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La Leggenda di Colapesce

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La Leggenda di Colapesce
La Leggenda di Colapesce 1/2
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La leggenda di Colapesce è un
racconto dalle molte varianti di cui
alcune risalgono al 1300. La leggenda
narra di un certo Nicola con il
diminutivo di "Cola" di Messina, figlio
di un pescatore, soprannominato
Colapesce per la sua abilità di
muoversi in acqua.
Quando tornò dalle sue numerose
immersioni in mare raccontò le
meraviglie che vide, e addirittura una
volta portò un tesoro.
La sua fama arrivò al re di Sicilia ed
imperatore Federico II che decise di
metterlo alla prova.
Il re e la sua corte si recarono pertanto
al largo a bordo di un'imbarcazione.
Per prima cosa buttò in acqua una
coppa, e subito Colapesce la
recuperò.
La leggenda di Colapesce 2/2
• Il re gettò allora la sua corona in un luogo più profondo,
e Colapesce riuscì nuovamente nell'impresa.
Per la terza volta il re mise alla prova Cola gettando un
anello in un posto ancora più profondo, ma passò il
tempo e Colaspesce non riemerse più.
• Secondo la leggenda, scendendo ancora più in
profondità Colapesce aveva visto che che la Sicilia
posava su 3 colonne delle quali una consumata dal
fuoco dell'Etna, e aveva deciso di restare sott'acqua,
sorreggendo la colonna per evitare che l'isola
sprofondasse, e ancora oggi si trova a reggere l'isola.
• Otello Profazio, cantante folcloristico calabrese, gli
dedicò una canzone, appunto intitolata Colapesce.
La Leggenda di Elidoro 1/5
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La Sicilia è ricca di leggende. Abbiamo già esplorato
una parte di queste storie. Lo stretto di Messina ha
una parte importante nel poema omerico
dell'Odissea (vedi /rubriche/5680/) e Palermo è la
patria del famigerato Cagliostro (vedi
/rubriche/6284/). Ma questa terra offre altri miti
suggestivi. L'isola stessa è legata alla storia del
gigante Tifeo. Secondo questa antica leggenda,
infatti, Tifeo osò impossessarsi della sede del cielo.
Per questo affronto agli dei, venne da loro
condannato e imprigionato sotto l'isola. La sua
mano destra è bloccata sotto Peloro (Messina), la
sinistra sotto Pachino, mentre Lilibeo (Trapani) gli
blocca le gambe. Ma il supplizio peggiore lo subisce
la testa, su cui preme l'Etna. Le eruzioni del vulcano
infatti non sarebbero altro che gli sforzi del gigante
di smuoversi e di scrollarsi di dosso questo terribile
fardello. Tifeo è furente per la sua prigionia, quindi
proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca.
Dall'Etna ci spostiamo nello spazio, a Catania, e nel
tempo, all'VIII secolo d.C., per conoscere un grande
mago.
“U Liotru” e la leggenda di Eliodoro
La leggenda di Elidoro 2/5
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L'emblema di Catania (l'antica Càtinon) è l'elefante. Oggi per esempio è possibile
vederlo sul logo comunale della città o sul simbolo della squadra di calcio, ma la sua
origine è molto antica. Perché è così importante questo animale per Catania? Ci sono
varie storie intorno a questo emblema. Una racconta di come l'elefante sia stato
l'unico animale a difendere la città, quando le belve del circondario attaccavano i suoi
abitanti. Altro elemento da prendere in considerazione è il culto di Dionisio, che ebbe
molta diffusione nei periodi ellenistico e romano della Sicilia; e com'è noto Dionisio
sconfisse le Amazzoni proprio a cavallo di un elefante. La fama dell'animale poi ebbe
la definitiva espansione quando Annibale fece vacillare l'Impero Romano, proprio con
le sue truppe di elefanti. A Catania l'elefante divenne il simbolo della città. Venne
preparata una scultura dell'animale, usando però non marmo o travertino, bensì
pietra lavica; in questo modo la statua avrebbe protetto il territorio dalla furia
dell'Etna, come un talismano. La figura fu posta sulle porte della città e vi rimase fino
ai tempi della dominazione araba, quando fu trasferita nella chiesa dei Benedettini.
Oggi il simulacro adorna la monumentale fontana che si trova a Piazza Duomo e
viene comunemente chiamato "U liotru". Ma la vera origine del Liotru sarebbe avvolta
nella leggenda.
La leggenda di Elidoro 3/5
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Il nome dell'elefante (Liotru) deriva da Eliodoro, un mago che visse intorno al 725 d.C. In quel
tempo Catania era una provincia bizantina dell'Impero Romano d'Oriente, retto allora da Leone III
l'Isaurico. Eliodoro era dotato di poteri soprannaturali, era un mago, un incantatore. Come aveva
ottenuto le sue capacità? Questo individuo era un uomo intelligente e ambizioso, che aspirava a
diventare vescovo di Catania, e poi magari prefetto. Ma pur con tutte le sue doti, non riusciva ad
affermarsi. Un giorno però conobbe uno stregone ebreo, che lo iniziò alle arti magiche e lo
convertì al giudaismo. La leggenda vuole che una notte Eliodoro si recò presso il sepolcro degli
eroi, ponendosi in cima a una colonna per evocare il diavolo, grazie a un misterioso scritto che gli
era stato consegnato dallo stregone ebreo. In cima alla colonna, lacerò e disperse la pergamena
al vento. Satana infine apparve e gli chiese cosa volesse. Eliodoro gli confidò le sue ambizioni, al
che il demonio gli disse: “Se rinneghi la fede in Cristo, ti pongo a fianco uno della mia corte,
Gaspare, che sarà tuo servo, e ti conferirò poteri magici.” Eliodoro accettò e in questo modo
ottenne poteri straordinari.
Sono moltissimi gli incantesimi attribuiti a Eliodoro. Pare che fu lui stesso a costruirsi
magicamente l'elefante, con la lava dell'Etna. A cavallo della magica creatura girava per la città,
facendo scherzi e dispetti alla popolazione. Si racconta poi che andasse al mercato e comprasse
tutto ciò che volesse, pagando in ori e diamanti; ma una volta che se ne andava, i preziosi si
trasformavano in sassi. Una volta invece beffò il nipote del vescovo. Lo fece puntare a una corsa
di cavalli, facendolo vincere. Ma al momento della premiazione il cavallo vincente parlò, davanti
agli astanti stupiti, rivelando che in realtà era Satana stesso, messosi al servizio del mago per lo
scherzo, e poi sparì.
La leggenda di Elidoro 4/5
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Il lacchè Gaspare gli si accostò umilmente dicendo: “Eliodoro, ormai è molto tempo che ti
servo. Credo che domani, se userai bene le forze in tuo possesso, potrai finalmente
sconfiggere quel vescovo testardo, che si oppone a noi e al nostro Padrone. Magia e false
credenze sono popolari in questo luogo, già dai tempi di papa Gregorio, che inutilmente ha
tentato di debellarle. Ora però le cose stanno peggiorando, stiamo perdendo influenza. Devi
impegnarti a fondo e combattere la battaglia decisiva contro il vescovo, esponendolo al
pubblico ludibrio.” Eliodoro si drizzò orgoglioso, guardò Gaspare con arroganza e rispose:
“Vedrai, domani la mia fama supererà quella di Simon Mago, avrò la mia vittoria! Ora
lasciami solo, devo prepararmi in modo adeguato.”
Così il mago passò la notte tra meditazioni, evocazioni e invocazioni, finché non si sentì
ricolmo di potere. Venne il mattino e un sole pallido e macchiato, come se avesse il vaiolo,
sorse. Eliodoro ne trasse un buon auspicio per l'impresa. San Leone, come previsto, stava
celebrando una messa solenne, alla quale era convenuta una gran quantità di fedeli. Ecco
che apparve lo stregone che, insinuandosi tra la gente, cominciò a tessere i suoi perfidi
incantesimi. A uno fece spuntare le corna, a un altro mutò il volto in quello di un maiale, altri
ancora in scimmia o bue; alcune persone fece diventare calve, ad altre i capelli crebbero in
lunghe e ricciolute chiome. Alla vista di questi prodigi qualcuno rideva, altri invece si
tiravano indietro, per paura. L'incantatore, avanzando fino alle prime file, sfidò il vescovo:
“Che diavolo perdi tempo con quelle fandonie, Leone! Vieni con noi a ballare in piazza!”
La leggenda di Elidoro 5/5
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Il vescovo lo ignorò, continuando a pregare e a celebrare la messa. Quando
terminò con l'Ite Missa Est, scese dall'altare e si avvicinò allo stregone, che
continuava a deriderlo. Leone si tolse la sacra stola, gliela gettò al collo e
tenendola saldamente per i due capi gridò: “Per Christum Dominum meum,
nihil hic valebunt magicae artes tuae.” Eliodoro si ritrovò paralizzato da una
forza sovrumana, non poteva né muoversi né parlare. Il vescovo ordinò
allora di scavare una fossa di fronte alla chiesa, di colmarla di fascine e di
appiccare il fuoco. Quando le fiamme furono alte il prelato entrò nel rogo
trascinandosi dietro Eliodoro. In mezzo alle fiamme Leone rimase dritto, con
aria solenne, sacra, perché il fuoco non lo attaccava. Lo stregone invece
veniva divorato dalle vampe. Alla fine il vescovo uscì dall'incendio integro,
mentre il diabolico mago era distrutto per sempre. Il sole, ora chiaro e
luminoso, splendeva nel cielo, e la sua luce sembrava ricoprire il santo
vescovo di un alone d'oro.
Così moriva il potente stregone, ma "U liotru", la sua cavalcatura incantata,
sarebbe sopravvissuta fino ai nostri giorni...
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