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La fondazione degli arrabbiati

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La fondazione degli arrabbiati
La fondazione degli arrabbiati
N
ESCLUSIVO Non è
ancora una scissione.
Ma in Confapi è
scoppiato il malessere
delle imprese. Paolo
Agnelli perché ha
creato un nuovo
gruppo: «Vogliamo
gridare tutto quello
che non va».
di Franco Oppedisano
PAOLO AGNELLI
60 anni, due figli
che lavorano con lui.
è alla guida di un
gruppo di 14 aziende
che realizzano
manufatti in
alluminio, con un
fatturato di 114
milioni di euro e
oltre 300 occupati.
Agnelli è anche
presidente di
Confapindustria
Lombardia. Api
Bergamo e della
neonata Fondazione
per l'impresa e
l'industria
manifatturiera.
on è una scissione, ma
poco ci manca. Dodici
associazioni legate a
Confapi sono andate da un notaio milanese il 2 maggio per dare
vita alla Fondazione per l'impresa e l'industria manifatturiera.
«L'obiettivo è uno solo: salvarla»
spiega Paolo Agnelli, imprenditore alla guida di un gruppo di
14 aziende con un fatturato complessivo di 114 milioni di euro e
oltre 300 dipendenti, presidente
di Confapindustria Lombardia,
Api Bergamo e ora anche della
neonata fondazione.
Le imprese stanno così male?
Sì. moltissime non superranno questo momento difficile. Ed
è inutile sdegnarsi se c'è il 29% di
disoccupazione giovanile quando le aziende chiudono.
Ma è colpa della crisi.
Non solo. In Italia non ci so-
no le condizioni per fare impresa. Se affittassimo i capannoni
guadagneremmo di più.
Cosa c'è che non va?
Le faccio solo degli esempi.
Abbiamo una tassa sul lavoro
che si chiama Irap. Più assumo
e più pago. E la pago anche sugli
investimenti. Poi ci sono le tasse
indirette.
Quali?
Quelle ufficiali sono del 33%.
Ma si arriva al 60% visto che lo
Stato non mi permette di scaricare tutte le spese. Quelle per le
auto, per esempio, sono defalcagli dal reddito solo in parte.
Perciò pago una tassa anche su
un reddito che non percepisco.
E non ho neanche iniziato.
Continui.
In tutti gli altri Paesi, se voglio
fare una fabbrica, il terreno su cui
la costruisco è ammortizzabile.
In Italia no. Come il nucleare,
tutti ce l'hanno e noi no. In
Svizzera ti regalano il terreno
e non paghi tasse per tre anni.
In Polonia paghi cinque volte
meno la manodopera e il 30%
in meno l'energia come nel resto
d'Europa. Poi se presenti una domanda per un credito allo Stato
ti danno una risposta in 15 giorni
e le tasse sugli utili sono il 19%
Gira e rigira si parla di tasse.
Se guadagno, le tasse le pago
volentieri. Ma non è possibile
accettare nuovi carichi. Secondo
lei è compito dell'azienda capire
il grado di benessere mentale dei
dipendenti?
Sta parlando di salute?
Per quello spendo già 75 mila
euro per un medico. Sto parlando di uno psicologo che dovrò
assumere per «stress correlato».
Che cosa è?
Non lo so, Mi sembra di aver
capito che dovrò indagare per
vedere se i miei dipendenti sono
stressati per il lavoro o perché
litigano con la moglie. Dovrò
assumere uno psicologo. Noi
dovremmo aumentare il Pil,
produrre lavoro e ricchezza.
che sembra che lo scorso anno si
siano dimenticati di rifare la domanda di adesione al Cnel e non
c'è un nostro rappresentante.
E invece?
Facciamo tutt'altro, come il
sostituto d'imposta. Lavoriamo
per lo Stato gratis e se facciamo
un errore siamo responsabili penalmente. Bell'affare.
Ma chi resta perché lo fa?
I manager fanno due conti,
mettono sul computer una formuletta ed esce la scritta: «Sci
scemo a restare in Italia» e portano l'azienda all'estero.
E i piccoli imprenditori?
Sono ancora legati al territorio, ma per quanto? In Italia,
citando Ballali, è tutto da rifare.
E Confindustria?
Noi dovremmo
aumentare il Pil,
produrre lavoro e
ricchezza. Invece,
lavoriamo gratis
per lo Stato e se
facciamo un errore
siamo responsabili
penalmente.
Paolo Agnelli - imprenditore
Per denunciarlo non bastavano le associazioni che ci sono?
Queste cose Confapi non le
dice, e se le dice non fa nulla per
cambiarle.
Perché?
Nelle sede di Roma c'è qual
cosa che non funziona. Si figuri
Ci sono cose che i vertici
dell'associazione industriali
non possono dire.
Per esempio?
La liberalizzazione dell'energia in Italia è una farsa.
Perché non lo dicono?
Le aziende energetiche contano molto in Confindustria.
È una questione politica?
Se si parla con i funzionari
della struttura, che hanno contatti con la base, il linguaggio
è uguale al nostro. Ma questi
messaggi non arrivano ai vertici.
Invece, la fondazione?
Può gridare queste cose senza condizionamenti.
Quanti siete?
Dodici associazioni locali
hanno già aderito, altre otto
sono già d'accordo ma devono
riunire il comitato direttivo.
LA REPLICA «È solo dialettica interna»
Vi confronterete con i sindacati?
Api Bergamo, Como, Cremona, Mantova, Lecco, Varese. Modena.
Reggio Emilia. Padova. Venezia. Vicenza e Verona hanno già firmato.
Mentre Api Brescia, Rimini, Ravenna, Forfi Cesena. Parma e Novara
sono già d'accordo e aspettano il via libera degli organi direttivi per
entrare nella Fondazione per l'impresa e l'industria manifatturiera.
Tutti insieme rappresentano 12 mila imprese con 250 mila addetti e
continuano a far parte della Confapi guidata da Paolo Galassi (nella
foto). Ma sono in aperta polemica con i vertici dell'associazione.
Questi malumori sono già emersi quando alcune federazioni del
Nord, circa il 40% degli iscritti, hanno votato contro il bilancio 2009,
contestando i dati sulle modalità di raccolta e la
consistenza dei 2,6 milioni di euro di contributi
che mantengono la struttura nazionale.
«La dialettica interna alla Confederazione» ha
commentato Galassi «non può rappresentare
un ostacolo alla vita associativa. Vanno
quindi lette in questo contesto le prese di
posizione critiche di alcune associazioni
territoriali circa il bilancio confederale
2009 approvato a maggioranza lo scorso
settembre. Il dissenso è più che legittimo
e non rappresenta certo un rischio per la
stabilità della confederazione».
Loro dovrebbero avere il nostro stesso obiettivo: far crescere
il lavoro e quindi le imprese. Ma
spesso fanno il contrario. E lo
fanno per scelta politica.
Paria della Fiom.
Non è un discorso di sigla,
la mia esperienza personale mi
spinge a pensare che tutto dipende dalle persone.
Come sono i suoi rapporti con
i sindacati in azienda?
Difficili. Nelle mie aziende
spesso la Fiom è d'accordo e
la Cisl no.
E la politica?
Buona quella. Ho conosciuto
ministri che mi hanno parlato della forza dell'euro come «problema
esogeno» e pensavano di ovviare
alla scarsità di materie prime con
un tavolo di lavoro. Quasi sempre
ti rendi conto che non capiscono
di cosa si sta parlando.
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