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alcune stazioni italiane

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alcune stazioni italiane
Viale Kennedy 4
90014 Casteldaccia (PA)
www.ingegneriasolazzo.it
ALCUNE STAZIONI ITALIANE
A) Il piazzale di stazione [1]
Per ogni ferroviere che opera nei servizi tecnici, il significato del termine “stazione” non
ha bisogno di particolari definizioni ma, anche per quanti operano all’esterno del settore
specifico o sono dei semplici clienti del servizio ferroviario, la parola “stazione” non ha
bisogno di ulteriori spiegazioni perché, per chiunque, essa rappresenta banalmente il
luogo dove è possibile salire o scendere da un treno. La stazione, fin dai primi sviluppi del
sistema ferroviario, costituisce un importante punto di incontro delle persone. Ogni
stazione di una certa dimensione si presenta come un luogo vivo dove le normali attività
tecniche, commerciali, di supporto e di assistenza al viaggiatore, si sviluppano e si
intrecciano con le molteplici dinamiche relazionali che vi si generano, rendendola
assimilabile ad una vera e propria “cittadella nella città”.
Scendendo nei particolari più legati al servizio ferroviario, l’immagine più significativa nel
caratterizzare la stazione, è offerta dall’insieme dei binari che vi convergono e che
costituiscono il piazzale di stazione. Se, intuitivamente, il piazzale di stazione è di facile
comprensione, dal punto di vista tecnico, comprende una serie di problematiche, rispetto
alle quali, nel tempo e in relazione agli sviluppi tecnologici dei suoi componenti, sono
state definite molteplici normative e specifiche tecniche atte a garantire, in piena sicurezza,
la corretta e costante funzionalità di esercizio.
Dal punto di vista movimentistico, con riferimento alla gestione e al controllo della
movimentazione del materiale rotabile, il termine “stazione”, sottintende un impianto
ferroviario collegato ad una o più linee, ove è possibile effettuare manovre; considerando
manovra ogni movimento dei rotabili per la formazione dei treni, per il ricovero dei veicoli
ferroviari su appositi binari, per cambi di binario da parte di convogli, ecc. In altre parole
un impianto ferroviario assume il nome di “stazione” quando esiste almeno un dispositivo
di armamento atto a consentire la deviazione del materiale rotabile da un binario ad un
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altro. Tale dispositivo, chiamato deviatoio, fa parte della serie degli “enti del piazzale” e
può essere azionato direttamente con meccanismo manuale oppure con dispositivo
elettromeccanico. La manovra in questo caso può essere comandata dalla stazione stessa
oppure da un’altra postazione remota (ad es. apparato centrale) attraverso apposito
telecomando. Più sinteticamente diremo che una stazione può essere definita come il posto
di servizio dove è possibile regolare la circolazione dei treni attraverso manovre di
“incrocio” e/o di “precedenza”.
Tipologie di stazione
Nel lessico ferroviario, a seconda delle caratteristiche costruttive, delle funzioni svolte e
dei regimi di esercizio adottati, la stazione può assumere diverse terminologie come ad
esempio:
-
stazione di smistamento, in cui arrivano e partono treni merci;
-
stazione a isola, circondata dalle linee che vi convergono;
-
stazione porta, o posto periferico che, con un sistema di telecomando, sovrintende
all’ingresso e all’uscita dei rotabili, nella relativa area controllata;
-
stazione capotronco che delimita il sezionamento di una determinata linea in tronchi;
-
stazione madre, ove si accentrano attività di coordinamento riferite a più stazioni;
-
stazione disabilitata dove, non essendo presenziata dal Dirigente Movimento, non è
possibile effettuare precedenze e/o incroci;
-
ecc.
ma le più classiche, dal punto di vista dell’accesso al trasporto viaggiatori, possono
riassumersi nelle due tipologie: “stazione di testa” e “stazione passante”.
La stazione di testa è caratterizzata dalla giacitura dei binari di piazzale con asse
perpendicolare al prospetto principale del fabbricato viaggiatori. È questo il caso di alcune
grandi stazioni come Milano Centrale, Roma Termini, Torino P.N., Napoli Centrale, ecc. In
questo tipo di stazione i treni arrivano e partono dallo stesso lato e la loro movimentazione
è condizionata dalla necessità di dover effettuare più manovre dei rotabili con un
maggiore impegno temporale dei binari oltre che alla necessità di doversi provvedere
all’agganciamento e allo sganciamento della trazione per i treni con locomotiva di testa.
Anche piccole stazioni di testa, sono realizzate in corrispondenza dei terminali di linea a
carattere locale che uniscono determinate località.
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La stazione passante è caratterizzata dalla giacitura dei binari di piazzale, con asse
parallelo al prospetto principale del fabbricato viaggiatori; questa è la tipologia che
consente una migliore fluidità nella gestione dell’esercizio ferroviario perché i treni,
partendo e arrivando da entrambi i lati, non richiedono particolari manovre ed impegnano
quindi, per un tempo più limitato, i binari della stazione. Per questo nelle grandi città, ove
sorgono grandi stazioni, si sono sviluppate anche molte altre stazioni aventi la
caratteristica di stazione passante per consentire appunto una maggiore fluidità nello
svolgimento dell’esercizio ferroviario.
Passiamo ora ad analizzare sinteticamente le principali configurazioni che possono essere
assunte dai piazzali ferroviari, a seconda della loro collocazione nelle diverse tipologie di
stazione in cui questi si trovano inseriti.
Stazione lungo linea a semplice binario
In questo caso, accanto al binario di corsa, esiste un altro binario per l’effettuazione di una
manovra di incrocio tra due treni che marciano in senso opposto oppure per consentire
una manovra di precedenza e cioè il sorpasso di un treno lento da parte di un terno veloce.
Il binario che si affianca al binario di corsa deve avere una lunghezza tale da poter ricevere
un treno di lunghezza corrispondente alla massima composizione ammessa per quella
linea. Tale lunghezza è chiamata “modulo”. Oggi il modulo che si assume sulle linee FS è
di norma non inferiore a m 650, anche se, su diverse linee tale lunghezza si mantiene
ancora inferiore a quel valore. Oltre al binario d’incrocio possono essere presenti talvolta
uno o più binari che formano uno scalo per lo stazionamento di materiale rotabile ed
eventualmente per la gestione del trasporto merci.
Stazione lungo linea a doppio binario
In questo caso oltre alla possibilità di disporre della comunicazione fra i due binari di
corsa per consentire la deviazione della circolazione ferroviaria dal binario pari al binario
dispari e viceversa, può esistere anche un terzo binario per l’effettuazione di manovre di
precedenza sia per i treni dispari, sia per i treni pari. In tale caso tale binario assume il
nome di “precedenza promiscua”. Generalmente nelle stazioni poste lungo linee a doppio
binario, le precedenze sono due, una per il binario dispari ed una per il binario pari.
Anche in questo caso non è esclusa la presenza di altri binari di manovra e di scalo.
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Stazione in cui convergono più linee
Possono confluire linee a semplice binario, a doppio binario, ecc. E’ il caso delle grandi
stazioni che generalmente ospitano anche molti binari di stazionamento, di manovra e, in
alcuni casi, anche binari dedicati ad impianti di smistamento e ad impianti per la
manutenzione dei rotabili.
[1] La Tecnica Professionale N. 4/Aprile 2014 – “Il Piazzale di Stazione” – Edita dal Collegio
Ingegneri Ferroviari Italiani – di Marcello Serra
B) L’evoluzione architettonica delle stazioni [2]
La lotta contro il tempo ha sempre accompagnato l’esistenza dell’uomo, attraverso la
ricerca tecnologica di mezzi più veloci e comodi. Una spinta decisiva del progresso e
dell’evoluzione è stata data senz’altro dall’introduzione delle strade ferrate: carrozze
guidate da locomotive su due “linee guida” separate da traversine. Fu un’idea geniale e
rivoluzionaria, capace di collegare i vari centri urbani e stravolgere le abitudini sociali. Ma
la ferrovia portò cambiamenti anche a livello architettonico: le aree delle stazioni
modificarono il volto delle piazze creando un connubio “visivo” con i palazzoni del ‘400 e
‘500, e trasformandosi in nuclei vitali delle stesse città.
Il passaggio panoramico fu comunque graduale. All’inizio le stazioni tra la fine dell’800 ed
il primo ‘900 erano infatti di semplice concezione: ubicate in periferia, costituite da pochi
binari, circondate dal fabbricato viaggiatori, dal magazzino merci e dalla rimessa per le
locomotive e le carrozze. Tutti i progetti partivano dagli uffici dell’amministrazione
ferroviaria che incaricavano modesti “disegnatori” di sviluppare idee e criteri per lo più
univoci. Bastava infatti attenersi alla logica della simmetria: una sala d’aspetto, l’ufficio del
capo stazione e del telegrafo, la biglietteria, e la cappella della stazione. La struttura
dell’edificio era generalmente realizzata in legno con un’unica tettoia a coprire il
marciapiede, e alla stazione si arrivava a piedi o in carrozza.
La sera il piazzale veniva illuminato con le lampade a gas mentre le sale d’aspetto per
mezzo di lucerne a petrolio. Esempio tipico è la stazione provvisoria romana di Porta
Maggiore.
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Ma con l’estensione della rete ferroviaria, l’aspetto delle stazioni diventò sempre più
simile
alle
architetture
civili
dell’epoca
assumendo
caratteri
monumentali.
La
composizione delle facciate principali, sia per quelle di transito che per quelle di testa, era
gerarchizzata, in genere tripartita e simmetrica con articolazione in un corpo centrale di
maggiore importanza e due ali laterali, come per la prima stazione di Milano Centrale del
1864, Venezia Santa Lucia del 1846, e Firenze Maria Antonia del 1848.
Verso la metà del secolo, i materiali della ferrovia, la ghisa e il ferro dolce vennero
utilizzati sia per la costruzione delle stazioni ferroviarie che per quelle a scopo transitorio
come i padiglioni espositivi. Inoltre nei progetti architettonici ci fu anche un uso massiccio
del vetro. La tecnica standard dei fabbricati e dei binari così cambiò radicalmente. Si passò
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dalla tipica sezione del binario alla trave standard a doppio T. Ma vennero introdotti
anche i pilastri di ghisa, le travi di ferro e le vetrate modulari. E si definì il “disegno” da
adottare sulle strutture, tipiche del lessico cinquecentesco connesse agli ordini
architettonici, come si può notare ancora in alcune vecchie stazioni, sulle colonne in ghisa
o sulle mantovane delle pensiline. La stazione ferroviaria costituiva una sfida particolare
ai canoni architettonici tradizionali. Nelle stazioni di testa le grandi volte metalliche che
coprivano i binari erano visibili o proiettate in prospetto, tramite una vetrata semicircolare
di grandi dimensioni. Tale impostazione era stata adottata nella prima stazione di Roma
Termini progettata da Salvatore Bianchi, nella vecchia stazione di Napoli Centrale di
Alvino ed ancora visibile nella stazione di Torino Porta Nuova di Alessandro Mazzuchelli,
avviata nel 1861 e conclusasi nel 1868 in cui è presente un grande lucernaio rettangolare,
con 48 metri di luce per 140 di lunghezza, e soprattutto con la volta a tutto sesto non
intraversata da catene.
Verso la fine del secolo la stazione di Milano Centrale, i cui studi iniziarono nel 1898 e
l’inaugurazione ebbe luogo nel 1931 su progetto di Ulisse Stacchini, la galleria di ingresso
assunse proporzioni gigantesche.
Ma non fu molto acclamata dalla critica architettonica moderna.
Le stazioni minori dei primi anni del ‘900 avevano una composizione semplice di
un’edilizia corrente: si articolavano generalmente su due o tre piani in cui al piano terra
era ubicato un atrio o vestibolo, disposto in asse e circondato da spazi adibiti a locali
tecnici, come la sala del capostazione e del telegrafo, la sala di attesa e la biglietteria,
mentre ai piani superiori, trovavano posto gli appartamenti dei tecnici e dei funzionari. I
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“fabbricati viaggiatori” più grandi presentavano un atrio più esteso e diverse sale
d’aspetto di I, II e III classe, e inoltre vi erano settori differenziati per i bagagli e i servizi.
Sino alla fine degli anni ’20 le stazioni italiane non mutarono lo stile, ma adottarono ancora
gli apparati decorativi accademici, dal carattere eclettico ed umbertino che rispecchiavano
ancora l’immagine del “Palazzo”.
Mentre negli anni ’30 l’edilizia pubblica, ma soprattutto l’architettura ferroviaria, fu
terreno di sperimentazione della moderna architettura funzionalista, fatta sulla rinuncia
della individualità.
Le leggi costruttive del cemento armato alimentarono un codice concettuale, metodologico
e formale: la disposizione planare dei solai orizzontali con l’esilità sicura dei sostegni
statici e con l’alternanza dei piani e dei vuoti che creano ombre geometriche valutate, dai
razionalisti, alla stessa stregua dei valori della classicità ellenica. L’epoca è caratterizzata
dalla notevole produzione di stazioni ferroviarie su progetto di Angiolo Mazzoni,
ingegnere e architetto, dipendente del Ministero delle Comunicazioni, che volle dare
nuova linfa al linguaggio architettonico ferroviario, contribuendo a formare uno “stile”
costituito da soluzioni funzionali e da modelli di originalità.
La stazione non risultava più il tradizionale “blocco unico”, ma tendeva a separare i vari
servizi sulla base dei principi di dinamicità, trasparenza e luce che rispondevano ai veri e
propri assiomi futuristi.
Tra le opere più significative la stazione di Siena dove i piani orizzontali delle pensiline
continue a forte aggetto e gli elementi verticali molto simili ai modelli metafisici di De
Chirico, sono una sorta di sintesi delle sue idee sia tipologiche che compositive;
Montecatini Terme, sviluppata secondo un’organizzazione asimmetrica, dove la torre e la
fontana sono pensate come una “cerniera” di riferimento all’allineamento con la strada
principale, per sottolineare il collegamento tra la stazione e la città; Reggio Emilia la cui
particolarità è l’interno, dove Mazzoni pensò di disegnare un deposito bagagli di forma
semicilindrica in rame e vetro, molto simile all’elemento che usò Walter Gropius per la sua
Gasmotorfabrik di Colonia.
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Va quindi a sparire la concezione di stazione come “cattedrale del ferro” di stampo
ottocentesco, per un nuovo tipo di stazione adeguata ai nuovi valori espressivi della
razionalità e dell’essenzialità decorativa.
La nuova stazione di Firenze Santa Maria Novella del Gruppo toscano (Giovanni
Michelucci e altri 1933-’35) è il simbolo del cambiamento sia per la razionalità
dell’impianto che per la scelta dei materiali: semplici e lineari volumetrie che si accordano
perfettamente all’abside di Santa Maria Novella ubicata nelle immediate vicinanze.
La dinamica culturale dei nuovi tempi impone di rivoluzionare l’architettura dei trasporti,
adeguandola all’evoluzione del gusto ancorato ai nuovi valori espressivi della razionalità,
della funzionalità, dell’essenzialità antidecorativa e antieclettica. Nell’ambito dell’allora
Servizio Lavori delle Ferrovie si è molto discusso in questi anni su quale modello
architettonico adottare e come realizzare le costruzioni delle nuove stazioni di transito di
medio livello, considerato che fino ad allora si era utilizzato il ferro e la ghisa.
L’ingegner Giovanni Polsoni tentò di dare una risposta circa la nuova tecnica da utilizzare,
prendendo come modello la stazione di Firenze SMN, e quindi affermò che: “le pensiline
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in cemento armato si sarebbero inserite con le loro ali aperte e tese fra i binari lucenti e
diritti e i piani lisci e tersi delle fabbriche….”. E’ in virtù di questa impostazione che le
opere di finitura e di “arredo urbano” messe a punto per Firenze SMN finiscono per
omologare una sorta di decoro standard per le stazioni degli anni trenta. La scelta
prettamente estetica, tende a scartare l’impiego dei tradizionali sostegni metallici per
adottare quindi un nuovo sistema costruttivo basato sull’utilizzo di un’unica fila di pilastri
in cemento armato di sezione ridotta, disposti sull’asse mediano dei marciapiedi. Mentre
la scelta di un unico interasse di 11 metri ha consentito di allineare i pilastri
trasversalmente sui marciapiedi sia per i viaggiatori, sia per quelli di servizio. L’idea
formale del tutto nuova, di avere un unico intradosso continuo, porta a disporre le
nervature del sistema portante al di sopra della soletta. L’estradosso a sua volta è scandito
dall’orditura di due travi longitudinali affiancate, colleganti la testa dei pilastri e da travi
secondarie a sbalzo. Le stazioni di Trento, Reggio Calabria, Latina (sempre Mazzoniane),
la stazione di Viareggio del Narducci, o la stazione di Roma Prenestina del Perili e altre,
sono ulteriori esempi di stazioni di medio livello che esprimono in maniera diretta i tipici
segni del linguaggio razionalista.
Successivamente, durante il periodo bellico, le stazioni ferroviarie furono prese di mira dai
bombardamenti alleati, i danni agli impianti e ai fabbricati furono ingenti, e la
ricostruzione radicale dei fabbricati fece tabula rasa dell’edificio preesistente. Gli
interventi per la ricostruzione si caratterizzarono per una radicale ristrutturazione degli
edifici, senza tenere conto del loro valore architettonico di base. Ne sono principale
testimonianza gli interventi del Narducci, su diverse stazioni, come Verona Porta Nuova o
la stazione di Siena, i cui resti sopravvissuti alla guerra sono stati completamente demoliti
per far posto ad un edificio, delle medesime dimensioni e impianto tipologico. Tra gli anni
’50 e ’60, si cominciò ad avvertire un profondo disagio. Con la riduzione della domanda
del trasporto ferroviario, diminuirono anche gli interventi di progettazione delle nuove
stazioni. Il boom economico offrirà l’opportunità di misurarsi con i temi dell’impetuosa
crescita urbana e del riassetto del territorio. Nascono esempi significativi (Pescara,
Cosenza), ma solo ultimamente, la questione “Fabbricati di stazione” ha assunto rilevanza
strategica in ambito F.S., e per le stazioni primarie è stata costituita un’apposita società
(Grandi Stazioni) il cui obbiettivo, passa dalla riqualificazione e recupero edilizio alla
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valorizzazione e rifunzionalizzazione degli spazi. Il disegno architettonico non è più opera
degli uffici tecnici ferroviari, ma viene affrontato da specialisti esterni, tramite pubblici
concorsi di architettura banditi da RFI. Le nuove stazioni ferroviarie, tendono ad adottare
un nuovo linguaggio architettonico, mirato a conseguire effetti d’enfasi tecnologica. Si
tratta di progetti ambiziosi, che vantano le prestigiose firme di architetti di fama mondiale.
[2] Storia e tecnica ferroviaria – “L’evoluzione architettonica delle stazioni” – Edita dal
Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani
C) Qualità delle stazioni, estetica e attrattività del trasporto ferroviario [3]
A partire dal 1980 si diffonde in Europa un movimento architettonico, la “Station
Renaissance”, promosso dagli operatori ferroviari, volto a soddisfare le aspettative dei
clienti con riferimento ad attributi di viaggio come il comfort a bordo, la sicurezza nelle
stazioni e la funzionalità ed affidabilità dei servizi di trasporto collettivo.
Questo movimento ha nell’estetica, nella qualità architettonica, nell’integrazione con il
paesaggio circostante e nell’accessibilità ed interscambio tra i terminali di trasporto i suoi
punti di maggiore originalità. Fino a quel momento le stazioni avevano avuto come unica
funzione quella di accogliere i treni, erano, citando il sociologo Mark Auge, dei “non
luoghi”, ovvero dei posti privi di identità nei quali il passeggero non ha la percezione di
essere in un luogo. Al contrario, altri luoghi della città come ad esempio le piazza (si pensi
a piazza del Plebiscito a Napoli o piazza della Signoria a Firenze), sono sempre state
realizzate con l’intento di suscitare delle emozioni in un individuo che le attraversa
rappresentando luoghi ben definiti e riconoscibili.
I principi della Station Renaissance inizialmente vengono rivolti esclusivamente alla
riqualificazione delle stazioni dismesse, ma ben presto si estendono anche alla
progettazione delle nuove stazioni oltre che della pianificazione urbanistica. Infatti, per le
nuove realizzazioni viene privilegiato l’uso di forme architettoniche semplici, l’armonia
dei materiali e dei colori impiegati, ma sempre in perfetta armonia con l’identità storica
della città e delle aree in cui vengono realizzate. Di esempi illustri ce ne sono in tutta
Europa e sono stati recentemente anche classificati dal quotidiano Inglese Telegraph che
ne ha raccolte alcune e ha proclamato la stazione di “Toledo” della Linea 1 della
metropolitana di Napoli come una delle stazioni più belle d’Europa.
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Nello stesso periodo, lo sviluppo delle reti ferroviarie ad alta velocità ha radicalmente
modificato le esigenze di mobilità degli individui, trasformando anche il ruolo stesso delle
stazioni, che, oltre a nodi del sistema dei trasporti, diventano anche luoghi della città con
una propria ben chiara e distinta identità partecipando attivamente al sistema delle attività
urbane.
Dal 1990, i principi della Station Renaissance migrano dall’Europa agli Stati Uniti
d’America, dove si inizia a diffondere il cosiddetto “Context Sensitive Design for Railways”
(CSDR), un movimento basato sull’analisi degli impianti sociali e ambientali causati dalla
realizzazione delle nuove infrastrutture. Anche per questo movimento l’estetica diventa
parametro cruciale nella progettazione di nuove infrastrutture di trasporto al fine di
aumentarne la qualità dei servizi offerti oltre che la vivibilità delle aree circostanti. Nel
CSDR il concetto di estetica non si limita alla semplice qualità visiva basata sulle forme,
sulle dimensioni e sui colori ma include anche aspetti più soggettivi per il viaggiatore
come l’utilità stessa di compiere uno spostamento.
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Vengono così definiti dei veri e propri standard progettuali per le nuove realizzazioni (si
veda ad esempio la stazione di Metro Center di Washington DC):
-
spazio: preferibilmente grandi realizzazioni, ma sempre a misura d’uomo, sia in
termini di sicurezza che di comfort;
-
illuminazione: prediligere l’illuminazione naturale perché più sostenibile e per la
maggiore percezione di sicurezza;
-
toponomastica: utilizzare regole semplici e precise per i nomi delle stazioni, per
aumentarne la memorizzazione e la creazione di un’identità propria;
-
colore: preferire colorazioni confortevoli ed attraenti;
-
pubblicità: spazi per la sponsorizzazione di prodotti standardizzati ben visibili ma
al contempo non invasivi.
In un contesto realizzativo ed architettonico caratterizzato, come detto, da numerose
realizzazioni Europee ma anche mondiali (es. stazioni Cincinnati in Ohio, USA; Khalid bin
Al Waleed Wilhelminaplein a Dubai), gli aspetti non quantitativi della qualità nel
trasporto collettivo, come il valore “estetico” delle stazioni, il comfort di viaggio ecc., non
sono stati sufficientemente approfonditi in termini di stima degli effetti sulla qualità
percepita e sulle scelte di mobilità per gli utenti. Analisi quantitative volte a valutare
questi aspetti sarebbero, invece, utili per non dire indispensabili sia per le valutazioni
economiche (es. convenienza economica di un’opera), sia per la stima degli effetti sul
comportamento dei viaggiatori (es. modifiche di scelta dei servizi di trasporto, del modo
utilizzato o del percorso intrapreso), che influenzano il grado di congestione delle
infrastrutture oltre che gli impianti ambientali del sistema dei trasporti. La letteratura
scientifica di settore ha affrontato il problema della qualità nel trasporto collettivo
soprattutto per quanto riguarda gli attributi tradizionali del servizio come la regolarità, il
comfort a bordo, il livello di affollamento ecc.
In questo contesto anche in Italia si sono recepite e diffuse queste tendenze; forse il caso
più emblematico è quello della città di Napoli che è stata tra le prime città d’Europa ad
intuire l’importanza di realizzare stazioni con elevati standard artistici ed architettonici.
L’aerea metropolitana di Napoli parte da una tradizione importante nel trasporto
ferroviario; nel 1839 fu inaugurata la linea Napoli – Portici, prima ferrovia d’Italia, nel
1889 apre la linea Cumana, seconda linea ferroviaria metropolitana al mondo dopo quella
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di Londra ed ancora nel 1925, la Direttissima Pozzuoli – Gianturco è il primo passante
ferroviario d’Europa. Il processo di accumulo del capitale ferroviario si arresta però nel
dopoguerra, quando in Campania, come nel resto d’Italia, si iniziò a puntare su un
modello di sviluppo della mobilità basato sul binomio strade – autostrade relegando il
trasporto ferroviario ad un ruolo sempre più marginale.
Ma il territorio campano presentava delle notevoli potenzialità per il recupero ed il
rilancio del trasporto ferroviario, ad esempio l’area metropolitana di Napoli è tra le più
densamente abitate del pianeta e la densità è, soprattutto per il trasporto pubblico locale,
uno degli elementi che favoriscono l’uso della ferrovia. Solo negli anni ’90, con il Piano
Comunale dei Trasporti di Napoli, si decise di tornare a puntare su un modello di sistema
dei trasporti integrato basato sulla ferrovia al fine di aumentare l’accessibilità per le
diverse aree del territorio (il Sistema Metropolitano Regionale – SMR). Parallelamente e
congiuntamente si avvia anche un processo di riqualificazione urbanistica delle aree
adiacenti alle nuove stazioni, secondo i principi del “Transit Oriented Development” (TOD),
ovvero quel movimento urbanistico introdotto per la prima volta da Calthorpe nel 1993
che sintetizza teorie e metodi volti a favorire uno sviluppo metropolitano policentrico, in
cui i poli centrali sono le stazioni ferroviarie ed intorno a queste vanno sviluppati dei
sistemi urbani “misti” ad alta densità. Esempi significativi a Napoli sono la
riqualificazione di Piazza Dante, una delle piazze simbolo della città, che prima della
riqualificazione urbana era utilizzata come parcheggio,
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o via Salvator Rosa che nel 1956 presentava sul suolo dell’attuale stazione una discarica a
cielo aperto, e che dopo la riqualificazione, a cura degli architetti Francesco e Alessandro
Mendini, è diventata il simbolo di integrazione del quartiere circostante, valorizzando
anche i resti di un ponte romano rinvenuti in loco.
Questo processo è tuttora in corso, altri nuovi elementi caratteristici diventeranno, una
volta terminati i lavori di riqualificazione, piazza Garibaldi (la stazione Centrale della
città) e piazza Municipio .
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Nell’idea generale del progetto di Sistema di Metropolitana Regionale le stazioni
diventano un simbolo per il “nuovo” trasporto collettivo. Per tale ragione le stazioni della
metropolitana di Napoli e della Campania sono state spesso arricchite da opera d’arte di
artisti contemporanei scegliendo quindi specifici architetti ed opere in funzione della
localizzazione della stazione al fine di conferire ad ogni stazione una propria e distinta
identità. Si decise di rifarsi all’arte contemporanea perché quelle stazioni potessero
divenire il simbolo della Napoli del futuro. Sono stai coinvolti nel progetto metropolitano
architetti di fama internazionale tra cui Zaha Hadid, Rogers, Perrault, Eisenman, Fuksas,
Kapoor, D’Ascia, Aulenti, Mendini, Podrecca, Siola, Botta e Pagliara, oltre a tanti giovani
architetti napoletani e campani. Questo nuovo modo di concepire le stazioni ferroviarie è
stato anche formalizzato tramite la Delibera Regionale n. 637 del 2006 che riporta le “linee
guida per la progettazione e realizzazione delle stazioni della metropolitana regionale”,
definendo gli standard di gradevolezza (intesa come qualità e comfort ambientale),
comodità d’uso (funzionalità) e sicurezza che le nuove stazioni ferroviarie devono
possedere.
A partire da queste considerazioni, si è sviluppata una ricerca scientifica volta a valutare
se e quale fosse il valore dell’estetica nel trasporto ferroviario, ovvero quanto un utente è
disponibile a pagare per usufruire di un servizio più “bello” e confortevole e se e quali
fossero gli effetti della bellezza sulle scelte di mobilità dei viaggiatori, ovvero se e cosa un
utente è disposto a fare per usufruire di un servizio più gradevole ed accogliente.
[3] Ingegneria ferroviaria N. 4/Aprile 2014 – “Qualità delle stazioni, estetica e attrattività del
trasporto ferroviario: evidenze empiriche e modelli matematici” – Edita dal Collegio Ingegneri
Ferroviari Italiani – Ennio Cascetta, Armando Cartenì e Ilaria Henke
D) La nuova stazione alta velocità di Torino Porta Susa [4]
La linea ferroviaria Milano – Torino, attraversa la città di Torino, dividendola in due parti.
La realizzazione della nuova stazione di Torino Porta Susa, con il contestuale interramento
dei binari, insieme ad altri interventi edilizi previsti, rappresenta un’occasione per ricucire
tessuti urbani divisi dall’asse ferroviario da oltre 150 anni, per ridisegnare – con il progetto
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d’intervento di “Spina” – un settore urbano in profonda trasformazione all’interno della
cosiddetta Cinta Daziaria.
La zona della stazione è ben collegata con le principali direttrici urbane ed extraurbane e
con i grandi corsi cittadini, sia attraverso i mezzi pubblici di superficie e metropolitani che
in virtù dei capolinea dei pullman, per servizi di lunga percorrenza, collocato nelle
immediate vicinanze.
Nell’immediate vicinanze della stazione il Comune ha avviato un processo di
trasformazione e recupero delle aree industriali dismesse che interessa il Complesso
ferroviario ottocentesco delle “Officine Grandi Riparazioni delle Strade Ferrate” (OGR)
che ha assunto una vocazione culturale di estrema rilevanza ed è stato destinato
urbanisticamente a servizi pubblici, dove è prevista – nell’edificio denominato “ad H” –
l’ubicazione di un nuovo Polo espositivo museale e culturale della Città dedicato all’arte
contemporanea che verrà realizzato da una società di scopo.
A nord della nuova stazione di Porta Susa è presente la vecchia stazione di Porta Susa, che
affaccia su Piazza XVIII Dicembre, inserito in un lotto edificatorio sul quale sarà possibile
realizzare ulteriori 3.400 m2 a destinazione prevalentemente terziario – ricettivo, oltre ai
1.800 m2 già esistenti nel vecchio fabbricato di stazione
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Il nuovo Fabbricato Viaggiatori, una galleria di acciaio e vetro lunga 385 m, quanto un
Freccia – Rossa e larga 30: è stata inaugurata a gennaio 2013 ed è la nuova stazione AV di
Torino Porta Susa.
Un progetto imponente, una città nella città. Il nuovo Terminal è un emblema della
contemporaneità: materiali leggeri, pulizia delle forme, efficienza energetica.
Reinterpretazione delle gallerie urbane e delle grandi hall delle stazioni, questo imponente
volume, nella sua trasparenza e nella capacità di interagire con lo spazio urbano, è già
divenuto un landmark nella città.
Il maestoso scrigno di cristallo e acciaio è stazione ma anche continuum spaziale,
passaggio, catalizzatore di nuove funzioni e servizi.
Per descriverla basta guardarla. Porta Susa è oggi il nuovo hub della metropolitana
d’Italia, gioiello di architettura del XXI secolo.
Un concentrato di invenzione, tecnologia, modernità ed estetica, frutto dell’impegno
ideativo del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane attraverso RFI e ITAL – FERR, creativo
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del Gruppo AREP – Silvio D’Ascia e Agostino Magnaghi, costruttivo attraverso le società
COGEL – PIVATO – CESI che si sono avvicendate nel tempo e autorizzativo del Comune
di Torino e del Provveditorato Opere Pubbliche del Piemonte e della Valle d’Aosta.
Torino Porta Susa AV non è solo un altro terminal dell’Alta Velocità, ma un luogo che
realizza concretamente, in un unico spazio, l’integrazione verticale di tutti i servizi di
trasporto e mobilità, da quelli a lunga percorrenza nazionale e internazionali, AV e non, a
quelli regionali, metropolitani, suburbani e urbani. E che permette l’osmosi, con la città,
spazio e tempo simbolico e reale dell’innovazione e del cambiamento dedicato ai clienti
viaggiatori e ai cittadini. Non solo una stazione, ma un edificio urbano a tutto tondo, dal
segno internazionale e dall’anima green. Insieme al nuovo hub si è completato anche
l’interramento del passante ferroviario, che per Torino ha voluto dire la piena
liberalizzazione da un vincolo urbano e la massima espressione del proprio sistema
metropolitano, oggi moderno, rapido e fortemente accessibili, con sbocchi nazionali ed
europei di grandissimo rilievo.
La sua realizzazione è stata una sfida geometrico – strutturale: 113 arconi di acciaio, posti
simmetricamente lungo un’asse longitudinale ad un passo costante di 3,6 m.
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Per rispettare la composizione architettonica sinusoidale, ogni elemento è stato realizzato
con forma geometrica differente: altezza, larghezza, raggi di curvatura non sono
praticamente mai gli stessi.
Questo tipo di andamento ha richiesto una progettazione specialistica ed approfondita, di
ogni interconnessione strutturale tra le varie arcate e soprattutto dei collegamenti degli
arcarecci di copertura tra arcone e arcone.
Questi, infatti, subiscono una torsione lungo il proprio asse, causata dal diverso piano di
appoggio che si viene a creare; 3.000 le tonnellate di acciaio impiegate, che hanno
consentito di realizzare un involucro trasparente, con una pelle di vetro di 15.000 m2.
Questa superficie è interamente coperta da cellule fotovoltaiche monocristalline,
posizionate tra i due strati di vetro e in grado di produrre 680.000 kWH/anno.
La loro funzione è anche quella di fare da schermo al sole e ottimizzare quindi il comfort
degli interni. I pannelli di vetro sono distanziati tra loro di circa 40 mm per consentire la
ventilazione naturale, nonché per integrarsi con le cellule fotovoltaiche.
Torino Porta Susa AV si è aggiudicata il Premio Solare Europeo 2012 per la migliore
architettura urbana bioclimatica: la volta di copertura, realizzata con un sistema di cellule
fotovoltaiche monocristalline, consente di recuperare parte del fabbisogno elettrico
dell’intero corpo stazione, creando i giusti apporti di calore d’inverno e di refrigerio
d’estate.
All’interno
della
galleria,
in
aggiunta
all’effetto
ombreggiamento
dell’impianto
fotovoltaico, è installato un impianto di brumizzazione, che nebulizza acqua ad altissima
pressione creando un microclima interno senza l’ausilio di condizionatori d’aria.
Il fabbricato viaggiatori si sviluppa su cinque livelli, tre dei quali interrati.
Nella stazione è presente un presidio di manutenzione per gli spazi comuni, che potendo
intervenire tempestivamente per eventuali malfunzionamenti, assicura un ottimo livello di
mantenimento in efficienza.
La stazione è dotata di un presidio di pulizia per gli spazi comuni che assicura un livello
elevato di decoro generale e di un sistema di videosorveglianza che copre l’intero edificio.
Le immagini vengono registrate in una sala control room presieduta 24 ore al giorno.
Al livello -1 è presente il presidio della Polizia Ferroviaria che opera sulle 24 ore in grado
di assicurare l’intervento per qualsiasi evenienza.
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Vi sono due sale controllo che supervisionano gli impianti.
Una sala controllo gestisce e controlla i sistemi presenti nella stazione sotterranea e l’altra
per il nuovo fabbricato viaggiatori.
Operano complessivamente 20 operatori RFI in turno di 24H all’interno delle sale, oltre
agli addetti per gli impianti elevatori (vi sono 28 ascensori e 47 scale mobili) di ditte
esterne che hanno il compito di visionare gli impianti di scale mobili ed ascensori in tempo
reale.
L’esercizio degli impianti tecnologici è previsto con presenziamento del sistema di
Supervisione Controllo e Acquisizione Dati (Sistema SCADA) della stazione di Torino
Porta Susa nei locali delle Sale Controllo.
Il sistema SCADA è un sistema informatico distribuito controllabile da un unico punto
(Sala Controllo), in grado di monitorare e controllare e gestire sistemi fisici ed impianti
tecnologici attraverso la raccolta di informazioni (servizio regolare, fermi, guasti, allarmi,
anomalie, ecc.) e la loro visualizzazione in interfacce operative su monitor dedicate
(pagine videografiche) che rappresentano in forma schematica gli impianti controllati.
Il sistema SCADA controlla tutta l’impiantistica civile come impianti elevatori, impianto
idrico, impianto antincendio, impianto elettrico, impianto di ventilazione, impianto
antintrusione, illuminazione, brumizzazione, unità trattamento aria, fotovoltaico, ecc.
E’ presente anche un servizio antincendio H24 composto da due addetti che si
interfacciano costantemente con i supervisori delle control room.
[4] La Tecnica Professionale N. 11/Novembre 2014 – “La nuova stazione alta velocità di
Torino Porta Susa” – Edita dal Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani – di Michele Mario Elia
e Antonino Fiengo
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E) La stazione Centrale di Milano [5]
Il progetto
Le vicende che portarono al progetto e alla realizzazione della Stazione Centrale di
Milano, furono piuttosto lunghe, e complesse quanto questo edificio imponente e
variegato, nel quale la monumentalità si doveva e si deve tutt’oggi coniugare con la
funzione cui esso è destinato.
La decisione di costruire la stazione scaturì dalla necessità tecnica di un complessivo
riordino delle ferrovie milanesi, ma l’importanza simbolica dell’opera non sfuggì a chi ne
aveva progettato la funzione, così che fin dagli inizi fu chiaro lo sforzo di trovare, tramite
un concorso pubblico, una soluzione anche esteticamente degna dell’opera stessa.
Nel dicembre del 1906, fu pertanto lanciato il primo “Concorso per la facciata della nuova
stazione viaggiatori”. Al programma del concorso erano allegati dei dettagli progettuali
dimensionali e funzionali della nuova stazione, predisposti dai tecnici delle FF.SS., che già
definivano gli spazi per gli arrivi e le partenze, l’atrio centrale della biglietteria, ecc., ed
anche la presenza di un grande albergo: questi piani non lasciavano quindi ai concorrenti
molti spazi, salvo per la parte architettonica/decorativa.
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Dopo sette mesi si riunì la commissione designata a giudicare i progetti, presieduta
dall’architetto milanese Camillo Boito, preside della locale Accademia di Belle Arti; la
commissione scartò ben dieci dei diciassette progetti presentati perché “non soddisfano alle
condizioni del programma o non rispondono nel loro insieme alle esigenze dell’arte applicata allo
speciale soggetto”, e non aggiudicò né il primo né il secondo premio, pur segnalando due
progetti come i più meritevoli.
Passarono più di quattro anni prima che fosse bandito, nel settembre del 1911, un nuovo
concorso, e nel frattempo il progetto di base delle FF.SS. fu rivisto in diverse parti (fu per
esempio eliminato l’albergo incluso nella stazione), anche se rimaneva una forte
definizione degli spazi e delle dimensioni. Questa volta al bando partecipò anche il
Comune di Milano, che con il suo contributo elevò notevolmente il livello di premi
destinati ai vincitori. I progetti presentati al secondo concorso furono ben quarantatrè, ed a
giudicarli fu una commissione ancora presieduta da Boito; anche questa volta ne furono
selezionati sette, dai quali estrarre i quattro da premiare. Alla fine degli esami la
commissione fu unanime nell’assegnare il primo premio al progetto intitolato “In motu
vita” di Ulisse Stacchini, ed il secondo al progetto “Per non dormire” di Boni e Radaelli.
L’anno dopo (agosto 1912) il consiglio di amministrazione delle FF.SS. fece suo
definitivamente il progetto di Stacchini, ma già da subito, i timori che il tumultuoso
sviluppo in atto per il traffico ferroviario portasse alla costruzione di un manufatto
insufficiente fecero scattare una serie di richieste di varianti ed adeguamenti. Stacchini
presentò una prima variante ai vertici delle ferrovie nel marzo del 1913; in essa era degno
di particolare nota il fatto che veniva eliminata la galleria anteriore per i tram, inizialmente
prevista, e che la facciata, nel primo progetto essenzialmente a sviluppo orizzontale,
acquistava ora anche degli elementi verticali. La variante ottenne, come previsto, anche
l’approvazione del Consiglio Comunale di Milano, ma nel passaggio alla successiva fase di
valutazione dei costi di costruzione e dei compensi per il progettista, cominciarono a
manifestarsi pesanti divergenze di opinione tra Stacchini e la direzione delle FF.SS., tanto
che nel febbraio del 1914 essa deliberò di abbandonare il progetto di variante, e di troncare
ogni rapporto con il progettista, dando però nel contempo il via all’esecuzione del
fabbricato interno dei servizi tecnici della stazione, con l’intenzione che essa potesse così
entrare in funzione nel 1917.
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Per quanto riguardava la parte architettonica, le FF.SS. sostenevano che: “si potrà
provvedere studiando con maggior agio e d’accordo col Comune la forma e la decorazione del
fabbricato esterno…occorrendo mediante un nuovo concorso”. Ma il Comune non era propenso
a questa soluzione riduttiva; dopo una serie di batti e ribatti e nuove trattative, svolte sia a
Milano che a Roma, si arrivò ad una convenzione definitiva con l’architetto, e alla
redazione di un terzo progetto (inizi del 1915).
Pochi mesi dopo, l’entrata in guerra dell’Italia provvide a bloccare l’inizio di concreti
lavori di costruzione, dando per altro tempo a Stacchini di perfezionare il progetto ed i
disegni, e di presentare nell’agosto del 1917 un grande modello in gesso (scala 1:50)
dell’intera facciata. Finita la guerra, superato un lungo periodo di crisi del paese e delle
Ferrovie dello Stato, si arrivò nell’agosto del 1924 all’approvazione del progetto definitivo,
non prima di aver tardivamente inserito una ulteriore, importante variante, cioè la
realizzazione delle grandi coperture a tettoia che oggi caratterizzano la stazione, al posto
delle pensiline che fino a quel momento erano state previste.
I lavori poterono finalmente riprendere nel dicembre del 1924, con la perentoria volontà di
concluderli nel giro di cinque anni, per dimostrare dopo tanto tempo perduto, “…ciò che
possono la virtù del nostro popolo e dei nostri governanti…uniti in uno sforzo tecnico – finanziario
senza precedenti, degno della tradizione di Roma”.
La costruzione
La costruzione della Stazione Centrale iniziò dagli edifici laterali, prima l’ala ovest e poco
dopo l’ala est. Nel 1926, quando partirono gli scavi delle fondamenta dell’edificio centrale,
le ali erano a buon punto e ben percepibili nella loro struttura. I materiali di scavo delle
fondamenta servirono in parte a formare il rilevato su cui sarebbero stati posati i binari,
contenuto da due grandi muraglioni che erano stati già costruiti da diversi anni. La
struttura portante dell’edificio, che sarà poi ricoperta da un imponente apparato
decorativo, era tutta in cemento armato, ma anche l’acciaio fu abbondantemente utilizzato,
per le coperture delle gallerie e fu l’elemento dominante, assieme al vetro, nella
costruzione delle tettoie di protezione dei binari. La prima centina di questa enorme
struttura, la più grande d’Italia, progettata dall’ingegnere delle ferrovie Alberto Fava, fu
montata nel febbraio del 1929. Le pesanti strutture in acciaio, realizzate tutte per
chiodatura a caldo, furono costruite dalle Officine di Savignano, vennero messe
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abbastanza facilmente in opera con gru e paranchi, anche grazie alle cerniere di cui erano
dotate, al culmine e alla base.
Il programma dei lavori di costruzione proseguì a ritmi alacri.
Oltre al più appariscente complesso di edifici furono ovviamente costruiti tutti gli impianti
primari (binari, scambi, cabine di controllo, ecc.) e secondari (ascensori, montacarichi,
impianti termici, ecc.) che costituivano il cuore tecnologico della stazione. A metà maggio
del 1931 iniziò il trasferimento dei servizi dalla vecchia alla nuova centrale, e l’imponente
edificio fu inaugurato ufficialmente il 1° luglio del 1931. L’opera “di una vita” di Ulisse
Stacchini era finalmente terminata.
[5] www.storiadimilano.it – “La Stazione Centrale: un monumento moderno” di Gian Luca
Lapini (16 maggio 2005)
F) Stazione di Roma Termini [6]
La stazione di Roma Termini è la principale stazione ferroviaria della città e ne costituisce il più
importante scalo ferroviario, il maggiore d’Italia e il secondo d’Europa dopo Gare de Paris Nord per
traffico passeggeri. La stazione deve il suo nome alle vicine Terme di Diocleziano. La gestione degli
impianti è affidata a Rete Ferroviaria Italiana (RFI) società del gruppo Ferrovie dello Stato, che
classifica la stazione nella categoria “Platinum”, mentre quella delle aree commerciali del fabbricato
viaggiatori è di competenza di Grandi Stazioni.
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Storia
Dopo l’apertura delle prime due linee ferroviarie dello Sato Pontificio, la ferrovia Roma –
Frascati – 14 luglio 1856, che si attestava a ridosso delle mura Aureliane presso la stazione
di Porta Maggiore e la ferrovia Roma – Civitavecchia – 16 aprile 1859, poi successivamente
prolungata a Pisa, che aveva capolinea presso la stazione di Porta Portese, e già noti i
progetti delle linee Roma – Ceprano e Roma – Ancona, si pose il problema di dare un
assetto al nodo ferroviario di Roma e, in particolare, di decidere se Roma avesse potuto
avere un’unica stazione centrale o una stazione per ciascuna linea.
Su pressione di monsignor Merode che aveva interessi nella zona di Termini e dell’attuale
via Nazionale (dallo stesso tracciata), prevalse la prima ipotesi e per la nuova stazione
venne individuata l’area di Termini. Questa, situata sul colle Esquilino, prende il nome
dalle antiche Terme di Diocleziano, situate lungo viale Enrico de Nicola, su lato opposto
all’entrata principale della stazione.
La prima stazione fu edificata a partire dal 1862 ed aperta al pubblico il 25 febbraio 1863
con il nome di “Stazione Centrale delle Ferrovie Romane”, in concomitanza con
l’inaugurazione del collegamento di Roma con Ceprano e quindi Napoli. Il 2 luglio 1868
iniziarono i lavori preliminari della nuova stazione Termini con una cerimonia
d’inaugurazione alla presenza di Papa Pio IX.
I lavori iniziarono subito ma, dopo la Presa di Porta Pia, Roma era passata al Regno
d’Italia; di conseguenza i lavori subirono varie interruzioni e un rallentamento generale;
finalmente i lavori furono conclusi nel 1874. Seguendo lo schema standard di quell’epoca,
la stazione di Roma Termini era dotata di due fabbricati viaggiatori paralleli, uno per gli
arrivi e uno per le partenze, riuniti da una tettoia metallica centrale, simile a quella
costruita poco prima a Parigi alla Gare de l’Est. Sotto la tettoia trovavano posto sei binari
di testa, di cui due senza marciapiede. All’esterno della tettoia, a nord della stazione si
trovavano lo scalo merci, il deposito locomotive e l’officina per la manutenzione delle
carrozze. Tutti questi impianti sono stati in seguito spostati per consentire l’ampliamento
del fascio binari e la creazione di nuovi marciapiedi per il servizio viaggiatori.
La facciata della vecchia stazione era di circa 200 metri più avanzata rispetto ad oggi e
copriva quindi quasi tutta l’attuale piazza dei Cinquecento, raggiungendo l’attuale via
Enrico De Nicola.
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Nel 1883 venne installata l’illuminazione elettrica sotto le tettoie e nei locali interni della
stazione. Nel 1935 la rete elettrica di alimentazione arriva da nord fino a Termini
consentendo l’arrivo di treni a trazione elettrica provenienti da Firenze.
Negli anni trenta del XX secolo si decise infine di ammodernare il nodo ferroviario di
Roma, e naturalmente l’opera principale di questo intervento sarebbe stata la costruzione
di una nuova stazione Termini, ampliata e adattata alle esigenze di un traffico ferroviario
cresciuto a dismisura rispetto al secolo precedente.
Nel 1939 venne quindi approvato il progetto definitivo redatto negli ultimi mesi del 1938
da Angiolo Mazzoni per la realizzazione del nuovo impianto ferroviario. I lavori
iniziarono con la demolizione dell’edificio di Bianchi e la realizzazione dei corpi di
fabbrica laterali, ma nel 1943 furono interrotti a seguito del peggioramento della situazione
bellica e della caduta del regime fascista.
Nei primi mesi del 1946 il progetto di Mazzoni fu accantonato, in quanto ritenuto inidoneo
e obsoleto, soprattutto per via della facciata, sebbene nel 1943 il Mazzoni stesso avesse
provveduto a modificare i disegni del 1938 eliminando ogni accenno alla monumentalità.
Erano già stati realizzati gli impianti, le pensiline e i corpi di fabbrica laterali (con
l’eccezione del Padiglione reale). Il ministero dei Trasporti decise così di optare per una
revisione generale del piano dell’opera (ad esempio la biglietteria ed il ristorante, che
avrebbero dovuto essere collocati nell’ala lungo la via Giovanni Giolitti, furono previsti
nell’atrio su piazza dei Cinquecento) e d’indire un concorso per un nuovo edificio frontale,
posizionato cinquanta metri più avanti rispetto a quello del progetto mazzoniano al fine di
permettere un allungamento dei binari.
In occasione del concorso del 1947, il primo premio fu attribuito ex aequo agli architetti
Leo Calini e Eugenio Montuori e al gruppo capeggiato da Annibale Vitellozzi. La stazione
fu così completata secondo la nuova versione, con la realizzazione dell’edificio frontale
caratterizzato dall’ardita pensilina, opera considerata uno degli esempi più significativi
dell’architettura del dopoguerra, e fu inaugurata il 20 dicembre 1950.
La nuova stazione si caratterizza esteriormente per la lunga sinuosa pensilina in cemento
armato popolarmente chiamata il “dinosauro”, che fino a non molto tempo fa conservava
volutamente sul fronte le macchie di fumo di un incendio scoppiato al principio degli anni
settanta, e per l’edificio degli uffici, la cui orizzontalità è accentuata dalle sottili finestre
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continue. La forma non era casuale ma incorniciava il profilo delle antiche Mura di Roma,
oggi nascoste da un’anonima attività commerciale di una famosa catena americana. Il
fregio della stazione è il primo lavoro principale dello scultore ungherese Amerigo Tot.
Ristrutturata in occasione del Giubileo 2000, la stazione è diventata un importante punto
di riferimento per turisti e cittadini romani, soprattutto grazie alla presenza di numerosi
servizi quali il Forum Termini, un grande centro commerciale situato nel sottosuolo della
stazione.
Il 23 dicembre 2006 con una cerimonia ufficiale la stazione Termini è stata dedicata a papa
Giovanni Paolo II.
Nell’estate nel 2011 sono iniziati i lavori per la costruzione di una galleria sopraelevata che
conterrà servizi vari per i viaggiatori e un parcheggio a tre piani capace di ospitare 1377
auto e 85 moto. La superficie della galleria dei servizi sarà pari a 6.000 metri quadrati in
corrispondenza della testata dei binari, ad un’altezza di 2,3 metri.
La tecnica utilizzata per costruire il parcheggio sarà quella del varo a spinta, che
solitamente viene utilizzata per la costruzione di ponti: le varie sezioni dei primi due
livelli saranno assemblati in loco e fatte scorrere con una cremagliera fino alla posizione
definitiva. Tuttavia questa modalità non è stata mai utilizzata per la costruzione di un
parcheggio sopra i binari di una stazione.
Il motivo per cui questa tecnica è stata scelta è per minimizzare l’impatto dei lavori
sull’operatività della stazione dove quotidianamente 800 treni effettuano servizio
[6] https://it.wikipedia.org/
G) Architettura e progetti per Roma Tiburtina [7]
1. Premessa
Il presente articolo descrive il “Complesso architettonico – urbano della stazione di Roma
Tiburtina” attraverso la lettura dei più significativi progetti elaborati sino ad oggi: progetti che ne
hanno determinato, attraverso interventi successivi di sostituzione, rinnovo e ampliamento la
configurazione attuale e ne determineranno lo sviluppo futuro, nel rapporto imprescindibile tra
città e stazione, anche attraverso la trasformazione e la valorizzazione urbana delle aree limitrofe
nonché lo sviluppo di un sistema di trasporti fortemente integrato.
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Cenni storici
La prima stazione, ubicata sulla linea Roma – Orte, nell’area Tiburtina, era denominata
Portonaccio. Il fabbricato viaggiatori, edificato alla fine dell’800, era assimilabile per
carattere architettonico ad un edificio residenziale del periodo umbertino, articolato si tre
livelli, lungo circa 60 m e profondo circa 12 m, contenete i servizi di stazione e gli alloggi
per il personale.
Anche se la stazione si trovava ai margini della città, la sua ubicazione era ben definita:
infatti alle sue spalle sorgeva la città e il cimitero del Verano con la via Tiburtina, di fronte,
dopo il piazzale interno, il fosso della Marranella oltre il quale si estendeva la campagna
che successivamente lascerà il posto alla indiscriminata urbanizzazione dopo la seconda
guerra mondiale.
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Queste situazioni, brevemente descritte, costituiranno dei vincoli importanti, che
condizioneranno i progetti successivi per la trasformazione della stazione.
In previsione dell’Esposizione Universale del 1942 e nell’ambito del vasto programma di
risistemazione dei servizi ferroviari del nodo di Roma, si ritenne opportuno il
potenziamento della stazione Tiburtina che avrebbe dovuto sussidiare, insieme alla
stazione Ostiense, la stazione Termini.
Oltre allo scarso numero dei binari per il servizio viaggiatori e merci, si constatava la
mancanza di adeguati impianti per i viaggiatori e la non rispondenza alle nuove esigenze
del fabbricato viaggiatori esistente, difficilmente suscettibile di ampliamenti o
ristrutturazioni.
Inizialmente l’amministrazione ferroviaria valutò la possibilità di adeguare il vecchio
edificio mediante l’aggiunta di due corpi di fabbrica laterali, di un corpo centrale verso il
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piazzale esterno da adibirsi ad atrio coperto per l’accesso alla biglietteria, alle sale
all’aperto, al caffè ristoratore e al sottopassaggio, nonché l’esecuzione di modifiche ai muri
portanti del FV per ricavare locali più ampi.
Tali modifiche non erano però consigliabili, dati i dissesti che si erano verificati in passato
al fabbricato a causa della scarsa consistenza del terreno di fondazione, per tanto la
soluzione prospettata non soddisfaceva dal punto di vista strutturale che da quello
estetico.
Per una sistemazione razionale dei servizi alla fine si optò per la costruzione di nuovi
fabbricati, in sintonia urbanistica della zona.
Nel giugno 1937 venne approvato il piano di ampliamento e di sistemazione generale
della stazione in dipendenza dell’Esposizione Universale del 42; tale piano prevedeva:
sistemazione e ampliamento del nuovo FV e marciapiede antistante, cinque marciapiedi
intermedi coperti da pensiline e collegati con un sottopassaggio, nuovi magazzini per il
Servizio Approvvigionamenti in sostituzione di quelli da demolire a Roma Trastevere,
nuovi impianti per il deposito oli e infiammabili in sostituzione di quelli di Roma
Tuscolana; sistemazione degli impianti per le Regie Poste, rifornitori idrici e un fabbricato
alloggi.
Il progetto doveva essere necessariamente realizzato per fasi, in quanto non si poteva
sospendere l’esercizio ferroviario e le comunicazioni con le stazioni limitrofe che nello
stesso tempo sarebbero state anch’esse interessate da importanti trasformazioni.
Il progetto del Mazzoni
L’architetto Angiolo Mazzoni, incaricato della progettazione, elaborò così come per altri
progetti importanti, diverse soluzioni architettoniche. Con Decreto del 30 giugno 1939
venne approvato dal Ministro delle Comunicazioni il progetto definitivo che prevedeva
l’articolazione del complesso ferroviario in più edifici collegati tra loro da pensiline.
Per il fabbricato – viaggiatori e quelli per l’esercizio, optò per un corpo di fabbrica ad un
solo piano con un innovativo impianto tipologico a “piastra”, di 95x70 m di lato
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Esso comprendeva un grande atrio, intorno al quale si distribuivano gli ambienti per gli
arrivi e le partenze, quelli per la biglietteria con relativi uffici, gli spazi per il servizio dei
bagagli e per il deposito dei bagagli a mano, gli ambienti per la ristorazione e la cucina che
si estendevano dal fronte verso la città a quello verso i binari e lateralmente si aprivano in
un grande giardino.
Il fabbricato – viaggiatori aveva un piano sotterraneo cui si accedeva dalla stessa scala che
conduceva al sottopassaggio, areato ed illuminato dal cortile quadrato. A questo livello
erano previsti locali per la sosta ed il ristoro dei militari ed operai ed un ricovero antiaereo
per assicurare la continuità del servizio anche in caso di incursioni aeree. Al di sopra del
settore riservato alla ristorazione era previsto un piano destinato ad ospitare magazzini e
spogliatoi per il ristoratore.
Nella stazione Tiburtina, per la prima volta, come già accennato, veniva adottato per il
fabbricato – viaggiatori un impianto tipologico a “piastra”. I fabbricati – viaggiatori delle
stazioni sino allora realizzate a Roma rispondevano, con opportune varianti, ad un tipo
edilizio a sviluppo rettilineo, a due o tre livelli, con gli spazi interni distribuiti quasi
sempre secondo una rigorosa simmetria rispetto all’atrio disposto al centro, in asse
all’edificio. Questa nuova soluzione tipologica, invece, comportava lo sviluppo del
fabbricato ad un solo livello e consentiva così un rapporto più diretto con gli spazi esterni:
l’introduzione poi, all’interno del corpo di fabbrica di ampi cortili, attrezzati a giardino,
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permetteva un’illuminazione naturale diffusa degli spazi comuni, un doppio affaccio agli
spazi amministrativi e un maggiore comfort ambientale.
Diversamente dal contemporaneo progetto per Roma Termini che secondo le pressanti
indicazioni del “regime” doveva assumere la grandiosità del “classicismo monumentale”
essendo tale stazione “Porta della Capitale”, tutti gli edifici del complesso di Tiburtina
erano di linea semplice e moderna e riproponevano alcuni motivi formali dell’architettura
mazzoniana già sperimentati in altre nuove stazioni: gli spazi porticati, gli aggetti, le
ampie superfici vetrate ripartite in moduli rettangolari, ecc..
In definitiva il complesso di stazioni, con la sua modernità e linearità delle forme, si
inseriva bene nell’ambiente circostante. Sembra persino che il progetto venne lodato da
Benito Mussolini che apostrofando Mazzoni affermò che con tale opera si era vendicato
per non aver potuto realizzare il progetto “moderno” per Roma Termini.
Il complesso realizzato tra il 1939 e il 1944
La zona destinata alla realizzazione della stazione ferroviaria non presentava all’epoca
nessuna sistemazione utile agli scopi di attuazione del Piano Regolatore del 1931. Questo
prevedeva, oltre alla zona industriale riservata agli impianti ferroviari, un parco pubblico,
strade, piazze ed edifici residenziali intensivi e a palazzine. Le aree erano utilizzate per usi
agricoli e ortivi.
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Anche dal punto di vista orografico e idrogeologico la situazione era particolarmente
complessa. Infatti le aree erano soggette a inondazioni ogni qual volta si verificavano
ondate di piena del Tevere ed esisteva una depressione nel terreno con la presenza di falde
freatiche. Necessitavano per tanto importanti opere di sistemazione fognaria ed idrica per
la presenza del fosso della Marranella che interessava la parte centrale del piazzale per
tutta la sua lunghezza. Tali opere vennero appaltate nel 1938 e si protrassero per tempi
molto più lunghi del termine contrattuale, anche a causa della vastità del territorio
interessato e della contemporanea realizzazione di ulteriori magazzini per gli
approvvigionamenti.
Finalmente, nel 1939, vennero appaltati i lavori per la realizzazione degli edifici progettati
da Angiolo Mazzoni. I lavori furono divisi in tre gruppi, in funzione della zona
d’intervento.
Purtroppo un violento bombardamento su Roma, nel marzo del 1944, danneggiò e
distrusse gran parte della stazione e quindi degli edifici e delle opere connesse da poco
realizzate.
La realizzazione definitiva nel dopoguerra
Al termine della guerra iniziò la ricostruzione. Il complesso ferroviario, ultimato nel 1949,
presentava numerose varianti e semplificazioni rispetto al progetto originario; è da
rimarcare, ad esempio, nell’edificio lungo e basso che insieme al fabbricato viaggiatori
prospettava su piazza della stazione Tiburtina, la sostituzione della parete esterna di
chiusura, nel progetto originario scandita da pilastri e da ampie superfici vetrate, con una
superficie di tamponatura semplicemente intonacata e segnata da modeste bucature, che
incise negativamente sulla qualità dell’opera.
Per motivi di economicità anche i rivestimenti di buona parte delle pareti esterne e dei
pilastri, previsti in mattoncini di cotto romano antico, vennero sostituiti da intonaci,
rimanendo visibili soltanto sul fabbricato alloggi e sui costoloni del rifornitore idrico.
Queste ultime opere, in definitiva, erano le uniche che rispettavano il progetto originario e
che ancora oggi vengono conservate.
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A causa di dissesti alle strutture, provocati dalla scarsa qualità del terreno di fondazione e
della situazione idrogeologica, all’inizio degli anni ottanta, vennero eseguiti interventi di
rinforzo strutturale che alterarono irrimediabilmente la morfologia delle pensiline e quelle
contigue ai prospetti del FV.
Il luogo urbano antistante la stazione venne negli anni a modificarsi sino a stravolgersi
completamente: al posto del piazzale esterno venne inserito il capolinea degli autobus e la
costruzione della tangenziale est, con i suoi incombenti viadotti, contribuì a creare
un’atmosfera di isolamento e di oppressione.
Il concorso internazionale di progettazione (Bando 2001)
L’avvio, negli anni ’90, del progetto Alta Velocità, volto a soddisfare le nuove esigenze di
mobilità e la necessità di collegamenti veloci tra i più importanti centri urbani, porta a
riconsiderare la funzione dei nodi e l’attraversamento delle città: le nuove stazioni di
Torino, Bologna, Firenze, Roma e Napoli diventano porta di accesso alla città e
infrastruttura chiave del traffico ferroviario, per razionalizzare i flussi ed evitare soste
nelle stazioni di testa.
A Roma la stazione AV è individuata proprio a Tiburtina, stazione porta per l’accesso a
Termini e passante sull’asse Nord – Sud.
Con la previsione di queste nuove infrastrutture, si evidenzia la necessità di intervenire
nella riqualificazione urbana di ambiti più estesi della semplice stazione: con la Città di
Roma, nel 2000, si sottoscrive un Accordo di Programma che approva un Piano di Assetto
urbanistico che definisce funzioni e trasformazioni all’interno dell’ambito Tiburtina –
Pietralata includente la nuova stazione da realizzare, aree ferroviarie dismesse e aree
comunali.
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E’ l’occasione per Ferrovie dello Stato Italiane di progettare un intero ambito urbano. Con
l’occasione, FS riprende la tradizione di inizio secolo, aprendo una nuova stagione di
produzione di architettura di qualità con il bando di concorsi internazionali di
architettura.
La stagione si avvia proprio con la stazione Tiburtina e le aree adiacenti nel 2001. Sulla
base del layout del Piano di Assetto viene bandito uno specifico concorso internazionale di
progettazione. Risulta vincitore del concorso lo studio ABDR di Paolo Desideri.
Questo progetto prevede una grande galleria al disopra della “piastra ponte” già costruita,
che assolva contemporaneamente la funzione di stazione ferroviaria e quella di boulevard
urbano .
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La trasformazione urbana
Non solo una nuova stazione. Il progetto complessivo con i connessi ambiti urbani
prevede anche nuove strade e parcheggi, aree verdi e piazze, poli direzionali, commerciali
e alberghi che disegneranno il profilo di questa nuova centralità urbana.
Questo vuol dire 160 mila m2 di nuovi complessi immobiliari e 100 mila di nuove aree
verdi attrezzate con servizi culturali, sociali, ricreativi e sportivi.
Una nuova circonvallazione stradale interna rivoluzionerà il sistema viario del quadrante
Est cittadino
Il progetto della stazione AV
Il progetto della stazione Tiburtina, considerato nodo di scambio di valore nazionale,
regionale, metropolitano ed urbano e centro di attività polifunzionali di interesse
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collettivo, si inserisce all’interno di un disegno di pianificazione della capitale secondo un
modello policentrico.
Parte di un più vasto progetto urbano, di cui funge da motore, configurandosi come nuova
“centralità”, la stazione ha il compito di ricomporre morfologicamente le due parti urbane
limitrofe all’area di progetto, dai caratteri marcatamente eterogenei, il quartiere
Nomentano e il quartiere Pietralata.
Il progetto prevede un’integrazione intermodale con l’Alta velocità, la stazione della linea
B della metropolitana, terminal bus, la corrispondenza con le linee FL interconnesse con
parcheggi di scambio; prevede inoltre connessioni con comparti edificatori destinati ad
uffici e funzioni direzionali, aree commerciali, per la ristorazione, sale conferenze e spazi
espositivi.
Il progetto del gruppo Desideri, decretato vincitore della seconda fase del concorso indetto
nel 2001, realizza una nuova centralità urbana, in grado di riconnettere spazialmente i due
quartieri storicamente separati dal tracciato ferroviario.
La nuova stazione a ponte, edificata sulla già esistente piastra, viene intesa come
monumentale boulevard urbano coperto, strettamente interconnesso ad un complesso ed
articolato sistema di piazze e di percorsi che ne assicurano un efficace raccordo con i
contesti urbani locali.
L’edificio ponte è concepito come una promenade monumentale e iperarchitettonica in cui i
tracciati, gli elementi di servizio e gli accessi alla rete ferroviaria si sovrappongono in una
stratificazione dinamica.
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La stazione a ponte, che è anche grande boulevard urbano, consentirà la riconnessione tra
il quartiere Nomentano ed il Parco urbano di Pietralata, riconnettendo anche fisicamente a
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quest’ultimo i frammenti ambientali presenti sul fronte Nomentano, e raccorderà il
paesaggio naturale del parco al paesaggio urbano della città, come percorso introduttivo al
“setting” paesaggistico che caratterizzerà la progettazione del parco.
Anche alle scale architettonico – tecnologiche, inoltre, la nuova stazione a ponte è pensata
come un vasto manufatto ecosostenibile attraverso l’adozione di tecnologie sperimentali
nel campo della biodinamica e del controllo complessivo del bilancio energetico.
Il manufatto della stazione ponte – costituito da un grande parallelepipedo di vetro di
dimensioni 50x240 m per un’altezza costante di 9,8 m – apparentemente privo di elementi
strutturali verticali, è pensato come un’ampia galleria aerea libera, che garantisce
flessibilità nell’utilizzazione dello spazio e scorrevolezza ai flussi che l’attraversano .
La galleria, supportata da una superiore struttura reticolare spaziale esterna, è attraversata
da diversi allestimenti liberi, sorta di “Bozzoli” appesi ai solai, galleggianti, fluttuanti nello
spazio, in grado di integrare concretamente, come nelle strutture aeroportuali, le aree
destinate al commercio e quelle destinate alle sale attesa.
Le otto volumetrie sospese, in cui sono allocate le funzioni specialistiche (Vip lounges,
internet – caffè, ristorante, uffici, etc.), sono tutte individualmente collegate, attraverso
scale mobili e ascensori, alla quota della galleria (+ 9,00) e unite tra loro da una passerella
aerea, posta in posizione laterale, che domina lo spazio vetrato della galleria,
attraversandolo longitudinalmente.
Aspetti strutturali della stazione AV
La struttura della nuova stazione è articolata nei seguenti elementi fondamentali: il ponte
inferiore esistente, la copertura reticolare e i volumi appesi .
Il ponte esistente funziona da piano di calpestio; la progettazione delle soprastrutture è
stata imposta in modo da gravare il meno possibile su di essa a causa delle sensibili
vibrazioni cui è sottoposta durante il passaggio dei treni. Su di essa insistono 12 colonne
che sorreggono la trave reticolare spaziale di copertura (348,00x52,00 m), localizzate in
corrispondenza dei piloni portanti (sottostanti il ponte) per garantire una trasmissione
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diretta dei carichi alle fondazioni preesistenti senza aver un impegno flessionale
nell’impalcato.
Il modulo strutturale di progetto della trave reticolare spaziale è una piramide con base
4,47x3,25 m e altezza 3,60 m, composta da aste tubolari collegate tra loro mediante sfere. In
corrispondenza delle estremità longitudinali, l’altezza viene gradualmente ridotta da 3,60
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m a 1,80. In fase realizzativa è stato invece utilizzato un sistema di travature reticolari a
graticcio (principali e secondarie) con le stesse spaziature utilizzando profili di sezione
HEB e ad L imbullonati tramite piastre. Il graticcio poggia su 20 punti: le 12 colonne in
profili tubolari d’acciaio (diametro 1.200 mm) di cui sopra e altre 8 colonne (diametro 1.400
mm) spiccanti da quota 0,00 o su corpi in c.a. a quota +18,00. In corrispondenza delle
estremità longitudinali sono presenti due sbalzi di notevole luce: 31,00 m lato Pietralata e
21,00 m lato Nomentano. Al fine di compensare gli abbassamenti, sono state adottate
opportune controfrecce delle aste componenti la trave reticolare.
La necessità di svincolare la sommità degli elementi portanti verticali dagli spostamenti
orizzontali della struttura indotti dai carichi e dalle variazioni termiche, ha indotto ad
utilizzare appoggi scorrevoli sulla struttura in c.a. e collegamenti a cerniera alla base delle
colonne. L’azione controventante è affidata ai corpi scala posizionati alle estremità.
Appeso al di sotto del graticcio spaziale è presente un impalcato (356,00x60,00 m) la cui
struttura è formata da profili di acciaio a doppio T che sorreggono superiormente una
lamiera grecata portante il pacchetto di coperture e inferiormente le controsoffittature.
I volumi sospesi sono costituiti da strutture appese alla reticolare principale mediante
pendini tubolari con tenditori, composte da un impalcato di acciaio, un tavolato di legno e
da una copertura in profili tubolari d’acciaio. Il rivestimento dei volumi sospesi è
costituito da pannelli sandwich in fibra di vetro coibentato con schiuma fenolica (sp. 55
mm).
Tecnologie per l’ottimizzazione del bilancio energetico della stazione AV
Il nuovo complesso edilizio è stato concepito con l’impiego di tecnologie sperimentali nel
campo della sostenibilità ambientale e dell’ottimizzazione del bilancio energetico. In
particolare con sistemi di controllo diretto dell’irraggiamento solare e sistemi di controllo
passivo per la generazione naturale di raffrescamento estivo e riscaldamento invernale di
semplice gestione e manutenzione. Il grande volume della galleria è il motore di una
continua produzione di aria calda per effetto serra che, nel periodo estivo, è sfruttata come
innesco di un ricircolo convettivo per assicurare l’immissione di aria fresca e l’espulsione
di quella viziata. Il comfort ambientale è quindi garantito dall’utilizzo di apparati
bioclimatici che, oltre a ridurre i consumi energetici, limitano il ricorso alla ventilazione
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forzata. Soltanto gli spazi interni confinati (es. ambienti commerciali, volumi sospesi) sono
climatizzati con sistemi tradizionali.
Il monumento ai 150 anni dell’unità d’Italia. La dedica della stazione a Cavour
Nell’ambito delle celebrazioni per la ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la
stazione Tiburtina è stata intitolata al grande politico italiano Camillo Benso, Conte di
Cavour, considerato uno dei principali artefici del sistema ferroviario italiano. Elemento
simbolico di questa dedica è stata l’installazione di un pannello di rame di 20 metri di
altezza, posizionata all’interno dell’atrio Nomentano, sulla quale sono stati riportati i
discorsi di Cavour su “Roma Capitale alla Camera dei Deputati del 25 marzo 1861” e sulle
“Strade Ferrate d’Italia”.
[7] La Tecnica Professionale N. 4/Aprile 2014 – “Architettura e progetti per Roma Tiburtina –
Lo sviluppo urbano della stazione in 100 anni di storia” – Edita dal Collegio Ingegneri
Ferroviari Italiani – di Pasqualino Bernabei, Paolo Mori e Massimo Gerlini.
H) Stazione Napoli Centrale [8]
Con circa 137 mila frequentatori giornalieri e 50 milioni l’anno, Napoli Centrale è un nodo
di interscambio di vitale importanza per l’intero sistema ferroviario nazionale, con un
traffico di 390 treni al giorno. Si trova in piazza Giuseppe Garibaldi, tra corso Meridionale
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e corso Arnaldo Lucci. Il nodo ferroviario comprende la stazione di superficie “Napoli
Centrale” e la stazione interrata “Piazza Garibaldi”, con due binari destinati al servizio
metropolitano e due alla rete FS. Inoltre, sottostante corso Lucci, si trova la stazione della
linea ferroviaria “Circumvesuviana”.
Cenni storici
La prima stazione di Napoli fu costruita nel 1866 su progetto dell’architetto e urbanista
Enrico Alvino, che né stabilì la conformazione e posizione nell’ambito di uno studio
urbanistico per la riorganizzazione del tessuto viario cittadino.
Tra il 1955 e il 1960 la stazione ottocentesca venne demolita e fu costruito un nuovo
fabbricato viaggiatori, arretrato di 250 metri rispetto alla posizione precedente,
realizzando l’attuale piazza Garibaldi. Il nuovo edificio, inaugurato nel 1966, è frutto della
fusione dei tre progetti vincitori del concorso bandito nel 1954: il complesso presente un
impianto a pensilina, caratterizzato da una modulazione geometrica basata su una matrice
compositiva triangolare.
Il sistema di percorrenze pedonali che collega le stazioni con la piazza e con la stazione di
superficie è disposto a quota -4/-3,5 metri e ospita spazi commerciali, biglietterie, aree di
controllo e servizi igienici. Attualmente tutte le strutture e attrezzature del livello interrato
risultano poco funzionali, scarsamente accoglienti e poco sicure.
Al piano terra, la sovrapposizione di box commerciali e strutture precarie addossate alle
vetrate ha compromesso negli anni la trasparenza e la permeabilità verso la piazza.
La copertura della stazione di Napoli Centrale è formata da elementi triangolari di
dimensione costante, accostati e sorretti da pilastri di forma tripoidea
[8] www.grandistazioni.it
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I) Stazione Venezia Santa Lucia [8]
Tipica stazione di testa e unica vera porta di accesso alla città lagunare, è situata in pieno
centro cittadino e frequentata mediamente da 82 mila persone al giorno, per un totale di
circa 30 milioni di presenze l’anno; ogni giorno accoglie circa 450 treni. La stazione si trova
in Fondamenta Santa Lucia ed è collegata a piazzale Roma anche dal quarto ponte sul
Canal
Grande,
il
Ponte
della
Costituzione realizzato
dall'architetto
Calatrava.
Il sistema di trasporto pubblico che la circonda si basa esclusivamente sulle linee di
vaporetti lungo il Canal Grande, mentre i servizi di trasporto su gomma, urbani ed
extraurbani, si concentrano in Piazzale Roma.
Cenni storici
Il progetto per la costruzione della stazione di Venezia Santa Lucia ha vissuto alterne
vicende
prima
di
arrivare
alla
stesura
di
una
soluzione
definitiva.
Fu l’architetto Angiolo Mazzoni il primo a formulare progetti nel 1924 e a studiare
possibili soluzioni per più di un decennio. Nel 1934 fu indetto un concorso per la
realizzazione dello scalo ferroviario: vinse l’architetto Virgilio Vallot, il cui progetto rimase
sospeso fino al 1936, quando si decise di affidare la costruzione del corpo frontale del
fabbricato viaggiatori alla collaborazione Mazzoni - Vallot, proseguita fino al 1943, e il
rifacimento del palazzo compartimentale al Mazzoni. La soluzione definitiva fu portata a
termine dopo il secondo conflitto mondiale, su progetto dell’architetto Paolo Perilli.
[8] www.grandistazioni.it
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J) Stazione Verona Porta Nuova [8]
Vicina al centro cittadino, Verona Porta Nuova è una stazione di transito interessata
mediamente da 68 mila transiti giornalieri, 25 milioni l’anno, con un traffico giornaliero di
300 treni. In prossimità del complesso si trova il Bus Terminal Intercomunale che
garantisce il collegamento con i principali comuni dell’hinterland veronese e con le
restanti province venete. L'ingresso della stazione si trova su piazzale XXV Aprile.
Cenni storici
Verona Porta Nuova fu costruita la prima volta su progetto dell’architetto Dini tra
il 1914 e ‘15 e, dopo la seconda guerra mondiale, fu ricostruita sul medesimo impianto
secondo il progetto dell’architetto Roberto Narducci.
La stazione è caratterizzata da un dislivello tra la piazza esterna e i binari. Questo fattore
strutturale ha avuto un peso determinante nella distribuzione dei servizi, organizzati
secondo un piano funzionale molto rigido: al livello del piazzale esterno, il fabbricato
viaggiatori è stato adibito ai servizi per il pubblico, mentre quello superiore, sede dei
binari, è stato destinato a tutti i servizi ferroviari.
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Le tettoie metalliche delle banchine sono di ispirazione liberty, mentre la copertura del
corpo centrale e dei due corpi laterali è in cemento armato. Le zoccolature delle pareti
interne sono rivestite con marmi del veronese, mentre le pavimentazioni sono a mosaico,
in tessere di ceramica.
Nel
corso
degli anni
’90 sono
state
apportate
importanti modifiche strutturali
e
funzionali sia all’esterno che all’interno della stazione, come l’introduzione di nuovi
volumi vetrati sulla piazza e la modifica del fronte principale.
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K) Stazione Firenze Santa Maria Novella [8]
Con 160 mila frequentatori giornalieri e 59 milioni l’anno, Firenze S. Maria Novella è una
stazione di testa inserita in pieno centro città, in piazza della Stazione, punto focale del
sistema di trasporto pubblico fiorentino. Accoglie oltre 400 treni al giorno ed è punto di
interscambio tra numerose corse bus e taxi.
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Cenni storici
Nel panorama delle stazioni italiane, Firenze S. Maria Novella rappresenta uno degli
edifici recenti di maggior rilievo architettonico
La prima stazione di Firenze, “Leopolda”, fu costruita nel 1844 su disegno di Robert
Stephenson, figlio dell’inventore della ferrovia, e fu una delle prime stazioni d’Italia, posta
fuori dalle mura cittadine.
Quattro anni più tardi fu realizzata la seconda stazione, “Maria Antonia”, entro le mura
della città, un’innovazione importante per la concezione dell’epoca.
La “Maria Antonia” fu distrutta per far posto all’attuale stazione che, affacciata sulla
chiesa di S. Maria Novella, è un capolavoro del razionalismo e una delle più alte
espressioni del movimento moderno dell’architettura italiana.
Raggiunto l’accordo tra il Comune e le Ferrovie dello Stato per mantenere la stazione di
Firenze entro le mura, nel 1932 fu bandito il concorso nazionale per il nuovo fabbricato
viaggiatori, vinto dal Gruppo Toscano guidato dall’architetto Giovanni Michelucci e
composto da Baroni, Berardi, Gamberini, Guarnieri, Lusanna.
La stazione fu inaugurata nel 1935: un grande atrio coperto da una superficie in vetro e
acciaio e una galleria di testa che anticipa, nelle sue funzioni, quella poi realizzata a Roma,
sono le sue principali caratteristiche.
I rivestimenti esterni riprendono i materiali e i colori della città, mentre all’interno
troviamo opere di valore come le sculture di Italo Griselli e le pitture di Ottone Rosai e
Mario Romoli.
[8] www.grandistazioni.it
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L) Stazione Genova Piazza Principe [8]
Genova Piazza Principe è il centro nevralgico del sistema di trasporto cittadino, situata in
un punto strategico conta in media 66 mila transiti giornalieri, oltre 24 milioni annui, e
circa 300 treni al giorno. L'ingresso della stazione si trova su piazza Acquaverde.
Cenni storici
Genova
Piazza
Principe
fu
costruita
su
progetto
dell’architetto Alessandro
Mazzucchetti nel 1860. Il primo complesso era costituito da una grande volta in acciaio a
campata unica impostata su corpi di fabbrica laterali.
Il fabbricato viaggiatori presentava i tratti tipici delle costruzioni di ispirazione
neoclassica: linee architettoniche severe e forme imponenti ed essenziali. Il portico, che
ancor oggi accoglie i viaggiatori in partenza, è in stile dorico, arricchito da elementi
decorativi che esaltano il gioco dei volumi.
Lo sviluppo continuo del traffico ferroviario rese ben presto necessario un intervento di
ampliamento, realizzato nel 1900 su progetto dell’ing. Giacomo Radini Tedeschi. Un fascio
dei binari passanti fu tracciato a monte della stazione di testa, da cui venne separato con
l’interposizione di un nuovo edificio. La necessità di servire il nuovo fascio di binari
modificò i flussi e le funzioni dei vari ambienti: l’atrio principale posto in corrispondenza
della galleria di testa perse la propria centralità, a vantaggio di un nuovo atrio decentrato.
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Durante la guerra, la grande volta in acciaio fu smantellata per utilizzare il metallo a fini
bellici e non fu più ricostruita.
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M) Stazione Bologna Centrale [8]
Bologna Centrale è al quinto posto per grandezza e volume di traffico tra le stazioni
italiane: circa 78 mila mq attraversati in media da 159 mila persone ogni giorno, per un
totale di circa 58 milioni l’anno.
Con 700 treni circa al giorno e numerose corse bus urbane ed extraurbane che si attestano
nell’area circostante, è collocata in un punto strategico della rete ferroviaria,
all’intersezione delle principali direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest. L'ingresso della stazione
si trova in piazza delle Medaglie d'Oro.
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Cenni storici
Inaugurata nel 1876, per la sua collocazione geografica Bologna Centrale costituì fin dalle
origini uno dei maggiori nodi della rete ferroviaria nazionale. Il nucleo centrale, progettato
dall’architetto Gaetano Ratti dell’accademia Clementina di Architettura, propone un
impianto volumetrico regolare con riferimenti stilistici al Quattrocento fiorentino. Le
facciate, scandite su due ordini, presentano decori “a bugnato”, mentre il cornicione
decorativo, originariamente sormontato dalla torretta dell’orologio, è raccordato al piano
stradale con una pensilina sorretta da colonne marmoree, realizzata nel dopoguerra a
seguito della demolizione dell’originaria pensilina metallica. Diversi interventi di
ampliamento, come la costruzione nel 1926 dell’ala del piazzale ovest per i nuovi binari di
testa e nel 1934 dell’ala est, insieme alle modifiche realizzate nel dopoguerra, ne hanno
alterato la pianta e la conformazione.
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N) Stazione Palermo Centrale [8]
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Palermo Centrale è un classico esempio di stazione di testa interna al centro cittadino, con
52 mila transiti giornalieri, per un totale di circa 19 milioni di utenti l’anno, e 250 treni al
giorno. L'ingresso della stazione è su piazza Giulio Cesare.
Cenni storici
Costruita nel 1885, è tra le più antiche stazioni italiane in attività. Il suo fronte
monumentale è testimonianza dello stile architettonico eclettico tipico della Palermo di
fine secolo.
Gli elementi classico-rinascimentali furono rielaborati nelle decorazioni interne, nei ferri
battuti, nei tagli delle pietre di Bagheria e Cinisi e negli elementi di arredo delle sale di
rappresentanza e di attesa.
La paternità della stazione è ancora oggi incerta, ma l’impostazione architettonica risente
dell’influenza di Ernesto Basile e della sua scuola. La struttura originaria, che andò
distrutta nel corso dell’ultima guerra, era caratterizzata da una grande tettoia dalle
eleganti linee in ferro e vetro, sorretta da capriate a falce e posta a copertura dei binari.
Pur conservando l’unità architettonica, l’eleganza e la proporzionalità delle forme, il
complesso risulta compromesso nella sua originaria qualità e funzionalità a causa
dell’eliminazione della copertura e di una serie di interventi discontinui realizzati tra il
1950 e il 1960.
[8] www.grandistazioni.it
O) Stazione Bari Centrale [8]
Bari Centrale è una tipica stazione di transito vicina al centro cittadino, con una media di
38 mila transiti giornalieri e 14 milioni di utenti l’anno, dove ogni giorno arrivano e
partono circa 300 treni 340 corse bus.
L'ingresso della stazione si trova su piazza Aldo Moro.
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Cenni storici
La sua prima costruzione risale al 1864. Come ogni stazione di transito era caratterizzata
da una tettoia a falde piane che copriva due binari di corsa e uno di attraversamento con le
relative banchine, e da forme architettoniche essenziali. Già dai primi anni di esercizio
furono necessari ampliamenti che investirono l’area binari e il fabbricato viaggiatori.
Tra il 1865 e il 1906 furono aggiunti cinque binari e furono costruiti edifici accessori. Il
corpo centrale fu ampliato verso la piazza e, in corrispondenza delle tre arcate centrali, fu
installata una pensilina in ferro battuto in stile liberty. Successivi interventi mutarono
profondamente forme e dimensioni originarie, nel 1930 venne realizzato il progetto che
prevedeva la sopraelevazione di un piano delle campate centrali e la chiusura delle
rientranze esistenti tra il corpo di fabbrica principale e gli edifici laterali. Nell’area centrale
dell’atrio biglietteria i pilastri furono sostituiti con colonne di ordine dorico in marmo e le
volte a crociera con soffitti a cassettoni. Gli ultimi interventi previsti nel piano regolatore
del 1946 portarono la stazione di Bari Centrale alla configurazione attuale.
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[8] www.grandistazioni.it
P) La Smart Station [9]
Il concetto di città intelligente (Smart City) nasce nella letteratura accademica di inizio secolo.
Deriva dalla consapevolezza che l’attuale modello di pianificazione della città non sia adatto per le
esigenze del 21° secolo. Lo sviluppo di trasformazione in città intelligenti è visto come un modo per
affrontare i problemi di oggi con diversi modelli di pianificazione urbana e di tecnologia sofisticata.
La Smart City nasce quindi da una policy complessiva ed integrata con una strategia di fondo e non
da tanti interventi parcellizzati. Diventa doveroso un parallelo con la stazione ferroviaria, da
sempre luogo di solo transito, evolvendola a crocevia di reti e/o servizi, anche non strettamente
connessi con il trasporto ferroviario, dove le informazioni scambiate possono rendere più efficiente la
gestione degli impianti e di risorse energetiche e nel contempo migliorare il servizio fornito alla
clientela, realizzando di fatto una Smart Station.
Premessa
La stazione ferroviaria rappresenta, per sua natura, un centro nevralgico della comunità
urbana, sede ideale per il transito e la terminalizzazione di reti e/o servizi, anche non
strettamente connessi al trasporto ferroviario, in quanto nodo d’integrazione delle diverse
reti cittadine: infrastrutturali, di comunicazione e di informazione.
In tale ambito si colloca il concetto di Smart Station, un’occasione imperdibile per RFI che
ha nella propria mission l’ammodernamento tecnologico e lo sviluppo delle linee e degli
impianti attraverso la valutazione e l’impegno di investimenti dedicati.
Smart Station in Smart City
In base alla definizione della Comunità Europea il grado di “intelligenza” di una città
(Smart City) può essere misurato sulle 6 dimensioni: economy, mobility, environment, living e
governance.
All’interno di ogni area sono definiti i meccanismi di valutazione che permettono di
individuare l’efficienza e la bontà delle realizzazioni che per mezzo di soluzioni
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tecnologiche innovative, ottimizzazione dell’uso delle risorse e integrazione dei sistemi
consentono il raggiungimento degli obbiettivi di sostenibilità, vivibilità ed equità sociale.
La definizione delle suddette aree di azione può essere riportata in ambiente ferroviario
contestualizzando i meccanismi di valutazione e le soluzioni tipiche di ogni area in ambito
di stazione, pervenendo così alla definizione di Smart Station.
Economia: rinnovare un contesto tecnologico portandolo al passo con i tempi, riducendo i
costi di investimento e ottimizzando la gestione della manutenzione. Introdurre fattori
come l’innovazione in settori che fino ad oggi sono stati considerati complementari
rispetto al servizio di trasporto offerto quali ad esempio il confort, la mobilità interna, la
produzione ed il consumo di energia.
Mobilità: prevedere spostamenti agevoli sia all’interno che da e verso l’esterno della
stazione (accessibilità), con particolare attenzione alle persone con ridotta mobilità, ed
un’adeguata informazione al pubblico tramite l’utilizzo di soluzioni avanzate di
infomobilità quali totem informativi, informazioni audio e video, etc. Rendere altresì
disponibili servizi di intermodalità presso aree attrezzate con sistemi di controllo
parcheggi, dispositivi di ricarica per mezzi elettrici, etc.
Governance: avere una visione complessiva della stazione e del suo sviluppo e definire, in
base a questa, strategie e linee d’azione. Individuare le tecnologie migliori per ottimizzare
i processi funzionali ai servizi che una stazione può offrire e promuovere, nel contempo,
all’interno dell’azienda azioni di sensibilizzazione sulle tematiche attuali.
Persone: una stazione smart restituisce al cliente un luogo di incontro nel quale gli
elementi di soddisfacimento dell’esigenza di mobilità e l’utilizzo di tecnologie che
agevolino l’individuazione delle informazioni utili ai propri spostamenti, si fondono con
l’arricchimento dell’offerta di servizi di alto valore aggiunto. Ad esempio rendere
disponibili
ambienti
confortevoli
e
locali
commerciali
utili
nei
tempi
di
interscambio/attesa e fornire connessioni con tecnologia wi-fi e totem informativi
finalizzati all’offerta turistica.
Ambiente: promuovere uno sviluppo sostenibile che ha come paradigmi:
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la razionalizzazione dei consumi;
l’abbattimento dell’impatto del riscaldamento e della climatizzazione;
la riduzione della produzione di rifiuti;
il potenziamento della raccolta differenziata;
il trattamento ed il riuso delle acque.
Qualità della vita: che in un contesto di stazione si traduce in qualità e completezza dei
servizi offerti fornendo un centro di aggregazione/spostamento nel quale l’utente può,
grazie a sistemi tecnologici evoluti, avere sempre disponibile in modo agevole
l’informazione richiesta. Creare, attraverso tecniche avanzate, percorsi e “mappature”
tematiche per rendere facilmente fruibile le stazioni stesse.
Riassumendo una stazione si definisce “smart” quando raggiunge determinati obbiettivi
sia in ottica aziendale, attraverso l’efficientamento della manutenzione e l’ottimizzazione
organizzativa, sia come servizio verso il cliente, in termini di miglioramento ed
ampliamento dell’offerta di servizi, attraverso l’integrazione con le altre reti cittadine.
Obbiettivi di una Smart Station
Con il termine di Smart Station si intende un contesto dove l’utilizzo pianificato e sapiente
delle risorse, opportunamente gestite ed integrate mediante l’utilizzo delle tecnologie
disponibili, consente la creazione di un sistema capace di utilizzare al meglio le risorse e di
fornire servizi integrati sempre più intelligenti.
Allo stato dell’arte, i dati e le informazioni dei diversi settori sono memorizzati e utilizzati
in sistemi tipicamente “verticali”, eterogenei e spesso non connessi tra loro.
L’obbiettivo primario invece è quello di arrivare ad individuare un modello “orizzontale”
di riferimento sul quale convergere al fine di ottenere integrazione, cooperazione,
inclusione e massimizzazione degli investimenti e degli obbiettivi di RFI, realizzando le
condizioni di ampia replicabilità, scalabilità e sviluppo.
È necessario adottare un approccio integrato che parta da bisogni del Cliente e dagli
obbiettivi che si vogliono perseguire, identificando l’innovazione tecnologica come
strumento e non come finalità del cambiamento e coinvolgendo la molteplicità di sistemi
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(e.g. sistemi di supervisione, sistemi di supporto alle decisioni e pianificazioni, sistemi di
manutenzione, sistemi di comunicazione, etc.) già disponibili in azienda e/o reperibili sul
mercato che consenta di abilitare in maniera unitaria e armonizzata le diverse dimensioni
verticali
(e.g.
gestione
dell’energia,
condizionamento/riscaldamento,
etc.)
informazione
evidenziando
gli
al
pubblico,
aspetti
gestione
tecnologici,
di
standardizzazione ed interoperabilità tra i sistemi a supporto di tali processi.
Inoltre in uno scenario di progressiva riduzione delle disponibilità finanziarie occorre
modificare l’approccio che sino ad oggi ha posto in relazione diretta l’aumento dei costi
con l’aumento degli indici di customer, per attivare azioni di efficientamento che riducano
i costi senza penalizzare la soddisfazione del cliente.
Un’azione focalizzata sui fattori di ecosostenibilità, riduzione dei costi, efficientamento
degli impianti può mantenere gli indici costanti pur consentendo un risparmio sui costi di
gestione.
Tra gli obbiettivi cui deve tendere una Smart Station si individuano:
ecosostenibilità;
risparmio energetico;
qualità del servizio;
riduzione LCC (Life Cycle Cost):
-
progettazione;
-
realizzazione;
-
manutenzione;
centralizzazione delle informazioni;
supervisione degli impianti;
integrazione con i sistemi informativi aziendali (In. Rete2000).
Campi di applicazione
Al fine di fornire un approccio metodologico per la piena attuazione del modello “smart”
nei siti che costituiscono i punti nodali della rete dell’infrastruttura di RFI (quali stazioni,
fermate e piazzali antistanti) sono state individuate delle aree tematiche di intervento
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Illuminazione
Adozione di tecnologia LED per l’illuminazione di aree e locali, abbinata ad idonea
tecnologia di telecontrollo/tele gestione.
Sistemi di mobilità e accessibilità
Controllo video e prevenzione atti vandalici su scale mobili e, in caso di guasto,
diagnostica mirata al centro di lavoro competente.
Gestione criticità
Antincendio
Tecnologie di telecontrollo e gestione informatizzata degli elementi critici dei componenti
costituenti il sistema dell’impianto antincendio.
Sollevamento acque dei sottopassi
Integrazione con gli impianti di illuminazione di emergenza e altri sistemi in grado di
acquisire allarmi relativi all’allagamento di particolari aree di stazione, controllo stato
pompe.
Alimentazioni ausiliarie e macchine di alimentazione elettrica
Sistema di sensori che consenta il controllo dello stato degli impinati e la segnalazione di
eventuali guasti e/o malfunzionamenti.
Quadri elettrici e interruttori
Interruttori monitorizzati riarmabili
Ecosostenibilità
Metering, Saving & Monitoring
Controllo e misura delle principali utenze (elettriche, idriche e gas) e degli apparati
maggiormente energivori.
Produzione energia da fonti rinnovabili
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Autoproduzione di energia da eolico/microeolico, fotovoltaico e termico.
Trattamento acque
Recupero delle acque piovane e sistemi per il loro successivo riuso quale: irrigazione di
aree destinate al verde, alimentazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento,
alimentazione delle reti duali di adduzione per impianti di scarico nei servizi igienici,
integrazione acqua antincendio.
Aree attrezzabili
Introdurre dispositivi hot – spot per offrire all’utenza un collegamento internet, colonnine
per la ricarica di autovetture elettriche, biciclette, ciclomotori, carica batterie per cellulari e
personal computer, sistemi di controllo parcheggi, totem informativi in grado di fornire
servizi multimediali interattivi quali informazioni in tempo reale sul traffico ferroviario,
stradale, mezzi pubblici a disposizione, occupazione parcheggi, meteo, turismo, eventi
occasionali, etc.
Supervisione di stazione (per i soli aspetti manutentivi)
TVCC
Acquisizione di segnali video funzionali al controllo di scale mobili, ascensori e di aree
non presidiate in genere.
Controllo accessi
Impianti antintrusione e controllo accessi in grado di rilevare e segnalare intrusioni non
autorizzate e che possano precludere determinati varchi ed accessi in fasce orarie
prestabilite o su comando estemporaneo.
Comfort
Produzione di acqua calda sanitaria o per il riscaldamento tradizionale
Corretta scelta fra sistemi istantanei e sistemi di accumulo di produzione di acqua calda,
implementazione dei sistemi di recupero di calore.
Riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria (HVAC)
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Utilizzo di materiali a bassa dispersione termica, installazione di contabilizza tori di
calorie/frigorie.
Servizi igienici
Installazione di Servizi Igienici Automatizzati in gestione ad imprese di settore.
[9] La Tecnica Professionale N. 3/Marzo 2014 – “La Smart Station: Pensare le stazioni del
futuro” – Edita dal Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani – di Giovanni Gualario, Silvia
Tatti, Attilio Gaeta e Marco Patanè.
Casteldaccia (PA), lì 24/06/2015
Ing. Francesco Solazzo
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