Comments
Transcript
Diapositiva 1 - Ordine degli Avvocati di PIACENZA
LE PROVE ATIPICHE NEL PROCESSO CIVILE: AMMISSIBILITÀ, EFFICACIA PROBATORIA E PRONUNZIE GIURISPRUDENZIALI di GIANLUIGI MORLINI Magistrato componente Comitato Direttivo Scuola Superiore Magistratura … e soprattutto ex Giudice Tribunale Piacenza!! NON SOLO DOCUMENTI E TESTIMONI... PROVE TIPICHE Prove documentali. Prove testimoniali e la mai decollata testimonianza scritta ex art. 257 bis cpc. CTU percipiente. Ispezione. Ordine di esibizione ex art. 210 cpc o richiesta di informazioni ex art. 213 cpc. Confessione e giuramento. PROVE ‘CAUTELARI’ “sommarie informazioni”, per provvedere con decreto inaudita altera parte ex art. 669 sexies comma 2 cpc; “atti di istruzione indispensabili” (come per ispezione 118 cpc ed esibizione 210 cpc, e come per appello prima della riforma del 345 cpc), non meramente rilevanti, per provvedere con ordinanza in contraddittorio ex art. 669 comma 1 cpc; testi informatori sentiti senza capitolato ed impegno di rito, per alcuni anche con possibilità di derogare agli artt. 246 cpc e 2721 ss. cc. In particolare, i testi informatori: se sentiti con capitolato e impegno ex art. 202 ss cpc, sono veri e propri testi e non vanno risentiti nel giudizio di merito sulle medesime circostanze capitolate; se sentiti senza impegno, la rilevanza è meramente indiziaria, e vanno risentiti nel giudizio di merito se si vuole ottenere una piena valenza testimoniale; se sentiti con impegno pur senza capitolato, sono testi con riferimento alle circostanze verbalizzate, e possono essere risentiti nel giudizio di merito su ulteriori circostanze (Cass. nn. 22778/2013, 24705/2006, 21417/2004, 8522/2003, 21407/1991, 10011/1991, 3820/1986). PROVE ATIPICHE scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale; verbali di prove espletati in altri giudizi; atti dell’istruttoria penale o amministrativa; chiarimenti resi al CTU, informazioni da lui assunte, risposte eccedenti il mandato, perizia resa in altro giudizio; perizie stragiudiziali; sentenze di altri processi civili; sentenze penali e di patteggiamento. LA SCALA DEL RAGIONAMENTO PROBATORIO 1) Prove legali. 2) Prove libere. 3) Presunzioni. 4) Argomenti di prova. 5) Non contestazione. 6) Fatti notori e massime di esperienza. 7) Prove atipiche 1) PROVE LEGALI Esprimono un limite al principio del libero convincimento del Giudice Pur se la relazione tra libero convincimento e prova legale è codificata dall’art. 116 cpc secondo il rapporto tra regola ed eccezione, permangono rilevanti ipotesi di prova legale (es: confessione, giuramento, atto pubblico, scrittura privata, riproduzioni meccaniche, copie di atti). Le ipotesi sono talmente pregnanti che per alcuni il rapporto tra regola del libero convincimento ed eccezione della prova legale, è solo apparente (Taruffo). Resta però che la struttura dell’art. 116 cpc impone di ritenere le prove legali come ipotesi eccezionali e non suscettibili di applicazione analogica (Andrioli). Le prove legali sono residui di epoca passata, essendo la loro previsione storicamente fondata sulla sfiducia nei confronti del Giudice e della sua capacità di valutare prudentemente le prove. Ciò posto, offrono: vantaggio di una maggior certezza del diritto e di una semplificazione istruttoria; a scapito peraltro di una più approfondita ricerca della giustizia del caso concreto, ponendo limiti alla possibilità delle parti di provare fatti magari oggettivamente veri. Venendo all’efficacia delle prove legali, si distingue tra: Prove legali negative, che limitano la facoltà del Giudice di ammettere o riconoscere valore probatorio a determinate prove (cfr. artt. 2721-2726 cc sui limiti alla prova testimoniale). Prove legali positive, che impongono al Giudice di attribuire valore privilegiato a determinate fonti di prova (cfr. artt. 2700 e 2702 cc sul valore probatorio di atto pubblico e scrittura privata, nonché art. 2733 e 2738 cc sul valore probatorio di confessione e giuramento). Ciò comporta l’impossibilità di offrire la prova contraria alle risultanze della prova legale, a meno di una prova legale contraria, perché solo dinanzi a due o più prove legali dotate della medesima valenza probatoria, è possibile un apprezzamento del Giudice, che deve dare credito a quella ritenuta più convincente (cfr. Cass. Lav. n. 12401/1997, relativamente all’ipotesi di documenti facenti fede fino a querela di falso e di tenore contrastante). In particolare e con riferimento alla confessione: alle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore ad litem può essere attribuito valore confessorio riferibile alla parte, solo quando quegli scritti rechino anche la sottoscrizione della parte stessa; mentre le ammissioni contenute negli atti difensivi sottoscritti unicamente dal procuratore, costituiscono solo elementi liberamente valutabili ed apprezzabili dal Giudice per la formazione del proprio convincimento (per tutte, Cass. n. 20701/2007), od integranti il principio di non contestazione; la dichiarazione confessoria contenuta nel cid, resa dal proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, poiché, ex art. 2733 comma 3 cc, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal Giudice (da ultimo, Cass. nn. 3567/2013 e 20352/2010). Quanto alle prove documentali: il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti versati in atti, solo nel caso in cui la parte che li ha prodotti o comunque la parte che intenda trarne vantaggio, ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue domande od eccezioni, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice l’impossibilità di valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (giurisprudenza pacifica: per tutte, Cass. Sez. Un. n. 2435/2008 e Cass. n. 22342/2007). 2) PROVE LIBERE Sono espressione del principio del libero convincimento del Giudice Efficacia probatoria non sottoposta dal legislatore ad un’aprioristica valutazione, ma rimessa alla valutazione del Giudice secondo il suo prudente apprezzamento. Nel procedimento di valutazione della prova libera (che non è libera ricerca della prova: Satta), il prudente apprezzamento del Giudice consiste nel “corretto uso di massime logiche ed esperienza” (Andrioli), e, pur se non è possibile fissare regole formali per l’attività di valutazione (Patti), è comunque possibile elencare alcuni criteri che devono guidare tale apprezzamento. a) Innanzitutto, in base al principio di acquisizione, tutte le risultanze istruttorie, qualunque sia la parte ad iniziativa della quale sono state assunte, concorrono indistintamente alla formazione del libero convincimento del Giudice (ex pluribus e tra le ultime, cfr. Cass. n. 21909/2013), senza che la loro provenienza possa condizionare tale decisione in un senso o nell’altro, e senza che possa escludersi l’utilizzabilità di una prova fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla controparte. Ciò spiega perché, una volta ammessa una prova, per la rinuncia al suo espletamento, ex art. 245 cpc, occorre l’adesione di controparte, oltre che il consenso del Giudice; e perché è facoltà della parte chiedere al Giudice, ex art. 208 comma 1 cpc, l’assunzione della prova dedotta dall’avversario non comparso. b) Relativamente alla modalità di formazione del libero convincimento, al di fuori della prova legale non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia delle prove, per la quale i risultati di alcune debbano prevalere nei confronti di altre, essendo il Giudice libero di scegliere gli elementi di prova dai quali trarre il proprio convincimento (ex pluribus, Cass. n. 18644/2011). c) Ulteriore aspetto del libero convincimento si rinviene nel potere del Giudice di arrestare l’istruzione quando gli elementi raccolti sono ritenuti sufficienti (per tutte, Cass. n. 18719/2003). d) Una volta formatosi, il convincimento del Giudice va esplicitato in motivazione, dando conto del perché sono stati ritenuti più attendibili o comunque preferibili alcuni elementi probatori rispetto ad altri. Tuttavia, non è necessaria una comparazione analitica di tutte le prove raccolte, essendo sufficiente il riferimento alle prove poste alla base della decisione, senza necessità di specifica confutazione espressa di ogni argomentazione e rilievo contrari (fra le tante, Cass. n. 17097/2010), poiché “non si richiede al Giudice del merito dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire un’adeguata motivazione logica dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse” (Cass. Sez. Un. n. 7930/2008). e) Il principio generale sull’onere della prova codificato dall’art. 2697 cc e che deve guidare il Giudice nella valutazione delle risultanze istruttorie e nella decisione, soffre di alcune eccezioni. Si ha infatti inversione dell’onere della prova sia nelle ipotesi specificamente disciplinate dal legislatore agli artt. 2047 ss. cc; sia nelle ipotesi pattiziamente concordate, con il limite peraltro dell’art. 2698 cc, che sancisce la nullità nel caso di diritti indisponibili e nel caso si renda ad una parte eccessivamente difficile l’esercizio del diritto. Peraltro, la pattizia inversione dell’onere della prova non scaturisce dal mero comportamento processuale della parte la quale offra spontaneamente di provare fatti che non ha l’onere di provare; ma richiede invece un’inequivocabile manifestazione volta ad assumere un onere probatorio a sé non spettante, rinunciando ai benefici ed ai vantaggi che derivano dal principio che regola la distribuzione dell’onere probatorio ed accettando di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta (Cass. n. 8901/2013). TESTIMONIANZA DE RELATO E’ pacifico che la testimonianza de relato ha un’efficacia probatoria ben minore di quella diretta, pur se è necessario distinguere tre differenti tipologie: la testimonianza relativa a dichiarazioni fornite al teste da un terzo estraneo alla lite, la testimonianza relativa a dichiarazioni a sé favorevoli rese al teste da una parte, la testimonianza relativa a dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste da una parte. 1. Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni rese al teste da un terzo estraneo alla lite, si parla genericamente di deposizione de relato. Tale testimonianza, integrando una prova meramente indiziaria, può acquisire rilevanza attraverso il riscontro di altre circostanze oggettive e concordanti che ne suffraghino la credibilità, ed in tal modo influenzare il convincimento del Giudice (Cass. n. 7926/2004). All’evidenza, ben è possibile, rispetto alla deposizione de relato, indurre come teste di riferimento ex art. 257, comma 1, c.p.c. il terzo dal quale l’informazione è stata resa, onde ottenere sul punto una testimonianza piena. 2. Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni a sé favorevoli rese al teste da una parte, si parla di deposizione de relato ex parte. Tale testimonianza, se considerata di per sé sola e senza il conforto di altri elementi, non ha valore probatorio, nemmeno indiziario, e la sua rilevanza processuale, in tal caso, “è sostanzialmente nulla” (Cass. n. 313/2011), potendo peraltro spiegare una qualche efficacia probatoria alla sola rigorosa condizione che circostanze oggettive o soggettive ad essa estrinseche ne confortino la credibilità o altre risultanze probatorie ne suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di percezione diretta dai testimoni o di 3. Nel caso infine di testimonianza relativa a dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste da una parte, si parla di deposizione de relato ex parte contra se, la quale può integrare una confessione stragiudiziale liberamente apprezzabile dal Giudice con valutazione ex art. 2735 c.c. 3) PRESUNZIONI In sede di valutazione delle prove, quando il Giudice si trova nelle condizioni di dovere apprezzare non i fatti direttamente rilevanti per la decisione della causa, bensì altri fatti, dai quali si possa risalire ai primi sulla base di tipici ragionamenti logici, si parla di presunzioni. Esse sono definite unitariamente dal codice come “le conseguenze che la legge o il Giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto”, regolate agli artt. 2727-2729 cc. Si suole distinguere tra presunzioni legali assolute, legali relative e semplici. Presunzioni legali assolute, o iure et de iure Sono prefissate dalla legge in schemi rigidi che non prevedono la prova contraria (artt. 596-599 cc in tema di successioni, 232 cc in tema di filiazione, 238 cc in tema di atto di nascita conforme al possesso di stato, 880-881 cc in tema di comunione del muro divisorio, 897-899 cc in tema di comunioni di fossi, siepi e alberi). E’ stato osservato che più che sul piano probatorio, operano sul piano sostanziale, nel senso di fissare un’equipollenza tra fatto produttivo di un dato effetto ed altro fatto dalla legge equiparato. Presunzioni legali relative, o iuris tantum Sono prefissate dalla legge in schemi parzialmente rigidi, in quanto: da un lato dispensano la parte dall’onere della prova; dall’altro ammettono la prova contraria (artt. 1141 cc in tema di mutamento della detenzione in possesso, 1147 cc in tema di possesso di buona fede, 1335 cc in tema di propostaaccettazione-revoca del contratto, 1588 cc in tema di perdita e deterioramento della cosa locata, 1611 cc in tema di incendio di cosa locata, 1709 cc in tema di onerosità del mandato, 1767 cc in tema di gratuità del deposito, 2600 cc in tema colpa nella di concorrenza sleale, 2706 cc in tema di assenza di colpa del mittente nella riproduzione del telegramma) pur se talvolta solo con limitazioni (cfr. la presunzione di paternità di cui all’art. 231 cc, che ammette la prova contraria solo nelle ipotesi di cui all’art. 235 cc). Si risolvono quindi in un diverso modo di operare dell’onere probatorio, tramite l’inversione della tradizionale regola di riparto. Presunzioni semplici o praesumptiones homins Sono ragionamenti logici che consentono di desumere l’esistenza di un fatto ignoto muovendo da un fatto noto, ragionamenti lasciati al libero apprezzamento del Giudice, ma che ai sensi dell’art. 2729 cc devono essere corredati dai caratteri di gravità, precisione e concordanza. Diversi sono i punti che la giurisprudenza di legittimità ha ormai chiarito. a) La presunzione non richiede che il fatto ignorato sia l’unica conseguenza possibile del fatto noto, essendo invece sufficiente un rapporto di probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio di normalità alla stregua dell’id quod plerumque accidit (principio pacifico: ex pluribus e da ultimo, cfr. Cass. n. 2632/2014). b) Non è invece possibile risalire al fatto ignorato sulla scorta di una serie consecutiva di presunzioni, cioè ponendo il fatto accertato per effetto di presunzione a fondamento di un nuovo ragionamento presuntivo, ostando a ciò il divieto di praesumptio de praesumpto, che peraltro vieta la correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice, pur se non con altra presunzione legale (fra le tante, cfr. Cass. n. 27032/2007: attraverso presunzioni semplici i conti correnti intestati a terzi sono ricondotti al contribuente, e con presunzione legale relativa i movimenti del conto sono attribuiti a operazioni economiche del contribuente). c) Nonostante le critiche della dottrina, si è invece ritenuto possibile fondare la decisione su di un unico elemento presuntivo, purché non contrastato da altro ragionamento presuntivo di segno contrario (per tutte, Cass. n. 10847/2007). Consegue che il requisito della concordanza, che postula una pluralità di presunzioni, perde il carattere di necessarietà, finendo per essere elemento eventuale della valutazione presuntiva, destinato ad operare unicamente in presenza di più presunzioni (tra le ultime, Cass. nn. 17574/2009). Consegue altresì che la presunzione semplice e la presunzione legale iuris tantum, si distinguono unicamente in ordine al modo di insorgenza, perché mentre il fatto sul quale si fonda la prima deve essere provato in giudizio da chi intende trarne vantaggio, la seconda è stabilita dalla legge; una volta però che la presunzione semplice si sia formata, essa ha la medesima efficacia della presunzione legale iuris tantum, in quanto l’una e l’altra trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono, l’onere della prova contraria (Cass. n. 13291/1999). d) Alla luce di quanto disposto dall’art. 2729 comma 2 cc, il potere del Giudice di ricorrere alle presunzioni semplici, trova gli stessi limiti legali posti all’ammissibilità delle prove testimoniali. e) In ragione del criterio di gerarchia delle prove, la prova presuntiva ha un’efficacia non minore delle altre prove, con la consueta eccezione della prova legale, e pertanto il convincimento del Giudice può fondarsi anche solo su una presunzione, e su una presunzione che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se ritenuta tale da far ritenere inattendibili gli altri elementi di giudizio (ex aliis, cfr. Cass. nn. 16993/2007). f) Infine, in applicazione dei princìpi generali sul libero convincimento del Giudice in materia di prove libere, è riservata al Giudice di merito la valutazione discrezionale della sussistenza sia dei presupposti per il ricorso alla presunzione, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza. Unico sindacato riservato in proposito al Giudice di legittimità è allora quello sulla congruenza della relativa motivazione (Cass. n. 7471/2013). 4) ARGOMENTI DI PROVA Di argomenti di prova il legislatore parla: in chiave generale nell’art. 116 comma 2 cpc, chiarendo che essi possono essere tratti dalle risposte rese dalle parti in sede di interrogatorio libero ex art. 117 cpc, dal rifiuto a consentire le ispezioni ordinate ex art. 118 comma 2 cpc, comunque dal contegno processuale delle parti; in chiave particolare in alcune norme processuali (cfr. artt. 185, 200, 232, 310, 420 cpc), che rimandano alla valutazione, ex art. 116 comma 2 cpc, di determinate situazioni. La categoria è quindi estremamente eterogenea, comprendendo sia specifici comportamenti normativamente previsti (quali le risposte all’interrogatorio libero ex art. 117 cpc, il rifiuto senza giustificato motivo ad acconsentire alle ispezioni ex art. 118 comma 2 cpc, l’ingiustificata mancata conoscenza dei fatti della causa da parte del procuratore al tentativo di conciliazione ex art. 185 cpc, le dichiarazioni rese dalle parti al CTU ex art. 200 cpc, la mancata ed ingiustificata risposta all’interpello ritualmente rivolto ex art. 232 cpc, le prove raccolte in un processo estinto ex art. 310 comma 3 cpc, l’ingiustificata mancata comparizione delle parti all’udienza ex art. 420 cpc prevista nel rito del lavoro); sia la clausola generale del contegno delle parti genericamente considerato ex art. 116 comma 2 cpc. Con specifico riferimento alla tematica dell’argomento di prova che discende dall’applicazione dell’articolo 232 cpc, la Cassazione ha chiarito che la norma in questione è applicabile non solo al caso, indicato nella norma, di mancata comparizione o di rifiuto ingiustificato di rispondere; ma anche al caso di dichiarazioni che, per il tenore evasivo o non attendibile, risultino equiparabili alla mancata risposta (Cass. n. 3097/2010). Pur se è opinione diffusa quella per la quale gli argomenti di prova sarebbero collocati al gradino più basso di un’ipotetica scala dei valori probatori, autorevole dottrina ritiene che, a livello di struttura, l’argomento di prova non sia facilmente distinguibile dalle presunzioni. Infatti, per la pacifica giurisprudenza, anche l’argomento di prova, così come visto per le presunzioni, può da solo essere sufficiente a fondare il convincimento del Giudice (tra le tante, cfr. Cass. nn. 20819/2009 e 12145/2002). In particolare ed in coerenza con quanto sopra, anche il comportamento processuale, nel cui ambito rientra il sistema difensivo adottato dal procuratore, o extraprocessuale delle parti, può costituire, ai sensi dell’art. 116 cpc, non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente fonte di prova idonea a sorreggere la decisione del Giudice di merito, che, con riguardo a tale valutazione, è censurabile nel giudizio di Cassazione solo sotto il profilo della logicità della motivazione (da ultimo, cfr. Cass. n. 2071/2013). 5) NON CONTESTAZIONE Vedi vigente art. 115 cpc (ma già Cass. Sez. Un. nn. 761/2002 e 11353/2004). 6) FATTI NOTORI E MASSIME DI ESPERIENZA Ai sensi dell’art. 115 comma 2 cpc ed a temperamento del principio di disponibilità delle prove codificato nel comma precedente, il Giudice, sulla base del principio per il quale notoria non egent probationem, può “senza bisogno di prove… porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”. La nozione di fatto notorio va intesa in senso rigoroso, come fatto acquisito alla conoscenza della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile, perché il ricorso al fatto notorio comporta “una deroga al principio dispositivo ed a quello del contraddittorio” (Cass. n. 11141/2009) al punto che sul fatto che ne forma oggetto non è ammessa alcuna prova contraria. Secondo la Cassazione, sono notorie “le nozioni di fatto che fanno parte del bagaglio di conoscenza di ogni uomo di media cultura in un certo luogo e in un certo momento storico, senza necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici”; ma il Giudice può anche riferirsi alla comune cultura di una specifica e particolarmente qualificata cerchia sociale. In altre parole, il concetto di notorietà può essere ristretto sia sotto il profilo spazio-temporale ad un certo tempo e luogo, sia sotto il profilo sociale ad una limitata cerchia di persone. Non possono invece rientrare nel notorio le acquisizioni tecniche e gli elementi valutativi che richiedono il preventivo accertamento di particolari dati; conseguentemente, l’applicazione delle tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, non rientra nelle nozioni di fatto di comune esperienza, sicché il Giudice che intenda utilizzarle, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, deve dare conto dei criteri utilizzati per il caso concreto (cfr. Cass. n. 8557/2012). Estesa e variegata è la casistica giurisprudenziale del notorio. La fattispecie più ricorrente e rilevante è quella della svalutazione monetaria e del fenomeno inflattivo individuato dall’ISTAT (per Cass. Sez. Un. n. 19499/2008, è notoria l’esistenza di un danno nelle obbligazioni pecuniarie ex art. 1224 comma 2 cc, pari alla differenza tra inflazione e rendimento netto dei titoli di Stato di durata non superiore a 12 mesi). Senza pretesa di completezza, tra gli altri esempi di fatti notori: la natura endemica di determinate malattie tropicali; i canoni locativi correnti in una determinata zona; il livello retributivo di un funzionario statale di una determinata qualifica; la durata della stagione turistica in una determinata zona; i valori di mercati delle auto usate; i tassi di interesse bancario correnti in un determinato periodo; il fatto che l’inattività forzata di un chirurgo sia pregiudizievole per la sua manualità e quindi la professionalità; la circostanza che nei rogiti notarili i valori venali dichiarati sono sensibilmente inferiori a quelli reali; la maggiore proficuità, nella vendita esecutiva, di un immobile liberato; un evento storicamente determinato ed oggettivamente peculiare (quale terremoto, alluvione, sciopero generale). E’ poi pacifico che il Giudice di merito possa fondare la decisione sul notorio senza obbligo di indicare gli elementi su cui la propria determinazione si basa, poiché l’affermazione circa la sussistenza del fatto notorio può essere censurata in sede di legittimità solo se è stata utilizzata una inesatta nozione di notorio, non anche per inesistenza o difetto di motivazione. La nozione di fatto notorio va distinta: dalla scienza privata del Giudice, la quale deve riguardare norme giuridiche e non fatti, così come ribadito anche dall’art. 97 disp. att. cpc; dai cosiddetti ‘luoghi comuni’, nozioni di senso comune che non consistono in regole formatesi tramite un meccanismo di rilevazione induttiva e non sono dotati di sufficiente attendibilità; dal notorio giudiziale, cioè quel complesso di fatti che il Giudice viene a conoscere per motivi d’ufficio, rilevante unicamente nei casi previsti dalla legge, quali gli articoli 273 e 274 cpc in tema di riunione di procedimenti, dovendosi per il resto ricomprendere nella scienza privata del Giudice, per la quale vige il divieto generale di utilizzazione. E’ diffuso convincimento che anche le massime d’esperienza integrino la nozione di fatto notorio. In realtà, è stato in contrario avviso osservato che le massime d’esperienza si differenziano dai fatti notori, atteso che questi ultimi coincidono con accadimenti storicamente precisati, mentre le prime rappresentano regole generali di carattere logico utilizzate per valutare un fatto già accertato, operando con ragionamento presuntivo ex art. 2729 cc. In altre parole, i fatti notori si pongono sul piano delle circostanze, e sono veri e propri accadimenti senza prova; le massime d’esperienza sono invece giudizi ipotetici fondati su leggi scientifiche, naturali-statistiche o d’esperienza, e si pongono sul piano della valutazione, essendo non oggetto del ragionamento probatorio ma strumento del medesimo. Tipici esempi di massime d’esperienza sono le leggi matematico-fisiche ed il calcolo della strada percorsa da una determinata vettura in date circostanze spazio-temporali. 7) LE PROVE ATIPICHE Si possono definire prove atipiche quelle che non si trovano ricomprese nel catalogo dei mezzi di prova specificamente regolati dalla legge. Pur se nell’ordinamento civilistico manca una norma generale, quale quella prevista dall’art. 189 cpp nel processo penale, che legittima espressamente l’ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge, tuttavia è ormai pacifica la legittimità delle prove atipiche (tra le tante, Cass. n. 12577/2014 e Cass. n. 5440/2010): per l’assenza di una norma di chiusura nel senso dell’indicazione del numerus clausus delle prove; per l’oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale; per l’affermazione del diritto alla prova e del correlativo principio del libero convincimento del giudice. Detto che l’ingresso della prova atipica nel processo civile non può che essere effettuato con lo strumento della produzione documentale, e deve quindi soggiacere ai limiti temporali posti a pena di decadenza ed al contraddittorio, la questione realmente rilevante è quella relativa alla loro efficacia probatoria, che è comunemente indicata come relativa a presunzioni semplici ex art. 2729 cc od argomenti di prova (per tutte, cfr. Cass. n. 18131/2004). E’ sostanzialmente impossibile ricondurre concettualmente ad unità le prove atipiche conosciute dall’esperienza giurisprudenziale. Infatti: alcune si caratterizzano per il fatto che l’atipicità dipende dalla circostanza che la prova, pur se astrattamente tipica, è stata raccolta in una sede diversa da quella ove viene adoperata (testimonianza resa in un processo penale ed utilizzata in un processo civile); altre sono connotate dall’utilizzo di mezzi probatori tipici con una finalità diversa da quella che tradizionalmente è loro riservata (chiarimenti resi dalle parti al CTU ed informazioni da lui assunte presso i terzi); in altre ancora, l’atipicità dipende dalla stessa fonte probatoria, e cioè dalla modalità con cui la prova viene acquisita al giudizio (dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero essere assunte come testi, o valutazioni tecniche delle perizie stragiudiziali che potrebbero essere effettuate in sede di CTU). a) Scritti di terzi a contenuto testimoniale A differenza di quanto previsto dall’art. 283 del codice di rito del 1865, l’attuale codice civile non prevede tra le prove la scrittura attribuita a terzi; pertanto la stessa, non essendo assimilabile alla scrittura privata, non è soggetta alla disciplina sostanziale dell’art. 2702 cc, né è soggetta alla disciplina processuale degli artt. 214-215 cpc non dovendo essere disconosciuta e non essendo necessaria impugnarla per falsità, potendosi invece con qualsiasi mezzo di prova contestarne il contenuto. La giurisprudenza è costante nel ritenere che le dichiarazioni a contenuto testimoniale comprese in detti documenti, in difetto di contestazione ad opera della parte contro cui sono prodotte ed in concorso con altri elementi, possono essere liberamente apprezzate nel loro valore indiziario dal Giudice, ben potendo integrare fonte del suo convincimento (Cass. Sez. Un. n. 15169/1010). Laddove il terzo sia chiamato alla conferma testimoniale del contenuto del documento, si avrà una normale prova testimoniale. Non ci sono poi interferenze con la testimonianza scritta ex art. 257 bis cpc, poiché se la testimonianza scritta è resa con le modalità indicate dalla novella codicistica, si è in presenza di una prova tipica e non già di una prova atipica; mentre nel caso di scritto a contenuto testimoniale proveniente da terzi reso in forme diverse da quelle previste dall’articolo 257 bis cpc, si ha prova atipica e non nulla (Briguglio). b) Verbali di prove espletati in altri giudizi Nel rito processualcivilistico manca una norma come quella dell’art. 238 cpp, che nel processo penale disciplina in modo generale l’acquisizione di verbali di prove di altro procedimento, conferendo loro, laddove esse siano state formate in processi in cui l’imputato era parte, dignità di piena prova anche nel processo penale nel quale trovano ingresso. Nel processo civile, invece, l’unica norma di riferimento è quella specificamente posta dall’art. 310 comma 3 c.p.c. relativa al valore indiziario delle prove raccolte in un processo estinto. Tuttavia, sulla base di tale disposizione, è stato enucleato un principio generale per il quale i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, in giudizi penali od amministrativi, compresi gli accertamenti di natura tecnica-peritale, hanno valore di mero indizio, e ciò non solo laddove le prove siano state raccolte in un processo tra le stesse parti (Cass. n. 13619/2007), ma anche tra altre parti (Cass. n. 4652/2011); e dette prove possono essere vagliate dal giudice senza che egli sia vincolato dalla valutazione fatta dal giudice della causa precedente (Cass. nn. 4186/2004 e 6347/2000). c) Atti dell’istruttoria penale o amministrativa Gli atti assunti nel corso del procedimento penale da parte del PM personalmente o tramite la PG (es. informative relative agli incidenti stradali), i verbali di accertamento amministrativo (es. quelli degli ispettori del lavoro o dei funzionari degli enti previdenziali-assistenziali), gli atti e certificati amministrativi (es. quelli anagrafici e catastali), per un verso non sono atti propri di un processo dibattimentale, ma per altro verso sono atti formati da pubblici ufficiali. Pertanto, come tali fanno fede sino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale che li ha firmati e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze, quali le dichiarazioni raccolte, sono soggette al prudente apprezzamento del Giudice e possono essere controbattute con qualsiasi prova (giurisprudenza pacifica a partire da Cass. Sez. Un. n. 12545/1992; tra le tante, Cass. n. 22662/2008). In particolare, il giudice di merito può liberamente avvalersi delle risultanze degli atti di indagini preliminare svolti in sede penale, le quali possono anche essere sufficienti a formare il convincimento del Giudice, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità quando la motivazione stessa è estesa a tutte le successive risultanze probatorie e non si limita ad un apprezzamento della sola fonte di prova penalistica, utilizzata invece come utile e concorrente elemento di giudizio (Cass. nn. 20335/2004 e 15181/2003). Quanto poi all’attestazione amministrativa, pur se non può costituire piena prova a favore dell’Amministrazione da cui essa provenga e che di essa intenda avvalersi in causa, può comunque assumere valore indiziario e formare il convincimento del giudice in associazione ad altri elementi (Cass. n. 1320/2000). d) La CTU come prova atipica o I chiarimenti resi dalle parti al CTU non hanno valore confessorio o negoziale, ma di elementi aventi valore indiziario di argomento di prova (Cass. n. 14652/2012). o Le informazioni assunte da terzi dal CTU non sono vere e proprie prove testimoniali (a meno che i terzi non siano poi sentiti dal giudice), ma nuovamente meri indizi o argomenti di prova. o Parimenti, nel caso di accertamenti e risposte fornite dal consulente oltre l’ambito dei quesiti affidatigli, pur se in materia attinente e comunque non estranea all’oggetto dell’indagine peritale, si parla di argomenti di prova, non dubitandosi della possibilità per il giudice del merito di trarre elementi di convincimento anche dalla parte di consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta (Cass. nn. 5965/2004 e 14272/1999). o Circa infine la CTU espletata in un diverso giudizio fra le stesse od altre parti, deve sempre parlarsi di principio di prova (con riferimento alla perizia disposta dal Giudice penale, cfr. Cass. n. 28855/2008; con riferimento alla consulenza disposta dal PM, cfr. Cass. n. 11013/2004). e) Perizie stragiudiziali Anche in questo caso si deve parlare di valore indiziario discrezionalmente valutato dal Giudice, senza che vi sia piena efficacia probatoria nemmeno per i fatti che il perito asserisce di avere accertato e con la necessità da parte del Giudice stesso, laddove utilizzi la perizia stragiudiziale ai fini della decisione, di indicare le ragioni per le quali ha ritenuto la stessa attendibile e convincente (Cass. n. 9551/2009). La parte che ha prodotto la perizia giurata può peraltro dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le circostanze di fatto accertate dal consulente, le quali, se confermate, diverranno prova testimoniale. f) Sentenze di altri processi civili La sentenza civile, oltre a produrre gli effetti propri del giudicato tra le parti ex art. 2909 cc, può avere, anche rispetto ai terzi che non sono parti del giudizio, la diversa efficacia di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell’accertamento giudiziale. Tale efficacia indiretta di prova documentale rispetto ai terzi, pur se non vincolante per il giudice, può essere invocata da chi vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e sottoporla alla sua libera valutazione, anche in relazione ad altri elementi di giudizio presenti negli atti di causa (Cass. nn. 23446/2009 e 11682/2003). g) Sentenze penali e di patteggiamento Le sentenze penali, ai sensi dell’art. 654 cpp, hanno efficacia di giudicato nel processo civile o amministrativo, “nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale”, quando “si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”. Al di fuori di tale ipotesi, il Giudice civile può comunque trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, dalle sentenze penali non irrevocabili, utilizzando come fonti le risultanze dei mezzi di prova esperiti e gli elementi di fatto acquisiti nel giudizio, pur se occorre dare conto del procedimento di formazione del proprio convincimento attraverso l’indicazione degli elementi sui quali esso si fonda, posto che il generico richiamo alla pronuncia penale si tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma valutazione da parte del giudice civile ed in omessa motivazione (Cass. nn. 10055/2010 e 2200/2001). La sentenza di patteggiamento ex art. 444 cpp, pur se ontologicamente diversa da una vera e propria pronuncia di condanna, non impedisce che possa procedersi, nel corrispondente giudizio in sede civile, all’accertamento autonomo ed incidentale dei fatti illeciti del giudizio penale; e che tale accertamento autonomo ed incidentale del giudice civile possa fondarsi sulla stessa sentenza di patteggiamento, quale “indiscutibile elemento di prova che ben può essere utilizzato, anche in via esclusiva, per la formazione del proprio convincimento, dal giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione” ritenendo di non procedere al proscioglimento ex art. 129 cpp (giurisprudenza pacifica in tutte le sezioni della Suprema Corte: ex pluribus, cfr. Sez. Lav. n. 7676/2013, Sez. V n. 17967/2012, Sez. III 2623/2011, Sez. I n. 23025/2011). LE PROVE ILLEGITTIME Dalla prova atipica va distinta la prova illegittima, perché mentre la prima è quella non prevista dall’ordinamento, la seconda è quella effettivamente prevista dalla legge, ma acquisita nel processo al di fuori delle regole stabilite dal diritto sostanziale (si pensi all’assunzione testimoniale di un teste incapace) o processuale (quale ad esempio un mezzo di prova assunto senza che una delle parti sia stata ritualmente notiziata). Per dette prove vale il criterio di assoluta inutilizzabilità, non avendo cittadinanza nel nostro ordinamento il brocardo latino male captum bene retentum. Pertanto, si è così ad esempio esclusa l’utilizzabilità delle prove acquisite in violazione degli artt. 2-4 L. n. 300/1970 (cfr. Cass. n. 2813/1989). LE PROVE IRRILEVANTI Parimenti, nessuna rilevanza probatoria, nemmeno indiziaria, può avere la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà prevista dall’abrogato art. 4 L. n. 15/1968 e dal vigente art. 47 DPR n. 445/2000, ovvero la dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, le quali hanno attitudine certificatoria, sino a prova contraria, solo nei confronti della PA ed in determinate procedure amministrative. In difetto di diversa, specifica previsione di legge, nessuna rilevanza probatoria può infatti essere attribuita a tale autocertificazione nel giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova (cfr. Cass. n. 10191/2010 in tema di autocertificazione e Cass. n. 12131/2009 in tema di dichiarazione sostitutiva di certificazione reddituale). Ciò si spiega, per un verso, in ragione del fatto che la parte non può lucrare elementi di prova a proprio favore, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 cc, da proprie dichiarazioni; per altro verso, in ragione del fatto che, diversamente opinando, si ammetterebbe, in contrasto con gli artt. 233 ss cpc, un giuramento decisorio non deferito dalla controparte. CASISTICA 1 L’attore chiede il risarcimento dei danni derivanti dalle lesioni subite per essere stato colpito dal convenuto, nell’ambito di un incontro di calcio, con un pugno al volto, così come anche attestato da un sentenza penale di patteggiamento resa dal Tribunale. Resiste il convenuto, eccependo in diritto che la sentenza penale di patteggiamento non comporta, ai fini civilistici, il riconoscimento della responsabilità; ed in fatto che il pugno è stato assestato per reagire ad altro pugno ricevuto e come legittima difesa ex art. 2044 c.c. Chiede così a sua volta i danni in via riconvenzionale. Le risultanze testimoniali non sono univoche, mentre la CTU conferma le lesioni attoree e nega quelle del Trib. Piacenza, sent. 26/5/2009: Pur se la sentenza di patteggiamento è ontologicamente diversa da una vera e propria pronuncia di condanna, la stessa può essere utilizzata dal giudice civile quale elemento di prova per fondare, anche in via esclusiva, il proprio convincimento, posto che il giudice di merito, ove intenda disconoscere efficacia probatoria a detta sentenza, ha il dovere di spiegare le ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione, ritenendo di non procedere al proscioglimento ex art. 129 cpp. Nel caso di specie, il convenuto non ha spiegato perché ha patteggiato; le deposizioni favorevoli al convenuto sono in parte dubitative ed in parte contraddittorie; la CTU conferma le lesioni attoree ed esclude lesioni da parte del convenuto. E’ quindi accolta la domanda attorea. CASISTICA 2 A seguito di un sinistro stradale mortale, gli eredi del conducente defunto domandano il risarcimento del danno sul presupposto della colpa esclusiva o concorrente dell’altro conducente. Resiste l’assicurazione convenuta. La consulenza disposta dal PM in sede penale è nel senso di una responsabilità esclusiva del defunto. Trib. Reggio Emilia, sent. 917/2013: (in Altalex, Il Caso.it, Cassazione.net, Persona e danno): La domanda viene rigettata, ritenendo sussistente l’esclusiva responsabilità del conducente defunto, e ciò valorizzando sia alcune deposizioni testimoniali; sia l’argomento di prova integrato dalla prova atipica della perizia disposta dal PM in sede penale. CASISTICA 3 In un tragico incidente sul lavoro perde la vita un operaio, ed i suoi eredi domandano la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno. Resiste il datore, che peraltro chiama in manleva il venditore produttore del macchinario per essere garantito in denegata ipotesi di condanna; e costituendosi in giudizio, anche il terzo chiamato chiede il rigetto della domanda. Il processo penale di primo grado si conclude con la condanna del datore. Trib. Reggio Emilia, sent. 1000/2014: (in Altalex, Il Caso.it, Cassazione.net): Viene accolta la domanda attorea e rigettata la domanda di manleva del convenuto senza disporre istruttoria, ma valorizzando le risultanze delle prove atipiche integrate dai verbali di accertamento e di prescrizioni dello SPSAL, dai verbali delle prove testimoniali assunte nel processo penale a carico del convenuto, dalla sentenza di primo grado di condanna resa in tale giudizio. “VI SCRIVO UNA LETTERA LUNGA PERCHÈ NON HO TEMPO DI SCRIVERNE UNA BREVE” (Blaise Pascal) “COLUI CHE POTENDO DIRE UNA COSA IN DIECI PAROLE NE IMPIEGA DODICI, IO LO REPUTO CAPACE DELLE PEGGIORI AZIONI” (Giosuè Carducci) “MEGLIO ESSERE OTTIMISTI ED AVERE TORTO, CHE ESSERE PESSIMISTI ED AVERE RAGIONE” (Albert Einstein) “MEGLIO ESSERE OTTIMISTI ED AVERE TORTO, CHE ESSERE PESSIMISTI ED AVERE RAGIONE” (Albert Einstein) “I PESSIMISTI SONO GLI OTTIMISTI MEGLIO INFORMATI” (Mark Twain) “HO PROVATO, HO FALLITO. NON IMPORTA, RIPROVERÒ. FALLIRÒ MEGLIO”. (Samuel Beckett) “DAGLI ERRORI DEL PASSATO SI PUÒ IMPARARE… A FARLI MEGLIO!" (Altan) “HO POCHE IDEE MA CONFUSE” (Ennio Flaiano) “CI SONO PERSONE CHE SANNO TUTTO E PURTROPPO È TUTTO QUELLO CHE SANNO” (Oscar Wilde) GRAZIE DELL’ATTENZIONE!! GIANLUIGI MORLINI Magistrato Componente Comitato Direttivo Scuola Superiore della Magistratura e soprattutto… ex Giudice Tribunale Piacenza!!