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Tempo, spazio e relatività da Galileo a Einstein

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Tempo, spazio e relatività da Galileo a Einstein
II Scuola Estiva in Storia e Filosofia delle Scienze
“NOMI DEL TEMPO”
Feltre, 18 - 21 luglio 2012
Tempo, spazio e relatività
da Galileo a Einstein
Giulio Peruzzi
Dipartimento di Fisica
Facoltà di Ingegneria
Università di Padova
[email protected]
Il fatto che ogni sensazione si esprima in ultima analisi
mediante coordinazioni spazio-temporali e, viceversa,
che ogni coordinazione spazio-temporale non sia mai
data prescindendo dalle sensazioni è l’origine della
funzione fondamentale delle nozioni di spazio e tempo
nella fisica e, in generale, nelle scienze della natura…
ma è anche la ragione per cui dall’antichità - e ancora
oggi a livello del senso comune - si era portati a
concludere che lo spazio e il tempo fossero in qualche
modo assimilabili a dati provenienti direttamente dalle
percezioni sensoriali.
Tuttavia fin dall’inizio la fisica moderna ha condotto a
problematizzare questa conclusione.
Galileo Galilei (1564-1642)
Di cosa si occupa?
ELENCO CRONOLOGICO
- cinematica (1604-1638)
- qualità primarie e secondarie
(1623)
- relatività (?) (1624-1632)
- gravità (1632-1638)
- luce (1638)
Per tanto io vi dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito
che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire
insieme
ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura,
ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola,
ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo,
ch’ella si muove o sta ferma,
ch’ella tocca o non tocca un altro corpo,
ch’ella è una, poche o molte,
né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni;
ma ch’ella debba esser bianca o rossa, amara o dolce, sonora o
muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di
doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente
accompagnata: anzi se i sensi non ci fussero scorta, forse il
discorso o l’immaginazione per sé stessa non v’arriverebbe già
mai.
Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori
etc., per la parte del suggetto nel qual ci par che
riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano
solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che
rimosso l’animale, siano levate e annichilate tutte queste
qualità [...]
Ma che ne’ corpi esterni, per eccitare in noi i sapori, gli
odori e i suoni, si richiegga altro che grandezze, figure,
moltitudini e movimenti tardi o veloci, io non lo credo; e
stimo che, tolti via le orecchie le lingue e i nasi, restino
bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i
sapori né i suoni, li quali fuor dall’animale vivente non
credo che sieno altro che nomi […].
[Il Saggiatore (1623), Opere, vol. VI, 347-50;
cf anche Locke, Saggio sull’intelletto umano (1690)]
Le questioni sollevate dall’indagine intorno alla natura
dello spazio e del tempo comportano il confronto tra
due ordini di “realtà”:
quello relativo allo
spazio e al tempo
quello relativo alle
“cose”, agli oggetti
A questo riguardo due sono le concezioni
fondamentali dello spazio e del tempo storicamente
manifestatesi (emblematicamente rappresentate dal
confronto tra concezione newtoniana e concezione
leibniziana): una concezione assolutistica e una
relazionale, la cui differenza è, in ultima istanza,
riconducibile alla diversa priorità logica dello spazio
e del tempo rispetto agli oggetti e ai processi
materiali.
Isaac Newton (1642-1727)
- spazio e tempo assoluti
- principio d’inerzia
(cruciale per definire la
struttura dello spazio tempo,
Lange 1885)
- dinamica
-legge di gravitazione
universale
- ottica, costituzione e
percezione del colore
Spazio assoluto e tempo assoluto in Newton
Newton, ponendosi il problema di determinare quali
sistemi di riferimento fossero sistemi di riferimento
inerziali, aveva introdotto le nozioni di spazio assoluto,
tempo assoluto e moto assoluto.
In quest’ottica i sistemi inerziali erano quelli in quiete o
in moto rettilineo uniforme rispetto a questo contenitore
spazio-temporale assoluto.
La distinzione tra sistemi di riferimento relativi e sistema
di riferimento assoluto si può ricavare dai Principia, in
particolare dallo Scolio che segue le definizioni
introduttive, e che comincia con la seguente
osservazione:
Fin qui è stato indicato in quale senso siano da intendere,
nel seguito, parole non comunemente note. Non definisco,
invece, tempo, spazio, luogo e moto, in quanto notissimi a
tutti. Va osservato, tuttavia, come comunemente non si
concepiscano queste quantità che in relazione a cose
sensibili. Di qui nascono i vari pregiudizi, per eliminare i
quali conviene distinguere le medesime quantità in assolute
e relative, vere e apparenti, matematiche e volgari. [I. Newton,
Principia, pp. 104-105.]
Per quanto riguarda il tempo Newton afferma:
Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura
senza relazione ad alcunché di esterno, scorre
uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello
relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o
inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del
moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero
tempo: tali sono l’ora, il giorno, l’anno.
E subito dopo Newton esamina la fondamentale distinzione tra
spazio assoluto e spazio relativo:
Lo spazio assoluto, per sua natura senza relazione ad
alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile; lo
spazio relativo è una misura o dimensione mobile dello spazio
assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua
posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso al posto
dello spazio immobile; così la dimensione di uno spazio
sotterraneo o aereo o celeste viene determinata dalla sua
posizione rispetto alla Terra. Lo spazio assoluto e lo spazio
relativo sono identici per grandezza e specie, ma non sempre
permangono identici quanto al numero. Infatti se la Terra, per
esempio, si muove, lo spazio che contiene la nostra aria, e
che, relativamente alla Terra, rimane sempre identico, ora sarà
una data parte dello spazio assoluto attraverso cui l’aria passa,
ora un’altra parte di esso; e così, senza dubbio, muterà
incessantemente.
Per Newton le nozioni di spazio, tempo e moto assoluti
traevano origine sia da ragioni fisiche (giustificare il principio
di inerzia e l’esistenza privilegiata di osservatori inerziali),
sia da ragioni metafisiche (giustificare la presenza e l’azione
di Dio nello spazio e nel tempo).
Questa mescolanza di ragioni fisiche e metafisiche era
presente, in forme e modi diversi, anche nel pensiero dei
suoi principali ispiratori: Francesco Patrizi (1529-1597),
Pierre Gassendi (1592-1655) e Henry More (1614-1687).
E l’opposizione alla visione newtoniana, emblematicamente
rappresentata da Gottfried Leibniz (1646-1716), si
incentrava su entrambi gli elementi, quello fisico e quello
metafisico.
La questione venne discussa in particolare, tra il
1715 e il 1716, in un famoso scambio di lettere tra
Leibniz e il teologo e filosofo Samuel Clarke (16751729), sostenitore di Newton, e continuò a essere
dibattuta da filosofi e scienziati nel Settecento.
A favore della concezione di Newton si schierarono
personaggi come Leonhard Euler e Immanuel Kant
(1724-1804), mentre sul fronte opposto si
attestarono, oltre a Leibniz, George Berkeley
(1685-1753) e Christiaan Huygens (1629-1695).
Quanto a me, ho sottolineato più di una volta che
considero lo spazio qualcosa di puramente relativo,
come il tempo: un ordine delle coesistenze, come il
tempo è un ordine delle successioni.
Lo spazio, infatti, evidenzia in termini di possibilità un
ordine delle cose che esistono nello stesso tempo, in
quanto esistono insieme, senza entrare nelle loro
particolari maniere di esistere. E quando si vedono
molteplici cose insieme, si appercepisce tale ordine
delle cose tra loro.
[terza lettera di Leibniz - 25 febbraio 1716 (cf. Scritti Filosofici,
vol. III, UTET, Torino 2000, pp. 486-556, p. 499)]
Spazio tempo di Newton: la particella P è in stato di
quiete assoluta e non è solidale con un sistema di
riferimento in rotazione, Q si muove
uniformemente, R è accelerata e solidale con un
sistema di assi in rotazione. A è parallelo a B.
Spazio tempo di Leibniz: non esistono moti
privilegiati (non ci sono linee retta), e non esiste
parallelismo se non all’interno del singolo strato
(definito da t = costante)
Spazio tempo della dinamica classica: moti
uniformi, esemplificati da P e Q, sono considerati
privilegiati rispetto a quelli accelerati, R; ma non è
definita la quiete assoluta. Il parallelismo tra
quadrivettori è definito: A è parallelo a B e C a D.
Ottocento
Direzionalità temporale dei processi macroscopici
Termodinamica
(Clausius-Kelvin)
Teoria cinetica e
meccanica
statistica
(MaxwellBoltzmann)
Il “diavoletto” di Maxwell (Teoria del calore, 1871)
Uno dei fatti meglio stabiliti della termodinamica è
l’impossibilità di produrre senza compiere lavoro una
differenza di temperatura o di pressione in un sistema
racchiuso in un contenitore che non permette
cambiamenti di volume né passaggi di calore, e nel
quale sia la temperatura sia la pressione siano ovunque
le stesse.
Questa è la seconda legge della termodinamica, ed è
senza dubbio vera finché si può trattare i corpi solo nel
loro insieme, senza aver modo di percepire e
maneggiare le singole molecole di cui essi sono
composti.
Ma se noi concepiamo un essere le cui facoltà siano così acuite da
permettergli di seguire ogni molecola nel suo cammino, un tale
essere, i cui attributi sono tuttavia essenzialmente finiti come i nostri,
sarebbe capace di fare ciò che per noi è attualmente impossibile.
Infatti abbiamo visto che le molecole in un recipiente pieno d’aria a
temperatura uniforme si muovono con velocità nient’affatto uniformi,
anche se la velocità media di un qualunque insieme sufficientemente
numeroso di esse, arbitrariamente scelto, è quasi esattamente
uniforme.
Supponiamo adesso che tale recipiente sia diviso in due parti, A e B,
da un setto in cui vi sia un piccolo foro, e che un essere, che può
vedere le singole molecole, apra e chiuda questo foro in modo da
permettere solo alle molecole più veloci di passare da A a B, e solo a
quelle più lente di passare da B ad A.
In questo modo, senza compiere lavoro, egli innalzerà la
temperatura di B e abbasserà quella di A, in contraddizione con la
seconda legge della termodinamica.
Questo è solo uno degli esempi in cui le conclusioni da noi tratte
dalla nostra esperienza concernente i corpi composti da un
immenso numero di molecole possono risultare non applicabili a
osservazioni e a esperimenti più raffinati, che possiamo supporre
effettuati da qualcuno capace di percepire e maneggiare le singole
molecole che noi invece trattiamo soltanto per grandi insiemi.
Dovendo trattare di corpi materiali nel loro insieme, senza percepire
le singole molecole, siamo costretti ad adottare quello che ho
descritto come il metodo statistico di calcolo, e ad abbandonare il
metodo strettamente dinamico, nel quale seguiamo con il calcolo
ogni movimento.
Sarebbe interessante chiedersi fino a che punto quelle idee
concernenti la natura e i metodi della scienza che sono state
derivate dagli esempi di indagine scientifica in cui si segue il
metodo dinamico siano applicabili alla nostra reale conoscenza
delle cose concrete, che, come abbiamo visto, è di natura
essenzialmente statistica […].
L’universo (o comunque gran parte di ciò che ci circonda) visto come
sistema meccanico è partito da uno stato altamente improbabile e si
trova ancora in uno stato poco probabile. Se si prende allora in esame
un sistema di corpi più piccolo, così come lo si trova nella realtà, e lo
si isola istantaneamente dal resto del mondo, questo sistema verrà
inizialmente a trovarsi in uno stato improbabile e, per tutto il tempo in
cui resterà isolato, procederà verso stati più probabili.
[fig. tratta da
Penrose, The
Emperor’s new
mind, p. 343.]
Sistemi collocati nello stato attuale dell’universo hanno di
fatto stati iniziali che precedono gli stati finali. E questo
dipende dalle “condizioni iniziali di ciò che ci circonda”.
L’universo nella sua interezza, tuttavia, può essere
considerato come in equilibrio (e quindi morto). In esso
sono collocate isole (o mondi) di dimensioni paragonabili
alla nostra galassia.
Questi mondi sono interpretabili, secondo Boltzmann,
come fluttuazioni nell’equilibrio termico globale, che
durano tempi lunghi rispetto ai tempi delle nostre
osservazioni.
L’universo globalmente è in equilibrio, in esso non c’è
freccia temporale: non vi si distingue il “prima” dal “dopo”
come nello spazio non si distingue il “sopra” dal “sotto”.
Diversa è la “sensazione” di un osservatore solidale con
uno di questi mondi.
Proprio come in un dato luogo sulla superficie della Terra
possiamo usare l’espressione “verso il basso” per indicare
la direzione verso il centro del pianeta, così, in quanto
creature viventi che si trovano in un mondo del genere in
uno specifico periodo di tempo, possiamo definire la
direzione del tempo come se essa andasse dagli stati
meno probabili verso quelli più probabili (in modo che i
primi diventeranno il “passato” e i secondi il “futuro”), e in
virtù di questa definizione troveremo che questa piccola
regione, isolata dal resto dell’universo, è sempre
“inizialmente” in uno stato improbabile.
[Boltzmann, Risposta a Zermelo, 1897; tr. Inglese in Brush, Kinetic Theory, vol. 2,
Pergamon Press, 1966; cfr. per ripresa di suggestioni boltzmanniane in chiave moderna,
M. Gasperini, L’universo prima del Big Bang, Franco Muzio Editore, Roma 2002]
I fenomeni che oggi manifestano una qualche forma di
irreversibilità e che quindi sembrano poter essere connessi con
l’argomento della “freccia del tempo” sono essenzialmente
cinque:
1. l’asimmetria entropica in termodinamica;
2. l’emissione di radiazione nell’elettromagnetismo;
3. l’espansione dell’universo in ambito cosmologico;
4. la misurazione quantistica;
5. la violazione di CP nel decadimento di alcune particelle.
Questi cinque fenomeni hanno qualcosa in comune?
L’asimmetria entropica è l’asimmetria fondamentale?
Sono queste alcune questioni che hanno una loro rilevanza
nell’ambito dei fondamenti e della filosofia della fisica, e sono
ancora un attivo campo di ricerca della fisica.
Perché si sentì l’esigenza di superare la relatività
galileiana?
Alla fine dell’Ottocento molti scienziati, tra i quali
Lorentz e Poincaré, si accorsero che le equazioni di
Maxwell per i campi elettromagnetici non si
conciliavano con il principio di relatività galileiana.
Nel 1905 Einstein riuscì a rendere compatibili la
meccanica e l’elettromagnetismo sostituendo la
relatività galileiana con la relatività ristretta.
La relatività ristretta, pur privilegiando ancora i sistemi
inerziali, definisce le proprietà dello spazio e del
tempo in modo diverso dalla meccanica classica, in
particolare associa a ogni sistema inerziale un suo
tempo proprio.
Quindi la meccanica classica non vale più?
La meccanica classica deve abbandonare le sue
pretese di universalità riducendosi a una teoria
approssimata. Tuttavia dà ancora ottimi risultati nel
dominio dei fenomeni nei quali le velocità in gioco
sono piccole rispetto alla velocità della luce.
Dalle nuove nozioni di spazio e tempo si ricava la
nuova cinematica. Questa determina le nuove
trasformazioni (le trasformazioni di Lorentz) che
rendono invarianti le leggi fisiche nel passaggio da un
sistema di riferimento a un altro, nella classe dei
sistemi di riferimento inerziali.
Utilizzando queste trasformazioni “l’apparente
incociliabilità” dei due postulati della relatività ristretta
sparisce. In particolare, la nuova legge di
composizione delle velocità che discende dalle
trasformazioni di Lorentz garantisce la costanza della
velocità della luce nel passaggio da un sistema di
riferimento inerziale all’altro.
Il difetto epistemologico della relatività ristretta
La relatività galileiana e la relatività ristretta si basano
sull’ipotesi che, per formulare le leggi fisiche, i sistemi
inerziali siano equivalenti tra loro e privilegiati rispetto ai
sistemi in moto accelerato.
Questo privilegio presuppone una misteriosa proprietà
dello spazio-tempo: lo spazio tempo si comporta come
un palcoscenico che condiziona la descrizione degli
eventi fisici senza esserne influenzato.
Quando Einstein si pose il problema di modificare la
teoria newtoniana della gravitazione per renderla
compatibile con la relatività ristretta si accorse che era
necessario generalizzare il postulato di relatività anche ai
sistemi di riferimento in moto accelerato.
Come arrivò Einstein a formulare la relatività generale?
“Fu nel 1907 – scrive Einstein – che ebbi il pensiero più
felice della mia vita, nella forma seguente.
Il campo gravitazionale ha solo un’esistenza relativa, in
modo analogo al campo elettrico generato dall’induzione
magnetoelettrica. Infatti per un osservatore che cada
liberamente dal tetto di una casa non esiste alcun campo
gravitazionale. Infatti, se l’osservatore lascia cadere dei
corpi, questi permangono in uno stato di quiete o di moto
uniforme rispetto a lui […]. L’osservatore di conseguenza
interpreta il proprio stato come uno “stato di quiete”.
Grazie a quest’idea, quella singolarissima legge
sperimentale secondo cui, in un campo gravitazionale, tutti i
corpi cadono con la stessa accelerazione, veniva
improvvisamente ad acquistare un significato fisico
profondo.”
Einstein si accorge che il principio di equivalenza
tra massa inerziale e massa gravitazionale è la
chiave di volta per estendere il postulato di
relatività a sistemi di riferimento in moto
accelerato.
Identificando il campo gravitazionale con le
proprietà geometriche dello spazio-tempo, si
supera il difetto epistemologico della relatività
ristretta: la geometria dello spazio-tempo agisce
sui moti della materia e dell’energia e a sua volta
è determinata dalla distribuzione della materia e
dell’energia.
Non è una teoria molto astratta?
Sicuramente così è stata vista anche dagli
scienziati per molto tempo. Eppure le sue
previsioni sono confermate sperimentalmente con
una precisione impressionante.
Non solo, essa ha permesso importanti
applicazioni tecnologiche: i moderni dispositivi
GPS (Global Positioning System) di rilevamento
della posizione in ogni punto della Terra, usati per
esempio per la navigazione, sono così accurati
(incertezza in un raggio di pochi metri) grazie alla
relatività generale.
La meccanica quantistica (1925-26)
Cronologia:
1925 – Heisenberg, Born e Jordan, e
indipendentemente Dirac: prima
formulazione della meccanica quantistica,
la cosiddetta meccanica delle matrici.
1926 – Schrödinger introduce la seconda
formulazione della meccanica quantistica,
la cosiddetta meccanica ondulatoria e
dimostra la sua equivalenza formale con
la meccanica delle matrici.
1927 – Heisenberg presenta le relazioni
di indeterminazione.
Elettrodinamica quantistica (1925-49)
Cronologia:
1925 – Heisenberg, Born e Jordan.
1928 – Equazione di Dirac.
anni 1930 – Insorgenza di infiniti per quantità finite: Furry,
Weisskopf, Heisenberg ...
1938 – teoria dell’elettrone classico di Dirac
1941-49 – teoria dell’elettrone classico di WheelerFeynman.
Negli stessi anni, la proposta di Heisenberg di introdurre
una “granularizzazione” del tempo (i crononi) e dello
spazio.
Bibliografia
1. E. Bellone, I nomi del tempo. La seconda rivoluzione scientifica
e il mito della freccia temporale, Bollati Boringhieri, Torino
1989.
2. W. K. Clifford, The Common Sense of Exact Sciences,
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[trad. it. Il senso comune nelle scienze esatte, Dumolard,
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(trad. it. Principi matematici della filosofia naturale, UTET,
Torino 1965 (ristampa 1997) e Opticks, 1704 (trad. it. in Isaac
Newton, Scritti di Ottica, UTET, Torino 1978).
8. B. Riemann, Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria
e altri scritti scientifici e filosofici, Bollati Boringhieri, Torino
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9. T. Regge e G.P., Spazio, Tempo e Universo, UTET, Torino
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10.M. Schlick, Space and Time in Contemporary Physics. An
Introduction to the Theory of Relativity and Gravitation,
Clarendon Press, Oxford 1920.
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