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provare a capirsi
PROVARE A CAPIRSI documento di studio Scuole dell’infanzia Comunali e FISM Casalgrande_Correggio Reggio Emilia_Rubiera_Scandiano Regione Emilia-Romagna Provare a capirsi 1 documento di studio a cura di Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia Daniela Lanzi, pedagogista Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia Nadia Agazzi, Progetti di formazione professionale, Rapporti e scambi nazionali Reggio Children impaginazione Annamaria Mucchi, Reggio Children grafiche realizzate da bambine e bambini delle scuole dell’infanzia “Balducci” e “Neruda” (Reggio Emilia) “ponte” a pag. 8, tratto dal Catalogo della Mostra “I cento linguaggi dei bambini”, Reggio Children editore, 1996 grafica di copertina realizzata da bambine e bambini della scuola dell’infanzia “Diana” (Reggio Emilia), tratta da “Sipario. Anello delle trasformazioni”, Reggio Children editore, 2002 questioni aperte parole tratte da conversazioni di bambine e bambini delle scuole dell’infanzia “Balducci” (Reggio Emilia) e “Corradi” (Arceto, RE) pagg. 2-3 questioni aperte parole tratte dagli interventi di insegnanti e pedagogisti protagonisti degli scambi pagg. 60-61 Reggio Emilia, giugno 2006 È vietata ogni riproduzione, anche parziale, senza preventiva autorizzazione. PROVARE A CAPIRSI questioni aperte dalle bambine e dai bambini conversare vuol dire tipo mettersi tutti in e poi fare una riunione... cerchio vuol dire unirsi e andare a mangiare quando ci sono due idee diverse, di gioco, alla fine ne fanno uno solo, che hanno deciso insieme, scambiandosi le idee... puoi anche stare con un’idea degli è un modo un po’ e un po’ altri accordo coraggio per mettersi d’ ci vuole tanto tempo, ma anche tanta pazienza e anche molto, molto per dire le cose, anche se non è sicuro che andranno bene agli altri... però, se ascolti il tuo cuore, che ti dice di avere molto coraggio, non c’è niente da temere, perchè anche se gli altri ti dicono no, tu puoi sempre pensare a un’altra idea, cambiarla è uno scambio di pensare! puoi unirti all’idea degli altri le idee si attaccano con la colla del cuore della passione e del cervello bisogna dirsi le idee e poi attaccarle, le idee protagonisti scambi pedagogici tra le scuole “ALBERO AZZURRO” scuola dell’infanzia comunale via Prampolini, 22 – 42048 Rubiera (RE) – tel. 0522 620957 “ERNESTO BALDUCCI” scuola dell’infanzia comunale via della Canalina, 36 – 42100 Reggio Emilia tel. 0522 294952 – fax 0522 289510 – e-mail: [email protected] “CAMPI SONCINI” scuola dell’infanzia FISM via Veneri, 94 – 42100 Reggio Emilia – tel. 0522 511519 “CHOREIA” scuola dell’infanzia cooperativa via Gramsci, 5/D – 42100 Reggio Emilia – tel/fax 0522 232097 e-mail: [email protected] “SEBASTIANO CORRADI” scuola dell’infanzia FISM via Pagliani G., 19/a – 42010 Arceto (RE) – tel/fax 0522 989856 e-mail: [email protected] “U. FARRI” scuola dell’infanzia comunale via Gramsci, 12 – 42013 Casalgrande (RE) – tel. 0522 849421 “FIGLIE DEL GESU’” scuola dell’infanzia FISM via Emilia Est, 18 – 42048 Rubiera (RE) – tel. 0522 626252 “GHIDONI MANDRIOLO” scuola dell’infanzia comunale via Mandriolo, 8 – 42015 Correggio (RE) – tel. 0522 693442 “GIOVANNI RECORDATI” scuola dell’infanzia FISM via Gambara, 35 – 42015 Correggio (RE) – tel. 0522 693257 “M. VALENTINI” scuola dell’infanzia FISM via 1°Maggio, 53 – 42010 Salvaterra (RE) – tel. 0522 846955 con Nadia Agazzi, Tiziana Bartoli, Francesca Bianchi, Franco Bolondi, Margherita Bonacini, Marilena Campioli, Maurizio Casini, Ileana Cavaletti, Paola Cavazzoni, Daniela Chioffi, Ilenia Colli, Laura Germini, Bruna Elena Giacopini, Sabrina Ghizzoni, Rita Gozzi, Katia Iotti, Daniela Lanzi, Daniela Martini, Maria Mengalli Suor Celeste, Manuela Munari, Suor Maddalena Perini, Ermanno Rinaldini, Mariannina Sciotti, Glenda Toni coordinamento Nadia Agazzi, Progetti di formazione professionale, Rapporti e scambi nazionali Reggio Children Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia indice 7 protagonisti 11 introduzione Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico Comune di Reggio Emilia 15 premessa Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM 19 metodologia di lavoro e snodi teorici Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande 27 la scuola è luogo di esperienza e progettazione? Ileana Cavaletti, pedagogista Comune di Correggio Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM 35 cosa significa educare? Margherita Bonacini, pedagogista FISM Daniela Martini, dirigente Comune di Rubiera 43 la documentazione è comunicazione e formazione? Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande Katia Iotti, pedagogista scuola FISM di Arceto (Scandiano) 53 riflessioni intorno alla dimensione religiosa e spirituale Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico Comune di Reggio Emilia Daniela Lanzi, pedagogista Comune di Reggio Emilia Suor Maddalena Perini, coordinatrice scuola FISM di Reggio Emilia ponte 10 Provare a capirsi introduzione Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico Comune di Reggio Emilia La bellezza e la tensione di una discussione serrata, tanto da non accorgerci che era scaduto il tempo che ci eravamo dati, ci ha convinto che non potevamo tenere solo per noi1 lo sforzo generativo che ci aveva appassionato nel confronto di due anni di Progetto Scambi Pedagogici2 a Reggio Emilia. Un viaggio fatto di visite dialogate, di domande a volte un po’ sospettose, di confronti diretti a volte impegnativi e difficili, di posizionamenti culturali e sociali intorno all’idea di scuola, di bambino/uomo/donna, di apprendimento, di educazione. Un viaggio all’inizio privo di un itinerario prefissato e di immaginari condivisi, che nel cammino si è rivelato solidale ad un percorso di crescita per le scuole coinvolte, per gli attori dello scambio, ma che soprattutto ha smosso vecchie concezioni, andando oltre la storica separatezza in nome di una ideologica idea di autonomia tra diverse gestioni di servizi educativi, e che ha dato vita ad una reale situazione sperimentale di sistema pubblico integrato. Sono state diverse occasioni per “provare a capirsi”. Questo è diventato il titolo del documento di lavoro e di studio che qui presentiamo. Il titolo non è mai scontato: il nostro si propone come un’assunzione di responsabilità, una dichiarazione di intenti che segna una sintesi e insieme sollecita a rimettersi in discussione. “Provare” - dal latino probus, buono, di buona qualità - richiama la scelta di mettersi in gioco, di conoscere mediante esperienza, di sperimentare l’incertezza propositiva dell’incontro e di provare un senso di gratitudine perché ognuno si è sentito accolto e legittimato ad esporsi. “Capirsi” va inteso nel senso etimologico di intendere, afferrare, Provare a capirsi 11 trovarsi d’accordo, accogliere e rivolgersi anche a sé stessi. È capire l’altro, comprendersi reciprocamente, ma è anche conoscere di più se stessi. Il gruppo si è assunto l’impegno di redigere un “Documento di lavoro e di studio”, (a integrazione del Quaderno Regionale realizzato a cura di Reggio Children e dei Comuni di Reggio Emilia, Modena e Bologna nel 2004) con l’intento di testimoniare e annotare parti della discussione - registrata e successivamente trascritta in tempi regalati al gruppo da parte di diversi partecipanti - traendo conforto da citazioni dirette delle conversazioni realizzate. Sfogliando il testo saltano all’occhio citazioni in corsivo, che riportano la voce di tante e differenti persone (tra pedagogisti, insegnanti della FISM, dei Comuni, dei servizi convenzionati) con l’intento di dare maggiore concretezza alla riflessione proposta, fare intravedere i climi che ci hanno accompagnato e coinvolgere direttamente chi legge. Sono contributi che abbiamo scelto di non denominare individualmente, perché hanno preso vita e significato nella discussione del gruppo. Impegnativo è stato definire come organizzare le par ti del documento, pensato in sezioni. Ogni sezione è introdotta dalle “questioni aperte”, che ci piace proporre perchè le pensiamo provocatorie per nuove discussioni. In realtà alcuni aspetti sono trasversali e ritornano con diversa incisività in tutte le sezioni; altri sono presentati specificatamente. Sono sezioni scritte a più mani, ciascuna curata da pedagogisti dell’esperienza FISM e Comunale con stili necessariamente personali, mentre la scelta dei contenuti è stata ampiamente condivisa. La rilettura insieme ad alta voce di tutte le par ti scritte ha immediatamente aperto a nuove riflessioni e chiarimenti e si è rivelata un vero e proprio percorso formativo. Si sono ripresentati e ridefiniti, magari provvisoriamente, quelli che avevamo chiamato gli “aloni e i brusii semantici”, le zone intorno a cui scambiare opinioni e idee diverse, qualche volta anche divergenti. Sono nati nuovi confronti intorno alle singole parole intese come 12 Provare a capirsi concetti e significati: un’operazione di negoziazione e ibridazione delle idee e delle esperienze, un processo di metalettura. Il costruire un sapere con l’altro si è tradotto in un luogo/fatto concreto. Non è stato solo una dichiarazione e un auspicio teorico; ha assunto il sapore del voler esserci, del voler capire e stare nella discussione. Le domande dirette, i racconti di esperienze quotidiane riportate da insegnanti e pedagogiste/i hanno contribuito a prefigurare scenari comuni e accessibili generando in ciascuna persona del gruppo un sentimento di pari adeguatezza e titolarità ad intervenire. Sappiamo che questa par te del percorso è dif ficilmente rintracciabile nelle pagine che seguono, che hanno prioritariamente tenuto il filo rosso delle conversazioni pomeridiane del gruppo, ma credo che volentieri auguriamo ad altri di sentire apprezzato il proprio contributo e la propria esperienza così come ciascuno di noi lo ha percepito nei due anni di lavoro insieme. Per tutto questo si deve un generoso ringraziamento anche alle colleghe insegnanti, al personale educativo che rimanendo a scuola con i bambini ci ha accolto o ha consentito alle colleghe di partecipare al Progetto Scambi Pedagogici. Così come è impossibile omettere l’apprezzamento per le accoglienze davvero straordinarie che i genitori e le cuoche ci hanno riservato. Vorrei lasciare un pensiero come accompagnamento verso le pagine successive, tratto da Jerome Bruner: “…creiamo e ricreiamo l’identità mediante la narrativa... il sé è un prodotto del nostro raccontare…”3 1 “Noi” sta per 18 persone tra insegnanti, pedagogisti, dirigenti dei Comuni, della FISM e del privato convenzionato, referenti di Reggio Children, tutti insieme coinvolti nel Progetto Scambi Pedagogici. 2 “Identità in dialogo. Scambi pedagogici regionali” Quaderno n°8 Servizio politiche familiari, infanzia e adolescenza. 2004 Delibera di G.R. n. 2253/2000 Progetto biennale della Regione Emilia Romagna per promuovere relazioni e scambi pedagogici tra diversi soggetti gestori di Servizi educativi per creare una cultura condivisa del Servizio Educativo. Il Quaderno racconta l’attuazione del progetto a livello regionale. 3 Jerome Bruner “La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita”, Editori Laterza, 2002 Roma-Bari. Provare a capirsi 13 questioni aperte provare a capirsi pluralità e diversità delle istituzioni e dei servizi essere disposti a farsi conoscere e a mettersi in discussione incontrare le diversità per recepire il nuovo meritevole, rivedendo eventualmente le proprie posizioni, e consolidare la propria identità con un radicamento più consapevole filo conduttore: diritti, formazione, conoscenza, domande esistenziali, il mistero... autenticità educativa e utopia per alimentare una comune speranza 14 Provare a capirsi premessa Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM Da tutti è condivisa e auspicata, oggi più che mai, l’importanza dell’educazione e dell’istruzione di ogni persona, di ogni bambino che viene al mondo. Non possiamo non constatare come nei nostri contesti sociali tutte le formazioni educative occupino attenzione e suscitino interesse, oltre ad innumerevoli iniziative: da parte di enti o di soggetti pubblici e privati, sia al loro interno sia rivolto alle istituzioni educative più specifiche, in particolare alle scuole, quindi direttamente ai bambini stessi. Osservando poi la realtà territoriale che ci circonda, a livello di nidi e di scuole dell’infanzia, constatiamo una specie di valore aggiunto, costituito dalla grande pluralità e diversità delle istituzioni e dei ser vizi. Per assumere però a cer tezza positiva questa situazione molto diffusa, ci pare importante e necessaria una condizione: che le diverse realtà istituzionali del territorio e le figure professionali che le incarnano siano veramente attive, aperte, capaci di riflettere, di ascoltare e di ascoltarsi, disposte a farsi conoscere ed a mettersi in discussione. Solo così il teorema della “diversità uguale a ricchezza” può avverarsi e diventare premessa per realizzazioni proficue e ottimali, superando quindi la cultura per la quale la dif ferenza è contrapposizione. Incontrare la diversità significa avere la possibilità, oltre che di recepire il “nuovo” meritevole, rivedendo eventualmente le proprie posizioni, anche di consolidare la propria identità con un radicamento ancora più forte poichè consapevole. Il Progetto Scambi Pedagogici, che dà vita a questo documento, ha voluto e vuole andare in questa direzione, dissodare questo terreno, nello sforzo di un percorso voluto coerente e concreto, Provare a capirsi 15 imparziale e rispettoso. Ha assunto dunque a filo conduttore i diritti che spettano al bambino, a tutte le bambine ed i bambini: quello della formazione e della conoscenza ispirate alle diverse culture, alle diverse storie, fino alle domande esistenziali e anche al mistero; quello della coerenza, perseguita da educatori protesi nell’impegno a sapere e a dover essere, ma anche a dichiararsi per superare una velleitaria neutralità. Se l’insegnante, l’educatore, com’è stato ripetutamente affermato nei nostri incontri, “fa quello che è”, come tale ha il dovere di essere, anche nel dubbio, nella semplicità, nella quotidiana ricerca assieme al bambino. Quasi sempre durante i lavori non solo è stato ricercato il vero dialogo, in ascolto e confronto, ma “una autenticità” educativa e perfino l’utopia hanno continuato ad alimentare ed a far convergere una comune speranza. In relazione alla delibera della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, (attuativa delle leggi regionali 10/1999 e 1/2000) è stato attivato un progetto formativo volto a “… sollecitare uno scambio di culture e di esperienze tra le diverse realtà locali e i diversi interlocutori…(con)… l’attivazione di scambi pedagogici…(per)… la costruzione di una cultura del confronto che, valorizzando le specificità di ognuno, contribuisca a far diventare ricchezza le differenze…” Si è così costituito un gruppo intraregionale di coordinatori pedagogici e di docenti, si è scelto un campo d’azione individuando alcune scuole dell’infanzia di diversa natura gestionale e si è provveduto ad impostare un compito conoscitivo e di approfondimento che ha visto attuare visite dialogate, conoscenza diretta di strutture e di attività, di spazi e di materiali, incontri di discussione e di approfondimento nelle singole scuole. Il gruppo ha operato per tre anni, ora con riunioni più ristrette ora più allargate, inizialmente ha visto comparire alcune prevedibili 16 Provare a capirsi difficoltà, qualche timore e qualche reticenza; ma nel prosieguo degli incontri sono subentrate via via grande fiducia, disponibilità, apertura e serenità, che hanno qualificato e consolidato sempre più il confronto e la conoscenza vicendevole tra realtà diverse e idee diverse. Si sono percepite e vissute fasi di ascolto molto interessato, così come parecchi momenti di sincera ricezione e di profonda riflessione, che hanno potuto adire non solo ai livelli professionali, ma anche a quelli personali. Pur sottintendendo un proposito iniziale comune, il gruppo ha visto prevalere quasi naturalmente, cammin facendo, in particolare alcuni temi di fondo della problematica educativa e scolastica, la cui traccia di discussione costituisce appunto l’oggetto del presente documento: - metodologia di lavoro e snodi teorici - la scuola è luogo di esperienza e progettazione? - cosa significa educare? - la documentazione è comunicazione e formazione? - riflessioni intorno alla dimensione religiosa e spirituale. Provare a capirsi 17 questioni aperte far parlare i servizi tra loro non neutralità in educazione visite dialogate come momenti di ospitalità, incontro, viaggio, scoperta tra pedagogisti ed insegnanti tensione verso... cercare di capire le ragioni dell’altro progetto aperto, verificabile in itinere 18 Provare a capirsi metodologia di lavoro e snodi teorici come si è definito il progetto Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande Nella dimensione geografica e politica della Provincia di Reggio Emilia, in cui il nostro gruppo di progetto Scambi Pedagogici è nato e si è mosso, esistono diversi gestori dei servizi di scuola dell’infanzia: lo Stato, i Comuni, le scuole appar tenenti al coordinamento FISM e ad altre gestioni. Confrontandosi su alcuni dati, il Gruppo Scambi si è posto fin da subito l’obiettivo di raccogliere informazioni ed elementi di conoscenza sui rapporti, le relazioni, gli incontri e gli scambi informali e formali esistenti a livello di ogni distretto, nel quadro suggerito dalle politiche regionali “di sostenere il raccordo tra le istituzioni pubbliche e i soggetti privati in una logica di sistema educativo territoriale”. Il gruppo ha cosi riferito dell’esistenza di un insieme di relazioni tra le scuole, connotato, in prevalenza, da momenti formali, di livello istituzionale, politico, “genericamente” culturale. In altre parole, il gruppo ha riscontrato l’esistenza sì di un “dialogo”, tra scuole comunali e autonome, ma collocato su piani organizzativi generali, sul confronto tra scelte di sfondo, o su motivi pratici di gestione scolastica (le rette, le ammissioni dei bambini, etc.) che, pur importantissimi, in quanto tali si definiscono su un piano di analisi diverso da quello delle esperienze educative quotidiane con i bambini e le famiglie. In altri casi, il gruppo ha rilevato come il dibattito tra le tipologie di scuola si sia andato, nel tempo, caratterizzando come confronto di modelli pedagogici, con riferimenti storici di grande rilievo e peso teorico (Agazzi, Montessori, Piaget, etc.). Provare a capirsi 19 Senza negare il valore della teoria in quanto tale, partire da un confronto astratto sui modelli teorici è sembrato al Gruppo Scambi come un esercizio “non utile” alla realizzazione del progetto di messa in dialogo e in comunicazione di realtà ed esperienze educative concrete. Nel complesso si è avuta l’impressione che negli anni, in molte occasioni di incontro e di confronto delle scuole comunali e FISM, si sia parlato di servizi educativi, sui servizi educativi, attraverso figure qualificate, ma esterne ad essi, più che far parlare i servizi tra loro, nell’ambito della concretezza e di una quotidianità fatta di bambini, famiglie, educatori, tempi e spazi organizzati di vita, di attese, progetti, emozioni. Dopo questa prima fase “esplorativa”, il Gruppo Scambi si è proposto di spostare la riflessione non semplicemente dall’astratto al concreto, dalla teoria alla prassi, ma da riflessioni fatte “sui servizi” a riflessioni “che nascano da un incontro effettivo, emotivo, personale e intellettuale tra servizi; intesi come contesti educativi fatti di relazioni tra persone, di memorie individuali e collettive, di documentazioni, di mentalità, progetti, sensibilità”. Questa riformulazione del piano e dell’obiettivo, riassumibile nel concetto di “individuare una strategia atta a far incontrare e parlare tra di loro le esperienze educative delle singole scuole”, ha richiesto al gruppo un passaggio ulteriore: quello di posizionarsi rispetto al proprio mandato. Il gruppo ha concluso di sentirsi incaricato non della esecuzione di un compito ma della costruzione, incer ta e rischiosa, ma contemporaneamente allettante ed entusiasmante, di un progetto aper to, verificabile in itinere e capace di consolidare alcune acquisizioni di saperi: in questo senso il gruppo ha cominciato a percepirsi come un gruppo di progetto. “Penso… che lo scambio sia incontrare le esperienze e il meno possibile lavoro di ufficio. Incontrarsi per visitare, per discutere, 20 Provare a capirsi per stare dentro ai vissuti ed affrontare anche conoscenze istituzionali… decideremo insieme argomenti e tempi”. A questo punto del percorso si sono prefigurati per il gruppo due ulteriori passaggi: - il primo è stato quello di evitare un confronto su un binomio contrappositivo e conflittuale, quello di pubblico-privato, che se è parso caratterizzare il dibattito storico sulla scuola è apparso tuttavia, in questa sede progettuale, piuttosto sterile e fuorviante; - il secondo passaggio è stato quello relativo alla considerazione che strategie come confrontarsi, scambiarsi, incontrarsi, sicuramente propongono ad ognuno percorsi di cambiamento di sé e del proprio modo di percepirsi. A parere del gruppo, tali strategie, certamente stimolanti, non presuppongono l’abbandono dei propri stili originali nell’accostare i problemi dell’educazione dentro i servizi e nelle concrete esperienze di ogni giorno. Il gruppo ha condiviso il rifiuto di quello che può essere definito come “agnosticismo pedagogico” per riaffermare la forza, il valore e il senso della non-neutralità in educazione, della necessità di avere ragionate e motivate convinzioni, che tanto si approfondiscono e si rafforzano quanto più sono in grado di mettersi in dialogo con chi ha convinzioni diverse dalle nostre. Questo lavoro di riflessione e contemporaneamente di conoscenza reciproca tra i protagonisti ha impegnato la parte iniziale del progetto. Nel suo significato più profondo si è configurata come una fase nella quale si è cercato di costruire un senso di appartenenza al gruppo e al progetto: una fase in cui, con grande tensione ed energia si è cercato di capire e conoscere le ragioni dell’altro, una tensione verso che ha connotato il tempo e il divenire di tutto il percorso. Successivamente il gruppo si è proposto di ar ticolare un Provare a capirsi 21 ragionamento condiviso attorno ad alcune scelte metodologiche di fondo in grado di orientare le attese e le valutazioni di ognuno in riferimento ai primi progettati incontri con i servizi. La prima decisione è stata quella di attivare delle visite veramente dialogate all’interno dei servizi comunali e FISM. Tali visite sono state pensate come momenti di ospitalità, di incontro, di viaggio, di scoperta, accompagnate dalla grande scelta di valore di avere sempre la presenza insieme di pedagogisti e insegnanti appartenenti ad ogni servizio partecipante al progetto. Alle visite è stato affiancato al pomeriggio uno spazio di confronto tra gli attori: tali momenti (tutti documentati con verbali, registrazioni e sintesi scritte da parte dei diversi soggetti) si sono costruiti come occasione di dialogo e di confronto in grado di mettere a punto focus specifici di discussione e di documentazione degli approfondimenti. “Penso che questo tavolo possa essere la sede dove si individuano i focus che andremo a discutere e a riflettere”. “Anche i documenti e le documentazioni dovrebbero diventare materiale di riflessione per fissare focus di osservazione durante le visite ed elementi di lavoro nei gruppi pomeridiani: documenti scritti importanti poi per consentire dentro alle singole scuole dibattiti e approfondimenti a partire da materiali confrontabili”. Come entrare in un contesto educativo Si può dire che le conversazioni realizzate al mattino dopo la visita e al pomeriggio siano state un primo momento di un percorso di meta-lettura dei significati dei contesti educativi visitati, scoperti e conosciuti. Un primo momento di un percorso più lungo e più articolato che ha condotto alla formulazione di alcune domande guida sulla esplorazione dei contesti educativi. Il gruppo ha dato a quelle domande una forma riassuntiva che può essere esposta in questo modo: 22 Provare a capirsi - Come entrare in un contesto educativo? - Come vedere, rivedere, conoscere e rendere comunicabili i processi di relazione e di conoscenza che in quel contesto educativo avvengono? - Come confrontare, approfondire e connettere i livelli delle dichiarazioni e delle intenzioni educative alle concrete prassi e relazioni tra persone, ambienti e oggetti? In conclusione Ci piace sottolineare (anche per dare valore al lavoro vissuto dal gruppo) una prima traccia di riflessioni, che può essere così riproposta: l’obiettivo di questo percorso for mativo è, principalmente, quello di generare pensieri e riflessioni con i soggetti coinvolti, mettendo in dialogo esperienze educative diverse. Cosa significa avere un atteggiamento esperienziale, di ascolto attivo, cioè capace di rispettare la complessità dei contesti, la loro evoluzione, la loro memoria? Se è vero che nel processo della conoscenza sono impliciti i concetti di previsione e di attesa, da parte di ogni soggetto coinvolto, quale lavoro su se stessi, nel dialogo con gli altri, è in grado di modificare stereotipi, pregiudizi, generalizzazioni e riduzionismi? Nello specifico delle visite pedagogiche, come valutare e ridiscutere quello che si è visto e percepito in una full immersion di poche ore? Come interrogare e re-interrogare queste percezioni, immagini, idee? Ciò che struttura i contesti educativi sono i significati, i valori, che vengono agiti, pensati e interpretati dalle persone che li abitano. Tali significati sono processi aperti, non cose date una volta per tutte. Come chiarire/esplicitare tali significati delle azioni quotidiane? Come confrontarsi in gruppo su di essi? Come renderli visibili/condivisibili? Entrare in un luogo abitato per capirlo, per coglierne i processi, è Provare a capirsi 23 quindi una operazione di scambio e di comunicazione con quel luogo che immediatamente cambia il soggetto che lo attua e gli propone di costruirsi una mappa conoscitiva/orientativa: Quali i punti chiave di questa mappa? (dagli aspetti organizzativi e culturali, dalle relazioni interne al servizio alle modalità di rapporto con i genitori e con le altre istituzioni). Queste riflessioni, seppur nella loro frammentarietà, possono aprire la strada ad un ulteriore approfondimento del senso stesso del progetto scambi pedagogici. Una progettualità che si è andata configurando sempre più come un progetto di costruzione di una relazione tra soggetti, vicini e diversi. Un progetto teso a sondare i significati e le conseguenze di questa relazione in costruzione; capace di dare luoghi e spazi di sviluppo alla relazione tra scuole FISM, scuole comunali e convenzionate. Questo può essere fatto rilanciando una serie di questioni che vorrebbero diventare generatrici di ulteriori approfondimenti, in particolare su che cosa significa che i servizi educativi di un territorio sono integrati, che cosa significa fare formazione insieme tra vari servizi e infine cosa significa continuità–dialogo–scambio tra servizi educativi di uno stesso territorio. 24 Provare a capirsi è la mia testa che fa un pensiero Provare a capirsi 25 questioni aperte dimensione organizzativa come contesto ecologico di sviluppo scuola come attitudine ad un percorrimento comune come comunità allargata documentazione per un’attività riflessiva e democratica la rielaborazione conduce ad un apprendimento consapevole che costruisce significato il diritto a perdere e prendere tempo... darsi tempo per capire 26 Provare a capirsi la scuola è luogo di esperienza e progettazione? Ileana Cavaletti, pedagogista Comune di Correggio Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM I contenuti di questo capitolo sono da leggersi come prime indicazioni di tratti essenziali di esperienze educative che si realizzano quotidianamente all’interno delle diverse scuole dell’infanzia. La riflessione che ha seguito il gruppo è stata centrata sulla ricerca di un’identità di scuola che, nel rispetto delle differenze, ci restituisse un senso condiviso che dichiarasse i riferimenti e i valori che la sottendono e la costituiscono. Come già dichiarato nelle pagine precedenti all’inizio degli scambi dialogati il gruppo ha sentito forte l’esigenza di confrontarsi sull’organizzazione dei ser vizi: “gli orari della scuola e del personale, l’organizzazione del personale ausiliario, la gestione sociale… ogni scuola mi ha rimandato un’immagine propria, con peculiarità precise e con obiettivi ben motivati”. Questo ci ha aiutato a mettere a fuoco una questione nodale: l’organizzazione di ogni servizio fa riferimento a proprie filosofie di base che lo sottendono, finalizzate al raggiungimento di obiettivi condivisi. La dimensione organizzativa rappresenta quindi, all’interno della riflessione del gruppo, quel “contesto ecologico di sviluppo” che caratterizza la qualità della scuola dell’infanzia: “…che la scuola sia dotata intrinsecamente di una etica, da costruire con i bambini, con tutti i soggetti, nella società... un’attitudine ad un percorrimento comune”. Un tratto fondamentale che è emerso ed ha connotato costantemente tutto il percorso di lavoro è stato il vedere e il percepire la scuola dell’infanzia come comunità allargata, come Provare a capirsi 27 sistema di relazioni dove comunicazione e interazione, ascolto e dialogo si intrecciano in tutti i rapporti, non solo tra insegnanti e bambini. Sostando a parlare di scuola dell’infanzia ci si accorge di dover mettere in relazione tutti i soggetti e i protagonisti coinvolti nella loro specificità, ma soprattutto nella complessità dei rapporti, tenuti in rete dal vero protagonista che è il bambino. Le famiglie e i genitori sono portatori di competenze, di idee e vissuti che provengono dal loro essere genitori e cittadini, ma anche di ansie e di aspettative, indotte dal ruolo e dal contesto sociale che, assieme ai loro bambini, si trovano a condividere. La comune responsabilità educativa – scuola e famiglia – sostiene e promuove il rapporto con gli insegnanti e quindi con la scuola, che si attiva per costituire, offrire e mantenere momenti e luoghi di confronto, dove conoscersi e riconoscersi nella propria complementarità educativa, pur nella consapevolezza di come le diverse persone stiano dentro a questi momenti con le proprie specificità e diversi punti di vista. Diventa quindi fondamentale condividere insieme le linee e le pratiche educative superando la dicotomia tra una scuola competente e una famiglia incompetente “…dai genitori aspettiamoci competenze, ma aspettiamoci che rimangano genitori, che non diventino insegnanti… bisogna mantenere come qualità il fatto che i genitori sono una risorsa, una grandissima risorsa, E sono genitori, non MA sono genitori”. Rimane l’intento di una scuola che, mentre si ritiene in qualche modo supporto educativo alla famiglia, cui dedica tempi e attente competenze professionali, considera: “… quel genitore il migliore possibile per quel bambino… questo discorso dei genitori come risorsa noi dobbiamo sempre tenerlo presente, risorsa nel contesto educativo e nella relazione e anche nella documentazione, nella lettura della documentazione”. Educare è una pratica universale nella quale entrano valori costruiti 28 Provare a capirsi in dialogo. La documentazione, infatti, riconosciuta come uno degli elementi fondanti l’identità della scuola dell’infanzia, è per sua natura strumento costitutivo di relazioni in quanto dà visibilità al lavoro svolto, interpreta ed apre ad ulteriori interpretazioni, attribuisce significati e valori, che a loro volta suscitano confronti, interrogativi e riflessioni. In questo senso la documentazione è strumento in grado di favorire un’attività educativa riflessiva e democratica. L’identità della scuola, di ogni scuola, si stratifica nel tempo anche attraverso una memoria “scritta e visiva” che permanendo la rende maggiormente riconoscibile all’esterno. La rete partecipativa si costruisce intorno alla documentazione e, come alcuni studiosi sostengono, le scuole sono luoghi di educazione democratica attraverso la pratica della documentazione pedagogica. Queste considerazioni e le stesse riflessioni sull’esperienza educativa in atto non possono non lasciare spazio ad alcuni interrogativi che la scuola deve continuare a porsi: quanto compaiono i genitori negli spazi comunicativi? Ci sono spazi per raccogliere idee, per esprimere bisogni… e successivamente la scuola cosa se ne fa? Ci sembra che ad allargare e ad integrare la rete delle relazioni, oltre il rapporto scuola-famiglia, nelle nostre realtà educative vediamo aggiungersi costantemente e diffusamente le diverse realtà territoriali e sociali circostanti la scuola: dal mondo della natura alle istituzioni, dai luoghi pubblici ai luoghi di lavoro. La scuola, ritenendo necessarie ricche esperienze educative per lo sviluppo della particolare configurazione di interessi e abilità di ogni persona, si apre ad un’ampia gamma di possibilità di apprendimento. Le innumerevoli occasioni e gli spunti concreti assunti come stimolo alla conoscenza o come oggetto problematico di ricerca, si trasformano, ad opera della scuola, in percorsi progettuali dove Provare a capirsi 29 prevalgono un’impostazione ed uno sviluppo dinamico, ma soprattutto un diretto riferimento al piano dell’esperienza. L’esperienza è riscontrata e riconosciuta basilare per ogni attività e per ogni processo conoscitivo che la scuola dell’infanzia voglia intraprendere con il bambino/con i bambini: sempre sollecita a suscitare problemi e ipotesi, a porre domande, a proiettarsi nella ricerca di sensi e significati, ad accogliere l’errore come parte strutturante del processo cognitivo, poiché è dalla rottura degli schemi che si originano il pensiero creativo e il pensiero divergente. La scuola deve sollecitare il bambino a sperimentare e a sperimentarsi, orientandolo a una pluralità di scelte possibili, offrendo delle indicazioni di fondo e non delle direzioni precise. In questo senso l’orientamento fa appello all’autonomia personale, rafforzando nel bambino la sicurezza in se stesso e la capacità di elaborare strategie proprie per superare eventuali problemi e progredire nella conoscenza. Le innegabili connotazioni istituzionali della scuola le riconsegnano continuamente impegni, attenzioni e atteggiamenti capaci di interrogarsi e di riproporsi sia sul piano organizzativo che su quello didattico. Abbiamo molto discusso intorno a come le modalità di lavoro progettuali, piuttosto che quelle programmatorie, agevolino queste istanze di flessibilità: il progetto evoca l’idea di un percorso più aperto e dinamico, implica l’aggiustamento e la progressione delle idee, si sviluppa nelle circostanze. Richiede ascolto, curiosità, attenzione, flessibilità. L’approccio progettuale ha tra i suoi obiettivi quello di arricchire, sviluppare e mantenere vivi il maggior numero di “possibili”, consentendo ai bambini e agli adulti di ricercare continuamente e di arricchirsi delle loro stesse scoperte e di quelle degli altri: “…il sapere lo costruiamo insieme agli altri anche se all’interno c’è la nostra soggettività”. Nel percorso di lavoro è emersa ripetutamente l’impor tante 30 Provare a capirsi attenzione della scuola nell’esplicare il suo peculiare compito di mediazione didattica, cioè sostenere la complessità del processo di apprendimento in tutte le sue diverse dimensioni: dal protagonismo del soggetto con il suo sapere, alle relazioni con gli altri, alle connessioni con il contesto e il contenuto, all’articolazione nel tempo, alla sequenza reticolare: “…il nodo è pensare la scuola oggi in un contesto così largo, gravido d’informazioni… la scuola si deve preoccupare del livello della comprensione, dell’approfondimento, di come si struttura la conoscenza… perché aver incontrato l’informazione non significa comprendere l’informazione. Quindi c’è un livello di elaborazione da costruire sull’informazione”. L’apprendimento avviene anche grazie a processi qualitativi di rielaborazione, di riflessione della mente in cui si tiene insieme il fare e il conoscere con il saper fare e il saper conoscere. La rielaborazione conduce ad un apprendimento consapevole che costruisce significato. Una delle strategie forti, certamente molto praticata all’interno delle scuole, è quella della conversazione intorno ad un problema o ad un argomento, dove spesso la parola diviene fulcro della negoziazione del gruppo, diviene un’offerta di idee, ma anche un superamento ed una trasformazione delle idee. Rappresenta una delle condizioni privilegiate per la co-costruzione della conoscenza: “conoscenza come risultato fluido e provvisorio di una negoziazione di più punti di vista”. La conversazione può essere una delle opportunità per sostare su domande e temi più a lungo, per mettere “al rallentatore” o per enfatizzare certi passaggi cruciali del percorso cognitivo o della vita relazionale: “nella scuola dell’infanzia c’è forse ancora la possibilità di dare ai bambini l’opportunità di andare avanti coi loro tempi, di tornare indietro… mentre credo che purtroppo alle elementari, alle medie - e non parliamo delle superiori - non abbiano più il tempo di sostare sulle cose che hanno imparato, Provare a capirsi 31 che si sono trasmessi da alunno ad alunno”. Abbiamo sostato su che cosa significa accogliere i tempi dei bambini. Rispettare i loro tempi è fondamentale perché solo così si rispettano i tempi dei processi di conoscenza di adulti e bambini. Il tempo diventa un valore nella scuola d’oggi ed il “perdere e prendere tempo”, nel senso di dedicare del tempo a conversare, è una condizione necessaria. Una scuola che ascolta mette in conto la possibilità di “perdere tempo”. In educazione, dice Rousseau, non si tratta di guadagnar tempo ma di perderlo. Ascoltare il bambino nel suo conversare con i compagni, gli adulti, permette agli educatori di cogliere interessi, motivazioni, direzioni, segnali. Questa riflessione ci pare valga anche per gli/le insegnanti: il diritto a darsi tempo per capire… Un altro aspetto che ci ha restituito a più riprese confronti e approfondimenti è il valore della quotidianità e la portata esperienziale di pari dignità tra i diversi percorsi tematici e le quotidianità intese come progetto di vita e di relazioni dell’arco giornaliero, tendente a salvaguardare come sfondo il benessere comune. Una scuola come comunità educante sempre presente, che mantiene ed esprime dei valori e che si preoccupa della conoscenza e della crescita di ciascun individuo, dell’accettazione dell’altro, della cura e della consapevolezza dei sentimenti, dei valori fondamentali dell’uomo e della convivenza, dell’esercizio della responsabilità, dell’attesa, della rinuncia, della volontà. Le visite dialogate alle diverse scuole e i numerosi confronti di riflessione ci hanno riproposto la necessità che la scuola sia il più possibile in grado di costituirsi come luogo capace di proporre e di utilizzare i diversi linguaggi comunicativi ed espressivi, che vadano a cogliere e a stimolare le diverse potenzialità dei singoli; una scuola capace di rivolgersi ad un bambino che sa cogliere l’opportunità di esprimersi attraverso molti linguaggi, di crearne 32 Provare a capirsi dei nuovi in costante dialogo con i coetanei. Passaggi, questi, generativi di conoscenza, in quanto spostamenti laboriosi, sottigliezze intuitive, che tendono a problematizzare e quindi ad arricchire le conoscenze che il bambino e gli adulti possiedono. Rispetto alla dimensione dei valori e all’importanza della quotidianità non è certamente sfuggita la situazione educativa delle nostre scuole, immerse come punto d’incontro, nelle grandi differenze etniche, culturali e religiose, ormai tipiche della nostra società. Obiettivo mirato e basilare, è prevalso quello di educare alla differenza e alla sua positività, creando interesse alla conoscenza e al dialogo con le diversità dell’altro. A questo proposito il gruppo ha riflettuto sulla complessità dei nostri contesti educativi dove, proprio come nella nostra contemporaneità sociale e culturale, si intrecciano diverse appar tenenze emotivo-affettive, lingue e linguaggi diversi, diverse rappresentazioni culturali, differenti valori e religioni. L’interesse, la curiosità e la conoscenza, assieme al coinvolgimento diretto delle famiglie di altri Paesi, sembrano poter costruire, su campi “geograficamente” e culturalmente allargati, la base didattico-operativa, ma anche progettuale dell’azione della scuola dell’infanzia, un’azione che deve tradursi in pratica educativa non occasionale ma prevista, in intenzionalità pedagogica costante. Dunque una scuola che, pur non sottraendosi ai suoi compiti di regia preposta, sa farsi luogo dove ogni bambino e adulto vive e lascia il segno di sé. Provare a capirsi 33 questioni aperte evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione identità è creatività, intelligenza, storia personale avviare una ricerca sulle domande della vita (come approccio dell’uomo verso il conoscere e il conoscersi) rendere visibile e confrontabile ciò che si incontra e vive in una scuola, nella consapevolezza di non tenere separate teorie e prassi, valori e pratiche educative quotidiane esistono più immagini di bambino collocate in contesti sempre più complessi 34 Provare a capirsi cosa significa educare? Margherita Bonacini, pedagogista FISM Daniela Martini, dirigente Comune di Rubiera La complessità come superamento del pregiudizio Uno dei tanti obiettivi del lavoro del gruppo coincideva con il tentativo di aprire occasioni di confronto sulle idee di bambino in uno scambio fra pensieri ed esperienze professionali dei diversi soggetti e contesti educanti. Si voleva andare oltre le differenze di interpretazioni o riletture frutto di atteggiamenti e presupposti ideologici e pregiudiziali, per creare occasioni in cui fare emergere il pensiero di tutti, nella ricerca dei valori di sfondo e nella delineazione dei diversi contesti educativi, par tendo dal presupposto che “nessuno può bastare a se stesso e ogni momento di incontro arricchisce, soprattutto se emergono le qualità di ognuno che sono legate alle storie personali, al territorio, alle organizzazioni, all’idea che ogni esperienza è unica e che non può essere riprodotta, ma può allargare gli orizzonti di tutti”. Cartesio affermava: “La prima regola è di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo, evidentemente come tale: cioè evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione…” Un’affermazione da cui siamo partiti per sollecitare il superamento del “pregiudizio”, per avvicinare le diverse realtà, per approfondire la complessità che caratterizza il contesto educativo nel quale ogni giorno ci collochiamo e operiamo. Edgar Morin sostiene che la complessità si presenta come difficoltà e come incertezza. La pluralità, la complicazione fanno parte della quotidianità, della realtà sociale, della ricerca costante di ogni singolo individuo. Si può essere osservatori esterni della complessità? No! Abbiamo ritenuto che la complessità vada colta e vissuta attraverso il ruolo di osservatore partecipante, assumendola come metodologia intrinseca del proprio lavoro. Per Gregory Bateson Provare a capirsi 35 essere parte della complessità significa “…concepire un potere più grande dell’io nel quale siano compresi almeno gli elementi coi quali l’io si rapporta e i rapporti di questi con gli altri e così via”. Le relazioni fra le parti ed il tutto e fra il tutto e le parti, che caratterizzano i processi di crescita di ogni individuo, costruiscono una rete che connette, una meta-struttura, una struttura di strutture. Nella complessità i dati, le esperienze, vanno contestualizzati nelle realtà spazio-temporali propri di quel momento e di quella situazione, costituendo un tutt’uno con esse. In questo continuo processo e attraverso l’impostazione di relazioni complesse fra gli individui e l’ambiente di vita si creano le identità, le singole identità, portatrici di grandi risorse psichiche quali la personalità, le intelligenze, la spiritualità ecc… “Crescere significa dunque costruire, creare, par tendo dalle esperienze e dalle strutture precedenti (appartenenti a ciascuno di noi), utilizzate in modo innovativo e diversificato, in relazione ai nuovi contesti di esperienza. Identità è dunque creatività, intelligenza, storia personale”. L’educazione come processo dialettico Il gruppo concorda sul fatto che l’educazione si collochi in questo contesto e rappresenti un aspetto fondamentale del sistema sociale, basato su continue relazioni fra l’io e gli altri, in contatto continuo con istanze sociali, culturali, spirituali. Ogni processo educativo dunque vive in osmosi con il contesto nel quale è contenuto ed in esso intesse le relazioni di cui il processo stesso abbisogna. Per queste ragioni gli interventi educativi non possono rimanere stabili, fissi nel tempo, devono continuamente porsi in termini dialettici, creare le condizioni perché il bambino possa costruire la propria conoscenza, possa ricercare risposte alle proprie domande, possa trarre dalla quotidianità le occasioni utili e necessarie alle proprie rielaborazioni, alle proprie riletture. 36 Provare a capirsi L’educazione si basa sui rappor ti interpersonali e questi si identificano con l’agire di una persona nei confronti dell’altra, prima ancora dell’esternalizzazione di ciò che pensa e di ciò che dice. Le informazioni e le realtà devono essere elaborate da parte dei singoli soggetti, e diventano significati e valori. In questo contesto di riflessione la scuola agisce come uno dei soggetti primari e luogo privilegiato nell’attivazione del processo educativo del bambino, attraverso un’azione di continua lettura e rilettura della realtà, in grado di produrre trasformazione. La cultura presente in ogni contesto non deve essere considerata definitiva in termini assoluti, ma considerata punto di partenza nel quale le relazioni fra pari e fra adulti e bambini vanno a realizzarsi, per produrre trasformazioni. Educare significa dunque “…rendere visibile quindi confrontabile ciò che si incontra e vive in una scuola, nella consapevolezza di non tenere separate teorie e prassi, valori e pratiche educative quotidiane”. Rendere visibili i valori significa dunque praticarli, significa costruire un contesto democratico, avviare “una ricerca sulle domande della vita, come approccio dell’uomo verso il conoscere ed il conoscersi”. Le pratiche agite possono così diventare occasioni di confronto per i bambini che devono essere messi in grado di assumere responsabilità dei propri gesti e delle relazioni che costruiscono con gli altri. Quando si parla di educazione, si può parlare di neutralità? Pensiamo di no. Ogni contesto educativo è di per sé non neutrale. Il gruppo ritiene infatti che: “… non può e non deve esistere neutralità”. Questo principio può essere inteso sia nella dimensione esperienziale del bambino che in quella dell’adulto. Ogni adulto come ogni essere umano piccolo o grande che sia racchiude in sé un patrimonio di esperienze, di vissuti, di valori e di pensieri, con i quali ogni giorno si misura con sé stesso e con gli altri, un modo personale di vivere le situazioni, di operare nei diversi contesti, per produrre nell’incontro con gli altri soggetti, altri livelli di esperienza e nuove occasioni di riflessione. Nel Provare a capirsi 37 processo educativo l’adulto porta così all’attenzione del bambino e dei diversi gruppi con i quali viene a contatto, un importante patrimonio di pensieri e di valori, crea nuove oppor tunità di confronto e di indagine, ma non può esimersi dalla responsabilità di dichiarare il proprio pensiero, le proprie certezze ed incertezze. L’adulto non può “...dare risposte che ancora non ha trovato”, ma al tempo stesso non può dichiarare valori nei quali non crede, può forse creare le condizioni perché ogni singolo bambino possa iniziare un proprio cammino di ricerca. Le idee di bambino Come potere dunque definire il bambino che si inserisce in questo contesto educativo, in questa complessa rete di relazioni e di scambi, chiamato ad essere soggetto attivo, ricercatore della propria identità? Non crediamo esista un’unica idea di bambino, crediamo esistano più immagini di bambino collocate in contesti sempre più complessi e in sempre più rapida trasformazione. Nelle diverse realtà ogni essere umano è chiamato a trovare strumenti di lettura per rielaborare, raggiungere, livelli fluidi di conoscenze e fungere da stimolo per altri atteggiamenti di ricerca. Crediamo in un bambino inteso come soggetto attivo, creativo, capace di elaborare e costruire un proprio sapere, capace di valorizzare la propria unicità, un bambino in grado di esprimere una propria originalità all’interno di relazioni contestualizzate, attraverso il dialogo, il confronto, attraverso una continua ricerca. È un bambino fusione di più dimensioni, affettiva, cognitiva, relazionale, spirituale, che deve collocarsi nei contesti di vita con stili assolutamente personali, con una propria e specifica identità. Si tratta di creare le condizioni affinché ogni soggetto, nel percorso di crescita personale, possa trovare le occasioni in grado di sostenere e di sollecitare il proprio cammino di ricerca. 38 Provare a capirsi Un bambino così pensato è legittimato a far giungere la propria voce, a trasmettere la propria storia e vivere l’esperienza scolastica nel ruolo di protagonista: “…quando lasciamo raccontare ai bambini riconosciamo nei loro passaggi tutto quello che è avvenuto”. Ma affinché questo accada occorre che l’adulto riconosca ad ognuno la possibilità di riappropriarsi del proprio tempo, di un tempo di comprensione e approfondimento. In un processo di conoscenza, in qualunque ambito si realizzi, i tempi per riflettere, per maturare, per confrontare, per rielaborare, diventano strumenti indispensabili di un processo conoscitivo. Sono tempi individuali in contesti di ricerca personale e di gruppo, dove la relazione racchiude ulteriori potenzialità, risorse, crea avanzamenti di pensiero: “… il gruppo, mettendo insieme diversi punti di vista, offre delle elaborazioni che vanno ben oltre ciò che ognuno potrebbe produrre da solo… e diventa anche luogo che valorizza il contributo di ciascuna persona…”. Il bambino soggetto della relazione Di nuovo dunque un bambino soggetto di un sistema relazionale complesso in cui scuola e famiglia dialogano nel tentativo di comprendersi e di confrontarsi rispetto alla complessità del bambino. Le famiglie racchiudono punti di vista diversi, caratterizzati da impor tanti coinvolgimenti af fettivi e da riletture dei comportamenti, condizionati da un approccio quotidiano pressato dai tempi e dai sensi di colpa dell’adulto, con alcune difficoltà nella messa a fuoco dei concetti di autonomia e delle effettive potenzialità dei propri figli. D’altro canto non dobbiamo dimenticare che nella globalità dell’esperienza dei bambini: “...i genitori sono una risorsa in quanto genitori”, cioè sono portatori di interpretazioni, di competenze e di approcci educativi propri del loro ruolo e quindi soggetti primari nell’evoluzione delle singole storie personali dei propri figli. Portare il bambino al centro di un dibattito fra scuola e famiglia Provare a capirsi 39 significa creare occasioni impor tanti di rilettura sia dei comportamenti dei bambini che degli adulti, significa ricercarne le origini, individuare i segnali lanciati, valorizzare il bambino stesso nei suoi modi di porsi, di elaborare pensieri, di personalizzare i vissuti. Se concordiamo sul fatto che crescere significa costruire, creare, partendo dalle esperienze e dalle strutture precedenti appartenenti a ciascuno di noi, il confronto fra i due soggetti scuola/famiglia rappresenta il contesto sistemico più vitale per approfondire la complessità dei diversi modi di porsi del bambino, nei tanti contesti di esperienza. Lo stesso confronto continuo sul modo di intendere le terminologie, di attribuir loro significati rispetto alle esperienze vissute e condivise, sollecita una riflessione critica da parte dei diversi protagonisti. Insegnanti, genitori e figli-bambini, originali e diversi nelle loro singolarità diventano così i protagonisti di un importante processo di crescita collettiva. 40 Provare a capirsi un pensiero speciale Provare a capirsi 41 questioni aperte confronto continuo sul modo di intendere i termini, di significarli rispetto alle cose vissute in relazione ai diversi contesti educativi la documentazione non può essere autoreferente... autocelebrativa con un linguaggio troppo tecnico un’idea di documentazione lontana dalle semplificazioni manualistiche, un’idea complessa dentro i flussi dell’esperienza educativa quotidiana quale relazione tra documentazione di progetti/esperienze di sezione e documentazione soggettiva/individuale 42 Provare a capirsi la documentazione è comunicazione e formazione? Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande Katia Iotti, pedagogista scuola FISM di Arceto (Scandiano) L’intensità e la profondità della riflessione su quanto e come la documentazione contribuisca, insieme a tanti altri fattori ed elementi di vita quotidiana, a dar senso al lavoro degli educatori e dei pedagogisti, a restituire visibilità dell’educazione a genitori e bambini, e quanto e come, nell’esperienza degli scambi, la documentazione stessa sia stata un processo di reciproca conoscenza, comunicazione e formazione, è apparso chiaro sin dai primi incontri dei protagonisti del progetto scambi. Molte delle riflessioni scaturite tra i partecipanti, sono state il frutto di visite dirette nelle scuole, in contesti reali di vita educativa e di documentazione, dove è stato possibile soffermarsi e ragionare su percorsi, intenzioni e progetti concreti. Uno dei primi passi che il gruppo ha compiuto, è stato quello di dialogare su strategie che favorissero la costruzione di un sentire comune che potesse garantire una libera espressione personale ed istituzionale. Questo allo scopo di dare maggiore intensità allo scambio, più ar ticolazione alla comunicazione, più forza di reciprocità alle domande e alle formulazioni delle domande. Fattore positivo nell’attivare tutto questo è stata proprio la differente percezione e definizione dell’idea di “documentazione“. Nel percorso Scambi, sia detto per inciso, la “appassionante lotta semantica” ovvero il confronto continuo sul modo di intendere i termini, di significarli rispetto alle cose vissute e condivise in relazione ai diversi contesti educativi, di utilizzarli nella reciprocità, è stato un esercizio costante di pensiero critico. Esercizio cui non Provare a capirsi 43 è sfuggito il termine “documentazione”. Esercizio critico non fine a se stesso, non formale, ma riferito ai contenuti. Nel corso delle discussioni e dei dialoghi il termine e il concetto di documentazione sono apparsi e ricomparsi spesso e ripetutamente intrecciati ad altri concetti e ad altre ipotesi e sguardi soggettivi sul fare educativo. In primo luogo, il “binomio” scelte di valore e senso del documentare, come propone l’incipit di questa discussione: “….io credo che una scuola faccia delle scelte, scelte pedagogiche e queste scelte si leggono nelle documentazioni e queste scelte magari, non permettono delle libertà assolute… Comunque tu educatore scegli, arrivi con delle tue verità, e io le intendo per verità perché ti vedo convinta/to di quello che dici…” Un’idea di scuola e di scelta che non può “svolgersi in uno spazio astratto, neutro, assoluto, ma sempre in un contesto nel quale sono interrogate, integrate e ricomprese le famiglie e i bambini...” La prima relazione che emerge è quella tra l’idea di scuola e di bambino e le scelte di documentazione. Idea di scelta, idea di scuola e anche di quale ruolo venga giocato o possa essere giocato, nel contesto scuola, dall’educatore nella relazione quotidiana con il bambino. E, in particolare, quanto e come questa relazione con i bambini e le bambine, con il gruppo e con ciascuno di loro individualmente, stia dentro all’intreccio tra le dichiarazioni di valore, le grandi scelte degli educatori e degli adulti e la quotidianità del “fare” e dello “stare” nella scuola. Certo si esplicitano, da un lato, le dichiarazioni di appartenenza, o le “verità”, come qualcuno le chiamava, ma, dall’altro, anche la capacità di ascolto e di confronto con i bambini, dentro una stessa processualità interpersonale. “Il nodo credo, sta in quello che scegliamo di comunicare. Ci siamo chieste se la nostra lettura, interpretata insieme ai bambini, risulti chiara e immediata anche alle famiglie… Abbiamo riflettuto 44 Provare a capirsi sul quanto scrivere e quanto invece possono essere esaustive le immagini e/o i prodotti elaborati. È risultato difficile mettersi dal punto di vista del genitore, perché non è sempre immediato cogliere cosa può essere per lui significativo. … Ci siamo chieste: cos’è che a noi manca? Cosa non emerge dalla nostra documentazione? Quanto del nostro messaggio ed impegno educativo riusciamo a rendere visibile? Credo molto che l’esperienza che il bambino porta a casa in una documentazione sia solo una minimissima parte di ciò che fa e vive all’interno della scuola”. Quindi ancora scelta, come attenzione ad un processo di relazione tra persone diverse e di conseguenza ai valori di una comunicazione. Valori che non sono mai riassorbibili in una tecnica per quanto efficiente essa sia. “Credo che la questione vera sia se riusciamo davvero, attraverso la documentazione, a raccontare di più sulle difficoltà, sui successi, sugli incontri, sulle conflittualità, su che cosa siamo riusciti davvero a fare, come adulti e come bambini, cioè a restituire il processo…” E comunicare, cosa comporta? Chi e quali processi delle persone impegna? E come impegnare i bambini in una comunicazione? Come darsi e dare ad altri il credito di una capacità di comunicazione, di scambio e di contrasto alle solitudini? Comunicare-Documentare si propone come sostegno alla costruzione di significati condivisi nella e dell’esperienza, come continuo lavoro sul capire e sul restituire ad altri soggetti, ma anche a noi stessi, un’esperienza. In primo luogo, comunicare con il “grande” soggetto “altro” dalla scuola: la famiglia. “Quando a scuola, lasciamo raccontare ai bambini l’esperienza riportata in una documentazione, come insegnanti siamo molto gratificate, perché la condivisione del percorso favorisce Provare a capirsi 45 l’interpretazione dei loro significati. Quando poi questo documento arriva a casa temo che non sempre ci sia, nella famiglia che legge, una giusta attenzione, quello spirito curioso che aiuterebbe, ogni genitore, a scoprire ogni volta qualcosa in più del proprio bambino. Il più delle volte l’attenzione dimostrata è in relazione a ciò che si fa per diventare grandi possibilmente in preparazione a… (nello specifico, alla scuola elementare) e non si riconosce alla scuola dell’infanzia il suo grande valore in quanto sé stessa e non in preparazione a…” “La documentazione non può essere auto referente, quindi non dovrebbe assumere caratteristiche auto celebrative con un linguaggio troppo tecnico; deve essere parte della costruzione di un dialogo generatore di condivisione con le famiglie, non solo nella dimensione scuola, ma anche e soprattutto nel percorso di sviluppo del bambino”. Approfondendo ulteriormente questa percezione della famiglia, questo immaginario sulla famiglia e della famiglia in relazione con la scuola, si dilatano anche i significati dei termini usati, diventano necessarie distinzione e delimitazioni dei concetti propri di ciascun attore all’interno del progetto scambi. La comunicazione con le famiglie, con e nella documentazione, si colora immediatamente di significazioni duttili e dialettiche, sempre da rapportare a contesti specifici, a luoghi delimitati, a precisi presupposti concettuali: “Credo che ci siano due piani diversi: un piano che è quello di una documentazione che produce l’insegnante e che è il percorso che l’insegnante ha progettato e che ha letto nei tempi, nei modi in cui si è svolto, si è sviluppato, si è modificato, ecc.; e un altro percorso è invece quello che un bambino porta a casa, il bambino davvero come mediatore tra il lavoro dell’insegnante e la lettura che ne fa la famiglia”. 46 Provare a capirsi Ma, se approfondiamo un po’, cosa ci guida in questa riflessione, se non l’idea, le idee, che abbiamo del bambino e del suo posto nel mondo e nel processo vitale? È un’idea di bambino legata a immaginari individuali e professionali? A vissuti personali, condizionamenti storici e proiezioni adulte? A elaborazioni soggettive di valori e attribuzione di valore ad un momento della vita umana? Aprire questo problema significa riflettere di nuovo su quale spazio viene dato effettivamente all’espressività infantile nella vita quotidiana di un servizio, di una scuola; quale “credito” si dà al bambino, quali interrogativi si aprono sull’agire dell’adulto e di quale tipo sia questo agire. “…Non dobbiamo mettere fretta, perché noi come adulti abbiamo il nostro tempo, ma i bambini hanno il loro, e arrivano alla soluzione di problemi con strategie diverse. La teoria tante volte, quando si mette nella pratica, ti sconvolge la pratica, perché il bambino adotta strategie proprie talvolta diverse dalla teoria”. Darsi tempo nella quotidianità, come primo valore, come possibilità stessa della relazione con il bambino e del riflettere con lui, con gli adulti educatori, con i genitori sul fare quotidiano. “Quando parlo di esperienza non sto parlando di fare, ma di un fare riflettuto… e, quindi, è metariflessione sul senso del fare”. Un’idea di documentazione, quella che emerge dalle conversazioni degli scambi, ben lontana dalle semplificazioni manualistiche a cui si è spesso, e purtroppo, abituati, un’idea complessa dentro i flussi dell’esperienza educativa quotidiana. Una pratica del documentare che si articola ipoteticamente su un’idea agita di bambino, o meglio su una molteplicità di idee di bambino e d’infanzia, toccando, nel suo procedere e svilupparsi, il tema della dimensione processuale e comunicativa della documentazione, come restituzione di un processo, di una relazione Provare a capirsi 47 e delle sue qualità, dei suoi valori, ad altri soggetti. Idea di documentazione che riconnette, così come ha fatto con l’idea di scuola, di bambino e di famiglia, anche quella di formazione dell’educatore e auto formazione dell’educatore: “… si parlava dell’auto-riflessione, dell’auto-formazione di un insegnante. Se un educatore non alimenta costantemente le proprie conoscenze e non si sofferma a riflettere sul valore del proprio agire, rischia di diventare inadeguato rispetto al contesto in cui si trova ad operare. Credo che in questa continua progressione (se così si può chiamare), dovrebbero entrare anche le famiglie che insieme al figlio vivono la scuola, accettando di mettersi maggiormente in gioco…” È dunque essenziale – nei percorsi di lavoro e di formazione – che si attivi un vero e proprio pensiero strategico sulla formazione e l’autoformazione. Auto-formazione dell’educatore, intesa non come acquisizione nozionistica ma come capacità di leggere, osservare, interpretare e trarre nuovi spunti e saperi dall’esperienza. Quando parliamo dell’agire educativo, implicitamente parliamo “dell’atteggiamento del documentarsi, un atteggiamento preziosissimo se riusciamo a farlo passare come patrimonio, come attrezzo di cui si potrà disporre per sempre”. Questa strategia di lavoro, favorisce il “fare riflessivo” l’autoriflessione, perché da una documentazione prodotta, oltre al progetto, si esprime sempre qualcosa di più, ossia l’idea di bambino che quella scuola ha come base, così come l’idea che ha delle proprie famiglie e del ruolo dell’insegnante. Ecco perché è importante impegnare del tempo per rivedere i propri percorsi e valutare cosa-come-quando e per chi si intende documentare. La documentazione, quindi, è comunicazione e deve impegnarsi ad essere processo di ri-significazione dell’esperienza comprensibile al maggior numero di interlocutori. Tutti i “documenti” 48 Provare a capirsi esposti in una realtà educativa, raccontano tante cose di quella situazione e consentono di identificarla. Il gruppo ha affrontato il discorso del saper proporre all’interno della scuola, delle “esperienze fondanti”, esperienze che sappiano accrescere le capacità fondamentali di ogni bambino, che sappiano arricchire il loro patrimonio permanente “una scuola attenta e propositiva verso azioni situate in cui il bambino interagisca con l’ambiente ed elabori processi di costruzione dei significati. In altre parole, individuazione e progettazione di esperienze... in cui si riveli continuamente una mappa leggibile di concetti base, una pluralità di modalità espressive, dove emergano via via orientamento e conoscenza della posizione delle tappe e delle varianti. Credo sia importante che la scuola possa offrire esperienze fondanti, saperi fondanti, attraversamenti e che la scuola sia dotata intrinsecamente di un’etica da costruire con i bambini, con i soggetti nella società, un’abitudine ad un percorrimento comune”. Quest’ultima riflessione sottintende una circolarità comunicativa che riporta ad un’idea di scuola in cui educatori, famiglie, bambini sappiano trasmettere e costruire reciprocamente esperienze significative e fondanti. Altro aspetto discusso è stata la relazione tra la documentazione di progetti e di esperienze di sezione e la documentazione soggettiva e individuale delle attività di ciascun bambino (qualcuno ha citato il portfolio). Nelle nostre discussioni emerge l’accordo sul fatto che ciascun bambino apprende nella relazione con, ma alcune scuole, pur operando in un contesto di relazione, sembrano privilegiare un’idea di documentazione individuale/personalizzata per ciascun bambino da consegnare alla famiglia. In altre si tengono insieme diversi livelli di documentazione avendo sempre al centro un’idea di bambino in relazione (nel grande gruppo, nel piccolo gr uppo, con l’adulto…) e si propongono alle famiglie Provare a capirsi 49 documentazioni che rappresentano l’appartenenza del soggetto ad un gruppo. “Ci sono strumenti che magari sono accessibili ai genitori ogni giorno, che raccontano di più le cose che accadono quotidianamente; invece a scuola nella documentazione a parete c’è una sintesi per microprocessi e/o per concetti e questo talvolta non va incontro alle richieste dei genitori. Abbiamo il diario di sezione, un diario di bordo dove la quotidianità è raccontata con le parole dei bambini e tentativi d’interpretazione da parte degli adulti che in ogni modo compaiono. L’ambizione (non ancora raggiunta) è di mettere più in evidenza, quasi un’esemplificazione su cui ragionare, i processi di gioco e di ricerca di alcuni bambini lungo la durata di un’esperienza/progetto… Oltre a raccogliere le parole dei bambini utilizziamo delle griglie osser vative dove appuntare e trattenere tracce delle relazioni dell’adulto con i bambini e dei bambini tra di loro. Sono spunti… Diventano tomi piuttosto consistenti... i genitori se li prenotano e li portano a casa e appuntano i loro commenti e le loro domande nelle pagine bianche. L’agenda giornaliera invece è una mappa orientativa, con alcune frasi significative, di quanto accaduto in sezione quel giorno. ...Questa scelta di avere strumenti e documenti diversificati ci è sembrata una buona strategia per coinvolgere i genitori: possono entrare maggiormente dentro all’esperienza, rileggerla con i loro bambini, avere domande da rilanciare alle insegnanti, avere curiosità e questioni da porsi tra genitori…”. All’interno del gruppo, non sono comparse definizioni da manuale per riuscire a parlare di documentazione, anche perché è nello stile dello “scambio” il non ricercare una definizione unica, ma accogliere come ricchezza, le diverse attribuzioni di significati, in un atteggiamento quindi di continua ricerca. Si sono condivisi stili, modalità, approcci adottati che hanno avuto nel tempo, buona funzionalità. Utile è stato il poter vedere, toccare, 50 Provare a capirsi strumenti di lavoro adottati in alcune scuole, per favorire l’incontro e la comunicazione con le famiglie, per coinvolgerle maggiormente all’interno del vissuto quotidiano del proprio bambino. il cervello che pensa Provare a capirsi 51 questioni aperte idea di scuola che accoglie il dubbio e le molteplici interpretazioni il tema della spiritualità non può essere affrontato con interpretazioni disciplinari e circoscritte religiosità è una risposta, spiritualità è una ricerca la spiritualità dei bambini si coglie nella quotidianità di fronte a certe domande non si perde la propria autorevolezza se si dice “Questa cosa non la so, possiamo andare a cercarla insieme...” 52 Provare a capirsi riflessioni intorno alla dimensione religiosa e spirituale Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico Comune di Reggio Emilia Daniela Lanzi, pedagogista Comune di Reggio Emilia Suor Maddalena Perini, coordinatrice scuola FISM di Reggio Emilia “Esistono molteplici saperi intorno a dimensioni particolari della realtà. Ed esiste un pensare intorno ad essi, che ne interroga le condizioni di possibilità”. (M. Cacciari) Per una trattazione sicuramente non approfondita ma significativa e coerente delle discussioni e dei confronti avvenuti all’interno del gruppo di lavoro sul tema dell’educazione religiosa pensiamo sia opportuna una narrazione che sottolinea tre nuclei: - le identità della scuola e la relazione tra diverse identità - quale il ruolo dell’insegnante? - il valore delle didattiche e delle pratiche quotidiane nella consapevolezza che l’uomo sulla terra da sempre si è interrogato e si interroga sulla sua dimensione spirituale ed esistenziale. Le identità della scuola e la relazione tra diverse identità Ci sembra impossibile una riflessione sul tema dell’educazione religiosa senza una sottolineatura interconnessa con il dibattito sulle identità della scuola, sull’identità della persona (bambino e adulto). Una scuola, oggi, nella contemporaneità multiculturale e multireligiosa che ci attraversa, in cui si incontrano/ confrontano/ scontrano diverse culture, religioni, valori, tradizioni: “A scuola si incontrano i credenti, i non credenti, i credenti in altre fedi ed è proprio da qui, credo, che il ruolo dell’educatore gioca un ruolo forte nell’accogliere e nel far emergere con pari dignità tutte le Provare a capirsi 53 idee, soprattutto quando si tratta di dichiarazioni/pensieri che sottendono i valori dell’umanità”. Fondamentale per attivare un confronto dialettico e significativo pare essere la dichiarazione chiara di identità, delle proprie e diverse identità istituzionali che convivono all’interno di una comunità cittadina: “penso che il dialogo avvenga solo tra identità… quando parlo di rapporti tra scuole diverse intendo rapporto tra identità, una scuola deve avere una sua identità rispetto alle cose in cui crede, rispetto alle cose che propone ai bambini. Dialoghi possibili quindi tra scuole che hanno identità su cui hanno riflettuto, su proposte che fanno…” Come è stato affermato nelle pagine precedenti la scuola, come luogo di relazioni interdipendenti tra bambini, insegnanti, genitori nei loro contesti di vita, evidenzia la necessità costante di condividere valori e pratiche educative quotidiane perché le relazioni possano costruirsi e mantenersi nel tempo. Il tema dell’identità comprende molteplici accezioni, è un termine al plurale: nella discussione del gruppo sul tema dell’educazione religiosa è stata importante e imprescindibile un’incursione intorno ad alcuni significati attribuiti a concetti quali dimensione religiosa, spirituale, etica, morale. È stato utile capire le possibili relazioni per sottolineare le distinzioni, le zone di confine e quelle di incontro: una tematica complessa, che attiene alle ricerche esistenziali dell’uomo e quindi dei bambini, ma che riguarda anche le questioni di convivenza civile, le idee che bambini e famiglie portano dentro la scuola come patrimonio personale e di gruppo. Ogni scuola ha i propri valori, le proprie identità, che si dichiarano continuamente nelle forme dell’ambiente, dell’organizzazione, della comunicazione: e anche i bambini e i genitori sono portatori di saperi e valori individuali che devono trovare nella scuola luogo di confronto, scambio e creazione di azioni, pensieri, teorie, linguaggi e valori nuovi per il soggetto e la comunità. 54 Provare a capirsi Un luogo, la scuola, che accoglie il dubbio e le molteplici interpretazioni come strategia di approccio e di ascolto all’altro e a ciò che ci circonda e come ricerca di comprensione verso differenti accezioni della verità. Diverse sono le domande, rimaste aperte, che si sono generate nei dialoghi del gruppo di lavoro: - Ragionare di spiritualità è ragionare di religione? - Ragionare di spiritualità è ragionare di etica e di morale? “Qualcuno dice che grazie alla poesia, all’ar te, al pensiero metafisico ci si sente ad un pelo dal cielo oltre il quale, forse, non si può andare. Mi chiedo allora come mai questa contemporaneità fa così fatica a riconoscere Colui che ha colmato ogni distanza tra noi e il cielo. Il mio timore è questo: se nella nostra azione educativa non teniamo conto dell’aspetto religioso, corriamo il grosso rischio di costruire statue d’oro con i piedi di argilla… i nostri bambini domani saranno adulti con vuoti di senso”. Ci sembra di potere dichiarare che l’educazione religiosa per i bambini dai tre ai sei anni tiene fortemente connesse le dimensioni della religione e della spiritualità ed evidenzia, soprattutto con i bambini di questa età nodi, questioni, aspetti che attraversano l’educare inteso come relazione complessa e nella sua interezza. Religione e religiosità hanno contenuti specifici, ma sono anche fortemente trasversali, nel senso che assumerle come chiavi di accesso, significa aprirsi a relazioni più ampie, a questioni che attraversano più campi del sapere, più dimensioni dell’uomo. Sicuramente il tema della spiritualità del bambino non può essere affrontato con interpretazioni disciplinari e circoscritte ma in una riflessione che sottolinea l’immagine di bambino come di un individuo “intero” e capace di costruire fin da piccolo trame di significati nella conoscenza del mondo. “Forse vi creo altra confusione, però sicuramente quando parlo di dimensione spirituale mi riferisco di più alla trascendenza… quindi il discorso da dove veniamo, quando moriamo. Erano cose che Don Dossetti aveva scritto proprio in riferimento a questa ricerca Provare a capirsi 55 e la cosa che mi è piaciuta molto è quando dice che la religiosità è una risposta, mentre la spiritualità è una ricerca...” La ricerca di significati da parte di bambini e adulti nella vita della scuola è a nostro avviso la possibilità di spostarsi da una interpretazione metafisica ed epistemologica di ciò che conosciamo (il bisogno di cer tezza negli eventi) ad una interpretazione ermeneutica, interlocutoria e dialogica con gli avvenimenti e le questioni che si incontrano. “Ognuno parte dalle situazioni in cui si trova, l’importante è cercare il senso del proprio esistere che sia risposta alle esigenze profonde della persona quali la libertà, l’amore, la felicità, la sopravvivenza… ci dobbiamo chiedere se offriamo stimolazioni sufficienti che possano aiutare il bambino nello sviluppo della dimensione religiosa insita nella persona”. Molte le discussioni, rimaste tuttora aperte, su quale parola/ significato/contenuto scegliere di utilizzare nei dialoghi tra adulti cioè se “dimensione religiosa” o “dimensione spirituale”. Tale dibattito non è solo una pura dissertazione di natura stilistica ma una ricerca di comprensione e di coerenza con l’identità della scuola pubblica, con l’immagine del bambino e dell’uomo e i contesti didattici e progettuali che quotidianamente la scuola propone. In effetti negli scambi le nostre diverse identità di scuole pubbliche ma con differenti gestioni (comunale, di ispirazione cristiana) hanno favorito una vivace discussione sull’idea di scuola pubblica e si è convenuto nell’idea che la scuola non è pubblica solo in relazione all’ente che la gestisce, ma in quanto erogazione di un servizio pubblico e quindi ad una comunità civile. Il dibattito sull’idea di scuola pubblica ha inevitabilmente portato dentro al gruppo il tema della laicità della scuola intesa come assunzione e costruzione di un punto di vista aperto alle possibili interpretazioni e alle differenti teorie personali e culturali, che si dichiara nelle proposte didattiche, nella formazione degli insegnanti, negli incontri con le famiglie. 56 Provare a capirsi Scuola come pluralità di individui, portatori di una pluralità di saperi e coinvolti in uno stesso ambiente pubblico di crescita. Tale riflessione non vuole aprire note di natura giuridica ma vuole offrire uno spunto di natura valoriale: è la dichiarazione di una scuola che si propone come servizio che garantisce un diritto a tutti nella molteplicità integrata dei sistemi formativi e che si assume un ruolo di responsabilità. Quale il ruolo dell’insegnante? Come gli adulti possono essere significativi nel dialogo con i bambini e le famiglie su una tematica come quella dell’educazione religiosa/spirituale? Il ruolo dell’adulto, degli insegnanti, è stato un tema fortemente discusso nel percorso del gruppo: un tema che sta a cuore a chi vive ogni giorno la quotidianità della scuola. Un tema che viene percepito, giustamente, come assunzione di responsabilità nelle scelte che si operano e nelle dichiarazioni che si condividono con i bambini e con le famiglie. In un’idea di scuola come quella dichiarata, che tiene insieme ricerca e costruzione come valore e strategia, gli adulti sono parte di questa costruzione e quindi, inevitabilmente non neutri. “Di fronte ai bambini come mi pongo?” Ci sembra fondamentale l’atteggiamento di chi, prima di tutto, non sta in silenzio: anche quando come adulti non si conoscono LE risposte, è importante offrire comunque possibilità di dibattito ai bambini. L’adulto che è con il bambino/i nella loro ricerca di possibili risposte deve anche dare le sue risposte, non per “catechizzare”, non per chiudere, ma anzi per problematizzare. “Può un’educatrice di scuola dell’infanzia non avere trovato lei stessa le risposte a domande di senso che i bambini già a questa età pongono? Siamo inescusabili direbbe San Paolo se ci rivolgessimo ancora ad un Dio ignoto quando questo si è manifestato. Non dobbiamo assolutamente chiudere ai bambini Provare a capirsi 57 le strade della ricerca, anzi aprirne altre”. L’adulto che dichiara il proprio punto di vista ci sembra consentire anche ai bambini di posizionarsi e questo è, forse, il modo più vero di agire il dialogo e l’ascolto. “Penso che se il bambino vede che il dichiararsi atei, laici o religiosi non compromette il rapporto tra le persone, ma anzi lo esalta, credo che sia anche un buon modo di educarsi e di educare”. Questa è, a nostro avviso, una responsabilità imprescindibile delle insegnanti e dei genitori: è strategia di scambio, riflessione comune, partecipazione, democrazia. “Io spesso con i bambini di fronte a certe domande non penso di perdere la mia autorevolezza se dico questa cosa non la so, possiamo andare a cercarla insieme… poi non è detto che noi dobbiamo sempre dare la risposta certa… credo che sia indispensabile dare al bambino una chiave di lettura per accedere a…” È importante condividere le proprie posizioni, nella consapevolezza che la non neutralità è sinonimo del sentirsi parte di un dibattito, di un contesto, di un gruppo. “Io credo davvero che non sia possibile la neutralità dal punto di vista educativo non credo neanche sia leale e onesto nei confronti del bambino il relativismo alla neutralità… un insegnante viene a scuola e costruisce relazioni con i bambini… nelle relazioni che costruisce con i bambini porta se stessa… quindi la posizione della neutralità mi risulta difficile da capire…” “Il ruolo dell’educatore, almeno nelle scuole di cui io faccio parte, prevede una certa differenziazione anche delle convinzioni personali e quanto più le convinzioni personali sono mature, tanto più la persona è capace di giocarle in un rapporto molto liberamente, perché non ha paura di supportare le proprie convinzioni con il consenso degli altri: sa confrontarsi e dialogare…” È un adulto poi che si pone anche l’interrogativo di come rendere visibile quindi confrontabile, ciò che si incontra e si vive nella scuola, nella consapevolezza di non tenere separate teorie e prassi, valori e pratiche educative quotidiane. 58 Provare a capirsi Una visibilità intesa come democrazia quindi non come atteggiamento scientifico, cognitivista, “da laboratorio”, ma come ricerca delle domande sulla vita, come approccio curioso e filosofico dell’uomo verso il conoscere e il conoscersi. Il valore delle didattiche e delle pratiche educative quotidiane Come già più volte ribadito, dentro ad una scuola dei valori e dell’educazione, anche l’educazione spirituale e l’educazione religiosa non possono essere solo contenuti di trasmissione o di apprendimento del “saper fare” o del “sapere” ma sono contenuti di un apprendimento che qualifica il “come sapere essere” e la cui costruzione avviene nello spazio relazionale delle pratiche quotidiane della vita della scuola. Ci sembra importante ribadire che è possibile incontrare l’educazione spirituale e religiosa non solo in luoghi e spazi particolari ma nella globalità del nostro esistere e del nostro essere e fare scuola. Ci siamo chiesti infatti come i contenuti formali e disciplinari che attengono a queste tematiche stanno in relazione con pensieri, teorie, gesti, azioni, comportamenti del quotidiano. “La scuola se ne deve preoccupare di questa dimensione… perché connaturata al bambino…” Questioni complesse, su cui è difficile trovare un’interpretazione univoca e un confronto con il dibattito nazionale e accademico, con i campi disciplinari della pedagogia e della teologia. Le dimensioni religiosa e spirituale ci sembrano non appartenere solo ad uno specifico campo di esperienza, ma nello stesso tempo è importante affermare la loro specificità, che è connotata e connota identità, luoghi, forme, saperi. Quindi se da una parte è fondamentale leggere questa dimensione in modo trasversale nelle diverse esperienze che i bambini realizzano, dall’altra è coerente cogliere la loro componente specifica per sostenerla, darle cassa di risonanza e possibilità di crescita e di visibilità: “le stesse famiglie ci dicono che la spiritualità Provare a capirsi 59 dei bambini va colta nella quotidianità”. Le pratiche agite nella scuola diventano, in tal senso, occasione di scambio e di confronto, luogo di negoziazione in cui i bambini sperimentano che la convivenza richiede la costruzione di convenzioni e di un sentire comune per sentirsi ed essere parte di un progetto collettivo di etica dell’incontro e di reale democrazia. questioni aperte da insegnanti e pedagogisti provare a capirsi mettere a confronto le differenze non-neutralità in educazione dimensione organizzativa come contesto ecologico di sviluppo documentazione come attività educativa riflessiva e democratica conoscenza come risultato fluido e provvisorio di una negoziazione di più punti di vista il valore della quotidianità come progetto di vita appassionante lotta semantica dibattito sull’idea di scuola pubblica per informazioni: Via Bligny, 1/a 42100 Reggio Emilia tel. +39 0522 513752 fax +39 0522 920414 e-mail: [email protected] website: http://www.reggiochildren.it http://zerosei.comune.re.it