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L`interesse della parte civile

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L`interesse della parte civile
Cenni in tema di impugnazioni
Il sistema della impugnazioni
Il principio di tassatività: i provvedimenti de
libertate e le sentenze (ad eccezione di quelle in
tema di competenza) sono sempre ricorribili per
cassazione, mentre per la esperibilità degli atri
mezzi di impugnazione è necessario seguire le
indicazioni del legislatore. Vi deve essere, quindi,
un formale provvedimento del giudice perché sia
proponibile un qualsiasi mezzo di impugnazione.. I
provvedimenti del P.M: non sono impugnabili
perché atti di parte.
Non sono ricorribili le decisioni della Corte di
Cassazione, tranne che nel caso del ricorso
straordinario per errore materiale o di fatto ex
art. 625 bis c.p.p.
Fa eccezione al principio di tassatività Il
provvedimento abnorme. che è quello
oaratterizzato da assoluta estraneità ed
incompatibilità con il sistema processuale; che per
la sua stranezza e singolarità si pone al di fuori
dell'intero sistema processuale sicché se ne
impone la immediata eliminazione dal mondo del
diritto. Ad esso può porsi rimedio solamente con il
ricorso per cassazione (es: Archiviazione disposta
in difetto di richiesta del p.m.- Imputazione coatta
nei confronti di soggetto non oggetto di alcuna
richiesta da parte del p.m.- Dichiarazione di ndp
per morte indagato a fronte di una richiesta di
archiviazione per infondatezza della notitia
criminis).
La nozione di interesse Si atteggia in forma
diversa per il p.m.e per l'imputato.
Per il pubblico ministero che è organo di giustizia
l'interesse è rappresentato dall'intento di
rimuovere una decisione in qualsiasi modo
ingiusta quali che ne possano essere le
conseguenze sfavorevoli o favorevoli per
l'imputato.
Per l'imputato l'interesse non può prescindere
dalla necessità di rimuovere una situazione
sfavorevole connessa al provvedimento e quindi
da una prospettiva di vantaggio derivante dalla
rimozione del provvedimento. Di qui il carattere
della attualità dell'interesse che ha da perdurare
fino al momento della decisione e della
concretezza.
La Cassazione è ferma sul principio per cui nel
sistema processuale penale la nozione di
interesse
non si
basa sul concetto di
soccombenza - a differenza delle impugnazioni
civili che presuppongono un processo di tipo
contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto
di interessi contrapposti - ma va piuttosto
individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia
nella finalità negativa di rimuovere una situazione
di svantaggio processuale derivante da una
decisione giudiziale, e in quella, positiva, del
conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione
più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del
gravame, e che risulti logicamente coerente con il
sistema normativo (Sezioni Unite 27 ottobre 2011
n. 6624)
Esempio: Proposta impugnazione
dell'imputato avverso la sentenza emessa in
rito abbreviato per asserita invalidità della
procura speciale rilasciata per il rito, la
Cassazione ha escluso la sussistenza di
interesse ad impugnare perché in caso di
accoglimento del ricorso sarebbe stato
eliminata la riduzione di un terzo della pena
inflitta a seguito del giudizio abbreviato.
Il P.M. è organo garante dell'osservanza delle
leggi e della pronta e regolare amministrazione
della giustizia (art. 73 O.G.) portatore di interesse
a proporre impugnazione ogni volta in cui ravvisi
la violazione o l'erronea applicazione di una
norma giuridica. Ciò non toglie che l'impugnazione
debba anch'essa rivestire i caratteri dell'attualità e
della concretezza, suscettibile di produrre la
rimozione di un pregiudizio reale. Dunque è
inammissibile,
per
difetto
di
interesse,
l'impugnazione
avverso
la
sentenza
di
assoluzione di 'imputato di reato contestato ma
già prescritto, sicché l'invocato annullamento con
rinvio della sentenza mai potrebbe condurre a un
giudizio di colpevolezza (Sez. Vi 19 ottobre 2012
n. 41391),
L'interesse della parte civile attiene alla
esistenza di una ragione economica di
ottenere la decisione richiesta al fine di
rimuovere il pregiudizio che a quella ragione
arreca il provvedimento impugnato (in tal
senso, in motivazione di sez. V 26 gennaio
2001 n 8577)
E' dunque ammissibile la impugnazione
della parte civile, che richiede in appello una
diversa definizione giuridica del fatto ai fini
della quantificazione dei danni da reato,
Invero la definizione giuridica del fatto può essere
svincolata dagli effetti penali conseguenti, senza
essere per tale ragione fine a se stessa, poiché la
sentenza penale di condanna, a norma dell'art.
651 c.p.p, ha efficacia di giudicato quanto
all'accertamento della sussistenza del fatto e della
sua illiceità penale nel giudizio civile (o
amministrativo) per le restituzioni e il risarcimento
del danno. La diversa qualificazione richiesta del
fatto illecito come doloso invece che colposo
implica una sua valutazione di maggiore gravità,
che va desunta da una serie di elementi tra i quali
l'intensità del dolo e il grado della colpa, e implica
una diversa quantificazione del danno da
risarcire.(Sez. I 19 febbraio 2013 n. 3148)
Si ammette generalmente che l'imputato
abbia interesse ad impugnare una pronuncia
assolutoria con la formula "il fatto non
costituisce reato" in luogo di quella "il fatto
non sussiste", perché quest'ultima ha
maggiore efficacia in senso a lui favorevole
negli eventuali giudizi civili, disciplinari ed
amministrativi, alla stregua dell'orientamento
secondo cui la parte civile ha interesse ad
impugnare sentenze di proscioglimento,
ancorché non preclusive dell'azione civile,
con formule che possano limitare il
soddisfacimento della pretesa risarcitoria
nella competente sede.
1) talune sentenze di proscioglimento "sono
idonee ad arrecare all'imputato significativi
pregiudizi, sia di ordine morale sia di ordine
giuridico". Quanto ai pregiudizi di ordine morale, in
alcune ipotesi, possono persino superare quelli
derivanti da una sentenza di condanna, come nel
caso di proscioglimento per totale infermità di
mente o per cronica intossicazione da alcol o da
sostanze stupefacenti. I pregiudizi di ordine
giuridico
derivano
dalla
possibilità
"che
l'accertamento di responsabilità o comunque o di
attribuibilità del fatto all'imputato, ancorché privo
di effetti vincolanti, pesi comunque in senso
negativo su giudizi civili, amministrativi o
disciplinari connessi al medesimo fatto".
2) Le formule assolutorie per insussistenza dl fatto
o per non aver commesso il fatto debbono essere
adottate in via preferenziale rispetto a tutte le altre
in quanto totalmente liberatorie poiché con tutte
le altre formule diverse la sentenza di
proscioglimento in realtà attribuisce all'imputato
un fatto, o non esclude l'attribuzione di un fatto,
che pur non costituire reato ma tuttavia essere
giudicato sfavorevolmente dall'opinione pubblica o
comunque dalla coscienza sociale. E ciò sia
quando sia stata raggiunta la prova positiva
dell'insussistenza del fatto o della sua non
commissione da parte dell'imputato, sia quando la
prova contraria manchi del tutto o sia insufficiente
o contraddittoria.
3) La formula "perché il fatto non costituisce reato"
viene normalmente utilizzata nelle ipotesi in cui,
pur essendo presenti gli elementi oggettivi del
reato, manchi invece l'elemento soggettivo della
colpa o del dolo, ovvero sussista una scriminante,
o causa di giustificazione, comune o speciale (cfr.
Sez. V, 20 marzo 2007, n. 27283) che elimini la
antigiuridicità del fatto, La stessa formula "perchè
il fatto non costituisce reato" va pronunciata non
solo quando vi è la prova che il fatto sia stato
commesso in presenza di una causa di
giustificazione, ma anche quando vi è dubbio
sull'esistenza della stessa (Sez. V, 25 settembre
1995, n. 10332),
4)E'
pacificamente
riconosciuto
l'interesse
dell'imputato ad impugnare la sentenza di
assoluzione con la formula "perché il fatto non
costituisce reato" al fine di ottenere la più ampia
formula liberatoria "perché il fatto non sussiste" o
"perché l'imputato non lo ha commesso", e ciò
perché a parte le conseguenze di natura morale,
l'interesse giuridico risiede nei diversi e più
favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 c.p.p.,
connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi
civili o amministrativi di risarcimento del danno e
nel giudizio disciplinare, a fronte degli effetti
pregiudizievoli in tali giudizi derivanti dalla prima
formula assolutoria.
5) Per quanto concerne l'interesse della parte
civile all'impugnazione delle sentenze va ricordato
che il codice di rito riconosce alla p.c.. il diritto di
impugnazione, sia pure ai soli effetti della
responsabilità civile, anche contro la sentenza di
proscioglimento pronunciata nel giudizio, oltre che
contro i capi della sentenza di condanna che
attengono all'azione civile e, se ha consentito al
rito,
contro
la
sentenza
pronunciata
nell'abbreviato. Si ammette anche che per effetto
dell'impugnazione della p.c., si possa rinnovare
l'accertamento dei fatti a base della assoluzione,
al fine di valutare l'esistenza di una responsabilità
per illecito e così giungere ad una pronunzia che
rimuova quella pregiudizievole per gli interessi
civili.
6)Non vi sono ostacoli al riconoscimento
dell'interesse della parte civile all'impugnazione,
sempre ai soli effetti civili, avverso la sentenza di
proscioglimento al fine di ottenere il mutamento
della formula utilizzata. Essa infatti ha interesse
ad impugnare tutte le sentenze di assoluzione che
possono compromettere il suo diritto ad ottenere il
risarcimento del danno, anche in considerazione
dell'effetto
preclusivo
della
sentenza
dibattimentale irrevocabile di assoluzione nel
giudizio civile di danno e ciò al fine di ottenere
l'accertamento della responsabilità dell'imputato ai
fini civili o anche solo una formula di assoluzione
che abbia conseguenze pratiche più favorevoli per
i suoi interessi civili
7) Tuttavia la necessaria sussistenza del carattere
di concretezza dell'interesse va naturalmente
verificata tenendo conto degli specifici effetti
favorevoli che, nella concreta vicenda, la parte
civile si ripromette di ottenere dall'impugnazione e
valutando se il suo accoglimento davvero le
arrecherebbe una situazione di vantaggio o le
eliminerebbe una situazione pregiudizievole.
Infatti Ai sensi dell'art. 652 c.p.p, la sentenza di
assoluzione ha efficacia di giudicato nell'ambito
del giudizio civile di danni solo con riguardo agli
elementi relativi all'insussistenza del fatto, alla
non commissione dello stesso, ed alla non
illiceità per l'esistenza dell'esimente di cui
all'art. 51 c.p.
8) La formula assolutoria "perché il fatto non
sussiste", potendo astrattamente ricomprendere
anche l'ipotesi della mancanza o dell'insufficienza
delle prove in ordine alla sussistenza del fatto od
all'attribuibilità di esso all'imputato, non è di per se
stessa ostativa all'introduzione del giudizio civile,
al giudice del quale é rimesso accertare, previa
interpretazione del giudicato penale sulla base
della motivazione di esso, se l'esclusione della
responsabilità dell'imputato sia stata certa o
dubbia e, di conseguenza, stabilire se l'azione
civile ne sia, rispettivamente, preclusa o meno.
L'art. 652 c.p.p. esige infatti l'“accertamento”
della insussistenza del fatto etc...
9) Nel caso di specie, poiché l'impugnazione è
stata avanzata esclusivamente per modificare la
formula assolutoria senza alcun intervento sul
contenuto dell'accertamento compiuto dalla
sentenza impugnata, .l'accoglimento del ricorso e
la sostituzione, ai soli fini civili, della formula errata
"perchè il fatto non sussiste" con quella "perchè il
fatto non costituisce reato porrebbe bensì rimedio
ad un errore del giudice, ma non potrebbe portare
alcuna posizione di vantaggio al ricorrente né
eliminargli un qualche pregiudizio, perché la sua
situazione relativamente all'esercizio dell'azione
civile di danno (la sola invocata con il ricorso)
rimarrebbe immutata.
L'ISTITUTO DELLA CONVERSIONE DEL
MEZZO DI IMPUGNAZIONE
L'art. 568 c.p.p., comma 5, determina
l'automatico trasferimento del procedimento
dinanzi
al
giudice
competente
per
l'impugnazione secondo le norme processuali,
sia che l'errore ne abbia investito la
qualificazione formale sia che abbia investito
l'individuazione del giudice competente.
L'istituto costituisce espressione del principio
di conservazione dell'impugnazione, derivante
a sua volta dal principio generale di
conservazione degli atti giuridici e del favor
impugnationis (Sez. III, 20 gennaio 2004 n.
14724).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione,
inoltre, ne ha esteso l'ambito concettuale fino al
punto da ritenere ammissibile l'impugnazione,
quand'anche il ricorrente abbia scelto e utilizzato
un mezzo non contemplato dalla legge,
prevalendo anche in detta ipotesi esclusivamente
la volontà della parte intesa comunque a
sottoporre a sindacato la decisione impugnata
(Sez. I, sent. n. 6921 del 19/12/1996), Così nel
caso di appello contro sentenza inappellabile
perché era inflitta la sola pena dell'ammenda
l'appello si converte in ricorso e al giudice a quo
non è consentita alcuna valutazione sulla sua
inammissibilità e, men che mai procedere al
giudizio (Sez IV 10 febbraio 2015 n. 18069).
Allo stesso modo, secondo le regole che
disciplinano le impugnazioni, la corte d'appello
investita dell'impugnazione avverso sentenza
predibattimentale, che l'art. 469 c.p.p. dichiara
espressamente inappellabile, non ha il potere di
decidere sull'impugnazione, ma in applicazione
dell'art. 590 c.p.p. deve trasmettere la sentenza di
primo grado appellata, l'atto di impugnazione,
qualificato ai sensi dell'art. 568 c.5 c.p.p. come
ricorso per cassazione, e gli atti del procedimento
alla Corte di cassazione, competente a dichiarare
l'inammissibilità dell'impugnazione ai sensi del
secondo comma dell'art. 591 c.p.p.
IMPORTANTE
Ll'istituto della conversione dell'impugnazione
previsto dall'art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al
principio di conservazione degli atti, determina
unicamente
l'automatico
trasferimento
di
procedimento dinanzi al giudice competente in
ordine all'impugnazione secondo le norme
processuali ma non comporta una deroga alle
regole proprie del giudizio di impugnazione
correttamente
qualificato.
Pertanto
l'atto
convertito deve avere i requisiti di sostanza e di
forma stabiliti ai fini dell'impugnazione che
avrebbe dovuto essere proposta (Sez III, 21 aprile
2015 n. 19355)
Il principio in questione ha trovato ripetute
applicazioni in tema di appello (poi qualificato
come ricorso per cassazione) proposto da
difensore non abilitato: alla regola secondo cui il
ricorso per cassazione è inammissibile qualora i
motivi siano sottoscritti da avvocato non iscritto
nello speciale albo dei professionisti abilitati al
patrocinio dinanzi le giurisdizioni superiori, non è
prevista deroga per il caso di appello convertito in
ricorso. In caso diverso verrebbero elusi, in favore
di chi abbia erroneamente qualificato il ricorso,
obblighi sanzionati per chi abbia proposto l'esatto
mezzo di impugnazione.
Il principio in questione ha trovato ripetute
applicazioni in tema di appello (poi qualificato
come ricorso per cassazione) proposto da
difensore non abilitato: alla regola secondo cui il
ricorso per cassazione è inammissibile qualora i
motivi siano sottoscritti da avvocato non iscritto
nello speciale albo dei professionisti abilitati al
patrocinio dinanzi le giurisdizioni superiori, non è
prevista deroga per il caso di appello convertito in
ricorso. In caso diverso verrebbero elusi, in favore
di chi abbia erroneamente qualificato il ricorso,
obblighi sanzionati per chi abbia proposto l'esatto
mezzo di impugnazione.
LA CONVERSIONE DEL RICORSO IN
APPELLO NELLA COMPRESENZA DI
APPELLO DI ALTRI PARTI (art. 580 c.p.p)
Nella pratica accade per lo più che il p.m.
proponga ricorso per cassazione il quale, in
pendenza dell'appello interposto dagli imputati, si
converte ope legis in appello, non potendo
pendere contemporaneamente due mezzi di
impugnazione diversi contro la stessa
sentenza. Ma la conversione in appello del
ricorso per cassazione non snatura i tratti del
ricorso per motivi di legittimità ampliando gli spazi
del devoluto, poiché l'impugnazione ancorché
convertita, resta ammissibile solo laddove
siano denunciati vizi di legittimità della
sentenza.
CASISTICA
1) il ricorso del PG, convertito in appello ex art.
580 c.p.p. a seguito di impugnazione
dell'imputato, deve sviluppare motivi di legittimità
evidenziando ad esempio la manifesta illogicità e
contraddittorietà della sentenza impugnata in
punto di pena, applicata nel minimo edittale a
fronte di un dato ponderale dello stupefacente di
rilievo e di connotazioni chiaramente negative
della personalità dell'imputato (Sez. VI 7
novembre 2013 n. 45412)
2) Il ricorso del P.G. convertito in appello non può
superare il vaglio di legittimità ex art. 606 c.p.p.,
quando richiede valutazioni di fatto, in sostituzione
di quelle espresse dalla sentenza di primo grado,
in tema di giudizio di prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche e di quantificazione della
pena e, pertanto, risulta inammissibile.
3)
è
inammissibile
l'appello
incidentale
dell'imputato non appellante, non rilevando la
proposizione da parte del P.G. del ricorso per
cassazione che si converte in appello ex art.580
c.p.p. solo se la sentenza è appellata da una delle
parti e quindi, per il principio di tassatività delle
impugnazioni, solo a seguito della proposizione
dell'appello e non anche di appello incidentale.
CONVERSIONE E PROVVEDIMENTO DEL
GIUDICE DELLA ESECUZIONE
Costituisce
orientamento
giurisprudenziale
consolidato quello secondo cui avverso il
provvedimento
emesso
dal
giudice
dell'esecuzione, qualora abbia deciso de plano ai
sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, è data
esclusivamente facoltà di proporre opposizione.
Non è, quindi, consentita l'impugnazione
immediata dell'ordinanza emessa de plano, atteso
che contro di essa è previsto il rimedio
dell'opposizione, il cui preventivo esperimento è
indispensabile per ottenere un provvedimento
eventualmente ricorribile (Sez. l 20 febbraio 2008
n. 8785; Sez. I, 11 gennaio 2013 n. 4083)
RICORSO PER SALTUM E SENTENZE PRIVE
DI MOTIVAZIONE
L'orientamento
giurisprudenziale
preferibile
appare quello che afferma che l'assenza totale di
motivazione non determina l'inesistenza della
pronuncia, dato che il dispositivo letto in udienza è
"ex se" provvedimento decisorio idoneo a passare
in giudicato se non impugnato. Sussiste, pertanto,
in tal caso, l'interesse del P.M. a ricorrere in
cassazione avverso la sentenza assolutoria del
Tribunale pur in difetto di specifica indicazione
delle ragioni di illegittimità della decisione, non
potendosi verificare quelle poste a base
dell'esclusione della colpevolezza e, pertanto, la
correttezza della decisione (Sez.IV, 5 luglio 2012
n. 39786).
In tema di competenza del p.m. ad impugnare
Regola generale:
La competenza del pubblico ministero ad
impugnare è sempre collegata al giudice
presso cui è costituito. Va escluso in via
generale che il ricorso avverso la sentenza
pronunciata dalla Corte di Appello possa essere
proposto dal pm. presso il Tribunale anche se
delegato dal P.G. a rappresentarlo nel giudizio di
appello ex art. 570 comma 3 c.p.p. Tale
disposizione è da considerare eccezionale e,
come tale, di stretta interpretazione (Sez IV 10
dicembre 2014 n. 14141) Sul punto esiste anche
un orientamento diverso ma minoritario.
Appello del sostituto In assenza di delega
L'Ufficio del Procuratore della Repubblica si
incarna in tutti i suoi componenti, senza che
occorra, verso i terzi, una formale delega del
titolare (salva la responsabilità disciplinare del
sostituto che non abbia osservato le direttive ad
hoc del procuratore).
Ne consegue che anche il sostituto procuratore
della Repubblica non espressamente delegato dal
capo dell'ufficio è legittimato all'impugnazione.
Infatti, la delega all'impugnazione costituisce atto
interno all'ufficio di cui va presunta l'esistenza e
l'imputato non ha, pertanto, titolo per dolersi della
sua assenza (Sez. V, sent. n. 7636 del 12
dicembre 2006) .
Inammissibilità della impugnazione formulata
dal VPO (Sez V, 8 .02. 2005 n.11902)
il combinato disposto degli artt. 71 e 72 Ord. giud.
rende evidente che al vice procuratore onorario
sono riconosciute dal legislatore alcune specifiche
funzioni, analiticamente indicate (tra le quali non
quelle del potere di impugnazione), nonché altre
funzioni indicate solo con il rinvio alle norme che
eventualmente e specificamente" le attribuiscano.
Tra queste ultime non può essere annoverato l'art.
570 comma 2 che è precetto che attribuisce,
invero, il potere di impugnazione al PM che ha
presentato le conclusioni in udienza. Tale figura
giuridica,
peraltro,
è
definita
come
"rappresentante" del PM in stretta relazione ai
soggetti elencati nel primo comma dell'art. 570.
SEGUE...
In altri termini i due commi, tra loro integrati, fanno
riferimento, ai fini della legittimazione alla
impugnazione, al titolare dei vari Uffici di Procura
ed ai loro sostituti, magistrati togati, come del
resto arguibile anche dalla lettura del terzo
comma dell'articolo medesimo che riconosce al
rappresentante del PM in udienza la possibilità di
partecipare al processo di appello in sostituzione
del procuratore generale.
Inoltre, il disposto del comma 3 dell'art. 568
impone di ritenere che in mancanza di una
espressa
previsione
attributiva
(tassatività
soggettiva del potere di impugnazione) il potere di
gravame non può essere esercitato dal VPO.
APPELLO P.M. E ORARIO CHIUSURA CANCELLERIA
La Cassazione con riferimento a impugnazioni
proposte dal Pubblico Ministero, ha affermato che
è inammissibile il gravame presentato oltre l'orario
di apertura al pubblico dell'ufficio nel giorno di
scadenza del termine per impugnare, a nulla
rilevando la presenza, nell'ufficio medesimo, al
momento della presentazione dell'atto, di
personale in servizio, precisando che il termine
per fare dichiarazioni, depositare documenti e
compiere altri atti in un ufficio giudiziario si
considera scaduto ex art. 172 c.p.p. nel momento
in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso
al pubblico, sicché esso non attiene al momento
della chiusura effettiva dell'ufficio di cancelleria
A CHI SPETTA LA LEGITTIMAZIONE AD
IMPUGNARE FRA DIFENSORE NOMINATO (DI
UFFICIO O DI FIDUCIA) E DIFENSORE
SOSTITUTO?
La risposta di Sez. V 24 novembre 2014 n. 5620
Il codice di procedura ha stabilito la sostanziale
equiparazione della difesa di ufficio a quella di
fiducia, nel senso che anch'essa si caratterizza
per l'immutabilità del difensore fino all'eventuale
dispensa dall'incarico o all'avvenuta nomina
fiduciaria, il diritto di impugnazione riservato in via
autonoma al difensore, ai sensi dell'art. 571 c.p.p.,
comma 3, compete al difensore di ufficio a suo
tempo designato dal giudice o dal pubblico
ministero, che va considerato titolare dell'ufficio di
difesa anche al momento del deposito del
provvedimento impugnabile, pur se, in costanza di
una delle situazioni previste dal quarto comma
dell'art. 97 c.p.p., egli sia stato momentaneamente
sostituito.
Per concludere: spetta al difensore designato dal giudice,
ex art. 97 c. 4, una legittimazione a proporre
impugnazione in sostituzione di quello non comparso, di
carattere aggiuntivo e non sostitutivo, poiché egli
esercita i diritti e assume i doveri del difensore di fiducia
o di quello d'ufficio precedentemente designato, secondo
quanto previsto in via generale dall'art. 102 c.p.p., fino al
momento in cui questo, che pure conserva la sua
qualifica, non vi provveda personalmente. Le eventuali
notifiche (avviso di differimento di udienza etc...), vanno
fatte in favore del titolare dell'ufficio di difesa, che resta
sempre l'originario professionista designato, come anche
quando si proceda alle notificazioni che, seppur relative
all'indagato o all'imputato, a meno che non si versi
nell'ipotesi di abbandono di difesa
IMPUGNAZIONE E DIFENSORE DI FATTO
La Cassazione ha ritenuto ammissibile l'appello
depositato da difensore molto prima che questi
fosse stato nominato dall'imputato, osservando
che In tema di formalità per la nomina del
difensore, i comportamenti concludenti idonei a
documentare
la
riferibilità
della
nomina
all'imputato costituiscono elementi sintomatici
dell'esistenza di un rapporto fiduciario tra lo
stesso imputato e colui il quale ha svolto di fatto le
funzioni di difensore, in quanto la norma di cui
all'art. 96 cod. proc. pen. non è inderogabile ma
tipicamente
ordinatoria
e
regolamentare,
suscettibile, quindi, di una interpretazione ampia
ed elastica in "bonam partem" (in tal senso Sez.
III, 27 marzo 2003 n. 22940).
Inoltre …..
Quid iuris se l'imputato condannato
muore dopo la pronuncia del
dispositivo ma prima del deposito
della sentenza?
Eredi e difensore sono legittimati
alla impugnazione?
Secondo la Cassazione (Sez. VI 15 gennaio
2008 n. 22392) in tale ipotesi viene in essere una
sorta di perenzione anomala dei processo che
opera ex lege derivando le conseguenze di tale
evento da circostanze extraprocessuali, definibili
come
effetti
indiretti
dell'evento
morte
dell'imputato, l'unico dato rilevante in quel
processo. La morte dell'imputato determina la
perenzione del rapporto processuale laddove
tale evento non sia preceduto da un atto di
iniziativa dell'interessato (è il caso in cui sia stato
proposta impugnazione prima della morte
dell'imputato), laddove la giurisprudenza consente
che il giudice dell'impugnazione possa dichiarare
l'estinzione del reato per morte dell'imputato che
abbia mantenuto in vita il detto rapporto
La prima conseguenza è allora nel senso che una
sentenza pronunciata nei confronti di soggetto in
vita al momento della pubblicazione di essa ma
deceduto ancor prima della scadenza del termine
per impugnare diviene tamquam non esset nei
confronti, non soltanto dell'imputato, ma anche nei
confronti delle altre parti del processo penale. SI
tratta di preclusione derivante non da una carenza
di legittimazione, ma, in radice, dall'intervenuta
caducazione del rapporto processuale e che mai
avrebbe potuto consentire l'attivazione di una
qualsiasi forma di riesame della sentenza proprio
per l'assenza di un giudicato e, quindi, di un
condannato.
La seconda conseguenza è nel senso che il
giudice di appello non deve dichiarare la
inammissibilità delle eventuali impugnazioni ma
deve limitarsi ad adottare una pronuncia di
accertamento della insussistenza del rapporto di
impugnazione e conseguente improponibilità o
irricevibilità dell'appello, poiché l'attivazione
dello pseudo-rapporto nasce da un mero
elemento formale inidoneo a dar vita a
qualsivoglia progressione processuale. Infatti, il
giudizio di ammissibilità deve seguire al
giudizio di ricevibilità così da potersi definire il
gravame (pure se invalido) dotato della idoneità a
produrre l'impulso processuale necessario ad
originare il giudizio di impugnazione.
Con riguardo alla impugnazione del difensore,
la improponibilità deriva dalla estinzione del
mandato defensionale per la morte del mandante,
secondo l'art. 1722 c.c. Quanto alla azione civile
esercitata nel processo penale, essa ha caratteri
del tutto autonomi dalla ordinaria azione civile
essendo strettamente legata alla presenza, nel
processo penale, di un imputato e poiché è
esclusa una successione nel rapporto penale
deve ritenersi esclusa anche la successione nel
rapporto civile, come dimostrato dall'art. 574 c.p.p.
che non contempla tra i soggetti legittimati a
proporre impugnazione gli eredi dell'imputato.
Quando il giudice della impugnazione dichiara
l'estinzione del reato per amnistia o per
prescrizione, se vi è stata condanna al
risarcimento
dei
danni,
deve
decidere
sull'impugnazione agli effetti civili (art. 578
c.p.p). "Decidere sull'impugnazione" significa
prendere in considerazione le censure dedotte
dall'impugnante e dar conto della loro fondatezza,
o meno, nei riflessi sulle statuizioni civili è perciò
non è sufficiente che il giudice dia atto
dell'insussistenza
dei
presupposti
per
l'applicazione dell'art. 129 c.p.p. Il permanere
dell'interesse della parte civile alla decisione sulla
sua azione risarcitoria,, comporta l'obbligo di
accertare, a questi limitati fini, la sussistenza del
fatto reato e la responsabilità dell'imputato.
Attenzione! l'art. 578 c.p.p., si riferisce al caso in
cui l'impugnazione sia dell'imputato o del p.m. e
solo in questa ipotesi richiede che, in presenza di
una declaratoria di amnistia o di prescrizione, per
decidere agli effetti civili,vi debba essere stata in
precedenza una valida pronuncia di condanna alla
restituzione o al risarcimento. Differentemente
l'art.
576
c.p.p.
conferisce
al
giudice
dell'impugnazione il potere di decidere sulla
domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in
mancanza di una precedente statuizione sul
punto, sempreché vi sia la impugnazione della
parte civile (Sez. Unite, n. 25083 del 11/07/2006).
Sul punto vi è stata pronuncia delle Sezioni Unite
(sent. 11 luglio 2008 n. 25083) che ha chiarito
come l'ipotesi disciplinata dall'art. 576 c.p.p.
prescinda da una precedente sentenza di
condanna; ciò perché il Giudice di appello, nel
dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione,
può, su impugnazione della sentenza di
assoluzione ad opera della parte civile,
condannare l'imputato al risarcimento dei danni in
favore di quest'ultima. La norma, conferisce al
Giudice della impugnazione il potere di decidere
sul capo della sentenza anche in mancanza di
una precedente statuizione in proposito.
A fondamento della decisione la Corte ha
osservato che il codice di rito ha scelto
l'autonomia dei giudizi sui due profili di
responsabilità civile e penale, nel senso che
l'impugnazione proposta ai soli effetti civili non
può incidere sulla decisione del giudice del grado
precedente in merito alla responsabilità penale del
reo, ma il giudice penale dell'impugnazione,
dovendo decidere su una domanda civile
necessariamente dipendente da un accertamento
sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità
dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può,
seppure in via incidentale, statuire in modo
difforme sul fatto oggetto dell'imputazione,
ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto.
L'effetto estensivo della impugnazione
Nel processo plurisoggettivo, la impugnazione proposta
dal coimputato - ancorchè sostenuta da motivo non
esclusivamente personale - non impedisce che diventi
irrevocabile la sentenza relativamente al rapporto
concernente l'imputato non impugnante (o la cui
impugnazione sia stata dichiarata inammissibile), la cui
esecutorietà resta per costui ferma, e neppure il giudice
dell'esecuzione può sospendere il relativo procedimento
esecutivo in mancanza di disposizioni che gli
attribuiscano un simile potere. L'effetto estensivo di un
motivo comune (art. 587 c.p.p) implica esclusivamente il
diritto del condannato originariamente non impugnante di
partecipare al giudizio per evitare giudicati contrastanti,
ma non anche una restituzione del termine, essendo
ormai irrevocabile la decisione nei suoi confronti: (Sez.
VI, del 02 ottobre 2013 n. 46202)
Presupposto del verificarsi dell'effetto estensivo
favorevole é la omogeneità delle diverse
decisioni, sicché resta escluso quando in un
secondo giudizio il giudice pervenga a una
decisione diversa e incompatibile con quella di cui
si chiede l'estensione. Pertanto, qualora per
ragioni di diversa strategia processuale si proceda
separatamente nei confronti di imputati per reato
plurisoggettivo e, come nella specie, per concorso
di persone nel reato previsto dall'art. 73 Legge
Stup., correttamente il giudice non applica al
coimputato appellante, separatamente giudicato,
la sentenza patteggiata - che ha definito in altro
giudizio il rapporto (Sez III, 2 luglio 2014 n.
43296).
L'effetto estensivo dell'impugnazione riguarda le
conseguenze delle decisioni adottate nei confronti
di coimputati non appellanti e pronunziate su
motivi di impugnazione non esclusivamente
personali, ma mai l'istituto è stato interpretato in
termini di obbligo del giudice di vagliare i motivi di
impugnazione del coimputato, ove di natura non
esclusivamente personale, anche in ipotesi di
separazione dei giudizi. Il verbo "giovare"
ripetutamente declinato dall'art. 587 c.p.p., si
riferisce, infatti, senza alcun dubbio ai soli
effetti
finali,
positivamente
conseguiti,
dall'impugnazione proposta da uno dei coimputati
i quali si riverberano in favore di altri non
impugnanti
EFFETTO ESTENSIVO E PLURALITA' DI
SENTENZE
Sul punto si registrano opinioni divergenti.
1) L'effetto estensivo dell'impugnazione
opera a condizione che il procedimento,
riguardante unico reato con pluralità di
imputati, non abbia subito separazioni tali da
impedire che tutti i coimputati siano
destinatari di una stessa pronuncia soggetta
ad impugnazione (Sez. II 12/06/2014 n.
40254).
2) Sez. I, primo marzo 2013 n. 16678 ha
valorizzato il contenuto dell'art. 601 c.p.p. (obbligo
di citazione del coimputato non appellante) la cui
premessa consiste nel fatto che il soggetto da
citare sia da qualificarsi come imputato in quel
medesimo procedimento e che quindi sia stato
destinatario della medesima sentenza che altri
coimputati abbiano impugnato. Ciò al al fine di
assicurare la par condicio degli imputati che si
trovino in situazioni identiche, In caso di
separazione dei giudizi il rimedio sarebbe
rappresentato dal giudizio di revisione.
3) Il presupposto dell'unicità della sentenza di
condanna non deve essere inteso in senso
rigidamente formale, con la conseguenza che
l'estensione degli effetti della sentenza favorevole
non può essere esclusa in presenza delle altre
condizioni di legge, in forza della mera
contingenza di una occasionale separazione delle
diverse posizioni (Sez. I, 11 febbraio 2015 n.
8861). Nel caso di specie la posizione di un
coimputato, dopo la condanna in primo grado, era
stata stralciata nel giudizio di appello per legittimo
impedimento determinato da motivi di salute.
EFFETTO ESTENSIVO E
INCOSTITUZIONALITA' DELLA NORMA
Lo ius superveniens più favorevole in materia di
disciplina
sanzionatone
delle
sostanze
stupefacenti "leggere", determinato dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014, deve
applicarsi anche nei confronti dell'imputato che
non abbia presentato impugnazione in ragione
dell'effettivo estensivo dell'impugnazione sia
perché
non
può
qualificarsi
questione
esclusivamente personale quella attinente alla
applicazione
di
una
norma
dichiarata
incostituzionale, sia perché il principio del favor rei
e di legalità costituzionale inducono ad una lettura
lata dell'effetto estensivo (Sez. IV 11 dicembre
2014 n. 1893)
EFFETTO ESTENSIVO E GIUDICE
ESECUZIONE
Quando il giudice della impugnazione ( in questo
caso di rinvio) pur sussistendone i presupposti,
non abbia citato i coimputati non ricorrenti e non
abbia estensivamente applicato gli effetti
favorevoli dell'annullamento disposto dalla Corte
di Cassazione, il rimedio spettante ai soggetti
pretermessi consiste nell'incidente di esecuzione,
atteso che questi, in quanto non citati, non sono
"parti" del giudizio di rinvio e che il giudice
dell'esecuzione è titolare del potere di intervenire
sul titolo esecutivo e di rivedere la condanna,
eliminandola o ridimensionandola sulla scorta del
citato effetto estensivo della più favorevole
decisione assunta.
EFFETTO ESTENSIVO E GIUDICATO
Non è precluso dal passaggio in giudicato della
sentenza che abbia condannato il soggetto
destinatario potenziale degli effetti vantaggiosi
dell'altrui impugnazione. Come hanno precisato le
SSUU (sent. 2 marzo 1995 n. 9). "il fenomeno
processuale dell'estensione dell'impugnazione in
favore del coimputato non impugnante (o
l'impugnazione del quale sia stata dichiarata
inammissibile ex art. 587 c.p.p.) è rimedio
straordinario che opera di diritto al verificarsi
dell'evento consistente nel riconoscimento, in
sede di giudizio conclusivo sul gravame, del
motivo non esclusivamente personale dedotto
dall'imputato diligente, idoneo a revocare il
giudicato in favore del non impugnante.
LE IMPUGNAZIONI DELLE ORDINANZE
Principio generale è quello per cui le
ordinanze possono essere impugnate
solamente con la sentenza che definisce
il giudizio, ad eccezione dei
provvedimenti de libertate suscettibili di
immediata impugnazione
ESEMPI
1) L'ordinanza con la quale il giudice del
dibattimento rigetta la richiesta di
restituzione di beni sottoposti a
sequestro probatorio non può essere
impugnata autonomamente, ma solo
unitamente alla sentenza che definisce il
relativo grado di giudizio, non risultando
applicabile la disciplina dettata dall'art.
325 c.p.p., (Sez. II sentenza
del 10
ottobre 2013 n. 43778).
2)La ordinanza di estromissione della parte
civile, non è impugnabile neanche con
l'impugnazione contro la sentenza.(giurisprudenza
costante della Corte di legittimità) perché il codice
di rito all'art. 88, comma 2, stabilisce
espressamente che "l'esclusione della parte civile
non pregiudica l'esercizio in sede civile dell'azione
per le restituzioni ed il risarcimento del danno" e
dunque la persona offesa una volta estromessa
dal processo, perde la qualità di parte e non è più
legittimato ad impugnare l'eventuale sentenza
assolutoria dell'imputato, che non contiene alcuna
statuizione decisoria che lo riguardi, chiudendosi
definitivamente il rapporto processuale civile
davanti al giudice penale (Sez. II 10 gennaio 2013
n. 3808)
3)Al contrario come affermato dalla sentenza delle
Sezioni Unite n. 12 del 19.5.1999, l'ordinanza di
inammissibilità o di rigetto della richiesta di
esclusione è impugnabile da parte dell'imputato,
unitamente all'impugnazione della sentenza. La
stabilità decisoria dell'ordinanza dibattimentale
ammissiva della parte civile deve ritenersi in ogni
caso provvisoria, "allo stato degli atti", idonea
perciò a giustificare una limitata preclusione endo
processuale, la cui ratio è quella di garantire per
economia processuale, l'ordinato e progressivo
svolgimento del giudizio in presenza di una parte
eventuale, senza l'instaurazione di fasi incidentali
produttive di stasi nel processo penale.
4) Se nel corso del dibattimento si verifica una di
quelle nullità che si sanano se non
immediatamente eccepite, è invocato a sproposito
l'art. 586 c.p.p. concernente l'impugnazione di
ordinanze emesse in dibattimento possibile solo
qualora non sia previsto diversamente dalla legge,
mentre nel caso in esame c'è una disposizione di
legge che prevede una disciplina diversa nel caso
in cui la parte presente intenda far valere la nullità
relativa
od
intermedia
di
un'ordinanza
dibattimentale: si tratta dell'art. 182 c.p.p., comma
2.
5) Fa eccezione alla regola generale la
categoria dell'atto abnorme impugnabile ex
se autonomamente (es: è abnorme la
pronuncia del giudice successiva al
dispositivo nella quale si modifichi quanto in
esso statuito, poiché interviene quando il
potere decisionale è stato esercitato
definitivamente (Sez. 5 aprile 2011 n.
16483).
6) l'art. 71 c.p.p., comma 3, stabilisce che contro
l'ordinanza che dispone la sospensione del
processo
per
incapacità
sopravvenuta
dell'imputato possono ricorrere per cassazione “il
p.m. l'imputato e il suo difensore, nonché il
curatore speciale nominato all'imputato". Il
disposto si riferisce soltanto all'ordinanza con la
quale il processo sia stato sospeso e ne
consegue che l'ordinanza con la quale, pur in
presenza di conclusioni peritali che escludano la
capacità
dell'imputato
di
partecipare
coscientemente al processo, venga disposta la
prosecuzione di quest'ultimo, per qualsiasi
ragione, non è impugnabile in via autonoma.
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