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I gesti religiosi - DIOCESI di Padova

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I gesti religiosi - DIOCESI di Padova
I gesti religiosi
Le diverse posizioni delle mani
• La mani hanno un alto potere espressivo,
attraverso i gesti che compiono è facile
riconoscere i sentimenti della persona a cui
appartengono, esse costituiscono un
prolungamento della sua intimità.
• Possono muoversi con dolcezza, o in maniera
concitata mentre parliamo, o anche restare quiete
mentre si ascolta l’altro; stando chiuse a pugno
indicano la rabbia o il rifiuto di chi ci sta davanti;
tenute aperte trasmettono accoglienza,
disponibilità.
• Le mani non servono soltanto per
accompagnare il linguaggio, ma
esse stesse hanno una capacita
comunicativa e con linguaggio
non verbale sono capaci di
esprimere sentimenti, idee, o
manifestare un’intenzione:
• “Nella vita sociale tutti riusciamo a capire la
‘grammatica’ delle mani che si tendono per
chiedere, che minacciano, che fermano il
traffico, che salutano, che si alzano a pugno
chiuso, che indicano con le dita la V della
vittoria, che stringono in silenzio la mano della
persona amata, che si aprono all’amico, che
offrono un regalo, che disegnano nell’aria un
congedo..”.1
• 1Adazabal J., Gesti e simboli...., op. cit. p. 94.
• Il linguaggio delle mani costituisce,
come nella vita di tutti i giorni, il
discorso più espressivo anche nella
preghiera o all’interno della
celebrazione liturgica. La liturgia si
svolge anche attraverso i gesti delle
mani, mani che offrono, che mostrano,
che ricevono, che si tendono verso il
fratello e che si alzano fiduciose a Dio.
Pregare con le mani alzate
• Pregare innalzando le mani al cielo era un
gesto consueto sia per gli Ebrei (Lamen. 3,41;
Sal. 140,2) che per i pagani. I cristiani
conservarono questo gesto e i Padri della
Chiesa vollero vedere in esso la raffigurazione
di Gesù sulla croce: “Se metti un uomo con le
braccia aperte, ottieni la figura della croce”
(Tertulliano, 1,12,7 ).
• Le mani alzate al cielo esprimono un gesto di
intercessione per se stessi e per gli altri, ma
possono anche essere segno di lode e di
ringraziamento. L’atteggiamento attuale del
sacerdote durante la preghiera è una forma
ridotta di quest’antica posizione: le braccia
sono più aderenti al corpo e le palme delle
mani rivolte in dentro.
• I fedeli che partecipavano alla celebrazione,
durante i primi secoli, imitavano gli
atteggiamenti e i gesti del celebrante.
Ascoltavano la preghiera eucaristica in piedi e
in alcuni momenti alzavano le mani al cielo.
• In seguito le cose cambiarono e divenne
normale per i fedeli stare in ginocchio, solo il
presidente stava in piedi e poteva muovere le
braccia.
• Nella liturgia odierna sono riservati
all’assemblea soltanto pochi gesti
con le mani, come battersi il petto,
darsi la mano per scambiarsi il
segno di pace, tenderle per ricevere
la comunione e usarle per farsi il
segno di croce.
• Le mani dell’assemblea si sono,
oggi, come atrofizzate, sarebbe
bello riscoprire il valore del loro
uso, e lasciarle libere di
esprimere il linguaggio della
fede.
• Si sta iniziando a fare qualche passo avanti in
questo senso, e in questa linea, il Messale del
1983 afferma che: “durante il canto o la recita
del Padre nostro possono tenere le braccia
alzate; questo gesto, opportunamente spiegato,
deve essere fatto con decoro in un clima di
fraterna preghiera”. Quale gesto più eloquente
potrebbe, infatti, utilizzare un figlio nel
rivolgersi al padre, esprimendo così la
pienezza della sua fiducia e la sicurezza di
essere, comunque, accolto.
Pregare con le mani giunte
• Questo gesto è sconosciuto presso i cristiani
dei primi secoli, è probabile che la sua
introduzione sia dovuta ad influssi della
cultura germanica, dove il gesto di tenere le
mani giunte veniva utilizzato come forma di
rispetto verso le più importanti autorità.
• Tale atteggiamento venne introdotto nella
preghiera privata a partire dal IX secolo, ed
entrerà a far parte della celebrazione liturgica
nel XII secolo. Tenere le mani giunte vuole
essere segno di raccoglimento e di
meditazione. La mani unite sono ‘raccolte’,
non distratte da alcun’altra attività e anch’esse
pronte ad esprimere la nostra volontà di volerci
rivolgere, nel corpo e nell’anima, soltanto a
Dio.
Percuotersi il petto
• Battersi il petto in segno di pentimento e di dolore
è un gesto che i primi cristiani hanno ereditato sia
dal mondo giudaico che da quello pagano.
• I primi cristiani utilizzarono questo gesto per
imitare l’esempio del pubblicano che si
percuoteva il petto nell’accusare i suoi peccati (Lc
18, 9-14), e quello dei presenti alla morte in croce
di Gesù Cristo: “Tutte le folle che erano accorse,
davanti a questo spettacolo, ripensando a quanto
era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il
petto” (Lc 23,48).
• Nel IV secolo, associato al ‘Confitebor’, il
battersi il petto è stato riferito al triplice ‘mea
culpa’, dove la confessione dei peccati
raggiunge il suo punto più alto.
• In seguito questo gesto venne poi esteso a tutte
le parole o formule che esprimevano il senso
del peccato, del pentimento o di richiesta del
perdono (Agnello di Dio, Signore non sono
degno, ecc.)
• Dopo la riforma l’uso di percuotersi
il petto è stato notevolmente
ridimensionato e si utilizza soltanto
al momento del Confesso, e mentre il
vecchio messale parlava di tre colpi
al petto, il nuovo dice soltanto:
“Battendosi il petto”.
• Questo gesto viene anche utilizzato
quando, come preghiera eucaristica, si
usa il Canone romano: il presidente e i
concelebranti si percuotono il petto con
la mano alle parole “anche noi
peccatori”, che riferiscono a loro stessi
che in riconoscendosi peccatori di
fronte all’assemblea.
• Battersi il petto è guardare in se
stessi riconoscendo la propria
colpa, ma è anche manifestazione
della volontà di conversione.
Questo gesto è un forte richiamo a
risvegliarsi, attraverso il dolore, e
ad impegnarsi nella propria
crescita personale.
Il gesto della pace
• Il gesto della pace prima di arrivare alla sua
forma attuale ha avuto una storia quanto mai
movimentata.
• Nei primi secoli veniva compiuto alla fine
della proclamazione della Parola, così come ci
viene testimoniato dagli scritti dei Padri della
Chiesa.
• Il segno della pace non era, quindi, in relazione
con la comunione, ma con la liturgia della
Parola. Era stato collocato prima della
preghiera eucaristica tenendo presenti le parole
di Gesù nel discorso della montagna, che
invitavano a riconciliarsi con il fratello prima
di presentare la propria offerta a Dio (Mt 5, 2324).
• Ancora oggi nel rito ambrosiano, nelle liturgie
orientali e in quella ispano-mozarabica il segno
di pace è rimasto collocato nel punto di
appartenenza originario.
• Fu papa Innocenzo I, nel V secolo, a cambiare la
collocazione di questo gesto mettendolo dopo la
preghiera eucaristica: “La pace deve essere
proclamata dopo ( la celebrazione dei misteri). E’
chiaro infatti che, per mezzo di essa, il popolo dà
il suo consenso a ciò che è stato realizzato nei
misteri e celebrato nella Chiesa: il compimento di
tutto questo è messo in evidenza per mezzo della
pace che viene a suggellare la conclusione”.1
•
1Questa
affermazione di Innocenzo I la troviamo riportata in una sua lettera
scritta nell’anno 416 e indirizzata al vescovo Decenzio di Gubbio, che lo
aveva interrrogato in merito alla collocazione del gesto di pace.
• La pace quindi viene vista come dono, e frutto
del mistero eucaristico, e viene utilizzata quasi
per avvallare quanto è stato celebrato.
• Al tempo di Gregorio Magno la collocazione
di questo segno cambiò ancora e fu messo
dopo la recita del Padre nostro, diventando in
questo modo un gesto di preparazione alla
comunione; e così è rimasto fino ad oggi nella
liturgia romana ed africana.
• C’è da far notare ancora una cosa importante
che riguarda il valore che veniva assegnato a
questo gesto. Fino all’undicesimo secolo il
segno della pace aveva una dimensione
‘orizzontale’, esso veniva scambiato
vicendevolmente fra tutti i presenti alla
celebrazione, ma poi è iniziato a verificarsi un
profondo cambiamento nel suo significato,
cambiamento, che si manifesterà anche nei
movimenti che erano ad esso collegati.
• Infatti il sacerdote, in segno di ricevimento
della pace da Cristo stesso, baciava l’altare,
poi abbracciava i diaconi, e questi a loro volta
abbracciavano i ministri inferiori, e così via
finché la pace non giungeva ai presenti
attraverso un “incaricato della pace”.
• La pace dunque aveva assunto questa
dimensione ‘discendente’, da Cristo, attraverso
i ministri al popolo. Questo rito si compiva
soltanto nelle cerimonie più solenni e
riguardava soltanto il clero, i fedeli ne
restavano esclusi.
• Dopo la riforma il segno di pace ha riacquistato la
sua originaria dimensione orizzontale: ci si
scambia reciprocamente la pace prima di ricevere
l’Eucaristia.
• Come ultima cosa vogliamo far notare che,
insieme alla collocazione e al significato, questo
gesto ha subito delle variazioni anche per quanto
riguarda la sua forma. Originariamente era un
bacio che poi è stato trasformato in abbraccio;
oggi, per conformarsi agli usi della nostra società,
è diventato una stretta di mano.
• Il segno di pace non vuole però essere un gesto di
cortesia o soltanto di fraterna amicizia, ma
attraverso di esso i presenti “implorano la pace e
l’unità per la Chiesa e per tutta la famiglia umana,
e si manifestano mutuamente la carità, prima di
partecipare allo stesso pane” ( PNMR n. 56b).
• La pace che ci scambiamo è la pace di Cristo, che
ci viene donata attraverso lo Spirito nella
partecipazione al mistero eucaristico: “Vi lascio la
pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo”
(Gv 14, 17). Su questa pace si fonda l’unità della
Chiesa, che si manifesta attraverso la fraternità
dei presenti.
• Questa pace ha, però, in sé una
dimensione dinamica, è una pace in
costruzione: i cristiani “implorano la
pace e l’unità”. Ma non debbono
fermarsi all’implorazione poiché la
pace e l’unità della Chiesa e di tutti i
figli di Dio, si pongono come meta
della missione di ogni cristiano.
• “La pace di Cristo non è mai realizzata
completamente da nessuna comunità. E’
in costruzione. Dipende anche da noi. Per
questo iniziamo ogni Eucaristia
realizzando un piccolo ma significativo
gesto profetico: in un mondo diviso noi
vogliamo essere fermento di unità e di
pace in Cristo Gesù”.1
•
1Aldazabal
J., Simboli e gesti..., op. cit. p.122.
• Questo gesto non deve essere
relegato dai noi cristiani alla
sola celebrazione Eucaristica,
ma deve accompagnarci
durante tutta la nostra giornata,
e durante tutte le giornate della
nostra vita.
• “Uno scrittore polacco ha narrato in un
settimanale cattolico del suo paese (1984) una
specie di parabola. La scena si svolge in una
macelleria dove si forma una lunga fila di persone
per la spesa. A poco a poco, con il passare del
tempo e il venir meno della disponibilità della
carne, che non sarà sufficiente per tutti, il
rapporto tra le persone si fa più acido, affiorano i
nervi e l’aggressività. Nel momento di maggiore
tensione e lotta per avere ciò che resta, si alza la
voce autorevole di uno di loro: “Scambiatevi un
segno di pace”.
• C’è un istante di sorpresa e indecisione. Ma il
suggerimento ottiene presto il suo effetto e
torna la pace. Quando l’aggressività sorprende
anche noi, sia nella vita familiare, che nel
lavoro o nel traffico o persino nella vita
ecclesiale, è interessante ricordare che,
celebrando l’Eucaristia, abbiamo compiuto,
con semplicità ma anche con impegno, il gesto
della pace. E questo non valeva solo mentre
eravamo in chiesa, ma per tutta la vita”.1
• 1Aldazabal J., Simboli e gesti...., op. cit. p.
125.
Le azioni sacre
Il segno di croce1
• 1Cf. Huscenot J., Il segno di croce. Storia e
catechesi , Ed. San Paolo, Milano, 1993.
• Già nel terzo secolo il segno di croce veniva
usato in tutte le comunità cristiane e nelle
situazioni più diverse così come ci testimonia
Origene: “Il Vecchio Testamento ci insegna
che la lettera thau (EZ 9,4) è una
raffigurazione della croce, e un preannunzio di
questo segno che presso i cristiani è tracciato
sulla fronte, e che i fedeli fanno prima di ogni
lavoro e specialmente nell’incominciare le
preghiere e le sante letture” (Origene 1369).
• Il brano a cui egli fa riferimento è un testo del profeta
Ezechiele che ci presenta Dio mentre ordina ai suoi angeli
di segnare la fronte di coloro che soffrono per le
ingiustizie subite con il segno salvifico del tau1: “Passa in
mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un tau
sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per
tutti gli abomini che vi si compiono...Seguitelo attraverso
la città e colpite...solo non toccate chi abbia il tau in
fronte” (Ez. 9, 4-6).
•
1Origene
in questo caso si riferisce al tau così come risulta nella traduzione
greca dei LII e non al tau ebraico che ha una ben altra conformazione
morfologica.
• Nella celebrazione liturgica, sempre
nello stesso periodo, il segno do croce
veniva utilizzato nei riti di iniziazione
cristiana, durante gli esorcismi e veniva
usato come segno per sconfiggere il
male. In seguito troverà una
collocazione in tutti i riti liturgici.
• Per quanto riguarda la forma del segno di
croce, nei primi secoli veniva tracciato con un
dito della mano destra sulla fronte. Dopo il
nono secolo questo segno veniva tracciato con
tre dita in onore della Trinità.
• E’ difficile stabilire a quale epoca risalga il
grande segno di croce che noi utilizziamo,
possiamo soltanto dire che lo troviamo nelle
forme di devozione privata a partire dal XI
secolo.
• I liturgisti hanno rintracciato anche un altro
tipo di segno di croce in Spagna risalente al X
secolo, é il “segno di croce medio” che va
dalla fronte al mento, alcuni lo chiamavano “il
casco di Cristo”, proprio perché simbolizzava
un elmo che aveva il ruolo di proteggere il
cristiano nelle battaglie contro il male.
• Il segno di croce è un gesto semplice e nello
stesso tempo carico di significato poiché
rappresenta la professione di fede di ogni
cristiano: è nella croce di Cristo che Dio ci ha
salvato. Questo gesto è inoltre un sigillo che
vuole esprimere la nostra appartenenza a Dio,
per il Figlio, nello Spirito Santo.
• Ogni segno di croce vuole essere anche una
esplicita richiesta di benedizione che facciamo
al Padre.
• Con la riforma liturgica è stato notevolmente
ridotto il numero dei segni di croce all’interno
della celebrazione Eucaristica.
• Noi oggi troviamo il segno di croce all’inizio
della celebrazione poiché essa è memoriale della
morte salvifica di Cristo, inoltre, con questo gesto
vogliamo ricordare anche il nostro Battesimo,
quando su di noi è stato impresso per la prima
volta questo segno per suggellare la nostra
appartenenza alla Chiesa di Cristo.1
•
1Cf.
130
Weidinger G-Weidinger N., Gesti e segni... pp.126-
• All’inizio della proclamazione del
Vangelo ci segniamo ancora con un
triplice segno di croce sulla fronte,
sulle labbra e sul cuore, in segno di
accoglienza della Parole che andiamo
ad ascoltare.
• Ci segniamo con il segno di croce: la fronte,
affinché quanto andiamo ad ascoltare lasci un
segno indelebile nella nostra mente; le labbra,
perché la nostra bocca sia capace di annunciare
agli altri il Vangelo; il cuore, perché quanto
abbiamo ascoltato possa cambiarlo e renderci
capaci di vivere il Vangelo. Il segnarsi con il
segno di croce ci ricorda che tutto questo può
essere possibile solo grazie alla croce
traboccante d’amore di Cristo.
• Il segno di croce accompagna la
benedizione che impartisce il celebrante
all’assemblea alla fine della celebrazione
“essendo la croce fonte di ogni
benedizione e la causa di tutte le grazie”
(S. Leone Magno, Sermones, 59, 7).
• Il segno di croce accompagna anche tutte
le benedizioni consacratorie di persone e
cose.
• Questo gesto ha un ruolo fondamentale
nei riti di iniziazione cristiana dove
vuole essere un vero e proprio sigillo di
appartenenza a Cristo; lo ritroviamo,
poi, nell’unzione sacramentale e nel
rito funebre : il segno della croce
vittoriosa di Cristo accompagna tutta la
nostra vita cristiana, dall’inizio alla
fine.
• “Ripetere il segno di croce vuol dire
impegnarsi, perché la croce è il simbolo più
chiaro dello stile di vita che Cristo ci ha
insegnato....E’ facile cantare alla croce “Sei
vessillo glorioso di Cristo”. E’ ancora facile
fare, più o meno distrattamente, il segno di
croce nei momenti abituali. Difficile è
ascoltare e assimilare tutto il messaggio
predicato da questo simbolo.
• Un messaggio di salvezza e speranza, di morte
e risurrezione. Di vita cristiana intesa come
servizio. E’ inoltre un ricordo non soltanto di
Cristo, ma anche di tutti quelli che hanno
sofferto e che continuano a soffrire in questo
mondo: sulla croce, Cristo è come il portavoce
di tutti quelli che piangono e soffrono e
muoiono, e nello stesso tempo è la garanzia e il
manifesto di vittoria per tutti.
• Noi cristiani dobbiamo riconoscere alla croce
tutto il suo significato, perché non sia un
simbolo vuoto. Allora può costituire un segno
che alimenta continuamente la nostra fede e lo
stile di vita che Cristo ci ha insegnato. Se
comprendiamo la croce, se quel piccolo gesto è
fatto coscientemente, la nostra vita sarà
costantemente orientata nella direzione
giusta”1.
• 1Aldazabal J. , Simboli e gesti...., op. cit. pp. 138-139.
Dopo le feste finiremo il capitolo sui gesti
e parleremo di come rendere
più comunicativi tutti i segni liturgici
A tutti Buon Natale
e felice ripresa nel nuovo anno
“Colui che era adagiato
nella mangiatoia è divenuto
debole, ma non ha perduto
la sua potenza: assunse ciò
che non era,ma rimase ciò
che era. Ecco, abbiamo
davanti il Cristo bambino:
cresciamo insieme con lui”.
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