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GLI “ORFANI” DELLE BADANTI

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GLI “ORFANI” DELLE BADANTI
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I I - N U M E RO 3 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
aprile 2009
Italia Caritas
MOLDAVIA, FUGA DALLA POVERTÀ: UN MINORE SU TRE SENZA GENITORI
GLI “ORFANI” DELLE BADANTI
VIAGGIO NELLA CRISI 2 TOSCANA, CHE NE È DEL WELFARE LOCALE?
STUPRI OLTRE L’EMOZIONE, LA DONNA CHIEDE DIGNITÀ
SRI LANKA LA GUERRA TARDA A FINIRE, INTANTO I CIVILI SOFFRONO
sommario
ANNO XLII NUMERO 3
IN COPERTINA
Organismo Pastorale della Cei
via Aurelia, 796
00165 Roma
www.caritasitaliana.it
email:
[email protected]
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I I - N U M E RO 3 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
aprile 2009
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
Bambino sul tetto
di una casupola
in una località rurale
della Moldavia.
Nel paese, ritenuto
“il più povero d’Europa”,
un’intera generazione
di minori cresce
senza genitori. Emigrati,
moltissimi in Italia...
foto Marco H. W. Serazio
Mensile della Caritas Italiana
Italia Caritas
Italia Caritas
direttore
Vittorio Nozza
direttore responsabile
Ferruccio Ferrante
MOLDAVIA, FUGA DALLA POVERTÀ: UN MINORE SU TRE SENZA GENITORI
GLI “ORFANI” DELLE BADANTI
coordinatore di redazione
VIAGGIO NELLA CRISI 2 TOSCANA, CHE NE È DEL WELFARE LOCALE?
STUPRI OLTRE L’EMOZIONE, LA DONNA CHIEDE DIGNITÀ
SRI LANKA LA GUERRA TARDA A FINIRE, INTANTO I CIVILI SOFFRONO
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,
Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, Renato
Marinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,
Giancarlo Perego, Domenico Rosati
editoriale di Vittorio Nozza
3
progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
5
stampa
Omnimedia
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)
Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408
6
sede legale
nazionale
VIAGGIO NELLA CRISI / 2
TOSCANA: LE FAMIGLIE ANNASPANO, CHI LE POTRÀ AIUTARE?
«PIÙ BISOGNI, MENO RISORSE. È TEMPO DI RIFORMARE IL WELFARE»
di Stefano Lampertico
database di Walter Nanni
STUPRI, OLTRE L’EMOZIONE LA DONNA CHIEDE DIGNITÀ
di Claudia Biondi
MAZZOLARI E STURZO: LA LEZIONE DI DUE “PROFETI” DEI POVERI
di Giancarlo Perego
contrappunto di Domenico Rosati
panoramacaritas SERVIZIO CIVILE, RAZZISMO, AIDS
progetti MICRO PER RINASCERE
via Aurelia, 796 - 00165 Roma
redazione
8
10
tel. 06 66177226-503
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15
inserimenti e modifiche nominativi
richiesta copie arretrate
offerte
[email protected]
tel. 06 66177205-249-287-505
[email protected]
tel. 06 66177202
spedizione
19
in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
art.1 comma 2 DCB - Roma
Autorizzazione numero 12478
del 26/11/1968 Tribunale di Roma
Chiuso in redazione il 20/3/2009
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AVVISO AI LETTORI
Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.
internazionale
MOLDAVIA, IL PAESE DEGLI “ORFANI”: «LA MAMMA? È IN ITALIA…»
di Francesco Chiavarini foto di Marco H. W. Serazio
dall’altro mondo di Maria Paola Nanni
SRI LANKA: LA GUERRA TARDA A FINIRE, INTANTO I CIVILI SOFFRONO
di Valentina Ferraboschi foto di Gianluca Ranzato
2010 senza povertà di Francisco Lorenzo
VIAGGIO NELLA CRISI / 2
PREZZI E AIUTI A RISCHIO, ANCHE L’AFGANO PIANGE
di Danilo Feliciangeli
contrappunto di Alberto Bobbio
agenda territori
villaggio globale
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Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:
●
Versamento su c/c postale n. 347013
●
Bonifico una tantum o permanente a:
- Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma
Iban: IT19 W030 6905 0921 0000 0000 012
- UniCredit Banca, piazzale dell’Industria 46, Roma
Iban: IT02 Y032 2303 2000 0000 5369 992
- Allianz Bank, via San Claudio 82, Roma
Iban: IT26 F035 8903 2003 0157 0306 097
- Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma
Iban: IT29 U050 1803 2000 0000 0011 113
●
Donazione con CartaSi e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 66177001
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incontri di servizio di Chiara Del Corso
IL CUORE DI SALVATORE A MOLTI AVEVA DATO QUALCOSA
La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può
trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di
organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.
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5 PER MILLE
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di Vittorio Nozza
INTEGRAZIONE DIFFUSA,
COSÌ SI TUTELA LA SICUREZZA
Paolo Brivio
in redazione
INTEGRAZIONE DIFFUSA, COSÌ SI TUTELA LA SICUREZZA
parola e parole di Bruno Maggioni
FRATERNITÀ, IDEALE DI TUTTI MA IL CRISTIANO SA CONDIVIDERE
paese caritas di Flavio Ricci
UN LIBRO E UN CANTIERE, DIETRO I NUMERI LE PERSONE
editoriale
Per destinarlo a Caritas Italiana, firmare il primo
dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi
e indicare il codice fiscale 80102590587
lla fine ce l’hanno fatta, i sostenitori delle ronde, a
metterle sulle strade delle nostre città, comuni e territori. Così prevede il decreto legge approvato dal governo, che appena pubblicato diventerà legge. Ci vorrà ancora un regolamento, si capisce, per dare concretezza alla
decisione, ma l’appuntamento è scoccato.
Entusiasmo, soddisfazione? Certamente no! Non sappiamo ancora con esattezza che cosa può sortire da una norma
esaminando il problema dell’integrazione degli immigrati in Italia, arriva
ad affermare che può ormai delinearsi un’originale via italiana in questo
campo. E così, in occasione della presentazione del Rapporto sull’integrazione promosso proprio dal Cnel
(con il supporto della redazione del
Dossier immigrazione Caritas-Migrantes), il presidente della camera,
Gianfranco Fini, ha potuto affermare
che «dobbiamo mantenere lucidità e
– per ora solo programmatica – che
serenità per respingere l’odiosa assonel suo “legalese” dice la possibilità
Secondo il Cnel, l’Italia
ciazione mentale tra criminalità e
per i sindaci “di avvalersi della collasta elaborando una via
immigrazione. Non c’è alternativa alborazione di associazioni tra i cittadipeculiare all’inserimento
l’integrazione, perché l’unica alternani non armati per segnalare agli orgadei migranti nella società.
tiva diventa la sconfitta».
ni di polizia eventi che possono arreEppure le elaborazioni
Il crescere di fobie, paure e intolcare danno alla sicurezza urbana ovlegislative non sempre sono
leranze, cioè di una regressione civivero situazioni di disagio sociale”.
all’altezza delle pratiche
le di cui l’Italia deve temere le conRonde? No, grazie! Anche indipensociali. La tutela
seguenze e che le istituzioni devono
dentemente da preconcetti negativi,
del territorio
governare, contrasta con i contenula parola “ronde” materializza l’idea di
non ha bisogno di ronde
ti e il linguaggio che l’indagine del
gruppi strumentati per andare a cacCnel accredita come peculiarità itacia di cattivi, anzi, dei supposti cattivi,
di quelli che non la pensano come
liana, ovvero l’esercizio diffusivo
me, di chi mi dà fastidio, di chi è su una sponda ideale o et- dell’integrazione nel territorio. Il Cnel nota che, sopratnica diversa dalla mia. Ma, ammesso che possano davvero tutto nelle comunità minori, si stabilisce una relazione
essere istituiti per legge gruppi di volontariato così, occor- virtuosa con le dimensioni della piccola e media imprere premettere che, in nessun caso, essi possono essere pen- sa e dei circuiti solidaristici locali, aperti anche ai nuclei
sati come surrogati di carabinieri e polizia.
familiari. Coltivare tale prassi significa seguire piste difLa tutela vera del territorio, della convivenza, della sicu- ferenti sia da quella dell’assimilazione (Francia), sia da
rezza dei cittadini spetta alle forze dell’ordine, che rappre- quella della mescolanza (Olanda), sia da quella del lavosentano in maniera sicura lo Stato e, allo stesso tempo, i cit- ratore ospite più o meno desiderato (Germania). Signitadini: tutti i cittadini. Perciò è doveroso finanziare adegua- fica anche uscire da una certa visione restrittiva del
tamente polizia e carabinieri, perché possano assumere «meno vengono e prima se ne vanno, meglio è». Imponuovo personale, formarlo convenientemente, fornirlo dei stazione non solo irrealistica, ma anche miope, dato che
mezzi necessari perché possa svolgere in maniera equili- solo la stabilizzazione dell’immigrazione assicura la dibrata il proprio ruolo a servizio di una convivenza che sia la sponibilità delle risorse che essa produce.
meno pericolosa possibile per tutti, italiani o stranieri.
L’allarme sociale per i casi di criminalità, di cui sono
protagonisti diversi immigrati, non va ignorato e misure adeguate vanno adottate. Ma non serve ridurre il tutRegressione da temere e governare
Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), to a questione di ordine pubblico. Per giunta, con pro-
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parola e parole
editoriale
di Bruno Maggioni
poste di controllo alquanto problematiche, consegnate
a cittadini raggruppati tra loro. La mentalità aperta che
abbatte i muri della diffidenza e dell’ostilità, carente in
molte elaborazioni legislative e amministrative, sta facendo le sue prove nelle dinamiche dei territori, nella
vita degli enti locali, dei sindacati, dei molteplici vissuti
delle comunità parrocchiali e del volontariato. Ma anche nell’intraprendenza degli stessi immigrati, molti dei
quali sono riusciti, per lo più nel conflitto, a trovare una
pista, uno spazio, un modo per realizzare una convivenza meno problematica. Cioè per integrarsi.
Tutti responsabili di tutti
Pertanto non c’è affatto bisogno di organizzare alcuni
contro qualcuno, ma di organizzarci in tanti a favore di
tutti, a favore di una convivenza corresponsabile, partecipata, costruttiva, giusta, fraterna e solidale. Quindi a
servizio delle persone in difficoltà: italiani, rumeni, albanesi, nordafricani, latinoamericani, asiatici…; donne,
anziani, minori, handicappati…; persone, famiglie,
gruppi... Una presenza moltiplicata, perché nelle nostre
città e nei nostri territori si possa vivere in pace.
È sempre più frequente cogliere gruppi di volontariato frequentare strade, angoli di città, zone abbandonate per favorire un minimo di incontro, di relazione e
di presa in carico di persone segnate da emarginazione
e frantumazione grave, spesso fatte oggetto di molteplici forme di violenza e a loro volta soggette a comportamenti violenti. Oppure è sempre più cosa ordinaria l’attivazione di luoghi e strumenti di ascolto e relazione
con chi vive nei campi rom, negli angoli delle grandi stazioni, in alcune zone abbandonate dei nostri territori.
Presenze attente, ricche di compassione e prossimità,
per trasmettere speranza in cammini di uscita da vite a
volte abbruttite da degrado e sfruttamento, devianza e
autodistruzione, abbandono e dimenticanza. E poiché
sono le persone che fanno la storia, varrebbe la pena di
completare la bontà delle varie ricerche sociologiche
raccontando i vissuti di tanti, singoli e famiglie, che sono riusciti a tessere nei luoghi dell’abitare e del lavoro,
nelle scuole, negli ospedali, nelle parrocchie e nei circoli culturali e ricreativi, con energie proprie o con l’aiuto
di altri, nuove e solide trame di umanità.
Da cittadini credenti poi facciamo sempre più nostra la convinzione che “ogni parrocchia ha senso per
annunciare il Vangelo di sempre e per spezzare l’unico
pane eucaristico in quel luogo, in quel momento storico, con le attese e i problemi, le fatiche e le speranze, i
valori e le contraddizioni di quelle persone. In una città
o in un piccolo paese, nella periferia di una grande metropoli o in una vallata di montagna, la parrocchia è
Chiesa che accoglie il bisogno di socialità della gente e
le paure della solitudine; che fa i conti con le spinte al
consumismo, i messaggi deresponsabilizzanti dei mass
media, i localismi e gli individualismi. Prendendo quel
che c’è di buono per migliorarlo, resistendo al male che
da qualche parte è sempre in agguato e provando ad essere, sotto lo sguardo misericordioso del Padre, tutti responsabili di tutti” (Caritas Italiana, Carta pastorale Da
questo vi riconosceranno, n.18).
‘‘
Non c’è bisogno di organizzare alcuni contro qualcuno,
ma di organizzarci in tanti a favore di tutti: a favore
di una convivenza corresponsabile, partecipata, fraterna
’’
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FRATERNITÀ, IDEALE DI TUTTI
MA IL CRISTIANO SA CONDIVIDERE
La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede avevano un cuore solo
e un’anima sola e nessuno metteva a sua proprietà quello che gli apparteneva,
ma ogni cosa era fra loro comune (Atti 2,42)
primi cristiani a mettere in comune
i loro beni non è stata una predicazione ascetica, né una visione dualistica del mondo, né una mistica della povertà, ma la fede nell’unico Padre, la comune appartenenza al Signore, la convinzione di essere tutti
figli dello stesso Dio.
L’ideale perseguito non è dunque la povertà, ma la condivisione.
Così che “nessuno fosse fra loro bisognoso”. Luca dice che “Erano un
tranquillamente le differenze sociacuor solo e un’anima sola”, espresli: da una parte i poveri, dall’altra i
Dagli Atti degli apostoli
sione fondamentale per capire le
ricchi. Naturalmente Luca ci tiene a
emerge una comunità
due facce inseparabili della solidafarci capire che il progetto di fraterche è fraternità, secondo
rietà cristiana, insieme interiore ed
nità che sta proponendo è un proun’aspirazione propria
esteriore, atteggiamento che coingetto cristiano, ma sa anche molto
di tanta cultura antica. Ma
volge l’anima e il corpo. La sua radibene che si tratta di un ideale che
Gesù dona una vita nuova:
ce è nel cuore dell’uomo: “Cuore e
tutti gli uomini, pagani ed ebrei,
anima” dice la totalità dell’esperienhanno sempre sognato.
l’originalità cristiana
za umana e designa il centro della
L’ambiente greco conosceva, ad
è ispirata dalla convinzione
persona. Potremmo parafrasare coesempio, gruppi di filosofi pitagoridi essere tutti figli
sì: tutta la persona – a partire dal suo
ci che vivevano in fraternità, metdello stesso Dio
centro e dalle sue radici – deve protendo i propri beni in comune. Platendersi nella fraternità.
tone sognava una città modello in
Questa prassi caritativa della prima comunità cricui il mio e il nostro avrebbero finito con il confondersi.
E Aristotele osservava che esiste vera amicizia solo là stiana si è dapprima manifestata in forma spontanea:
dove le cose diventano comuni. Questo ideale di frater- ciascuno distribuiva i suoi doni al fratello che ne avenità non era meno vivo nell’ambiente giudaico. La fede va bisogno. Ma ben presto si è solidificata in forme orebraica attendeva per il tempo messianico una comu- ganizzative e istituzionali. Più avanti, in Atti 6, Luca
nità fraterna in una terra promessa, senza più poveri: parlerà infatti di una distribuzione quotidiana per le
“Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi, perché il vedove e per i poveri.
Signore tuo Dio ti benedirà nel paese che ti darà in ereForse si può sottolineare anche un altro aspetto: la
dità” (Deuteronomio 15,4).
fraternità nasce dal centro della persona, cioè dalla sua
visione di sé e del mondo, non dalla semplice assunzioDal centro della persona
ne di qualche servizio. Se si è nel profondo attaccati anL’ideale di una profonda e concreta fraternità non è dun- zitutto a se stessi, allora anche se si assume un servizio
que soltanto cristiano: appartiene a tutti i popoli. Appar- per gli altri, questo non potrà non essere viziato (e forse
tiene però all’originalità cristiana il fatto che a spingere i anche guidato) dai propri interessi di parte.
ella prima lettura della seconda domenica dopo Pasqua, Luca descrive negli Atti un aspetto della prima
comunità cristiana. Nell’intenzione di Luca, queste parole vogliono essere una fotografia di quella vita nuova che il
Cristo risorto ci dona. E non è certo a caso che di questo quadro il tratto più sottolineato sia la fraternità.
Luca scrive negli anni Settanta del primo secolo e si rivolge ai cristiani benestanti che hanno finito con l’accettare
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paese caritas
di Flavio Ricci
direttore Caritas Ancona-Osimo
UN LIBRO E UN CANTIERE,
DIETRO I NUMERI LE PERSONE
con gli uomini e le donne del nostro
tempo? Non è che abbiamo perso i
Servizi, analisi, confronti,
contorni dei loro volti, sì da renderparole: ma l’operatore
celi irriconoscibili?
della carità spesso
Quei volti concreti sono gli apsi
chiede
se stia perdendo
puntamenti con la storia nei quali
i contorni dei volti degli
Dio si “camuffa” da viandante, perVincere le disperazioni
uomini del suo tempo.
ché noi impariamo a leggere le perAbbiamo accolto questo libro come
Allora, provvidenziale,
sone e gli eventi con gli occhi suoi. Il
una grande consegna. E il nostro
nostro vescovo ha recentemente
cantiere si è messo in moto puntanarriva un’immagine.
usato l’immagine efficace di un lido, data la situazione generale che
Che innesca quattro
bro immaginario che ogni cristiano,
colpisce tante persone, su quattro
esperienze…
e tanto più ogni operatore Caritas,
esperienze (scommesse?): il Fondo
dovrebbe sfogliare e coniugare. Neldi solidarietà in ogni parrocchia, gela prima pagina troviamo il fondamento: “Ogni volta stito in maniera palese e comunitaria, per i poveri, speche… lo avete fatto a me” (Matteo 25). E il fondamento cialmente del proprio territorio; il microcredito (quasi a
esige uno stile proprio di ogni atto caritativo: la “sama- tasso zero e con tempi lunghissimi di restituzione), per
ritanità”, con tutte le attenzioni e operazioni necessarie sovvenire con piccoli aiuti a improvvise necessità indiper farsi prossimi (Luca 10).
viduali o familiari; la campagna “Io non Ti denuncio”, riLa seconda pagina contiene la missio: ogni atto, ogni volta a circa quattromila operatori sanitari del grande
servizio, ogni attenzione in Caritas si qualifica e si giusti- ospedale regionale, in relazione alla cancellazione del
fica in ragione di un mandato che ci inserisce nella co- divieto di segnalazione degli stranieri irregolari che acmunione ecclesiale, da essa partiamo e per essa lavoria- cedono alle strutture sanitarie; infine l’idea (per adesso
mo. La terza pagina ricorda che il servizio in Caritas ha ancora solo tale) di una “originale” opera-segno in vista
bisogno di un’attenzione sapienziale, un’attenzione del del prossimo Congresso eucaristico nazionale che si
cuore, perché l’incontro è con le persone, i loro mondi e terrà ad Ancona nel 2011 (non solo cose di prima nele loro storie, non con le cose. Per questo, in diocesi, ab- cessità, ma la promozione di lavori semplici per chi non
biamo messo accanto ai volontari un sacerdote, perché ha mai lavorato per disagi gravi personali e per chi ha
pensiamo che faccia parte della loro formazione essere perso il lavoro). Ecco, appunto: dietro i numeri, le peraiutati a coltivare la dimensione dello spirito.
sone. E il tentativo di vincere le loro disperazioni.
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APRILE 2009
Italia Caritas
le notizie che contano
un anno con Italia Caritas
Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.
Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.
Storie che raccontano l’Italia e il mondo.
Notizie e riflessioni sui percorsi della solidarietà.
Per ricevere Italia Caritas per un anno
occorre versare un contributo alle spese
di realizzazione, che ammonti ad almeno
15 euro. A partire dalla data di ricevimento
del contributo (causale ITALIA CARITAS)
sarà inviata un’annualità del mensile.
Un anno a 15 euro, causale “Italia Caritas”
Per contribuire
• Versamento su c/c postale n. 347013
• Bonifico una tantum o permanente a:
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via Aurelia 796, Roma
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piazzale dell’Industria 46, Roma
Iban: IT02 Y032 2303 2000 0000 5369 992
- Allianz Bank
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Iban: IT26 F035 8903 2003 0157 0306 097
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• Donazione con CartaSi e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 66177001
(orario d’ufficio)
Anno 9 numero 68.
Aprile 2009.
€ 4,00
M E N S I L E D E L L A CA R I TA S I TA L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I I - N U M E RO 3 - W W W. CA R I TA S I TA L I A N A . I T
valori
aprile 2009
Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Italia Caritas
Fotoreportage > 10 anni di Banca Etica
+
FRANCESCO ZIZOLA
C
La quarta pagina: il servizio potrà e dovrà essere contagioso per
tante persone, in particolare per i
giovani, perché si aprano con disponibilità, individuando spazi per la
loro generosità e il loro impegno. Infine, la pagina dell’umiltà: è vero che
Gesù dice “Date voi da mangiare” e
la folla era immensa! Ma è anche vero che noi possediamo solo cinque
pani e due pesci! Allora entri in ciascuno la logica della piccolezza, di
un fare dove è Lui che fa! Senza ansia: non si può far tutto, perché tutto
non possiamo, perché l’impotenza
nostra reclama la Sua onnipotenza!
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
entri d’ascolto, osservatori su povertà e risorse, statistiche, letture sociologiche, letture pastorali… E dossier diocesani, regionali, nazionali… convegni, congressi, discorsi… giornali, libri, letture e confronti, dibattiti e domande… Tante, tante parole dette e scritte… Grande fatica di ricerca, di aggregazione, di pensiero.
Ma noi operatori della pastorale della carità ci chiediamo sempre
più spesso: dietro i numeri, ci sono ancora le persone? Per caso, non
è che abbiamo disattivato, pur standoci dentro, gli appuntamenti
Dossier > Finanza, fisco, governance internazionale. Servono nuove regole
MOLDAVIA, FUGA DALLA POVERTÀ: UN MINORE SU TRE SENZA GENITORI
GLI “ORFANI” DELLE BADANTI
VIAGGIO NELLA CRISI 2 TOSCANA, CHE NE È DEL WELFARE LOCALE?
STUPRI OLTRE L’EMOZIONE, LA DONNA CHIEDE DIGNITÀ
SRI LANKA LA GUERRA TARDA A FINIRE, INTANTO I CIVILI SOFFRONO
Tutto da riscrivere
Finanza > Azionariato critico contro i paradisi fiscali: Eni di casa in Olanda
Economia solidale > Biologico controcorrente: il settore che resiste alla crisi
Internazionale > Dalla Bolivia alla luna, le nuove rotte delle materie prime
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Trento - Contiene I.R.
Occasione 2009
ABBONAMENTO CUMULATIVO CON VALORI
È un mensile di economia sociale e finanza etica
promosso da Banca Etica.
Dieci numeri annui dei due mensili a 44 euro. Per fruire dell’offerta
• versamento su c/c postale n. 28027324
intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica,
via Copernico 1, 20125 Milano
• bonifico bancario: c/c n. 108836
intestato a Soc. Cooperativa Editoriale Etica
presso Banca Popolare Etica - Abi 05018 - Cab 12100 - Cin A
Indicare la causale “Valori + Italia Caritas”
e inviare copia dell’avvenuto pagamento al fax 02.67.49.16.91
L E G G I L A S O L I DA R I E T À , S C E G L I I TA L I A CA R I TA S
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tel 06 66177001 - fax 06 66177602
e-mail [email protected]
nazionale
viaggio nella crisi 2
servizi di Stefano Lampertico
n fotogramma, per descrivere la crisi. Un’immagine. «L’immagine come di un corpo immerso nelle sabbie mobili, fino al volto; e che
però con la testa pensa di correre. Ma ovviamente non è in grado». L’istantanea è di
Gianni Salvadori, assessore alle politiche sociali della regione Toscana. Un’icona che, già in sé, racconta la percezione di un momento difficile, forse non
compreso nella sua pienezza. «E invece – continua l’assessore – la crisi sarà ancora lunga. E ancora più complessa e difficile da gestire nei suoi effetti. Che ora sono
attutiti dagli ammortizzatori sociali, dagli aiuti del settore pubblico». Della stessa idea è don Renzo Chesi, delegato regionale Caritas per la Toscana. «Siamo solo all’inizio della cosiddetta crisi, in Toscana, come altrove.
La sua piena affermazione si vedrà nei prossimi mesi,
anche se alcuni segnali significativi sono già registrabili,
in particolare nei territori di Prato e a Pistoia».
Non è semplice descrivere gli effetti di un clima che,
in Toscana, ha davvero aspetti articolati. «Questo – racconta Maurizio Petruccioli, segretario generale della Cisl regionale – è un territorio che negli ultimi venti anni
ha subito un ribaltamento totale dei suoi indici di produzione: prima prevaleva l’industria manifatturiera, oggi i servizi. Ma a preoccupare sono gli indicatori macroeconomici: stiamo passando da un 2006 con un
+1,5% di Pil a un 2009 in cui la stima è -1,8%».
I dati aiutano a descrivere gli effetti di un momento
davvero complicato per un sistema che si è sempre caratterizzato per la poliedricità delle sue forme produttive,
ma anche per le innovazioni in ambito sociale, per il lavoro di rete tra pubblico e privato, per la capacità di costruire un sistema di welfare regionale incentrato su un
U
FILI SPEZZATI
ROMANO SICILIANI
A Prato, cuore
della Toscana
industriale, hanno
perso lavoro
10 mila addetti
del tessile su 40 mila
In Toscana si stimano 40 mila
nuclei in difficoltà. La chiusura
di grandi e piccole imprese
accresce i bisogni. Ma il welfare
locale, che ha una tradizione
di collaborazione tra enti pubblici
e non profit, mostra i primi
segnali di cedimento…
8
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concetto avanzato di sussidiarietà. «Le nostre aziende duraturo: cercano la risposta a un bisogno immediato,
manifatturiere – osserva il segretario Cisl – per una lar- un aiuto per l’affitto, o per far fronte a spese impreviste».
«La Caritas in Toscana – osserva don Chesi – si sta
ghissima quota producono per l’export. È il caso del sistema-moda e delle lavorazioni ad esso collegate. Lo stes- muovendo per far fronte alle difficoltà di un sempre
so vale per il settore della lavorazione dell’oro, il mercato maggior numero di famiglie attraverso l’attivazione di
del caravan e l’indotto auto. Oggi però aziende da tempo fondi di solidarietà e di forme di microcredito: sono inisul nostro territorio scelgono di insediarsi in territori che ziative che mirano a dare un segnale di attenzione, in
ritengono più redditivi. Un caso? La multinazionale Hea- attesa di assumere un carattere di maggiore organicità».
ton, a Massa Carrara, punterie per auto: nonostante ci sia
ancora mercato, ha scelto di sviluppare i propri prodotti Le famiglie non pagano le bollette
in Polonia, perché lì la redditività è del 20% più alta. E 350 I segnali di sofferenza si percepiscono lampanti, in Toscana, anche guardando al rapporto particolare tra enti,
persone, più l’indotto, si trovano nella difficoltà».
Ma gli esempi potrebbero essere molti. A Prato il set- cittadini e privato sociale che il territorio ha saputo svitore del tessile, 40 mila addetti, ha perso negli ultimi luppare. L’avanzato sistema di welfare toscano, in effetti,
cinque anni 10 mila posti di lavoro. «Senza neppure una rischia di essere indebolito dai pesanti colpi della recesvertenza industriale – dicono dal sindacato –. Una mi- sione. «Un terzo delle famiglie toscane – ammette l’asriade di imprese polverizzate, a livello familiare: si sono sessore Salvadori – si sono indebitate o plurindebitate
spente tante piccole luci, e te ne rendi conto quando i con i meccanismi del credito al consumo; una parte imdati di Unioncamere ti
portante di queste famimettono di fronte alla I NUMERI
glie ha cominciato a non
realtà… In questo scenapagare le bollette dell’acQUASI 16 MILA EURO Reddito medio annuo per abitante
rio le ricadute sono pequa e delle utenze. Altre
in Toscana (contro i circa 14 mila della media nazionale
santi. Se le famiglie sono
vanno in difficoltà quando
e i 14,5 della media europea).
indebitate, un mutuo per
un genitore perde il posto
4,6% Incidenza della povertà relativa in Toscana (inferiore
esempio, la situazione didi lavoro, o per un’improvsia all’11% del dato nazionale che al 6% di quello
venta molto critica».
visa situazione di non audel centro Italia, ma sacche di marginalità e disagio
tosufficienza. La modersono in crescita)
nità organizzata prevede
Bisogni immediati
che lo stato si faccia carico
Le conferme degli effetti
-1,8% Stima Pil toscano per il 2009
dei bisogni dei cittadini.
sociali di tale situazione
10 MILA Posti di lavoro persi a Prato negli ultimi cinque
Ma lo stato oggi non ha riarrivano dalla sociologa
anni tra i 40 mila addetti del settore tessile
sorse sufficienti per riAnnalisa Tonarelli dell’Uspondere alle attese. Queniversità di Firenze, che
sto è il dato drammatico».
cura per la Caritas fiorenInfatti, su scala nazionale, Banca Etica segnala per
tina l’Osservatorio delle povertà e delle risorse. «Rispetto
agli anni precedenti, la rete di rilevazione si è allargata. E esempio che sta erogando prestiti ponte a molte coopei dati sono significativi. Cresce, per esempio, la percen- rative sociali in difficoltà a causa dei ritardi nei pagatuale degli italiani che si rivolgono ai centri d’ascolto. Al- menti, da parte degli enti pubblici, delle fatture emesse
la fascia “storica” di utenza (disagio grave e marginalità per i servizi erogati. «I nostri prestiti, a 24 mesi, sono a
sociale), si aggiungono elementi che sono effetto della un tasso basso – spiega Marco Di Giacomo, direttore
crisi attuale. Sempre più donne si rivolgono ai nostri della filiale milanese – e in questa fase servono agli enti
centri, provenienti da una situazione di “normalità”. Lo del terzo settore a coprire i fabbisogni di liquidità. Ci sovediamo dalla condizione abitativa: vivono in affitto, o in no enti (comuni, province, Asl) che ormai pagano i seruna casa popolare. La donna è l’esponente del nucleo fa- vizi ricevuti a 24 mesi di distanza. Se non facessero rimiliare che più facilmente si avvicina ai nostri centri, av- corso ai nostri prestiti, molte cooperative si troverebbevertendo per prima la perdita del potere d’acquisto, le ro in difficoltà evidente».
difficoltà nel rispondere ai bisogni di base. Ci sono poi
Urgono dunque risposte diverse. «In Toscana abbiamo
famiglie che hanno un rapporto con i nostri centri meno cercato di mettere in moto – riprende l’assessore – alcuni
FONTE: CAMERA DI COMMERCIO MILANO
LE FAMIGLIE
ANNASPANO,
CHI LE POTRÀ
AIUTARE?
€
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meccanismi virtuosi: l’intervento sul fondo per la non autosufficienza (200 milioni di euro sino al 2010 per le 40 mila famiglie che si trovano in condizioni difficili), quello per
le famiglie numerose, le misure per ridurre le spese ordinarie delle famiglie. In Toscana abbiamo un sistema di
welfare misto, nel quale la maggioranza dei servizi viene
gestita in forma indiretta, insieme al privato sociale. Un sistema complesso, ma che ci aiuta a trovare risposte efficaci. E riusciremo a farlo soltanto rendendo ancora più vitale quelli che Ardigò chiamava i “soggetti intermedi”, i
mondi vitali. Dobbiamo far capire ai cittadini che non sono soli. Ma per avere solidarietà vera occorre un elemento che sta alla radice della solidarietà, ovvero l’etica della
responsabilità. Occorre vincere la logica individualista che
ha prodotto la crisi. Non basta riprodurre il meccanismo
di una carta di credito per far ripartire i consumi...».
che però vede segnali allarmanti anche su questo versante. «La rete dei servizi e dei sostegni alle famiglie
da parte degli enti pubblici locali, molto attiva e ramificata nel nostro territorio, rischia di venir meno, perché si riducono gli strumenti di azione economica a
disposizione degli enti istituzionali. Ne siamo molto
preoccupati: mentre si accresce l’area della margina-
lità, a cui si aggiungono le situazioni di bisogno della
cosiddetta fascia della normalità, l’ente locale riduce
la sua capacità di intervento. Ma la situazione è difficile, e non si può pensare di risolvere le questioni, scaricando sul privato sociale il peso delle iniziative contro gli effetti della crisi».
(hanno collaborato Sara Martini e Mario Agostino)
Non scaricare sul privato sociale
Il concetto viene sottolineato anche da Alessandro
Martini, direttore della Caritas diocesana di Firenze,
DILEMMA DI MERCATO
All’Emporio la spesa… a punti
«Un sostegno, ma educativo»
Pochi spiccioli,
e la necessità di mettere
comunque qualcosa
in tavola: un problema
per molte famiglie
anche in Toscana.
Nella pagina a fianco,
due immagini dell’Emporio
Caritas di Prato
L’
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Caritas diocesana e il volontariato vincenziano, il comune
di Prato e la Fondazione Cariprato, UniCoop Firenze e la
provincia. Un bell’esempio di collaborazione tra istituzioni, privato sociale e privato profit. “Emporio Caritas, la solidarietà spesa bene” ha alzato la saracinesca da pochi
mesi, prima della scorsa estate, nei locali della parrocchia
di Santa Maria delle Carceri. E i
numeri sono già rilevanti. Nei primi mesi di vita più di duemila
persone vi si sono fornite. Famiglie di immigrati, ma non solo.
Anche italiani che faticano a fronteggiare la crisi: nuclei con problemi occupazionali, anziani soli,
persone con disagio mentale.
Scaffali sempre pieni
Una signora di una certa età, immigrata, ha nel suo cestello alcuni chili di pasta; l’integrazione, si
sa, è fatta anche di usi e consumi… Una giovane mamma, italiana, sceglie alcuni articoli nel
settore riservato ai neonati. Il
progetto coinvolge diversi soggetti. Caritas parrocchiali, Centro di aiuto alla vita, San Vincenzo e servizi sociali segnalano le
ROMANO SICILIANI
A Prato la disoccupazione galoppa. E per molti fare acquisti è un problema. Così
Caritas e altri hanno aperto un piccolo supermercato. Che non è solo assistenza…
emporio ha l’aria di una “superette” ben organizzata. Un piccolo supermercato dove
puoi trovare di tutto. Sugli scaffali però, non
ci sono prezzi, ma punti. Nel bancone dei
surgelati il filetto di branzino costa qualche
punto in più della platessa o del merluzzo. Per un sacchetto di funghi porcini secchi ci
vuole il triplo dei punti che servono per “comprare” un chilo di pasta. Punti, non euro. Tessere precaricate, non carte di credito.
Funziona così l’Emporio Caritas di Prato. Un piccolo supermercato, dove le offerte sono riservate alle famiglie bisognose e
il reparto dei prodotti per bambini alle giovani mamme seguite
dal Centro di aiuto alla vita. E
dove è possibile trovare la pasta
e i generi di primissima necessità a un “prezzo politico”, perché «così aiutiamo – dice Rodolfo Giusti, “volontario a tempo
pieno” e responsabile progetti
della Caritas diocesana –, ma
educhiamo anche a uno stile di
vita dettato dalla sobrietà».
L’Emporio mette insieme la
€
famiglie bisognose a un apposito gruppo di valutazione,
che stabilisce l’importo in punti destinato a ogni nucleo
familiare. La gestione dell’Emporio è poi affidata all’associazione Cieli Aperti. Le famiglie che hanno accesso
alla tessera precaricata scelgono i prodotti tenendo
conto del “budget” che hanno a disposizione. I prodotti hanno un costo in punti, scalati alla cassa. Gli scaffali
sono sempre pieni. «Unicoop – spiega Rodolfo – fornisce gratuitamente l’Emporio con le merci che, nei supermercati, non potrebbe più essere vendute, perché al
limite della scadenza, o per difetti di confezionamento
o surplus produttivo, o altri motivi ancora. Merci che,
comunque, e per legge, possono essere distribuite. Anche il Banco Alimentare fornisce la struttura. E riceviamo donazioni da altre aziende importanti».
La tessera non ha ovviamente carattere vitalizio. «Può
essere utilizzata per tre mesi – chiarisce Idalia Venco, direttrice della Caritas diocesana – e può essere rinnovata
per poche volte. È una risposta immediata a un bisogno
evidente. Ma l’Emporio non è solo assistenza, è anche
luogo di ascolto e accompagnamento. Sul piano pasto-
rale, è uno strumento di
risposta immediata, affinché si possano costruire
progetti ulteriori sulle famiglie».
Alll’iniziativa ha aderito
da subito anche il comune.
«Prato – conferma Luisa Stancari, assessore alle politiche
sociali – deve affrontare quotidianamente emergenze sociali. Oggi, accanto alle tradizionali forme di emarginazione, affiorano nuove condizioni di povertà, che coinvolgono interi nuclei familiari. La crisi, fatta di condizioni lavorative instabili, disoccupazione, elevati costi del mercato
immobiliare, non ha fatto altro che rendere evidenti e manifesti questi disagi».
Insieme al comune
E poi ci sono gli immigrati. La provincia di Prato presenta
una tra le concentrazioni più alte d’Italia, con 13 stranieri
regolarmente soggiornanti ogni 100 residenti. Ma i piccoli artigiani locali, che hanno fatto fortuna con il telaio nel
sottoscala, oggi arrancano e sono in difficoltà. «La crisi da
noi – spiega l’assessore – ha questa caratteristica particolare. Alla crisi globale si aggiunge la crisi del tessile, che ha
effetti devastanti. Abbiamo un indotto da 40 mila addetti,
ma in pochissimo tempo abbiamo perso più di diecimila
posti di lavoro. Persone lasciate a casa senza ammortizzatori sociali, senza aiuti.
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Per questo abbiamo raccolto subito l’appello della Caritas e insieme abbiamo pensato a questa collaborazione
sistemica. Ma operiamo anche sul versante occupazionale, insieme con un’altra cooperativa del mondo Caritas, la
Sestante, con un progetto di borse lavoro per chi è rimasto disoccupato. Il comune interviene anche con sostegni
LA RISPOSTA
economici nei confronti degli imprenditori che decidono
di avvalersi di persone segnalate dai servizi sociali. I risultati, pur con numeri ancora poco significativi, sono incoraggianti. Meno sussidi, più inclusione lavorativa e sociale. Magari impegnando maggiori risorse». Perché la crisi
morde. E richiede di non lesinare gli sforzi.
Aumentano le richieste d’aiuto,
Caritas di tutta Italia mobilitate
ROMANO SICILIANI
«Più bisogni, meno risorse
È tempo di riformare il welfare»
Granelli, presidente dei Centri di servizio al volontariato: «Il non profit fa la sua
parte per reagire alla crisi. Ma le istituzioni si assumano le loro responsabilità»
APPALTI A RISCHIO
arco Granelli, milanese, per anni operatore di
Caritas Ambrosiana, è presidente di Csv.net,
il coordinamento nazionale dei Centri di servizio per il volontariato, istituiti in ogni regione d’Italia. Esperto di terzo settore, è la persona giusta per mettere a fuoco un fenomeno preoccupante: il fatto che la crisi globale sta corrodendo il rapporto tra enti pubblici e terzo settore.
M
La crisi che investe il paese è sempre più pesante.
Quali effetti ha avuto sull’azione del privato sociale?
La crisi è destinata, nei prossimi mesi, ad avere effetti
sempre più gravi: toglierà il lavoro a molti, soprattutto nelle fasce intermedie e medio-basse, facendo entrare nella povertà tante famiglie che prima
conducevano una vita dignitosa, e che rischieranno, mentre vedranno aumentare i loro bisogni, di avere meno servizi, perchè i comuni
avranno meno risorse per sostenerli. Quanto al
non profit, le sue risorse in genere hanno una
provenienza equamente distribuita tra entrate
dai comuni e dalle istituzioni, in cambio dei servizi resi, e donazioni dalle persone e dalle imprese, anche
se oggi incominciano ad arrivare anche dalla vendita dei
servizi. In un periodo di crisi, tutte queste entrate diminuiscono: in casi simili, gli enti possono fare ricorso al
proprio patrimonio, ma purtroppo il non profit italiano è
poco patrimonializzato. Deve dunque interrogarsi sul suo
futuro e sulla sua capacità di non essere solo attore di interventi di emergenza, ma soggetto strutturale, che funge
da rete di protezione, ascolto e vicinanza ai bisogni, ma
anche da gestore innovativo, capace di trasformare le po12
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che risorse in servizi, valorizzando la fiducia che molti italiani hanno nel volontariato.
Operatrice e utente di una cooperativa sociale
al lavoro nell’ambito di un contratto di pulizia
per conto di un comune. Pagina accanto, Marco Granelli
Sarà in grado il terzo settore di caricarsi sulle spalle,
con risorse proprie, una riforma reale del sistema di
welfare?
Uno dei luoghi delle risorse è rappresentato dagli ingenti
patrimoni delle fondazioni di origine bancaria, costruito
saggiamente negli anni con i risparmi degli italiani, come
una cassaforte della comunità. Ma non va sperperato. Si
tratta di utilizzarlo con saggezza, unendo le risorse alla capacità innovativa del non profit, realizzando progetti di
lunga durata, che aiutino a sostenere persone e famiglie a
cominciare dai bisogni essenziali, casa e lavoro.
In questi ultimi mesi, invece di bandi generali,
ampi, che finanziavano progetti differenti e
parcellizzati, noi e le fondazioni abbiamo provato a investire risorse significative, per un tempo di almeno due anni, in ambiti specifici, con
reti di terzo settore ben individuate e con le
quali progettare interventi corresponsabili: è il
modello del sostegno allo sviluppo locale. Potrebbe essere la strada giusta.
siano capaci di educarci tutti alla cultura della solidarietà,
cioè alla corresponsabilità per i beni comuni, al senso civico, alla fraternità che producono quotidianamente coesione sociale. Sono i legami di prossimità, che trasformano un insieme di individui in una comunità.
Ma non può essere la sola risposta…
È necessario innovare il modello di welfare, ripensarlo negli strumenti, nella governance e nella redistribuzione delle risorse. Serve un impegno chiaro delle istituzioni, che
devono assumersi fino in fondo la responsabilità, assegnata dalla Costituzione, di “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona”. Insieme, abbiamo bisogno di un privato sociale e di volontariato che
€
Terzo settore, volontariato, enti locali: come si modificherà il rapporto tra questi soggetti?
È necessario sviluppare un rapporto di riconoscimento e
collaborazione, non di delega, né di collateralismo o sostituzione. La legge sul federalismo fiscale cerca di attuare la
sussidiarietà “verticale”, ma oggi serve di più quella “orizzontale”, cioè quella che nei territori mette insieme i servizi dei comuni e le azioni dei volontari, dei cooperatori, delle diverse realtà dell'associazionismo e delle fondazioni.
C’è dunque il rischio che il ruolo futuro del terzo settore e del volontariato sia soltanto “sussidiario”?
La crisi che stiamo conoscendo di giorno in giorno è la crisi di un modello economico-finanziario che in questi anni sembrava invincibile e unico. Invece sta fallendo e trascina con sé persone, risorse economiche, fiducia della
gente. La cooperazione, l’economia di comunità, il volontariato che affianca la gratuità alle prestazioni imprenditoriali hanno cercato di sopravvivere entro nicchie sociali.
Ora si deve dare una decisa fiducia a queste esperienze,
che dimostrano ogni giorno di essere più capaci di reggere, forse perchè più vicine ai cittadini, come ha mostrato il
riconoscimento ottenuto attraverso il 5 per mille.
«Forse è vero che in questo momento di crisi l’unica
cosa certa è l’incertezza, ma dobbiamo avere fiducia.
Non in una magica soluzione dei problemi,
ma nell’impegno di solidarietà e nel nostro essere
presenti, come sempre, accanto a chi è in difficoltà».
Così monsignor Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi
e presidente di Caritas Italiana, ha commentato,
in occasione del Consiglio nazionale, svoltosi a inizio
marzo a Roma, il primo monitoraggio delle iniziative
anticrisi assunte dalle Caritas e dalle chiese diocesane
in Italia. Da nord a sud del paese, si contano numerosi
interventi, alcuni nuovi, altri come potenziamento
di attività esistenti: microcredito, fondi straordinari
per le famiglie in difficoltà, empori e forme di spese
solidali, carte acquisti, consulenze per il lavoro
e la casa, ma anche coordinamento di strutture
di distribuzione e accoglienza, rafforzamento dei centri
d’ascolto e degli osservatori delle povertà, incremento
dei laboratori per promuovere le Caritas parrocchiali.
Tutto ciò, per rispondere a un aumento delle richieste
d’aiuto, che alcuni Osservatori regionali Caritas
stimano già, nel 2009, nell’ordine del 30%.
Così, la crisi è occasione per sperimentare forme
di “carità creativa”, ma anche per riflettere su stili
di vita e consumo. «Tutte le Caritas – ha osservato
monsignor Merisi – sono invitate a pensare a forme
nuove di sostegno al reddito famigliare, per chi
è in cassa integrazione o lavora a settimane alterne,
per i precari. Dobbiamo sostenere anche parti
del mondo produttivo, come le cooperative sociali,
che danno lavoro ai soggetti deboli, o al mondo
artigianale e del commercio, in riferimento soprattutto
a mancati pagamenti che mettono in crisi piccole attività.
Gli stili di vita vanno cambiati in base a due parole
chiave, solidarietà e sobrietà. E il metodo di lavoro
deve veder potenziata la sinergia con istituzioni locali,
banche e attori del territorio. Ma soprattutto con gli altri
soggetti ecclesiali: Caritas Italiana incoraggia le iniziative
diocesane di aiuto ai poveri e appoggia la creazione
di un fondo nazionale da parte della Cei, al quale
non ci sovrapporremo, ma nel quale ci integreremo».
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nazionale
nazionale
database
esclusione
politiche
sociale
sociali
violenza di genere
TANTE RIFORME,
MA POCO COORDINATE
ultimo Rapporto sulle politiche contro la povertà predisposto
dalla Cies (Commissione nazionale di indagine sull’esclusione sociale) riporta e commenta le principali misure di tassazione e trasferimento monetario introdotte nel biennio 2006-2007:
l’insieme delle riforme ha prodotto un flusso netto di risorse a favore delle famiglie pari a circa 7 miliardi di euro. Circa la metà è andata a
nuclei in cui è presente almeno un anziano, quasi 2,6 miliardi alle famiglie con almeno un minore. Il restante miliardo è stato percepito
da famiglie prive sia di anziani che di minori.
L’
prietari e affittuari si sono aggiunte
ulteriori detrazioni dell’Ici, poi ampliate nel 2008, mentre ai giovani tra
i 20 e i 30 anni che vanno a vivere in
affitto, con redditi inferiori a 15 e 30
mila euro, sono state riconosciute detrazioni di mille e 500 euro all’anno).
Nel biennio considerato sono
state varate anche altre misure: 150
milioni di euro per il 2007 per l’adempimento dell’obbligo di istruzione; 550 milioni a favore di un programma straordinario di edilizia
pubblica; 210 milioni per il 2007 e
180 per 2008 e 2009 per il fondo per
la famiglia (aggiunti alla dotazione
iniziale); 300 milioni nel triennio
2007-2009 per una nuova rete di
servizi alla prima infanzia; 100 milioni per il 2007 e 200 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per il fondo per le non autosufficienze.
Le modifiche introdotte sono
state numerose. La riforma dell’IrLa Commissione
pef, per esempio, ha rimodulato
nazionale di indagine
scaglioni e aliquote di tassazione;
sull’esclusione sociale
l’onere per il bilancio dello stato è
ha pubblicato il suo
ammontato a poco più di 350 milioni
“Rapporto sulle politiche
di euro. Quanto agli assegni familiacontro la povertà”
ri, si è sostituito il precedente andanel biennio 2006-2007.
mento a scalini con un andamento
Lungo elenco di misure
a decrescenza continua e sono aue numeri: ma le risorse
mentati gli importi. Nel settore dei
non sono adeguate
sostegni al costo dei figli, è stata ine gli effetti non incisivi…
trodotta una detrazione di 1.200 euDiminuita, di poco
ro a favore delle famiglie con almeLa Cies ha espresso alcune valutano quattro figli, non correlata al reddito imponibile ed zioni su queste misure e sulla situazione delle politiche
erogata anche agli incapienti (soggetti con reddito mol- di contrasto della povertà in Italia. Anzitutto, ha rilevato
to basso, che non traggono beneficio da eventuali ridu- che le numerose misure di riforma hanno avuto un imzioni sulle imposte di reddito). Proprio per costoro, il patto modesto sulla diffusione e sull’intensità della pobonus incapienti ha rappresentato la possibilità di be- vertà. Inoltre, secondo la Cies le riforme sono poco coorneficiare di una cifra di 150 euro pro capite e per ciascun dinate e non dotate dell’ammontare di risorse necessaeventuale familiare a carico; la misura ha avuto caratte- rio per ridurre davvero la povertà di reddito. La direzione
re una tantum, valeva solo per i redditi 2006.
distributiva è però coerente con l’obiettivo di contrastaNovità hanno riguardato anche le tutele pensionisti- re la povertà economica: sono diminuite, anche se poco,
che (quattordicesima mensilità per circa 3,5 milioni di pen- sia la diffusione che l’intensità della povertà. Particolarsionati ultra64enni a basso reddito; aumento delle pen- mente efficace è stata giudicata la riforma della detrasioni sociali, con garanzia di un reddito mensile di 508 eu- zione per l’affitto, mentre la riduzione dell’Ici prima casa
ro a partire dal 2008), le tutele di disoccupazione (poten- ha avuto un effetto trascurabile. Anche il bonus per gli
ziamento della durata dell’indennità con requisiti pieni incapienti ha avuto un effetto significativo sulla povertà:
di quella con requisiti ridotti), i fondi per la casa (per pro- si tratta però di una misura una tantum.
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STUPRI, OLTRE L’EMOZIONE
LA DONNA CHIEDE DIGNITÀ
ROMANO SICILIANI
di Walter Nanni
C
lamore e paure diffuse hanno suscitato, nelle ultime settimane, le notizie legate ad alcuni fatti orribili, avvenuti in diverse località italiane, anche se i più
“mediatizzati” hanno riguardato la città di Roma e il territorio circostante. Gli
episodi di stupri e violenze hanno innescato un dibattito serrato, ma a tratti
IN GIRO DA SOLA
convulso, in parallelo al quale si è sviluppata un’azione politica d’urgenza,
Una donna in un’area
concretizzatasi nel varo di un decreto legge governativo, che inasprisce noteurbana degradata.
Gli stupri di strada hanno
volmente le pene e le modalità di detenzione per chi commette violenze sessuali, e che
fatto discutere negli ultimi
mira a prevedere strumenti di controllo del territorio (le cosiddette “ronde”) su cui ha fimesi. Ma molte minacce
nito per concentrarsi l’attenzione dell’opinione pubblica.
si annidano dentro casa
L’interesse collettivo, insomma, è ben presto scivolato
dal tema della feroce violenza prodotta su alcune donne,
a quello della repressione di forme di marginalità e devianza urbana. La forte mediatizzazione di alcuni eventi
Eventi orribili hanno catalizzato
orribili, tra i tanti raccapriccianti che avvengono, ha conl’opinione pubblica. Legittimando
tribuito a canalizzare emozioni collettive e considerazioni
pubbliche: lo stupro e la violenza sessuale sembrano orleggi d’urgenza. Ma la “violenza
mai essere accreditati come fenomeni prevalentemente
di genere” è tema complesso:
“di strada”, commessi preferibilmente da stranieri.
enfatizzare i delitti “di strada”
I dati, anche quelli recenti, fanno però giustizia di molsvia l’attenzione da problemi
te convinzioni che, rafforzate dai picchi di emozione ineducativi e sociali più ampi
dotta, ben presto si trasformano in stereotipi. In breve:
di Claudia Biondi
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nazionale
violenza di genere
non è vero che stupri e violenze sessuali in Italia sono in
aumento (i casi denunciati, secondo il ministero dell’interno, si sono ridotti del 24,6% tra 2006 e 2008); non è vero che gli autori sono soprattutto stranieri (il 60,9% sono
italiani); non è vero che le aree di cui si parla di più sono
quelle più a rischio (per esempio a Milano, che pure è
molto meno popolosa di Roma, nel 2008 si sono registrati 480 delitti, contro i 317 della capitale); non è vero che il
fenomeno è prevalentemente di strada, ricerche nazionali e internazionali sono concordi nell’affermare che la
maggior parte degli episodi ha per responsabile il partner
o un familiare e avviene in ambiente domestico, anche se
in questi casi il tasso di denunce si abbassa.
VIOLENZE MOLTEPLICI
Bisognerebbe, insomma, prima di trarre conclusioni o
prendere provvedimenti, anche legislativi, inquadrare il
fenomeno in maniera corretta. Cominciando dalle parole
giuste. Per esempio dal concetto di “violenza di genere”,
con il quale ci si riferisce a tutti i comportamenti lesivi dell’integrità psico-fisica delle donne, delle adolescenti e delle bambine. Le forme che questa violenza assume sono
molteplici (violenza fisica, psicologica, sessuale, economica, senza dimenticare lo stalking e la violenza “assistita”
– che riguarda i figli testimoni delle violenze contro la madre): ma qualunque sia il modo con cui viene esercitata, la
violenza di genere ha come presupposto l’attribuzione alla donna di un ruolo subordinato rispetto all’uomo. Tale
sperequazione si traduce addirittura, in alcuni paesi o
contesti, nel godimento da parte delle donne di minori diritti; altrove, pur essendo la parità sancita per legge, tradizioni e costumi di stampo patriarcale perpetuano un modello culturale che svilisce le donne e ne prescrive la sottomissione agli uomini.
Il rispetto dell’identità femminile e la presa di coscienza della dignità della donna sono dunque, come insegna
l’esperienza di lavoro di ogni giorno, all’interno dei servizi e delle comunità di Caritas Ambrosiana che aiutano
donne maltrattate, le condizioni che permettono il superamento della violenza di genere. La denuncia della violenza e l’adozione di leggi per il suo contrasto rappresentano un punto di partenza imprescindibile, ma un effettivo cambiamento nei rapporti tra uomo e donna è possibile solo attraverso un processo, culturale ed educativo, di
critica dei meccanismi di prevaricazione. È un percorso
lungo, che interroga, sollecita e coinvolge sia le donne che
gli uomini. E che non fa alcun passo avanti grazie a indebiti processi di criminalizzazione generalizzata o a discu16
I TA L I A C A R I TA S
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APRILE 2009
Sono molti i comportamenti lesivi dell’integrità
psico-fisica delle donne: certamente gli stupri,
ma anche la violenza fisica, psicologica, economica,
senza dimenticare lo stalking e la violenza “assistita”
tibili modalità di setacciamento del territorio.
Le donne spesso tollerano la violenza perché mai messa in discussione all’interno della comunità di cui fanno
parte. Anche la violenza domestica viene spesso considerata un aspetto “normale” delle relazioni tra i generi: in
molti paesi le donne pensano che sia giustificata nel caso
in cui mettano in atto comportamenti “sconvenienti”, ma
continua a essere molto presente anche nei paesi occidentali e in Italia; la consapevolezza che non possa mai
essere tollerata è infatti una conquista relativamente recente e molte donne ancora resistono all’idea che possa
essere motivo sufficiente per allontanarsi dal partner. La
violenza domestica, inoltre, assume molteplici forme: se
quella fisica è evidente e accertabile, quella psicologica
(altrettanto grave in termini di danni e conseguenze) non
sempre viene pienamente riconosciuta.
Straniere, due volte violate
Queste considerazioni invitano a riflettere sulla complessità dell’intervento di contrasto della violenza di genere e
sui tempi lunghi necessari perché si realizzino effettivi
cambiamenti. Le statistiche relative al complesso del fenomeno (e non solo a singoli aspetti) restano intanto
preoccupanti: le Nazioni Unite stimano, per esempio, che
nell’arco della vita una donna su cinque sarà vittima di
stupro e una su tre sarà maltrattata, abusata o costretta a
rapporti sessuali contro la propria volontà da parte di un
membro della famiglia o di un conoscente. Il Rapporto
mondiale sulla violenza e la salute, pubblicato nel 2002
dall’Organizzazione mondiale della sanità, stimava che in
ROMANO SICILIANI
Se è domestica è “normale”
le difficoltà del dialogo. Nel caso della donna
straniera, inoltre, la violenza subita è doppia: a
quella interna alla coppia si aggiunge quella del
contesto sociale, che spesso la isola, se non addirittura la espelle. Esiste poi il problema legato
al maltrattamento nei confronti delle giovani
straniere, appartenenti alla “seconda generazione” di immigrati, molto spesso costrette a
difficili compromessi tra la cultura di origine e
quella occidentale.
Il motivo principale dell’impossibilità di
quantificare esattamente il fenomeno della violenza domestica è in ogni caso la limitata disponibilità delle donne a sporgere denuncia. A
questa decisione concorrono vari fattori, in parte individuabili nella paura delle reazioni del
partner, ma anche nella volontà di “non volergli
fare del male, ma di volersi solo liberare di lui”,
così come le operatrici sociali si sentono dire il
più delle volte incontrando le vittime.
Per molte donne la denuncia è un punto di
arrivo, una tappa importante di un percorso:
matura quando si sentono protette e al sicuro,
hanno instaurate nuove positive relazioni, hanno preso la giusta distanza emotiva dalla violenza e dal suo autore, hanno riacquistato fiducia nelle proprie capacità e cominciato a intravedere un futuro diverso.
Tutte le donne violentate e violate, in strada
o in casa, hanno dunque diritto a percorsi di accompagnamento psicologico, relazionale e sociale, che soddisfino alcuni bisogni di base: il bisogno di uscire dallo stato di solitudine (che può essere
conseguenza di un vero e proprio isolamento dalla sfera
familiare o amicale); il bisogno di “futuro”, cioè di uscita
dalla precarietà e dalla fissazione sul proprio drammatico
presente; il bisogno di ascolto, accoglienza e ospitalità. Sono queste le premesse per un ritorno a una vita per quanto possibile serena, fondata sulla riconquista della propria
dignità. Su queste capacità di risposta, da parte di istituzioni e soggetti del privato sociale, oltre che sui percorsi
educativi di cui sopra si è detto, occorre investire. Perché
non saranno le ronde a rendere le donne più sicure. Ma
una cultura che le rispetti, e una società che se ne sappia
davvero prendere cura, quando sono minacciate da qualsiasi violenza, improvvisa o peggio se ripetuta, perpetrata
da estranei o da persone intime, realizzata in un parco o
nel segreto di una casa.
alcuni paesi quasi il 70% delle donne ha subìto una violenza fisica dal proprio partner e che una su quattro è stata molestata sessualmente dal partner.
Nel nostro paese, le vittime sono donne di qualsiasi
età, appartenenti a qualsiasi ceto sociale, con livelli di
istruzione anche elevati; sole o con figli; italiane, benché
sia in forte crescita la percentuale di straniere. Queste ultime si trovano inserite in una realtà molto diversa, soprattutto per quanto riguarda i ruoli all’interno della coppia:
condizione spesso vantaggiosa, ma vissuta come una minaccia dal partner, che teme di perdere i privilegi legittimati dalla cultura di appartenenza. Tuttavia anche nelle
coppie miste si assiste a manifestazioni di violenza, sia
quando il partner è un italiano, sia quando è straniero ma
di una diversa etnia: sempre di più ci si scontra con il ricorso alla violenza come esito dell’incapacità di sostenere
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nazionale
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violenza di genere
«Minoranza gli stupri in strada,
le denunce restano poche»
di Daniela Palumbo
S
ono 6.743.000 le donne che hanno subito violenza
fisica e sessuale nel corso della loro vita, a 6.092.000
è stata inflitta violenza psicologica, 1.100.000 hanno sopportato lo stalking, ovvero un comportamento persecutorio. Nella prima indagine, targata Istat,
dedicata al fenomeno della violenza sulle donne, emerge
con chiarezza che le donne la violenza la subiscono soprattutto da persone conosciute. E la denunciano in minima parte. È questo dato invisibile, il cosiddetto “sommerso”, la parte più inquietante del fenomeno: il lupo non
viene necessariamente da lontano, anche se talora conviene dipingerlo solo così, perché la paura si addomestica
a uso e consumo della politica.
Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istituto
nazionale di statistica, illustra le implicazioni di un’indagine che aiuta a considerare nella sua complessità un fenomeno dalle tante sfaccettature, non riducibile alle violenze di strada.
Dottoressa Sabbadini, quali sono i risultati più significativi della ricerca che avete condotto sulla violenza
sulle donne?
Nel 2006 l’Istat ha condotto la prima indagine sulla violenza contro le donne tra 16 e 70 anni di età, analizzando un
campione di 25 mila persone. L’indagine ha rilevato l’incidenza di fenomeni distinti, ma connessi: la violenza fisica,
la violenza sessuale, le molestie fisiche, gli stupri e i tentati stupri, la costrizione ad attività umilianti e degradanti, la
violenza psicologica nella coppia e lo stalking da ex partner. Inoltre, alle donne abusate è stato chiesto se hanno
parlato con qualcuno della violenza subita, se l’hanno denunciata, la dinamica della violenza, la gravità, la frequenza, le conseguenze. Solo il 7% denuncia il reato alle forze
dell’ordine. Molte considerano ciò che hanno subito non
un reato, ma solo qualcosa che è accaduto. Ciò vale anche
per la maggioranza degli stupri.
Qual è il peso degli “stupri di strada” rispetto alla vio-
lenza tra le mura domestiche? Vi è un aspetto di
“sommerso” che riguarda maggiormente l’una o l’altra componente ?
I dati mostrano una prevalenza di violenze fisiche e sessuali
da parte dei partner e dai conoscenti. Tra gli stupri, la percentuale di quelli effettuati dagli estranei è minima, pari al
6,2%. Il 69,7% degli stupri è opera dei partner o degli ex, il
17,4% dei conoscenti, il 7,2% degli amici, l’1,5% dei parenti,
un altro 1,5% dei colleghi. Rispetto al tema del sommerso, va
detto che gli stupri sono maggiormente denunciati quando
l’autore è un uomo diverso dal proprio compagno, e in particolare la denuncia è più alta nel caso di stupri o tentati stupri subiti da parte di estranei. Ma il dato sulle denunce è
molto basso rispetto all’entità generale del fenomeno.
La rappresentazione mediatica degli ultimi mesi ha
enfatizzato in modo esasperato il ruolo degli stranieri nella violenza alle donne?
Gli stranieri sono effettivamente autori del 40% degli stupri
denunciati alle forze dell’ordine, benché siano il 6% della
popolazione. Ma gli stranieri spesso hanno come vittima
una straniera e in particolare una connazionale (per i rumeni al primo posto ci sono le rumene, 47%, poi le italiane nel
35% dei casi, poi le altre straniere). Ciò significa che emerge
un problema serio di violenza sulle donne straniere.
Si può tracciare un identikit di chi usa violenza? O
perlomeno, cosa influisce di più nel fenomeno della
violenza sulle donne: l'abbrutimento generato dalla
povertà e dal degrado ambientale e culturale, o la
concezione culturale-religiosa della donna?
Il fenomeno è trasversale. La violenza avviene in famiglie
di status sociale alto e basso. Ciò che invece appare rilevante sono alcuni comportamenti e il rischio-violenza a
questi connessi. Le donne che hanno, o hanno avuto, un
partner con problemi di alcolismo e che è violento anche fuori dalla famiglia, per esempio, sono più a rischio.
E il rischio è alto anche per le donne i cui uomini sono
stati testimoni di violenza nelle
loro famiglie di origine, e che
Linda Laura Sabbadini, dirigente Istat: «Gli abusi
hanno un atteggiamento di svasulle donne, fenomeno trasversale ai ceti sociali.
lorizzazione nei confronti della
In preoccupante aumento le violenze sulle straniere» propria compagna.
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anniversario
LA LEZIONE
DI DUE PRETI
PROFETI
DEI POVERI
di Giancarlo Perego
Ricorrono ad aprile e agosto i 50 anni dalla morte
di don Primo Mazzolari e don Luigi Sturzo.
Figlio di contadini settentrionale l’uno, di nobili
del sud l’altro: ma entrambi ricercatori della giustizia
e della pace, figure cruciali del Novecento italiano
E
ra il 1959: mezzo secolo fa morivano don
Primo Mazzolari (12 aprile) e don Luigi
Sturzo (8 agosto). È passato mezzo secolo,
ma il messaggio e la testimonianza di queste due personalità rimangono di grande
attualità. Due personaggi “liberi e forti”, per
usare il titolo dell’appello che 90 anni fa lanciava alla
sua nascita il Partito popolare italiano, “creatura” di
Sturzo. Due personalità profetiche – una del nord, l’altra del sud – che hanno segnato profondamente il Novecento italiano, sul piano ecclesiale, ma anche politico
e sociale. Due uomini che hanno amato la democrazia,
sempre, prima contro il totalitarismo e il fascismo, poi
contro il comunismo statalista e il capitalismo liberista.
Avversati dal fascismo
Don Primo Mazzolari nacque nel 1890 alla periferia di
Cremona da una famiglia di agricoltori. Ordinato sacerdote nel 1912, nel 1914 trasferito in Svizzera per assistere gli emigranti italiani rimpatriati dalla Germania, nel 1915, con l’Italia in guerra, fu dapprima arruolato (i sacerdoti non erano esonerati dal servizio
ANTIFASCISTI
A sinistra
don Primo Mazzolari,
a destra don Luigi
Sturzo: esperienze
e pensiero differenti,
accomunati
dalla persecuzione
sofferta dalla dittatura
mussoliniana
militare) poi fino al 1920 operò come cappellano militare, in Francia, sul Piave, nell’Alta Slesia polacca:
un’esperienza di condivisione e sofferenza che lo segnerà profondamente. Al ritorno, fu nominato parroco di Cicognara, dove iniziò la sua opposizione al fascismo. Nel 1932 diventò parroco di Bozzolo, da dove
prenderà il via un intenso percorso pastorale, sociale
e letterario. Durante la seconda guerra mondiale collaborò alla resistenza partigiana: arrestato e rilasciato
tre volte, ricercato dalle SS, entrò in clandestinità. Dopo la liberazione s’impegnò a evitare vendette e a preparare i giovani a una nuova stagione democratica.
Nel 1949 fondò il quindicinale Adesso, di cultura sociale e politica, che gli procurerà ripetuti richiami dall’autorità ecclesiastica e sarà chiuso temporaneamente nel 1951; nello stesso anno convocò a Modena un
memorabile convegno sulla pace. Nel 1954 il Sant’Uffizio gli proibì di predicare fuori dalla sua diocesi e di
scrivere sul settimanale Adesso. Nel 1957 l’arcivescovo
cardinal Montini lo invitò a predicare nella “Missione
di Milano” e il 5 febbraio 1959 Giovanni XXIII lo ricevette in udienza, tre mesi prima della morte.
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anniversario
Don Luigi Sturzo nacque invece a Caltagirone (Catania) nel 1871 e fu ordinato sacerdote nel 1894. Studiò a Roma dove, constatando la grande miseria del
popolo, ebbe – come spiegò più tardi – «la vocazione
di portare Dio nella politica», attuando i principi della dottrina sociale della Chiesa. Studioso di scienze
sociali, nei primi due decenni del secolo (vigente il
non expedit pontificio) sostenne l’esigenza del progressivo inserimento dei cattolici nella vita civile e politica. Meridionalista, sostenne la necessità del decentramento amministrativo e delle autonomie regionali.
Ostile al capitalismo liberale che tendeva al monopolismo borghese, così come al socialismo classista che
tendeva allo statalismo proletario, dopo 15 anni da
pro-sindaco a Caltagirone fondò nel 1919 il Partito
popolare italiano, di cui fu pure segretario, portandolo a notevoli successi. La dittatura fascista lo costrinse, dal 1924, a un lungo esilio, prima a Londra, poi negli Stati Uniti: grazie alla traduzione dei suoi saggi, la
parola “totalitarismo” divenne tra le più diffuse nel
lessico politico del Novecento. Ritornò in Italia nel
1946. Difensore di Roma cristiana contro il comunismo ateo, nel 1952 caldeggiò un’alleanza con il Movimento sociale e i monarchici e fu sconfessato da parte del mondo cattolico e da De Gasperi. Fu nominato
senatore a vita sempre nel 1952.
Scuola di carità
Se il parlamento è stato il luogo preferenziale dell’azione di don Sturzo a favore dei poveri, la parrocchia
lo è stato per don Mazzolari. Furono due sacerdoti poveri e attenti ai poveri. Nella loro vita e nei loro scritti
ritroviamo tre caratteristiche comuni, a questo proposito: la ricerca della giustizia; la riflessione sull’obbedienza; l’amore alla politica e alla democrazia. Don
Mazzolari veniva dal mondo della campagna; parroco
dei poveri lungo il Po, ha amato e ricercato i poveri anzitutto in parrocchia, guardando a loro soprattutto
nell’opera culturale di formazione dei giovani. Alle
strutture predilesse le relazioni, gli incontri; al tempo
stesso, a fianco delle prime battaglie sociali dei cattolici dell’epoca e attraverso i suoi testi ribadì la centralità della tutela dei poveri, denunciando che “il mon-
do dei poveri, dei deboli, degli oppressi – questa realtà
più vera di ogni altra – viene artificiosamente negata
al nostro sguardo”. Avendo combattuto il fascismo come negazione della libertà e della giustizia, accompagnò i primi passi della Dc nel dopoguerra cercando di
indirizzarla a una politica come “scuola di carità”.
Don Sturzo, pur figlio di una nobile famiglia baronale, dando scandalo ai liberali della sua Sicilia fu attento ai lavoratori (fondando a Caltagirone una cassa
rurale e una società di mutuo soccorso) e seguì anche
il dramma dell’emigrazione dei suoi corregionali. Nella sua azione politica arriverà a essere tacciato di “catto-comunismo” per l’attenzione alla tutela dei diritti.
Ma combatterà sempre ogni forma di statalismo. “Desiderare il bene pubblico – scrisse nel 1945 in Problemi spirituali del nostro tempo –, lavorare e anche sacrificarsi per questo fine, è certamente un atto di carità quando non è strettamente un obbligo, è un esercizio di giustizia sociale”.
Non violento, coraggioso
Attivi nei decenni delle due grandi guerre mondiali,
Sturzo e Mazzolari dedicarono al tema della pace riflessioni importanti. Mentre terminava il secondo conflitto,
commentando le beatitudini don Sturzo scrisse: “Giustamente i pacifici sono chiamati figli di Dio, come i seminatori del male, i suscitatori di discordia, i provocatori di liti, i promotori di guerre non possono essere chiamati che figli del diavolo. Cosa c’è di più umano, di più
caritatevole, di più degno dell’uomo che la pace?”. Gli
avrebbe fatto eco negli anni Cinquanta Mazzolari che,
sollecitato sulle pagine di Adesso da alcuni universitari,
scriverà sulla non violenza e sull’obiezione di coscienza
testi che poi diventeranno Tu non uccidere, quasi un testamento spirituale sulla non violenza, che apre la strada alla Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII. Nel libro
Mazzolari scrive: “La non violenza non va confusa con
la non resistenza. Non violenza è come dire no alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione
passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella non violenza, dato che alla violenza
non dicono né sì, né no. (…) Il non violento, invece, nel
suo rifiuto a difendersi, è sempre un coraggioso”.
Sturzo: «Cosa c'è di più umano, di più caritatevole, di più degno dell'uomo
che la pace?». Mazzolari: «La non violenza non va confusa con la non
resistenza. È un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva»
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contrappunto
“PATRULLAS” MUSCOLARI,
VIGILANTI PARASTATALI
di Domenico Rosati
volte, per capire quel che accade, bisogna guardarlo da lontano.
Vista dalla Spagna, le patrullas ciudadanas comportano un rischio di vigilantismo, insito in uno strumento “il cui maggior
pericolo è l’inevitabile criminalizzazione implicita dell’immigrato”:
quel binomio “immigrato uguale criminale” sul quale si sono levate
voci critiche anche dal centro-destra, come Gianfranco Fini e Giuseppe Pisanu. D’altra parte, persino gli atteggiamenti più possibilisti
sono stati accompagnati da assicurazioni prudenziali: “Noi vigileremo”, è stato il titolo di Avvenire, che esprime il concetto di una sorveglianza sui sorveglianti, insito nel classico quis custodiet custodem?
A
può addirittura immaginare che, a
somiglianza di quanto accadde
quando il fascismo istituì la sua “milizia volontaria”, si persegua un disegno di legalizzazione il quale – paragone a parte – non garantisce il
cambio di mentalità e funzione.
Potenziare le forze dell’ordine
Chi sostiene la scelta obbietta che, in
fondo, si tratterebbe di valorizzare
imprese di volontariato in un conteDubbi, preoccupazioni, cautele.
sto di sussidiarietà. E qui bisogna inMa anche contestazioni di princitendersi. Volontariato – ha scritto
Chi custodirà il custode?
pio. Una sulle altre: in uno stato deAntonio Cecconi su Toscana Oggi – è
E come delegare alle
mocratico, cioè uno stato di diritto,
“una parola che include ambiti di
ronde – non addestrate,
è accettabile che una funzione di orimpegno e modi di interventi sociaesposte agli umori
dine pubblico sia affidata (appaltali diversissimi, ma sempre legati a
popolari – compiti
ta?) a soggetti privati, sia pure con
scopi e gesti che si qualificano come
indelegabili dello stato?
compiti di mera segnalazione? Ansolidali, filantropici, umanitari, assiMa soprattutto: se si
stenziali, benefici e – per i cristiani –
che chi studia diritto in un corso di
parla di volontariato,
caritativi e misericordiosi”. Poiché
ragioneria sa che il monopolio della
conviene rifarsi
nessuno di tali aggettivi è compatiforza appartiene allo stato e non
alle leggi. E investire
può essere delegato. A parte i rilievi
bile con le ronde, se ne ricava che si
sull’integrazione
costituzionali, dovrebbero valere le
tratta di indebita sovrapposizione
osservazioni degli addetti ai lavori:
del concetto di pubblica sicurezza a
poliziotti, carabinieri, finanzieri, ad avviso dei quali l’av- quello di sicurezza sociale. Chi votò la legge sul volontavento dei nuovi soggetti non allevierebbe, ma aggrave- riato (io tra gli altri) non immaginava davvero che qualrebbe i loro compiti d’istituto. Non per l’inevitabile mol- cuno potesse tirarla fino a una versione “parastatale”…
tiplicazione e confusione dei segnali, ma per i pericoli di
Vi sono insomma argomenti per confidare in una
conflitto tra pattuglie di diverso colore o sponsor: ronde più ponderata valutazione dell’insieme, che induca, ad
di partito, di associazione, di confraternita, ma anche esempio, a potenziare, anziché penalizzare, le vere for(perché no?) ronde di cosca…. Comunque, agenzie non ze dell’ordine, magari ricorrendo all’apporto di “ausiliaresponsabili, persone non addestrate, esposte agli umo- ri” formati e integrati nei corpi operativi. A quel punto
ri popolari e quindi propense ad assecondare, più che a potrebbero intensificarsi sul territorio le sinergie con i
sedare, le reazioni emotive della gente di fronte a episo- soggetti del volontariato vero, nell’ambito di politiche
di esecrabili, come stupri e violenze.
sociali non discriminatorie, nello spirito di una disponiD’altra parte le ronde di cui si parla sono composte bilità all’integrazione di cui oggi non si intravede la proda soggetti che ostentano presenza muscolare. La gene- spettiva. Ma che, malgrado tutto, occorre perseguire cosi leghista, sotto questo profilo, non gioca a favore. E si me unica alternativa di civiltà.
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panoramacaritas
PILLOLE MIGRANTI
Ufficio europeo per l’asilo,
l’emergenza bussa da est
AGENZIA UE PER L’ASILO POLITICO. Creare un ufficio
europeo che si occupi delle domande d’asilo presentate
nell’Unione. La proposta arriva dalla Commissione europea
ed è rivolta soprattutto ai paesi del sud dell’Ue, anzitutto
Italia e Spagna, sulle cui coste approdano decine di migliaia
di persone. L’ufficio per l’asilo era previsto nel Patto
europeo per l’immigrazione e l’asilo, proposto dal presidente
francese Nicolas Sarkozy nel 2008 e poi adottato
in autunno dai leader dei Ventisette. Il nuovo ufficio,
in caso di rapido accordo, potrebbe diventare operativo
entro il 2010: sarà un’agenzia, organismo europeo
indipendente, nel cui consiglio d’amministrazione
saranno rappresentati la Commissione e gli stati membri.
Bruxelles ricorda che le attuali modalità d’attuazione
del diritto d’asilo mostrano grandi divergenze fra i vari stati.
«Un iracheno, ad esempio – spiega la Commissione –
ha il 71% di possibilità di ottenere tale protezione
in uno stato membro e il 2% in un altro». Per questo
occorrerà “armonizzare le procedure di asilo” e poi arrivare
a una definizione di rifugiato comune a tutta l’Ue.
IN FRIULI EMERGENZA ARRIVI. Troppi richiedenti asilo,
troppi stranieri che arrivano tramite i confini orientali
si rivolgono alla Caritas in cerca di un sostegno, di un pasto,
di un letto. A Gorizia, ma anche a Trieste, Udine, Pordenone:
i quattro direttori delle Caritas friulane hanno deciso
di unirsi per chiedere aiuto e reclamare attenzione.
A Gorizia c’è la situazione più delicata, perché a due passi,
a Gradisca d’Isonzo, c’è un Cara (Centro di accoglienza per
i richiedenti asilo): gli aspiranti rifugiati in attesa di entrarvi,
o quelli appena usciti, si appoggiano alle diocesi, i cui centri
– in assenza di interventi pubblici – sono in apnea.
«Ci sentiamo abbandonati – hanno affermato i quattro
direttori –. Chiediamo ai politici friulani un maggiore
interesse e li invitiamo a promuovere un’interrogazione
parlamentare: vogliamo che si dibatta la questione a livello
nazionale. Noi siamo ben disposti ad accogliere, siamo
qui per questo. Ma non vogliamo essere lasciati soli».
PROSTITUZIONE, LE REGIONI FRENANO. Le regioni hanno
rinviato l’ok al disegno di legge sulla prostituzione avanzato
dal ministro delle pari opportunità, Mara Carfagna.
Un documento della Conferenza delle regioni – che solleva
varie critiche alle misure previste dal ddl e ne metteva
in dubbio la capacità di aiutare effettivamente le vittime
di tratta e schiavitù – è stato rinviato per un’ulteriore
analisi alla Commissione affari istituzionali della camera.
Poi tornerà alla Conferenza, che si esprimerà.
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APRILE 2009
SERVIZIO CIVILE
San Massimiliano,
in tanti a Pozzuoli
per gridare “pace”
Cinquecento giovani,
da numerose diocesi in Italia:
sono stati loro (nella foto,
un gruppo) i protagonisti
dell’incontro nazionale
dei volontari in servizio civile,
promosso da Caritas Italiana
e dagli altri organismi del
Tavolo ecclesiale sul servizio
civile. La loro partecipazione
ha animato la festa
di Pozzuoli, svoltasi giovedì
12 marzo, giorno di San
Massimiliano, martire e primo
“obiettore di coscienza”
della storia: la giornata, con
testimonianze e riflessioni
autorevoli, è stata dedicata
al tema del messaggio
papale “Combattere
la povertà, costruire la pace”
e alla “rilettura delle figure
di Alcide De Gasperi e don
Giuseppe Diana. I ragazzi
del servizio nazionale hanno
poi incontrato papa Benedetto
XVI domenica 29 marzo
in piazza San Pietro, a Roma.
CAMPAGNA
“Non aver paura”,
Spauracchio
contro il razzismo
Un fantasmino giallo
disegnato da un bambino
rom, lo “Spauracchio”
da appuntarsi sul petto.
Si aderisce così alla campagna
“Non aver paura. Apriti
agli altri, apri ai diritti”.
L’iniziativa è stata presentata
il 18 marzo a Roma dalle
26 organizzazioni promotrici,
tra cui Caritas Italiana (le altre
sono Acli, Acnur, Amnesty
International, Antigone, Arci,
Asgi, Cantieri Sociali, Centro
Astalli, Cgil Cisl Uil, Cir, Cnca,
Comunità di Sant’Egidio,
Csvnet, Emmaus Italia,
Federazione chiese
evangeliche in Italia,
Federazione rom e sinti,
Fio.psd, Gruppo Abele, Libera,
Rete G2 seconde generazioni,
Save the children, Sei-Ugl,
Terra del fuoco)
per sensibilizzare l’opinione
pubblica sul tema della lotta
ai pregiudizi contro
gli immigrati, per riportare
l’attenzione sulla tutela
dei diritti, sull’uguaglianza
e la pari dignità delle
persone, per contribuire
a rasserenare il dibattito
culturale e politico attorno
a questi temi. La campagna
“contro il razzismo, l’indifferenza
e la paura dell’Altro”
verrà replicata anche
a livello territoriale, grazie
agli strumenti di comunicazione
da utilizzare per eventi
di sensibilizzazione: uno spot
televisivo e radiofonico,
realizzato con il contributo
del regista Mimmo Calopresti;
manifesti; le spille raffiguranti
lo Spauracchio. “Una società
che si chiude sempre più
in se stessa, che cede
alla paura degli stranieri
e delle differenze è una
società meno libera, meno
democratica e senza futuro.
Non si possono difendere
i nostri diritti senza difendere
i diritti di ciascuno,
a cominciare da chi è straniero
e spesso più debole”:
ARCHIVIUM
SPAURACCHIO
Sopra, il fantasmino e lo slogan;
a sinistra, il poster: è partita
la campagna anti-razzismo
“Non aver paura”
il messaggio della campagna
è contenuto in un manifesto,
che si può sottoscrivere
sul sito internet
www.nonaverepaura.org.
CARITAS
Campagna
per prevenire
l’Aids infantile
Caritas internationalis
ha lanciato a marzo
una campagna mondiale
per chiedere a governi e case
farmaceutiche
di garantire
l’accesso
ai test
preventivi,
per evitare
che i bambini
dei paesi
poveri muoiano ancora
a causa di Aids e tubercolosi.
“Ogni giorno muoiono
nel mondo 800 bambini”,
denuncia la rete, che riunisce
162 Caritas nazionali
di tutto il mondo. Prevenire
la trasmissione del virus
da madre a bambino è infatti
possibile nei paesi sviluppati,
ma non in quelli poveri.
La campagna è intitolata
“Haart per i bambini”
(“Haart” in inglese suona
come heart, cuore, ma
è l’acronimo di Highly active
antiretroviral therapy, per
indicare le cure antiretrovirali
utilizzate in questi casi).
INFO www.caritas.org
CARITAS AFRICA
Anno da dedicare
alle persone
vulnerabili
Delegati Caritas di tutto
il mondo, riuniti a Nairobi
a inizio marzo, hanno
proposto che il 2009 venga
dedicato “ai più poveri
e vulnerabili in Africa”.
All’incontro hanno partecipato
i responsabili di 22 Caritas
africane ed esponenti della
rete Caritas attivi negli altri
continenti. Il presidente
di Caritas Africa, monsignor
Cyprian Kizito Lwanga,
arcivescovo di Kampala
(Uganda), ha affermato che
la visita del papa in Camerun
e Angola, svoltasi a fine
marzo, e il Sinodo dei vescovi
africani, che avrà luogo
in ottobre, «rappresentano
una meravigliosa opportunità
per celebrare il lavoro
della Chiesa in Africa.
Ed è anche un buon
momento per riflettere sulle
sfide che affronta la gente
in Africa, dove, per molti,
la povertà continua a essere
uno scandalo inaccettabile».
Il summit di Nairobi
ha affrontato in particolare
la questione di come dare
una risposta efficace
alle calamità naturali e alle
crisi umanitarie, ultimamente
sempre più acute, come
dimostrano i casi di Somalia,
Sudan e Repubblica
democratica del Congo.
“Pestare i piedi ai potenti”
nel Belice dei baraccati
Sono passati 41 anni da quella tragica notte tra il 14
e il 15 gennaio 1968, quando un terremoto d’intensità
del decimo grado della scala Mercalli rase al suolo,
in Sicilia, i paesi della valle del Belice. Quella sciagura
la si ricorda tuttora non solo per i lutti e la distruzione,
ma anche per la diffusa latitanza delle istituzioni,
per le scelte infelici e gli sprechi che determinarono
la ricostruzione, ancora oggi incompiuta.
Agli inizi del 1970 il governo realizzò trenta baraccopoli:
resteranno il segno indelebile di quella tragedia.
In una lettera di don Antonio Riboldi, conservata
nell’archivio storico di Caritas Italiana, si legge: «Ci vollero
giorni e giorni per allestire tendopoli nel fango per riparare
la gente dal freddo. E ci vollero mesi, lunghissimi mesi
per approntare le cosiddette baraccopoli. E furono
tristemente famose quelle “baracche d’oro”, dove tutti
dovevano trascorrere non qualche mese, ma tanti anni».
La Chiesa italiana, che vide nel 1970 la fine dell’attività
della Pontificia opera assistenza (Poa) impegnò 100 milioni
di lire, frutto di una colletta nazionale, nella costruzione
di centri sociali per i baraccati del Belice. Ma la Chiesa
non fu operosa solo economicamente: si distinse
soprattutto grazie alla tenacia e al coraggio di don Riboldi,
allora parroco di Santa Ninfa, il quale riuscì, come scrisse
Italia Caritas in un articolo di monsignor Giovanni Nervo,
«a pestare i piedi ai potenti disturbando il quieto vivere
dei prudenti». Una voce che seppe essere voce dei poveri,
un’azione pastorale che interpretò la carità non come
elemosina del superfluo, ma come condivisione di quanto
abbiamo e siamo. Riboldi, nominato poi vescovo di Aversa,
in Campania, ha insegnato che la testimonianza della carità
non è solo complemento, ma anche stimolo della giustizia.
La lunga e faticosa ricostruzione incrociò in seguito
i primi anni di attività di Caritas Italiana, che dieci anni
dopo la tragedia del Belice organizzò un convegno a Mazara
del Vallo (13-14 aprile 1978). Presiedette l’incontro
monsignor Guglielmo Motolese, allora presidente di Caritas
Italiana, e vi partecipano il cardinale Pappalardo, vescovi
della Sicilia e 50 direttori di Caritas diocesane. Il convegno
servì per prendere coscienza diretta della situazione
e individuò forme concrete di condivisione; significativo
fu il comunicato finale, dove si denunciarono
”gravi responsabilità, purtroppo impunite, di dispersione
di danaro in assistenza clientelare, di sprechi enormi
in infrastrutture costosissime, inadeguate e spesso inutili,
di speculazioni e clientela politica”. Francesco Maria Carloni
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| APRILE
2009
23
internazionale
progetti > micro per rinascere
Guatemala
Obiettivi limitati, ma capaci di produrre
piccoli cambiamenti, migliorando
a poco a poco il livello di vita
delle persone e delle comunità
e alimentando progressivamente
il loro processo di sviluppo.
È lo scopo dei microprogetti
che Caritas realizza nei paesi
poveri. Cambiamento
e relazione sono le parole-chiave
di queste iniziative, che producono
i loro effetti anche nelle nostre
comunità: tramite le “micro”,
esse si aprono ai problemi del mondo.
Nel 2008 Caritas Italiana ha realizzato
343 microprogetti di sviluppo
in 57 paesi, per un impegno di circa
1,3 milioni di euro: 150 interventi
in 26 paesi dell’Africa, 109 in 11 paesi
dell’Asia, 68 in 15 paesi dell’America
Latina, 15 in 4 paesi dell’Europa,
1 in Terra Santa. Acqua, lavoro e salute
rappresentano l’oggetto di oltre
il 95% dei progetti realizzati.
Piccoli segni di aiuto, a fronte
di bisogni enormi: ma ci ricordano,
anche in tempo di crisi, che non siamo
padroni della vita e dei suoi beni.
[
MODALITÀ OFFERTE E 5 PER MILLE A PAGINA 2
LISTA COMPLETA MICROREALIZZAZIONI, TEL. 06.66.17.72.22/8
24
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APRILE 2009
]
Indonesia
“MICRO” – NUOVE PROPOSTE
GUATEMALA
Clinica mobile sulle montagne
La comunità di Chiquimula si trova nella parte orientale del paese,
in una zona montagnosa e poco ospitale. Vi abitano circa 60 mila
persone, molte in situazione di povertà estrema. Uno dei problemi
maggiori è la mancanza di un sistema sanitario, che assicuri cure
di base e interventi di emergenza, soprattutto in casi di gravidanze
difficili. Il programma prevede l’acquisto di strumenti sanitari
(stetoscopio, oximetro, cannule...) per allestire una “clinica mobile”
che porti le cure di base nei villaggi, a beneficio soprattutto
di bambini e anziani.
> Costo 5.090 euro > Causale 23/09 Guatemala
Sudan
Congo
Sudan
REALIZZATO GRAZIE A VOI
ECUADOR
Condutture e potabilizzazione:
è l’acqua della “Vida”!
Prima una goccia, poi un’altra, poi finalmente
un fiotto d’acqua, accompagnato dagli applausi
e dai canti degli oltre trecento bambini di San
Nicolas de Juigua. L’aria rarefatta dei 3.200 metri
di altezza è piena della gioia delle famiglie di Luis,
Rosa, Juan, Maria… e di tutta la piccola comunità
contadina situata nel Canton di Pujili, provincia
di Cotopaxi. Sono campesinos, contadini, duramente
provati da una serie di terremoti e da periodiche
epidemie infettive, causate dalla mancanza
di acqua potabile. Peppo e Adriana, volontari italiani
da 28 anni nel villaggio, assistono alla lenta
processione delle famiglie che rendono omaggio
all’arrivo dell’acqua potabile, curiosando sui rubinetti,
bevendo e giocando con quello che sembra essere
un piccolo grande miracolo: avere l’acqua vicino
a casa! Grazie alla generosità dei donatori di Caritas
Italiana, le famiglie dei campesinos e i volontari
italiani, con le loro mani (nella foto, gli scavi)
e con pazienza e perizia, hanno realizzato un vero
e proprio sistema di potabilizzazione dell’acqua,
che ha raggiunto il villaggio in quattro punti diversi,
creando le condizioni per un futuro migliore.
> Microprogetto 241/07 Ecuador (2.784 euro)
CONGO
Cooperativa di taglio e cucito
L’accesso all’istruzione e alla formazione è un fattore chiave
per lo sviluppo delle comunità locali, anche a Matadi. Le ragazze
madri sono un gruppo sociale vulnerabile e faticano a costruire
un futuro per sé e per i figli. Il programma prevede l’acquisto
di materiali e macchine da cucire per avviare un laboratorio di taglio
e cucito destinato a ragazze madri provenienti dai villaggi limitrofi.
> Costo 4.662 euro > Causale 09/09 Congo R. D.
SUDAN
Servono medicinali per il dispensario di Oweci
Il piccolo dispensario del villaggio di Oweci, contea di Panykang,
è stato attivo per oltre vent’anni. Però la struttura è stata distrutta
dalla guerra e ricostruita dopo l’accordo di pace del 2005.
Il servizio di base oggi assicurato è l’assistenza prenatale e durante
il parto; a essa si aggiunge la cura delle non poche malattie comuni.
Un assistente medico, sei infermieri e una comunità di suore
sono a servizio di oltre 10 mila persone in condizioni estremamente
precarie. Il programma prevede l’acquisto di medicinali
per consentire il potenziamento del dispensario.
> Costo 4.950 euro > Causale 14/09 Sudan
INDONESIA
Un laboratorio per le ragazze disoccupate
Nell’isola di Flores una piccola comunità di suore ha avviato
un’articolata serie di interventi di promozione umana. Insegnamento
della lingua cinese, lavoro con gli anziani, accoglienza di anziani
e malati: sono alcune delle attività promosse dalla comunità.
Però serve una proposta per i giovani: l’obiettivo è avviare percorsi
di formazione professionale per dare loro un futuro. Il programma
prevede l’acquisto di due macchine da cucire, due ferri da stiro,
dieci paia di forbici e una macchina da ricamo per avviare
un laboratorio di taglio e cucito destinato a ragazze disoccupate.
> Costo 4.970 euro > Causale 29/09 Indonesia
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internazionale
moldavia
IL PAESE DEGLI “ORFANI”
«LA MAMMA? È IN ITALIA…»
testi di Francesco Chiavarini foto di Marco H. W. Serazio
Rosu, le case hanno il tetto di paglia, l’acqua la si prende al pozzo e le stufe a legna FAMIGLIE
sono l’unico impianto di riscaldamento disponibile per sopravvivere all’inverno, SEPARATE
Nonna, madre
che in questa regione semi-denubiana, nel sud della Moldavia, può essere molto e nipoti davanti
una casa
rigido, nonostante le spiagge del Mar Nero distino meno di 100 chilometri. La gen- amoldava:
te del villaggio racconta che a gennaio la temperatura scende 30 gradi sotto zero e tre generazioni
lo stesso
la neve rimane fino ad aprile; quando si scioglie, trasforma le strade in fiumi di fan- sotto
tetto, immagine
go. Poco asfalto, pochi edifici in mattoni, scarsa illuminazione pubblica. L’Europa inconsueta.
nonna
comincia a meno di due ore di carretto – il mezzo di trasporto più usato da queste parti – oltre il Sotto,
e nipotini,
fiume Prut, che segna il confine con la neocomunitaria Romania. Ma la distanza dagli standard di figlidi emigrati
vita dei cugini oltre confine, pure considerati i più arreDalla Moldavia le donne se ne vanno.
trati nell’Unione, è decisamente superiore.
Rosu è il paese delle badanti. Dall’inizio degli anni No- Molte verso la penisola, a fare
vanta, una alla volta le donne ne sono andate via tutte. La le badanti: dietro si lasciano famiglie
stragrande maggioranza è venuta in Italia, secondo paese
lacerate. Nel paese più povero
dopo la Russia fra le destinazioni dei flussi migratori, ma
primo tra gli stati occidentali, stando all’ultimo rapporto d’Europa, un terzo dei bambini
dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni ha un genitore o entrambi all’estero.
(Oim). Da noi le donne di Rosu vengono per prendersi cu- E finiscono negli internat…
ra degli anziani. E a casa loro lasciano famiglie distrutte.
Donna Natalia, 58 anni, mani ruvide da contadina, il in Moldavia un bambino su tre ha un genitore o encapo sempre coperto da un fazzoletto a fiori come si usa trambi all’estero. Ma nelle regioni meridionali la perin campagna, vive con i suoi cinque nipoti. Le figlie, Mi- centuale è ancora più alta. «Per avere un’idea di questo
caela e Nadia, sono a Verona. La più piccola, Nadia, è par- esodo basta contare le auto con le targhe straniere partita un anno fa. Ma dopo qualche mese la persona di cui cheggiate per strada ad agosto, quando i migranti torsi occupava è morta, lasciandola senza lavoro e senza ca- nano a casa», osserva Valeriu Beril, presidente della resa. Da allora Donna Natalia non può più contare sul suo gione di Stafan Voda, una distesa di dolci colline che destipendio. Né può fare affidamento sugli uomini di fami- gradano verso le pianure dell’Ucraina, vigneti e meleti a
glia. Il marito non c’è più da tempo. I generi, entrambi perdita d’occhio, che nessuno coltiva più. «Le rimesse
muratori stagionali a Mosca, quando le mogli sono venu- dall’estero rappresentano un terzo del prodotto interno
te in Italia non sono più tornati. «Lo stato mi passa una lordo del paese (stime della Banca Mondiale dicono adpensione di 450 lei (equivalenti a 35 euro, ndr), ma questo dirittura il 38%, ndr). Ma è come se ci stessimo indebimese 300 ne ho già spesi per la bombola del gas – raccon- tando con il futuro. Perché la ricchezza relativa di oggi la
ta –. E siccome Micaela ora deve pensare alla sorella, a me stiamo facendo pagare alle generazioni di domani».
Chi parte lascia i figli a parenti o amici. E coloro che
non arriva più un euro. Questo inverno per comprare la
legna ho dovuto vendere la vacca. Che altro dovevo fare? non hanno una rete familiare alle spalle ricorrono agli internat. I 39 istituti del paese ospitano 11 mila minori tra i
Senza accendere la stufa, qui si muore di freddo».
7 e i 16 anni. Di questi, solo il 15% sono orfani reali. Gli altri sono gli “orfani dell’emigrazione”, come li chiama la CaSolo il 15% orfani “reali”
Secondo le stime delle organizzazioni non governative, ritas, figli di contadini troppo poveri per occuparsi di loro,
A
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APRILE 2009
MOLDAVIA
Il paese “più povero” d’Europa
Superficie 33.845 chilometri quadrati
Popolazione 3,8 milioni
Prodotto interno lordo 2,9 miliardi di euro
Rimesse degli emigrati 1,1 miliardi di euro
Popolazione sotto la soglia di povertà 64,7%
Migranti 10,5%
Aspettativa di vita 68 anni
FONTE: IOM – INTERNATIONAL ORGANIZATION OF MIGRATION
di badanti e manovali che vanno e vengono dalla Russia,
dall’Italia, da altri paesi. Bambini che non hanno avuto la
fortuna di trovare una Donna Natalia che provveda a loro.
Eredità del sistema scolastico sovietico, gli internat
servivano per garantire un’istruzione di base alle fasce
più disagiate. Sono diventati oggi la sola risposta che le
autorità pubbliche offrono all’abbandono dei bambini
da parte di adulti in fuga dalla miseria. Ma è un’alternativa che costringe spesso a compromessi inaccettabili.
«Negli orfanotrofi i bambini subiscono abusi e sopraffazioni – denuncia Cezar Gavriliuc, direttore esecutivo del
Child Right Information Center, organizzazione non governativa moldava impegnata nella promozione dei diritti dell’infanzia –. Dopo le lezioni sono tenuti sottochiave nelle camerate, molti sono costretti dai professori a lavorare nei campi attorno agli istituti». A volte su questo sistema scolastico degradato e allo sbando si allungano
ombre persino più sinistre. «Qualche tempo fa – continua
Gavriliuc – si è scoperto che i direttori di due internat avevano legami con i trafficanti di prostitute in Turchia. Lo
scandalo fu messo sotto silenzio e i due direttori vennero
semplicemente spostati da una funzione all’altra».
Sotto la pressione dell’Unione europea, il governo di
Chisinau ha avviato un programma per il superamento
del sistema degli orfanotrofi, in collaborazione con l’Unicef. «Con risultati finora deludenti – commenta Gavriliuc –. Dopo tre anni se n’è chiuso solo uno, ma i bambini sono stati trasferiti in un altro».
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internazionale
moldavia
Condizionati dal bisogno
La verità è che l’internat rimane spesso la sola alternativa
alla miseria e alla fame. «Ci sono genitori che all’inizio dell’inverno vanno dai direttori a pregarli di prendersi i figli
perché non hanno i soldi per comprare la legna da mettere nella stufa o per sostituire gli infissi rotti alle finestre.
Pensano che almeno lì non patiranno il freddo, mangeranno tutti i giorni, non si ammaleranno. Sono scelte
drammatiche, condizionate soprattutto dal bisogno, ma
che purtroppo appartengono alla normalità della vita nelle nostre campagne», dice Igor Belei, direttore di Diaconia,
un’associazione legata alla Chiesa ortodossa rumena.
L’organizzazione, grazie al sostegno di Caritas Ambrosiana, promuove alcuni progetti per favorire i ricongiungimenti familiari. Ad esempio a Leova un’équipe di operatori sociali collabora con la vicedirettrice dell’internat per
aiutare le famiglie a riprendere con sé i bambini e a iscriverli nelle scuole della cittadina.
«Le conseguenze sociali degli abbandoni sono già oggi
gravissime e lo saranno ancora di più nel futuro – spiega la
psicologa dell’équipe, Maria Lungu –. A causa dell’emigrazione sta crescendo un’intera generazione di figli senza
padri e senza madri, ragazzini allo sbando, che si sentono
traditi e covano sentimenti distruttivi nei confronti della
società». Ragazzini come Grigori. Che all’età di sette, viene
abbandonato nell’internat di Leova dalla madre, finita in
un giro di prostituzione in Turchia. Nell’istituto non ci vuo-
L’IMPRESA
DI CRESCERE
A sinistra, parco giochi
di fronte a palazzoni
in una periferia urbana
e bambino in casa dei
nonni. Sopra e a destra,
attività in una comunità
per minori senza genitori
le rimanere. Riesce un giorno a scappare e da solo arriva
nella capitale, dove vive per strada, procurandosi da mangiare borseggiando i turisti fuori dagli alberghi a luci rosse.
Quando la polizia lo trova, viene rispedito in istituto.
«Bambini come Grigori – sintetizza Maria Lungu – hanno
subito un trauma che li segnerà per sempre. Difficilmente
riusciranno a superarlo. E quel che è peggio, se avranno
dei figli tenderanno a replicare il rapporto che hanno avuto con i genitori, in una spirale di odio e risentimento che
difficilmente riusciremo a interrompere». Ci sono poi gli
effetti della vita nell’internat. «Chi cresce in istituto, sviluppa uno scarso senso della propria autostima, dipende
continuamente dagli insegnanti che pensano per lui, decidono come deve impiegare il proprio tempo, cosa è meglio che faccia. Si ritrova adulto, senza essere mai diventato un individuo autonomo. E quando esce dall’istituto, soprattutto se è una ragazza, è una vittima predestinata del
racket della prostituzione».
Diaconia fa il possibile per evitarlo. Ad Orehi, piccolo centro industriale a 50 chilometri dalla capitale, un
pool di educatori segue alcune ragazze uscite dall’istituto e le aiuta a trovarsi un lavoro. Piccolo segnale di speranza, in un paese dove anche il turismo sessuale, alimentato dalla disperazione e dagli abbandoni, è diventata una piaga sociale.
«I bambini si sentono traditi, però è irrealistico chiudere gli internat»
Parla la direttrice di Caritas Moldavia. «Lasciati soli dai genitori, i minori diventano aggressivi. Negli istituti molti abusi. Ma per ora non ci sono alternative...»
O
tilia Sirbu è la direttrice di Caritas Moldavia. Osservatorio privilegiato, per capire quali problemi sociali attanagliano il paese considerato il
più povero d’Europa.
Cominciamo dalla fine. Cioè da oggi. La crisi
economica internazionale quali effetti sta avendo
nel suo paese?
In Moldavia, lo stato ha ancora un forte controllo sull’economia. Questo ci ha messo finora al riparo dalla crisi finanziaria che ha sconvolto altri paesi. Ma tutti sappiamo
che questa situazione non potrà andare avanti a lungo.
Oggi abbiamo un cambio con il dollaro e l’euro più favorevole di quello che il mercato consentirebbe. Ma la Banca nazionale moldava ha già annunciato che non potremmo più permettercelo. Pena colpire a morte le nostre
esportazioni. Per cui dopo le elezioni, che si terranno in
primavera, il nuovo premier dovrà svalutare, decisione
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certamente non indolore. Attualmente, però, gli effetti più
gravi dipendono direttamente dalla crisi dei paesi occidentali. Un terzo del nostro prodotto interno deriva dal lavoro degli emigrati all’estero. Negli ultimi cinque mesi le
loro rimesse sono diminuite, per effetto dei tagli ai posti di
lavoro decisi dalle vostre imprese. I loro soldi servivano a
chi era rimasto a casa per acquistare i beni di consumo.
Meno rimesse dall’estero, meno consumi, meno domanda interna. Questo concatenarsi di eventi rischia di “impallare” anche il motore dell’economia moldava.
Il Dipartimento di stato americano nel suo ultimo
rapporto giudica la Moldavia la fonte principale, in
Europa, del traffico di donne e bambini a scopo
sessuale e accusa il governo di Chisinau di non
compiere sufficienti sforzi per contrastare il fenomeno. Cosa ne pensa?
Quel rapporto è una vergogna sia per l’America sia per la
Moldavia. È vero che il governo di Chisinau non ha fatto
tutto il possibile. Ma gli Stati Uniti non possono dire che
non ha fatto nulla.
Ma secondo lei il problema esiste o no?
Certo che esiste, ma ha poco a che fare con l’emigrazione.
Oggi il racket preferisce portare i clienti in Moldavia, invece che le donne all’estero. Ci sono agenzie turistiche che
organizzano tour in alberghi e night di Chisinau. Piuttosto
il problema è un altro: le donne che vanno in occidente
trovano lavori in nero e spesso per questo sono trattate
come schiave, perché ricattabili e perché non possono
uscire legalmente dal paese in cui sono approdate.
Molti moldavi dicono di avere dovuto pagare migliaia di euro per avere i documenti con i quali passare la frontiera per entrare in Italia. Esiste un mercato nero dei visti?
Per uscire dal paese si spendono in media 2-3 mila euro.
Tanto infatti può costare un visto turistico o un passaporto falso. In realtà le autorità combattono questo fenomeno. Ma all’interno delle ambasciate ci sono singoli funzionari corrotti che collaborano con i trafficanti che organizzano i viaggi clandestini. Da un lato la chiusura delle frontiere decisa dai paesi ricchi, dall’altro la miseria della Moldavia hanno creato le condizioni perché nascesse questo
mercato, nel quale solo una ristretta cerchia di persone ci
guadagna, a danno della stragrande maggioranza.
In Moldavia più di un terzo della popolazione adulta è all’estero. Quali sono gli effetti sociali di questo
esodo?
A causa dell’emigrazione il 30% dei bambini tra i 5 e i 10
anni è stato abbandonato dai genitori. La disgregazione
delle famiglie è una piaga sociale che preoccupa tantissimo la Chiesa moldava. Chi è stato lasciato da piccolo dalla madre e dal padre, sente di essere stato tradito. Questo
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nazionale
internazionale
moldavia
dall’altro mondo
Padre Ion ha un santo in paradiso, sfama i poveri… grazie alla mamma!
La chiesa di padre Ion è un cantiere
aperto. L’edifico essenziale (nella foto),
fatto in economia, cresce senza troppe
pretese stilistiche alla periferia di Leova,
cittadina al confine con la Romania.
Dalle parte opposta di quello che
domani diventerà (forse) il sagrato,
c’è la mensa per i poveri, che sforna
puntuale a pranzo e cena pasti caldi.
Questo giovane prete ortodosso
di 33 anni ha pensato fosse meglio
cominciare proprio dalla mensa.
Quindi, anziché comprare i mattoni per
l’abside, ha attrezzato una rudimentale
ma funzionale cucina e tirato su alla
bell’e meglio quattro pareti, arredate
con quattro panche. Ora però,
per acquistare quel po’ di pasta, verdura
e frutta che due cuoche preparano
e servono, ci vogliono dei soldi.
Da queste parti sulle offerte
dei fedeli non si può troppo fare
affidamento – e non certo per
scarsa generosità. Di finanziamenti
pubblici, neanche a parlarne.
Tanto meno se si fa parte della Chiesa
ortodossa che obbedisce al patriarcato
di Bucarest e non di Mosca,
una chiesa ridotta a minoranza durante
il periodo sovietico e che ancora oggi
non ha recuperato il terreno perduto.
E allora come fa padre Ion a tirare
avanti? A mantenere sé stesso,
la sua famiglia allargata (moglie
e sei bambini, quattro figli suoi e due
in affido) e in più dare da mangiare
ai diseredati? Semplice: come tanti
altri moldavi, anche il sacerdote ha un
santo in paradiso. Cioè… la mamma!
Il santo è una madre espatriata,
venuta in Italia, dove si occupa
di un anziano in una casa mediamente
ricca. Ogni mese, la madre di padre
Ion gli gira una parte del suo stipendio
di badante. E il figlio, invece
di spendere per vestirsi o acquistare
sentimento è profondo, genera
aggressività prima verso la famiglia, poi verso la società. Già
oggi la delinquenza minorile è
molto aumentata. Ma che cosa
succederà domani, quando
questi ragazzini diventeranno adulti, si sposeranno, metteranno al mondo dei figli? Che tipo di genitori saranno
questi bambini che non hanno conosciuto l’amore? Che
tipo di relazioni di coppia saranno in grado di creare,
avendo visto la propria famiglia sfaldarsi? Già oggi il tasso
di divorzi è arrivato al 51%. Immagino quale potrà essere
in futuro…
In Moldavia 11 mila bambini vivono negli internat.
Gli orfanotrofi sono un’alternativa alla strada. Ma
molti organismi umanitari ritengono che in questi
istituti siano commessi abusi e violenze. È d’accordo?
Dipende dai casi. Certamente vi sono stati episodi anche
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qualche piccolo elettrodomestico,
utilizza i soldi per dare da mangiare
a chi è più sfortunato. Che qui vuol
dire rasentare la miseria.
Gli economisti sostengono
che le rimesse degli emigrati servono
a sostenere la domanda interna
del mercato. In questo caso finanziano
un’opera di carità. «Una volta qui c’era
chi sbarcava il lunario vendendo frutta
e verdura sull’altra sponda del fiume,
in Romania – spiega il sacerdote –.
Ma da quando Bucarest è entrata
in Europa, passare la frontiera
è diventato più difficile e anche
quel piccolo commercio è finito.
Chi non è riuscito a emigrare
e non ha nessuno che gli manda
un po’ di quattrini fa la fame.
Così ho pensato che, insieme
alle preghiere, bisognasse dare
del pane». Come a dire:
la chiesa può attendere,
le pance vuote dei fedeli no.
Lassù Qualcuno capirà…
gravi di abusi e violazioni. Ma
non si può generalizzare. Senza dubbio gli internat moldavi
sono ben al di sotto degli standard degli orfanotrofi che anche nell’Europa occidentale
erano diffusi fino a qualche tempo fa. Inoltre rappresentano un sistema educativo molto oneroso e al tempo stesso
molto inefficiente. Il governo spende un sacco di soldi per
finanziarli, ma solo il 20% di queste risorse va a vantaggio
dei bambini. Ciononostante, oggi non esiste un’alternativa realisticamente proponibile. Perché non c’è un numero sufficiente di operatori preparati per prendersi cura dei
minori fuori da queste strutture, né ci sono abbastanza
fondi per promuovere l’affido o l’adozione. L’Unione europea ha imposto al governo di chiudere gli internat nei
prossimi cinque anni. Ma purtroppo questo è un obiettivo fuori dalla nostra portata.
EMIGRAZIONE ROSA,
ENTRATA NELLE NOSTRE CASE
di Maria Paola Nanni
nanza straniera, che registrano quasi
68.600 moldavi all’inizio del 2008 (14°
gruppo nazionale in Italia), dato che
pure esclude tutti coloro che (anche
per usufruire dei vantaggi derivanti
dall’ingresso della Romania nell’Ue)
hanno richiesto e ottenuto la cittadinanza romena, risultando così come
romeni nelle statistiche ufficiali. Per i
due terzi del totale si tratta di donne
(66,4%), e questo nonostante si assifamiliare. L’inizio dell’immigrazione
sta a un progressivo aumento anche
moldava in Italia viene generalmendella presenza maschile, segno di un
La presenza dei moldavi
te ricondotto alla fine degli anni No(lento) processo di normalizzazione
in Italia si è rapidamente
vanta, ma è all’indomani della “grandemografica (le donne erano il 72%
accresciuta
de regolarizzazione” conseguita alla
del totale alla fine del 2002).
nell’ultimo decennio.
legge 189/2002 (la cosiddetta BossiAnche i dati Inail ribadiscono il
Contrariamente
Fini) che i moldavi cominciano a diprotagonismo
femminile: nel 2007
agli altri gruppi nazionali
stinguersi, per numerosità, nel polioltre
i
due
terzi
dei moldavi occupapiù rappresentati tra noi,
centrico mondo dell’immigrazione
ti
in
Italia
erano
donne (67%), menprevale la presenza
italiana: erano al 41° posto nella gratre la media (tra i lavoratori nati aldelle donne.
l’estero) è del 42,7%. Si registra, paduatoria dei gruppi nazionali più
Molte dedite al lavoro
numerosi alla fine del 2002 ma già al
rallelamente, una massiccia condomestico e di cura
18° alla fine del 2003, quando si concentrazione nel comparto del lavoteggiavano oltre 36.300 soggiornanti.
ro domestico e di cura alla persona
D’altra parte, come è noto, i protagonisti della regolariz- (32,7%); seguono, con quote nettamente ridotte, l’edilizazione sono i lavoratori addetti al settore domestico, in zia (12,5%), i servizi alle imprese (9,7%) e il comparto rilarga maggioranza donne: e tradizionalmente tra i mi- storativo-alberghiero (8,5%). Se dunque tra gli immigragranti moldavi la scelta dell’Italia è una scelta soprattutto ti, in generale, poco più di 1 su 10 lavora alle dipendenfemminile, dettata proprio dalle possibilità di inserimen- za delle famiglie italiane (11,4%), nel caso dei moldavi il
to nel lavoro domestico e di cura alla persona.
rapporto diventa di quasi 1 su 3.
Caratteristico è anche il modello di inserimento terriSoprattutto a nord-est
toriale, segnato da una marcata concentrazione nelle reQuesta caratteristica di fondo, ovvero la prevalenza del- gioni del nord-est, dove risiede oltre la metà dei moldavi
la componente femminile e la sua massiccia canalizza- in Italia (51,5%). Seguono il nord-ovest (23,6%) e il centro
zione verso la collaborazione familiare, contraddistin- (21%), quindi il Mezzogiorno (4%). Particolarmente margue ancora oggi la collettività moldava, che negli anni cato il protagonismo assunto dal Veneto (28,3%), mentre
più recenti ha confermato la tendenza, evidenziata all’i- a livello provinciale primeggiano il padovano (8,7%) e la
nizio del decennio, a diventare più folta.
provincia di Roma (8,6%), che polarizza nel suo territorio
Lo attestano gli stessi dati Istat sui residenti di cittadi- oltre i tre quarti dei moldavi del Lazio (81,6%).
a presenza moldava in Italia ha una storia recente rispetto a quella di altre collettività immigrate. Ne consegue un vuoto conoscitivo, per sopperire al quale l’ambasciata moldava in Italia ha incaricato l’èquipe del Dossier statistico immigrazione Caritas-Migrantes di
stendere un rapporto che, a partire dall’analisi dei dati statistici disponili, delinei un quadro organico della presenza moldava nel nostro paese, così da facilitare l’individuazione di adeguate strategie di intervento.
Dal rapporto risulta l’immagine di una collettività in forte crescita,
che inizia a distinguersi anche per un insediamento a carattere
L
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internazionale
sri lanka
SRADICATI
Un uomo consuma un pasto
frugale, una madre sorregge
il figlio, un’anziana
compila un modulo:
sguardi di preoccupazione
e gesti di sopravvivenza
nei campi dove affluiscono
gli sfollati della guerra civile
di Valentina Ferraboschi
foto di Gianluca Ranzato
n inizio d’anno tragico. Nello Sri Lanka la situazione militare e politica ha subito un’impressionante accelerazione. Che ha causato
una forte crisi umanitaria. Tutto è cominciato il 2 gennaio: l’esercito regolare è entrato a Kilinochchi, capitale dello stato de facto dell’Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam), cioè la guerriglia tamil. Da settembre 2008 l’esercito
fronteggiava l’Ltte a pochi chilometri dalla città, nel nord
dell’isola asiatica: dopo mesi di agonia e feriti, è entrato in
una città svuotata dalla popolazione, fuggita per volontà
propria o perché costretta dai ribelli, che si servono degli
sfollati come di scudi umani. La presa di Kilinochchi, in
compenso, sembrava aver impresso una svolta definitiva
al conflitto, che in 25 anni ha causato oltre 70 mila morti,
la gran parte civili. Ma la fine delle ostilità (e, qualcuno
pensava, dello stesso Ltte) tarda ad arrivare.
L’unica cosa certa sono i pesantissimi effetti umanitari.
Da settembre un numero non ben definito di persone (tra
200 e 250 mila) sono sfollate e in continuo movimento. Le
agenzie umanitarie, già da fine settembre, avevano dovuto
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APRILE 2009
LA GUERRA
TARDA
A FINIRE,
INTANTO
I CIVILI
SOFFRONO
lasciare l’area sotto il controllo dell’Ltte per ragioni di sicurezza. Moltissimi civili sono pertanto rimasti senza aiuti
umanitari, tranne i convogli settimanali di cibo delle Nazioni Unite, pure interrotti, dal 16 gennaio, per problemi di
sicurezza. Anche il Comitato internazionale della Croce
Rossa ha dovuto evacuare gli operatori dell’unico ospedale ancora funzionante nella zona Ltte sotto assedio, oramai
troppo piccola e rischiosa (100 chilometri quadrati).
Favorire la ricerca della pace
Si stringe, dunque, la morsa militare dell’esercito sulle
“Tigri”. E benché a inizio marzo la situazione fosse ancora in stallo, la crisi umanitaria era già divenuta la più grave dell’intera Asia. In questo drammatico scenario, Caritas Sri Lanka è riuscita a rimanere attiva, grazie ai suoi 63
operatori. L’ufficio locale del Vanni, spostato due volte
negli ultimi mesi, è stato bombardato a fine gennaio e
inizio febbraio: un ferito e numerosi danni tra le attrezzature. «Eppure siamo considerati neutrali sia dal governo che dai ribelli – dichiara padre Damian Fernando, direttore di Caritas Sri Lanka –. Restiamo là per continuare
L’offensiva dell’esercito contro
le Tigri tamil, a inizio anno,
sembrava aver impresso una svolta
al conflitto trentennale in Sri Lanka.
Ma benché assediati, i ribelli non
demordono. Duecentomila sfollati:
si teme il disastro umanitario
ad aiutare la popolazione. Abbiamo contatti riservati
con il governo e con le Tigri Tamil, ma anche con altre
formazioni coinvolte nel conflitto, come il Fronte per la
liberazione della popolazione buddista e altri gruppi tamil e islamici, per favorire la ricerca della pace».
Caritas Sri Lanka teme comunque il disastro umanitario. Il suo personale fornisce cibo, coperte, ripari e altri
aiuti, ma anche sostegno psicologico e istruzione agli sfollati nelle aree di Batticaloa (est), penisola di Jaffna (punta
nord) e nella zona Valuthayam-Mannar (nord-ovest).
Inoltre gli operatori di Caritas Vanni sono rimasti in una
zona costiera a nord di Mullaitivu (già roccaforte dell’Ltte), dichiarata “zona franca”: la situazione qui appare particolarmente drammatica perché l’area è ristrettissima, le
scorte d’acqua non sono sufficienti, il cibo nemmeno, le
temperature sono molto alte e nessuno ha un riparo.
Nelle ultime settimane, Caritas Sri Lanka ha fatto
scorta di generi alimentari e beni d’aiuto: il timore che il
conflitto peggiori è concreto. La tragedia che si sta compiendo nel nord dell’isola, in definitiva, è senza precedenti nel paese. E sta già dando luogo a effetti nefasti.
Epidemie, per quanto lievi, sono iniziate; le morti si susseguono per le condizioni difficilissime e per i continui
bombardamenti. Dove le Tigri tamil sono ancora all’opera, continuano a combattere e a impedire alla popolazione di lasciare la zona; molti civili, del resto, non sembrano disposti ad andarsene verso i campi profughi allestiti
dal governo (13) nel distretto sud del Vanni, Vavuniya.
La cosa è comprensibile. I rifugiati, una volta usciti dall’area dei combattimenti, passano 7-10 giorni in due campi di altissima sicurezza (screening center) militarizzati e
non accessibili agli osservatori umanitari: in essi vengono
sottoposti a controlli, non meglio definiti, per individuare
eventuali Tigri tra loro. Poi vengono inviati ai 13 campi di
transizione, pure controllati dai militari e accessibili in
maniera molto limitata alle agenzie umanitarie, dove vivono 30 mila persone in condizioni a dir poco drammatiche, sulle quali le agenzie umanitarie stanno cercando di
ottenere garanzie di miglioramenti da parte del governo.
Reale parità di diritti
Intanto, la guerra, che pareva sul punto di essere conclusa, non si esaurisce. Nonostante il dispiegamento di forze
da parte del governo e l’accerchiamento, i ribelli dell’Ltte
riescono ancora a resistere e sorprendentemente, il 20
febbraio, hanno fato decollare due aerei dal Vanni, che indisturbati hanno attaccato Colombo, la capitale. Un atto
di sfida, che lascia intuire non prossima la fine delle ostilità, come confermano anche combattimenti e attentati
succedutisi in marzo.
Per questo Caritas Internationalis ha sollecitato le parti in conflitto a riprendere i negoziati e ha chiesto alla comunità internazionale di favorire un accordo. Anche perché alla ripresa della guerra si aggiunge un clima arroventato da altri fattori: applicazione, da parte del governo,
della legge “per la prevenzione del terrorismo” anche contro chi opera in favore della pace, arresti arbitrari, omicidi
e sparizioni “politici” perpetrati ovunque, anche nella capitale Colombo, da parte di gruppi paramilitari.
Il governo dello Sri Lanka ha dunque davanti a sé una
doppia sfida: deve affrontare in maniera più confacente i
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internazionale
internazionale
2010 senza povertà
sri lanka
problemi legati ai profughi e al loro reinserimento, ma dovrà aprire una volta per tutte anche la questione politica
dei diritti di tamil e minoranze. Finché non ci sarà una rea-
le parità di diritti (tra maggioranza cingalese buddista, tamil induisti, altri gruppi etnici e religiosi) potranno sempre
spuntare nuove tigri. E la pace resterà un miraggio.
Indu e Angela, scuola e veleno
nelle case dei figli della guerra
La rete Caritas gestisce dodici centri di accoglienza per orfani e bambini
di cui le famiglie non possono occuparsi. Storie in bilico tra dolore e speranza
di Gianluca Ranzato
«I
ndu sta con noi da tre anni, da quando il padre è stato assassinato davanti a suoi occhi perché sospettato di supportare i terroristi. La madre ce lo ha portato in lacrime il giorno successivo, supplicandoci di
tenerlo. Dopo avere ricevuto il nulla osta dalle autorità locali, il bambino è stato inserito nella casa. Adesso va
a scuola, sembra molto più sereno…». Rukmann racconta
del ragazzino: una storia drammatica, una tra tante, emblematica dei drammi che da anni affliggono l’infanzia in
Sri Lanka. Rukmann è il responsabile Caritas del programma “Case di accoglienza per minori”: dodici strutture, gestite dalla Caritas diocesana di Jaffna, supportate finanziariamente da Caritas Italiana.
In esse si trovano bambini e ragazzi dai 4 ai 18 anni, orfani o provenienti da famiglie molto povere, che non sono
in grado di occuparsi di loro. I ragazzi accolti sono vittime
della guerra prima, dello tsunami poi, quindi nuovamen-
L’IMPEGNO CARITAS
Caritas Italiana è presente in Sri Lanka dall’inizio
del 2005 per le attività di riabilitazione post-tsunami, collaborando
con la Caritas nazionale e le diocesi di Colombo, Chilaw e Jaffna.
Le attività sono soprattutto nelle aree promozione socio-economica,
animazione comunitaria, costruzione della pace, tutela dei disabili;
importanti, soprattutto, gli interventi a favore delle vittime di guerra.
A Jaffna, in particolare, Caritas Italiana ha coordinato le attività
psicosociali e di guarigione dal trauma delle vittime dello tsunami
e delle vittime di guerra, lavorando sia nell’area controllata
dal governo, sia in quella controllata dai ribelli dell’Ltte. In questi
mesi, invece, lavora al fianco di Caritas Sri Lanka per definire una
strategia che permetta un sistematico accesso ai campi profughi
nella provincia di Mannar, al fine di evitare l’aggravarsi della crisi
sanitaria e alimentare e di limitare le separazioni familiari sommarie.
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te della guerra; a volte si trovano nella struttura per essere
protetti da un ambiente insicuro e pericoloso.
Troppo insicuri
Le dodici case sono nodi di una rete di servizi di accoglienza coordinata dalle autorità statali; ciò assicura, in collaborazione con le organizzazioni che gestiscono i centri, adeguati standard di qualità. «Lavoro e vivo qui da tempo –
racconta orgogliosa Lakshmi, una delle operatrici delle case –. La gestione economica è la cosa meno complicata:
riuscire a capire i ragazzi e a farli crescere responsabili è la
sfida più impegnativa. A volte i problemi che si portano da
casa o che sono costretti a vivere in tempo di guerra sono
tanto pesanti che il dialogo non basta. Chiediamo allora il
supporto di counselor esperti, che ci aiutano nel ristabilire
gli equilibri. E seguiamo corsi di aggiornamento periodici».
Oltre a cibo, strumenti per la scuola e per le attività ludiche,
la Caritas di Jaffna coordina infatti la presenza di psicologi
ed educatori che, a cadenza fissa, visitano i centri, conducendo colloqui individuali e di gruppo e facilitando la condivisione di emozioni e sofferenze, altrimenti distruttive.
«La guerra nel Vanni ha acuito le tensioni anche individuali – conferma triste Rukmann –. Il mese scorso Angela,
una ragazza di 14 anni, ha tentato il suicidio ingerendo veleno perché da mesi non riesce a vedere la mamma né ad
avere sue notizie. È solo la punta dell’iceberg di un clima
generale davvero penoso, sempre più grave». E i disagi non
sono solo interiori: delle cinque case Caritas della regione
del Vanni, solo una è aperta e ospita al momento due ragazzi. Gli altri centri sono stati chiusi perché colpiti dai
bombardamenti o troppo insicuri; i minori sono andati dai
parenti. E probabilmente saranno finiti nella schiera dei
profughi, che si spostano ogni giorno, senza casa, cibo e
acqua, alla disperata ricerca di un posto sicuro.
SVILUPPO O CRISI,
A PREVALERE È L’ESCLUSIONE
di Francisco Lorenzo Fundación Foessa - Cáritas Española
utti i mezzi di comunicazione ci ricordano quotidianamente la
congiuntura molto preoccupante in cui viviamo. Sin dall’anno
scorso, la Confederazione di Caritas Spagna ha realizzato inchieste
presso i servizi delle Caritas diocesane. Ne sono emersi tre dati: a metà
2008 si era già raggiunto il 70,3% delle richieste ricevute nel 2007; c’è stato
un incremento medio del 40% delle richieste di aiuto; l’aumento della domanda si è verificato, in ordine di intensità, nei progetti di sostegno alla famiglia, di accoglienza, di aiuto agli immigrati e di inserimento lavorativo.
T
Scommessa per il 2010
Dal Rapporto emerge insomma una
società con indici di precarietà elevati, nella quale l’accesso a determinati
beni sociali non pare contemplato
come diritto. Ciò spiega alcuni processi in atto: precarizzazione del lavoro; assunzione di rischi elevatissimi
per accedere a un alloggio; debolezza
di un sistema di protezione sociale
che, non essendosi universalizzato, si
A partire dal nostro lavoro quotiè distanziato considerevolmente dalla media europea. E se il Rapporto ridiano, possiamo dunque affermare
Le analisi di Caritas
badisce la necessità di incrementare
che la crisi è reale e ha conseguenze
Spagna mostrano
determinate partite di spesa sociale e
concrete per moltissime persone.
che l’attuale contingenza
implementare misure di protezione
Ma di cosa parliamo quando parliaincide a fondo
efficaci, l’essenza dell’indagine guarmo di crisi? La domanda è alla raditra la popolazione. Ma la
da a un modello sociale fondato sulla
ce del Rapporto sull’esclusione e il
povertà non è retrocessa
consapevolezza che il Pil non è il midisagio sociale in Spagna, pubblicaneanche quando il paese
glior indicatore del benessere degli
to recentemente dalla Fondazione
cresceva. Prevale un
abitanti di un paese e che, senza mecFoessa (centro studi promosso da
modello sociale con indici
canismi di redistribuzione e parteciCaritas Spagna), nel quale si afferdi precarietà elevati
ma la necessità di fare un salto quapazione sociale e politica, la coesione
sociale non potrà essere garantita.
litativo, che permetta di superare
Quanto all’anno 2010, quando si
un modello che di per sé genera proporranno le basi per la nuova Strategia europea di contracessi di esclusione e mancanza di coesione.
Questo modello mantiene un deciso dislivello eco- sto alla povertà, saremo tutti noi, attraverso diverse occanomico. L’aumento della ricchezza generata in Spagna sioni di partecipazione, a poter determinare quali valori
negli ultimi 14 anni non ha infatti comportato una ridu- debbano sostenere il modello prescelto. Caritas Spagna rizione delle disuguaglianze né dei tassi di povertà (stabi- corderà allora che confondere crescita e benessere con
li intorno al 19% da più di un decennio). Tanto meno ha accrescimento economico risponde a una logica di ricergenerato una riduzione significativa delle differenze ter- ca di profitto dalla quale nessun settore è alieno. E ramritoriali, né ha permesso che si eliminasse la povertà as- menterà che la creazione di relazioni di integrazione e di
soluta, che colpisce dal 3% al 4% della popolazione.
progetti rispondenti a una logica comunitaria – non
Tuttavia il problema non è solo economico. Nel Rap- esclusivamente competitiva – non è un compito esclusivo
porto, insieme alla povertà, si studia anche l’esclusione dei poteri pubblici, ma di tutti i cittadini e le cittadine.
sociale attraverso molti indicatori non monetari, e si conPer dirla con una parola d’ordine: vogliamo scomstata che viviamo in una società in cui il 17,2% di coloro mettere su una società, non su un insieme di individui
che hanno un’abitazione vivono condizioni di esclusio- più o meno attrezzati per la sopravvivenza, in un contene, e il 5,3% addirittura in condizioni di povertà assoluta. sto più o meno escludente.
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internazionale
viaggio nella crisi 2
PREZZI
E AIUTI
A RISCHIO,
ANCHE L’AFGANO PIANGE
di Danilo Feliciangeli
di Danilo Feliciangeli
improbabile che la crisi economico-finanziaria globale abbia forti ripercussioni in
Afghanistan – ha dichiarato all’agenzia
Reuters a inizio marzo Mariam Sherman,
country manager per l’Afghanistan per la
Banca Mondiale –. Il settore finanziario
formale in Afghanistan è molto piccolo,
non svolge un ruolo importante nel finanziamento delle attività economiche, ed è molto limitata l’esposizione
internazionale delle banche afghane».
Ma la crisi economica ha mille volti, di cui molti nascosti, ancora da scoprire. Gli ultimi dati sulla disoccupazione nel mondo prevedono che aumenterà dell’1,1% rispetto al 2008: sembra poco, ma significa circa
51 milioni di posti di lavoro in meno. I paesi in via di sviluppo non hanno sistemi bancari sofisticati, ma pagheranno le conseguenze più gravi: senza ammortizzatori
sociali e senza governi in grado di sostenere l’occupazione, milioni di persone si troveranno di colpo, privi di
protezione, oltre che di lavoro. Soprattutto in Asia si avvertirà il peso del calo dell’occupazione. Il 57% dei nuo-
«È
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vi posti di lavoro creati nel mondo nel 2008 sono localizzati nell’Asia del sud e orientale; un’inversione di tendenza può creare gravi tensioni sociali.
Basterebbe l’1%
Certo, non sembra essere il caso dell’Afghanistan, dove
non c’è il rischio che le imprese chiudano, semplicemente perché non hanno mai aperto. Però la crisi non è tutta
nella perdita dei posti di lavoro. Un aspetto preoccupante è l’effetto dell’aumento dei prezzi alimentari. La Fao
(cioè l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura
dell’Onu) ha annunciato che nel 2008 ben 40 milioni di
persone in più, rispetto al 2007, hanno sofferto la fame a
causa degli alti prezzi alimentari. Gli affamati, nel mondo,
sono così diventati quasi 1 miliardo. Ma il 2009 preoccupa forse ancora di più: nonostante il calo dei prezzi dei
principali cereali, rispetto al picco raggiunto agli inizi del
2008, l’indice Fao dei prezzi alimentari nell’ottobre 2008
era ancora del 20% più alto rispetto all’ottobre 2006.
«Se i prezzi dei prodotti finali più bassi e la stretta
creditizia, associati alla crisi economica, costringeranno
Banche poco esposte, aziende
che non chiudono… perché
non hanno mai aperto! Eppure
la recessione globale si sente
anche nel paese dell’Asia centrale:
cibo e case costano troppo.
E preoccupa la dipendenza dall’estero
gli agricoltori a diminuire le semine, l’anno prossimo
potrebbe verificarsi un’altra drammatica ondata di
prezzi alimentari alti», ha affermato il vicedirettore generale della Fao, Hafez Ghanem. Secondo l’agenzia
Onu, la stragrande maggioranza delle persone sottonutrite (907 milioni) vive nei paesi in via di sviluppo. Di
questi, circa due terzi vivono in Asia (583 milioni nel
2007), in particolare in Asia centrale e meridionale (Afghanistan, oltre a Pakistan, India, Bangladesh).
Anche il Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite ha diffuso di recente un appello ai governi, affinché si destini alla lotta contro la fame una frazione di quanto viene proposto nei pacchetti di salvataggio finanziario messi a punto per fronteggiare la crisi economica globale. «Dobbiamo mandare un forte segnale di
speranza al mondo con un pacchetto di salvataggio umano», ha dichiarato Josette Sheeran, direttore esecutivo del
Pam. In effetti, con solo l’1% di ciò che è stato messo a disposizione per le misure di salvataggio finanziario e di stimolo del sistema creditizio e produttivo negli Stati Uniti e
in Europa, i paesi sviluppati potrebbero finanziare intera-
€
mente il lavoro del Programma
alimentare mondiale.
Immagini di Kabul:
La crisi mondiale, insomma,
donna e bambino
al mercato, trasporto
non risparmia i paesi in via di
su un carretto,
sviluppo: vengono colpiti i redsguardo sulla distesa
diti, i commerci, il flusso di capidi case di un
quartiere periferico.
tali, e intanto si riducono le riLa crisi significa
messe dei migranti. Il 2008 è stasoprattutto aumento
to un anno di crescita del valore
dei prezzi di beni
delle rimesse (+9%), ma solo neldi consumo e case
la prima metà, ha avvertito la
Banca Mondiale: nella seconda parte dell’anno si è verificata “una brusca decelerazione” e “le previsioni suggeriscono che nel 2009 le rimesse degli immigrati caleranno” ancora, e che “particolarmente vulnerabile” sarà
anche l'Asia meridionale. “In passato – ha dichiarato la
Banca Mondiale –, le rimesse dei migranti sono state
stabili o perfino anticicliche rispetto alle fasi di crisi.
Questa volta, la crisi ha colpito le rimesse alla fonte, così come i paesi riceventi”. Così in marzo il governo del
Kirghizistan, sempre per fare un esempio “asiatico”, ha
chiesto al Pam di aiutarlo a sfamare 600 mila persone
che si trovano in una condizione disperata, a seguito di
un brusco calo nelle rimesse dall’estero, che rappresentano il 20% del Pil del paese.
QUOTIDIANITÀ
DIFFICILE
Talebani più potenti
Ma tutti questi dati non interessano molto ad Amin Jan
Khosti, il capo del mercato delle monete di Kabul, dove
sembra che tutto scorra come al solito: nel cuore di Kabul,
tra la grande moschea e il fiume omonimo, un brulicante
universo di venditori agita in aria fasci di banconote urlanI TA L I A C A R I TA S
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internazionale
internazionale
viaggio nella crisi 2
do il prezzo. Dollari, euro, rupie pakistane e afgani si cambiano a seconda delle necessità, ma il cambio è più o meno sempre quello. Gli afgani, la moneta nazionale, si vendono ancora intorno a 52 per dollaro: nonostante la crisi
internazionale e la recessione, la valuta locale ha tenuto.
Però le ragioni non sono tranquillizzanti: anche se
Amin non lo sa, nei mesi scorsi il governo Usa ha sostenuto in maniera massiccia la Banca centrale afgana,
proprio per proteggere la moneta da spinte inflazionistiche e l’economia interna dalla recessione. E ora è
proprio questo a preoccupare: l’assoluta dipendenza
del paese dagli aiuti esterni, in particolare da Stati Uniti, Gran Bretagna ed Europa in generale.
Molti, a Kabul e dintorni, ritengono che difficilmente i governi occidentali verranno meno ai loro impegni,
in un paese dove si combatte una guerra difficile ma
cruciale al terrorismo. Nonostante anni di sforzi bellici,
il nemico talebano diventa sempre più potente. In un
paese dove da sempre c’è bisogno di tutto, disperazione
e rabbia potrebbero portare la popolazione a confidare
di nuovo negli “studenti coranici”, come già era accaduto negli anni Novanta, dopo l’abbandono dei sovietici.
Intanto, nonostante l’assoluta marginalità dell’Afghanistan rispetto ai circuiti della finanza e dell’economia mondiale, gli effetti della crisi si sentono, eccome,
nella vita quotidiana e sulle prospettive di sviluppo. L’effetto (sia pur indiretto) più pesante è quello sul mercato
immobiliare, in continua espansione a Kabul e nelle
principali città afgane, dove si raggiungono prezzi proibitivi per la maggior parte della popolazione. Mentre la
famiglia media vive in baracche senz’acqua, elettricità,
€
servizi igienici e fogne, un po’ in tutta la capitale spuntano come funghi residenze lussuose, segno evidente della presenza di una classe ricca, che ora, oltretutto, non
sapendo dove investire all’estero i propri capitali, a causa della crisi, è tornata a impiegarli nel proprio paese, ovviamente nel mattone. Il settore edilizio è così diventato
la principale attività economica dell’Afghanistan: poiché
acquisti e costruzione degli edifici sono saldati in contanti, il mercato non risente della stretta creditizia.
La forbice si allarga
Si conferma insomma, anche nella contingenza della crisi,
un effetto già all’opera a livello planetario, e naturalmente
nell’Afghanistan degli ultimi anni: l’aumento del divario
tra i ricchi, pochissimi, e i poveri, moltissimi; forbice che
può rivelarsi assai pericolosa, dal punto di vista sociale, ma
anche riguardo agli esiti del conflitto militare in atto.
Se un piccolo terreno edificabile a Kabul city costa oggi
circa 35 mila dollari, il 25% in più rispetto a un anno fa, e in
un quartiere prestigioso si arriva tranquillamente a 100 mila, significa che il sogno di una casa (o il peso di una casa)
è destinato a rimanere tale per buona parte dei cittadini..
L’economia del paese viene dunque tenuta a galla dagli investimenti e dalle donazioni stranieri, che arricchiscono pochi, dalla presenza di circa 70 mila militari stranieri e dal suo indotto, nonché – ovviamente – dal commercio di oppio, questa sì un’industria fiorente, con un
fatturato stimato di circa 3 miliardi di euro l’anno.
Se a ciò si aggiunge che ancora oggi il 90% del bilancio
del governo dipende dagli aiuti dall’estero, le code di disoccupati in fila negli uffici di collocamento europei o
americani seminano dubbi anche negli afgani
più ottimisti. In Canada l’opinione pubblica ha
L’IMPEGNO CARITAS
già manifestato un forte scetticismo rispetto all’opportunità di ulteriori finanziamenti all’AfCaritas Italiana inizia il suo impegno in Afghanistan
ghanistan e alla sua ricostruzione, tanto più che
negli anni Ottanta, intensificando le attività dopo la crisi del 2001,
risultati positivi stentano a vedersi, sia sul fronte
prima supportando i programmi della rete Caritas Internationalis,
militare sia in termini di sviluppo economico.
poi con propri operatori nel paese. Dal maggio 2006, con l’associazione
Ma la situazione potrebbe divenire molto simile
Pro Bambini di Kabul, costituita da 14 ordini religiosi, ha aperto un centro
anche in Europa, dove oltretutto l’opinione pubeducativo per minori disabili, frequentato da circa 30 bambini e gestito
da suore e padri missionari, con l'obiettivo di creare una presenza
blica è sempre stata per buona parte contraria
di sviluppo duratura. L’impegno per le categorie più deboli si concretizza
all’intervento militare in Afghanistan.
anche nel supporto all’associazione di sordomuti Anad, che gestisce
La principale speranza per tenere a galla
una scuola e laboratori di formazione tecnica. Nel settore dell’educazione,
il
paese,
in altre parole, restano ancora una
con l’ong afgana Hawca è stato creato un doposcuola sulla convivenza.
volta
gli
Stati
Uniti. Che sono però il paese
Nei prossimi mesi si concluderà inoltre un vasto progetto che ha portato
più colpito dalla crisi. E su questo, anche la
alla costruzione di otto scuole primarie pubbliche nella regione del Ghor.
L’impegno finanziario degli ultimi tre anni è stato quasi di un milione di euro.
signora Sherman della Banca Mondiale pare
essere d’accordo…
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contrappunto
CAMBIA UN’EPOCA,
AMERICHE PIÙ AMICHE?
di Alberto Bobbio
otrebbe già bastare un “imperialismo amichevole”. Vista da
sud del Rio Bravo, la svolta nella politica del “cortile di casa”
della Casa Bianca di Barack Obama potrebbe fermarsi qui. Ma
la crisi internazionale, la recessione americana e la gran massa di denaro che il nuovo inquilino della candida dimora di Washington dovrà tirar fuori dalle tasche portano qualche speranza in più.
Per chi abita a sud degli Stati Uniti, il “crack perfetto” diventa più
di un’opportunità per costruire economie più giuste e, forse, solidali.
Ma, come sempre, le cose sono complicate e complesse. Negli ultimi
anni gli States hanno speso per l’America Latina meno di quanto
P
Fine dell’embargo?
I nuovi presidenti, che in America
Latina tentano di dare gambe buone
alle democrazie popolari pur in
mezzo a errori ed eccessi ideologici,
devono rispondere a una domanda:
fidarsi di Obama? Ma non è l’unica,
perché vale anche il contrario: Obama può fidarsi di loro? Tra la Colombia di Uribe e l’Ecuador di Correa, il
Cile della Bachelet e il Veneuela di
Chavez, il Brasile di Lula e la Bolivia
di Morales, l’Argentina, il Perù, il Pabuttano in una settimana nel buco
raguay dell’ex vescovo Lugo, il dialoSi annuncia
nero iracheno. E sono miliardi di dolgo non è facile. E non è neppure una
lari. Ma con quale risultato? Il fallisoluzione proporre il blocco della
una “nuova cooperazione”
mento di tutti i piani antidroga dimocosiddetta “vera sinistra” sudameritra gli Stati Uniti
strano negligenza totale nell’approccana contro gli altri e contro gli Usa.
e i paesi latinoamericani.
cio a uno dei problemi più delicati.
Ha ragione Rafael Correa, presiObama promette
Ma Obama ha annunciato in campadente
movimentista dell’Ecuador, a
un approccio condiviso
gna elettorale che le sue politiche in
dire che «più di un’epoca di cambiaai problemi. Ma occorre
America Latina procederanno da un
menti, stiamo vivendo un cambiacapire se tutti si fidano
mento d’epoca». Tuttavia la suggeprincipio semplice e inedito: “Ciò che
di tutti. E se l’ideologia
stione di una “seconda indipendenè giusto per le popolazioni delle Amelascerà spazio al dialogo
riche è giusto per gli Stati Uniti”.
za” dell’America Latina va sostanPuò essere una rivoluzione. L’Aziata attraverso il dialogo e una formerica Latina è una regione ormai fuori dall’agenda in- te cooperazione d’area, che lasci da parte le suggestioni
ternazionale. Poche analisi vi si applicano, poiché l’at- ideologiche di chi intende costruire qualcosa contro altenzione va altrove, Medio Oriente e Asia. Forse è giusto tri e contro gli Usa. Certamente il sogno di alcuni (un
così, perché la Cina ha le chiavi del debito americano, nuovo vessillo bolivariano, pronto a spalmarsi sull’intel’Afghanistan rischia di diventare un nuovo Vietnam, il ro subcontinente) è favorito dalla crisi mondiale del
Medio Oriente potrebbe essere il segnale che fa cam- neoliberismo e del turbocapitalismo senz’anima. Ma
biare la disastrosa politica estera americana. Eppure non basta, anzi sarebbe un errore, limitarsi a intonare
una “Nuova cooperazione per le Americhe” potrebbe hasta siempre Comandante, inno evocatico e rivendicaessere in politica estera un simbolo altrettanto impor- tivo di Carlos Puebla, note di un mito spazzato via dalla
tante. Qui si giocano, in maniera forse più visibile, le re- Storia, per gli uni e per gli altri, a nord e a sud della frongole attorno a quelle che Roosevelt chiamava le “quattro tiera del “cortile di casa”.
libertà”: libertà politica, democrazia, libertà dalla paura,
Anche Barack lo sa. Forse la mossa, azzardata, ma
libertà dai bisogni. In una parola, rispetto e lotta alla po- definitiva, il segnale che cambia le cose, potrebbe essevertà, cioè fine della rapina delle risorse e autodetermi- re quello di mettere fine all’embargo a Cuba. Appunto,
nazione dei popoli.
un cambiamento d’epoca.
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agenda territori
obiettivo8obiettivi2015
MAZARA DEL VALLO
“Il Ciliegio”, un albero e un casolare:
turismo rurale sui beni già mafiosi
Un primo piatto? “Gnocculi cavati”,
con ragù di salsiccia, funghi, finocchietto
e melanzane. Un secondo? Involtini
di vitello con melanzane e basilico
al pomodoro. Sono solo due delle
suggestioni culinarie che accolgono
il visitatore a “Il Ciliegio”. Tra le vallate di Salemi (Trapani) e le colline
del Belice si trova, come suggerisce il nome della struttura, un ciliegio
solitario. Accanto a esso, un vecchio casolare riadattato.
L’albero e l’edificio sono il cuore di un progetto di turismo rurale,
nato su terreni confiscati alla mafia, in contrada Fiumelungo,
per iniziativa della Fondazione San Vito onlus, espressione della Caritas
diocesana di Mazara del Vallo. “Il Ciliegio”, inaugurato a metà marzo,
vuol dire relax per il turista, rispetto per l’ambiente, promozione
della cultura rurale e gastronomica locale, opportunità di lavoro
per soggetti fragili: in sintesi è un’iniziativa che, come suggerisce
lo slogan pubblicitario, “ha il sapore della legalità”.
BOLZANO-BRESSANONE
Sono donne due terzi
dei volontari: «Empatia
e dinamismo»
La Caritas diocesana
ha sfruttato l’occasione
offerta dalla “Giornata
della donna“, l’8 marzo,
per ringraziare le tante donne che in
Alto Adige si impegnano gratuitamente
per il prossimo. Nei diversi servizi
delle Fondazioni Odar e Caritas,
i volontari in servizio sono più di 900,
ma circa due terzi sono donne. E una
proporzione simile caratterizza anche
le Caritas parrocchiali: 191 dei 286
responsabili sono di sesso femminile.
«L’interesse degli uomini
per il volontariato negli ultimi tempi
è cresciuto – hanno spiegato i direttori
della Caritas altoatesina, Mauro Randi
e Heiner Schweigkofler –, ma nelle
parrocchie sono ancora soprattutto
40
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le donne a sostenere i servizi e a creare
legami di condivisione con la loro carica
di empatia, pazienza, dinamismo».
MILANO
“D’altro canto”,
l’inno del volontariato
lo scrivono i giovani
Maggio, per Caritas Ambrosiana,
è mese tradizionalmente dedicato
alle iniziative per i giovani. Nel 2009,
l’iniziativa “Giovani e servizio” propone,
come di consueto, la raccolta diocesana
di indumenti usati, momenti
di riflessione e preghiera, il lancio
dei “Cantieri della solidarietà” (campi
estivi di volontariato, in Italia e all’estero).
Ma c’è anche una stuzzicante sorpresa:
la prima edizione di “D’altro canto”,
un concorso per la composizione di una
canzone-inno del volontariato giovanile.
La proposta è stata lanciata dal sito
internet di Caritas Ambrosiana:
ai giovani compositori, singoli e band,
è stato chiesto di “osare”, utilizzando
generi musicali solitamente atipici
per canzoni che parlano di solidarietà.
Al gruppo vincitore sarà offerta
la possibilità di riarrangiare il proprio
pezzo con uno gruppo storico del rock
italiano: i Nomadi. Dalla canzone
vincitrice sarà inoltre tratto un videoclip
con scene che rappresentano esperienze
di volontari. I brani devono arrivare
a Caritas Ambrosiana su cd entro il 15
maggio. INFO www.caritas.it
TRIESTE
Ricerca sui minori
non accompagnati:
nasce un osservatorio
Provengono soprattutto dall’Europa
dell’est i minori stranieri non
accompagnati che vivono nella provincia
triestina, perlopiù tra i 16 e i 18 anni.
La maggior parte risiede nel capoluogo,
che secondo i dati dell’ufficio anagrafe
nel 2008 ne contava 1.154. Le stime
costituiscono la base di conoscenza
per il lavoro del nuovo “Osservatorio
permanente” sul fenomeno,
che monitorerà gli ingressi, seguirà
le evoluzioni e le scelte di vita dei
minori anche una volta raggiunta
la maggiore età. Insieme a prefettura,
questura, enti locali e Acli, la Caritas
diocesana ha partecipato
all’elaborazione della ricerca provinciale
da cui scaturirà l’Osservatorio. Secondo
l’indagine, sono soprattutto rumeni
gli under18 che arrivano a Trieste.
Sul fronte delle misure di accoglienza,
soddisfacente appare il livello
di inclusione, dimostrato soprattutto dal
ridotto numero di tentativi di fuga dalle
comunità; ciò pone le basi per percorsi
di formazione e inserimento lavorativo.
di Roberta Dragonetti
CAMPOBASSO
Casa di accoglienza
per famigliari di
malati. Ma non solo…
Una casa di accoglienza per i parenti
dei malati delle strutture ospedaliere
della città. Ma aperta anche,
in situazioni di emergenza, ai senzatetto
che si trovino in particolari situazioni
di difficoltà. La casa “Santa Elisabetta”
è stata inaugurata a Campobasso
a marzo. I frati minori del convento
di San Giovanni Battista hanno
destinato un’ala inutilizzata
della struttura alla casa di accoglienza,
a cui si potrà accedere gratuitamente.
La casa è dotata di sei stanze,
una cucina comune e una lavanderia;
chi vi è accolto può anche contare
su un sostegno spirituale e psicologico.
I fondi necessari per portare
a compimento il progetto sono tutti stati
raccolti tra i cittadini e, in parte, donati
dalla Caritas. Proprio su segnalazione
della Caritas, i senzatetto che si verranno
a trovare in situazioni di emergenza
potranno trovare ospitalità nella casa anche
se per brevi periodi, per non “snaturare”
la destinazione principale della struttura.
CAGLIARI
Sportello in carcere
per contrastare
la piaga dei suicidi
I detenuti tossicodipendenti
sono maggiormente esposti al rischio
di suicidio. I danni provocati dalla droga
alla corteccia celebrale frontale portano
a gesti impulsivi, compreso anche
il suicidio. Anna Loi, psichiatra e direttrice
del Servizio per le tossicodipendenze
di Cagliari, ha esposto la sua analisi
durante un convegno sui suicidi
in carcere, organizzato nella biblioteca
Serve un partenariato globale,
ma gli aiuti allo sviluppo flettono
Le promesse
“Sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo”:
è l’ultimo, l’ottavo, tra gli Obiettivi di sviluppo del millennio,
fissati nel 2000 in sede Onu da 189 capi di stato.
In realtà esso indica un metodo per centrare i primi sette Obiettivi
entro il 2015, che non saranno raggiunti se non attraverso un’alleanza
globale a favore dello sviluppo, che veda tutti i paesi del mondo
coinvolti. I leader dei paesi sviluppati si sono impegnati, entro il 2015,
a incrementare gli aiuti allo sviluppo, a una più efficace cancellazione
del debito e a garantire un maggiore accesso ai mercati
e alle tecnologie da parte dei paesi in via di sviluppo. Però per ora
i segnali sono negativi. In tempo di crisi globale, il sostegno
allo sviluppo nel 2008 è calato, per il secondo anno, e ciò lascia
intravedere conseguenze negative per gli impegni presi per il 2010.
Secondo il Rapporto Onu 2008, il totale degli aiuti rimane ben
al di sotto dell’obiettivo fissato nel 2000, cioè lo 0,7% del reddito lordo
nazionale dei paesi avanzati. I soli che abbiano raggiunto o superato
tale obiettivo, nel 2007, sono stati Danimarca, Lussemburgo, Olanda,
Norvegia e Svezia. Anzi: l’assistenza ufficiale allo sviluppo, da parte
dei paesi avanzati, è caduta, mediamente, allo 0,28% del reddito
nazionale lordo del 2007.
I problemi
Sempre secondo l’Onu, il peso del debito estero dei paesi in via
di sviluppo è calato da quasi il 13% dei guadagni delle esportazioni
(dato 2000) sino al 7% (dato 2006); ci si attende che esso scenda
ancora, liberando risorse per gli investimenti. Invece il sistema
commerciale e finanziario globale continua a non avere regole
trasparenti; i paesi industrializzati attuano politiche discriminatorie,
grazie ai sussidi all’esportazione, che consentono di esportare i prodotti
a un prezzo inferiore rispetto al prezzo di mercato. Inoltre, invece
di favorirne l’autonomia, i paesi ricchi ostacolano le esportazioni
di Africa, Asia e America Latina con dazi molto elevati. Le politiche
commerciali dei paesi ricchi colpiscono in modo particolare
i prodotti vitali dei paesi impoveriti, quelli agricoli
e dell’industria tessile. Anche la crisi alimentare
globale è in parte il frutto dei sussidi all’agricoltura
e della protezione tariffaria praticati dai paesi
sviluppati, e che per molti anni hanno scoraggiato
la produzione agricola nei paesi in via di sviluppo.
I TA L I A C A R I TA S
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APRILE 2009
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agenda territori
nell’occhiodelciclone
Disastri lontani, siamo sempre “disattenti”:
anche in internet prevale l’elemento spettacolare
Radio, tv, internet. Quanto spazio
dedicano ai conflitti in corso nel mondo?
Tendono a enfatizzarne alcuni
e a “dimenticarne” altri? E sottolineano
le loro connessioni con i fenomeni
ambientali?. Nell’occhio del ciclone
(terzo rapporto sui conflitti dimenticati,
curato da Caritas Italiana insieme
ad altri soggetti e pubblicato dal Mulino a gennaio) propone
i risultati di un capillare monitoraggio che, da giugno 2004
a dicembre 2007, ha riguardato le principali testate radio-tv
pubbliche e commerciali italiane, mentre per quanto
riguarda internet ha “sondato”, da luglio 2004 al dicembre
2007, le versioni on line di sei periodici internazionali
(il tedesco Der Spiegel, lo spagnolo Tiempo de hoy, il francese
L’express, l’italiano L’espresso, l’inglese The Economist,
l’americano Newsweek). Riguardo alle testate radio-tv,
le notizie sui tre conflitti-disastri “dimenticati” considerati
dal rapporto (Sudan, Pakistan, Colombia) sono in numero
assoluto molto basse (4.148) e corrispondono allo 0,3%
di tutte quelle trasmesse in Italia da luglio 2004
a dicembre 2007 (1.212.465). Invece i due disastri noti
(tsunami, uragano Katrina) hanno raggiunto valori doppi,
cioè lo 0,6%. In generale, l’attenzione mediatica appare
più forte quando viene rilevato un evento tragico;
non sembrano presenti fenomeni di “penalizzazione”
a priori delle emergenze dimenticate (in passato le notizie
su tali eventi venivano relegate a notte fonda, invece state
rilevate news su conflitti dimenticati anche in orario di prima
e seconda serata); la televisione pubblica è più attenta
ai conflitti dimenticati e nella radio si evidenzia una differenza
ancora maggiore tra emittenti pubbliche e commerciali;
del penitenziario di massima sicurezza
di Buoncammino, a Cagliari. L’obiettivo
era sensibilizzare l’opinione pubblica
sul dramma di chi si toglie la vita dietro
le sbarre, ma soprattutto cercare
soluzioni per tamponare un fenomeno
che anche in Sardegna, tra la fine
42
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APRILE 2009
bacheca
di Walter Nanni
infine, Radio Vaticana si trova a svolgere un inaspettato
ruolo di “servizio pubblico”: l’80% delle news trasmesse
da tale emittente riguarda emergenze dimenticate
(il 50% delle news sui casi-studio riguarda il Sudan).
per scongiurare il fenomeno dei suicidi,
da quasi un anno è in funzione un centro
d’ascolto della Caritas: 45 psicologi
volontari, senza costi per l’amministrazione
penitenziaria, a turno vanno tutti i giorni
(festivi compresi) a parlare con
i detenuti. «Un supporto prezioso,
che si sta dimostrando molto utile», ha
confermato il direttore del penitenziario.
Sostanziale rimozione
L’indagine sulle testate internet ha invece rilevato
una sostanziale “rimozione” dei conflitti dimenticati
dall’agenda dei periodici internazionali, fenomeno
tanto più evidente quanto più le guerre sono protratte
nel tempo e slegati da interessi delle potenze occidentali
e asiatiche. Inoltre lo scenario dell’informazione on line
non fa che riprodurre le logiche dei media cartacei
e televisivi: la “notiziabilità” è ormai fortemente legata
a “eventi spettacolari” ed “esotici”: nella lotta
per la “sopravvivenza giornalistica”, tali eventi riescono
a calamitare (per breve tempo) l’interesse anche
su conflitti privi di “interesse giornalistico”. In alcuni casi,
le guerre dimenticate vengono affrontate se riguardano
le nazionalità dei principali gruppi di immigrati presenti
nel paese che ospita la testata. Ma solo in rari e isolati
articoli i conflitti sono stati messi in rapporto con
le condizioni sociali e ambientali in cui questi avvengono.
Appare invece significativa l’esperienza di informazione
“dal basso” dei siti grass roots (alle “radici dell’erba”,
le fonti primarie costituite da realtà della società civile
locale, per esempio Global Voices), in cui la tematica
ambientale e sociale riceve in proporzione molta più attenzione.
Ciò accade probabilmente perché in questi casi a prendere
la voce sono direttamente le persone che vivono nei
contesti coinvolti, quindi le prime ad avvertire i problemi
ambientali e le difficoltà sociali connessi a un conflitto.
degli anni Novanta e la prima metà
del Duemila,
ha causato
numerosi lutti.
L’anno peggiore
è stato il 2003,
con sei suicidi nelle carceri sarde,
mentre nel 2008 un solo detenuto
ha scelto di uccidersi. Il dramma, però,
resta acuto in molte realtà carcerarie
italiane. Tra le principali cause di suicidio
tra i detenuti c’è l’abbandono da parte
dei familiari, che si somma allo stress
per la carcerazione. A Cagliari,
RAGUSA
Monoparentali:
“Conosciamoci”,
sportello e iniziative
È stato presentato a fine marzo
il progetto “Conosciamoci”, pensato
e realizzato dall’associazione Mecca
Melchita, in collaborazione con
la Caritas diocesana, con il patrocinio
del ministero delle politiche sociali.
Il progetto (nell’immagine, il logo)
intende dare risposte a famiglie
monoparentali
e in difficoltà, italiane
e straniere, che
presentano disagi
di varia natura.
Uno degli obiettivi
è creare “luoghi meticci”, dove
il genitore e i figli possano incontrarsi
con operatori del Centro e volontari,
al fine di approfondire la conoscenza
reciproca, conducendo attività
formative. In particolare saranno attivati
due percorsi di prima alfabetizzazione,
in lingua italiana, per 12 persone,
al fine di garantire loro autonomia
linguistica, e un percorso informatico
per 10 persone, finalizzato a elevare
le conoscenze, in vista
di un inserimento nel mondo del lavoro.
Lo sportello è aperto nei pomeriggi
di martedì e giovedì e fornisce
anche servizi di segretariato sociale,
mediazione linguistica e internet gratis.
di Roberta Dragonetti
La crisi, un tempo “opportuno”:
riflessioni verso “Terra Futura”
Un cambiamento sociale, economico, produttivo
e dei consumi? Improrogabile. Ma non deve
restare legato alle paure momentanee originate
dalla crisi globale. Deve generare, piuttosto,
un vero green new deal, che abbia basi solide
e durature, frutto di un vero cambiamento
della cultura e della pratica politica, capace
di fare patrimonio delle esperienze di economia
sostenibile e solidale già esistenti. Lo chiedono,
nei documenti di avvicinamento all’evento,
i promotori e i partner di Terra Futura, la mostra-convegno internazionale
delle buone pratiche di sostenibilità ambientale, economica e sociale,
che avrà luogo a Firenze, alla Fortezza da Basso, dal 29 al 31 maggio.
L’iniziativa è stata presentata su un palcoscenico d’eccezione: il Forum
sociale mondiale, svoltosi a fine gennaio a Belem. In Brasile è stato
annunciato che il tema della sesta edizione di Terra Futura sarà “Il tempo
è opportuno: equità, solidarietà e responsabilità per uscire dalla crisi”.
L’evento sarà promosso da un’alleanza di sigle ormai collaudata: Fondazione
culturale Responsabilità etica onlus per conto del sistema Banca Etica,
regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale, in partnership
con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete e Legambiente.
Cultura ed esposizione
Terra Futura, nei suoi primi cinque anni, ha infatti segnalato i rischi
e le vulnerabilità del sistema vigente e denunciato le sperequazioni
e le ingiustizie prodotte a più livelli. Ma ha mostrato anche soluzioni alternative
ed esperienze concrete già funzionanti in materia di abitare, produrre, coltivare,
agire e governare (le cinque parole chiave della manifestazione), che –
se adattate su scala macroeconomica – potrebbero servire non solo
per rispondere alla crisi di oggi, ma anche per gettare le basi per una svolta
durevole. Per ragionare su questi temi e queste proposte, anche la prossima
edizione di Terra Futura avrà un programma culturale di alto livello: seminari,
dibattiti e convegni, con numerosi esperti e testimoni provenienti dal mondo
della politica, dell’economia e della ricerca scientifica, ma anche dal terzo
settore, dalla cultura e dallo spettacolo. Nell’ampia rassegna espositiva,
associazioni e realtà del non profit, enti locali e istituzioni, imprese eticamente
orientate presenteranno progetti ed esempi concreti di un vivere diverso,
dalla tutela dell’ambiente alle energie alternative rinnovabili, dall’impegno
per la pace alla cooperazione internazionale, dal rispetto dei diritti umani
alla finanza etica al commercio equo... INFO www.terrafutura.it
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APRILE 2009
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villaggio globale
Z
atupertu
O OM
Antonella, la voce delle radici “oltre” le sbarre
«Nel canto la mia arte, ma soprattutto la mia umanità»
Tutti i paesi a Radio3Mondo,
l’informazione a 360 gradi
Un cono di luce su tutti i paesi,
anche su quelli di cui generalmente
si parla poco o niente. A puntarlo
provvede Radio3 Mondo, spazio
quotidiano diviso in due parti:
alle 7 rassegna stampa
internazionale, alle 11.30
approfondimenti su eventi, luoghi
e storie; presentano quattro conduttori,
che si alternano ogni settimana
(Anna Maria Giordano, Emanuele
Giordana, Stefano Cingolani, Luigi
Spinola). Radio3 Mondo è nato
nel 1999, voluto da Lucia Annunziata
per colmare uno spazio vuoto, essendo
gli esteri poco presenti nei palinsesti
radio della Rai. «E quando parliamo
INTERNET
Liberi dalle droghe,
un portale per
studenti e insegnanti
Un portale internet dedicato alle scuole
(studenti, insegnanti e genitori)
di esteri – racconta Cristiana
Castellotti, curatrice del programma
– intendiamo davvero tutti i paesi.
Mentre parliamo la redazione
sta preparando una puntata
sul Madagascar e ci collegheremo
con il direttore di una radio salesiana
che racconterà la situazione
del paese. Ci tengo a dire che grazie
ai missionari copriamo i vuoti
di presenza giornalistica: spesso
in alcuni posti del mondo sono
gli unici a poterci informare».
Positivo il riscontro del pubblico,
che segue il modo di essere “altro”
della redazione, di dare una visione
globale di quanto accade. E che
svolge un ruolo attivo. Sono spesso
gli ascoltatori a proporre argomenti,
attraverso gli spazi a disposizione,
come Facebook e il sito internet,
da cui è possibile riascoltare tutte
le puntate. In autunno, per il decennale
del programma, è prevista una
kermesse radiofonica. E per il futuro,
l’impegno a raccontare il mondo con
sempre maggior chiarezza. «La radio
sta bene e starà sempre meglio –
continua Castellotti –. In un periodo
di generalismo, offre proposte
specifiche introvabili altrove. Nel nostro
caso, informazione a 360 gradi…».
INFO www.radio.rai.it/radio3/
radiotremondo
per scoraggiare l’uso di droghe,
alcol e tabacco. Lo strumento,
messo a punto dal Dipartimento
politiche antidroga della presidenza
del consiglio e dal ministero
dell’istruzione, si chiama
DrugFree.Edu (anche se il link è più
complicato: http://edu.dronet.org)
e offre contenuti differenziati ad adulti
e ragazzi. Oltre a un nuovo strumento
di interazione: il Drug expert link,
un sistema di videoconferenza facilitata
che permette di collegare a distanza
più scuole tra loro e di farle parlare
LIBRI CARITAS
La “Chiesa della carità”, testi in onore di monsignor Nervo
Il titolo non poteva essere
più lineare: La Chiesa
della carità. Ma l’intenzione
non poteva essere
più riconoscente e sincera.
Caritas Italiana ha curato
la “Miscellanea in onore
di monsignor Giovanni
Nervo”, in libreria da marzo
per i tipi delle Edizioni
Dehoniane (Bologna, pagine
352, euro 18,80):
44
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un omaggio doveroso a uno
dei “padri” di Caritas, giunto
al traguardo dei 90 anni.
Il volume non ha scopi
soltanto celebrativi: delinea
infatti un percorso per
tornare, oggi, a disegnare
una “Chiesa della carità”
fortemente radicata sulla
Parola e sull’eucaristia
e calata nella storia,
educando a una scelta
APRILE 2009
di Danilo Angelelli
preferenziale per i poveri,
ogni giorno, nelle parole
e nei fatti. I testi sono stati
realizzati da firme importanti
del mondo cattolico italiano
e da persone che hanno
collaborato con monsignor
Nervo. Il volume ricostruisce
tappe e contenuti
di un appassionato servizio
alla Caritas e alla causa
degli ultimi, un percorso
esistenziale e di sacerdozio
che ha saputo coniugare
carità, cultura e vita,
raccogliendo la sfida
conciliare di una Chiesa
povera e accanto ai poveri.
Proprio monsignor Nervo
chiude il volume con
un saggio, in cui aiuta
a non dimenticare
“che cosa è essenziale
e specifico per la Caritas”.
Il suo vitale legame con la musica l’ha sempre portata oltre: oltre le formule, oltre le mode, oltre
le classifiche di vendita, lei che le classifiche le ha conosciute bene con canzoni rimaste nella
storia come Vacanze romane e Solo tu, solo per citarne alcune. Erano i tempi dei Matia Bazar.
Dagli anni Novanta, Antonella Ruggiero ha intrapreso la carriera da solista, impreziosendo
con una voce inconfondibile nuove canzoni pop, musica sacra e repertori dialettali. Il suo vitale
legame con la musica l’ha portata fin dentro il carcere, per cercare di accompagnare anche solo
per alcune ore le detenute “oltre” le sbarre: lunedì 9 marzo ha tenuto un concerto nella sezione
femminile di San Vittore, a Milano, all’interno della rassegna “Volgar’eloquio”, un evento dedicato
alla cultura del dialetto, per celebrare l’identità, le radici, la tradizione attraverso la musica,
il teatro e la poesia, nei luoghi simbolo del capoluogo lombardo.
Che significato assume la musica, espressione di libertà, dentro un carcere?
Ho cercato di portare un po’ di libertà attraverso quello che può suscitare la musica.
Tutte le detenute avevano voglia di divertirsi, di trascorrere un pomeriggio con almeno
la mente fuori da lì. Spero di averle aiutate a volare un po’ e di aver comunicato un messaggio
di dignità della donna. A mio parere è fondamentale capire che, in qualsiasi situazione
ci troviamo, possiamo essere dignitose e trasmettere questo valore alle più giovani.
Quali riflessioni impone un incontro come questo?
Trovandosi lì è inevitabile interrogarsi sugli ostacoli da vivere e superare, su quale percorso
abbia portate quelle donne – di cui molte giovani – in carcere, come possano essere state
la loro infanzia e la loro adolescenza.
Aver proposto canzoni dialettali ha rappresentato un valore aggiunto?
La possibilità di rafforzare i legami con un territorio, di sentirsene parte, di riconoscere
il proprio passato. Le musiche dialettali aiutano a capire il carattere di chi abita un territorio,
SOLISTA
Sopra, la copertina
a entrare ancora di più in un determinato modo di vedere la vita. Ma ho cantato anche
di “Pomodoro genetico”, canzoni africane e latinoamericane, per far sentire le donne immigrate presenti in carcere
ultimo lavoro
vicine ai luoghi di origine.
di Antonella Ruggiero,
nel quale, insieme
Lei aveva tenuto un concerto in carcere già dieci anni fa. Ha notato un cambiamento,
al marito, il musicista
anche da parte di chi opera in queste strutture?
e arrangiatore Roberto
L’informazione raggiunge l’interno del carcere. Non c’è scollamento con il tempo che si vive
Colombo, effettua
un viaggio all’interno
fuori, quindi si va avanti di pari passo. Tra le persone che operano in carcere, oltre alla
della musica,
severità ho riscontrato tanta umanità. Ho conosciuto anche delle religiose che nel carcere
svincolato dall’esigenza
fanno un bel lavoro e hanno uno scambio meraviglioso con le detenute.
di rispettare la formacanzone, lasciando
Può trovare un nesso tra questo tipo di esperienze e il suo impegno in progetti di
l’aspetto compositivo
riscoperta della musica sacra?
nella dimensione
Appena sono arrivata in carcere ho incontrato un sacerdote che lavora con le detenute
più aperto possibile.
Sotto, un primo
e mi ha detto che usa i miei brani di musica sacra durante gli spazi di meditazione con loro.
piano dell’artista
Le sue parole mi hanno confermato l’utilità del lavoro di ricerca che svolgo. Ho cantato con
e un’immagine
induisti, ebraici, musulmani, ho portato la mia storia e gli altri la loro, in un continuo scambio
durante un concerto
artistico ma soprattutto umano. Per la musica sacra non basta provare da un punto di vista
artistico: occorre prepararsi interiormente, approfondire da un punto di vista esistenziale.
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APRILE 2009
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incontri di servizio
villaggio globale
con un esperto. Presentando il portale
informativo, il ministro dell’istruzione
Mariastella Gelmini e il sottosegretario
Carlo Giovanardi hanno evidenziato
la volontà di mettere in rete le scuole,
per rafforzare il loro impegno
nella lotta alle dipendenze e nella
prevenzione del disagio che “produce”
storie di dipendenza, facendo appello
anche al “senso di responsabilità”
dei ragazzi, perché bisogna “togliere
alibi a chi si droga”. Il nuovo sito
è stato però criticato da alcune
associazioni, che l’hanno definito
“obsoleto”, con informazioni “non di
prima mano” e, dunque, otenzialmente
poco interessante per gli studenti.
SEGNALAZIONI
Paura del Concilio,
vite da senza dimora
e imprese responsabili
Alberto Melloni e Giuseppe
Ruggieri (a cura), Chi ha paura
del Vaticano II? (Carocci 2009,
pagine 152). A 50 anni esatti
dall’annuncio di Giovanni XXIII, lo storico
Melloni e il teologo Ruggieri si misurano
con una domanda non retorica.
Riproporre con forza lo spirito
di quell’evento significa invocare
un rinnovamento della Chiesa, ossia
la capacità di parlare all’oggi, “alla storia
che c’è, non a quella che c’era”.
Gioacchino Lavanco e Massimo
Santinello (a cura), I senza fissa
dimora. Analisi psicologica
del fenomeno e ipotesi
di intervento (Paoline 2009, pagine 200).
Il libro parte dall’analisi psicologica dei
senza tetto, evidenzia come queste
persone vivano in strada, come
si organizzino le giornate, quali abilità
sfruttino per assicurarsi la sopravvivenza
e quali meccanismi rendano tollerabile
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APRILE 2009
paginealtrepagine
di Francesco Dragonetti
Il dolore al termine della vita:
dilemmi e confronto,
necessario qualificare le cure
Il dolore è spesso presente nella nostra esistenza e, paradossalmente, tanto
più nel momento in cui tendiamo alla realizzazione della nostra vita emotiva.
Ma possiamo pensare a una vita senza dolore? Non è possibile
e non dovremmo neppure augurarcelo. La nostra stessa sopravvivenza,
in assenza del “segnale” dolore, sarebbe messa in serio pericolo. Il dolore,
però, può anche essere “inutile”, come nel caso delle patologie degenerative,
oppure delle malattie tumorali, che si accompagnano frequentemente
a una grande sofferenze fisica fine a se stessa.
Domenico Gioffré (a cura di), Il dolore superfluo. Da ridurre, da controllare,
“da curare” (Erickson 2008), affronta questo problema dal punto di vista
di professionisti e persone di grande spessore culturale. In Italia alcuni recenti
casi hanno aperto un acceso dibattito politico, bioetico e culturale.
Ma se il confronto è “acceso” da alcuni casi “estremi”, il problema
delle condizioni di vita nel periodo “ultimo”, che interessa tantissime
persone e famiglie, è affrontato da Migliorare la qualità delle cure
di fine vita. Un cambiamento possibile e necessario, a cura di Massimo
Costantini, Claudia Borreani e Sergio Grubich (Erickson 2008): il volume tratta
le complesse problematiche che un professionista sanitario si trova
ad affrontare con i bisogni di una persona alla fine della vita, dovendo
migliorare la qualità dell’assistenza, poiché “il malato è un essere
umano fino agli ultimi istanti della vita: il morire è vita, e deve essere
la migliore vita possibile”. In queste parole si racchiude il senso
della battaglia contro il dolore inutile condotta da Vittorio Ventafridda,
pioniere delle cure palliative in Italia, da oltre trent’anni al fianco dei malati
“inguaribili”, la cui morte, nell’ottobre scorso, è passata sotto silenzio.
C’è poi la dimensione esistenziale del dolore. Katafiasz Karen,
nel suo libro Dal dolore il bene (Paoline Editoriale 2009), pone
l’accento sul fatto che non c’è possibilità di uscire dalla sofferenza
per la morte di una persona cara – o per il distacco da una persona
amata – se non attraverso la stessa sofferenza che questo comporta:
solo sperimentando il dolore possiamo superarlo, riuscendo ad andare oltre.
una tale condizione di vita.
Helen Alford e Francesco
Compagnoni, Fondare la
responsabilità sociale
d’impresa (Città Nuova Editrice
2008, pagine 505). Negli ultimi anni
molte aziende, italiane e non, hanno
manifestato una crescente attenzione
verso la “responsabilità sociale
d’impresa”, ovvero verso le implicazioni
sociali e ambientali del loro operato. Ma
ciò diventa un approccio credibile solo
con solide basi etico-morali, che il volume
analizza, partendo dai filosofi classici
e dalla dottrina sociale della chiesa.
a cura di Chiara Del Corso volontaria in servizio civile a Pisa
IL CUORE DI SALVATORE
A MOLTI AVEVA DATO QUALCOSA
osso dire qualcosa?” Così comincia la lettera di Salvatore Fiorini, diacono
permanente in servizio al centro di ascolto Caritas in via delle Sette Volte,
a Pisa. Io l’ho conosciuto un anno fa, durante il mio servizio, proprio lì.
Mi colpirono subito il suo sorriso, la sua tranquillità… Certe volte anche sconvolgente:
in mezzo a situazioni di tensione, di stanchezza e nei momenti più difficili, lui
dimostrava serenità e ottimismo, che trasparivano dal volto, dagli occhi, dalle parole.
Ottimismo, o meglio, dovrei dire… fede! Già, perché Salvatore ne ha sempre avuta
molta, anche se a noi ha confidato che la scelta di diventare diacono permanente non
è stata facile. Ha raccontato le difficoltà nell’accettare la chiamata del Signore, il tentativo
di sfuggire a quella responsabilità, il cammino per il diaconato iniziato e lasciato più
volte. E però, una volta portato a compimento, condotto con molto impegno e amore.
La sua disponibilità verso i volontari del centro, ma soprattutto verso le persone
che vi si rivolgono per avere aiuto, mi è stata di esempio. Lui arrivava per primo,
lui andava ad accogliere le persone al cancello, lui le salutava nella stanza dei colloqui,
lui conduceva i colloqui non da dietro la scrivania, ma a fianco delle persone!
Seduto accanto a loro non le sentiva… le ascoltava! Partecipava ai loro bisogni,
alle loro sofferenze. E anche nelle situazioni più drammatiche, nei momenti in cui
io o le mie colleghe non riuscivamo ad ascoltare, a “portare il peso” della situazione,
lui aveva sempre una parola di speranza, cercava una soluzione, si interessava
personalmente alla vicenda. E riusciva a donare un sorriso! Alla fine,
riaccompagnava le persone alla porta, salutandole come si saluta un vecchio
Ha lasciato una lettera
amico, pronto subito ad accogliere nuovi interlocutori.
appassionata.
Certe volte mi sono chiesta: «Ma come fa?». E la sua “attenzione all’altro”
Ma soprattutto
era rivolta anche agli altri volontari. Più di una volta ha ascoltato le nostre
una testimonianza di fede
difficoltà, i nostri dubbi; con il cuore aperto, ci ha dato consigli da amico.
in Dio e di attenzione
Nella lettera che ha scritto prima di sottoporsi a un difficile intervento
agli altri. Lui accoglieva,
chirurgico al cuore, andato male, ha espresso tutto il suo timore di non essere
salutava, sedeva a fianco
stato un buon cristiano, ma anche tutta la sua fede, la grandezza del suo
di chi aveva bisogno:
animo. Ha scritto: “Lui ha scelto il momento della mia nascita, il luogo,
li ascoltava. Certe volte
i genitori, il paese, le circostanze, e sempre Lui saprà scegliere con cura
mi sono chiesta:
il momento, il luogo, le circostanze per abbandonare la vita. Lui ha dato,
«Ma come fa?»
Lui può togliere. (…) Il suo Amore per me, nonostante le mie debolezze e i miei
tradimenti, non gli hanno vietato di suggerirmi il cammino giusto della vita”.
E ha scritto ancora: “Quasi nessuno si è accorto della mia nascita e spero proprio
che nessuno si accorga della mia dipartita”. Io posso dire che non è stato così: la chiesa,
il giorno del funerale, era piena di gente. In molti sono venuti a salutarlo. A molti
aveva dato qualcosa: forse solo un sorriso, forse di più…
Caro Salvatore, se anch’io posso dire qualcosa… è “Grazie!”. Per l’esempio di amore
e carità che sei stato per tutti noi, per quello che sei stato, per i tuoi difetti e i tuoi pregi,
per la tua fede, le tue parole, i tuoi sorrisi.
Grazie di cuore, Salvatore!
“P
I TA L I A C A R I TA S
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APRILE 2009
47
Gesù condivide con noi il pellegrinaggio della vita.
Buona Pasqua
da Caritas Italiana e Italia Caritas!
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