONE SINTETASI. Sono state segnalate tre forme del disturbo. Nella forma grave, dovuta a un deficit generalizzato dell’enzima, si riscontra invariabilmente grave acidosi e 5-ossoprolinuria massiva. Nella forma lieve, in cui il deficit enzimatico determina un deficit di glutatione soltanto negli eritrociti, non si osserva né l’acidosi, né la 5-ossoprolinuria. È stata segnalata anche una forma moderata, nella quale l’anemia emolitica è associata a un grado variabile di acidosi e 5-ossoprolinuria. In tutte le forme i pazienti presentano anemia emolitica secondaria al deficit di glutatione. Tutte e tre sono comunque rare: in totale sono stati segnalati soltanto 65 pazienti. Deficit di glutatione sintetasi, forma grave (acidemia piroglutammica, grave 5-ossoprolinuria) e forma moderata. Le manifestazioni cliniche di questa rara malattia compaiono nei primi giorni di vita e includono acidosi metabolica, ittero e anemia emolitica da grave a moderata. L’acidosi cronica persiste dopo la guarigione. Simili episodi di acidosi potenzialmente mortale si riscontrano anche in presenza di gastroenterite e infezioni o in seguito a un intervento chirurgico. Con la crescita, il danno neurologico progressivo si manifesta con ritardo mentale, tetraparesi spastica, atassia, tremore, disartria e convulsioni. In alcuni pazienti si osserva una suscettibilità alle infezioni, probabilmente dovuta alla 84-92ANA.indd 575 Acido pirrolina-3-idrossi5-carbossilico Acido piruvico Acido glicossilico disfunzione granulocitaria. Rispetto alla forma grave, i pazienti con la forma moderata presentano un’acidosi più lieve e una 5-ossoprolinuria meno marcata; le manifestazioni neurologiche sono assenti. I reperti di laboratorio includono acidosi metabolica, anemia emolitica da lieve a moderata, 5-ossoprolinuria, elevate concentrazioni della quale si ritrovano anche nel sangue. Il contenuto di glutatione degli eritrociti è nettamente ridotto. Si ritiene che l’aumento della sintesi di 5-ossoprolina in questo disturbo sia dovuto alla conversione di -glutamilcisteina in 5-ossoprolinada parte dell’enzima -glutamil ciclotrasferasi (vedi Fig. 85-11). La produzione di -glutamilcisteina aumenta enormemente in seguito alla rimozione del normale effetto inibitorio del glutatione. Il deficit della glutatione sintetasi è stato dimostrato in una grande varietà di cellule, inclusi gli eritrociti. Il trattamento degli attacchi acuti prevede idratazione, correzione dell’acidosi (mediante infusione di bicarbonato di sodio) e misure per correggere l’anemia e l’iperbilirubinemia. La somministrazione cronica di alcali è solitamente necessaria. Si consiglia anche di prescrivere elevate dosi di vitamina C ed E. Farmaci e ossidanti noti per causare emolisi e stati catabolici stressanti dovrebbero essere evitati. La somministrazione orale di analoghi del glutatione è stata tentata con risultati variabili. La diagnosi prenatale è realizzata mediante la misurazione della 5-ossoprolina nel liquido amniotico, l’analisi enzimatica su amniociti in coltura o campioni di villi coriali oppure l’analisi del DNA del gene. È stato segnalato un caso una gravidanza di una donna con la forma moderata della malattia, con esito positivo sia per la madre sia per il bambino. Deficit di glutatione sintetasi, forma lieve. Questa forma è stata segnalata solo in un numero molto ridotto di pazienti. L’unico reperto clinico consiste in un’anemia emolitica da lieve a moderata. In alcuni casi si riscontra splenomegalia. Lo sviluppo mentale è normale e non si osservano acidosi metabolica né aumento della concentrazione di 5-ossoprolina. Questa malattia è causata da mutazioni del gene che codifica per l’enzima glutatione sintetasi, che è probabile che lo rendano instabile risparmiando la sua normale funzione catalitica. L’accelerazione del turnover enzimatico causata dalle mutazioni non ha conseguenze sui tessuti con sintesi proteica normale, fatta eccezione per gli eritrociti, nei quali l’assenza di sintesi proteica porta a un grave deficit di glutatione. Il trattamento è identico a quello prescritto per l’anemia emolitica; si consiglia inoltre di evitare farmaci e ossidanti che possono scatenare il processo emolitico. Tutte le forme della malattia sono ereditate con modalità autosomica recessiva. Il gene per questo enzima è localizzato sul cromosoma 20q11.2. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. Deficit di 5-ossoprolinasi (5-ossoprolinuria). La principale causa di una 5-ossoprolinuria grave è il deficit di glutatione sintetasi (vedi sopra), mentre una 5-ossoprolinuria moderata è stata riscontrata in un’ampia gamma di disturbi metabolici e acquisiti, come la sindrome di Stevens-Johnson, gravi ustioni, omocistinuria, difetti del ciclo dell’urea e tirosinemia di tipo I. 23-09-2008 11:52:01 576 ■ ■ PARTE X Malattie metaboliche Amminoacido all’esterno della cellula Glutatione (GSH) (-Glutamilcisteinilglicina) Deficit di glutatione sintetasi 5 Glutationemia 1 Glutamil cisteina Amminoacido -glutamil 4 2 Figura 85-11. Ciclo del -glutamil. Sono segnalati i difetti della sintesi e degradazione del glutatione. Enzimi: (1) -glutamil transpeptidasi, (2) -glutamil ciclotrasferasi, (3) 5-ossoprolinasi, (4) -glutamilcisteina trasferasi, (5) glutatione sintetasi, (6) acido glutammico decarbossilasi, (7) GABA transaminasi, (8) succinico semialdeide deidrogenasi. Amminoacido nella cellula 2 Lisina Istidina Prolina Ornitina Acido glutammico 3 Ossoprolinuria 5-ossoprolina (acido piroglutammico) 6 Dipendenza da vitamina B6 CO2 Aciduria -idrossibutirrica 7 GABA Deficit di transaminasi GABA Semialdeide acido succinico Acido succinico 8 Acido -idrossibutirrico È stato identificato solo un ridotto numero di pazienti con 5-ossoprolinuria moderata (4-10 g/die) dovuta a deficit di 5-ossoprolinasi. Finora non è emerso alcun quadro clinico specifico. In due pazienti è stato segnalato un ritardo mentale da moderato a grave. Si sono verificati anche casi asintomatici di questo difetto enzimatico, per cui non è certo che esso abbia conseguenze cliniche. Non è previsto alcun trattamento. Deficit di ␥-glutamilcisteina sintasi. Sono stati descritti pochissimi pazienti con questo deficit enzimatico, di cui la principale manifestazione clinica è costituita da una lieve anemia emolitica cronica. Gravi attacchi di emolisi si sono verificati in seguito a esposizione ai sulfonamidici. In due fratelli adulti è stata riscontrata una neuropatia periferica e una progressiva degenerazione spinocerebellare. I reperti di laboratorio dell’anemia emolitica cronica sono presenti in tutti i pazienti, così come un’aminoaciduria generalizzata, perché il ciclo -glutamil è coinvolto nel trasporto degli amminoacidi nelle cellule (vedi Fig. 85-11). Il trattamento è analogo a quello per l’anemia emolitica, oltre ad andare evitati farmaci e ossidanti in grado di scatenare il processo emolitico. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. GLUTATIONEMIA (DEFICIT DI -GLUTAMIL TRANSPEPTIDASI). Questo enzima è presente in ogni cellula con funzioni secretorie o di assorbimento e abbonda in particolare nei reni, nel pancreas, nell’intestino e nel fegato. È contenuto anche nella bile. La sua misura nel sangue è eseguita di routine per valutare la funzionalità epatica e per diagnosticare patologie delle vie biliari. 84-92ANA.indd 576 Il deficit di questo enzima causa un’elevazione della concentrazione di glutatione nei liquidi corporei, ma i livelli cellulari restano nella norma. Il numero di pazienti segnalati è molto ridotto, perciò la gamma delle manifestazioni cliniche non è stata ancora ben definita. In tre pazienti sono stati osservati gravi problemi comportamentali e ritardo mentale da lieve a moderato. Una delle due sorelle descritte con questa condizione, da adulta aveva un’intelligenza normale, mentre l’altra aveva sviluppato la sindrome di Prader-Willi. I reperti di laboratorio includono un marcato aumento delle concentrazioni urinarie di glutatione (fino a 1 g/die), -glutamilcisteina e cisteina. Contrariamente alle previsioni, nessuno dei pazienti segnalati presentava aminoaciduria generalizzata (vedi Fig. 85-11). La diagnosi può essere confermata misurando l’attività enzimatica su leucociti o colture di fibroblasti cutanei. Non è disponibile alcun trattamento efficace. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. L’enzima -glutamil transpeptidasi è una proteina complessa codificata da almeno sette geni diversi. ERRORI CONGENITI DEL METABOLISMO DELL’ACIDO ␥-AMINOBUTIRRICO. La decarbossilazione dell’acido glutammico da parte della glutammildecarbossilasi (GAD, Glutamic Acid Decarboxylase) è la principale via biosintetica per la produzione dell’acido -aminobutirrico (GABA, Gamma-AminoButyric Acid) nel cervello e negli altri organi, in particolare reni e cellule beta del pancreas. Questo enzima richiede piridossina (vitamina B6) come cofattore (vedi Fig. 85-11). Sono stati identificati due enzimi 23-09-2008 11:52:01 Capitolo 85 GAD (GAD65 e GAD67). GAD67 è il principale enzima nel cervello, mentre GAD65 prevale nelle cellule beta. Gli anticorpi contro GAD65 e GAD67 sono rispettivamente i marker principali per il diabete di tipo I e per la “sindrome dell’uomo rigido” (stiff-man syndrome). Il gene per GAD65 si trova sul cromosoma 10p11.23, mentre quello per GAD67 è sul cromosoma 2q31. Il knockout del gene per GAD67 nelle cavie causa palatoschisi e un altro studio ha evidenziato il collegamento tra le mutazioni di GAD67 e il labbro leporino negli esseri umani. Dipendenza da piridossina (vitamina B6) con convulsioni. Questo disturbo autosomico recessivo è dovuto a un deficit di GABA a livello cerebrale, presumibilmente causato da una riduzione dell’attività di GAD. La principale manifestazione clinica è costituita dalle convulsioni, che compaiono solitamente nelle prime ore di vita e che non rispondono alla tradizionale terapia anticonvulsivante. Nella maggior parte dei casi la somministrazione di dosi elevate di vitamina B6 (10-100 mg/kg) consente un rilevante miglioramento delle convulsioni e delle anomalie elettroencefalografiche. Sono state segnalate forme a esordio tardivo di questa malattia (fino ai 5 anni di età), perciò si raccomanda un trial terapeutico con vitamina B6 in tutti i bambini con convulsioni intrattabili. La dipendenza in genere permane per il resto della vita. Sono stati notati altri reperti neurologici, come un ritardo del linguaggio. Studi di laboratorio hanno rivelato un aumento del glutammato e una riduzione dei livelli di GABA nel cervello e nel liquor. La patogenesi del disturbo resta sconosciuta. L’incremento della Km dell’enzima GAD per il suo cofattore (vitamina B6) sembra una spiegazione logica, ma non sono state documentate anomalie nell’attività del GAD nel cervello. Studi sul DNA del gene per GAD65 e GAD67 non hanno rivelato alcuna mutazione. L’analisi di linkage ha consentito di mappare il disturbo sul braccio lungo del cromosoma 5q31.2, un locus completamente differente da quelli dei geni GAD. Il trattamento cronico con elevate dosi quotidiane di vitamina B risulta necessario. Deficit di GABA transaminasi. È un disturbo autosomico recessivo estremamente raro, documentato in tre bambini appartenenti a due diverse famiglie. Le manifestazioni cliniche includono grave ritardo psicomotorio, ipotonia, iperreflessia, letargia e convulsioni refrattarie. Un aumento della crescita lineare è stato segnalato nei primi due pazienti, ma non nel terzo. Nel liquor si è riscontrato un aumento delle concentrazioni di GABA e -alanina. L’esame post mortem del tessuto cerebrale ha rivelato la presenza di leucodistrofia. Il deficit della GABA transaminasi può essere dimostrato nel cervello e nei linfociti. Non è disponibile alcun trattamento efficace e anche la somministrazione di vitamina B6 è risultata inefficace. Il gene per questo enzima è localizzato sul cromosoma 16p13.3. Aciduria ␥-idrossibutirrica (deficit di succinico semialdeide deidrogenasi). Sono stati segnalati più di 150 pazienti con questo deficit enzimatico (vedi Fig. 85-11). Le manifestazioni cliniche, che solitamente compaiono nella prima infanzia, includono ritardo mentale da lieve a moderato, ritardo del linguaggio, marcata ipotonia, atassia e convulsioni. Altri reperti associati sono aprassia oculomotoria, coreoatetosi, tratti autistici e comportamento aggressivo. L’atassia può migliorare con la crescita. Studi di laboratorio hanno rivelato una marcata elevazione della concentrazione di acido -idrossibutirrico nel sangue (fino a 200 volte), nel liquido spinale (fino a 1200 volte) e nell’urina (fino a 800 volte). Non è presente acidosi. L’escrezione urinaria di acido -idrossibutirrico decresce con l’età. L’aumento delle concentrazioni di glicina può essere riscontrato anche nel plasma, nell’urina e nel liquido spinale. La diagnosi è confermata con la misura dell’attività enzimatica nei linfociti; quella prenatale è realizzata mediante la misurazione dell’acido -idrossibutirrico nel liquido amniotico, un test enzimatico sugli amniociti o una biopsia su un campione di villi coriali. Il trattamento è risultato ampiamente inefficace. In alcuni pazienti la somministrazione di vigabatrin ha consentito un certo miglioramento dell’atassia e del ritardo mentale. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. Il gene per la succi- 84-92ANA.indd 577 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 577 nico semialdeide deidrogenasi è localizzato sul cromosoma 6p22; sono state identificate diverse mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. Il ruolo dell’acido -idrossibutirrico nella patogenesi della malattia resta da chiarire, poiché la somministrazione di questo composto nell’uomo e nell’animale ha prodotto effetti opposti. Il -idrossi-butirrato è stato usato illecitamente come droga ricreazionale per i suoi effetti anestetici ed è una delle cosidette date-rape drug (vedi anche il Capitolo 113). Deficit congenito di glutammina. Questo raro disturbo è dovuto a un deficit della glutammina sintasi. La glutammina è assente nel plasma, nelle urine e nel liquido cerebrospinale, ma i livelli di glutammato restano nella norma. Le manifestazioni includono malformazioni cerebrali (anomalie delle circonvoluzioni, lesioni della materia bianca), insufficienza multiorgano (tra cui respiratoria) e decesso neonatale. È ipotizzabile che venga trasmesso con modalità autosomica; il gene è localizzato sul cromosoma 1q31. 85.11 • CICLO DELL’UREA E IPERAMMONIEMIA (ARGININA, CITRULLINA, ORNITINA) • Iraj Rezvani Il catabolismo degli amminoacidi determina la produzione di ammoniaca libera, un composto estremamente tossico per il sistema nervoso centrale. L’ammoniaca è detossificata in urea attraverso una serie di reazioni note come ciclo di Krebs-Henseleit o ciclo dell’urea (Fig. 85-12). La sintesi di urea richiede 5 enzimi: carbamil fosfato sintetasi (CPS, Carbamyl Phosphate Synthetase), ornitina transcarbamilasi (OTC), argininosuccinato sintetatsi (AS), argininosuccinato liasi (AL) e arginasi. Un terzo enzima, l’N-acetilglutammato sintetasi, è necessario per la sintesi di N-acetilglutammato, un attivatore dell’enzima CPS. Sono stati osservati deficit specifici di ciascuno di questi enzimi; con una prevalenza di 1/30 000 nati viti, costituiscono la più comune causa genetica di iperammoniemia neonatale. CAUSE GENETICHE DELL’IPERAMMONIEMIA. Oltre ai difetti genetici degli enzimi del ciclo dell’urea, si osserva anche un marcato aumento dei livelli plasmatici di ammoniaca in altri errori congeniti del metabolismo (Tab. 85-2). MANIFESTAZIONI CLINICHE DI IPERAMMONIEMIA. Nel periodo neonatale i sintomi e i segni sono collegati prevalentemente a disfunzioni cerebrali e, a prescindere dalla cause specifiche dell’iperammoniemia, risultano molto simili. Il bambino, normale alla nascita, diviene sintomatico entro qualche giorno, in seguito all’assunzione di proteine alimentari. Sintomi come il rifiuto di mangiare, il vomito, la tachipnea e la letargia progrediscono rapidamente verso un coma profondo. Nei bambini più grandi, l’iperammoniemia acuta si manifesta con vomito e anomalie neurologiche come atassia, confusione mentale, agitazione, irritabilità e aggressività. Queste manifestazioni possono alternarsi a periodi di letargia e sonnolenza, che possono progredire fino al coma. Quando il difetto è causato da deficit degli enzimi del ciclo dell’urea, gli esami di laboratorio di routine non mostrano reperti specifici. L’azotemia è solitamente bassa. Il pH sierico è normale o lievemente elevato. Nei neonati con iperammoniemia viene spesso posta diagnosi di sepsi ed essi possono morire senza una diagnosi corretta. La TC può rivelare edema cerebrale (Fig. 85-13). L’autopsia di solito non rivela segni specifici. È fondamentale misurare l’ammoniemia in tutti i lattanti malati con manifestazioni cliniche non attribuibili chiaramente a infezioni. DIAGNOSI. Il criterio principale per la diagnosi è l’iperammoniemia. La concentrazione plasmatica di ammoniaca è solitamente 200 mol/L (i valori normali sono 35 mol/L). La Figura 85-14 illustra l’approccio clinico nel caso di un neonato con iperammoniemia. I pazienti con deficit di CPS o OTC non presentano anomalie specifiche degli amminoacidi plasmatici, fatta eccezione per un aumento, secondario all’iperammoniemia, dei livelli 23-09-2008 11:52:01 578 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Benzoato Glicina Benzoil CoA Glutammato Ammoniaca CO2 ATP Deficit NAG sintetasi Deficit CPS Acido N-acetil-glutammico (NAG) 1 7 Ippurato Urina Glutammina Fenilacetato Urina Fenilacetil glutammina Urina Carbamil fosfato Prolina Acetil CoA Acido Acido glutammico glutammico -semialdeide Atrofia girata 6 Deficit OTC Ornitina 2 Citrullina Membrana mitocondriale CO2 Sindrome HHH* Putrescina Citrullina Urea Ornitina Acido aspartico Citosol 5 Argininemia 3 Arginina Acido fumarico Citrullinemia 4 Acido argininosuccinico Aciduria argininosuccinica Figura 85-12. Ciclo dell’urea: via per l’eliminazione dell’ammoniaca e per il metabolismo dell’ornitina. Le reazioni che si realizzano nei mitocondri sono rappresentate in blu. Le frecce interrotte indicano le vie metaboliche alternative per l’eliminazione dell’ammoniaca. Enzimi: (1) carbamil fosfato sintetasi (CPS), (2) ornitina transcarbamilasi (OTC), (3) acido argininosuccinico sintetasi (AS), (4) acido argininosuccinico liasi, (5) arginasi, (6) ornitina 5-aminotrasferasi, (7) N-acetilglutammato (NAG) sintetasi.* Sindrome HHH, iperammoniemia-iperornitinemia-omocitrullinemia (Hyperammonemia-Hyperornithinemia-Homocitrullinemia). TABELLA 85-2. Errori congeniti del metabolismo che causano iperammoniemia Deficit degli enzimi del ciclo dell’urea Carbamil fosfato sintetasi (CPS) Ornitina transcarbamilasi (OTC) Argininosuccinato sintetasi (AS) Argininosuccinato liasi (AL) Arginasi N-Acetilglutammato sintetasi Acidemie organiche Acidemia propionica Acidemia metilmalonica Acidemia isovalerica Deficit di -chetotiolasi Deficit multiplo di carbossilasi Deficit di acil CoA deidrogenasi degli acidi grassi a catena media Acidemia glutarica di tipo II Aciduria 3-idrossi-3-metilglutarica Intolleranza lisinurica alle proteine Sindrome di iperammoniemia-iperornitinemia-omocitrullinemia Iperammoniemia transitoria neonatale Iperinsulinismo congenito con iperammoniemia 84-92ANA.indd 578 di glutammina, acido aspartico e alanina. Un marcato aumento dei livelli di acido orotico nelle urine consente di formulare la diagnosi differenziale tra deficit OTC e CPS. Nei pazienti con deficit di AS, AL o arginasi si riscontra un significativo aumento dei livelli plasmatici di citrullina, acido argininosuccinico o arginina. La distinzione fra deficit CPS e deficit di N-acetilglutammato (NAG) sintetasi può richiedere un dosaggio dei rispettivi enzimi, sebbene il miglioramento clinico in seguito all’assunzione orale di carbamilglutammato suggerisca la presenza di un deficit di NAG sintetasi. TRATTAMENTO DELL’IPERAMMONIEMIA ACUTA. L’iperammoniemia acuta deve essere trattata in maniera tempestiva e aggressiva. L’obiettivo della terapia è di rimuovere l’ammoniaca dal corpo, garantendo allo stesso tempo un apporto calorico e di amminoacidi essenziali che interrompa la degradazione delle proteine endogene (Tab. 85-3). Si consiglia la somministrazione endovenosa di una corretta quantità di calorie, liquidi ed elettroliti. I lipidi endovena (1 g/kg/die) costituiscono una efficace fonte di calorie. Una dose minima di proteine (0,25 g/kg/die), preferibilmente in forma di amminoacidi essenziali, andrebbe aggiunta ai liquidi endovena per prevenire gli stati catabolici. L’alimentazione orale con latte a ridotto contenuto proteico (0,5-1,0 g/kg/die) attraverso una sonda nasogastrica andrebbe avviata non appena il miglioramento delle condizioni cliniche lo consente. 23-09-2008 11:52:01 Capitolo 85 ■ ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi 579 B A Figura 85-13. Tomografia computerizzata in un paziente con encefalopatia iperammonemica, dovuta a deficit di ornitina transcarbamilasi. A, Immagine realizzata subito dopo il ricovero in ospedale. B, L’immagine realizzata 24 ore dopo il ricovero mostra la presenza di edema emisferico bilaterale, con cancellazione degli spazi del liquido cerebrospinale (Da Brusiloe SW: Hyperammonemic encephalopathy, Medicine, 2002; 81:240.) Eseguire emogasanalisi Acidosi Assenza di acidosi Dosaggio degli acidi organici Dosaggio degli amminoacidi plasmatici Assenza di aumento di specifici amminoacidi Aumento di uno specifico amminoacido Dosaggio dell’acido orotico nelle urine Elevato Normale o ridotto Dosaggio della citrullina plasmatica Acidemie organiche Citrullinemia Argininemia Acidemia argininosuccinica Sindrome HHH Deficit di OTC Ridotta Normale o elevata Deficit di CPS o NAG sintetasi Iperammoniemia transitoria del neonato Figura 85-14. Approccio clinico in presenza di un neonato con iperammoniemia sintomatica. CPS, carbamil fosfato sintetasi; sindrome HHH, iperammoniemiaiperornitinemia-omocitrullinemia; NAG, N-acetilglutammato; OTC, ornitina transcarbamilasi. 84-92ANA.indd 579 23-09-2008 11:52:01 580 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche TABELLA 85-3. Trattamento dell’iperammoniemia acuta nel lattante 1. Garantire, per via endovenosa, un adeguato apporto di calorie, liquidi ed elettroliti (10% di glucosio e 1 g/kg/die di lipidi). Aggiungere una quantità minima di proteine, preferibilmente un composto di amminoacidi essenziali (0,25 g/kg/die) durante le prime 24 ore di terapia. 2. Fornire dosi di attacco dei seguenti composti (da aggiungere a 20 mL/kg di una soluzione al 10% di glucosio, infusa in 1-2 ore): sodio benzoato, 200 mg/kg (5,5 g/nm2)* sodio fenilacetato, 250 mg/kg (5,5 g/nm2)* arginina idrocloride, 200-600 mg/kg (4,0-12,0 g/nm2) in soluzione al 10% 3. Proseguire l’infusione di sodio benzoato* (250-500 mg/kg/die), sodio fenilacetato (250-500 mg/kg/die) e arginina (200-600 mg/kg/die)**. Questi composti andrebbero aggiunti alla dose quotidiana di liquidi endovena. 4. Se il trattamento non riesce a determinare un’apprezzabile riduzione dell’ammoniaca, avviare la dialisi peritoneale o l’emodialisi. *Questi composti sono solitamente preparati per l’uso endovenoso in soluzioni all’1-2%. Il sodio contenuto in questi farmaci andrebbe calcolato nell’apporto quotidiano. **La dose più elevata è consigliata nel trattamento di pazienti con citrullinemia e aciduria argininosuccinica. L’arginina non è indicata nei pazienti con deficit di arginasi e in quelli con iperammoniemia secondaria ad acidemia organica. A causa della scarsa clearance renale dell’ammoniaca, la sua rimozione dal corpo deve essere accelerata mediante la formazione di composti a elevata clearance. Il benzoato di sodio forma acido ippurico con la glicina endogena (vedi Fig. 85.12). Ciascuna mole di benzoato rimuove 1 mole di ammoniaca in forma di glicina. Il fenilacetato si coniuga con la glutammina per formare fenilacetilglutammina, facilmente escreta nelle urine. Una mole di fenilacetato rimuove dal corpo 2 moli di ammoniaca in forma di glutammina (vedi Fig. 85-12). La somministrazione di arginina è efficace nel trattamento dell’iperammoniemia dovuta a deficit del ciclo dell’urea (eccetto in pazienti con deficit di arginina), perché fornisce al ciclo ornitidina e NAG (vedi Fig. 85-12). Nei pazienti con citrullinemia, 1 mole di arginina reagisce con 1 mole di ammoniaca (in forma di carbamil fosfato) per formare citrullina. Nei pazienti con acidemia argininosuccinica, 2 moli di ammoniaca (in orma di carbamil fosfato e aspartato) reagiscono con l’arginina per formare acido argininosuccinico. Citrullina e acido argininosuccinico sono molto meno tossici dell’ammoniaca e più facilmente eliminabili dai reni. Nei pazienti con deficit CPS o OTC è indicata la somministrazione di arginina, perché in queste malattie diviene un amminoacido essenziale. I pazienti con deficit OTC traggono beneficio dall’assunzione di citrullina (200 mg/kg/die), in quanto una sua mole può accettarne 1 di ammoniaca (come acido aspartico) per formare arginina. La somministrazione di arginina o citrullina è controindicata in pazienti con deficit di arginasi, una rara malattia il cui sintomo di presentazione è talvolta costituito dall’iperammoniemia acuta. Nei pazienti con iperammoniemia secondaria ad acidemie organiche, il trattamento con arginina non è indicato, perché non consente di ottenere alcun effetto benefico. In un neonato al primo attacco di iperammoniemia l’arginina andrebbe somministrata fino alla formulazione della diagnosi. Benzoato, fenilacetato e arginina possono essere prescritti in associazione per massimizzare l’effetto terapeutico. Una dose di attacco di questi composti è seguita dall’infusione continua, fino alla risoluzione dello stato acuto (vedi Tab. 85-3). Benzoato e fenilacetato sono generalmente disponibili in forma di soluzioni concentrate e devono essere opportunamente diluiti (soluzione all’1-2%) per l’uso endovenoso. Le dosi terapeutiche raccomandate per entrambi i composti rilasciano una rilevante quantità di sodio, che dovrebbe essere considerata nell’apporto quotidiano. Negli Stati Uniti è disponibile per l’uso endovenoso un preparato commerciale di sodio benzoato e sodio fenilacetato. Benzoato e fenilacetato andrebbero impiegati con cautela nei neonati con iperbilirubinemia, perché possono causare una dislocazione della bilirubina dall’albumina (vedi Capitolo 102.4). Nei neonati a rischio, prima di procedere alla somministrazione di benzoato e fenilacetato è consigliabile ridurre la bilirubina a un livello sicuro. Se le terapie illustrate falliscono l’obiettivo di ridurre entro qualche ora i livelli plasmatici di ammoniaca, è opportuno ricorrere a emodialisi o dialisi peritoneale. L’exanguinotrasfusione non con- 84-92ANA.indd 580 sente una riduzione significativa dell’ammoniaca nel corpo e va utilizzata soltanto se non è possibile ricorrere tempestivamente alla dialisi o se il neonato presenta iperbilirubinemia (vedi sopra). L’emodialisi, pure rappresentando il sistema più efficace per la riduzione dell’ammonica, è una procedura tecnicamente complessa, difficile da eseguire e non sempre disponibile. La dialisi peritoneale è il metodo più rapido e pratico per il trattamento dei pazienti con grave iperammoniemia; entro qualche ora si riscontra solitamente una netta riduzione del livello plasmatico di ammoniaca e, nella maggior parte dei pazienti, il livello si normalizza completamente entro 48 ore. Nei pazienti con iperammoniemia dovuta ad acidemia organica, la dialisi peritoneale rimuove efficacemente dal corpo sia gli acidi organici nocivi sia l’ammoniaca. Per limitare la possibile produzione di ammoniaca da parte dei batteri intestinali, la somministrazione orale di neomicina e lattulosio attraverso una sonda nasogastrica andrebbe avviata tempestivamente. Può riscontrarsi un intervallo considerevole tra la normalizzazione dell’ammoniaca e il miglioramento delle condizioni neurologiche del paziente. Prima che il neonato recuperi completamente lo stato di allerta sono talvolta necessari diversi giorni. Terapia a lungo termine. Una volta recuperata l’allerta, la terapia dovrebbe essere mirata alle cause dell’iperammoniemia. In generale, tutti i pazienti richiedono un certo grado di restrizione proteica nella dieta (1-2 g/kg/die), a prescindere dal difetto enzimatico. Nei pazienti con difetti del ciclo dell’urea, il mantenimento dei livelli ematici di ammoniaca nel range normale richiede l’assunzione cronica di benzoato (250-500 mg/kg/die), fenilacetato (250-500 mg/kg/die) e arginina (200-400 mg/kg/die) o citrullina (in presenza di deficit OTC, 200-400 mg/kg/die). Il fenilbutirrato può essere sostituito al fenilacetato, se il paziente o i suoi familiari fanno fatica a tollerare il suo cattivo odore. Negli Stati Uniti è disponibile per l’uso orale un preparato commerciale del composto. La supplementazione di carnitina è raccomandata, poiché il benzoato e il fenilacetato possono causarne la deplezione, anche se i benefici clinici di questo composto restano da dimostrare. Lesioni cutanee simili ad acrodermatite entropatica sono state notate in alcuni pazienti con differenti tipi di difetti del ciclo dell’urea, presumibilmente dovuti a deficit di amminoacidi essenziali, in particolare arginina, causati da un’eccessiva riduzione dell’apporto di proteine. Gli stati catabolici scatenati dall’iperammoniemia andrebbero evitati. In pazienti con deficit CPS, PTC e AS, gli attacchi acuti di iperammoniemia possono essere provocati dalla somministrazione di valporato. DEFICIT DI CARBAMIL FOSFATO SINTETASI (CPS) E N-ACETILGLUTAMMATO (NAG) SINTETASI (VEDI FIG. 85-12). Il deficit di questi due enzimi produce manifestazioni cliniche e biochimiche analoghe. La gravità dei sintomi e l’età di presentazione sono estremamente variabili, sebbene nella maggior parte dei casi il bambino divenga sintomatico nei primi giorni di vita, con segni e sintomi di iperammoniemia (rifiuto di mangiare, vomito, letargia, convulsioni e coma). Le forme tardive (fino ai 32 anni di età) possono manifestarsi con attacchi acuti di iperammoniemia in un individuo apparentemente normale. Questi episodi possono condurre al coma e al decesso (è stato segnalato il caso di una paziente di 26 anni, precedentemente asintomatica, deceduta a causa dell’iperammoniemia durante il parto). Sono state osservate anche forme intermedie con ritardo mentale, iperammoniemia subclinica cronica e attacchi episodici di iperammoniemia acuta. I reperti di laboratorio includono iperammoniemia in assenza di aumento delle concentrazioni plasmatiche di specifici amminoacidi; il marcato innalzamento dei livelli plasmatici di glutammina e alanina osservato in questi pazienti è secondario all’iperammoniemia. L’acido orotico è normalmente assente o molto ridotto nelle urine (vedi Fig. 85-14). Il trattamento degli attacchi acuti di iperammoniemia e la terapia a lungo termine sono stati già descritti in precedenza (vedi Tab. 85-3). I pazienti con deficit di NAG sintetasi traggono giovamento dalla somministrazione orale di carbamilglutammato. È dunque importante porre diagnosi differenziate fra i deficit 23-09-2008 11:52:02 Capitolo 85 di CPS e NAG sintetasi, mediante la misurazione dell’attività enzimatica su biopsie epatiche. Il deficit di NAG sintetasi è raro in Nord America. Il deficit di CPS è ereditato con modalità autosomica recessiva; l’enzima è normalmente presente nel fegato e nell’intestino. Il gene è mappato sul cromosoma 2q35. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. La prevalenza del disturbo non è nota. DEFICIT DI ORNITINA TRANSCARBAMILASI (OTC) (VEDI FIG. 85-12). Questo disturbo legato all’X parzialmente dominante colpisce in forma più grave gli emizigoti di sesso maschile rispetto alle donne eterozigoti, che pure potendo presentare la forma più lieve, nella maggior parte dei casi (75%) sono asintomatiche. È il disturbo del ciclo dell’urea più comune. La principale manifestazione clinica nei neonati maschi è la grave iperammoniemia (vedi sopra), che compare nei primi giorni di vita. Forme più lievi del disturbo sono riscontrate comunemente nelle donne eterozigoti e in alcuni uomini e sono caratterizzate da manifestazioni episodiche che possono insorgere a qualsiasi età (di solito dopo l’infanzia). Gli episodi di iperammoniemia (con vomito e disturbi neurologici come atassia, confusione mentale, agitazione e aggressività) sono separati da periodi asintomatici. Questi episodi solitamente si verificano a causa di una dieta a elevato contenuto proteico o in seguito a uno stato catabolico (come un’infezione). Durante uno di questi attacchi può verificarsi il coma da iperammoniemia, l’edema cerebrale o il decesso del paziente (vedi Fig. 85-13). Lo sviluppo mentale può procedere normalmente, ma un ritardo da lieve a moderato è comune. Nei sopravvissuti sono stati riscontrati calcoli biliari, ma il meccanismo patogenetico resta da chiarire. Il principale reperto di laboratorio durante gli attacchi acuti è l’iperammoniemia, in assenza di elevazione di specifici amminoacidi nel sangue. L’incremento delle concentrazioni plasmatiche di glutammina e alanina è secondario all’iperammoniemia. Il marcato aumento dell’escrezione urinaria di acido orotico consente di formulare la diagnosi differenziale tra questo disturbo e il deficit di CPS (vedi Fig. 85-14). Ororati possono precipitare nell’urina come renella o calcoli. Nella forma lieve queste anomalie di laboratorio possono normalizzarsi tra un attacco e l’altro. Questa forma deve essere distinta da tutti gli altri disturbi episodici infantili. In particolare, l’intolleranza lisinurica alle proteine (vedi Capitolo 85.13) mima le caratteristiche cliniche e biochimiche del deficit di OTC. L’aumento dell’escrezione urinaria di lisina, ornitina e arginina e l’elevazione della concentrazione di citrullina nel sangue sono reperti tipici dell’intolleranza lisinurica alle proteine, mentre non compaiono nei pazienti con deficit OTC. La diagnosi può essere confermata mediante la misurazione dell’attività enzimatica, normalmente presente soltanto nel fegato, o tramite l’identificazione del gene mutante. La diagnosi prenatale è realizzata con una biopsia epatica fetale o con l’analisi del DNA su campioni di villi coriali. Un carico orale di proteine, che aumenta l’ammoniaca plasmatica e il livello di acido orotico nelle urine, può consentire l’identificazione di donne asintomatiche portatrici sane, nelle quali può essere presente una lieve disfunzione cerebrale. Anche il marcato aumento dell’orotidina nelle urine in seguito a un test da carico con allopurinolo contribuisce all’identificazione delle donne eterozigoti obbligate portatrici sane. Il trattamento degli attacchi acuti di iperammoniemia e la terapia a lungo termine sono già stati descritti in precedenza. La citrullina è usata in sostituzione dell’arginina in pazienti con deficit OTC. Il trapianto di fegato costituisce un’ottima opportunità terapeutica definitiva in pazienti ben controllati che sono riusciti a evitare crisi multiple di iperammoniemia. Il gene per l’ornitina transcarbossilasi è stato mappato sul cromosoma X (Xp21.1). Sono state identificate circa 200 mutazioni patogenetiche in pazienti diversi. In molti casi la gravità del fenotipo dipende dal grado del deficit enzimatico e dal genotipo. Le madri dei bambini colpiti sono portatrici del gene mutante. È stato segnalato il caso di una madre con due figli maschi colpiti malgrado un genotipo normale, cosicché per spiegare il riscontro è stato chiamato in causa il mosaicismo gonadico in essa. 84-92ANA.indd 581 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 581 DEFICIT DI ARGININOSUCCINATO SINTETASI (AS) (CITRULLINEMIA) (VEDI FIG. 85-12). Sono state identificate due forme di citrullinemia, clinicamente e geneticamente distinte. La forma classica (tipo 1) è dovuta a un deficit dell’enzima AS, mentre la forma adulta (tipo II) è causata dal deficit di una proteina di trasporto mitocondriale chiamata citrina. Citrullinemia di tipo I (citrullinemia classica, CTLN 1). Questo disturbo, determinato dal deficit di AS (vedi Fig. 85-12), presenta manifestazioni cliniche variabili, che dipendono dal grado del deficit. Sono state identificate due forme principali. La forma grave o neonatale, la più comune, compare nei primi giorni di vita, con i segni e i sintomi dell’iperammoniemia (vedi sopra), mentre nella forma subacuta o lieve i sintomi clinici (deficit staturo-ponderale, vomito frequente, ritardo dello sviluppo, capelli secchi e fragili) compaiono gradualmente dopo il primo anno di età. L’iperammoniemia acuta, scatenata da uno stato catabolico intercorrente, può portare alla diagnosi. I reperti di laboratorio sono simili a quelli riscontrati nei pazienti con deficit OTC, fatta eccezione per l’elevazione della concentrazione plasmatica di citrullina (50-100 volte oltre il normale) (vedi Fig. 85-14). L’escrezione urinaria di acido orotico è moderatamente aumentata; può aversi cristalluria, dovuta alla precipitazione di orotati. La diagnosi è confermata mediante un esame dell’attività enzimatica in fibroblasti in coltura o mediante analisi del DNA. La diagnosi prenatale è eseguita valutando l’attività enzimatica su colture di cellule amniotiche o un’analisi del DNA di campioni di villi coriali. Il trattamento degli attacchi acuti di iperammoniemia e la terapia a lungo termine del disturbo sono stati delineati nelle pagine precedenti. La concentrazione plasmatica di citrullina resta elevata anche tra un attacco e l’altro e può aumentare ulteriormente in seguito a somministrazione di arginina. La prognosi è sfavorevole nei neonati sintomatici, mentre i pazienti con la forma lieve possono essere trattati efficacemente con una dieta a ridotto contenuto di proteine associata alla terapia con sodio benzoato e arginina. Il ritardo mentale da lieve a moderato è una sequela comune, anche nei pazienti trattati con successo. La citrullinemia è ereditata con modalità autosomica recessiva. Il gene è localizzato sul cromosoma 9q34. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in diverse famiglie. La maggior parte dei pazienti è doppia eterozigote per due differenti alleli. La prevalenza del disturbo non è nota. Citrullinemia da deficit di citrina (citrullinemia di tipo II, CLTN 2). La citrina è una proteina di trasporto mitocondriale, codificata da un gene (SLC25A13) localizzato sul cromosoma 7q21.3. Una delle funzioni di questa proteina è il trasporto dell’aspartato dai mitocondri al citoplasma; l’aspartato è necessario per convertire la citrullina in acido argininosuccinico (vedi Fig. 85-12). Il deficit di citrina causa un’alterazione del ciclo dell’urea. L’attività AS è deficitaria nel fegato di questi pazienti, ma non sono state riscontrate mutazioni del gene per l’AS. È ipotizzabile che il deficit di citrina o il suo gene mutato interferiscano con la traslazione dell’mRNA per l’enzima AS nel fegato. La mutazione del gene per la citrina produce due differenti quadri clinici, segnalati esclusivamente in Giappone. Colestasi intraepatica neonatale (citrullinemia di tipo II, forma neonatale). Le manifestazioni cliniche e di laboratorio, che solitamente esordiscono a 3 mesi di età, includono ittero colestatico con iperbilirubinemia diretta (coniugata) da lieve a moderata, marcata ipoproteinemia, disturbi della coagulazione (aumento del tempo di protrombina e del tempo parziale di tromboplastina) e una elevazione dell’attività di -glutamiltranspeptidasi (GGTP) e di fosfatasi alcalina; le transaminasi epatiche sono di solito normali. Anche le concentrazioni plasmatiche di ammoniaca e citrullina rientrano nella norma, ma sono state segnalate moderati innalzamenti. Si può riscontrare anche un aumento della concentrazione plasmatica di metionina, tirosina, alanina e treonina. L’elevazione dei livelli sierici di galattosio è stata segnalata in alcuni casi, ma tutti gli enzimi coinvolti nel metabolismo del galattosio sono normali. La ragione dell’ipergalattosemia non è nota. È presente anche un significa- 23-09-2008 11:52:02 582 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche tivo accrescimento del livello sierico di -fetoproteina. Questi reperti suggeriscono la presenza di tirosinemia di tipo I, ma la mancanza di escrezione urinaria di succinilacetone consente di escluderla (vedi Capitolo 85.2). La biopsia epatica rivela infiltrazioni adipose, colestasi con canalicoli dilatati e una fibrosi di grado moderato. Il disturbo è solitamente auto-limitante e la maggior parte dei bambini si ristabilisce spontaneamente entro il primo anno di età con un semplice trattamento sintomatico e di supporto. L’iperammoniemia e l’ipercitrullinemia, se presenti, vanno trattate con una dieta a ridotto contenuto proteico e altre misure appropriate (vedi sopra). L’insufficienza epatica, tale da richiedere il trapianto, è stata riscontrata in alcuni rari casi. Benché il disturbo si manifesti quasi esclusivamente in Giappone, la diagnosi andrebbe presa in considerazione in presenza di epatite neonatale con colestasi. I dati sulla prognosi a lungo termine e sulla storia naturale del disturbo sono limitati. È stata segnalata la possibilità di progressione verso la forma adulta (vedi oltre) dopo diversi anni di apparente asintomaticità. Citrullinemia di tipo II, forma adulta (citrullinemia a esordio tardivo, citrullinemia di tipo II, forma lieve). Questa forma esordisce improvvisamente in un individuo precedentemente normale e si manifesta con sintomi neuropsichiatrici come disorientamento, delirio, allucinazioni, comportamento aberrante, tremori e psicosi. L’iperammoniemia e l’ipercitrullinemia sono presenti in grado moderato. L’età di esordio è solitamente compresa tra i 20 e i 40 anni (ma il range va da 11 a 79 anni). I pazienti che si ristabiliscono dopo il primo episodio tendono ad avere attacchi ricorrenti; nella maggior parte dei casi lo sviluppo di edema cerebrale causa la morte del paziente entro pochi anni dalla diagnosi. Le complicanze principali di chi sopravvive sono pancreatite, iperlipidemia ed epatoma. Il trattamento medico si è rivelato inutile nel prevenire gli attacchi. Il trapianto di fegato è attualmente la terapia più efficace. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche del gene nelle famiglie giapponesi colpite. La patogenesi della citrullinemia di tipo II (forma adulta e neonatale) resta enigmatica. Malgrado la frequenza del gene anomalo sia piuttosto elevata in Giappone (1:20 000 omozigosità), il disturbo clinico ha una frequenza di solo 1:100 000. Ciò indica che un numero significativo di individui omozigoti resta asintomatico. Sono stati documentati pochissimi casi di individui non giapponesi colpiti. DEFICIT DI ARGININOSUCCINATO LIASI (AL) (ACIDURIA ARGININOSUCCINICA) (VEDI FIG. 85-12). La gravità delle manifestazioni cliniche e biochimiche varia considerevolmente. Nella forma neonatale, segni e sintomi di grave iperammoniemia (vedi sopra) si sviluppano nei primi giorni di vita; la mortalità è solitamente elevata. I bambini che sopravvivono al primo episodio acuto seguono il decorso clinico della forma subacuta, il cui sintomo principale è il ritardo mentale, associato a deficit staturoponderale ed epatomegalia. Il riscontro di capelli fragili e secchi ha un importante valore diagnostico. In alcuni pazienti è stata segnalata la presenza di calcoli biliari. Solitamente gli attacchi acuti di grave iperammoniemia si verificano durante uno stato catabolico. I reperti di laboratorio includono iperammoniemia, moderata elevazione degli enzimi epatici, un aumento aspecifico dei livelli plasmatici di citrullina e alanina (minore rispetto a quello osservato nella citrullinemia) e un marcato incremento di quello di acido argininosuccinico (vedi Fig. 85-14). Nelle analisi degli amminoacidi, l’acido argininosuccinico compare tra la regione dell’isoleucina e quella della metionina e ciò può essere fonte di confusione diagnostica. Questo acido può essere riscontrata in grande quantità anche nell’urina e soprattutto nel liquor, dove i livelli sono solitamente più elevati di quelli plasmatici. L’enzima è normalmente presente negli eritrociti, nel fegato e nei fibroblasti in coltura. La diagnosi prenatale è realizzata mediante misura dell’attività enzimatica su colture di cellule amniotiche o identificazione del gene mutante. L’acido argininocuccinico è elevato anche nel liquido amniotico dei feti colpiti. 84-92ANA.indd 582 Il trattamento degli attacchi di iperammoniemia acuta e la gestione a lungo termine sono già stati considerati. Le sequele più comuni sono ritardo mentale, persistente epatomegalia con lieve aumento degli enzimi epatici, tendenza al sanguinamento dovuta a disturbi della coagulazione. Il deficit è ereditato con modalità autosomica recessiva, con una prevalenza di 1/70 000 nati vivi. Il gene è localizzato sul cromosoma 7cen-q11.2. DEFICIT DI ARGINASI (IPERARGININEMIA) (VEDI FIG. 85-12). Questo deficit è ereditato con modalità autosomica recessiva. Negli esseri umani si riscontrano due tipi di arginasi geneticamente distinti: il tipo citosolico (A1) è espresso nel fegato e negli eritrociti; l’altro tipo (A2) si ritrova nei mitocondri renali e cerebrali. Il gene per l’enzima citosolico, uno dei geni deficitari nei pazienti con deficit di arginasi, è localizzato sul cromosoma 6q23. Il ruolo dell’enzima mitocondriale non è stato ancora completamente chiarito; la sua attività aumenta in pazienti con arginiemia, ma non ha effetti protettivi. Sono state identificate svariate mutazioni patogenetiche in famiglie diverse. Le manifestazioni cliniche di questa rara malattia sono piuttosto diverse da quelle degli altri deficit del ciclo dell’urea. L’esordio è insidioso; il bambino può rimanere del tutto asintomatico nei primi mesi di vita o talvolta nei primi anni. Una progressiva diplegia spastica, con arti inferiori incrociati a forbice, movimenti coreoatetosici e perdita delle acquisizioni evolutive in un bambino precedentemente sano, suggerisce una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale. Due bambini sono stati sottoposti per anni al trattamento per la paralisi cerebrale prima della conferma della diagnosi di deficit di arginasi. Il ritardo mentale è progressivo; le convulsioni sono comuni, ma gli episodi di grave iperammoniemia sono rari. Può essere presente epatomegalia. È stata segnalata anche una forma neonatale acuta con convulsioni intrattabili, edema cerebrale e mortalità elevata. I reperti di laboratorio includono una marcata elevazione dell’arginina nel plasma e nel liquido cerebrospinale (vedi Fig. 85-14). L’acido orotico nelle urine è moderatamente aumentato. I livelli plasmatici di ammoniaca possono risultare normali e limitatamente elevati. L’escrezione urinaria di arginina, lisina, cistina e ornitina è di solito più alta, ma sono stati documentati anche livelli normali, per cui la determinazione degli amminoacidi nel plasma è fondamentale per la diagnosi. I guanidino composti (acido -cheto-guanidinovalerico, acido argininico) sono notevolmente accresciuti nelle urine. La diagnosi è confermata dalla valutazione dell’attività dell’arginasi negli eritrociti. Il trattamento prevede una dieta a basso conenuto calorico e priva di arginina. La somministrazione di una proteina sintetica composta da amminoacidi essenziali consente un rilevante decremento della concentrazione plasmatica di arginina e un miglioramento delle anomalie neurologiche. La composizione della dieta e l’apporto quotidiano di proteine devono essere monitorati con frequenti determinazioni di amminoacidi. Anche il sodio benzoato (250-375 mg/kg/die) è efficace nel controllare l’iperammoniemia (se presente); con questo trattamento è stata notata una riduzione dei livelli plasmatici di arginina. Il ritardo mentale è una sequela comune. È stato documentato il caso di un paziente che, all’età di 9 anni, aveva sviluppato diabete, malgrado la sua argininemia fosse sotto controllo. IPERAMMONIEMIA TRANSITORIA DEL NEONATO. Benché i livelli plasmatici di ammoniaca nei neonati a termine siano entro i limiti normali, un peso particolarmente ridotto può essere associato a lieve iperammoniemia (40-50 mol/L), che dura per circa 6-8 settimane. Questi neonati sono asintomatici e follow-up condotti fino ai 18 mesi di età non hanno rivelato alcun deficit neurologico significativo. In alcuni è stata osservata iperammoniemia grave transitoria. La maggior parte dei bambini colpiti è prematura e presenta lieve distress respiratorio. Il coma da iperammoniemia può insorgere nei primi 2-3 giorni di vita, compromettendo la sopravvivenza se il trattamento non è avviato tempestivamente. Gli studi di labora- 23-09-2008 11:52:02 Capitolo 85 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 583 torio rivelano marcata iperammoniemia (ammoniaca plasmatica fino a 4000 mol/L), con un moderato aumento dei livelli plasmatici di glutammina e alanina. Le concentrazioni plasmatiche degli amminoacidi intermedi del ciclo dell’urea sono solitamente normali, fatta eccezione per la citrullina, che può comparire limitatamente elevata. La causa del disturbo è sconosciuta. L’attività enzimatica del ciclo dell’urea è normale. Il trattamento dell’iperammoniemia deve essere tempestivo e aggressivo (vedi sopra). La guarigione senza sequele è comune e l’iperammoniemia non si ripresenta, nemmeno con una dieta normale. 85.12 • ISTIDINA • Iraj Rezvani ORNITINA. L’ornitina è uno dei metaboliti intermedi del ciclo dell’urea che non è incorporato in proteine naturali, essendo infatti generata nel citosol a partire dall’arginina e dovendo essere trasportata nei mitocondri, dove è utilizzata per la produzione di citrullina come substrato per l’enzima OTC. L’ornitina in eccesso è catabolizzata da due enzimi: l’ornitina 5-aminotrasferasi, un enzima mitocondriale che converte l’ornitina in un precursore della prolina; l’ornitina decarbossilasi, che riside nel citosol e converte l’ornitina in putrescina (vedi Fig. 85-12). Due disturbi genetici determinano iperornitinemia: l’atrofia girata della retina e la sindrome da iperammoniemia-iperornitinemiaomocitrullinemia. Atrofia girata della retina e della coroide. Questo raro disturbo autosomico recessivo è causato da un deficit dell’enzima ornitina 5-aminotrasferasi (vedi Fig. 85-12). Circa il 30% dei casi è stato segnalato in Finlandia. Le manifestazioni cliniche sono limitate agli occhi e includono cecità notturna, miopia, perdita visiva periferica e cataratta sottocapsulare posteriore. Tali sintomi esordiscono tra i 5 e i 10 anni di età e progrediscono fino alla cecità totale entro la quarta decade di vita. Le lesioni atrofiche della retina somigliano a circonvoluzioni cerebrali. I pazienti di solito hanno una intelligenza normale. Si riscontra un aumento del livello plasmatico di ornitina da 10 a 20 volte rispetto alla norma (400-1400 mol/L). L’iperammoniemia invece non compare, né si nota l’aumento di altri amminoacidi; i livelli plasmatici di glutammato, glutammina, lisina, creatina e creatinina risultano moderatamente ridotti. Alcuni pazienti rispondono parzialmente a dosi elevate di piridossina (500-1000 mg/die). Una dieta priva di arginina, in associazione a supplementazione di lisina, prolina e creatina, ha consentito la diminuzione della concentrazione plasmatica di ornitina e un certo miglioramento clinico. Il gene per l’ornitina 5-aminotrasferasi è localizzato sul cromosoma 10q26. Almeno 60 mutazioni patogenetiche sono state identificate in famiglie differenti. La principale via del catabolismo della lisina implica la sua condensazione con l’acido -chetoglutarico, per formare saccaropina. La saccaropina è poi degradata in acido -aminoadipico semialdeide e acido glutarrico. Questi primi due passaggi sono catalizzati dall’-aminoadipico semialdeide sintasi, dalla lisinachetoglutarrato reduttasi e dalla saccaropina deidrogenasi (Fig. 85-15). In una via metabolica minore per la degradazione della lisina, questa è in primo luogo transaminata e poi condensata nella forma ciclica: l’acido pipecolico. Si tratta della via principale per la D-lisina nel corpo e la L-lisina nel cervello (vedi Fig. 85-15). L’iperlisinemia, l’acidemia -aminoadipica e l’acidemia -chetoadipica sono tre disturbi dovuti a errori congeniti del metabolismo della lisina. Gli individui con questi disturbi sono solitamente asintomatici. SINDROME DI IPERAMMONIEMIA-IPERORNITINEMIA-OMOCITRULLINEMIA. Questa rara malattia, ereditata con modalità autosomica recessiva, è causata da un difetto del sistema di trasporto dell’ornitina dal citosol ai mitocondri, responsabile dell’accumulo di ornitina nel citosol e di un deficit all’interno dei mitocondri. L’accumulo causa iperornitinemia, mentre il deficit altera il ciclo dell’urea, con conseguente iperammoniemia (vedi Fig. 85-12). L’omocitrullina è presumibilmente formata dalla reazione tra carbamil fosfato mitocondriale e lisina, che si verifica a causa del deficit intramitocondriale di ornitina. Le manifestazioni cliniche di iperammoniemia possono svilupparsi poco dopo la nascita, oppure risultano ritardate fino all’età adulta. Gli episodi acuti di iperammoniemia si manifestano con rifiuto dell’allattamento, vomito e letargia; durante l’infanzia può insorgere il coma. Se il disturbo non viene diagnosticato, possono svilupparsi segni neurologici progressivi, come debolezza degli arti inferiori, accentuazione dei riflessi tendinei profondi, spasticità, clono, convulsioni e ritardo psicomotorio di grado variabile. Non è stato osservato un coinvolgimento oculare. I reperti di laboratorio rivelano un marcato aumento dei livelli plasmatici di ornitina e di omocitrullina, oltre all’iperammonimia. La somministrazione orale di ornitina può consentire un miglioramento clinico in alcuni pazienti. Il gene per questo disturbo (SLC25A15) è localizzato sul cromosoma 13q14. 84-92ANA.indd 583 L’istidina è un amminoacido essenziale soltanto durante l’infanzia. La sua via biosintetica negli adulti non è stata ancora chiarita con precisione. L’istidina è degradata in acido glutammico attraverso la via dell’acido urocanico. Sono stati segnalati diversi disturbi genetici che coinvolgono la via di degradazione, ma nessuno sembra avere conseguenze cliniche. 85.13 • LISINA • Iraj Rezvani ACIDURIA GLUTARICA DI TIPO I. L’acido glutarico è un composto intermedio della degradazione di lisina (vedi Fig. 85-15), idrossilisina e triptofano. L’aciduria glutarica di tipo I, disturbo causato da un deficit di glutaril CoA deidrogenasi, deve essere distinta dall’aciduria glutarica di tipo II, causata da un difetto del sistema di trasporto degli elettroni (vedi Capitolo 86.1). Manifestazioni cliniche. I bambini con aciduria di tipo I possono apparire asintomatici fino ai 2 anni. La macrocefalia è di comune riscontro. I sintomi (ipotonia, perdita di controllo della testa, coreoatetosi, convulsioni, rigidità generalizzata, opistotono e distonia) possono insorgere improvvisamente in un lattante precedentemente sano, come conseguenza di un’infezione minore. Il recupero dopo il primo attacco è di solito lento e alcune anomalie neurologiche residue possono persistere (in particolare distonia e movimenti extrapiramidali). Successive infezioni intercorrenti rischiano di scatenare nuovi episodi acuti simili al primo. In altri pazienti, tali segni e sintomi si sviluppano gradualmente nei primi anni di vita; l’ipotonia e la coreoatetosi tendono a progredire, causando rigidità e distonia. In questi pazienti, gli episodi acuti di scompenso metabolico (con vomito, chetosi, convulsioni e coma) possono essere scatenati da infezioni o altri stati catabolici. La mortalità è frequente nella prima decade di vita, nel corso di un episodio acuto. Le abilità intelletuali restano nella norma nella maggior parte dei pazienti. Reperti di laboratorio. Durante gli episodi acuti è possibile riscontrare acidosi metabolica da lieve a moderata e chetosi. In alcuni pazienti si osservano ipoglicemia, iperammoniemia e aumento delle transaminasi sieriche. Elevate concentrazioni di acido glutarrico si ritrovano solitamente in urine, sangue e liquido cerebrospinale. Anche l’acido 3-idrossiglutarrico può essere presente nelle urine. Questi reperti consentono di formulare la diagnosi differenziale tra l’aciduria glutarica di tipo I e II (nel secondo tipo, è piuttosto l’acido 2-idrossiglutarico a risultare aumentato). Le concentrazioni plasmatiche di amminoacidi sono di solito entro i limiti normali. Tra un attacco e l’altro, i reperti di laboratio appaiono aspecifici. Sono stati segnalati casi di bambini molto gravi, in assenza di aciduria glutarica, in alcuni dei quali l’acido glutarico è elevato soltanto nel liquor. L’attività dell’enzima glutaril CoA deidrogenasi andrebbe sempre misurata (su leucociti o fibroblasti in coltura) in presenza di un bambino con distonia progressiva e discinesia. La TC o la RM cerebrale rivelano macrocefalia, ventricoli laterali dilatati, atrofia corticale, fibrosi e atrofia del nucleo striato (putamen e caudato). 23-09-2008 11:52:02 584 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche Sintesi proteica -N-acetil-lisina -N-acetil-lisina NH2 NH2 (CH2)4 Acido -cheto-aminocaproico CH Lisina COOH 1 Saccaropina Acido 2-chetoglutarrico Lisinemia Acido piperidina2-carbossilico 2 Lisinemia Omoarginina Omocitrullina Acido glutammico Acido -aminoadipico -Semialdeide 6 Acido pipecolico Acido piperidina6-carbossilico Acidemia pipecolica Acido -aminoadipico CO2 5 Acido acetoacetico Acido glutaconico Aciduria glutarica di tipo I Acido glutarico 4 Aciduria -chetoadipica 3 Acido -chetoadipico Aciduria -aminoadipica Triptofano Figura 85-15. Vie metaboliche della lisina. Enzimi: (1) lisina chetoglutarato reduttasi, (2) saccaropina deidrogenasi, (3) acido -aminoadipico trasferasi, (4) acido -aminoadipico deidrogenasi, (5) glutaril CoA deidrogenasi, (6) -aminoadipico semialdeide ossidasi. Trattamento. Una dieta a ridotto contenuto di proteine (priva in particolare di lisina e triptofano) e la somministrazione di dosi elavate (200-300 mg/die) di riboflavina (coenzima per la glutaril CoA deidrogenasi) e L-carnitina (50-100 mg/kg/die) producono una rilevante riduzione dei livelli di acido glutarico nei liquidi somatici, ma gli effetti clinici di questa terapia sono variabili. L’aggiunta di un GABA analogo e di acido valproico al regime terapeutico ne potenzia gli effetti positivi in alcuni pazienti. Il disturbo è ereditato con modalità autosomica recessiva. La sua prevalenza non è nota, benché sia più elevata in Svezia e tra gli Amish degli Stati Uniti. Il gene è localizzato sul cromosoma 19p13.2; sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. Una singola mutazione (A421V) è stata riscontrata in tutti i soggetti colpiti appartenenti alla popolazione Amish di Lancaster County. La diagnosi prenatale è realizzata dimostrando l’aumento delle concentrazioni di acido glutarico nel liquido amniotico, tramite l’esame dell’attività enzimatica su amniociti o campioni di villi coriali oppure mediante identificazione del gene mutante. INTOLLERANZA LISINURICA ALLE PROTEINE (INTOLLERANZA FAMILIARE ALLE PROTEINE). Questo raro disturbo autosomico recessivo è dovuto a un difetto del trasporto degli amminoacidi cationici lisina, ornitina e arginina, a livello di reni e intestino. A differenza dei pazienti con cistinuria, in questi soggetti non si riscontra alcun aumento dell’escrezione urinaria di cistina. Circa il 50% dei casi segnalati è in Finlandia, dove la prevalenza è di 1/60 000. Le manifestazioni cliniche consistono in rifiuto dell’allattamento, nausea, avversione alle proteine, vomito, diarrea lieve, defict staturo-ponderale, deperimento e ipotonia. Di solito i bambini allattati al seno restano asintomatici fino a poco dopo lo svezzamento, ciò che può essere dovuto al ridotto contenuto proteico del latte materno. Episodi di iperammoniemia possono verificarsi 84-92ANA.indd 584 a causa di una dieta a elevato contenuto di proteine. Nei pazienti che non ricevono una diagnosi tempestiva può comparire epatosplenomegalia da lieve a moderata, osteoporosi, fragilità dei capelli, estrema magrezza degli arti con moderata adiposità centripeta e ritardo della crescita. Lo sviluppo mentale è solitamente normale, ma un ritardo moderato è stato osservato nel 20% dei pazienti. La polmonite intestiziale, che si manifesta con febbre, affaticabilità, tosse e dispnea, può insorgere sia come episodio acuto sia in forma progressiva cronica. In alcuni pazienti la diagnosi è stata formulata solo dopo la comparsa delle manifestazioni polmonari. La fibrosi polmonare è stata osservata nelle radiografie di oltre il 65% dei pazienti, in assenza di manifestazioni cliniche di coinvolgimento polmonare. Una frequente causa di mortalità nei pazienti più grandi è rappresentata dalla proteinosi polmonare acuta, associata a un coinvolgimento renale (che ricorda la glomerulonefrite). I reperti di laboratorio possono rivelare iperammoniemia e un’elevata concentrazione di acido orotico nelle urine, che si sviluppano solo dopo l’assunzione di proteine. La concentrazione ematica di ammoniaca a digiuno e l’escrezione urinaria di acido orotico sono solitamente normali. Le concentrazioni plasmatiche di lisina, arginina e ornitina sono lievemente aumentate, mentre i livelli urinari di questi amminoacidi (in particolare la lisina) lo risultano in maniera netta. Il meccanismo responsabile dell’iperammoniemia non è ancora stato chiarito: tutti gli enzimi del ciclo dell’urea sono normali, per cui essa può essere collegata a un disturbo del ciclo dell’urea secondario a un deficit di arginina e ornitina. Nei pazienti con cistinuria l’iperammoniemia non si riscontra, benché si presenti anche in questo caso un disturbo del trasporto di lisina, arginina e ornitina sia nell’intestino sia nei reni. Le concentrazioni plasmatiche di alanina, glutamina, serina, glicina, prolina e citrullina sono solitamente aumentate. Tali anomalie possono essere secondarie all’iperammoniemia e non sono specifiche di questo disturbo. 23-09-2008 11:52:02 Capitolo 85 In questi pazienti sono state segnalati anche una lieve anemia e un aumento dei livelli sierici di ferritina, deidrogenasi lattica e globulina legante la tiroxina. La diagnosi differenziale è con l’iperammoniemia dovuta a difetti del ciclo dell’urea (vedi Capitolo 85.11), specialmente in donne eterozigoti con deficit di OTC. L’aumento dell’escrezione urinaria di lisina, ornitina e arginina e l’elevazione dei livelli plasmatici di citrullina non si riscontrano nei pazienti con questo deficit. In questa malattia il difetto di trasporto è localizzato nella membrana basolaterale (antiluminale) degli enterociti e nell’epitelio tubulare renale. Ciò spiega come mai gli amminoacidi cationici non siano in grado di attraversare queste cellule, anche se somministrati in forma di dipeptidi. La lisina in forma di dipeptide attraversa la membrana luminale degli enterociti, ma si idrolizza per liberare molecole di lisina nel citoplasma. La lisina libera, incapace di attraversare la membrana basolaterale delle cellule, diffonde nuovamente verso il lume. Il trattamento con una dieta a ridotto contenuto proteico (1,0-1,5 g/kg/die), con supplemento di citrullina (3-8 g/die), ha consentito di ottenere un miglioramento clinico e biochimico. Gli episodi di iperammoniemia andrebbero trattati tempestivamente (vedi Capitolo 85.11). La somministrazione di lisina è inutile, perché è scarsamente assorbita e tende a provocare diarrea e dolore addominale. Il trattamento con dosi elevate di prednisone e il lavaggio broncoalveolare si sono rivelati efficaci nella gestione delle complicanze polmonari acute. Il gene dell’intolleranza lisinurica alle proteine (SLC7A7) è localizzato sul cromosoma 14q11.2. Sono state identificate varie mutazioni patogenetiche in famiglie differenti. Nei casi segnalati, la gravidanza di pazienti con il disturbo è stata complicata da anemia, trombocitopenia, tossicosi ed emorragia (ma i neonati erano sani). 85.14 • ACIDO ASPARTICO (MALATTIA DI CANAVAN) • Reuben Matalon L’acido N-acetilaspartico, un derivato dell’acido aspartico, è sintetizzato nel cervello, dove si ritrova in concentrazioni elevate (analoghe a quelle dell’acido glutammico). La sua funzione è sconosciuta, ma una sua eccessiva quantità nelle urine e un deficit dell’enzima aspartoaciclasi (che scinde il gruppo N-acetil dall’acido N-acetilaspartico) sono associati alla malattia di Canavan. MALATTIA DI CANAVAN. La malattia di Canavan è un disturbo autosomico recessivo caratterizzato dalla degenerazione spongiforme della sostanza bianca cerebrale, con conseguente grave leucodistrofia. La prevalenza è maggiore nei discendenti degli ebrei ashkenaziti rispetto agli altri gruppi etnici. Eziologia e patologia. Il deficit dell’enzima aspartoaciclasi causa un accumulo di acido N-acetilaspartico nella sostanza bianca cerebrale e una massiva escrezione urinaria di questo composto. Quantità eccessive di acido N-acetilaspartico sono presenti anche nel sangue e nel liquido cerebrospinale. Nella sostanza bianca si nota una impressionante vacuolizzazione e un edema astrocitico. Il microscopio elettronico rivela la distorsione dei mitocondri. Con il progredire della malattia, l’atrofia cerebrale causa ingrandimento ventricolare. Manifestazioni cliniche. La malattia presenta una gravità variabile. I bambini appaiono solitamente normali alla nascita e possono restare asintomatici fino ai 3-6 mesi di età, quando sviluppano macrocefalia progressiva, grave ipotonia e persistente difficoltà di controllo del capo. Con la crescita il ritardo dello sviluppo diviene evidente. Il bambino appare iperreflessico e ipertonico; può riscontrarsi anche rigidità articolare. In seguito compaiono convulsioni e atrofia ottica. Nel primo anno di vita si notano anche difficoltà di allattamento, deficit ponderale e reflusso gastroesofageo; la deglutizione si deteriora fra il secondo e il terzo anno, richiedendo alimentazione nasogastrica o una gastrostomia permanente. La mortalità nella prima decade è molto elevata. Tecniche di nursing adeguate possono prolungare la sopravvivenza dei pazienti alla seconda decade. 84-92ANA.indd 585 ■ Disturbi del metabolismo degli amminoacidi ■ 585 Malattia di Canavan atipica. Alcuni pazienti con malattia di Canavan possono presentare un allele lieve (Y288C), una sostituzione della tirosina con cisteina (R71H) o dell’arginina con l’istidina. In questi casi la diagnosi è difficile da formulare. L’escrezione di acido N-acetilaspartico risulta moderatamente aumentata nelle urine e la RM cerebrale mostra un incremento dell’intensità del segnale dei gangli basali (che può condurre all’erronea diagnosi di malattia mitocondriale). Diagnosi. La TC e la RM rivelano una diffusa degenerazione della sostanza bianca, prevalentemente negli emisferi cerebrali, con minore coinvolgimento di cervelletto e tronco (Fig. 85-16). Possono rendersi necessarie valutazioni ripetute. L’RMS eseguita contemporaneamente alla RM può mostrare un elevato picco di acido N-acetilaspartico, suggestivo della malattia. La diagnosi differenziale dovrebbe includere la malattia di Alexander (un’altra leucodistrofia con macrocefalia), in cui la progressione è di solito lenta e l’ipotonia è meno pronunciata. La biopsia cerebrale mostra degenerazione spongiforme delle fibre mieliniche, edema astrocitico e mitocondri allungati. La diagnosi definitiva può essere stabilita ricercando l’elevazione di acido N-acetilaspartico nel sangue o nelle urine. Un deficit di aspartoaciclasi può essere evidenziato su colture di fibroblasti cutanei. Il metodo di elezione per la formulazione della diagnosi è quello biochimico. Nelle urine dei soggetti normali si riscontra sono una traccia di acido Nacetilaspartico (24 16 mol/mmol creatinina), mentre nei pazienti con malattia di Canavan si osserva un range di 1440 ± 873 mol/mmol creatinina. Elevati livelli di acido N-acetilaspartico sono evidenziabili anche nel plasma, nel liquido cerebrospinale e nel tessuto cerebrale. L’attività dell’aspartoaciclasi nei fibroblasti dei portatori obbligati è ridotta al 50% (o ancora meno) di quella dei soggetti normali. Il gene per l’aspartoaciclasi è stato clonato e le mutazioni che conducono alla malattia di Canavan sono state identificate. Vi sono due mutazioni prevalenti negli ebrei ashkenaziti, la prima delle quali, che è la più frequente, coinvolgendo l’83% dei 100 alleli mutanti esaminati nei pazienti di questo gruppo etnico, è una sostituzione di amminoacidi (E285A) nella quale l’acido Figura 85-16. RM assiale pesata in T di un paziente di 2 anni con malattia di Canavan. L’esteso ispessimento della sostanza bianca è evidente. 23-09-2008 11:52:02 586 ■ PARTE X ■ Malattie metaboliche glutammico prende il posto dell’alanina. La seconda mutazione è invece responsabile del 13% dei 100 alleli mutanti esaminati, è di tipo nonsense e causa un’interruzione della sequenza di codifica della tirosina (Y231X). Nella popolazione generale si riscontra una più ampia variabilità delle mutazioni, mentre le due descritte sono rare. Nei pazienti non ebrei, la mutazione (A305E), sostituzione di alanina con acido glutammico, è responsabile del 40% dei 62 alleli mutanti. Insieme alla diagnosi di malattia di Canavan è importante ottenere una diagnosi molecolare, in modo da garantire alla famiglia un accurato counseling. Se le mutazioni non sono note, la diagnosi prenatale si affida sul livello di acido N-acetilaspartico nel liquido amniotico. Nei pazienti ebrei la frequenza dei portatori può raggiungere 1:36 (analoga a quella della malattia di Tay-Sachs), perciò è opportuno lo screening. Trattamento e prevenzione. Non è disponibile alcun trattamento specifico. I disturbi dell’allattamento e le convulsioni vanno trattati su base individuale. Il couseling genetico, l’individuazione dei portatori e la diagnosi prenatale costituiscono gli unici metodi di prevenzione. L’iniezione nei ventricoli di liposomi con il gene per l’aspartoaciclasi umana è stata realizzata su due bambini con malattia di Canavan, ma i risultati non sono incoraggianti. Generale Crombez E, Koch R, Cederbaum S: Pitfalls in newborn screening. J Pediatr 2005;147:119–120. Holtzman NA: Expanding newborn screening. JAMA 2003;290:2606–2608. McKusick VA: Online Mendelian Inheritance in Man (OMIM). 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