Configurabilità dello storno dei dipendenti come atto di concorrenza
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Configurabilità dello storno dei dipendenti come atto di concorrenza
APPROFONDIMENTI Configurabilità dello storno dei dipendenti come atto di concorrenza sleale di Piergiovanni Cervato – avvocato* La recente e rilevante sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 4 settembre 2013, n.20228, aggiorna ulteriormente lo status quo del fenomeno dello storno dei dipendenti, affrontando il giudizio di illiceità di quegli atti dell’impresa che siano finalizzati all’abbattimento dei costi di avviamento di attività complessive o di singoli rami produttivi, ma che comportino danno ai suoi concorrenti, ad esempio tramite la distrazione di risorse di personale collegate alla clientela o comunque strategiche per la zona di mercato rilevante per l’ambito di concorrenza. Massima Storno di dipendenti – atti di concorrenza sleale – scorrettezza professionale – animus nocendi Lo storno dei dipendenti di impresa concorrente rappresenta atto di concorrenza sleale laddove risulti perseguito un indebito vantaggio competitivo che crei danno al concorrente, tramite un piano di acquisizione di personale strategico soprattutto nella zona in concorrenza, destabilizzando l’organizzazione del concorrente mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti e delle conoscenze da essi acquisite. Premessa nonché delle spiccate capacità, qualità e qualifiche di quest’ultimo, mediante l’accaparramento indiscriminato dei dipendenti del concorrente (o altre figure a questi assimilabili, per tutte rimanendo quindi nel quadro del diritto costituzionale al lavoro), così da ridurre il costo d’avviamento della propria impresa e danneggiare l’altrui organizzazione, ovvero all’avvantaggiarsi di conoscenze coltivate da altri e che non potrebbero essere normalmente accessibili (furti di know-how, liste clienti, liste fornitori etc) ‒ quindi nuovamente nell’ambito concorrenziale dell’innovazione e del libero mercato. La recente e rilevante sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 4 settembre 2013, n.20228, costringe gli operatori del diritto a soffermarsi per un ulteriore aggiornamento sullo status quo dello storno dei dipendenti, tema quanto mai delicato e all’ordine del giorno, specialmente nell’attuale condizione di crisi economica in cui fioriscono gli stratagemmi aziendali finalizzati all’abbattimento dei costi di avviamento di attività complessive o di singoli rami produttivi. Risulta sempre più difficile parlare appropriatamente di “storno di dipendenti”, data la contrapposizione degli interessi costituzionalmente tutelati che sono interessati da tale fenomeno, essendo concettualmente complesso ridurre gli equilibri in gioco entro rigorosi schemi interpretativi che permettano di tutelare maggiormente l’uno o l’altro diritto e che, invece, mal si attagliano alla questione in oggetto. Ciò a maggior ragione se si considera che lo “storno di dipendenti” può essere definito come quell’azione posta in essere da un imprenditore nei confronti di un altro imprenditore concorrente (quindi teoricamente ricompresa nell’alveo del principio costituzionale di libertà della concorrenza), finalizzata all’avvantaggiarsi ingiustamente di investimenti sul personale, La contrapposizione degli interessi in gioco Gli interessi che di volta in volta si contrappongono nello storno dei dipendenti sono, in relazione alle parti sopra esaminate: per l’impresa stornante: l’interesse a veder tutelato il principio costituzionale del libero mercato (art.41 Cost.) e della libera operabilità in concorrenza per la riduzione dei costi di avviamento. Attraverso l’acquisizione di personale dei concorrenti (purché ovviamente in maniera lecita), l’impresa riuscirebbe infatti a immagazzinare il relativo bagaglio culturale e organizzativo, così da evitare ulteriori e ingenti investimenti in formazione e pianificazione aziendale, riducendo pertanto sensibilmente i costi di avviamento; Master in Diritto della Rete Università degli Studi di Padova. Si segnala che la alla stesura dell'articolo ha collaborato il Dott. Andrea Rinaldo. * 26 Il giurista del lavoro n.12/13 APPROFONDIMENTI per l’impresa stornata: l’interesse a veder tutelato il proprio investimento da malevoli distorsioni del mercato, nonché a difendersi dalle pratiche distrattive messe in opera dalle imprese concorrenti (sleali). La perdita del personale formato (sia in termini di know how aziendale sia di costi per corsi specifici di formazione) significherebbe per tale impresa dover sostenere costi ulteriori ed eccessivi rispetto a quelli che normalmente si dovrebbero sostenere nel libero mercato concorrenziale per recuperare forza lavoro. In molti casi, la situazione verrebbe aggravata altresì dal mancato ritorno dell’investimento precedentemente effettuato, in quanto la tutela del proprio “parco-dipendenti” risulterebbe un elemento strategico che si relaziona a prospettive di investimenti a lungo termine1. Non solo, l’impresa stornata avrebbe altresì una necessità di tutela legata ai propri segreti aziendali e alle proprie liste clienti; si pensi infatti al caso dello storno degli agenti viaggiatori: il danno sarebbe potenzialmente enorme; per il lavoratore: l’interesse in gioco è anche quello del lavoratore. La Costituzione, all’art.35, tutela il lavoro in tutte le sue forme, pertanto sarebbe inconcepibile limitare le libertà del lavoratore di poter scegliere dove sviluppare le proprie capacità, in assenza di appositi patti di non concorrenza debitamente stipulati. Si deve infatti tenere sempre a mente che il lavoro è la massima espressione della personalità dell’individuo. trapposti, la Suprema Corte di Cassazione ha via via individuato gli elementi tipici che debbono sussistere per qualificare lo storno, vale a dire quegli indizi di esistenza di una condotta illecita mantenuta dall’impresa stornante al fin di poter obiettivamente connaturare l’ipotesi di concorrenza sleale (art.2598 c.c.) rientrante in particolare nell’ipotesi sub 3 (ossia la residuale ipotesi della concorrenza sleale per scorrettezza professionale). I rapporti tra datori di lavoro e lavoratori sono ricompresi sotto diversi profili normativi, che disciplinano di volta in volta le diverse posizioni contrapposte rilevanti nelle varie fasi del rapporto. I profili di criticità che possono individuarsi nella fuga dei dipendenti sono molteplici e variano in base agli elementi oggetto di specifica analisi: • storno dei dipendenti; • violazione dei segreti aziendali; • concorrenza dell’ex dipendente. L’inquadramento giuridico dello storno dei dipendenti, oggetto di odierna trattazione, nonché dell’ipotesi parallela di violazione dei segreti aziendali, è contenuto e disciplinato nel codice civile, in particolare nell’ambito della concorrenza all’art.2598 c.c., n.3 (scorrettezza professionale), e n.2 (violazione di segreti aziendali). Oltre a tali fattispecie si evidenzia l’ipotesi prevista dall’art.2105 c.c., il quale impone al lavoratore un divieto di concorrenza e un obbligo di riservatezza, in ottemperanza al dovere di fedeltà che è obbligazione accessoria a quella principale di lavorare2. Da ultimo, è di interesse anche la disciplina del patto di non concorrenza ex art.2125 c.c., da stipularsi per iscritto, attraverso il quale l’imprenditore può tutelare sé stesso nei confronti del lavoratore uscente, prevedendo un obbligo di fedeltà al termine del rapporto di lavoro. A livello normativo, sono state quindi previste diverse forme di tutela del datore di lavoro originario a fronte degli interposti interessi che possono intromettersi sia in contrasto con i propri dipendenti sia in contrasto con i propri concorrenti. Pare indubbio che, nei confronti del dipendente che lasci il proprio posto di lavoro, il datore potrà infatti sentire la necessità di tutelarsi da un lato in relazione alle potenzialità concorrenti di questo, dall’altro lato nei confronti di eventuali pregiudizi scaturenti dalla divulgazione di segreti, metodi organizzativi e produttivi, prevedendo a propria difesa opportuni stru- Il contesto normativo e l’evoluzione giurisprudenziale: Cass. 4 settembre 2013, n.20228 Come può ben vedersi dalla semplice definizione “teorica” dello storno dei dipendenti, le parti interessate dallo storno stesso sono essenzialmente tre: 1. da un lato l’impresa stornante (ovvero l’impresa che cerca di accaparrarsi i lavoratori altrui); 2. dall’altro l’impresa stornata (vale a dire quell’impresa che si veda spogliata dei propri lavoratori); 3. da ultimo i dipendenti che decidano, autonomamente o meno, di passare da un’impresa all’altra. Per ogni parte esistono, quindi, degli interessi che si contrappongono e che sono al pari meritevoli di tutela, tanto da porre nell’evidenza giurisprudenziale un contrasto tra i giudicati di merito e legittimità. Visto tale necessario bilanciamento di interessi conSi pensi ad esempio alla formazione dei dipendenti sull’utilizzo di un nuovo macchinario sperimentale concesso in uso esclusivo all’azienda. La futura espansione dell’esclusiva della concessione del macchinario potrebbe rendere allettante l’assunzione da parte dei concorrenti dei dipendenti già formati, in quanto ridurrebbe i tempi e i costi di formazione in capo al concorrente stornante. 1 2 Cass. civ., Sez. I, 25 luglio 1986, n.4757. 27 Il giurista del lavoro n.12/13 APPROFONDIMENTI menti volti a comprimere (legittimamente) il libero esercizio dell’attività professionale del lavoratore. Tornando alla concorrenza sleale di cui all’art.2598 c.c., ai fini applicativi della disamina in oggetto interessano le ipotesi disciplinate sub 2 – secondo cui si produce illecito concorrenziale, tra l’altro, qualora ci si appropri di pregi dell’impresa di un concorrente – e sub 3 - secondo cui costituisce illecito di carattere generale l’avvalersi di un qualunque mezzo contrario a correttezza professionale al fine di danneggiare l’altrui azienda. In particolare, tale ultima ipotesi propone, come detto, una clausola generale legata appunto all’accertamento di un qualsiasi uso, anche indiretto, di mezzi contrari alla correttezza professionale3, attuato al fine di ottenere un diretto vantaggio a danno del competitor. La condotta deve essere dunque rilevante e idonea ad arrecare danno ingiusto al concorrente, non potendosi trascendere dalla prova in concreto dell'idoneità degli atti ad arrecare detto pregiudizio4. Ciò detto, con riferimento alla questione in oggetto si badi bene, peraltro, che non ogni azione di distrazione dei dipendenti può essere qualificata come illecito concorrenziale, altrimenti si correrebbe il rischio di un’ingiustificata responsabilizzazione oggettiva degli operatori per azioni poste in essere nel normale svolgimento delle pratiche di libero mercato e di libera circolazione del lavoro. Affinché si possa parlare dunque di concorrenza sleale, si dovranno pertanto manifestare fatti giuridicamente rilevanti, causalmente idonei a produrre un danno ovvero a indurre il pericolo di un danno. L’ipotesi di slealtà e, quindi, di illecito, necessita infatti della soddisfazione di alcuni requisiti determinati: la qualifica di imprenditore attribuibile tanto all’impresa stornata quanto all’impresa stornante; il rapporto di concorrenzialità derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale, in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune5, rilevando comunque anche il caso in cui l’azione sia compiuta dal dipendente (più volte la giurisprudenza si è pronunciata circa la corresponsabilità del datore per l’illecito di concorrenza sleale compiuto dal proprio dipendente, essendo infatti sufficiente l’esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito e il rap- porto che lega il datore al proprio dipendente6); la contrarietà degli atti alla correttezza professionale. Parte della giurisprudenza, comunque, ha affermato anche come tale ipotesi sia alle volte residuale, potendo applicarsi solo qualora non si rientri in alcuna delle fattispecie previste dai punti precedenti dell’art.2598 c.c. (nn.1 e 2)7. Risulta infatti rilevante il rapporto di contiguità tra la fattispecie esposta e l’art.2598 c.c., n.2) ‒ tra l’altro già sopra citato ‒ il quale viene in auge sia nel caso di danno prodotto da rivelazione di segreti aziendali, sia nel caso del passaggio di know-how (ad es. con l’assunzione di ex dipendenti alle dipendenze di altro imprenditore8, ovvero tramite attività concorrenziale posta in essere direttamente da ex dipendenti o collaboratori9, oppure ancora per mezzo di spionaggio industriale10); l’animus nocendi e l’idoneità a danneggiare l’altrui azienda: l’azione, come già detto, deve essere idonea, anche solo astrattamente, a danneggiare l’altrui azienda. Tale requisito non è comunque sufficiente a connaturare l’ipotesi illecita, essendo altresì richiesto l’elemento soggettivo della volontà della condotta, individuata dalla giurisprudenza nel c.d. animus nocendi, ovvero nell’intenzione e nella volontà di danneggiare l’altrui azienda in misura maggiore al normale pregiudizio conseguente all’abbandono dei dipendenti, con modalità tali da non giustificarsi in rapporto alla normale correttezza professionale11, attraverso la proposizione di azioni in grado di disgregare l’organizzazione del concorrente o che vanifichino gli sforzi e gli investimenti delle imprese avversarie. Il tutto perpetuato attraverso l’ipotesi di storno di un numero particolarmente elevato di dipendenti, o tenuto conto della qualifica dei dipendenti stornati, dando vita in tal modo a un meccanismo parassitario finalizzato all’accaparramento dell’avviamento dell’altrui azienda e arrecando ingiusto vantaggio all’impresa stornante12. Da rilevare, Trib. Torino, 14.03.2006; Trib. Mantova, 12.07.2002. Cass. civ. Sez. I, 26.11.1997, n.11859. 8 App. Roma 10.11.2008; Trib. Rimini 14.02.2007; Trib. Milano, ord., 25.01.2006. 9 Trib. Torino, 11 gennaio 2008. 10 Trib. Torino 26.02.1977. 11 Cass. civ., 23.05.2008, n.13424; Cass. civ., 07.03.2008, n.6194; Cass. civ., 22.07.2004, n.13658. 12 Cfr., tra le varie: Cass. civ., 03.07.1996, n.6079; Cass. civ., 09.06.1998, n.5671; Cass. civ., 22.07.2004, n.13658; Cass. civ., 23.05.2008, n.13424; in particolare si legga Cass. civ., 07.03.2008, n.6194: “Non può essere considerata, di per sé, illecita l’assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente, se l’operazione non viene condotta in violazione delle norme di correttezza richiamate dall’art. 2598 n. 3 c.c.; pertanto, lo storno di dipendenti può essere qualificato come atto di concorrenza sleale da parte dell’impresa concorrente solo laddove l’assunzione del 6 7 Cass. civ. Sez. I Sent., 04.06.2008, n.14793. Trib. Torino, 11.03.2008. 5 Cass. Civ. Sez. I, 22.07.2009, n.17144. 3 4 28 Il giurista del lavoro n.12/13 APPROFONDIMENTI oltretutto, come l’animus nocendi sia presunto nel soggetto stornante qualora il comportamento non possa giustificarsi alla luce dei principi di correttezza professionale13. Stante l’alea intrinseca nella delimitazione di detta condotta illecita, la giurisprudenza ha pertanto cercato di individuare elementi univoci che, qualora rilevati nella condotta dello stornante, rendano addebitabile l’illecito di concorrenza sleale, così evitando di sanzionare ipotesi completamente avulse a detta fattispecie, quali potrebbero essere lo spostamento di lavoratori avvenuto con modalità obiettivamente corrette, non dirette ad arrecare danno all’impresa sottratta dai propri dipendenti, o ipotesi assimilate14. La giurisprudenza ha quindi dapprima cercato di individuare le situazioni da sanzionare, tutelando l’impresa stornata da qualsivoglia condotta diretta a privarla del frutto del suo investimento. In tal modo, sono state biasimate: • le ricerche sul mercato di collaboratori effettuate secondo strategie dirette a creare effetti “confusori” o “screditanti” o “parassitari”, che attribuiscano ingiustamente all’impresa stornante il frutto dell’investimento altrui15; • le condotte dirette a danneggiare l’altrui impresa, che travalichino la normale e libera scelta del dipendente di lavorare per il concorrente16; • l’utilizzo indebito delle conoscenze ottenute dall’acquisizione massiva di dipendenti altrui, accedendo in tal modo al mercato prima di quanto sarebbe possibile con il solo utilizzo dei propri strumenti di ricerca e sviluppo17. Si sono pertanto individuati alcuni elementi accompagnatori dell’illecito così definito, che dovranno essere di volta in volta individuati e provati18: • numero di dipendenti stornati, che dovrà essere valutato in relazione al numero totale dei dipendenti impiegati presso l’impresa stornata; • qualifica dei dipendenti stornati, rilevando pertanto l’essenzialità del dipendente all’interno della struttura aziendale, la strumentalità di questo e le difficoltà che potrebbero intervenire nella sostituzione dello stesso; • repentinità dello storno, rilevando l’arco di tempo entro cui lo storno avviene. Si ritiene compiutamente avvenuto uno storno che, data la rapidità di tempo entro cui interviene, arrechi notevole danno all’impresa che si ritrovi a dover formare nuovamente del personale e per questo in una situazione di svantaggio concorrenziale; • volontà di indebolire e disgregare l’altrui azienda; • contestualità di dimissioni e riassunzioni; • mancato preavviso delle dimissioni da parte dei dipendenti; • standardizzazione delle comunicazioni e delle lettere di dimissioni (magari predisposte dalla stessa impresa stornante); • utilizzo in modo parassitario degli investimenti effettuati dall’altrui azienda ai fini di formare i dipendenti; • alterazione della correttezza della competizione. Analisi specifica della sentenza in commento In tale percorso evolutivo del concetto di storno dei dipendenti si è introdotta la recente e rilevante sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 4 settembre 2013, n.20228, che sostanzialmente ha ribadito quanto esposto finora, confermando ulteriormente la struttura del giudizio di illiceità della condotta concorrenziale al fine dell’accertamento dello storno vietato. Gli Ermellini hanno affrontato un caso “classico” di storno, realizzatosi mediante lo spostamento di una nutrita schiera di agenti e di segretarie dall’azienda stornata all’azienda stornante, comportante la disgregazione della struttura aziendale e della rete distributiva della prima, oltre che l’appropriazione della lista clientela della stessa. In particolare, la tesi difensiva dell’impresa stornante si basava sulla ritenuta mancata prova dello storno e, comunque, del nesso causale tra l’intervenuto passaggio di dipendenti e le potenzialità lesive alla concorrenza di detto passaggio, sostenendosi: • la mancata prova dell’effettiva assunzione dei dipendenti; personale altrui sia avvenuta con modalità tali da non potersi giustificare, alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intenzione di danneggiare l’impresa concorrente”; da ultimo si veda la recente Cass. civ., Ord., 15.06.2012, n.9836: “Costituisce concorrenza sleale a norma dell’art. 2598, n. 3, cod. civ. l’assunzione di dipendenti altrui o la ricerca della loro collaborazione non tanto per la capacità dei medesimi, ma per la utilizzazione, altrimenti impossibile o vietata, delle conoscenze tecniche usate presso altra impresa, compiuta con “animus nocendi”, ossia con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere, attesa l’esclusività di quelle nozioni tecniche e delle relative professionalità che le rendono praticabili, così da saltare il costo dell’investimento in ricerca ed in esperienza, da privare il concorrente della sua ricerca e della sua esperienza, e da alterare significativamente la correttezza della competizione”. 13 Cass. civ. 20.06.1996, n.5718. 14 Trib. Napoli 10.09.2007. 15 Cass. civ., 9.06.1998, n.5671. 16 Cass. civ., 25.07.1996, n.6712. 17 Cass. civ., 3.07.1996, n.6079. 18 Tra le tante pronuce in materia, si segnalano, Cass. 16.05.1983, n.3365; Trib. Milano 15.06.1989; Trib. Torino 16.01.2009. 29 Il giurista del lavoro n.12/13 APPROFONDIMENTI • l’esiguo numero dei dipendenti stornati, dato che nelle more dello storno per alcuni dipendenti si erano accavallate le dimissioni con il licenziamento disposto da parte dell’impresa stornata; • l’esatta computazione dell’arco di tempo entro cui questi venivano stornati; • la mancata prova delle qualifiche e dell’esperienza dei dipendenti; • la rapida ricostruzione della rete distributiva della concorrente stornata; • la contraddittorietà del giudizio di infungibilità dei dipendenti. La Cassazione, confermando il principio preliminare secondo cui la concorrenza illecita per scorrettezza professionale (art.2598 c.c., n.3) non può oggettivamente desumersi da ogni fattispecie di passaggio di collaboratori tra imprese, o dalla contrattazione intrattenuta alla base del passaggio suddetto, in quanto tali attività sono espressione della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica19, dovendo sussistere entrambi gli elementi soggettivi della consapevolezza dell’idoneità lesiva dell’atto posto in essere e dell’intenzionalità della messa in opera dell’atto medesimo (animus nocendi), realizzati attraverso la predisposizione di atti direttamente ed immediatamente rivolti a ridurre l’efficacia concorrenziale dell’operatore opposto20, ha affrontato (e rigettato) punto per punto la complessiva linea di difesa dell’impresa stornante. Sulla ritenuta mancata prova dello storno, la Suprema Corte è intervenuta rapidamente con una soluzione strettamente processuale, poiché sebbene parte attrice non avesse in primo grado portato precise prove a proprio supporto circa l’effettività del passaggio dei dipendenti tra le imprese, questo era comunque desumibile dagli scritti processuali nei quali si affermava che un certo numero di dipendenti era certamente stato coinvolto nel passaggio e ciò non era stato oggetto di specifica contestazione entro il termine di preclusione processuale (principio di non contestazione). Circa l’arco di tempo entro cui era avvenuto il passaggio, nonché del numero di dipendenti stornati, la Cassazione non si è discostata dal necessario requisito della repentinità del passaggio di un numero elevato di dipendenti, affermando come fosse irrilevante l’esatto numero di mesi (uno o due) entro cui lo storno era avvenuto, così come fosse altrettanto irrilevante la variazione di un’ulteriore unità di di19 20 pendenti stornati, qualora comunque l’insieme di tali elementi fosse idoneo a destabilizzare l’organizzazione aziendale, provocando altresì una lesione al potenziale concorrenziale dell’azienda stornata. Quanto alla percentuale dipendenti stornati rispetto ai dipendenti totali, la Corte ha rilevato che il danno risultasse perfettamente rilevabile nel caso in cui, su un impiego complessivo inferiore alle trenta unità, fosse stato spostato un numero di dipendenti pari a quattro-cinque unità. Circa l’elemento della rapida ricostruzione della propria rete distributiva da parte dell’impresa stornata, l’ipotesi sostenuta dall’impresa stornante secondo cui, in tal caso, non si sarebbe prodotto alcun danno, visto che non si era concretizzata una diminuzione dell’effettivo confronto concorrenziale tra le imprese, è stata completamente disattesa dal giudice di legittimità, poiché tale ipotesi è stata ritenuta del tutto ininfluente ai fini della rilevabilità della concorrenza sleale. L’impresa stornata, infatti, “per un certo periodo di tempo non è stata in condizione di concorrere validamente sul mercato, in ragione dello smembramento dei propri uffici di distribuzione subendo pertanto un pregiudizio concorrenziale”. Sull’asserita mancanza di prove circa la sussistenza di una violazione della norma generale di correttezza professionale, la Corte ha rilevato come l’elemento decisivo al fine della rilevazione della sussistenza della concorrenza sleale non andasse rilevato nelle mere aggressive e scorrette condotte di contatto dei dipendenti, bensì nell’intenzionalità di compiere tale atto con il precipuo scopo di danneggiare l’altrui azienda21, qualora potessero sussistere gli elementi chiave della: • qualità e qualifiche dei soggetti stornati, • portata complessiva dell’impresa concorrente, • posizione dei dipendenti stornati, • scarsa fungibilità dei dipendenti, • rapidità dello storno, • parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante. Elemento rilevante, a detta della Corte, era il risultato conseguito dell’indebito vantaggio competitivo, che avesse permesso di beneficiare illecitamente degli investimenti fatti dal concorrente22. Il comportamento dell’impresa stornante deve pertanto valutarsi a monte, alla luce degli obiettivi di appropriazione, Cass. civ., 9.06.1998, n.5671. Cass. civ., Sent., 8.06.2012, n.9386; Cass. civ., 23.05.2008, n.13424. 21 22 Cass. Civ., 22.07.2004, n.13658. Cass. civ., 9.06.1998, n.5671. 30 Il giurista del lavoro n.12/13 APPROFONDIMENTI attraverso lo spostamento di un gruppo di dipendenti, del metodo di lavoro e dell’ambito operativo della concorrente (relativo alla rete distributiva della stornata)23. Infine, sulla rilevanza della qualità e sulle qualifiche dei soggetti stornati, la Suprema Corte ha posto l’accento sul contatto che questi avevano con i clienti, fondando la propria deduzione logica sul rapporto di vicinanza tra questi e l’esterno dell’impresa. Oltretutto, essendo questi in possesso della lista clienti, nonché essendo i principali attori nella rete distributiva dell’impresa, sebbene non dotati di elevate qualifiche, doveva ritenersi pacifico come lo spostamento di una grossa parte di detti operatori avesse arrecato di per sé danno alla capacità dell’impresa di proporsi nel mercato. Con tali motivazioni, la Suprema Corte ha quindi confermato la sussistenza dello storno nel caso di 23 specie, rigettando il ricorso dell’impresa stornante. Conclusioni Il rigoroso giudizio della Suprema Corte si pone dunque in linea con il precedente quadro normativogiurisprudenziale, ma pone ulteriormente l’attenzione sulle considerazioni di fatto che devono spingere l’interprete a qualificare lo storno quale illecito o meno, secondo specifiche valutazioni caso per caso, soprattutto tenendo conto dello stretto regime di prova richiesto nell’intera economia del rapporto tra le imprese concorrenti e tra le stesse e i dipendenti interessati. A maggior ragione, sia le imprese che i dipendenti vorranno considerare maggiormente l’utilizzo di quegli strumenti negoziali (ad es. le policy aziendali e i patti di non concorrenza) che possano prevenire le ipotesi illecite disciplinando, oggi per il futuro, i limiti tra gli atti che sono vietati e quelli che non lo sono. Cass. civ., 9.06.1998, n.5671. 31 Il giurista del lavoro n.12/13