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Diapositiva 1 - Ordine degli Avvocati di PIACENZA

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Diapositiva 1 - Ordine degli Avvocati di PIACENZA
LE PROVE ATIPICHE NEL
PROCESSO CIVILE: AMMISSIBILITÀ,
EFFICACIA PROBATORIA E
PRONUNZIE GIURISPRUDENZIALI
di GIANLUIGI
MORLINI
Magistrato
componente Comitato Direttivo
Scuola Superiore Magistratura
… e soprattutto
ex Giudice Tribunale Piacenza!!
NON SOLO
DOCUMENTI E TESTIMONI...
PROVE TIPICHE
 Prove documentali.
 Prove testimoniali e la mai decollata
testimonianza scritta ex art. 257 bis cpc.
 CTU percipiente.
 Ispezione.
 Ordine di esibizione ex art. 210 cpc o richiesta di
informazioni ex art. 213 cpc.
 Confessione e giuramento.
PROVE ‘CAUTELARI’
 “sommarie informazioni”, per provvedere con
decreto inaudita altera parte ex art. 669 sexies
comma 2 cpc;
 “atti di istruzione indispensabili” (come per
ispezione 118 cpc ed esibizione 210 cpc, e come
per appello prima della riforma del 345 cpc), non
meramente rilevanti, per provvedere con
ordinanza in contraddittorio ex art. 669 comma 1
cpc;
 testi informatori sentiti senza capitolato ed
impegno di rito, per alcuni anche con possibilità
di derogare agli artt. 246 cpc e 2721 ss. cc.
In particolare, i testi informatori:
 se sentiti con capitolato e impegno ex art. 202 ss
cpc, sono veri e propri testi e non vanno risentiti nel
giudizio di merito sulle medesime circostanze
capitolate;
 se sentiti senza impegno, la rilevanza è meramente
indiziaria, e vanno risentiti nel giudizio di merito se
si vuole ottenere una piena valenza testimoniale;
 se sentiti con impegno pur senza capitolato, sono
testi con riferimento alle circostanze verbalizzate, e
possono essere risentiti nel giudizio di merito su
ulteriori circostanze
(Cass. nn. 22778/2013, 24705/2006, 21417/2004,
8522/2003, 21407/1991, 10011/1991, 3820/1986).
PROVE ATIPICHE
 scritti provenienti da terzi a contenuto
testimoniale;
 verbali di prove espletati in altri giudizi;
 atti dell’istruttoria penale o amministrativa;
 chiarimenti resi al CTU, informazioni da lui
assunte, risposte eccedenti il mandato, perizia
resa in altro giudizio;
 perizie stragiudiziali;
 sentenze di altri processi civili;
 sentenze penali e di patteggiamento.
LA SCALA DEL
RAGIONAMENTO PROBATORIO
1) Prove legali.
2) Prove libere.
3) Presunzioni.
4) Argomenti di prova.
5) Non contestazione.
6) Fatti notori e massime di
esperienza.
7) Prove atipiche
1) PROVE LEGALI
Esprimono un limite al principio del libero convincimento
del Giudice



Pur se la relazione tra libero convincimento e prova legale
è codificata dall’art. 116 cpc secondo il rapporto tra regola
ed eccezione, permangono rilevanti ipotesi di prova legale
(es: confessione, giuramento, atto pubblico, scrittura
privata, riproduzioni meccaniche, copie di atti).
Le ipotesi sono talmente pregnanti che per alcuni il
rapporto tra regola del libero convincimento ed eccezione
della prova legale, è solo apparente (Taruffo).
Resta però che la struttura dell’art. 116 cpc impone di
ritenere le prove legali come ipotesi eccezionali e non
suscettibili di applicazione analogica (Andrioli).
Le prove legali sono residui di epoca passata,
essendo la loro previsione storicamente fondata
sulla sfiducia nei confronti del Giudice e della
sua capacità di valutare prudentemente le prove.
Ciò posto, offrono:
 vantaggio di una maggior certezza del diritto e di
una semplificazione istruttoria;
 a scapito peraltro di una più approfondita ricerca
della giustizia del caso concreto, ponendo limiti
alla possibilità delle parti di provare fatti magari
oggettivamente veri.
Venendo all’efficacia delle prove legali, si distingue tra:
 Prove legali negative, che limitano la facoltà del Giudice di
ammettere o riconoscere valore probatorio a determinate prove
(cfr. artt. 2721-2726 cc sui limiti alla prova testimoniale).
 Prove legali positive, che impongono al Giudice di attribuire
valore privilegiato a determinate fonti di prova (cfr. artt. 2700 e
2702 cc sul valore probatorio di atto pubblico e scrittura privata,
nonché art. 2733 e 2738 cc sul valore probatorio di confessione
e giuramento).
Ciò comporta l’impossibilità di offrire la prova contraria alle
risultanze della prova legale, a meno di una prova legale
contraria, perché solo dinanzi a due o più prove legali dotate
della medesima valenza probatoria, è possibile un
apprezzamento del Giudice, che deve dare credito a quella
ritenuta più convincente (cfr. Cass. Lav. n. 12401/1997,
relativamente all’ipotesi di documenti facenti fede fino a querela
di falso e di tenore contrastante).
In particolare e con riferimento alla confessione:
 alle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal
procuratore ad litem può essere attribuito valore confessorio
riferibile alla parte, solo quando quegli scritti rechino anche la
sottoscrizione della parte stessa; mentre le ammissioni
contenute negli atti difensivi sottoscritti unicamente dal
procuratore, costituiscono solo elementi liberamente
valutabili ed apprezzabili dal Giudice per la formazione del
proprio convincimento (per tutte, Cass. n. 20701/2007), od
integranti il principio di non contestazione;
 la dichiarazione confessoria contenuta nel cid, resa dal
proprietario del veicolo assicurato e litisconsorte necessario,
non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del
confitente, poiché, ex art. 2733 comma 3 cc, in caso di
litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni
soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal
Giudice (da ultimo, Cass. nn. 3567/2013 e 20352/2010).
Quanto alle prove documentali:
il giudice ha il potere-dovere di esaminare i
documenti versati in atti, solo nel caso in cui la
parte che li ha prodotti o comunque la parte che
intenda trarne vantaggio, ne faccia specifica
istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli
scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue
domande od eccezioni, derivandone altrimenti per
la controparte l'impossibilità di controdedurre e per
lo stesso giudice l’impossibilità di valutazione delle
risultanze probatorie e dei documenti ai fini della
decisione (giurisprudenza pacifica: per tutte, Cass.
Sez. Un. n. 2435/2008 e Cass. n. 22342/2007).
2) PROVE LIBERE
Sono espressione del principio del libero convincimento
del Giudice
Efficacia probatoria non sottoposta dal legislatore ad
un’aprioristica valutazione, ma rimessa alla valutazione
del Giudice secondo il suo prudente apprezzamento.
Nel procedimento di valutazione della prova libera (che
non è libera ricerca della prova: Satta), il prudente
apprezzamento del Giudice consiste nel “corretto uso di
massime logiche ed esperienza” (Andrioli), e, pur se non
è possibile fissare regole formali per l’attività di
valutazione (Patti), è comunque possibile elencare
alcuni criteri che devono guidare tale apprezzamento.
a) Innanzitutto, in base al principio di acquisizione, tutte le
risultanze istruttorie, qualunque sia la parte ad iniziativa
della quale sono state assunte, concorrono
indistintamente alla formazione del libero convincimento
del Giudice (ex pluribus e tra le ultime, cfr. Cass. n.
21909/2013), senza che la loro provenienza possa
condizionare tale decisione in un senso o nell’altro, e
senza che possa escludersi l’utilizzabilità di una prova
fornita da una parte per trarne argomenti favorevoli alla
controparte.
Ciò spiega perché, una volta ammessa una prova, per la
rinuncia al suo espletamento, ex art. 245 cpc, occorre
l’adesione di controparte, oltre che il consenso del
Giudice; e perché è facoltà della parte chiedere al
Giudice, ex art. 208 comma 1 cpc, l’assunzione della
prova dedotta dall’avversario non comparso.
b) Relativamente alla modalità di formazione del
libero convincimento, al di fuori della prova legale
non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia
delle prove, per la quale i risultati di alcune
debbano prevalere nei confronti di altre, essendo il
Giudice libero di scegliere gli elementi di prova dai
quali trarre il proprio convincimento (ex pluribus,
Cass. n. 18644/2011).
c) Ulteriore aspetto del libero convincimento si
rinviene nel potere del Giudice di arrestare
l’istruzione quando gli elementi raccolti sono
ritenuti sufficienti (per tutte, Cass. n. 18719/2003).
d) Una volta formatosi, il convincimento del Giudice va
esplicitato in motivazione, dando conto del perché sono
stati ritenuti più attendibili o comunque preferibili alcuni
elementi probatori rispetto ad altri.
Tuttavia, non è necessaria una comparazione analitica di
tutte le prove raccolte, essendo sufficiente il riferimento
alle prove poste alla base della decisione, senza necessità
di specifica confutazione espressa di ogni argomentazione
e rilievo contrari (fra le tante, Cass. n. 17097/2010),
poiché “non si richiede al Giudice del merito dar conto
dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o
comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di
fornire un’adeguata motivazione logica dell’adottata
decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e
sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse” (Cass.
Sez. Un. n. 7930/2008).
e) Il principio generale sull’onere della prova codificato dall’art.
2697 cc e che deve guidare il Giudice nella valutazione delle
risultanze istruttorie e nella decisione, soffre di alcune eccezioni.
Si ha infatti inversione dell’onere della prova sia nelle ipotesi
specificamente disciplinate dal legislatore agli artt. 2047 ss. cc; sia
nelle ipotesi pattiziamente concordate, con il limite peraltro
dell’art. 2698 cc, che sancisce la nullità nel caso di diritti
indisponibili e nel caso si renda ad una parte eccessivamente
difficile l’esercizio del diritto.
Peraltro, la pattizia inversione dell’onere della prova non
scaturisce dal mero comportamento processuale della parte la
quale offra spontaneamente di provare fatti che non ha l’onere di
provare; ma richiede invece un’inequivocabile manifestazione
volta ad assumere un onere probatorio a sé non spettante,
rinunciando ai benefici ed ai vantaggi che derivano dal principio
che regola la distribuzione dell’onere probatorio ed accettando di
subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova
dedotta od offerta (Cass. n. 8901/2013).
TESTIMONIANZA DE RELATO
E’ pacifico che la testimonianza de relato ha
un’efficacia probatoria ben minore di quella diretta,
pur se è necessario distinguere tre differenti
tipologie: la testimonianza relativa a dichiarazioni
fornite al teste da un terzo estraneo alla lite, la
testimonianza relativa a dichiarazioni a sé
favorevoli rese al teste da una parte, la
testimonianza relativa a dichiarazioni a sé
sfavorevoli rese al teste da una parte.
1. Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni
rese al teste da un terzo estraneo alla lite, si
parla genericamente di deposizione de relato.
Tale testimonianza, integrando una prova
meramente indiziaria, può acquisire rilevanza
attraverso il riscontro di altre circostanze
oggettive e concordanti che ne suffraghino la
credibilità, ed in tal modo influenzare il
convincimento del Giudice (Cass. n. 7926/2004).
All’evidenza, ben è possibile, rispetto alla
deposizione de relato, indurre come teste di
riferimento ex art. 257, comma 1, c.p.c. il terzo
dal quale l’informazione è stata resa, onde
ottenere sul punto una testimonianza piena.
2. Nel caso di testimonianza relativa a dichiarazioni a
sé favorevoli rese al teste da una parte, si parla di
deposizione de relato ex parte.
Tale testimonianza, se considerata di per sé sola e
senza il conforto di altri elementi, non ha valore
probatorio, nemmeno indiziario, e la sua rilevanza
processuale, in tal caso, “è sostanzialmente nulla”
(Cass. n. 313/2011), potendo peraltro spiegare una
qualche efficacia probatoria alla sola rigorosa
condizione che circostanze oggettive o soggettive ad
essa estrinseche ne confortino la credibilità o altre
risultanze probatorie ne suffraghino il contenuto,
specie quando la testimonianza attenga a
comportamenti intimi e riservati delle parti,
insuscettibili di percezione diretta dai testimoni o di
3. Nel caso infine di testimonianza relativa a
dichiarazioni a sé sfavorevoli rese al teste da una
parte, si parla di deposizione de relato ex parte
contra se, la quale può integrare una confessione
stragiudiziale liberamente apprezzabile dal
Giudice con valutazione ex art. 2735 c.c.
3) PRESUNZIONI
In sede di valutazione delle prove, quando il Giudice
si trova nelle condizioni di dovere apprezzare non i
fatti direttamente rilevanti per la decisione della
causa, bensì altri fatti, dai quali si possa risalire ai
primi sulla base di tipici ragionamenti logici, si
parla di presunzioni.
Esse sono definite unitariamente dal codice come “le
conseguenze che la legge o il Giudice trae da un
fatto noto per risalire ad un fatto ignoto”, regolate
agli artt. 2727-2729 cc.
Si suole distinguere tra presunzioni legali assolute,
legali relative e semplici.
Presunzioni legali assolute, o iure et de iure
Sono prefissate dalla legge in schemi rigidi che non
prevedono la prova contraria (artt. 596-599 cc in
tema di successioni, 232 cc in tema di filiazione,
238 cc in tema di atto di nascita conforme al
possesso di stato, 880-881 cc in tema di
comunione del muro divisorio, 897-899 cc in tema
di comunioni di fossi, siepi e alberi).
E’ stato osservato che più che sul piano probatorio,
operano sul piano sostanziale, nel senso di fissare
un’equipollenza tra fatto produttivo di un dato
effetto ed altro fatto dalla legge equiparato.
Presunzioni legali relative, o iuris tantum
Sono prefissate dalla legge in schemi parzialmente rigidi, in quanto:
 da un lato dispensano la parte dall’onere della prova;
 dall’altro ammettono la prova contraria (artt. 1141 cc in tema di
mutamento della detenzione in possesso, 1147 cc in tema di
possesso di buona fede, 1335 cc in tema di propostaaccettazione-revoca del contratto, 1588 cc in tema di perdita e
deterioramento della cosa locata, 1611 cc in tema di incendio di
cosa locata, 1709 cc in tema di onerosità del mandato, 1767 cc in
tema di gratuità del deposito, 2600 cc in tema colpa nella di
concorrenza sleale, 2706 cc in tema di assenza di colpa del
mittente nella riproduzione del telegramma)
 pur se talvolta solo con limitazioni (cfr. la presunzione di paternità
di cui all’art. 231 cc, che ammette la prova contraria solo nelle
ipotesi di cui all’art. 235 cc).
Si risolvono quindi in un diverso modo di operare dell’onere
probatorio, tramite l’inversione della tradizionale regola di riparto.
Presunzioni semplici o praesumptiones homins
Sono ragionamenti logici che consentono di
desumere l’esistenza di un fatto ignoto muovendo
da un fatto noto, ragionamenti lasciati al libero
apprezzamento del Giudice, ma che ai sensi
dell’art. 2729 cc devono essere corredati dai
caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Diversi sono i punti che la giurisprudenza di
legittimità ha ormai chiarito.
a) La presunzione non richiede che il fatto ignorato
sia l’unica conseguenza possibile del fatto noto,
essendo invece sufficiente un rapporto di
probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio
di normalità alla stregua dell’id quod plerumque
accidit (principio pacifico: ex pluribus e da ultimo,
cfr. Cass. n. 2632/2014).
b) Non è invece possibile risalire al fatto ignorato
sulla scorta di una serie consecutiva di
presunzioni, cioè ponendo il fatto accertato per
effetto di presunzione a fondamento di un nuovo
ragionamento presuntivo, ostando a ciò il divieto
di praesumptio de praesumpto, che peraltro vieta
la correlazione di una presunzione semplice con
altra presunzione semplice, pur se non con altra
presunzione legale (fra le tante, cfr. Cass. n.
27032/2007: attraverso presunzioni semplici i
conti correnti intestati a terzi sono ricondotti al
contribuente, e con presunzione legale relativa i
movimenti del conto sono attribuiti a operazioni
economiche del contribuente).
c) Nonostante le critiche della dottrina, si è invece ritenuto
possibile fondare la decisione su di un unico elemento
presuntivo, purché non contrastato da altro ragionamento
presuntivo di segno contrario (per tutte, Cass. n. 10847/2007).
Consegue che il requisito della concordanza, che postula una
pluralità di presunzioni, perde il carattere di necessarietà,
finendo per essere elemento eventuale della valutazione
presuntiva, destinato ad operare unicamente in presenza di più
presunzioni (tra le ultime, Cass. nn. 17574/2009).
Consegue altresì che la presunzione semplice e la presunzione
legale iuris tantum, si distinguono unicamente in ordine al modo
di insorgenza, perché mentre il fatto sul quale si fonda la prima
deve essere provato in giudizio da chi intende trarne vantaggio,
la seconda è stabilita dalla legge; una volta però che la
presunzione semplice si sia formata, essa ha la medesima
efficacia della presunzione legale iuris tantum, in quanto l’una e
l’altra trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono,
l’onere della prova contraria (Cass. n. 13291/1999).
d) Alla luce di quanto disposto dall’art. 2729 comma
2 cc, il potere del Giudice di ricorrere alle
presunzioni semplici, trova gli stessi limiti legali
posti all’ammissibilità delle prove testimoniali.
e) In ragione del criterio di gerarchia delle prove, la
prova presuntiva ha un’efficacia non minore delle
altre prove, con la consueta eccezione della
prova legale, e pertanto il convincimento del
Giudice può fondarsi anche solo su una
presunzione, e su una presunzione che sia in
contrasto con le altre prove acquisite, se ritenuta
tale da far ritenere inattendibili gli altri elementi di
giudizio (ex aliis, cfr. Cass. nn. 16993/2007).
f) Infine, in applicazione dei princìpi generali sul
libero convincimento del Giudice in materia di
prove libere, è riservata al Giudice di merito la
valutazione discrezionale della sussistenza sia
dei presupposti per il ricorso alla presunzione, sia
dei requisiti di precisione, gravità e concordanza.
Unico sindacato riservato in proposito al Giudice
di legittimità è allora quello sulla congruenza della
relativa motivazione (Cass. n. 7471/2013).
4) ARGOMENTI DI PROVA
Di argomenti di prova il legislatore parla:
 in chiave generale nell’art. 116 comma 2 cpc,
chiarendo che essi possono essere tratti dalle
risposte rese dalle parti in sede di interrogatorio
libero ex art. 117 cpc, dal rifiuto a consentire le
ispezioni ordinate ex art. 118 comma 2 cpc,
comunque dal contegno processuale delle parti;
 in chiave particolare in alcune norme processuali
(cfr. artt. 185, 200, 232, 310, 420 cpc), che
rimandano alla valutazione, ex art. 116 comma 2
cpc, di determinate situazioni.
La categoria è quindi estremamente eterogenea,
comprendendo
 sia specifici comportamenti normativamente previsti
(quali le risposte all’interrogatorio libero ex art. 117 cpc,
il rifiuto senza giustificato motivo ad acconsentire alle
ispezioni ex art. 118 comma 2 cpc, l’ingiustificata
mancata conoscenza dei fatti della causa da parte del
procuratore al tentativo di conciliazione ex art. 185 cpc,
le dichiarazioni rese dalle parti al CTU ex art. 200 cpc,
la mancata ed ingiustificata risposta all’interpello
ritualmente rivolto ex art. 232 cpc, le prove raccolte in
un processo estinto ex art. 310 comma 3 cpc,
l’ingiustificata mancata comparizione delle parti
all’udienza ex art. 420 cpc prevista nel rito del lavoro);
 sia la clausola generale del contegno delle parti
genericamente considerato ex art. 116 comma 2 cpc.
Con specifico riferimento alla tematica
dell’argomento di prova che discende
dall’applicazione dell’articolo 232 cpc, la
Cassazione ha chiarito che la norma in
questione è applicabile non solo al caso, indicato
nella norma, di mancata comparizione o di rifiuto
ingiustificato di rispondere; ma anche al caso di
dichiarazioni che, per il tenore evasivo o non
attendibile, risultino equiparabili alla mancata
risposta (Cass. n. 3097/2010).
Pur se è opinione diffusa quella per la quale gli
argomenti di prova sarebbero collocati al gradino
più basso di un’ipotetica scala dei valori probatori,
autorevole dottrina ritiene che, a livello di struttura,
l’argomento di prova non sia facilmente
distinguibile dalle presunzioni.
Infatti, per la pacifica giurisprudenza, anche
l’argomento di prova, così come visto per le
presunzioni, può da solo essere sufficiente a
fondare il convincimento del Giudice (tra le tante,
cfr. Cass. nn. 20819/2009 e 12145/2002).
In particolare ed in coerenza con quanto sopra,
anche il comportamento processuale, nel cui
ambito rientra il sistema difensivo adottato dal
procuratore, o extraprocessuale delle parti, può
costituire, ai sensi dell’art. 116 cpc, non solo
elemento di valutazione delle risultanze acquisite,
ma anche unica e sufficiente fonte di prova idonea
a sorreggere la decisione del Giudice di merito,
che, con riguardo a tale valutazione, è censurabile
nel giudizio di Cassazione solo sotto il profilo della
logicità della motivazione (da ultimo, cfr. Cass. n.
2071/2013).
5) NON CONTESTAZIONE
Vedi vigente art. 115 cpc (ma già Cass. Sez.
Un. nn. 761/2002 e 11353/2004).
6) FATTI NOTORI E MASSIME DI
ESPERIENZA
 Ai sensi dell’art. 115 comma 2 cpc ed a temperamento del
principio di disponibilità delle prove codificato nel comma
precedente, il Giudice, sulla base del principio per il quale
notoria non egent probationem, può “senza bisogno di
prove… porre a fondamento della decisione le nozioni di
fatto che rientrano nella comune esperienza”.
 La nozione di fatto notorio va intesa in senso rigoroso,
come fatto acquisito alla conoscenza della collettività con
tale grado di certezza da apparire incontestabile, perché il
ricorso al fatto notorio comporta “una deroga al principio
dispositivo ed a quello del contraddittorio” (Cass. n.
11141/2009) al punto che sul fatto che ne forma oggetto
non è ammessa alcuna prova contraria.
Secondo la Cassazione, sono notorie “le nozioni di fatto che
fanno parte del bagaglio di conoscenza di ogni uomo di media
cultura in un certo luogo e in un certo momento storico, senza
necessità di ricorso a particolari informazioni o giudizi tecnici”;
ma il Giudice può anche riferirsi alla comune cultura di una
specifica e particolarmente qualificata cerchia sociale.
In altre parole, il concetto di notorietà può essere ristretto sia
sotto il profilo spazio-temporale ad un certo tempo e luogo, sia
sotto il profilo sociale ad una limitata cerchia di persone.
Non possono invece rientrare nel notorio le acquisizioni tecniche
e gli elementi valutativi che richiedono il preventivo
accertamento di particolari dati; conseguentemente,
l’applicazione delle tabelle utilizzate per la liquidazione del
danno biologico, non rientra nelle nozioni di fatto di comune
esperienza, sicché il Giudice che intenda utilizzarle, per non
incorrere nell’errore di omessa motivazione, deve dare conto
dei criteri utilizzati per il caso concreto (cfr. Cass. n.
8557/2012).
Estesa e variegata è la casistica giurisprudenziale del notorio.
 La fattispecie più ricorrente e rilevante è quella della svalutazione
monetaria e del fenomeno inflattivo individuato dall’ISTAT (per Cass.
Sez. Un. n. 19499/2008, è notoria l’esistenza di un danno nelle
obbligazioni pecuniarie ex art. 1224 comma 2 cc, pari alla differenza
tra inflazione e rendimento netto dei titoli di Stato di durata non
superiore a 12 mesi).
 Senza pretesa di completezza, tra gli altri esempi di fatti notori: la
natura endemica di determinate malattie tropicali; i canoni locativi
correnti in una determinata zona; il livello retributivo di un funzionario
statale di una determinata qualifica; la durata della stagione turistica
in una determinata zona; i valori di mercati delle auto usate; i tassi di
interesse bancario correnti in un determinato periodo; il fatto che
l’inattività forzata di un chirurgo sia pregiudizievole per la sua
manualità e quindi la professionalità; la circostanza che nei rogiti
notarili i valori venali dichiarati sono sensibilmente inferiori a quelli
reali; la maggiore proficuità, nella vendita esecutiva, di un immobile
liberato; un evento storicamente determinato ed oggettivamente
peculiare (quale terremoto, alluvione, sciopero generale).
E’ poi pacifico che il Giudice di merito possa
fondare la decisione sul notorio senza obbligo di
indicare gli elementi su cui la propria
determinazione si basa, poiché l’affermazione
circa la sussistenza del fatto notorio può essere
censurata in sede di legittimità solo se è stata
utilizzata una inesatta nozione di notorio, non
anche per inesistenza o difetto di motivazione.
La nozione di fatto notorio va distinta:
 dalla scienza privata del Giudice, la quale deve
riguardare norme giuridiche e non fatti, così come
ribadito anche dall’art. 97 disp. att. cpc;
 dai cosiddetti ‘luoghi comuni’, nozioni di senso
comune che non consistono in regole formatesi
tramite un meccanismo di rilevazione induttiva e non
sono dotati di sufficiente attendibilità;
 dal notorio giudiziale, cioè quel complesso di fatti che
il Giudice viene a conoscere per motivi d’ufficio,
rilevante unicamente nei casi previsti dalla legge, quali
gli articoli 273 e 274 cpc in tema di riunione di
procedimenti, dovendosi per il resto ricomprendere
nella scienza privata del Giudice, per la quale vige il
divieto generale di utilizzazione.
E’ diffuso convincimento che anche le massime d’esperienza
integrino la nozione di fatto notorio.
 In realtà, è stato in contrario avviso osservato che le
massime d’esperienza si differenziano dai fatti notori, atteso
che questi ultimi coincidono con accadimenti storicamente
precisati, mentre le prime rappresentano regole generali di
carattere logico utilizzate per valutare un fatto già accertato,
operando con ragionamento presuntivo ex art. 2729 cc.
 In altre parole, i fatti notori si pongono sul piano delle
circostanze, e sono veri e propri accadimenti senza prova; le
massime d’esperienza sono invece giudizi ipotetici fondati su
leggi scientifiche, naturali-statistiche o d’esperienza, e si
pongono sul piano della valutazione, essendo non oggetto
del ragionamento probatorio ma strumento del medesimo.
 Tipici esempi di massime d’esperienza sono le leggi
matematico-fisiche ed il calcolo della strada percorsa da una
determinata vettura in date circostanze spazio-temporali.
7) LE PROVE ATIPICHE
Si possono definire prove atipiche quelle che non si trovano
ricomprese nel catalogo dei mezzi di prova specificamente
regolati dalla legge.
Pur se nell’ordinamento civilistico manca una norma generale,
quale quella prevista dall’art. 189 cpp nel processo penale,
che legittima espressamente l’ammissibilità delle prove non
disciplinate dalla legge, tuttavia è ormai pacifica la legittimità
delle prove atipiche (tra le tante, Cass. n. 12577/2014 e
Cass. n. 5440/2010):
 per l’assenza di una norma di chiusura nel senso
dell’indicazione del numerus clausus delle prove;
 per l’oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di
produzione documentale;
 per l’affermazione del diritto alla prova e del correlativo
principio del libero convincimento del giudice.
Detto che l’ingresso della prova atipica nel
processo civile non può che essere effettuato con
lo strumento della produzione documentale, e
deve quindi soggiacere ai limiti temporali posti a
pena di decadenza ed al contraddittorio, la
questione realmente rilevante è quella relativa alla
loro efficacia probatoria, che è comunemente
indicata come relativa a presunzioni semplici ex
art. 2729 cc od argomenti di prova (per tutte, cfr.
Cass. n. 18131/2004).
E’ sostanzialmente impossibile ricondurre concettualmente ad
unità le prove atipiche conosciute dall’esperienza
giurisprudenziale. Infatti:
 alcune si caratterizzano per il fatto che l’atipicità dipende dalla
circostanza che la prova, pur se astrattamente tipica, è stata
raccolta in una sede diversa da quella ove viene adoperata
(testimonianza resa in un processo penale ed utilizzata in un
processo civile);
 altre sono connotate dall’utilizzo di mezzi probatori tipici con
una finalità diversa da quella che tradizionalmente è loro
riservata (chiarimenti resi dalle parti al CTU ed informazioni da
lui assunte presso i terzi);
 in altre ancora, l’atipicità dipende dalla stessa fonte probatoria,
e cioè dalla modalità con cui la prova viene acquisita al giudizio
(dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero
essere assunte come testi, o valutazioni tecniche delle perizie
stragiudiziali che potrebbero essere effettuate in sede di CTU).
a) Scritti di terzi a contenuto testimoniale
A differenza di quanto previsto dall’art. 283 del codice di rito del
1865, l’attuale codice civile non prevede tra le prove la scrittura
attribuita a terzi; pertanto la stessa, non essendo assimilabile
alla scrittura privata, non è soggetta alla disciplina sostanziale
dell’art. 2702 cc, né è soggetta alla disciplina processuale degli
artt. 214-215 cpc non dovendo essere disconosciuta e non
essendo necessaria impugnarla per falsità, potendosi invece
con qualsiasi mezzo di prova contestarne il contenuto.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che le dichiarazioni a
contenuto testimoniale comprese in detti documenti, in difetto di
contestazione ad opera della parte contro cui sono prodotte ed
in concorso con altri elementi, possono essere liberamente
apprezzate nel loro valore indiziario dal Giudice, ben potendo
integrare fonte del suo convincimento (Cass. Sez. Un. n.
15169/1010).
Laddove il terzo sia chiamato alla conferma
testimoniale del contenuto del documento, si avrà
una normale prova testimoniale.
Non ci sono poi interferenze con la testimonianza
scritta ex art. 257 bis cpc, poiché se la
testimonianza scritta è resa con le modalità
indicate dalla novella codicistica, si è in presenza
di una prova tipica e non già di una prova atipica;
mentre nel caso di scritto a contenuto testimoniale
proveniente da terzi reso in forme diverse da
quelle previste dall’articolo 257 bis cpc, si ha prova
atipica e non nulla (Briguglio).
b) Verbali di prove espletati in altri giudizi
Nel rito processualcivilistico manca una norma come quella dell’art. 238
cpp, che nel processo penale disciplina in modo generale
l’acquisizione di verbali di prove di altro procedimento, conferendo
loro, laddove esse siano state formate in processi in cui l’imputato
era parte, dignità di piena prova anche nel processo penale nel quale
trovano ingresso.
Nel processo civile, invece, l’unica norma di riferimento è quella
specificamente posta dall’art. 310 comma 3 c.p.c. relativa al valore
indiziario delle prove raccolte in un processo estinto.
Tuttavia, sulla base di tale disposizione, è stato enucleato un principio
generale per il quale i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, in
giudizi penali od amministrativi, compresi gli accertamenti di natura
tecnica-peritale, hanno valore di mero indizio, e ciò non solo laddove
le prove siano state raccolte in un processo tra le stesse parti (Cass.
n. 13619/2007), ma anche tra altre parti (Cass. n. 4652/2011); e
dette prove possono essere vagliate dal giudice senza che egli sia
vincolato dalla valutazione fatta dal giudice della causa precedente
(Cass. nn. 4186/2004 e 6347/2000).
c) Atti dell’istruttoria penale o amministrativa
Gli atti assunti nel corso del procedimento penale da parte del PM
personalmente o tramite la PG (es. informative relative agli
incidenti stradali), i verbali di accertamento amministrativo (es.
quelli degli ispettori del lavoro o dei funzionari degli enti
previdenziali-assistenziali), gli atti e certificati amministrativi (es.
quelli anagrafici e catastali), per un verso non sono atti propri di
un processo dibattimentale, ma per altro verso sono atti formati
da pubblici ufficiali.
Pertanto, come tali fanno fede sino a querela di falso della
provenienza dal pubblico ufficiale che li ha firmati e dei fatti che
il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o
essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze, quali le
dichiarazioni raccolte, sono soggette al prudente
apprezzamento del Giudice e possono essere controbattute
con qualsiasi prova (giurisprudenza pacifica a partire da Cass.
Sez. Un. n. 12545/1992; tra le tante, Cass. n. 22662/2008).
In particolare, il giudice di merito può liberamente avvalersi
delle risultanze degli atti di indagini preliminare svolti in
sede penale, le quali possono anche essere sufficienti a
formare il convincimento del Giudice, la cui motivazione
non è sindacabile in sede di legittimità quando la
motivazione stessa è estesa a tutte le successive
risultanze probatorie e non si limita ad un
apprezzamento della sola fonte di prova penalistica,
utilizzata invece come utile e concorrente elemento di
giudizio (Cass. nn. 20335/2004 e 15181/2003).
Quanto poi all’attestazione amministrativa, pur se non può
costituire piena prova a favore dell’Amministrazione da
cui essa provenga e che di essa intenda avvalersi in
causa, può comunque assumere valore indiziario e
formare il convincimento del giudice in associazione ad
altri elementi (Cass. n. 1320/2000).
d) La CTU come prova atipica
o I chiarimenti resi dalle parti al CTU non hanno valore confessorio o
negoziale, ma di elementi aventi valore indiziario di argomento di prova
(Cass. n. 14652/2012).
o Le informazioni assunte da terzi dal CTU non sono vere e proprie prove
testimoniali (a meno che i terzi non siano poi sentiti dal giudice), ma
nuovamente meri indizi o argomenti di prova.
o Parimenti, nel caso di accertamenti e risposte fornite dal consulente oltre
l’ambito dei quesiti affidatigli, pur se in materia attinente e comunque non
estranea all’oggetto dell’indagine peritale, si parla di argomenti di prova,
non dubitandosi della possibilità per il giudice del merito di trarre
elementi di convincimento anche dalla parte di consulenza d’ufficio
eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea
all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta (Cass.
nn. 5965/2004 e 14272/1999).
o Circa infine la CTU espletata in un diverso giudizio fra le stesse od altre
parti, deve sempre parlarsi di principio di prova (con riferimento alla
perizia disposta dal Giudice penale, cfr. Cass. n. 28855/2008; con
riferimento alla consulenza disposta dal PM, cfr. Cass. n. 11013/2004).
e) Perizie stragiudiziali
Anche in questo caso si deve parlare di valore
indiziario discrezionalmente valutato dal Giudice,
senza che vi sia piena efficacia probatoria nemmeno
per i fatti che il perito asserisce di avere accertato e
con la necessità da parte del Giudice stesso,
laddove utilizzi la perizia stragiudiziale ai fini della
decisione, di indicare le ragioni per le quali ha
ritenuto la stessa attendibile e convincente (Cass. n.
9551/2009).
La parte che ha prodotto la perizia giurata può peraltro
dedurre prova testimoniale avente ad oggetto le
circostanze di fatto accertate dal consulente, le
quali, se confermate, diverranno prova testimoniale.
f) Sentenze di altri processi civili
La sentenza civile, oltre a produrre gli effetti propri del
giudicato tra le parti ex art. 2909 cc, può avere,
anche rispetto ai terzi che non sono parti del
giudizio, la diversa efficacia di prova documentale in
ordine alla situazione giuridica che abbia formato
oggetto dell’accertamento giudiziale.
Tale efficacia indiretta di prova documentale rispetto ai
terzi, pur se non vincolante per il giudice, può essere
invocata da chi vi abbia interesse, spettando al
giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a
tale scopo e sottoporla alla sua libera valutazione,
anche in relazione ad altri elementi di giudizio
presenti negli atti di causa (Cass. nn. 23446/2009 e
11682/2003).
g) Sentenze penali e di patteggiamento
Le sentenze penali, ai sensi dell’art. 654 cpp, hanno
efficacia di giudicato nel processo civile o
amministrativo, “nei confronti dell’imputato, della
parte civile e del responsabile civile che si sia
costituito o che sia intervenuto nel processo
penale”, quando “si controverte intorno a un diritto
o a un interesse legittimo il cui riconoscimento
dipende dall’accertamento degli stessi fatti
materiali che furono oggetto del giudizio penale,
purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai
fini della decisione penale e purché la legge civile
non ponga limitazioni alla prova della posizione
soggettiva controversa”.
Al di fuori di tale ipotesi, il Giudice civile può
comunque trarre elementi di giudizio, sia pure non
vincolanti, dalle sentenze penali non irrevocabili,
utilizzando come fonti le risultanze dei mezzi di
prova esperiti e gli elementi di fatto acquisiti nel
giudizio, pur se occorre dare conto del
procedimento di formazione del proprio
convincimento attraverso l’indicazione degli
elementi sui quali esso si fonda, posto che il
generico richiamo alla pronuncia penale si
tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma
valutazione da parte del giudice civile ed in
omessa motivazione (Cass. nn. 10055/2010 e
2200/2001).
La sentenza di patteggiamento ex art. 444 cpp, pur se
ontologicamente diversa da una vera e propria pronuncia di
condanna, non impedisce che possa procedersi, nel
corrispondente giudizio in sede civile, all’accertamento
autonomo ed incidentale dei fatti illeciti del giudizio penale; e
che tale accertamento autonomo ed incidentale del giudice
civile possa fondarsi sulla stessa sentenza di patteggiamento,
quale “indiscutibile elemento di prova che ben può essere
utilizzato, anche in via esclusiva, per la formazione del proprio
convincimento, dal giudice di merito, il quale, ove intenda
disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare
le ragioni per le quali l’imputato abbia ammesso una sua
insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato
fede a tale ammissione” ritenendo di non procedere al
proscioglimento ex art. 129 cpp (giurisprudenza pacifica in tutte
le sezioni della Suprema Corte: ex pluribus, cfr. Sez. Lav. n.
7676/2013, Sez. V n. 17967/2012, Sez. III 2623/2011, Sez. I n.
23025/2011).
LE PROVE ILLEGITTIME
Dalla prova atipica va distinta la prova illegittima, perché
mentre la prima è quella non prevista dall’ordinamento,
la seconda è quella effettivamente prevista dalla legge,
ma acquisita nel processo al di fuori delle regole stabilite
dal diritto sostanziale (si pensi all’assunzione
testimoniale di un teste incapace) o processuale (quale
ad esempio un mezzo di prova assunto senza che una
delle parti sia stata ritualmente notiziata).
Per dette prove vale il criterio di assoluta inutilizzabilità,
non avendo cittadinanza nel nostro ordinamento il
brocardo latino male captum bene retentum.
Pertanto, si è così ad esempio esclusa l’utilizzabilità delle
prove acquisite in violazione degli artt. 2-4 L. n.
300/1970 (cfr. Cass. n. 2813/1989).
LE PROVE IRRILEVANTI
Parimenti, nessuna rilevanza probatoria, nemmeno indiziaria, può avere
la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà prevista dall’abrogato
art. 4 L. n. 15/1968 e dal vigente art. 47 DPR n. 445/2000, ovvero la
dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale,
le quali hanno attitudine certificatoria, sino a prova contraria, solo nei
confronti della PA ed in determinate procedure amministrative.
In difetto di diversa, specifica previsione di legge, nessuna rilevanza
probatoria può infatti essere attribuita a tale autocertificazione nel
giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova (cfr.
Cass. n. 10191/2010 in tema di autocertificazione e Cass. n.
12131/2009 in tema di dichiarazione sostitutiva di certificazione
reddituale).
Ciò si spiega, per un verso, in ragione del fatto che la parte non può
lucrare elementi di prova a proprio favore, ai fini del soddisfacimento
dell’onere di cui all’art. 2697 cc, da proprie dichiarazioni; per altro
verso, in ragione del fatto che, diversamente opinando, si
ammetterebbe, in contrasto con gli artt. 233 ss cpc, un giuramento
decisorio non deferito dalla controparte.
CASISTICA 1
L’attore chiede il risarcimento dei danni derivanti dalle
lesioni subite per essere stato colpito dal convenuto,
nell’ambito di un incontro di calcio, con un pugno al
volto, così come anche attestato da un sentenza penale
di patteggiamento resa dal Tribunale.
Resiste il convenuto, eccependo in diritto che la sentenza
penale di patteggiamento non comporta, ai fini civilistici,
il riconoscimento della responsabilità; ed in fatto che il
pugno è stato assestato per reagire ad altro pugno
ricevuto e come legittima difesa ex art. 2044 c.c. Chiede
così a sua volta i danni in via riconvenzionale.
Le risultanze testimoniali non sono univoche, mentre la
CTU conferma le lesioni attoree e nega quelle del
Trib. Piacenza, sent. 26/5/2009:
Pur se la sentenza di patteggiamento è ontologicamente
diversa da una vera e propria pronuncia di condanna, la
stessa può essere utilizzata dal giudice civile quale elemento
di prova per fondare, anche in via esclusiva, il proprio
convincimento, posto che il giudice di merito, ove intenda
disconoscere efficacia probatoria a detta sentenza, ha il
dovere di spiegare le ragioni per le quali l’imputato abbia
ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice
penale abbia prestato fede a tale ammissione, ritenendo di
non procedere al proscioglimento ex art. 129 cpp.
Nel caso di specie, il convenuto non ha spiegato perché ha
patteggiato; le deposizioni favorevoli al convenuto sono in
parte dubitative ed in parte contraddittorie; la CTU conferma
le lesioni attoree ed esclude lesioni da parte del convenuto.
E’ quindi accolta la domanda attorea.
CASISTICA 2
A seguito di un sinistro stradale mortale, gli eredi del
conducente defunto domandano il risarcimento del
danno sul presupposto della colpa esclusiva o
concorrente dell’altro conducente.
Resiste l’assicurazione convenuta.
La consulenza disposta dal PM in sede penale è nel
senso di una responsabilità esclusiva del defunto.
Trib. Reggio Emilia, sent. 917/2013:
(in Altalex, Il Caso.it, Cassazione.net, Persona e
danno):
La domanda viene rigettata, ritenendo sussistente
l’esclusiva responsabilità del conducente defunto,
e ciò valorizzando sia alcune deposizioni
testimoniali; sia l’argomento di prova integrato
dalla prova atipica della perizia disposta dal PM in
sede penale.
CASISTICA 3
In un tragico incidente sul lavoro perde la vita un
operaio, ed i suoi eredi domandano la condanna
del datore di lavoro al risarcimento del danno.
Resiste il datore, che peraltro chiama in manleva il
venditore produttore del macchinario per essere
garantito in denegata ipotesi di condanna; e
costituendosi in giudizio, anche il terzo chiamato
chiede il rigetto della domanda.
Il processo penale di primo grado si conclude con la
condanna del datore.
Trib. Reggio Emilia, sent. 1000/2014:
(in Altalex, Il Caso.it, Cassazione.net):
Viene accolta la domanda attorea e rigettata la
domanda di manleva del convenuto senza disporre
istruttoria, ma valorizzando le risultanze delle
prove atipiche integrate dai verbali di accertamento
e di prescrizioni dello SPSAL, dai verbali delle
prove testimoniali assunte nel processo penale a
carico del convenuto, dalla sentenza di primo
grado di condanna resa in tale giudizio.
“VI SCRIVO UNA LETTERA LUNGA
PERCHÈ NON HO TEMPO
DI SCRIVERNE UNA BREVE”
(Blaise Pascal)
“COLUI CHE POTENDO DIRE UNA
COSA IN DIECI PAROLE
NE IMPIEGA DODICI,
IO LO REPUTO CAPACE
DELLE PEGGIORI AZIONI”
(Giosuè Carducci)
“MEGLIO ESSERE OTTIMISTI
ED AVERE TORTO,
CHE ESSERE PESSIMISTI
ED AVERE RAGIONE”
(Albert Einstein)
“MEGLIO ESSERE OTTIMISTI
ED AVERE TORTO,
CHE ESSERE PESSIMISTI
ED AVERE RAGIONE”
(Albert Einstein)
“I PESSIMISTI
SONO GLI OTTIMISTI
MEGLIO INFORMATI”
(Mark Twain)
“HO PROVATO, HO FALLITO.
NON IMPORTA, RIPROVERÒ.
FALLIRÒ MEGLIO”.
(Samuel Beckett)
“DAGLI ERRORI DEL PASSATO
SI PUÒ IMPARARE…
A FARLI MEGLIO!"
(Altan)
“HO POCHE IDEE
MA CONFUSE”
(Ennio Flaiano)
“CI SONO PERSONE
CHE SANNO TUTTO
E PURTROPPO
È TUTTO QUELLO CHE SANNO”
(Oscar Wilde)
GRAZIE
DELL’ATTENZIONE!!
GIANLUIGI MORLINI
Magistrato
Componente Comitato Direttivo
Scuola Superiore della Magistratura
e soprattutto…
ex Giudice Tribunale Piacenza!!
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