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La navigazione nel Medioevo

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La navigazione nel Medioevo
LA NAVIGAZIONE
NEL MEDIOEV
LE GALEE
Per la prima tipologia il caso più tipico e diffuso è costituito dalla
galea, caratterizzata, appunto, dall'utilizzazione come mezzo
propulsivo dei remi, accanto a una velatura un po' semplice cui si
ricorreva per i tratti lenti e in occasione di venti favorevoli, anche
per far riposare l'equipaggio. La galea si distingueva nettamente dal
veliero — o, per usare un termine dell'epoca, dalla «nave tonda» —
anche per la forma dello scafo, molto allungata e assai bassa sul
livello del mare. Si comprende facilmente che una forma di tal
genere favoriva la velocità ma permetteva una limitata capacità di
carico; l'alto numero dei rematori, inoltre, portava via molto spazio,
sia per la loro stessa presenza, sia per la necessità di caricare viveri
ed acqua in quantità corrispondenti. Perciò le imbarcazioni di questo
tipo erano utilizzate prevalentemente per la guerra, la pirateria e la
corsa, nonché per il trasporto di merci pregiate, che occupavano
cioè poco posto in rapporto al loro valore, come il pepe o le spezie.
I convogli italiani di galee furono a lungo, nel XIV e XV secolo, il
principale strumento impiegato, soprattutto da Venezia e da
Firenze, dopo ch'ebbe conquistato Pisa e acquistato Livorno agli
inizi del XV secolo, nei regolari collegamenti con l'Inghilterra e
con le Fiandre, con scalo principale a Lisbona. Insieme alle navi
genovesi e catalane i convogli di galee assicurarono un contatto
diretto via mare con queste grandi aree commerciali, di grande
importanza, soprattutto, ma non esclusivamente, per la lana. Ma
si trattava fondamentalmente di una navigazione lungo costa.
LA GALEA
In combattimento, la rapidità di manovra delle galee ne faceva la
componente essenziale delle flotte da guerra, anche se una volta
avvenuto l'abbordaggio, la parola decisiva passava allo scontro corpo a
corpo. Anche la scoperta e la diffusione delle armi da fuoco non
modificarono questo dato; infatti le galee furono ancora, almeno nel
Mediterraneo, utilizzate in modo quasi esclusivo per la guerra,
nonostante i limiti di impiego dei cannoni: ad esempio, la famosa
battaglia di Lepanto del 1571 fu ancora un grande scontro di galee.
Rispetto alle imbarcazioni antiche le differenze più importanti possono
essere individuate nelle tre seguenti. L'uso di uno sperone, diverso
dall'antico rostro (che, già scomparso nei dromoni, era semisommerso a
prora per colpire lo scafo avversario nell'opera viva), collocato in alto a
prora, spesso con una scultura, a forma di cuspide, impiegato per
spezzare remi e sovrastrutture dell'imbarcazione attaccata. Il
posticcio, vale a dire una sorta di cornice lungo le due fiancate della
nave, sporgente sull'acqua, utile a offrire un fulcro più avanzato ai remi,
legati a scalmi fissati su di esso, e costituire dei camminamenti per
arcieri, balestrieri, armati in genere; questi posticci erano protetti da
scudi e pelli appesi. Infine, occorre ricordare che, a differenza delle
antiche biremi e triremi, nelle galee medievali si remò sempre su una
sola fila di banchi: quando nelle fonti veneziane si trova l'indicazione
«bireme» o «trireme» si deve dunque intendere «a due rematori per
banco» o «a tre rematori”.
LA BATTAGLIA DI LEPANTO
LEGA SANTA
VENEZIA
AGOSTINO BARBARIGO
150 GALEE
SPAGNA
VENEZIA
DON JUAN D’AUSTRIA
SEBASTIANO VENIER
E MARCANTONIO COLONNA
79 GALEE
GENOVA
GIANANDREA DORIA
12 GALEE
VS
IMPERO OTTOMANO
AMMIRAGLIO
ULUC ALI’
MANOVRA DI GIANANDREA DORIA
COMANDANTE IN
CAPO MEHMET
ALI’
AMMIRAGLIO
MEHMET SOLA’
LA SAETTA
Nella tipologia della galea
rientravano altre imbarcazioni,
differenti per grandezza o per
funzione.
Così, ad esempio, gli uscieri,
impiegati per il trasporto dei cavalli,
le saette, piccole e veloci galee,
molto apprezzate da pirati e corsari, i
legni, piccole imbarcazioni a remi
impiegate per il cabotaggio e le
operazioni di carico e scarico nei
porti.
Galee da mercato, Galeazze e Galeoni
Col tempo, e particolarmente a Venezia, si cercò di ampliare le
capacità di carico, aumentando le dimensioni e la stazza:
nacquero così le galee da mercato. Nel Cinquecento anche le
galee da combattimento furono ingrandite fino alla massima
possibilità del tipo: a Lepanto giocarono un ruolo importante le
galeazze, tanto grandi e poco mobili da dover essere
rimorchiate, ma dotate di una notevole capacità e precisione di
fuoco. Quanto ai galeoni, invece, non ci si deve far ingannare dal
nome: così erano infatti denominati i grossi velieri oceanici che in
età moderna facevano la spola tra l'America e la Spagna.
LA GALEA DA MERCATO
LA GALEAZZA
IL GALEONE
Le Gondole
A remi, naturalmente, erano mosse anche le gondole impiegate per
il trasporto costiero a piccolo raggio e, accanto a legni e barche,
anche per la pesca lungo i litorali. Esse non erano allora esclusive
della laguna veneta: le troviamo, infatti, anche a Pisa, dove
assicuravano fino agli inizi di questo secolo i collegamenti via
canale con i Bagni di San Giuliano, e a Barcellona, dove le gondole
figurano, accanto ai legni e alle barche, tra le piccole
imbarcazioni che animavano la sua ribera.
LA GONDOLA
Le Navi Tonde
Quanto alle navi tonde, molto spesso registrate nelle fonti col
semplice nome di navis, nef in francese, nau in catalano e
provenzale, pur mantenendo sempre una forma molto panciuta e
rotonda, generalmente molto alta sul mare, a scapito della
velocità e in vista di una grande capacità di trasporto, va detto
che questo tipo conobbe un'evoluzione anche maggiore. Nel XII
e XIII secolo le navi erano già caratterizzate dall'uso di vele
triangolari, dette «latine». Almeno in teoria, l'uso delle vele
latine doveva consentire una maggiore capacità di stringere il
vento navigando di bolina. Queste navi potevano avere uno o due
ponti e uno, due o anche tre alberi. Questione difficile, per tutti
i tipi di imbarcazione, è poi quella di definire esattamente la
capacità di carico, cioè il tonnellaggio; a causa delle diversità
temporali e spaziali dei dati documentari — del resto abbastanza
rari —, le cifre offerte dagli studiosi variano in misura notevole.
Tuttavia è certa la tendenza del XIII secolo alla costruzione di
navi da carico sempre più grandi, tanto che, alla fine del secolo,
c'erano navi tanto grandi da non poter entrare nel porto di
Venezia; ed è significativo che all'inizio del Duecento gli
ordinamenti marittimi veneziani si preoccupassero di fissare
misure minime, mentre alla fine dello stesso secolo si pensò
piuttosto a porre dei limiti massimi.
LE NAVI TONDE
La Roccaforte e la Tarida
Di almeno una nave del Duecento, abbastanza grande e a due
ponti, chiamata Roccaforte, conosciamo con precisione le
dimensioni: era lunga più di 38 metri e larga più di 14, alta 9,3
metri a metà dello scafo e quasi 14 metri sotto i due alti castelli
di prora e di poppa. Si è calcolato che avesse una stazza netta
(capacità di carico) di 600 tonnellate, e un dislocamento (peso in
assetto di navigazione) di 1.200. Ma conosciamo navi medievali
con stazza superiore alle 1.000 tonnellate, anche se si trattava
certamente di eccezioni, appunto come tali talora ricordate. La
maggior parte dei velieri da trasporto si collocava tra le 150 e le
500 tonnellate di stazza. Più bassa sul mare, a un solo ponte, a
due alberi e a fondo più piatto era la tarida, veliero da carico
usato per le merci più economiche, con un discreto tonnellaggio.
Tuttavia — e ciò spiega la diversa opinione di alcuni studiosi —
bisogna ricordare che in epoca più antica e in alcuni luoghi era
così indicata anche un'imbarcazione a remi, simile alla galea ma
più piatta ed adatta anche per il trasporto dei cavalli. Nelle fonti
catalane troviamo taride a un ponte, a due ponti e «taride
grandi». Sappiamo anche che a Venezia, all'inizio del XIV secolo,
molte taride furono trasformate con l'aggiunta di ponte e un
conseguente aumento dell’altezza sull’acqua: si cercava di
adattare il tipo alle novità apparse con la cocca.
Da un'unica vela erano poi mosse le piccole barche, che
caratterizzavano l'intenso traffico di cabotaggio, dovuto pure
alle difficili comunicazioni terrestri tra centri anche vicini, ma
che potevano altresì, con tre o quattro uomini di equipaggio
solamente, rappresentare una non insignificante percentuale del
naviglio che assicurava, ad esempio, le comunicazioni tra la costa
toscana e la Sardegna. Piccole imbarcazioni a vela erano anche i
buci dell'Adriatico.
LA COCCA
La grande innovazione del XIV secolo fu costituita dalla
diffusione della cocca. Secondo il famoso cronista fiorentino
Giovanni Villani, in genere attendibile, la sua diffusione sarebbe
legata a un fatto preciso avvenuto nel 1304. Secondo il cronista,
dunque, i vantaggi della cocca consistevano in una minor
grandezza, in un minor costo di costruzione e in una maggior
sicurezza, legata, si può pensare, a una maggiore manovrabilità. I
documenti sembrano confermare queste indicazioni, almeno per il
Mediterraneo occidentale, anche se la distinzione con la nave non
era sempre facile e si potevano avere tipi misti: un documento
veneziano del 1312 parla di «una nave che è chiamata cocca», un
documento pisano posteriore di qualche decennio di una «nave
alberata al modo di una cocca»; nei registri delle dogane del
porto di Cagliari, accanto alle navi e alle cocche, si trova spesso
la registrazione di una nau-coccha ed anche quella di una «cocca
baionesa». Comunque questo veliero si caratterizzava per l'uso di
una vela quadra sull'albero maestro, spesso unico, e per l'impiego
del timone unico incernierato a poppa.
Pare che la maggior maneggevolezza permettesse alla cocca di
utilizzare, a parità di carico, un numero minore di marinai. Un
ordinamento genovese del 1403 fissava numero e ruolo degli
uomini dell'equipaggio in relazione alla portata della nave: la
cocca di massima capacità, attorno alle 1.000 tonnellate, doveva
avere ottanta uomini di equipaggio, di cui quarantaquattro
marinai, quindici alabastrieri e ventuno serventi (famuli), mentre
una cocca attorno alle 500 tonnellate doveva avere sessanta
uomini, di cui trentaquattro marinai, dieci alabastrieri e diciotto
serventi. Nel Quattrocento, mentre la cocca tendeva a
scomparire, si ebbe un ritorno alle grandi navi, dotate ormai di un
sistema di velatura complesso, con la vela quadra su un grande
albero maestro, una vela ugualmente quadra sull'albero
di trinchetto, cioè di prua, e una vela latina sulla mezzana, cioè
sull'albero più vicino alla poppa. Per quanto il termine più
frequente sia quello di «nave», troviamo anche il nome caracca,
peraltro di diffusione soprattutto atlantica.
LA COCCA
LA CARACCA
 Il Kogge
La stessa probabile etimologia del termine cocca sembra
rimandare al nome tipico delle navi a vela atlantiche e del Mare
del Nord, kogge. Uno scafo è stato recentemente (1962) recuperato a Brema dal fango del fiume Weser; l'imbarcazione,
probabilmente mai arrivata a navigare, ma strappata prima dal
mare per una gran tempesta e poi risospinta nel fiume da una
forte marea, è datata intorno al 1380. Le sue dimensioni sono
6,45 di larghezza, 15,60 di lunghezza di carena, 23,23 di
lunghezza della coperta, 23 di lunghezza «fuori tutta». Il
timone era certamente unico e poppiero, come già appare in uno
dei sigilli inglesi del Duecento, i quali ci attestano anche
l'assoluto predominio della vela quadra. Già nella stessa epoca
appaiono — elementi nuovi — i due grandi castelli di prora e di
poppa, in qualche caso costruzioni smontabili, in altri fissati in
modo stabile e sporgente sull'acqua. Per aiutare la grande vela
dell'albero maestro — ancora unico nel XII secolo —, su questi
castelli saranno montati due piccoli alberi, uno a poppa e uno a
prua, in modo da ottenere quella manovrabilità che la grande
vela quadra a lacci verticali non poteva assicurare a uno scafo
così arrotondato.
Nel Trecento e nel Quattrocento parti laterali delle vele
erano costituite da pezzi di tela, uniti alla vela centrale, di
suo legata in alto e in basso all'albero da bottoni di legno;
quando il vento era troppo forte, queste venivano tolte per
garantire la sicurezza della nave se sospinta da un
eccezionale vento di poppa. Si trattava del processo opposto
a quello oggi usato di ingrandire una vela normalmente piccola
e che compare nelle miniature di navi anglonormanne della
fine del XIV secolo senza però poi affermarsi. Velieri di
questo tipo assicuravano i grandi traffici tra il Golfo di
Guascogna e i mari settentrionali; imbarcazioni più piccole, ma
sempre a vela, svolgevano, invece, un'intensa attività di
cabotaggio lungo le coste francesi e tra la Francia e
l’Inghilterra.
IL KOGGE
La Caravella
Piccola, maneggevole, più bassa sul mare, di forma
allungata, manovrabile da un piccolo equipaggio e
quindi bisognosa di poche riserve, dal pescaggio
limitato e pertanto adatta ai fiordi nord-occidentali
della penisola iberica come agli estuari dei grandi
fiumi africani, con le sue due o tre vele latine e quindi
più adatta a rimontare, entro una certa misura, il
vento, la caravella è stata giudicata dallo storico
francese Pierre Chaunu lo strumento perfetto del
viaggio di scoperta.
LA CARAVELLA
I viaggi di Cristoforo Colombo
Colombo, com'è noto, nel suo primo viaggio «americano» del 1492,
accanto a una piccola nau, la Santa Maria (nave da carico),
utilizzò due caravelle, la Nina e la Pinta, non senza aver cambiato,
durante la sosta alle isole Canarie, la velatura della Nina da latina
in quadra col fine di sfruttare i venti costanti di poppa, gli alisei,
di cui conosceva evidentemente l'esistenza. Nel suo diario di
bordo l'Ammiraglio delle Indie riconosce una superiorità velica
alle caravelle, di cui si serviva anche per un'esplorazione
preventiva delle coste ignote che veniva scoprendo: tuttavia, uno
scoglio molto al largo e la disattenzione di un mozzo di guardia
provocarono il naufragio della Santa Maria, davanti alle coste
settentrionali di Haiti, la notte di Natale dello stesso 1492.
Decisamente inadatte alla navigazione atlantica di altura erano
invece le galee, così basse sul mare a cospetto dell'altezza delle
onde atlantiche, che misero del resto a durissima prova, vicino
alle Azzorre, anche le due superstiti caravelle di Colombo e di
Vicente Pinzón. Lo si vide in occasione dell'ardita impresa di
esplorazione senza ritorno compiuta, appunto, con galee, nel
1291, dai due fratelli Vivaidi, anch'essi genovesi, forse lungo
l'Africa, forse a occidente, oltre le Canarie. Di loro non si seppe
più nulla.
LA NINA
LA PINTA
LA SANTA MARIA
I 4 viaggi di Cristoforo Colombo
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