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II obiezioni Mersenne-Cartesio

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II obiezioni Mersenne-Cartesio
SECONDE OBIEZIONI
Il circolo di padre Mersenne
1) p. 117:
“non avete voi stesso negato
di essere un corpo?”
Il dubbio della prima meditazione non
si basa forse solo su una
“finzione della mente”?
“avete detto di essere una cosa che
pensa; ma sapete veramente cosa
vuol dire?
Non potrebbe essere che siate
anche un corpo che si muove?
Cartesio risponde (p. 123):
“nella prima meditazione mi
preoccupavo di dire solo ciò che
conoscevo allora di me stesso in
modo certo e sicuro”
“all’inizio mi sono preoccupato di
mettere in dubbio in modo particolare
le cose corpore: bisogna rifletterci
sopra con calma, senza fretta”
“occorre allontanare la mente dai
sensi, per ben intendere le cose
immateriali e metafisiche”
Quanto al problema se un corpo
possa pensare, ne ho parlato nella
sesta meditazione, dove ho chiarito
che si possono intendere il corpo e la
mente come due cose distinte.
2) p. 118
Mersenne chiede a riguardo della
seconda meditazione:
“Da dove viene l’idea di un essere
perfettissimo?
Non potrebbe venire dall’estendere il
grado di perfezione che è in voi fino
all’infinito?”
Inoltre, come a accade per gli effetti
della natura, dove ci sono tante
cause parziali, non potrebbe esserci
nell’effetto qualcosa di più di quel che
è contenuto in ogni singola causa
parziale? Perché non potrebbe
essere un puro essere di ragione
(un’idea) non più nobile di chi la
concepisce?
E ancora:
non è forse vero che alcune tribù
primitive non hanno tale idea?
Non potrebbe derivare da
un’operazione dell’intelletto che
ragiona, al pari dell’idea di un
numero o di una linea infiniti che non
possono esistere in realtà?
Cartesio risponde (p. 127):
Anzitutto: anch’io ho detto che tale
idea si trova in me (idea innata) e
non mi viene dai sensi;
ma non si può spiegare con delle
cause parziali: l’esempio degli effetti
della natura non vale, perché
nessuna di quelle cause è causa
totale dell’effetto.
Quando dite che l’idea di Dio è un
essere di ragione,
non è vero se intendete che non
corrisponde a qualcosa che esiste in
effetti,
ma solo se lo intendete come
qualcosa che riconosco a partire
dalla mia ragione.
Quando ricerco la causa di tale idea,
mi riferisco alla realtà obiettiva di tale
idea,
al pari di quella dell’idea di una
macchina complicata che richiede un
artigiano altrettanto abile.
“Dal nulla non può procedere nulla” “La
causa deve essere proporzionata
all’effetto”:
è una “nozione prima”
Anche se dicessi che mi è derivata
da altri o dai libri,
rimane sempre il problema da dove
può essere venuta all’inizio.
Anche se dite che ci sono dei
primitivi che non hanno tale idea,
posso rispondervi che hanno tuttavia
degli idoli, e quindi “negano il nome,
ma non la cosa”
E a proposito del numero infinito,
Cartesio ribatte: anche questo
esempio dimostra non che esiste un
tale numero o che è impossibile, ma
piuttosto che tendo sempre
all’infinito. Questa tensione non può
essere spiegata solo da me stesso,
ma da qualche essere più perfetto di
me.
Dio rimane anche per me
“inconcepibile”, se si intende quella
conoscenza piena che ci faccia
conoscere tutto quello che in lui; ma
non nel senso che noi possiamo
averne una conoscenza imperfetta,
che basti a farci conoscere la sua
esistenza.
3) p. 119:
Mersenne torna sul problema del
rapporto tra l’evidenza e l’esistenza
di Dio:
come potete dire di essere una cosa
che pensa, prima di dimostrare
l’esistenza di Dio,
se dite che non si può essere sicuri
di nulla se Dio non esiste?
E inoltre:
un ateo non sa anche lui che gli
angoli di un triangolo sono uguali a
due retti,
anche se nega che esista Dio?
Cartesio risponde con forza:
come ho detto nelle meditazioni, io
mi riferivo alla scienza, ossia alla
conoscenza che deriva dai princìpi e
richiede l’uso della memoria. In tal
senso osservavo che non si può
avere scienza se non si sa anche
che Dio esiste e che non è
ingannatore.
Altra cosa la conoscenza dei primi
princìpi, come appunto il cogito.
Sbaglia chi pensa si tratti di un
sillogismo: non deriva da altre
premesse più generali, ma piuttosto
“da una semplice intuizione della
mente”
Ognuno di noi sente in se stesso
che in nessun modo può pensare se
non esiste.
Da questo fatto particolare, noi
formiamo l’affermazione generale,
come sempre accade nella nostra
conoscenza.
Quanto all’obiezione dell’ateo che
l’infinito escluderebbe il finito (p.
119), gli si può rimproverare che lui
ha già detto di non conoscere
veramente l’infinito;
di solito l’infinito non lo si intende
così; anzi: a che servirebbe l’infinita
potenza di Dio se non a creare il
finito?
4) p. 120: Mersenne incalza:
ma perché dite che Dio non ci
inganna? Non si dice forse anche
nella Scrittura che Dio ha tratto in
inganno il faraone?
Siete così sicuro poi che la vostra
natura non vi inganni? Perché dite
che è vero quel che conoscete in
modo chiaro e distinto?
Cartesio ribatte (p. 134):
Per quanto riguarda la Scrittura, tutti
conoscono che il linguaggio
adoperato si adatta a coloro ai quali
si rivolge; questo non fa problema. Io
ho parlato piuttosto della malizia di
chi inganna per il gusto di ingannare:
proprio questo non può esserci in
Dio.
Quanto al possibile inganno che
derivi dalla nostra natura, Cartesio
ribatte con forza:
“per quanto riguardo i nostri giudizi
chiari e distinti,
non possiamo essere ingannati:
Dio è non solo l’essere supremo, ma
anche il bene sommo e la verità più
piena”
Cartesio riprende in sintesi il proprio
discorso:
nelle cose che la mente concepisce
in modo chiaro e distinto, ve ne sono
alcune di così semplici che è
impossibile pensare ad esse senza
crederle vere.
Ad esempio: “io esisto quando
penso”: sono verità percepite dal
solo intelletto.
A partire da tali verità colte
dall’intelletto, il ragionamento passa
alle conseguenze:
è qui che diventa necessario sapere
che Dio esiste, perché
solo così possiamo essere sicuri che
quel che abbiamo conosciuto in
precedenza sia vero.
Un conto è l’immediatezza del cogito,
un conto il ragionamento.
6) p. 121: Mersenne passa alla
quarta meditazione:
non è troppo pretendere che la
volontà abbracci solo quello che
l’intelletto vede in modo chiaro e
distinto?
Non ci sono molte cose nella vita che
sono importanti anche se non
possono raggiungere quell’evidenza
che vorreste?
Cartesio risponde (p. 139):
non c’è affatto motivo di stupirsi di
quello che ho detto, perché ognuno
sa che la volontà deve lasciarsi
guidare dall’intelletto.
Quanto alle verità di fede, un conto è
l’oscurità del contenuto, un conto i
motivi per cui credo: questi devono
essere conosciuti in modo chiaro e
distinto.
L’evidenza che guida la volontà può
inoltre essere di due tipi:
quella del lume naturale,
oppure quella della grazia divina.
Tuttavia, se un infedele credesse
senza che l’una o l’altra lo spingesse
a credere, non diverrebbe così un
credente, ma peccherebbe perché
non si serve come deve della sua
ragione.
Cartesio ricorda infine che ha
sempre distinto tra l’uso della vita e
la contemplazione della verità:
sul primo piano valgono le regole
della morale provvisoria;
mentre sul secondo, occorre
sospendere il giudizio sulle cose
nelle quali non si è raggiunta
sufficiente chiarezza.
6) p. 121: Mersenne passa alla
quinta meditazione e incalza:
nell’argomento a priori, non avreste
dovuto dire che “appartiene alla sua
essenza di esistere”, ma piuttosto
che “possiamo affermare con verità
che appartiene alla sua essenza di
esistere”
E allora la conclusione avrebbe
dovuto essere: “Posto che la sua
essenza sia possibile, allora Dio
deve esistere”
Ecco perché alcuni dicono:
“Se non è impossibile che Dio esista,
allora è certo che Dio esiste. Chiarita
la premessa, posso arrivare alla
conclusione, cioè affermarne
l’esistenza”.
Cartesio ribatte (p. 140):
se l’argomento fosse come l’hai
detto, sarebbe un’inutile ripetizione
della premessa;
io ho detto invece:
“quel che vedo in modo chiaro e
distinto appartenere all’essenza di
qualcosa, posso affermarlo con verità
di quella cosa”, e non solo
“dell’essenza di quella cosa”
Per questo ho concluso:
Dio esiste,
e non solamente: “alla sua essenza
appartiene di esistere”
Il discorso che fate dopo parte dalla
condizione che lo si possa affermare
di quella cosa, posto che la sua
essenza sia possibile.
Qui il problema si complica, perché
la possibilità è di due tipi:
il primo tipo è la possibilità logica,
ossia l’assenza di contraddizione; il
secondo tipo è la possibilità che
pensate nell’oggetto stesso, ossia
una forza che lo faccia esistere.
Nell’argomento che proponete si
nasconde quindi un sofisma:
“se non è impossibile che Dio esista”
vuol dire due cose:
nella premessa maggiore, vuol dire
che nessun’altra causa è in grado di
produrre Dio;
nella minore, che Dio non è
impossibile perché la sua natura non
è contraddittoria.
Ecco perché basta l’argomento che
io ho proposto: per capire che la
natura di Dio è qualcosa di possibile,
basta guardare all’idea chiara e
distinta che ne abbiamo, anche se
parziale:
l’essenza di Dio comprende
necessariamente l’esistenza.
7) Una difficoltà anche per la sesta
meditazione (p. 122): Mersenne
osserva: ci sembra che non abbiate
dimostrato ancora l’immortalità
dell’anima.
La distinzione tra l’anima e il corpo
non ci sembra sufficiente per dire che
l’anima è immortale.
Cartesio risponde (p. 142):
A riguardo dell’immortalità dell’anima
ho stabilito quel che la ragione
umana poteva dire, ossia che lo
spirito è cosa diversa dal corpo e che
è sostanza;
proprio perché diversa dal corpo, non
abbiamo motivo di pensare che
possa perire con il venir meno del
corpo.
Ma questo, aggiunge, non toglie che
possa essere annullata
dall’onnipotenza di Dio;
Su questo problema spetta solo a
Dio rispondere.
E dato che la rivelazione ci ha detto il
contrario, non abbiamo più alcun
motivo di dubitare dell’immortalità
dell’anima.
Da ultimo, Mersenne chiede a
Cartesio di riesporre le sue
meditazioni in ordine geometrico. E
Cartesio acconsente, non senza aver
prima chiarito l’intento delle sue
argomentazioni.
Al riguardo, possiamo prendere poi
in esame il contributo di Berti sul
metodo di Cartesio.
Cartesio risponde:
un conto è l’ordine, un conto la
maniera di dimostrare.
Ho sempre seguito l’ordine
geometrico, che consiste proprio
nel ragionare passo dietro passo,
così che quel che s’è detto prima
serva a dimostrare quel che segue.
Un esempio di come ho seguito
l’ordine geometrico:
ho parlato della distinzione tra la
mente e il corpo solo nella sesta
meditazione,
e non all’inizio,quando ho stabilito la
realtà del cogito
Ci sono però
due maniere di dimostrare: l’analisi,
che ci permette di arrivare a priori,
ossia a partire dalle ragioni che ci
aiutano a scoprire la verità;
la sintesi, che vi arriva
a posteriori, a partire dagli effetti,
ossia da princìpi già scoperti da cui si
ricavano le conseguenze.
La sintesi serve per convincere:
ci fa accettare le conseguenze,
se abbiamo accettato le premesse.
Negli Elementi di Euclide
troviamo la sintesi,
ossia la dimostrazione con postulati,
teoremi, corollari
.
C’è però una differenza:
in geometria i princìpi
sono evidenti e accettati dai più;
in metafisica la cosa più difficile sono
appunto i princìpi:
è necessario ripercorrere tutta la
strada che conduce ai princìpi,
altrimenti si rischia di non
comprenderli veramente.
Non c’è tuttavia problema:
basta riesporre tutto in forma
sintetica, così che si possa
abbracciare tutto il ragionamento.
Cartesio procede così con definizioni
(dieci), postulati (sette), assiomi
(dieci), per passare poi ai teoremi
(proposizioni) (quattro) con relative
dimostrazioni.
Nelle quattro proposizioni (teoremi) si
parla dell’esistenza di Dio (le prime
tre) e della distinzione dell’anima dal
corpo.
Si incomincia dalla prova a priori, per
passare poi alle prove della terza
meditazione.
Il discorso è utile come sintesi
del ragionamento di Cartesio.
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