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Configurabilità dello storno dei dipendenti come atto di concorrenza

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Configurabilità dello storno dei dipendenti come atto di concorrenza
APPROFONDIMENTI
Configurabilità dello storno dei dipendenti
come atto di concorrenza sleale
di Piergiovanni Cervato – avvocato*
La recente e rilevante sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 4 settembre 2013, n.20228,
aggiorna ulteriormente lo status quo del fenomeno dello storno dei dipendenti, affrontando il giudizio
di illiceità di quegli atti dell’impresa che siano finalizzati all’abbattimento dei costi di avviamento di
attività complessive o di singoli rami produttivi, ma che comportino danno ai suoi concorrenti, ad
esempio tramite la distrazione di risorse di personale collegate alla clientela o comunque strategiche
per la zona di mercato rilevante per l’ambito di concorrenza.
Massima
Storno di dipendenti – atti di concorrenza sleale – scorrettezza professionale – animus nocendi
Lo storno dei dipendenti di impresa concorrente rappresenta atto di concorrenza sleale laddove risulti perseguito un indebito vantaggio competitivo che crei danno al concorrente, tramite un piano di acquisizione di
personale strategico soprattutto nella zona in concorrenza, destabilizzando l’organizzazione del concorrente
mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti e delle conoscenze da essi acquisite.
Premessa
nonché delle spiccate capacità, qualità e qualifiche
di quest’ultimo, mediante l’accaparramento indiscriminato dei dipendenti del concorrente (o altre figure
a questi assimilabili, per tutte rimanendo quindi nel
quadro del diritto costituzionale al lavoro), così da
ridurre il costo d’avviamento della propria impresa e
danneggiare l’altrui organizzazione, ovvero all’avvantaggiarsi di conoscenze coltivate da altri e che non
potrebbero essere normalmente accessibili (furti di
know-how, liste clienti, liste fornitori etc) ‒ quindi
nuovamente nell’ambito concorrenziale dell’innovazione e del libero mercato.
La recente e rilevante sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 4 settembre 2013, n.20228, costringe gli operatori del diritto a soffermarsi per un
ulteriore aggiornamento sullo status quo dello storno dei dipendenti, tema quanto mai delicato e all’ordine del giorno, specialmente nell’attuale condizione
di crisi economica in cui fioriscono gli stratagemmi
aziendali finalizzati all’abbattimento dei costi di avviamento di attività complessive o di singoli rami
produttivi.
Risulta sempre più difficile parlare appropriatamente di “storno di dipendenti”, data la contrapposizione
degli interessi costituzionalmente tutelati che sono
interessati da tale fenomeno, essendo concettualmente complesso ridurre gli equilibri in gioco entro
rigorosi schemi interpretativi che permettano di tutelare maggiormente l’uno o l’altro diritto e che, invece, mal si attagliano alla questione in oggetto.
Ciò a maggior ragione se si considera che lo “storno
di dipendenti” può essere definito come quell’azione
posta in essere da un imprenditore nei confronti di un
altro imprenditore concorrente (quindi teoricamente ricompresa nell’alveo del principio costituzionale
di libertà della concorrenza), finalizzata all’avvantaggiarsi ingiustamente di investimenti sul personale,
La contrapposizione degli interessi in gioco
Gli interessi che di volta in volta si contrappongono
nello storno dei dipendenti sono, in relazione alle
parti sopra esaminate:
per l’impresa stornante: l’interesse a veder tutelato il principio costituzionale del libero mercato
(art.41 Cost.) e della libera operabilità in concorrenza per la riduzione dei costi di avviamento. Attraverso l’acquisizione di personale dei concorrenti (purché ovviamente in maniera lecita), l’impresa
riuscirebbe infatti a immagazzinare il relativo bagaglio culturale e organizzativo, così da evitare ulteriori
e ingenti investimenti in formazione e pianificazione
aziendale, riducendo pertanto sensibilmente i costi
di avviamento;
Master in Diritto della Rete Università degli Studi di Padova.
Si segnala che la alla stesura dell'articolo ha collaborato il Dott. Andrea
Rinaldo.
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per l’impresa stornata: l’interesse a veder tutelato
il proprio investimento da malevoli distorsioni del
mercato, nonché a difendersi dalle pratiche distrattive messe in opera dalle imprese concorrenti (sleali).
La perdita del personale formato (sia in termini di
know how aziendale sia di costi per corsi specifici di
formazione) significherebbe per tale impresa dover
sostenere costi ulteriori ed eccessivi rispetto a quelli
che normalmente si dovrebbero sostenere nel libero
mercato concorrenziale per recuperare forza lavoro.
In molti casi, la situazione verrebbe aggravata altresì
dal mancato ritorno dell’investimento precedentemente effettuato, in quanto la tutela del proprio
“parco-dipendenti” risulterebbe un elemento strategico che si relaziona a prospettive di investimenti a
lungo termine1. Non solo, l’impresa stornata avrebbe altresì una necessità di tutela legata ai propri segreti aziendali e alle proprie liste clienti; si pensi infatti al caso dello storno degli agenti viaggiatori: il
danno sarebbe potenzialmente enorme;
per il lavoratore: l’interesse in gioco è anche quello del lavoratore. La Costituzione, all’art.35, tutela il
lavoro in tutte le sue forme, pertanto sarebbe inconcepibile limitare le libertà del lavoratore di poter scegliere dove sviluppare le proprie capacità, in assenza
di appositi patti di non concorrenza debitamente
stipulati. Si deve infatti tenere sempre a mente che il
lavoro è la massima espressione della personalità
dell’individuo.
trapposti, la Suprema Corte di Cassazione ha via via
individuato gli elementi tipici che debbono sussistere per qualificare lo storno, vale a dire quegli indizi di
esistenza di una condotta illecita mantenuta dall’impresa stornante al fin di poter obiettivamente connaturare l’ipotesi di concorrenza sleale (art.2598 c.c.)
rientrante in particolare nell’ipotesi sub 3 (ossia la
residuale ipotesi della concorrenza sleale per scorrettezza professionale).
I rapporti tra datori di lavoro e lavoratori sono ricompresi sotto diversi profili normativi, che disciplinano
di volta in volta le diverse posizioni contrapposte rilevanti nelle varie fasi del rapporto.
I profili di criticità che possono individuarsi nella fuga
dei dipendenti sono molteplici e variano in base agli
elementi oggetto di specifica analisi:
• storno dei dipendenti;
• violazione dei segreti aziendali;
• concorrenza dell’ex dipendente.
L’inquadramento giuridico dello storno dei dipendenti, oggetto di odierna trattazione, nonché dell’ipotesi parallela di violazione dei segreti aziendali, è
contenuto e disciplinato nel codice civile, in particolare nell’ambito della concorrenza all’art.2598 c.c.,
n.3 (scorrettezza professionale), e n.2 (violazione di
segreti aziendali).
Oltre a tali fattispecie si evidenzia l’ipotesi prevista
dall’art.2105 c.c., il quale impone al lavoratore un divieto di concorrenza e un obbligo di riservatezza, in
ottemperanza al dovere di fedeltà che è obbligazione
accessoria a quella principale di lavorare2.
Da ultimo, è di interesse anche la disciplina del patto
di non concorrenza ex art.2125 c.c., da stipularsi per
iscritto, attraverso il quale l’imprenditore può tutelare sé stesso nei confronti del lavoratore uscente,
prevedendo un obbligo di fedeltà al termine del rapporto di lavoro.
A livello normativo, sono state quindi previste diverse forme di tutela del datore di lavoro originario a
fronte degli interposti interessi che possono intromettersi sia in contrasto con i propri dipendenti sia
in contrasto con i propri concorrenti.
Pare indubbio che, nei confronti del dipendente che
lasci il proprio posto di lavoro, il datore potrà infatti
sentire la necessità di tutelarsi da un lato in relazione
alle potenzialità concorrenti di questo, dall’altro lato
nei confronti di eventuali pregiudizi scaturenti dalla
divulgazione di segreti, metodi organizzativi e produttivi, prevedendo a propria difesa opportuni stru-
Il contesto normativo e l’evoluzione giurisprudenziale: Cass. 4 settembre 2013, n.20228
Come può ben vedersi dalla semplice definizione
“teorica” dello storno dei dipendenti, le parti interessate dallo storno stesso sono essenzialmente tre:
1. da un lato l’impresa stornante (ovvero l’impresa
che cerca di accaparrarsi i lavoratori altrui);
2. dall’altro l’impresa stornata (vale a dire quell’impresa che si veda spogliata dei propri lavoratori);
3. da ultimo i dipendenti che decidano, autonomamente o meno, di passare da un’impresa all’altra.
Per ogni parte esistono, quindi, degli interessi che si
contrappongono e che sono al pari meritevoli di tutela, tanto da porre nell’evidenza giurisprudenziale
un contrasto tra i giudicati di merito e legittimità.
Visto tale necessario bilanciamento di interessi conSi pensi ad esempio alla formazione dei dipendenti sull’utilizzo di un
nuovo macchinario sperimentale concesso in uso esclusivo all’azienda.
La futura espansione dell’esclusiva della concessione del macchinario
potrebbe rendere allettante l’assunzione da parte dei concorrenti dei dipendenti già formati, in quanto ridurrebbe i tempi e i costi di formazione
in capo al concorrente stornante.
1
2
Cass. civ., Sez. I, 25 luglio 1986, n.4757.
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menti volti a comprimere (legittimamente) il libero
esercizio dell’attività professionale del lavoratore.
Tornando alla concorrenza sleale di cui all’art.2598
c.c., ai fini applicativi della disamina in oggetto interessano le ipotesi disciplinate sub 2 – secondo cui si
produce illecito concorrenziale, tra l’altro, qualora ci
si appropri di pregi dell’impresa di un concorrente –
e sub 3 - secondo cui costituisce illecito di carattere
generale l’avvalersi di un qualunque mezzo contrario a correttezza professionale al fine di danneggiare
l’altrui azienda.
In particolare, tale ultima ipotesi propone, come
detto, una clausola generale legata appunto all’accertamento di un qualsiasi uso, anche indiretto, di
mezzi contrari alla correttezza professionale3, attuato al fine di ottenere un diretto vantaggio a danno
del competitor. La condotta deve essere dunque rilevante e idonea ad arrecare danno ingiusto al concorrente, non potendosi trascendere dalla prova in
concreto dell'idoneità degli atti ad arrecare detto
pregiudizio4.
Ciò detto, con riferimento alla questione in oggetto
si badi bene, peraltro, che non ogni azione di distrazione dei dipendenti può essere qualificata come
illecito concorrenziale, altrimenti si correrebbe il
rischio di un’ingiustificata responsabilizzazione oggettiva degli operatori per azioni poste in essere nel
normale svolgimento delle pratiche di libero mercato e di libera circolazione del lavoro.
Affinché si possa parlare dunque di concorrenza sleale, si dovranno pertanto manifestare fatti giuridicamente rilevanti, causalmente idonei a produrre un
danno ovvero a indurre il pericolo di un danno.
L’ipotesi di slealtà e, quindi, di illecito, necessita infatti della soddisfazione di alcuni requisiti determinati:
la qualifica di imprenditore attribuibile tanto
all’impresa stornata quanto all’impresa stornante;
il rapporto di concorrenzialità derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale, in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune5, rilevando
comunque anche il caso in cui l’azione sia compiuta
dal dipendente (più volte la giurisprudenza si è pronunciata circa la corresponsabilità del datore per l’illecito di concorrenza sleale compiuto dal proprio dipendente, essendo infatti sufficiente l’esistenza di un
nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito e il rap-
porto che lega il datore al proprio dipendente6);
la contrarietà degli atti alla correttezza professionale. Parte della giurisprudenza, comunque, ha affermato anche come tale ipotesi sia alle volte residuale, potendo applicarsi solo qualora non si rientri
in alcuna delle fattispecie previste dai punti precedenti dell’art.2598 c.c. (nn.1 e 2)7. Risulta infatti rilevante il rapporto di contiguità tra la fattispecie esposta e l’art.2598 c.c., n.2) ‒ tra l’altro già sopra citato
‒ il quale viene in auge sia nel caso di danno prodotto da rivelazione di segreti aziendali, sia nel caso del
passaggio di know-how (ad es. con l’assunzione di ex
dipendenti alle dipendenze di altro imprenditore8,
ovvero tramite attività concorrenziale posta in essere direttamente da ex dipendenti o collaboratori9,
oppure ancora per mezzo di spionaggio industriale10);
l’animus nocendi e l’idoneità a danneggiare l’altrui
azienda: l’azione, come già detto, deve essere idonea, anche solo astrattamente, a danneggiare l’altrui
azienda. Tale requisito non è comunque sufficiente a
connaturare l’ipotesi illecita, essendo altresì richiesto l’elemento soggettivo della volontà della condotta, individuata dalla giurisprudenza nel c.d. animus
nocendi, ovvero nell’intenzione e nella volontà di
danneggiare l’altrui azienda in misura maggiore al
normale pregiudizio conseguente all’abbandono dei
dipendenti, con modalità tali da non giustificarsi in
rapporto alla normale correttezza professionale11,
attraverso la proposizione di azioni in grado di disgregare l’organizzazione del concorrente o che vanifichino gli sforzi e gli investimenti delle imprese avversarie. Il tutto perpetuato attraverso l’ipotesi di
storno di un numero particolarmente elevato di dipendenti, o tenuto conto della qualifica dei dipendenti stornati, dando vita in tal modo a un meccanismo parassitario finalizzato all’accaparramento
dell’avviamento dell’altrui azienda e arrecando ingiusto vantaggio all’impresa stornante12. Da rilevare,
Trib. Torino, 14.03.2006; Trib. Mantova, 12.07.2002.
Cass. civ. Sez. I, 26.11.1997, n.11859.
8
App. Roma 10.11.2008; Trib. Rimini 14.02.2007; Trib. Milano, ord.,
25.01.2006.
9
Trib. Torino, 11 gennaio 2008.
10
Trib. Torino 26.02.1977.
11
Cass. civ., 23.05.2008, n.13424; Cass. civ., 07.03.2008, n.6194; Cass.
civ., 22.07.2004, n.13658.
12
Cfr., tra le varie: Cass. civ., 03.07.1996, n.6079; Cass. civ., 09.06.1998,
n.5671; Cass. civ., 22.07.2004, n.13658; Cass. civ., 23.05.2008, n.13424;
in particolare si legga Cass. civ., 07.03.2008, n.6194: “Non può essere
considerata, di per sé, illecita l’assunzione di personale proveniente da
un’impresa concorrente, se l’operazione non viene condotta in violazione
delle norme di correttezza richiamate dall’art. 2598 n. 3 c.c.; pertanto,
lo storno di dipendenti può essere qualificato come atto di concorrenza
sleale da parte dell’impresa concorrente solo laddove l’assunzione del
6
7
Cass. civ. Sez. I Sent., 04.06.2008, n.14793.
Trib. Torino, 11.03.2008.
5
Cass. Civ. Sez. I, 22.07.2009, n.17144.
3
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oltretutto, come l’animus nocendi sia presunto nel
soggetto stornante qualora il comportamento non
possa giustificarsi alla luce dei principi di correttezza
professionale13.
Stante l’alea intrinseca nella delimitazione di detta
condotta illecita, la giurisprudenza ha pertanto cercato di individuare elementi univoci che, qualora rilevati nella condotta dello stornante, rendano addebitabile l’illecito di concorrenza sleale, così evitando
di sanzionare ipotesi completamente avulse a detta
fattispecie, quali potrebbero essere lo spostamento
di lavoratori avvenuto con modalità obiettivamente
corrette, non dirette ad arrecare danno all’impresa
sottratta dai propri dipendenti, o ipotesi assimilate14.
La giurisprudenza ha quindi dapprima cercato di
individuare le situazioni da sanzionare, tutelando
l’impresa stornata da qualsivoglia condotta diretta a
privarla del frutto del suo investimento. In tal modo,
sono state biasimate:
• le ricerche sul mercato di collaboratori effettuate
secondo strategie dirette a creare effetti “confusori” o “screditanti” o “parassitari”, che attribuiscano ingiustamente all’impresa stornante il
frutto dell’investimento altrui15;
• le condotte dirette a danneggiare l’altrui impresa, che travalichino la normale e libera scelta del
dipendente di lavorare per il concorrente16;
• l’utilizzo indebito delle conoscenze ottenute
dall’acquisizione massiva di dipendenti altrui, accedendo in tal modo al mercato prima di quanto
sarebbe possibile con il solo utilizzo dei propri
strumenti di ricerca e sviluppo17.
Si sono pertanto individuati alcuni elementi accompagnatori dell’illecito così definito, che dovranno essere di volta in volta individuati e provati18:
• numero di dipendenti stornati, che dovrà essere
valutato in relazione al numero totale dei dipendenti impiegati presso l’impresa stornata;
• qualifica dei dipendenti stornati, rilevando pertanto l’essenzialità del dipendente all’interno
della struttura aziendale, la strumentalità di questo e le difficoltà che potrebbero intervenire nella sostituzione dello stesso;
• repentinità dello storno, rilevando l’arco di tempo entro cui lo storno avviene. Si ritiene compiutamente avvenuto uno storno che, data la
rapidità di tempo entro cui interviene, arrechi
notevole danno all’impresa che si ritrovi a dover
formare nuovamente del personale e per questo
in una situazione di svantaggio concorrenziale;
• volontà di indebolire e disgregare l’altrui azienda;
• contestualità di dimissioni e riassunzioni;
• mancato preavviso delle dimissioni da parte dei
dipendenti;
• standardizzazione delle comunicazioni e delle
lettere di dimissioni (magari predisposte dalla
stessa impresa stornante);
• utilizzo in modo parassitario degli investimenti
effettuati dall’altrui azienda ai fini di formare i
dipendenti;
• alterazione della correttezza della competizione.
Analisi specifica della sentenza in commento
In tale percorso evolutivo del concetto di storno
dei dipendenti si è introdotta la recente e rilevante
sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 4
settembre 2013, n.20228, che sostanzialmente ha
ribadito quanto esposto finora, confermando ulteriormente la struttura del giudizio di illiceità della
condotta concorrenziale al fine dell’accertamento
dello storno vietato.
Gli Ermellini hanno affrontato un caso “classico” di
storno, realizzatosi mediante lo spostamento di una
nutrita schiera di agenti e di segretarie dall’azienda stornata all’azienda stornante, comportante la
disgregazione della struttura aziendale e della rete
distributiva della prima, oltre che l’appropriazione
della lista clientela della stessa.
In particolare, la tesi difensiva dell’impresa stornante si basava sulla ritenuta mancata prova dello storno e, comunque, del nesso causale tra l’intervenuto
passaggio di dipendenti e le potenzialità lesive alla
concorrenza di detto passaggio, sostenendosi:
• la mancata prova dell’effettiva assunzione dei dipendenti;
personale altrui sia avvenuta con modalità tali da non potersi giustificare, alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo
nell’autore l’intenzione di danneggiare l’impresa concorrente”; da ultimo si veda la recente Cass. civ., Ord., 15.06.2012, n.9836: “Costituisce
concorrenza sleale a norma dell’art. 2598, n. 3, cod. civ. l’assunzione di
dipendenti altrui o la ricerca della loro collaborazione non tanto per la
capacità dei medesimi, ma per la utilizzazione, altrimenti impossibile o
vietata, delle conoscenze tecniche usate presso altra impresa, compiuta
con “animus nocendi”, ossia con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere, attesa
l’esclusività di quelle nozioni tecniche e delle relative professionalità che
le rendono praticabili, così da saltare il costo dell’investimento in ricerca
ed in esperienza, da privare il concorrente della sua ricerca e della sua
esperienza, e da alterare significativamente la correttezza della competizione”.
13
Cass. civ. 20.06.1996, n.5718.
14
Trib. Napoli 10.09.2007.
15
Cass. civ., 9.06.1998, n.5671.
16
Cass. civ., 25.07.1996, n.6712.
17
Cass. civ., 3.07.1996, n.6079.
18
Tra le tante pronuce in materia, si segnalano, Cass. 16.05.1983, n.3365;
Trib. Milano 15.06.1989; Trib. Torino 16.01.2009.
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• l’esiguo numero dei dipendenti stornati, dato
che nelle more dello storno per alcuni dipendenti si erano accavallate le dimissioni con il licenziamento disposto da parte dell’impresa stornata;
• l’esatta computazione dell’arco di tempo entro
cui questi venivano stornati;
• la mancata prova delle qualifiche e dell’esperienza dei dipendenti;
• la rapida ricostruzione della rete distributiva della concorrente stornata;
• la contraddittorietà del giudizio di infungibilità
dei dipendenti.
La Cassazione, confermando il principio preliminare
secondo cui la concorrenza illecita per scorrettezza
professionale (art.2598 c.c., n.3) non può oggettivamente desumersi da ogni fattispecie di passaggio di
collaboratori tra imprese, o dalla contrattazione intrattenuta alla base del passaggio suddetto, in quanto tali attività sono espressione della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica19,
dovendo sussistere entrambi gli elementi soggettivi
della consapevolezza dell’idoneità lesiva dell’atto
posto in essere e dell’intenzionalità della messa in
opera dell’atto medesimo (animus nocendi), realizzati attraverso la predisposizione di atti direttamente
ed immediatamente rivolti a ridurre l’efficacia concorrenziale dell’operatore opposto20, ha affrontato
(e rigettato) punto per punto la complessiva linea di
difesa dell’impresa stornante.
Sulla ritenuta mancata prova dello storno, la Suprema Corte è intervenuta rapidamente con una
soluzione strettamente processuale, poiché sebbene parte attrice non avesse in primo grado portato
precise prove a proprio supporto circa l’effettività del
passaggio dei dipendenti tra le imprese, questo era
comunque desumibile dagli scritti processuali nei
quali si affermava che un certo numero di dipendenti era certamente stato coinvolto nel passaggio e ciò
non era stato oggetto di specifica contestazione entro il termine di preclusione processuale (principio di
non contestazione).
Circa l’arco di tempo entro cui era avvenuto il passaggio, nonché del numero di dipendenti stornati,
la Cassazione non si è discostata dal necessario requisito della repentinità del passaggio di un numero
elevato di dipendenti, affermando come fosse irrilevante l’esatto numero di mesi (uno o due) entro cui
lo storno era avvenuto, così come fosse altrettanto
irrilevante la variazione di un’ulteriore unità di di19
20
pendenti stornati, qualora comunque l’insieme di
tali elementi fosse idoneo a destabilizzare l’organizzazione aziendale, provocando altresì una lesione al
potenziale concorrenziale dell’azienda stornata.
Quanto alla percentuale dipendenti stornati rispetto
ai dipendenti totali, la Corte ha rilevato che il danno
risultasse perfettamente rilevabile nel caso in cui, su
un impiego complessivo inferiore alle trenta unità,
fosse stato spostato un numero di dipendenti pari a
quattro-cinque unità.
Circa l’elemento della rapida ricostruzione della propria rete distributiva da parte dell’impresa stornata,
l’ipotesi sostenuta dall’impresa stornante secondo
cui, in tal caso, non si sarebbe prodotto alcun danno,
visto che non si era concretizzata una diminuzione
dell’effettivo confronto concorrenziale tra le imprese, è stata completamente disattesa dal giudice di legittimità, poiché tale ipotesi è stata ritenuta del tutto
ininfluente ai fini della rilevabilità della concorrenza
sleale. L’impresa stornata, infatti,
“per un certo periodo di tempo non è stata in condizione di concorrere validamente sul mercato, in
ragione dello smembramento dei propri uffici di
distribuzione subendo pertanto un pregiudizio
concorrenziale”.
Sull’asserita mancanza di prove circa la sussistenza di
una violazione della norma generale di correttezza
professionale, la Corte ha rilevato come l’elemento
decisivo al fine della rilevazione della sussistenza
della concorrenza sleale non andasse rilevato nelle mere aggressive e scorrette condotte di contatto
dei dipendenti, bensì nell’intenzionalità di compiere
tale atto con il precipuo scopo di danneggiare l’altrui
azienda21, qualora potessero sussistere gli elementi
chiave della:
• qualità e qualifiche dei soggetti stornati,
• portata complessiva dell’impresa concorrente,
• posizione dei dipendenti stornati,
• scarsa fungibilità dei dipendenti,
• rapidità dello storno,
• parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante.
Elemento rilevante, a detta della Corte, era il risultato conseguito dell’indebito vantaggio competitivo,
che avesse permesso di beneficiare illecitamente degli investimenti fatti dal concorrente22. Il comportamento dell’impresa stornante deve pertanto valutarsi a monte, alla luce degli obiettivi di appropriazione,
Cass. civ., 9.06.1998, n.5671.
Cass. civ., Sent., 8.06.2012, n.9386; Cass. civ., 23.05.2008, n.13424.
21
22
Cass. Civ., 22.07.2004, n.13658.
Cass. civ., 9.06.1998, n.5671.
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attraverso lo spostamento di un gruppo di dipendenti, del metodo di lavoro e dell’ambito operativo
della concorrente (relativo alla rete distributiva della
stornata)23.
Infine, sulla rilevanza della qualità e sulle qualifiche
dei soggetti stornati, la Suprema Corte ha posto l’accento sul contatto che questi avevano con i clienti,
fondando la propria deduzione logica sul rapporto di
vicinanza tra questi e l’esterno dell’impresa. Oltretutto, essendo questi in possesso della lista clienti,
nonché essendo i principali attori nella rete distributiva dell’impresa, sebbene non dotati di elevate
qualifiche, doveva ritenersi pacifico come lo spostamento di una grossa parte di detti operatori avesse
arrecato di per sé danno alla capacità dell’impresa di
proporsi nel mercato.
Con tali motivazioni, la Suprema Corte ha quindi
confermato la sussistenza dello storno nel caso di
23
specie, rigettando il ricorso dell’impresa stornante.
Conclusioni
Il rigoroso giudizio della Suprema Corte si pone dunque in linea con il precedente quadro normativogiurisprudenziale, ma pone ulteriormente l’attenzione sulle considerazioni di fatto che devono spingere
l’interprete a qualificare lo storno quale illecito o
meno, secondo specifiche valutazioni caso per caso,
soprattutto tenendo conto dello stretto regime di
prova richiesto nell’intera economia del rapporto tra
le imprese concorrenti e tra le stesse e i dipendenti
interessati.
A maggior ragione, sia le imprese che i dipendenti vorranno considerare maggiormente l’utilizzo di
quegli strumenti negoziali (ad es. le policy aziendali e
i patti di non concorrenza) che possano prevenire le
ipotesi illecite disciplinando, oggi per il futuro, i limiti
tra gli atti che sono vietati e quelli che non lo sono.
Cass. civ., 9.06.1998, n.5671.
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