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provare a capirsi
PROVARE A CAPIRSI
documento di studio
Scuole dell’infanzia Comunali e FISM
Casalgrande_Correggio
Reggio Emilia_Rubiera_Scandiano
Regione Emilia-Romagna
Provare a capirsi
1
documento di studio
a cura di
Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico
Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia
Daniela Lanzi, pedagogista
Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia
Nadia Agazzi, Progetti di formazione professionale, Rapporti e scambi
nazionali Reggio Children
impaginazione
Annamaria Mucchi, Reggio Children
grafiche
realizzate da bambine e bambini delle scuole dell’infanzia “Balducci” e “Neruda” (Reggio Emilia)
“ponte” a pag. 8, tratto dal Catalogo della Mostra “I cento linguaggi dei bambini”, Reggio Children editore, 1996
grafica di copertina
realizzata da bambine e bambini della scuola dell’infanzia “Diana” (Reggio Emilia), tratta da
“Sipario. Anello delle trasformazioni”, Reggio Children editore, 2002
questioni aperte
parole tratte da conversazioni di bambine e bambini delle scuole dell’infanzia “Balducci” (Reggio Emilia)
e “Corradi” (Arceto, RE)
pagg. 2-3
questioni aperte
parole tratte dagli interventi di insegnanti e pedagogisti protagonisti degli scambi
pagg. 60-61
Reggio Emilia, giugno 2006
È vietata ogni riproduzione, anche parziale, senza preventiva autorizzazione.
PROVARE A CAPIRSI
questioni aperte dalle bambine e dai bambini
conversare vuol dire tipo mettersi tutti in
e poi fare una riunione...
cerchio
vuol dire unirsi e andare
a mangiare
quando ci sono due idee diverse,
di gioco, alla fine ne fanno uno solo,
che hanno deciso insieme, scambiandosi le idee...
puoi anche stare con un’idea degli
è un modo un
po’ e un po’
altri
accordo
coraggio
per mettersi d’
ci vuole tanto
tempo, ma anche tanta pazienza
e anche molto, molto
per dire le
cose, anche se non è sicuro che andranno bene
agli altri...
però, se ascolti il tuo cuore, che ti dice di avere
molto coraggio, non c’è niente da temere, perchè
anche se gli altri ti dicono no,
tu puoi sempre pensare a un’altra idea,
cambiarla
è uno scambio di pensare!
puoi unirti all’idea degli altri
le idee si attaccano
con la colla del cuore
della passione
e del cervello
bisogna
dirsi le idee
e poi
attaccarle,
le idee
protagonisti
scambi pedagogici tra le scuole
“ALBERO AZZURRO” scuola dell’infanzia comunale
via Prampolini, 22 – 42048 Rubiera (RE) – tel. 0522 620957
“ERNESTO BALDUCCI” scuola dell’infanzia comunale
via della Canalina, 36 – 42100 Reggio Emilia
tel. 0522 294952 – fax 0522 289510 – e-mail: [email protected]
“CAMPI SONCINI” scuola dell’infanzia FISM
via Veneri, 94 – 42100 Reggio Emilia – tel. 0522 511519
“CHOREIA” scuola dell’infanzia cooperativa
via Gramsci, 5/D – 42100 Reggio Emilia – tel/fax 0522 232097
e-mail: [email protected]
“SEBASTIANO CORRADI” scuola dell’infanzia FISM
via Pagliani G., 19/a – 42010 Arceto (RE) – tel/fax 0522 989856
e-mail: [email protected]
“U. FARRI” scuola dell’infanzia comunale
via Gramsci, 12 – 42013 Casalgrande (RE) – tel. 0522 849421
“FIGLIE DEL GESU’” scuola dell’infanzia FISM
via Emilia Est, 18 – 42048 Rubiera (RE) – tel. 0522 626252
“GHIDONI MANDRIOLO” scuola dell’infanzia comunale
via Mandriolo, 8 – 42015 Correggio (RE) – tel. 0522 693442
“GIOVANNI RECORDATI” scuola dell’infanzia FISM
via Gambara, 35 – 42015 Correggio (RE) – tel. 0522 693257
“M. VALENTINI” scuola dell’infanzia FISM
via 1°Maggio, 53 – 42010 Salvaterra (RE) – tel. 0522 846955
con
Nadia Agazzi, Tiziana Bartoli, Francesca Bianchi, Franco Bolondi,
Margherita Bonacini, Marilena Campioli, Maurizio Casini,
Ileana Cavaletti, Paola Cavazzoni, Daniela Chioffi, Ilenia Colli,
Laura Germini, Bruna Elena Giacopini, Sabrina Ghizzoni, Rita Gozzi,
Katia Iotti, Daniela Lanzi, Daniela Martini, Maria Mengalli Suor Celeste,
Manuela Munari, Suor Maddalena Perini, Ermanno Rinaldini,
Mariannina Sciotti, Glenda Toni
coordinamento
Nadia Agazzi, Progetti di formazione professionale, Rapporti e scambi
nazionali Reggio Children
Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico
Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia
indice
7
protagonisti
11
introduzione
Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico
Comune di Reggio Emilia
15
premessa
Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM
19
metodologia di lavoro e snodi teorici
Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande
27
la scuola è luogo di esperienza e progettazione?
Ileana Cavaletti, pedagogista Comune di Correggio
Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM
35
cosa significa educare?
Margherita Bonacini, pedagogista FISM
Daniela Martini, dirigente Comune di Rubiera
43
la documentazione è comunicazione e formazione?
Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande
Katia Iotti, pedagogista scuola FISM di Arceto (Scandiano)
53
riflessioni intorno alla dimensione religiosa e spirituale
Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico
Comune di Reggio Emilia
Daniela Lanzi, pedagogista Comune di Reggio Emilia
Suor Maddalena Perini, coordinatrice scuola FISM di Reggio Emilia
ponte
10
Provare a capirsi
introduzione
Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico
Comune di Reggio Emilia
La bellezza e la tensione di una discussione serrata, tanto da non
accorgerci che era scaduto il tempo che ci eravamo dati, ci ha
convinto che non potevamo tenere solo per noi1 lo sforzo generativo
che ci aveva appassionato nel confronto di due anni di Progetto
Scambi Pedagogici2 a Reggio Emilia.
Un viaggio fatto di visite dialogate, di domande a volte un po’
sospettose, di confronti diretti a volte impegnativi e difficili, di
posizionamenti culturali e sociali intorno all’idea di scuola, di
bambino/uomo/donna, di apprendimento, di educazione.
Un viaggio all’inizio privo di un itinerario prefissato e di immaginari
condivisi, che nel cammino si è rivelato solidale ad un percorso di
crescita per le scuole coinvolte, per gli attori dello scambio, ma
che soprattutto ha smosso vecchie concezioni, andando oltre la
storica separatezza in nome di una ideologica idea di autonomia
tra diverse gestioni di servizi educativi, e che ha dato vita ad una
reale situazione sperimentale di sistema pubblico integrato.
Sono state diverse occasioni per “provare a capirsi”.
Questo è diventato il titolo del documento di lavoro e di studio che
qui presentiamo.
Il titolo non è mai scontato: il nostro si propone come
un’assunzione di responsabilità, una dichiarazione di intenti che
segna una sintesi e insieme sollecita a rimettersi in discussione.
“Provare” - dal latino probus, buono, di buona qualità - richiama la
scelta di mettersi in gioco, di conoscere mediante esperienza, di
sperimentare l’incertezza propositiva dell’incontro e di provare un senso
di gratitudine perché ognuno si è sentito accolto e legittimato ad esporsi.
“Capirsi” va inteso nel senso etimologico di intendere, afferrare,
Provare a capirsi
11
trovarsi d’accordo, accogliere e rivolgersi anche a sé stessi. È
capire l’altro, comprendersi reciprocamente, ma è anche conoscere
di più se stessi.
Il gruppo si è assunto l’impegno di redigere un “Documento di
lavoro e di studio”, (a integrazione del Quaderno Regionale
realizzato a cura di Reggio Children e dei Comuni di Reggio Emilia,
Modena e Bologna nel 2004) con l’intento di testimoniare e
annotare parti della discussione - registrata e successivamente
trascritta in tempi regalati al gruppo da parte di diversi partecipanti
- traendo conforto da citazioni dirette delle conversazioni realizzate.
Sfogliando il testo saltano all’occhio citazioni in corsivo, che riportano
la voce di tante e differenti persone (tra pedagogisti, insegnanti della
FISM, dei Comuni, dei servizi convenzionati) con l’intento di dare
maggiore concretezza alla riflessione proposta, fare intravedere i climi
che ci hanno accompagnato e coinvolgere direttamente chi legge.
Sono contributi che abbiamo scelto di non denominare individualmente,
perché hanno preso vita e significato nella discussione del gruppo.
Impegnativo è stato definire come organizzare le par ti del
documento, pensato in sezioni. Ogni sezione è introdotta dalle
“questioni aperte”, che ci piace proporre perchè le pensiamo
provocatorie per nuove discussioni.
In realtà alcuni aspetti sono trasversali e ritornano con diversa
incisività in tutte le sezioni; altri sono presentati specificatamente.
Sono sezioni scritte a più mani, ciascuna curata da pedagogisti
dell’esperienza FISM e Comunale con stili necessariamente personali,
mentre la scelta dei contenuti è stata ampiamente condivisa.
La rilettura insieme ad alta voce di tutte le par ti scritte ha
immediatamente aperto a nuove riflessioni e chiarimenti e si è
rivelata un vero e proprio percorso formativo. Si sono ripresentati
e ridefiniti, magari provvisoriamente, quelli che avevamo chiamato
gli “aloni e i brusii semantici”, le zone intorno a cui scambiare
opinioni e idee diverse, qualche volta anche divergenti.
Sono nati nuovi confronti intorno alle singole parole intese come
12
Provare a capirsi
concetti e significati: un’operazione di negoziazione e ibridazione
delle idee e delle esperienze, un processo di metalettura.
Il costruire un sapere con l’altro si è tradotto in un luogo/fatto concreto.
Non è stato solo una dichiarazione e un auspicio teorico; ha assunto
il sapore del voler esserci, del voler capire e stare nella discussione.
Le domande dirette, i racconti di esperienze quotidiane riportate
da insegnanti e pedagogiste/i hanno contribuito a prefigurare
scenari comuni e accessibili generando in ciascuna persona del
gruppo un sentimento di pari adeguatezza e titolarità ad intervenire.
Sappiamo che questa par te del percorso è dif ficilmente
rintracciabile nelle pagine che seguono, che hanno prioritariamente
tenuto il filo rosso delle conversazioni pomeridiane del gruppo,
ma credo che volentieri auguriamo ad altri di sentire apprezzato il
proprio contributo e la propria esperienza così come ciascuno di
noi lo ha percepito nei due anni di lavoro insieme.
Per tutto questo si deve un generoso ringraziamento anche alle
colleghe insegnanti, al personale educativo che rimanendo a scuola
con i bambini ci ha accolto o ha consentito alle colleghe di
partecipare al Progetto Scambi Pedagogici. Così come è impossibile
omettere l’apprezzamento per le accoglienze davvero straordinarie
che i genitori e le cuoche ci hanno riservato.
Vorrei lasciare un pensiero come accompagnamento verso le pagine
successive, tratto da Jerome Bruner: “…creiamo e ricreiamo l’identità
mediante la narrativa... il sé è un prodotto del nostro raccontare…”3
1
“Noi” sta per 18 persone tra insegnanti, pedagogisti, dirigenti dei Comuni, della FISM e del privato
convenzionato, referenti di Reggio Children, tutti insieme coinvolti nel Progetto Scambi Pedagogici.
2
“Identità in dialogo. Scambi pedagogici regionali” Quaderno n°8 Servizio politiche familiari, infanzia
e adolescenza. 2004 Delibera di G.R. n. 2253/2000 Progetto biennale della Regione Emilia Romagna
per promuovere relazioni e scambi pedagogici tra diversi soggetti gestori di Servizi educativi per
creare una cultura condivisa del Servizio Educativo. Il Quaderno racconta l’attuazione del progetto
a livello regionale.
3
Jerome Bruner “La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita”, Editori Laterza, 2002 Roma-Bari.
Provare a capirsi
13
questioni aperte
provare a capirsi
pluralità e diversità delle istituzioni
e dei servizi
essere disposti a farsi conoscere
e a mettersi in discussione
incontrare le diversità per recepire il nuovo
meritevole, rivedendo eventualmente
le proprie posizioni, e consolidare
la propria identità con un radicamento
più consapevole
filo conduttore: diritti, formazione,
conoscenza, domande esistenziali,
il mistero...
autenticità educativa e utopia
per alimentare una comune speranza
14
Provare a capirsi
premessa
Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM
Da tutti è condivisa e auspicata, oggi più che mai, l’importanza
dell’educazione e dell’istruzione di ogni persona, di ogni bambino
che viene al mondo. Non possiamo non constatare come nei nostri
contesti sociali tutte le formazioni educative occupino attenzione
e suscitino interesse, oltre ad innumerevoli iniziative: da parte di
enti o di soggetti pubblici e privati, sia al loro interno sia rivolto
alle istituzioni educative più specifiche, in particolare alle scuole,
quindi direttamente ai bambini stessi.
Osservando poi la realtà territoriale che ci circonda, a livello di
nidi e di scuole dell’infanzia, constatiamo una specie di valore
aggiunto, costituito dalla grande pluralità e diversità delle istituzioni
e dei ser vizi. Per assumere però a cer tezza positiva questa
situazione molto diffusa, ci pare importante e necessaria una
condizione: che le diverse realtà istituzionali del territorio e le figure
professionali che le incarnano siano veramente attive, aperte,
capaci di riflettere, di ascoltare e di ascoltarsi, disposte a farsi
conoscere ed a mettersi in discussione.
Solo così il teorema della “diversità uguale a ricchezza” può
avverarsi e diventare premessa per realizzazioni proficue e ottimali,
superando quindi la cultura per la quale la dif ferenza è
contrapposizione.
Incontrare la diversità significa avere la possibilità, oltre che di
recepire il “nuovo” meritevole, rivedendo eventualmente le proprie
posizioni, anche di consolidare la propria identità con un
radicamento ancora più forte poichè consapevole.
Il Progetto Scambi Pedagogici, che dà vita a questo documento,
ha voluto e vuole andare in questa direzione, dissodare questo
terreno, nello sforzo di un percorso voluto coerente e concreto,
Provare a capirsi
15
imparziale e rispettoso. Ha assunto dunque a filo conduttore i
diritti che spettano al bambino, a tutte le bambine ed i bambini:
quello della formazione e della conoscenza ispirate alle diverse
culture, alle diverse storie, fino alle domande esistenziali e anche
al mistero; quello della coerenza, perseguita da educatori protesi
nell’impegno a sapere e a dover essere, ma anche a dichiararsi
per superare una velleitaria neutralità.
Se l’insegnante, l’educatore, com’è stato ripetutamente affermato
nei nostri incontri, “fa quello che è”, come tale ha il dovere di
essere, anche nel dubbio, nella semplicità, nella quotidiana ricerca
assieme al bambino.
Quasi sempre durante i lavori non solo è stato ricercato il vero
dialogo, in ascolto e confronto, ma “una autenticità” educativa e
perfino l’utopia hanno continuato ad alimentare ed a far convergere
una comune speranza.
In relazione alla delibera della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna,
(attuativa delle leggi regionali 10/1999 e 1/2000) è stato attivato
un progetto formativo volto a “… sollecitare uno scambio di culture e
di esperienze tra le diverse realtà locali e i diversi interlocutori…(con)…
l’attivazione di scambi pedagogici…(per)… la costruzione di una cultura
del confronto che, valorizzando le specificità di ognuno, contribuisca
a far diventare ricchezza le differenze…”
Si è così costituito un gruppo intraregionale di coordinatori
pedagogici e di docenti, si è scelto un campo d’azione individuando
alcune scuole dell’infanzia di diversa natura gestionale e si è
provveduto ad impostare un compito conoscitivo e di
approfondimento che ha visto attuare visite dialogate, conoscenza
diretta di strutture e di attività, di spazi e di materiali, incontri di
discussione e di approfondimento nelle singole scuole.
Il gruppo ha operato per tre anni, ora con riunioni più ristrette ora
più allargate, inizialmente ha visto comparire alcune prevedibili
16
Provare a capirsi
difficoltà, qualche timore e qualche reticenza; ma nel prosieguo
degli incontri sono subentrate via via grande fiducia, disponibilità,
apertura e serenità, che hanno qualificato e consolidato sempre
più il confronto e la conoscenza vicendevole tra realtà diverse e
idee diverse.
Si sono percepite e vissute fasi di ascolto molto interessato, così
come parecchi momenti di sincera ricezione e di profonda
riflessione, che hanno potuto adire non solo ai livelli professionali,
ma anche a quelli personali.
Pur sottintendendo un proposito iniziale comune, il gruppo ha visto
prevalere quasi naturalmente, cammin facendo, in particolare
alcuni temi di fondo della problematica educativa e scolastica, la
cui traccia di discussione costituisce appunto l’oggetto del presente
documento:
- metodologia di lavoro e snodi teorici
- la scuola è luogo di esperienza e progettazione?
- cosa significa educare?
- la documentazione è comunicazione e formazione?
- riflessioni intorno alla dimensione religiosa e spirituale.
Provare a capirsi
17
questioni aperte
far parlare i servizi tra loro
non neutralità in educazione
visite dialogate come momenti
di ospitalità, incontro, viaggio, scoperta tra
pedagogisti ed insegnanti
tensione verso... cercare di capire
le ragioni dell’altro
progetto aperto, verificabile in itinere
18
Provare a capirsi
metodologia di lavoro e snodi teorici
come si è definito il progetto
Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande
Nella dimensione geografica e politica della Provincia di Reggio
Emilia, in cui il nostro gruppo di progetto Scambi Pedagogici è
nato e si è mosso, esistono diversi gestori dei servizi di scuola
dell’infanzia: lo Stato, i Comuni, le scuole appar tenenti al
coordinamento FISM e ad altre gestioni.
Confrontandosi su alcuni dati, il Gruppo Scambi si è posto fin da
subito l’obiettivo di raccogliere informazioni ed elementi di
conoscenza sui rapporti, le relazioni, gli incontri e gli scambi
informali e formali esistenti a livello di ogni distretto, nel quadro
suggerito dalle politiche regionali “di sostenere il raccordo tra le
istituzioni pubbliche e i soggetti privati in una logica di sistema
educativo territoriale”.
Il gruppo ha cosi riferito dell’esistenza di un insieme di relazioni
tra le scuole, connotato, in prevalenza, da momenti formali, di
livello istituzionale, politico, “genericamente” culturale.
In altre parole, il gruppo ha riscontrato l’esistenza sì di un “dialogo”,
tra scuole comunali e autonome, ma collocato su piani organizzativi
generali, sul confronto tra scelte di sfondo, o su motivi pratici di
gestione scolastica (le rette, le ammissioni dei bambini, etc.) che,
pur importantissimi, in quanto tali si definiscono su un piano di
analisi diverso da quello delle esperienze educative quotidiane
con i bambini e le famiglie.
In altri casi, il gruppo ha rilevato come il dibattito tra le tipologie di
scuola si sia andato, nel tempo, caratterizzando come confronto
di modelli pedagogici, con riferimenti storici di grande rilievo e
peso teorico (Agazzi, Montessori, Piaget, etc.).
Provare a capirsi
19
Senza negare il valore della teoria in quanto tale, partire da un
confronto astratto sui modelli teorici è sembrato al Gruppo Scambi
come un esercizio “non utile” alla realizzazione del progetto di
messa in dialogo e in comunicazione di realtà ed esperienze
educative concrete.
Nel complesso si è avuta l’impressione che negli anni, in molte
occasioni di incontro e di confronto delle scuole comunali e FISM,
si sia parlato di servizi educativi, sui servizi educativi, attraverso
figure qualificate, ma esterne ad essi, più che far parlare i servizi
tra loro, nell’ambito della concretezza e di una quotidianità fatta
di bambini, famiglie, educatori, tempi e spazi organizzati di vita,
di attese, progetti, emozioni.
Dopo questa prima fase “esplorativa”, il Gruppo Scambi si è
proposto di spostare la riflessione non semplicemente dall’astratto
al concreto, dalla teoria alla prassi, ma da riflessioni fatte “sui
servizi” a riflessioni “che nascano da un incontro effettivo, emotivo,
personale e intellettuale tra servizi; intesi come contesti educativi
fatti di relazioni tra persone, di memorie individuali e collettive, di
documentazioni, di mentalità, progetti, sensibilità”.
Questa riformulazione del piano e dell’obiettivo, riassumibile nel
concetto di “individuare una strategia atta a far incontrare e parlare
tra di loro le esperienze educative delle singole scuole”, ha richiesto
al gruppo un passaggio ulteriore: quello di posizionarsi rispetto al
proprio mandato.
Il gruppo ha concluso di sentirsi incaricato non della esecuzione
di un compito ma della costruzione, incer ta e rischiosa, ma
contemporaneamente allettante ed entusiasmante, di un progetto
aper to, verificabile in itinere e capace di consolidare alcune
acquisizioni di saperi: in questo senso il gruppo ha cominciato a
percepirsi come un gruppo di progetto.
“Penso… che lo scambio sia incontrare le esperienze e il meno
possibile lavoro di ufficio. Incontrarsi per visitare, per discutere,
20
Provare a capirsi
per stare dentro ai vissuti ed affrontare anche conoscenze
istituzionali… decideremo insieme argomenti e tempi”.
A questo punto del percorso si sono prefigurati per il gruppo due
ulteriori passaggi:
- il primo è stato quello di evitare un confronto su un binomio
contrappositivo e conflittuale, quello di pubblico-privato, che se è
parso caratterizzare il dibattito storico sulla scuola è apparso
tuttavia, in questa sede progettuale, piuttosto sterile e fuorviante;
- il secondo passaggio è stato quello relativo alla considerazione
che strategie come confrontarsi, scambiarsi, incontrarsi,
sicuramente propongono ad ognuno percorsi di cambiamento di
sé e del proprio modo di percepirsi. A parere del gruppo, tali
strategie, certamente stimolanti, non presuppongono l’abbandono
dei propri stili originali nell’accostare i problemi dell’educazione
dentro i servizi e nelle concrete esperienze di ogni giorno.
Il gruppo ha condiviso il rifiuto di quello che può essere definito
come “agnosticismo pedagogico” per riaffermare la forza, il valore
e il senso della non-neutralità in educazione, della necessità di
avere ragionate e motivate convinzioni, che tanto si
approfondiscono e si rafforzano quanto più sono in grado di
mettersi in dialogo con chi ha convinzioni diverse dalle nostre.
Questo lavoro di riflessione e contemporaneamente di conoscenza
reciproca tra i protagonisti ha impegnato la parte iniziale del
progetto. Nel suo significato più profondo si è configurata come
una fase nella quale si è cercato di costruire un senso di
appartenenza al gruppo e al progetto: una fase in cui, con grande
tensione ed energia si è cercato di capire e conoscere le ragioni
dell’altro, una tensione verso che ha connotato il tempo e il divenire
di tutto il percorso.
Successivamente il gruppo si è proposto di ar ticolare un
Provare a capirsi
21
ragionamento condiviso attorno ad alcune scelte metodologiche
di fondo in grado di orientare le attese e le valutazioni di ognuno in
riferimento ai primi progettati incontri con i servizi.
La prima decisione è stata quella di attivare delle visite veramente
dialogate all’interno dei servizi comunali e FISM. Tali visite sono
state pensate come momenti di ospitalità, di incontro, di viaggio,
di scoperta, accompagnate dalla grande scelta di valore di avere
sempre la presenza insieme di pedagogisti e insegnanti
appartenenti ad ogni servizio partecipante al progetto.
Alle visite è stato affiancato al pomeriggio uno spazio di confronto tra
gli attori: tali momenti (tutti documentati con verbali, registrazioni e
sintesi scritte da parte dei diversi soggetti) si sono costruiti come
occasione di dialogo e di confronto in grado di mettere a punto focus
specifici di discussione e di documentazione degli approfondimenti.
“Penso che questo tavolo possa essere la sede dove si individuano
i focus che andremo a discutere e a riflettere”.
“Anche i documenti e le documentazioni dovrebbero diventare
materiale di riflessione per fissare focus di osservazione durante
le visite ed elementi di lavoro nei gruppi pomeridiani: documenti
scritti importanti poi per consentire dentro alle singole scuole
dibattiti e approfondimenti a partire da materiali confrontabili”.
Come entrare in un contesto educativo
Si può dire che le conversazioni realizzate al mattino dopo la visita
e al pomeriggio siano state un primo momento di un percorso di
meta-lettura dei significati dei contesti educativi visitati, scoperti
e conosciuti.
Un primo momento di un percorso più lungo e più articolato che ha
condotto alla formulazione di alcune domande guida sulla
esplorazione dei contesti educativi.
Il gruppo ha dato a quelle domande una forma riassuntiva che può
essere esposta in questo modo:
22
Provare a capirsi
- Come entrare in un contesto educativo?
- Come vedere, rivedere, conoscere e rendere comunicabili i
processi di relazione e di conoscenza che in quel contesto educativo
avvengono?
- Come confrontare, approfondire e connettere i livelli delle
dichiarazioni e delle intenzioni educative alle concrete prassi e
relazioni tra persone, ambienti e oggetti?
In conclusione
Ci piace sottolineare (anche per dare valore al lavoro vissuto dal
gruppo) una prima traccia di riflessioni, che può essere così
riproposta: l’obiettivo di questo percorso for mativo è,
principalmente, quello di generare pensieri e riflessioni con i
soggetti coinvolti, mettendo in dialogo esperienze educative diverse.
Cosa significa avere un atteggiamento esperienziale, di ascolto
attivo, cioè capace di rispettare la complessità dei contesti, la
loro evoluzione, la loro memoria?
Se è vero che nel processo della conoscenza sono impliciti i concetti
di previsione e di attesa, da parte di ogni soggetto coinvolto, quale
lavoro su se stessi, nel dialogo con gli altri, è in grado di modificare
stereotipi, pregiudizi, generalizzazioni e riduzionismi?
Nello specifico delle visite pedagogiche, come valutare e ridiscutere
quello che si è visto e percepito in una full immersion di poche ore?
Come interrogare e re-interrogare queste percezioni, immagini, idee?
Ciò che struttura i contesti educativi sono i significati, i valori, che
vengono agiti, pensati e interpretati dalle persone che li abitano.
Tali significati sono processi aperti, non cose date una volta per
tutte. Come chiarire/esplicitare tali significati delle azioni
quotidiane? Come confrontarsi in gruppo su di essi? Come renderli
visibili/condivisibili?
Entrare in un luogo abitato per capirlo, per coglierne i processi, è
Provare a capirsi
23
quindi una operazione di scambio e di comunicazione con quel
luogo che immediatamente cambia il soggetto che lo attua e gli
propone di costruirsi una mappa conoscitiva/orientativa:
Quali i punti chiave di questa mappa? (dagli aspetti organizzativi e
culturali, dalle relazioni interne al servizio alle modalità di rapporto
con i genitori e con le altre istituzioni).
Queste riflessioni, seppur nella loro frammentarietà, possono aprire
la strada ad un ulteriore approfondimento del senso stesso del
progetto scambi pedagogici.
Una progettualità che si è andata configurando sempre più come
un progetto di costruzione di una relazione tra soggetti, vicini e
diversi. Un progetto teso a sondare i significati e le conseguenze
di questa relazione in costruzione; capace di dare luoghi e spazi di
sviluppo alla relazione tra scuole FISM, scuole comunali e
convenzionate.
Questo può essere fatto rilanciando una serie di questioni che
vorrebbero diventare generatrici di ulteriori approfondimenti, in
particolare su che cosa significa che i servizi educativi di un
territorio sono integrati, che cosa significa fare formazione insieme
tra vari servizi e infine cosa significa continuità–dialogo–scambio
tra servizi educativi di uno stesso territorio.
24
Provare a capirsi
è la mia testa che fa un pensiero
Provare a capirsi
25
questioni aperte
dimensione organizzativa come contesto
ecologico di sviluppo
scuola come attitudine
ad un percorrimento comune
come comunità allargata
documentazione per un’attività riflessiva e
democratica
la rielaborazione conduce
ad un apprendimento consapevole
che costruisce significato
il diritto a perdere e prendere tempo...
darsi tempo per capire
26
Provare a capirsi
la scuola è luogo di esperienza
e progettazione?
Ileana Cavaletti, pedagogista Comune di Correggio
Ermanno Rinaldini, pedagogista FISM
I contenuti di questo capitolo sono da leggersi come prime
indicazioni di tratti essenziali di esperienze educative che si
realizzano quotidianamente all’interno delle diverse scuole
dell’infanzia.
La riflessione che ha seguito il gruppo è stata centrata sulla ricerca
di un’identità di scuola che, nel rispetto delle differenze, ci
restituisse un senso condiviso che dichiarasse i riferimenti e i
valori che la sottendono e la costituiscono.
Come già dichiarato nelle pagine precedenti all’inizio degli scambi
dialogati il gruppo ha sentito forte l’esigenza di confrontarsi
sull’organizzazione dei ser vizi: “gli orari della scuola e del
personale, l’organizzazione del personale ausiliario, la gestione
sociale… ogni scuola mi ha rimandato un’immagine propria, con
peculiarità precise e con obiettivi ben motivati”.
Questo ci ha aiutato a mettere a fuoco una questione nodale:
l’organizzazione di ogni servizio fa riferimento a proprie filosofie di
base che lo sottendono, finalizzate al raggiungimento di obiettivi
condivisi. La dimensione organizzativa rappresenta quindi,
all’interno della riflessione del gruppo, quel “contesto ecologico
di sviluppo” che caratterizza la qualità della scuola dell’infanzia:
“…che la scuola sia dotata intrinsecamente di una etica, da
costruire con i bambini, con tutti i soggetti, nella società...
un’attitudine ad un percorrimento comune”.
Un tratto fondamentale che è emerso ed ha connotato
costantemente tutto il percorso di lavoro è stato il vedere e il
percepire la scuola dell’infanzia come comunità allargata, come
Provare a capirsi
27
sistema di relazioni dove comunicazione e interazione, ascolto e
dialogo si intrecciano in tutti i rapporti, non solo tra insegnanti e
bambini.
Sostando a parlare di scuola dell’infanzia ci si accorge di dover
mettere in relazione tutti i soggetti e i protagonisti coinvolti nella
loro specificità, ma soprattutto nella complessità dei rapporti, tenuti
in rete dal vero protagonista che è il bambino.
Le famiglie e i genitori sono portatori di competenze, di idee e
vissuti che provengono dal loro essere genitori e cittadini, ma anche
di ansie e di aspettative, indotte dal ruolo e dal contesto sociale
che, assieme ai loro bambini, si trovano a condividere.
La comune responsabilità educativa – scuola e famiglia – sostiene
e promuove il rapporto con gli insegnanti e quindi con la scuola,
che si attiva per costituire, offrire e mantenere momenti e luoghi
di confronto, dove conoscersi e riconoscersi nella propria
complementarità educativa, pur nella consapevolezza di come le
diverse persone stiano dentro a questi momenti con le proprie
specificità e diversi punti di vista.
Diventa quindi fondamentale condividere insieme le linee e le
pratiche educative superando la dicotomia tra una scuola
competente e una famiglia incompetente “…dai genitori
aspettiamoci competenze, ma aspettiamoci che rimangano genitori,
che non diventino insegnanti… bisogna mantenere come qualità
il fatto che i genitori sono una risorsa, una grandissima risorsa, E
sono genitori, non MA sono genitori”.
Rimane l’intento di una scuola che, mentre si ritiene in qualche
modo supporto educativo alla famiglia, cui dedica tempi e attente
competenze professionali, considera: “… quel genitore il migliore
possibile per quel bambino… questo discorso dei genitori come
risorsa noi dobbiamo sempre tenerlo presente, risorsa nel contesto
educativo e nella relazione e anche nella documentazione, nella
lettura della documentazione”.
Educare è una pratica universale nella quale entrano valori costruiti
28
Provare a capirsi
in dialogo.
La documentazione, infatti, riconosciuta come uno degli elementi
fondanti l’identità della scuola dell’infanzia, è per sua natura
strumento costitutivo di relazioni in quanto dà visibilità al lavoro
svolto, interpreta ed apre ad ulteriori interpretazioni, attribuisce
significati e valori, che a loro volta suscitano confronti, interrogativi
e riflessioni. In questo senso la documentazione è strumento in
grado di favorire un’attività educativa riflessiva e democratica.
L’identità della scuola, di ogni scuola, si stratifica nel tempo anche
attraverso una memoria “scritta e visiva” che permanendo la rende
maggiormente riconoscibile all’esterno.
La rete partecipativa si costruisce intorno alla documentazione e,
come alcuni studiosi sostengono, le scuole sono luoghi di
educazione democratica attraverso la pratica della documentazione
pedagogica.
Queste considerazioni e le stesse riflessioni sull’esperienza
educativa in atto non possono non lasciare spazio ad alcuni
interrogativi che la scuola deve continuare a porsi: quanto
compaiono i genitori negli spazi comunicativi? Ci sono spazi per
raccogliere idee, per esprimere bisogni… e successivamente la
scuola cosa se ne fa?
Ci sembra che ad allargare e ad integrare la rete delle relazioni,
oltre il rapporto scuola-famiglia, nelle nostre realtà educative
vediamo aggiungersi costantemente e diffusamente le diverse
realtà territoriali e sociali circostanti la scuola: dal mondo della
natura alle istituzioni, dai luoghi pubblici ai luoghi di lavoro.
La scuola, ritenendo necessarie ricche esperienze educative per
lo sviluppo della particolare configurazione di interessi e abilità di
ogni persona, si apre ad un’ampia gamma di possibilità di
apprendimento.
Le innumerevoli occasioni e gli spunti concreti assunti come stimolo
alla conoscenza o come oggetto problematico di ricerca, si
trasformano, ad opera della scuola, in percorsi progettuali dove
Provare a capirsi
29
prevalgono un’impostazione ed uno sviluppo dinamico, ma
soprattutto un diretto riferimento al piano dell’esperienza.
L’esperienza è riscontrata e riconosciuta basilare per ogni attività
e per ogni processo conoscitivo che la scuola dell’infanzia voglia
intraprendere con il bambino/con i bambini: sempre sollecita a
suscitare problemi e ipotesi, a porre domande, a proiettarsi nella
ricerca di sensi e significati, ad accogliere l’errore come parte
strutturante del processo cognitivo, poiché è dalla rottura degli
schemi che si originano il pensiero creativo e il pensiero divergente.
La scuola deve sollecitare il bambino a sperimentare e a
sperimentarsi, orientandolo a una pluralità di scelte possibili,
offrendo delle indicazioni di fondo e non delle direzioni precise. In
questo senso l’orientamento fa appello all’autonomia personale,
rafforzando nel bambino la sicurezza in se stesso e la capacità di
elaborare strategie proprie per superare eventuali problemi e
progredire nella conoscenza.
Le innegabili connotazioni istituzionali della scuola le riconsegnano
continuamente impegni, attenzioni e atteggiamenti capaci di interrogarsi
e di riproporsi sia sul piano organizzativo che su quello didattico.
Abbiamo molto discusso intorno a come le modalità di lavoro
progettuali, piuttosto che quelle programmatorie, agevolino queste
istanze di flessibilità: il progetto evoca l’idea di un percorso più
aperto e dinamico, implica l’aggiustamento e la progressione delle
idee, si sviluppa nelle circostanze. Richiede ascolto, curiosità,
attenzione, flessibilità. L’approccio progettuale ha tra i suoi obiettivi
quello di arricchire, sviluppare e mantenere vivi il maggior numero
di “possibili”, consentendo ai bambini e agli adulti di ricercare
continuamente e di arricchirsi delle loro stesse scoperte e di quelle
degli altri: “…il sapere lo costruiamo insieme agli altri anche se
all’interno c’è la nostra soggettività”.
Nel percorso di lavoro è emersa ripetutamente l’impor tante
30
Provare a capirsi
attenzione della scuola nell’esplicare il suo peculiare compito di
mediazione didattica, cioè sostenere la complessità del processo
di apprendimento in tutte le sue diverse dimensioni: dal
protagonismo del soggetto con il suo sapere, alle relazioni con gli
altri, alle connessioni con il contesto e il contenuto, all’articolazione
nel tempo, alla sequenza reticolare: “…il nodo è pensare la scuola
oggi in un contesto così largo, gravido d’informazioni… la scuola
si deve preoccupare del livello della comprensione,
dell’approfondimento, di come si struttura la conoscenza… perché
aver incontrato l’informazione non significa comprendere
l’informazione. Quindi c’è un livello di elaborazione da costruire
sull’informazione”.
L’apprendimento avviene anche grazie a processi qualitativi di
rielaborazione, di riflessione della mente in cui si tiene insieme il
fare e il conoscere con il saper fare e il saper conoscere. La
rielaborazione conduce ad un apprendimento consapevole che
costruisce significato.
Una delle strategie forti, certamente molto praticata all’interno
delle scuole, è quella della conversazione intorno ad un problema
o ad un argomento, dove spesso la parola diviene fulcro della
negoziazione del gruppo, diviene un’offerta di idee, ma anche un
superamento ed una trasformazione delle idee. Rappresenta una
delle condizioni privilegiate per la co-costruzione della conoscenza:
“conoscenza come risultato fluido e provvisorio di una negoziazione
di più punti di vista”.
La conversazione può essere una delle opportunità per sostare
su domande e temi più a lungo, per mettere “al rallentatore” o per
enfatizzare certi passaggi cruciali del percorso cognitivo o della
vita relazionale: “nella scuola dell’infanzia c’è forse ancora la
possibilità di dare ai bambini l’opportunità di andare avanti coi
loro tempi, di tornare indietro… mentre credo che purtroppo alle
elementari, alle medie - e non parliamo delle superiori - non
abbiano più il tempo di sostare sulle cose che hanno imparato,
Provare a capirsi
31
che si sono trasmessi da alunno ad alunno”.
Abbiamo sostato su che cosa significa accogliere i tempi dei
bambini. Rispettare i loro tempi è fondamentale perché solo così
si rispettano i tempi dei processi di conoscenza di adulti e bambini.
Il tempo diventa un valore nella scuola d’oggi ed il “perdere e
prendere tempo”, nel senso di dedicare del tempo a conversare, è
una condizione necessaria. Una scuola che ascolta mette in conto
la possibilità di “perdere tempo”. In educazione, dice Rousseau,
non si tratta di guadagnar tempo ma di perderlo. Ascoltare il
bambino nel suo conversare con i compagni, gli adulti, permette
agli educatori di cogliere interessi, motivazioni, direzioni, segnali.
Questa riflessione ci pare valga anche per gli/le insegnanti: il diritto
a darsi tempo per capire…
Un altro aspetto che ci ha restituito a più riprese confronti e
approfondimenti è il valore della quotidianità e la portata esperienziale
di pari dignità tra i diversi percorsi tematici e le quotidianità intese
come progetto di vita e di relazioni dell’arco giornaliero, tendente a
salvaguardare come sfondo il benessere comune.
Una scuola come comunità educante sempre presente, che
mantiene ed esprime dei valori e che si preoccupa della conoscenza
e della crescita di ciascun individuo, dell’accettazione dell’altro,
della cura e della consapevolezza dei sentimenti, dei valori
fondamentali dell’uomo e della convivenza, dell’esercizio della
responsabilità, dell’attesa, della rinuncia, della volontà.
Le visite dialogate alle diverse scuole e i numerosi confronti di
riflessione ci hanno riproposto la necessità che la scuola sia il più
possibile in grado di costituirsi come luogo capace di proporre e di
utilizzare i diversi linguaggi comunicativi ed espressivi, che vadano
a cogliere e a stimolare le diverse potenzialità dei singoli; una
scuola capace di rivolgersi ad un bambino che sa cogliere
l’opportunità di esprimersi attraverso molti linguaggi, di crearne
32
Provare a capirsi
dei nuovi in costante dialogo con i coetanei.
Passaggi, questi, generativi di conoscenza, in quanto spostamenti
laboriosi, sottigliezze intuitive, che tendono a problematizzare e quindi
ad arricchire le conoscenze che il bambino e gli adulti possiedono.
Rispetto alla dimensione dei valori e all’importanza della quotidianità
non è certamente sfuggita la situazione educativa delle nostre
scuole, immerse come punto d’incontro, nelle grandi differenze
etniche, culturali e religiose, ormai tipiche della nostra società.
Obiettivo mirato e basilare, è prevalso quello di educare alla
differenza e alla sua positività, creando interesse alla conoscenza
e al dialogo con le diversità dell’altro. A questo proposito il gruppo
ha riflettuto sulla complessità dei nostri contesti educativi dove,
proprio come nella nostra contemporaneità sociale e culturale, si
intrecciano diverse appar tenenze emotivo-affettive, lingue e
linguaggi diversi, diverse rappresentazioni culturali, differenti valori
e religioni.
L’interesse, la curiosità e la conoscenza, assieme al coinvolgimento
diretto delle famiglie di altri Paesi, sembrano poter costruire, su
campi “geograficamente” e culturalmente allargati, la base
didattico-operativa, ma anche progettuale dell’azione della scuola
dell’infanzia, un’azione che deve tradursi in pratica educativa non
occasionale ma prevista, in intenzionalità pedagogica costante.
Dunque una scuola che, pur non sottraendosi ai suoi compiti di
regia preposta, sa farsi luogo dove ogni bambino e adulto vive e
lascia il segno di sé.
Provare a capirsi
33
questioni aperte
evitare scrupolosamente la precipitazione
e la prevenzione
identità è creatività, intelligenza,
storia personale
avviare una ricerca sulle domande
della vita (come approccio dell’uomo verso
il conoscere e il conoscersi)
rendere visibile e confrontabile
ciò che si incontra e vive in una scuola,
nella consapevolezza
di non tenere separate teorie e prassi,
valori e pratiche educative quotidiane
esistono più immagini di bambino
collocate in contesti
sempre più complessi
34
Provare a capirsi
cosa significa educare?
Margherita Bonacini, pedagogista FISM
Daniela Martini, dirigente Comune di Rubiera
La complessità come superamento del pregiudizio
Uno dei tanti obiettivi del lavoro del gruppo coincideva con il
tentativo di aprire occasioni di confronto sulle idee di bambino in
uno scambio fra pensieri ed esperienze professionali dei diversi
soggetti e contesti educanti. Si voleva andare oltre le differenze di
interpretazioni o riletture frutto di atteggiamenti e presupposti
ideologici e pregiudiziali, per creare occasioni in cui fare emergere
il pensiero di tutti, nella ricerca dei valori di sfondo e nella
delineazione dei diversi contesti educativi, par tendo dal
presupposto che “nessuno può bastare a se stesso e ogni
momento di incontro arricchisce, soprattutto se emergono le qualità
di ognuno che sono legate alle storie personali, al territorio, alle
organizzazioni, all’idea che ogni esperienza è unica e che non può
essere riprodotta, ma può allargare gli orizzonti di tutti”.
Cartesio affermava: “La prima regola è di non accettare mai nulla
per vero, senza conoscerlo, evidentemente come tale: cioè evitare
scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione…”
Un’affermazione da cui siamo partiti per sollecitare il superamento
del “pregiudizio”, per avvicinare le diverse realtà, per approfondire
la complessità che caratterizza il contesto educativo nel quale
ogni giorno ci collochiamo e operiamo. Edgar Morin sostiene che
la complessità si presenta come difficoltà e come incertezza. La
pluralità, la complicazione fanno parte della quotidianità, della
realtà sociale, della ricerca costante di ogni singolo individuo. Si
può essere osservatori esterni della complessità?
No! Abbiamo ritenuto che la complessità vada colta e vissuta
attraverso il ruolo di osservatore partecipante, assumendola come
metodologia intrinseca del proprio lavoro. Per Gregory Bateson
Provare a capirsi
35
essere parte della complessità significa “…concepire un potere
più grande dell’io nel quale siano compresi almeno gli elementi coi
quali l’io si rapporta e i rapporti di questi con gli altri e così via”.
Le relazioni fra le parti ed il tutto e fra il tutto e le parti, che
caratterizzano i processi di crescita di ogni individuo, costruiscono
una rete che connette, una meta-struttura, una struttura di
strutture. Nella complessità i dati, le esperienze, vanno
contestualizzati nelle realtà spazio-temporali propri di quel momento
e di quella situazione, costituendo un tutt’uno con esse. In questo
continuo processo e attraverso l’impostazione di relazioni
complesse fra gli individui e l’ambiente di vita si creano le identità,
le singole identità, portatrici di grandi risorse psichiche quali la
personalità, le intelligenze, la spiritualità ecc…
“Crescere significa dunque costruire, creare, par tendo dalle
esperienze e dalle strutture precedenti (appartenenti a ciascuno
di noi), utilizzate in modo innovativo e diversificato, in relazione ai
nuovi contesti di esperienza. Identità è dunque creatività,
intelligenza, storia personale”.
L’educazione come processo dialettico
Il gruppo concorda sul fatto che l’educazione si collochi in questo
contesto e rappresenti un aspetto fondamentale del sistema
sociale, basato su continue relazioni fra l’io e gli altri, in contatto
continuo con istanze sociali, culturali, spirituali. Ogni processo
educativo dunque vive in osmosi con il contesto nel quale è
contenuto ed in esso intesse le relazioni di cui il processo stesso
abbisogna. Per queste ragioni gli interventi educativi non possono
rimanere stabili, fissi nel tempo, devono continuamente porsi in
termini dialettici, creare le condizioni perché il bambino possa
costruire la propria conoscenza, possa ricercare risposte alle
proprie domande, possa trarre dalla quotidianità le occasioni utili
e necessarie alle proprie rielaborazioni, alle proprie riletture.
36
Provare a capirsi
L’educazione si basa sui rappor ti interpersonali e questi si
identificano con l’agire di una persona nei confronti dell’altra, prima
ancora dell’esternalizzazione di ciò che pensa e di ciò che dice. Le
informazioni e le realtà devono essere elaborate da parte dei singoli
soggetti, e diventano significati e valori. In questo contesto di
riflessione la scuola agisce come uno dei soggetti primari e luogo
privilegiato nell’attivazione del processo educativo del bambino,
attraverso un’azione di continua lettura e rilettura della realtà, in
grado di produrre trasformazione. La cultura presente in ogni contesto
non deve essere considerata definitiva in termini assoluti, ma
considerata punto di partenza nel quale le relazioni fra pari e fra
adulti e bambini vanno a realizzarsi, per produrre trasformazioni.
Educare significa dunque “…rendere visibile quindi confrontabile
ciò che si incontra e vive in una scuola, nella consapevolezza di
non tenere separate teorie e prassi, valori e pratiche educative
quotidiane”. Rendere visibili i valori significa dunque praticarli,
significa costruire un contesto democratico, avviare “una ricerca
sulle domande della vita, come approccio dell’uomo verso il
conoscere ed il conoscersi”.
Le pratiche agite possono così diventare occasioni di confronto per i
bambini che devono essere messi in grado di assumere responsabilità
dei propri gesti e delle relazioni che costruiscono con gli altri.
Quando si parla di educazione, si può parlare di neutralità?
Pensiamo di no. Ogni contesto educativo è di per sé non neutrale.
Il gruppo ritiene infatti che: “… non può e non deve esistere
neutralità”. Questo principio può essere inteso sia nella dimensione
esperienziale del bambino che in quella dell’adulto.
Ogni adulto come ogni essere umano piccolo o grande che sia
racchiude in sé un patrimonio di esperienze, di vissuti, di valori e
di pensieri, con i quali ogni giorno si misura con sé stesso e con
gli altri, un modo personale di vivere le situazioni, di operare nei
diversi contesti, per produrre nell’incontro con gli altri soggetti,
altri livelli di esperienza e nuove occasioni di riflessione. Nel
Provare a capirsi
37
processo educativo l’adulto porta così all’attenzione del bambino
e dei diversi gruppi con i quali viene a contatto, un importante
patrimonio di pensieri e di valori, crea nuove oppor tunità di
confronto e di indagine, ma non può esimersi dalla responsabilità
di dichiarare il proprio pensiero, le proprie certezze ed incertezze.
L’adulto non può “...dare risposte che ancora non ha trovato”, ma
al tempo stesso non può dichiarare valori nei quali non crede, può
forse creare le condizioni perché ogni singolo bambino possa
iniziare un proprio cammino di ricerca.
Le idee di bambino
Come potere dunque definire il bambino che si inserisce in questo
contesto educativo, in questa complessa rete di relazioni e di
scambi, chiamato ad essere soggetto attivo, ricercatore della
propria identità?
Non crediamo esista un’unica idea di bambino, crediamo esistano
più immagini di bambino collocate in contesti sempre più complessi
e in sempre più rapida trasformazione. Nelle diverse realtà ogni
essere umano è chiamato a trovare strumenti di lettura per
rielaborare, raggiungere, livelli fluidi di conoscenze e fungere da
stimolo per altri atteggiamenti di ricerca.
Crediamo in un bambino inteso come soggetto attivo, creativo,
capace di elaborare e costruire un proprio sapere, capace di
valorizzare la propria unicità, un bambino in grado di esprimere
una propria originalità all’interno di relazioni contestualizzate,
attraverso il dialogo, il confronto, attraverso una continua ricerca.
È un bambino fusione di più dimensioni, affettiva, cognitiva,
relazionale, spirituale, che deve collocarsi nei contesti di vita con
stili assolutamente personali, con una propria e specifica identità.
Si tratta di creare le condizioni affinché ogni soggetto, nel percorso
di crescita personale, possa trovare le occasioni in grado di
sostenere e di sollecitare il proprio cammino di ricerca.
38
Provare a capirsi
Un bambino così pensato è legittimato a far giungere la propria
voce, a trasmettere la propria storia e vivere l’esperienza scolastica
nel ruolo di protagonista: “…quando lasciamo raccontare ai
bambini riconosciamo nei loro passaggi tutto quello che è
avvenuto”. Ma affinché questo accada occorre che l’adulto
riconosca ad ognuno la possibilità di riappropriarsi del proprio
tempo, di un tempo di comprensione e approfondimento. In un
processo di conoscenza, in qualunque ambito si realizzi, i tempi
per riflettere, per maturare, per confrontare, per rielaborare,
diventano strumenti indispensabili di un processo conoscitivo.
Sono tempi individuali in contesti di ricerca personale e di gruppo,
dove la relazione racchiude ulteriori potenzialità, risorse, crea
avanzamenti di pensiero: “… il gruppo, mettendo insieme diversi
punti di vista, offre delle elaborazioni che vanno ben oltre ciò che
ognuno potrebbe produrre da solo… e diventa anche luogo che
valorizza il contributo di ciascuna persona…”.
Il bambino soggetto della relazione
Di nuovo dunque un bambino soggetto di un sistema relazionale
complesso in cui scuola e famiglia dialogano nel tentativo di
comprendersi e di confrontarsi rispetto alla complessità del
bambino. Le famiglie racchiudono punti di vista diversi, caratterizzati
da impor tanti coinvolgimenti af fettivi e da riletture dei
comportamenti, condizionati da un approccio quotidiano pressato
dai tempi e dai sensi di colpa dell’adulto, con alcune difficoltà
nella messa a fuoco dei concetti di autonomia e delle effettive
potenzialità dei propri figli.
D’altro canto non dobbiamo dimenticare che nella globalità
dell’esperienza dei bambini: “...i genitori sono una risorsa in quanto
genitori”, cioè sono portatori di interpretazioni, di competenze e
di approcci educativi propri del loro ruolo e quindi soggetti primari
nell’evoluzione delle singole storie personali dei propri figli.
Portare il bambino al centro di un dibattito fra scuola e famiglia
Provare a capirsi
39
significa creare occasioni impor tanti di rilettura sia dei
comportamenti dei bambini che degli adulti, significa ricercarne le
origini, individuare i segnali lanciati, valorizzare il bambino stesso
nei suoi modi di porsi, di elaborare pensieri, di personalizzare i
vissuti.
Se concordiamo sul fatto che crescere significa costruire, creare,
partendo dalle esperienze e dalle strutture precedenti appartenenti
a ciascuno di noi, il confronto fra i due soggetti scuola/famiglia
rappresenta il contesto sistemico più vitale per approfondire la
complessità dei diversi modi di porsi del bambino, nei tanti contesti
di esperienza.
Lo stesso confronto continuo sul modo di intendere le terminologie,
di attribuir loro significati rispetto alle esperienze vissute e
condivise, sollecita una riflessione critica da parte dei diversi
protagonisti. Insegnanti, genitori e figli-bambini, originali e diversi
nelle loro singolarità diventano così i protagonisti di un importante
processo di crescita collettiva.
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Provare a capirsi
un pensiero speciale
Provare a capirsi
41
questioni aperte
confronto continuo sul modo di intendere
i termini, di significarli
rispetto alle cose vissute
in relazione
ai diversi contesti educativi
la documentazione
non può essere autoreferente...
autocelebrativa
con un linguaggio troppo tecnico
un’idea di documentazione
lontana dalle semplificazioni manualistiche,
un’idea complessa
dentro i flussi dell’esperienza educativa
quotidiana
quale relazione tra documentazione
di progetti/esperienze di sezione
e documentazione soggettiva/individuale
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Provare a capirsi
la documentazione è comunicazione
e formazione?
Maurizio Casini, pedagogista Comune di Casalgrande
Katia Iotti, pedagogista scuola FISM di Arceto (Scandiano)
L’intensità e la profondità della riflessione su quanto e come la
documentazione contribuisca, insieme a tanti altri fattori ed
elementi di vita quotidiana, a dar senso al lavoro degli educatori e
dei pedagogisti, a restituire visibilità dell’educazione a genitori e
bambini, e quanto e come, nell’esperienza degli scambi, la
documentazione stessa sia stata un processo di reciproca
conoscenza, comunicazione e formazione, è apparso chiaro sin
dai primi incontri dei protagonisti del progetto scambi.
Molte delle riflessioni scaturite tra i partecipanti, sono state il
frutto di visite dirette nelle scuole, in contesti reali di vita educativa
e di documentazione, dove è stato possibile soffermarsi e ragionare
su percorsi, intenzioni e progetti concreti.
Uno dei primi passi che il gruppo ha compiuto, è stato quello di
dialogare su strategie che favorissero la costruzione di un sentire
comune che potesse garantire una libera espressione personale
ed istituzionale.
Questo allo scopo di dare maggiore intensità allo scambio, più
ar ticolazione alla comunicazione, più forza di reciprocità alle
domande e alle formulazioni delle domande. Fattore positivo
nell’attivare tutto questo è stata proprio la differente percezione e
definizione dell’idea di “documentazione“.
Nel percorso Scambi, sia detto per inciso, la “appassionante lotta
semantica” ovvero il confronto continuo sul modo di intendere i
termini, di significarli rispetto alle cose vissute e condivise in
relazione ai diversi contesti educativi, di utilizzarli nella reciprocità,
è stato un esercizio costante di pensiero critico. Esercizio cui non
Provare a capirsi
43
è sfuggito il termine “documentazione”. Esercizio critico non fine
a se stesso, non formale, ma riferito ai contenuti.
Nel corso delle discussioni e dei dialoghi il termine e il concetto di
documentazione sono apparsi e ricomparsi spesso e ripetutamente
intrecciati ad altri concetti e ad altre ipotesi e sguardi soggettivi sul
fare educativo. In primo luogo, il “binomio” scelte di valore e senso
del documentare, come propone l’incipit di questa discussione:
“….io credo che una scuola faccia delle scelte, scelte pedagogiche
e queste scelte si leggono nelle documentazioni e queste scelte
magari, non permettono delle libertà assolute… Comunque tu
educatore scegli, arrivi con delle tue verità, e io le intendo per
verità perché ti vedo convinta/to di quello che dici…”
Un’idea di scuola e di scelta che non può “svolgersi in uno spazio
astratto, neutro, assoluto, ma sempre in un contesto nel quale
sono interrogate, integrate e ricomprese le famiglie e i bambini...”
La prima relazione che emerge è quella tra l’idea di scuola e di
bambino e le scelte di documentazione.
Idea di scelta, idea di scuola e anche di quale ruolo venga giocato
o possa essere giocato, nel contesto scuola, dall’educatore nella
relazione quotidiana con il bambino. E, in particolare, quanto e
come questa relazione con i bambini e le bambine, con il gruppo e
con ciascuno di loro individualmente, stia dentro all’intreccio tra
le dichiarazioni di valore, le grandi scelte degli educatori e degli
adulti e la quotidianità del “fare” e dello “stare” nella scuola.
Certo si esplicitano, da un lato, le dichiarazioni di appartenenza,
o le “verità”, come qualcuno le chiamava, ma, dall’altro, anche la
capacità di ascolto e di confronto con i bambini, dentro una stessa
processualità interpersonale.
“Il nodo credo, sta in quello che scegliamo di comunicare.
Ci siamo chieste se la nostra lettura, interpretata insieme ai bambini,
risulti chiara e immediata anche alle famiglie… Abbiamo riflettuto
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Provare a capirsi
sul quanto scrivere e quanto invece possono essere esaustive le
immagini e/o i prodotti elaborati. È risultato difficile mettersi dal
punto di vista del genitore, perché non è sempre immediato cogliere
cosa può essere per lui significativo. … Ci siamo chieste: cos’è che
a noi manca? Cosa non emerge dalla nostra documentazione?
Quanto del nostro messaggio ed impegno educativo riusciamo a
rendere visibile? Credo molto che l’esperienza che il bambino porta
a casa in una documentazione sia solo una minimissima parte di
ciò che fa e vive all’interno della scuola”.
Quindi ancora scelta, come attenzione ad un processo di relazione
tra persone diverse e di conseguenza ai valori di una
comunicazione. Valori che non sono mai riassorbibili in una tecnica
per quanto efficiente essa sia.
“Credo che la questione vera sia se riusciamo davvero, attraverso
la documentazione, a raccontare di più sulle difficoltà, sui successi,
sugli incontri, sulle conflittualità, su che cosa siamo riusciti davvero
a fare, come adulti e come bambini, cioè a restituire il processo…”
E comunicare, cosa comporta? Chi e quali processi delle persone
impegna? E come impegnare i bambini in una comunicazione?
Come darsi e dare ad altri il credito di una capacità di
comunicazione, di scambio e di contrasto alle solitudini?
Comunicare-Documentare si propone come sostegno alla
costruzione di significati condivisi nella e dell’esperienza, come
continuo lavoro sul capire e sul restituire ad altri soggetti, ma
anche a noi stessi, un’esperienza.
In primo luogo, comunicare con il “grande” soggetto “altro” dalla
scuola: la famiglia.
“Quando a scuola, lasciamo raccontare ai bambini l’esperienza
riportata in una documentazione, come insegnanti siamo molto
gratificate, perché la condivisione del percorso favorisce
Provare a capirsi
45
l’interpretazione dei loro significati. Quando poi questo documento
arriva a casa temo che non sempre ci sia, nella famiglia che legge,
una giusta attenzione, quello spirito curioso che aiuterebbe, ogni
genitore, a scoprire ogni volta qualcosa in più del proprio bambino.
Il più delle volte l’attenzione dimostrata è in relazione a ciò che si
fa per diventare grandi possibilmente in preparazione a… (nello
specifico, alla scuola elementare) e non si riconosce alla scuola
dell’infanzia il suo grande valore in quanto sé stessa e non in
preparazione a…”
“La documentazione non può essere auto referente, quindi non
dovrebbe assumere caratteristiche auto celebrative con un
linguaggio troppo tecnico; deve essere parte della costruzione di
un dialogo generatore di condivisione con le famiglie, non solo
nella dimensione scuola, ma anche e soprattutto nel percorso di
sviluppo del bambino”.
Approfondendo ulteriormente questa percezione della famiglia,
questo immaginario sulla famiglia e della famiglia in relazione con
la scuola, si dilatano anche i significati dei termini usati, diventano
necessarie distinzione e delimitazioni dei concetti propri di ciascun
attore all’interno del progetto scambi. La comunicazione con le
famiglie, con e nella documentazione, si colora immediatamente
di significazioni duttili e dialettiche, sempre da rapportare a contesti
specifici, a luoghi delimitati, a precisi presupposti concettuali:
“Credo che ci siano due piani diversi: un piano che è quello di una
documentazione che produce l’insegnante e che è il percorso che
l’insegnante ha progettato e che ha letto nei tempi, nei modi in cui
si è svolto, si è sviluppato, si è modificato, ecc.; e un altro percorso
è invece quello che un bambino porta a casa, il bambino davvero
come mediatore tra il lavoro dell’insegnante e la lettura che ne fa
la famiglia”.
46
Provare a capirsi
Ma, se approfondiamo un po’, cosa ci guida in questa riflessione,
se non l’idea, le idee, che abbiamo del bambino e del suo posto
nel mondo e nel processo vitale? È un’idea di bambino legata a
immaginari individuali e professionali? A vissuti personali,
condizionamenti storici e proiezioni adulte? A elaborazioni
soggettive di valori e attribuzione di valore ad un momento della
vita umana?
Aprire questo problema significa riflettere di nuovo su quale spazio
viene dato effettivamente all’espressività infantile nella vita
quotidiana di un servizio, di una scuola; quale “credito” si dà al
bambino, quali interrogativi si aprono sull’agire dell’adulto e di
quale tipo sia questo agire.
“…Non dobbiamo mettere fretta, perché noi come adulti abbiamo
il nostro tempo, ma i bambini hanno il loro, e arrivano alla soluzione
di problemi con strategie diverse. La teoria tante volte, quando si
mette nella pratica, ti sconvolge la pratica, perché il bambino adotta
strategie proprie talvolta diverse dalla teoria”.
Darsi tempo nella quotidianità, come primo valore, come possibilità
stessa della relazione con il bambino e del riflettere con lui, con
gli adulti educatori, con i genitori sul fare quotidiano.
“Quando parlo di esperienza non sto parlando di fare, ma di un
fare riflettuto… e, quindi, è metariflessione sul senso del fare”.
Un’idea di documentazione, quella che emerge dalle conversazioni
degli scambi, ben lontana dalle semplificazioni manualistiche a
cui si è spesso, e purtroppo, abituati, un’idea complessa dentro i
flussi dell’esperienza educativa quotidiana.
Una pratica del documentare che si articola ipoteticamente su
un’idea agita di bambino, o meglio su una molteplicità di idee di
bambino e d’infanzia, toccando, nel suo procedere e svilupparsi,
il tema della dimensione processuale e comunicativa della
documentazione, come restituzione di un processo, di una relazione
Provare a capirsi
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e delle sue qualità, dei suoi valori, ad altri soggetti.
Idea di documentazione che riconnette, così come ha fatto con
l’idea di scuola, di bambino e di famiglia, anche quella di formazione
dell’educatore e auto formazione dell’educatore:
“… si parlava dell’auto-riflessione, dell’auto-formazione di un
insegnante. Se un educatore non alimenta costantemente le proprie
conoscenze e non si sofferma a riflettere sul valore del proprio
agire, rischia di diventare inadeguato rispetto al contesto in cui si
trova ad operare. Credo che in questa continua progressione (se
così si può chiamare), dovrebbero entrare anche le famiglie che
insieme al figlio vivono la scuola, accettando di mettersi
maggiormente in gioco…”
È dunque essenziale – nei percorsi di lavoro e di formazione – che
si attivi un vero e proprio pensiero strategico sulla formazione e
l’autoformazione.
Auto-formazione dell’educatore, intesa non come acquisizione
nozionistica ma come capacità di leggere, osservare, interpretare
e trarre nuovi spunti e saperi dall’esperienza. Quando parliamo
dell’agire educativo, implicitamente parliamo “dell’atteggiamento
del documentarsi, un atteggiamento preziosissimo se riusciamo a
farlo passare come patrimonio, come attrezzo di cui si potrà
disporre per sempre”.
Questa strategia di lavoro, favorisce il “fare riflessivo” l’autoriflessione, perché da una documentazione prodotta, oltre al
progetto, si esprime sempre qualcosa di più, ossia l’idea di
bambino che quella scuola ha come base, così come l’idea che
ha delle proprie famiglie e del ruolo dell’insegnante.
Ecco perché è importante impegnare del tempo per rivedere i propri
percorsi e valutare cosa-come-quando e per chi si intende
documentare.
La documentazione, quindi, è comunicazione e deve impegnarsi
ad essere processo di ri-significazione dell’esperienza
comprensibile al maggior numero di interlocutori. Tutti i “documenti”
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esposti in una realtà educativa, raccontano tante cose di quella
situazione e consentono di identificarla.
Il gruppo ha affrontato il discorso del saper proporre all’interno
della scuola, delle “esperienze fondanti”, esperienze che sappiano
accrescere le capacità fondamentali di ogni bambino, che sappiano
arricchire il loro patrimonio permanente “una scuola attenta e
propositiva verso azioni situate in cui il bambino interagisca con
l’ambiente ed elabori processi di costruzione dei significati. In
altre parole, individuazione e progettazione di esperienze... in cui
si riveli continuamente una mappa leggibile di concetti base, una
pluralità di modalità espressive, dove emergano via via
orientamento e conoscenza della posizione delle tappe e delle
varianti.
Credo sia importante che la scuola possa offrire esperienze
fondanti, saperi fondanti, attraversamenti e che la scuola sia dotata
intrinsecamente di un’etica da costruire con i bambini, con i soggetti
nella società, un’abitudine ad un percorrimento comune”.
Quest’ultima riflessione sottintende una circolarità comunicativa
che riporta ad un’idea di scuola in cui educatori, famiglie, bambini
sappiano trasmettere e costruire reciprocamente esperienze
significative e fondanti.
Altro aspetto discusso è stata la relazione tra la documentazione
di progetti e di esperienze di sezione e la documentazione
soggettiva e individuale delle attività di ciascun bambino (qualcuno
ha citato il portfolio). Nelle nostre discussioni emerge l’accordo
sul fatto che ciascun bambino apprende nella relazione con, ma
alcune scuole, pur operando in un contesto di relazione, sembrano
privilegiare un’idea di documentazione individuale/personalizzata
per ciascun bambino da consegnare alla famiglia. In altre si tengono
insieme diversi livelli di documentazione avendo sempre al centro
un’idea di bambino in relazione (nel grande gruppo, nel piccolo
gr uppo, con l’adulto…) e si propongono alle famiglie
Provare a capirsi
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documentazioni che rappresentano l’appartenenza del soggetto
ad un gruppo.
“Ci sono strumenti che magari sono accessibili ai genitori ogni
giorno, che raccontano di più le cose che accadono
quotidianamente; invece a scuola nella documentazione a parete
c’è una sintesi per microprocessi e/o per concetti e questo talvolta
non va incontro alle richieste dei genitori. Abbiamo il diario di
sezione, un diario di bordo dove la quotidianità è raccontata con
le parole dei bambini e tentativi d’interpretazione da parte degli
adulti che in ogni modo compaiono. L’ambizione (non ancora
raggiunta) è di mettere più in evidenza, quasi un’esemplificazione
su cui ragionare, i processi di gioco e di ricerca di alcuni bambini
lungo la durata di un’esperienza/progetto… Oltre a raccogliere le
parole dei bambini utilizziamo delle griglie osser vative dove
appuntare e trattenere tracce delle relazioni dell’adulto con i
bambini e dei bambini tra di loro. Sono spunti… Diventano tomi
piuttosto consistenti... i genitori se li prenotano e li portano a
casa e appuntano i loro commenti e le loro domande nelle pagine
bianche. L’agenda giornaliera invece è una mappa orientativa, con
alcune frasi significative, di quanto accaduto in sezione quel giorno.
...Questa scelta di avere strumenti e documenti diversificati ci è
sembrata una buona strategia per coinvolgere i genitori: possono
entrare maggiormente dentro all’esperienza, rileggerla con i loro
bambini, avere domande da rilanciare alle insegnanti, avere
curiosità e questioni da porsi tra genitori…”.
All’interno del gruppo, non sono comparse definizioni da manuale
per riuscire a parlare di documentazione, anche perché è nello
stile dello “scambio” il non ricercare una definizione unica, ma
accogliere come ricchezza, le diverse attribuzioni di significati, in
un atteggiamento quindi di continua ricerca.
Si sono condivisi stili, modalità, approcci adottati che hanno avuto
nel tempo, buona funzionalità. Utile è stato il poter vedere, toccare,
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strumenti di lavoro adottati in alcune scuole, per favorire l’incontro
e la comunicazione con le famiglie, per coinvolgerle maggiormente
all’interno del vissuto quotidiano del proprio bambino.
il cervello che pensa
Provare a capirsi
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questioni aperte
idea di scuola che accoglie il dubbio
e le molteplici interpretazioni
il tema della spiritualità
non può essere affrontato
con interpretazioni disciplinari
e circoscritte
religiosità è una risposta,
spiritualità è una ricerca
la spiritualità dei bambini si coglie
nella quotidianità
di fronte a certe domande non
si perde la propria autorevolezza
se si dice “Questa cosa non la so,
possiamo andare a cercarla insieme...”
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Provare a capirsi
riflessioni intorno alla dimensione religiosa
e spirituale
Bruna Elena Giacopini, responsabile di coordinamento pedagogico
Comune di Reggio Emilia
Daniela Lanzi, pedagogista Comune di Reggio Emilia
Suor Maddalena Perini, coordinatrice scuola FISM di Reggio Emilia
“Esistono molteplici saperi intorno a dimensioni particolari della
realtà. Ed esiste un pensare intorno ad essi, che ne interroga le
condizioni di possibilità”. (M. Cacciari)
Per una trattazione sicuramente non approfondita ma significativa
e coerente delle discussioni e dei confronti avvenuti all’interno
del gruppo di lavoro sul tema dell’educazione religiosa pensiamo
sia opportuna una narrazione che sottolinea tre nuclei:
- le identità della scuola e la relazione tra diverse identità
- quale il ruolo dell’insegnante?
- il valore delle didattiche e delle pratiche quotidiane
nella consapevolezza che l’uomo sulla terra da sempre si è
interrogato e si interroga sulla sua dimensione spirituale ed
esistenziale.
Le identità della scuola e la relazione tra diverse identità
Ci sembra impossibile una riflessione sul tema dell’educazione
religiosa senza una sottolineatura interconnessa con il dibattito
sulle identità della scuola, sull’identità della persona (bambino e
adulto).
Una scuola, oggi, nella contemporaneità multiculturale e
multireligiosa che ci attraversa, in cui si incontrano/ confrontano/
scontrano diverse culture, religioni, valori, tradizioni: “A scuola si
incontrano i credenti, i non credenti, i credenti in altre fedi ed è
proprio da qui, credo, che il ruolo dell’educatore gioca un ruolo
forte nell’accogliere e nel far emergere con pari dignità tutte le
Provare a capirsi
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idee, soprattutto quando si tratta di dichiarazioni/pensieri che
sottendono i valori dell’umanità”.
Fondamentale per attivare un confronto dialettico e significativo
pare essere la dichiarazione chiara di identità, delle proprie e
diverse identità istituzionali che convivono all’interno di una
comunità cittadina: “penso che il dialogo avvenga solo tra identità…
quando parlo di rapporti tra scuole diverse intendo rapporto tra
identità, una scuola deve avere una sua identità rispetto alle cose
in cui crede, rispetto alle cose che propone ai bambini. Dialoghi
possibili quindi tra scuole che hanno identità su cui hanno riflettuto,
su proposte che fanno…”
Come è stato affermato nelle pagine precedenti la scuola, come
luogo di relazioni interdipendenti tra bambini, insegnanti, genitori
nei loro contesti di vita, evidenzia la necessità costante di
condividere valori e pratiche educative quotidiane perché le relazioni
possano costruirsi e mantenersi nel tempo.
Il tema dell’identità comprende molteplici accezioni, è un termine
al plurale: nella discussione del gruppo sul tema dell’educazione
religiosa è stata importante e imprescindibile un’incursione intorno
ad alcuni significati attribuiti a concetti quali dimensione religiosa,
spirituale, etica, morale.
È stato utile capire le possibili relazioni per sottolineare le
distinzioni, le zone di confine e quelle di incontro: una tematica
complessa, che attiene alle ricerche esistenziali dell’uomo e quindi
dei bambini, ma che riguarda anche le questioni di convivenza
civile, le idee che bambini e famiglie portano dentro la scuola
come patrimonio personale e di gruppo.
Ogni scuola ha i propri valori, le proprie identità, che si dichiarano
continuamente nelle forme dell’ambiente, dell’organizzazione, della
comunicazione: e anche i bambini e i genitori sono portatori di
saperi e valori individuali che devono trovare nella scuola luogo di
confronto, scambio e creazione di azioni, pensieri, teorie, linguaggi
e valori nuovi per il soggetto e la comunità.
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Provare a capirsi
Un luogo, la scuola, che accoglie il dubbio e le molteplici
interpretazioni come strategia di approccio e di ascolto all’altro e
a ciò che ci circonda e come ricerca di comprensione verso
differenti accezioni della verità.
Diverse sono le domande, rimaste aperte, che si sono generate
nei dialoghi del gruppo di lavoro:
- Ragionare di spiritualità è ragionare di religione?
- Ragionare di spiritualità è ragionare di etica e di morale?
“Qualcuno dice che grazie alla poesia, all’ar te, al pensiero
metafisico ci si sente ad un pelo dal cielo oltre il quale, forse, non
si può andare. Mi chiedo allora come mai questa contemporaneità
fa così fatica a riconoscere Colui che ha colmato ogni distanza tra
noi e il cielo. Il mio timore è questo: se nella nostra azione educativa
non teniamo conto dell’aspetto religioso, corriamo il grosso rischio
di costruire statue d’oro con i piedi di argilla… i nostri bambini
domani saranno adulti con vuoti di senso”.
Ci sembra di potere dichiarare che l’educazione religiosa per i
bambini dai tre ai sei anni tiene fortemente connesse le dimensioni
della religione e della spiritualità ed evidenzia, soprattutto con i
bambini di questa età nodi, questioni, aspetti che attraversano
l’educare inteso come relazione complessa e nella sua interezza.
Religione e religiosità hanno contenuti specifici, ma sono anche
fortemente trasversali, nel senso che assumerle come chiavi di
accesso, significa aprirsi a relazioni più ampie, a questioni che
attraversano più campi del sapere, più dimensioni dell’uomo.
Sicuramente il tema della spiritualità del bambino non può essere
affrontato con interpretazioni disciplinari e circoscritte ma in una
riflessione che sottolinea l’immagine di bambino come di un
individuo “intero” e capace di costruire fin da piccolo trame di
significati nella conoscenza del mondo.
“Forse vi creo altra confusione, però sicuramente quando parlo di
dimensione spirituale mi riferisco di più alla trascendenza… quindi
il discorso da dove veniamo, quando moriamo. Erano cose che
Don Dossetti aveva scritto proprio in riferimento a questa ricerca
Provare a capirsi
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e la cosa che mi è piaciuta molto è quando dice che la religiosità
è una risposta, mentre la spiritualità è una ricerca...”
La ricerca di significati da parte di bambini e adulti nella vita della
scuola è a nostro avviso la possibilità di spostarsi da una
interpretazione metafisica ed epistemologica di ciò che conosciamo
(il bisogno di cer tezza negli eventi) ad una interpretazione
ermeneutica, interlocutoria e dialogica con gli avvenimenti e le
questioni che si incontrano.
“Ognuno parte dalle situazioni in cui si trova, l’importante è cercare
il senso del proprio esistere che sia risposta alle esigenze profonde
della persona quali la libertà, l’amore, la felicità, la sopravvivenza…
ci dobbiamo chiedere se offriamo stimolazioni sufficienti che
possano aiutare il bambino nello sviluppo della dimensione
religiosa insita nella persona”.
Molte le discussioni, rimaste tuttora aperte, su quale parola/
significato/contenuto scegliere di utilizzare nei dialoghi tra adulti
cioè se “dimensione religiosa” o “dimensione spirituale”.
Tale dibattito non è solo una pura dissertazione di natura stilistica
ma una ricerca di comprensione e di coerenza con l’identità della
scuola pubblica, con l’immagine del bambino e dell’uomo e i contesti
didattici e progettuali che quotidianamente la scuola propone.
In effetti negli scambi le nostre diverse identità di scuole pubbliche
ma con differenti gestioni (comunale, di ispirazione cristiana) hanno
favorito una vivace discussione sull’idea di scuola pubblica e si è
convenuto nell’idea che la scuola non è pubblica solo in relazione
all’ente che la gestisce, ma in quanto erogazione di un servizio
pubblico e quindi ad una comunità civile.
Il dibattito sull’idea di scuola pubblica ha inevitabilmente portato
dentro al gruppo il tema della laicità della scuola intesa come
assunzione e costruzione di un punto di vista aperto alle possibili
interpretazioni e alle differenti teorie personali e culturali, che si
dichiara nelle proposte didattiche, nella formazione degli insegnanti,
negli incontri con le famiglie.
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Scuola come pluralità di individui, portatori di una pluralità di saperi
e coinvolti in uno stesso ambiente pubblico di crescita.
Tale riflessione non vuole aprire note di natura giuridica ma vuole
offrire uno spunto di natura valoriale: è la dichiarazione di una
scuola che si propone come servizio che garantisce un diritto a
tutti nella molteplicità integrata dei sistemi formativi e che si
assume un ruolo di responsabilità.
Quale il ruolo dell’insegnante?
Come gli adulti possono essere significativi nel dialogo con i
bambini e le famiglie su una tematica come quella dell’educazione
religiosa/spirituale?
Il ruolo dell’adulto, degli insegnanti, è stato un tema fortemente
discusso nel percorso del gruppo: un tema che sta a cuore a chi
vive ogni giorno la quotidianità della scuola.
Un tema che viene percepito, giustamente, come assunzione di
responsabilità nelle scelte che si operano e nelle dichiarazioni
che si condividono con i bambini e con le famiglie.
In un’idea di scuola come quella dichiarata, che tiene insieme
ricerca e costruzione come valore e strategia, gli adulti sono parte
di questa costruzione e quindi, inevitabilmente non neutri.
“Di fronte ai bambini come mi pongo?”
Ci sembra fondamentale l’atteggiamento di chi, prima di tutto, non sta
in silenzio: anche quando come adulti non si conoscono LE risposte, è
importante offrire comunque possibilità di dibattito ai bambini.
L’adulto che è con il bambino/i nella loro ricerca di possibili risposte
deve anche dare le sue risposte, non per “catechizzare”, non per
chiudere, ma anzi per problematizzare.
“Può un’educatrice di scuola dell’infanzia non avere trovato lei
stessa le risposte a domande di senso che i bambini già a questa
età pongono? Siamo inescusabili direbbe San Paolo se ci
rivolgessimo ancora ad un Dio ignoto quando questo si è
manifestato. Non dobbiamo assolutamente chiudere ai bambini
Provare a capirsi
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le strade della ricerca, anzi aprirne altre”.
L’adulto che dichiara il proprio punto di vista ci sembra consentire
anche ai bambini di posizionarsi e questo è, forse, il modo più
vero di agire il dialogo e l’ascolto.
“Penso che se il bambino vede che il dichiararsi atei, laici o religiosi
non compromette il rapporto tra le persone, ma anzi lo esalta,
credo che sia anche un buon modo di educarsi e di educare”.
Questa è, a nostro avviso, una responsabilità imprescindibile delle
insegnanti e dei genitori: è strategia di scambio, riflessione comune,
partecipazione, democrazia.
“Io spesso con i bambini di fronte a certe domande non penso di
perdere la mia autorevolezza se dico questa cosa non la so, possiamo
andare a cercarla insieme… poi non è detto che noi dobbiamo sempre
dare la risposta certa… credo che sia indispensabile dare al bambino
una chiave di lettura per accedere a…”
È importante condividere le proprie posizioni, nella consapevolezza
che la non neutralità è sinonimo del sentirsi parte di un dibattito,
di un contesto, di un gruppo.
“Io credo davvero che non sia possibile la neutralità dal punto di
vista educativo non credo neanche sia leale e onesto nei confronti
del bambino il relativismo alla neutralità… un insegnante viene a
scuola e costruisce relazioni con i bambini… nelle relazioni che
costruisce con i bambini porta se stessa… quindi la posizione
della neutralità mi risulta difficile da capire…”
“Il ruolo dell’educatore, almeno nelle scuole di cui io faccio parte,
prevede una certa differenziazione anche delle convinzioni personali
e quanto più le convinzioni personali sono mature, tanto più la
persona è capace di giocarle in un rapporto molto liberamente,
perché non ha paura di supportare le proprie convinzioni con il
consenso degli altri: sa confrontarsi e dialogare…”
È un adulto poi che si pone anche l’interrogativo di come rendere
visibile quindi confrontabile, ciò che si incontra e si vive nella scuola,
nella consapevolezza di non tenere separate teorie e prassi, valori
e pratiche educative quotidiane.
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Provare a capirsi
Una visibilità intesa come democrazia quindi non come
atteggiamento scientifico, cognitivista, “da laboratorio”, ma come
ricerca delle domande sulla vita, come approccio curioso e filosofico
dell’uomo verso il conoscere e il conoscersi.
Il valore delle didattiche e delle pratiche educative quotidiane
Come già più volte ribadito, dentro ad una scuola dei valori e
dell’educazione, anche l’educazione spirituale e l’educazione
religiosa non possono essere solo contenuti di trasmissione o di
apprendimento del “saper fare” o del “sapere” ma sono contenuti
di un apprendimento che qualifica il “come sapere essere” e la
cui costruzione avviene nello spazio relazionale delle pratiche
quotidiane della vita della scuola.
Ci sembra importante ribadire che è possibile incontrare l’educazione
spirituale e religiosa non solo in luoghi e spazi particolari ma nella
globalità del nostro esistere e del nostro essere e fare scuola.
Ci siamo chiesti infatti come i contenuti formali e disciplinari che
attengono a queste tematiche stanno in relazione con pensieri,
teorie, gesti, azioni, comportamenti del quotidiano.
“La scuola se ne deve preoccupare di questa dimensione… perché
connaturata al bambino…”
Questioni complesse, su cui è difficile trovare un’interpretazione
univoca e un confronto con il dibattito nazionale e accademico,
con i campi disciplinari della pedagogia e della teologia.
Le dimensioni religiosa e spirituale ci sembrano non appartenere
solo ad uno specifico campo di esperienza, ma nello stesso tempo
è importante affermare la loro specificità, che è connotata e
connota identità, luoghi, forme, saperi.
Quindi se da una parte è fondamentale leggere questa dimensione
in modo trasversale nelle diverse esperienze che i bambini
realizzano, dall’altra è coerente cogliere la loro componente
specifica per sostenerla, darle cassa di risonanza e possibilità di
crescita e di visibilità: “le stesse famiglie ci dicono che la spiritualità
Provare a capirsi
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dei bambini va colta nella quotidianità”.
Le pratiche agite nella scuola diventano, in tal senso, occasione
di scambio e di confronto, luogo di negoziazione in cui i bambini
sperimentano che la convivenza richiede la costruzione di
convenzioni e di un sentire comune per sentirsi ed essere parte di
un progetto collettivo di etica dell’incontro e di reale democrazia.
questioni aperte da insegnanti e pedagogisti
provare a
capirsi
mettere a confronto le differenze
non-neutralità
in educazione
dimensione
organizzativa
come
contesto
ecologico
di sviluppo
documentazione
come attività educativa
riflessiva e democratica
conoscenza
come risultato
fluido e provvisorio
di una
negoziazione
di più punti di vista
il valore della quotidianità
come progetto di vita
appassionante lotta semantica
dibattito
sull’idea
di scuola pubblica
per informazioni:
Via Bligny, 1/a 42100 Reggio Emilia tel. +39 0522 513752 fax +39 0522 920414
e-mail: [email protected] website: http://www.reggiochildren.it http://zerosei.comune.re.it
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