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Pratica n.(omissis) – Avv.(omissis)
Pratica n.(omissis) – Avv.(omissis) - L’Avv. (omissis) ha avanzato, in data (omissis), richiesta di parere circa la correttezza deontologica, con riferimento agli artt. 38 comma III (“L’avvocato non deve riportare in atti processuali o riferire in giudizio il contenuto di colloqui riservati intercorsi tra i colleghi” ) e 48 comma I (“L’avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e relative risposte”), delle seguenti condotte in ambito di procedimenti in materia di diritto di famiglia: − riportare in atti difensivi il contenuto della proposta di accordo di separazione/divorzio che parte avversa ha formulato in corrispondenza qualificata come riservata; − riportare in atti difensivi considerazioni ed analisi fatte da controparte nell’ambito di colloqui finalizzati al raggiungimento di un accordo di separazione/divorzio; − nel caso in cui il Tribunale non abbia stabilito un calendario puntuale di frequentazione tra l’altro genitore non collocatario e figli, esibire in giudizio la corrispondenza relativa ai tentativi per concordare di volta in volta i giorni degli incontri, al fine di dimostrare la mancanza di collaborazione di uno dei genitori. Il Consiglio - Udita la relazione del Consigliere Avv. Aldo Minghelli, coordinatore del Settore Deontologia, estensore Avv. Sandra Aromolo Osserva - la ratio delle disposizioni contenute negli articoli 38 “Rapporto di colleganza”, comma 3 e 48 “Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega”, comma 1, del nuovo Codice Deontologico Forense, come in quello previgente (art. 28 di analoga rubricazione), “mira a salvaguardare il corretto svolgimento dell'attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi, possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni, ovvero le missive, contengano ammissioni o consapevolezze di torti o proposte transattive. Il precetto non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell'interesse del proprio cliente.” (C.N.F. sentenza 2 marzo 2012 n. 33); - “Il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive e/o riservate, assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario nel senso che il primo, quando scrive ad un collega un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di una indispensabile credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato.” (C.N.F. sentenza 20 luglio 2012, n. 100); va ricordato che un tale divieto attiene anche alla corrispondenza propria, in quanto la disposizione non pone distinzione tra mittente e destinatario e, inoltre, la ratio sarebbe radicalmente “vanificata, qualora il mittente della lettera “riservata” potesse fare cadere motu proprio e unilateralmente tale caratteristica e disporne a piacimento, anche producendola o riferendola in giudizio, costringendo il destinatario a temere che tale evento possa sempre verificarsi: il rischio che tale ipotesi si possa concretizzare, infatti, indurrebbe il destinatario ad introdurre riserve e cautele nella risposta (evitando sempre, ad esempio, ammissioni o consapevolezze di torti), così limitando comunque la sua sfera di libertà e snaturando, quindi, la finalità del divieto.”(C.N.F. sentenza 2 marzo 2012, n. 38); - Il divieto deve ragionevolmente estendersi ad ogni forma di corrispondenza tra colleghi (anche orale, telefonica e telematica) e non solo alla corrispondenza scritta e deve ritenersi del tutto inderogabile quando il dialogo fra i colleghi sia stato espressamente o implicitamente qualificato come riservato. A tal proposito, si rammenta che “Vien meno al dovere di lealtà e probità il professionista che registra le conversazioni telefoniche avute con il collega all’insaputa di quest’ultimo, consegnando successivamente le bobine delle registrazioni stesse al proprio cliente, perché se ne serva come prova contro il collega in questione; qualunque registrazione magnetica, effettuata all’insaputa dell’interlocutore, rappresenta una condotta deontologicamente scorretta e riprovevole, soprattutto se riguarda un collega, tenuto conto che il dovere di segretezza e di riservatezza tutela sia la corrispondenza scambiata con il collega, che il contenuto dei colloqui verbali, anche telefonici.” (C.N.F. sentenza 28 febbraio 1992, n.39), ritiene che l'Avv. (omissis) debba uniformarsi alla normativa sopra rappresentata.