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L`onere della prova - Consulentidellavoro.it

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L`onere della prova - Consulentidellavoro.it
L’onere della prova in generale
Nel nostro ordinamento giuridico vige il principio che l’onere di provare un fatto, che è alla base di
una richiesta giudiziaria, ricade su colui che invoca lo stesso a sostegno del proprio diritto.
La norma fondamentale in materia è contenuta nell’art. 2697 c.c. alla cui stregua: “ Chi vuol far
valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti deve provare ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o
estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Per mezzo della prova si intende qualsiasi cosa o qualsiasi fatto capace di consentire al Giudice di
valutare la corrispondenza al vero delle versioni date dalle parti in causa in relazione all’oggetto
della stessa.
I mezzi di prova si distinguono in due categorie: le prove precostituite o documentali (atto pubblico,
scrittura privata), perché esistenti prima della lite, e prove costituende, quali le testimonianze, le
presunzioni, le confessioni, il giuramento che si formano durante il processo.
Con il presente commento limitiamo la discussione sull’onere della prova in tema di illeciti
amministrativi in generale ed in materia di lavoro in particolare.
Con l’ordinanza ingiunzione l’ente pubblico attiva la procedura per la riscossione delle sanzioni in
tema di illeciti amministrativi.
L’onere della prova nell’illecito amministrativo
Nel giudizio di opposizione ad una ordinanza ingiunzione in materia di sanzioni amministrative
davanti al Giudice del Tribunale competente l’oggetto dell’opposizione non è l’accertamento della
legittimità dell’atto amministrativo, bensì la pretesa sanzionatoria.
In sostanza il Giudice, al quale sono riconosciuti ampi poteri istruttori, deve pronunciarsi non tanto
sull’operato della Pubblica Amministrazione (da ritenersi lecito sino a prova contraria) ma sulla
responsabilità dell’opponente che andrà provata in giudizio.
L’onere della prova pertanto risulta a carico dell’amministrazione (così come nell’azione penale
detto onere è a carico del P.M.).
Nel procedimento di opposizione al provvedimento irrogativo di una sanzione amministrativa
pecuniaria, l’Amministrazione pur essendo formalmente convenuta in Giudizio, assume
sostanzialmente la veste di attrice; spetta quindi ad essa ai sensi dell’art. 2697 c.c.fornire la prova
dell’esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contesta e della loro reveribilità
all’intimato, mentre compete all’opponente, che assume formalmente la veste di convenuto, la
prove dei fatti impeditivi od estintivi (Cass. Civ. Sez. I, 7 marzo 2007).
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Incombe dunque all’Amministrazione nella sua sostanziale veste di attrice fornire la dimostrazione
della fondatezza della sua pretesa.
Spetta per contro all’opponente che deduca fatti specifici (esistenza dei vizi procedurali,
l’inaffidabilità dei risultati degli accertamenti, la mancata contestazione della trasgressione) fornire
la prova del proprio assunto.
Questa prova specifica trova, generalmente e se si tratta di circostanze diverse da quelli attinenti
alla regolarità della procedura, ostacolo nella forza probatoria che caratterizza gli atti di
accertamento redatti da pubblici ufficiali abilitati ad attribuir loro fede sino a querela di falso.
La Pubblica Amministrazione può avvalersi dei mezzi normalmente a disposizione delle parti, nel
processo civile, per assolvere all’onere della prova.
Tipico strumento al riguardo è l’assunzione della testimonianza dei verbalizzanti (Cass. Civ. Sez.
III, 21 aprile 2000, n. 5272).
Sono però utili ed ammesse anche le presunzioni.
L’opposizione all’ordinanza ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa introduce un
ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, e
spettando all’autorità che ha emesso l’ordinanza- ingiunzione di dimostrare gli elementi costitutivi
della pretesa avanzata nei confronti dell’intimato, la prima che può avvalersi di presunzioni, che
trasferiscono a carico di quest’ultimo l’onere della prova contraria, purché i fatti sui quali essa si
fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto alla
stregua di canoni di ragionevole probabilità, ravvisandosi una connessione fra i fatti accertati e
quelli ignoti, secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di
opinabilità, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di legittimità se convenientemente
motivato alla stregua di detti criteri e restando invece censurabile la palese inadeguatezza della
motivazione, come nel caso in cui dalla sosta di un’auto in detta zona a traffico limitato a talune ore
del giorno si sia desunto l’ingresso dell’auto in detta zona nelle ore vietate e non invece nelle ore in
cui essa era consentita (Cass. Civ. Sez. I, 16 marzo 2001, n. 3837).
In tema si è voluto inoltre introdurre un correttivo a favore del privato cittadino per i casi in cui
l’istruttoria esperita non abbia condotto ad un pieno risultato ai fini del convincimento e si è
disposto che il Giudice debba accogliere l’opposizione quando non si sono raggiunte prove
sufficienti della responsabilità dell’opponente.
La relazione ministeriale sul tema (Camera dei deputati atti 1977 n. 1799 p.15) chiariva che “ la
norma è diretta ad eliminare una questione che trae origine dall’art. 2697 del c.c., in base al quale,
spettando al ricorrente l’onere di provare i fatti sui quali si fonda l’opposizione, potrebbe ritenersi
che la mancanza di prove sufficienti di responsabilità non sia equiparabile alla prova della
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mancanza di responsabilità e comporti quindi il rigetto dell’opposizione anziché una pronuncia
assolutoria.
Evidenti ragioni di civiltà guiridica impongono invece di affermare il principio che può essere
assoggettato ad una sanzione amministrativa, ed anche ad una sanzione penale, solo colui di cui sia
pienamente provata (al di là di ogni ragionevole dubbio) la responsabilità per la violazione
sanzionata”.
L’ordinanza ingiunzione è attivata, in materia di lavoro, principalmente dalla Direzione del Lavoro
competente per territorio.
Le prove nel giudizio di opposizione alle ordinanze-ingiunzione
Come detto ai fini del recupero delle sanzioni amministrative in materia di lavoro, quando
l’incolpato non intende versare le sanzioni in forma ridotta, l’ente pubblico ricorre all’ordinanza
ingiunzione che normalmente è indirizzata al datore di lavoro.
Di rilievo in materia è senza dubbio il penultimo comma dell’art. 23 citato il quale, testualmente,
così recita: “Il Giudice del lavoro accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della
responsabilità dell’opponente”.
Ciò significa che, ferma restando l’opportunità di motivare puntualmente le proprie ragioni da parte
dell’opponente (es. ditta), nel corso del giudizio non è il ricorrente-opponente che deve dimostrare
l’infondatezza degli addebiti per ottenere una sentenza favorevole, ma è piuttosto l’autorità
resistente (nella specie l’ente previdenziale), che deve fornire la prova della pretesa creditoria.
Quest’ultima, per ottenere il rigetto del ricorso dell’incolpato, dovrà provare la responsabilità del
trasgressore ed eventualmente del responsabile in solido.
Il noto principio in dubio pro reo è stato quindi mutuato dal legislatore del 1981 dal diritto
processuale penale.
Detto principio potrebbe essere applicato anche per i funzionari dirigenti legittimati a decidere sui
ricorsi amministrativi in materia di lavoro ai sensi dell’art. 18 della Legge n. 689/1981 (difesa
amministrativa).
In pratica però non ho mai registrato un caso in cui la Direzione Provinciale del Lavoro abbia
archiviato un procedimento per insufficienza di prove.
Così operando, di certo, il contenzioso successivo in sede giudiziaria si ridurrebbe di molto.
Tali conclusioni trovano la conferma anche nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui,
in buona sostanza, l’opposizione ad ordinanza-ingiunzione introduce un giudizio ordinario sul
fondamento della pretesa fatta valere con detto provvedimento (analogo al giudizio instaurato con
l’opposizione a decreto ingiuntivo), nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto, anche ai fini
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della ripartizione dell’onere della prova, spettano rispettivamente all’amministrazione (ente
previdenziale) e all’opponente.
Ne consegue che la suddetta opposizione non abbisogna di una specificazione dei motivi e può
esaurirsi nella mera contestazione della pretesa dell’amministrazione, essendo in tal caso idonea a
devolvere al Giudice adito la piena cognizione circa la sua legittimità e fondatezza.
In merito andrà precisato l’indirizzo della giurisprudenza sul valore dei verbali degli ispettori del
lavoro e degli enti previdenziali.
Se è vero che tali verbali, in quanto provenienti da pubblici ufficiali, fanno fede ex art. 2700 c.c.,
fino a querela di falso, della provenienza dei documenti dal pubblico ufficiale che li ha formati,
nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che i pubblici ufficiali attestano avvenuti in
loro presenza o da loro compiuti, non altrettanto vero (o esatto) deve ritenersi il principio, affermato
talvolta dal Supremo Collegio, secondo il quale tali atti godono di particolare attendibilità per la
qualità dei soggetti che li hanno redatti, da poter costituire prova sufficiente delle circostanze tutte
ivi riferite dai pubblici ufficiali in assenza di specifica prova contraria.
Infatti, una tale efficacia probatoria non può certo attribuirsi ai verbali per le valutazioni o giudizi
espressi dal verbalizzante, che sono contestabili con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge e
comunque sono sempre soggetti alla diversa valutazione rimessa all’A.G.O.
Tanto più che una diversa interpretazione urterebbe con il già citato disposto dell’art. 23 penultimo
comma della Legge n. 689/81, alla cui stregua il Giudice del Tribunale accoglie l’opposizione
quando non sono offerte (da parte dell’ente previdenziale opposto che normalmente produce il
verbale d’ispezione) prove sufficienti della responsabilità dell’opponente.
Giurisprudenza sull’onere della prova
Interessante si presenta l’esame della Giurisprudenza in tema di onere della prova in materia di
illeciti amministrativi che possono essere utilizzati come studio della materia.
Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa possono essere assunti come testimoni i
verbalizzanti, i quali non sono portatori di un interesse che ne legittimerebbe la partecipazione al
giudizio (Cass. Civ. Sez. III 21 aprile 2000 n. 5272).
All’interno di un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa dall’Ispettorato
provinciale del lavoro per omissioni contributive, il lavoratore non è portatore di un interesse che lo
legittimi a proporre l’azione e neppure ad intervenire in giudizio e pertanto non è incapace a
testimoniare, onde la sua testimonianza potrà, se del caso, essere valutata anche dal Giudice anche
sotto il profilo dell’attendibilità (Cass. Civ. Sez. lav. 21 ottobre 2003 n. 15745).
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Con l’opposizione all’ordinanza ingiunzione irrogativa di un sanzione amministrativa viene
introdotto un giudizio ordinario sul fondamento della pretesa dell’amministrazione, nel quale le
vesti sostanziali di attore e convenuto vengono assunte, anche ai fini dell’onere della prova,
rispettivamente dall’amministrazione e dall’opponente, restando l’assunzione di prove d’ufficio,
prevista dall’art. 23, 6° comma della legge n. 689/81, una facoltà e non un obbligo del Giudice il cui
esercizio è affidato alla sua discrezionalità.
Ne consegue che, ove l’amministrazione non adempia l’onere di dimostrare compiutamente
l’esistenza di fatti costitutivi dell’illecito, secondo l’art. 23 12° comma, l’opposizione deve essere
accolta (Cass. Civ. Sez. I, 26 maggio 1999 n. 5095).
Il Giudizio speciale di opposizione ad ordinanza ingiunzione si inserisce nell’alveo del processo
civile, sicché ove si tratti di controversie relative a violazioni in materia di previdenza ed assistenza
in relazione ai poteri d’ufficio del Giudice i principi sono gli stessi elaborati in relazione al rito del
lavoro.
Ne consegue che le disposizioni recate dall’art. 421 c.p.c. che consente al Giudice di 1° grado di
disporre d’ufficio qualsiasi mezzo istruttorio fuori dal limite stabilito dal c.c. (ad eccezione del
giuramento decisorio) e di superare i limiti stabiliti dallo stesso codice in via generale per la prova
testimoniale e dall’art. 437 c.p.c. che disciplina il potere del giudice di appello di disporre, sempre
d’ufficio, i mezzi di prova che ritenga indispensabili - si riferiscono soltanto all’esercizio,
meramente discrezionale, della facoltà di scelta del mezzo probatorio più adatto alla verifica delle
tesi di parte, cosicchè il mancato esercizio di tali poteri non è assoggettato al sindacato in sede di
legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione sul punto, dovendosi ritenere che il
Giudice stesso abbia reputato, in maniera implicita la sufficienza degli elementi probatori già
acquisiti (Cass. Civ. Sez. lav. 5 aprile 2005 n. 07011).
L’art. 14 della Legge n. 689/81 non comporta l’automatica predeterminazione del limite temporale
del procedimento di verifica per l’accertamento dell’infrazione amministrativa, il cui concreto
espletamento è legato alle peculiarità delle varie situazioni, spettando al Giudice di Merito di
apprezzare la congruità del tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per acquisire i
dati e valutarne la consistenza ai fini della corretta formulazione della contestazione, fermo restando
che comunque incombe alla parte opponente che contesta la legittimità della sanzione l’onere di
provare le circostanze che renderebbero ingiustificata o colposamente tardiva la pretesa
dell’Amministrazione stessa (Cass. Civ. Sez. lavoro, 2 febbraio 1999, n. 865).
In tema di sanzioni amministrative, l’onere di provare tutti gli elementi oggettivi e soggettivi
dell’illecito amministrativo sanzionato con l’ordinanza ingiunzione opposta grava sull’autorità che
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ha emesso il provvedimento impugnato, escluso il ricorso a presunzioni legali che non possono
ritenersi stabilite a favore della stessa autorità (Cass. Civ. Sez. I, 25 agosto 1997 n. 7951).
In tema di opposizione all’ordinanza ingiunzione applicativa di sanzioni amministrativa, la
disposizione di cui all’art. 23 , 12° comma della Legge n. 689/81 secondo cui” il Giudice accoglie
l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente, va
intepretata nel senso che spetta all’amministrazione , e non all’opponente, la prova dei fatti che
“costituiscono il fondamento” della sanzione amministrativa (Cass, Civ. Sez. I, 26 giugno 1992, n.
8031).
Claudio Milocco (consulente del lavoro)
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