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2. La nave - Giappichelli

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2. La nave - Giappichelli
2. La nave
SOMMARIO: 1. La nave. – 1.1. La definizione di nave. – 1.2. Galleggiabilità, attitudine alla navigazione e
navigabilità. – 2. Iscrizione della nave. – 2.1. Procedimento amministrativo di iscrizione nelle matricole italiane. – 2.2. Requisiti di nazionalità per l’iscrizione nelle matricole. – 2.3. Il Registro c.d. bareboat e Il Registro internazionale. – 2.4. Il procedimento di dismissione della bandiera italiana. – 3. Il
Registro Italiano Navale.
1. La nave
1.1. La definizione di nave
L’art. 136 cod. nav. definisce la nave come «qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo». La Relazione al codice (n. 89) chiarisce che il concetto di trasporto va:
«Inteso non nel significato ristretto di trasferimento di persone o di cose da un luogo ad
un altro, bensì in un significato più ampio, qual è usato dalla dottrina, di spostamento in un
determinato spazio di un qualsiasi corpo per qualsiasi fine. In tal modo trasporto su acqua
coincide con navigazione e la nave si può definire come mezzo di trasporto per acqua a
qualsiasi scopo. Ho menzionato gli scopi principali … ed ho aggiunto poi l’indicazione generale “o ad altro scopo”. Così non si può dubitare che è nave anche quella adibita a spe dizioni esplorative o talassografiche o alla posa di cavi».
È evidente nel legislatore la volontà di riferirsi alla nota posizione dottrinale dello Scialoja, che aveva appunto elaborato la nozione “ampia” di trasporto per acqua
quale fondamento della definizione di nave.
Così, per nave si deve intendere un complesso di elementi, contraddistinto da determinate caratteristiche tecniche, presupposte dall’art. 136 cod. nav . (galleggiabilità e attitudine alla navigazione), e da caratteristiche funzionali, che si traducono
nella destinazione al trasporto per acqua, inteso nel senso ampio di trasferimento o
traslazione, a qualsiasi scopo. A seconda delle caratteristiche costruttive, dotazioni e
sistemazioni riservate all’equipaggio, le navi si distinguono in navi maggiori (in
quanto idonee alla navigazione alturiera) ed in navi minori (idonee alla navigazione
costiera).
Peraltro, la definizione di nave adottata dal codice della navigazione è talmente
ampia da non consentire di individuare l’ulteriore nozione di galleggiante. L ’art.
136, comma 3, cod. nav. dispone infatti che, salvo espresse previsioni in senso con-
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Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali
trario, le norme sulle navi si applicano ai galleggianti mobili, adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al traffico in acque marittime (sono esclusi, invece,
i galleggianti fissi, quali boe o fari galleggianti, e i beni di cui all’art. 812, comma 2,
cod. civ.).
La Relazione, peraltro, precisa che i galleggianti si distinguono dalle navi perché
non trasportano e sono caratterizzati dalla destinazione a servizi vari. Tale definizione, però, si sovrappone ed è compresa in quella già adottata per identificare la nave,
in quanto – proprio in virtù della nozione ampia di trasporto per acqua – non è necessario che la costruzione possa trasportare persone o merci perché sia definita nave, essendo sufficiente che essa sia destinata al trasferimento per acqua. Di conse guenza, argomentare che una costruzione si qualifica come galleggiante perché non
trasporta non è rilevante, in quanto per la nozione di nave è sufficiente l’attitudine
al trasporto in senso lato (ossia, al trasferimento) per acqua. Inoltre, la destinazione
a particolari servizi attinenti la navigazione e i traffici rientra certamente nella più
ampia destinazione “ad altro scopo” prevista per le navi dall’art. 136, comma 1, cod.
nav.
La difficoltà di ricondurre alla teoria dello Scialoja la distinzione tra nave e galleggiante è resa evidente anche dall’esame della giurisprudenza (Cass. 15 novembre
1994 n. 9589, in Foro it., 1994, I, c. 3387) allorché si è trovata a qualificare una costruzione avente caratteristiche particolari, quale un bacino galleggiante:
«I galleggianti mobili di cui al comma 3 (…) costituiscono una categoria a sé stante e si
differenziano dalle navi non tanto sotto il profilo strutturale, quanto, e soprattutto, per la
destinazione e la funzione. Non è, invero, sufficiente affermare che il bacino di carenaggio
in questione era dotato delle “caratteristiche della galleggiabilità e dell’attitudine a navigare con propulsione esterna” per trarne la conclusione che non sussiste sostanziale diversità
tra nave (in senso proprio) e galleggiante mobile (…) le due cennate “caratteristiche” (mobilità ed attitudine alla navigazione), pur costituendo imprescindibili elementi oggettivi
della ‘nave’ (non espressamente enunciati nell’art. 136 cod. nav., ma necessariamente presupposti alla nozione di “costruzione destinata al trasporto per acqua”, secondo la definizione della nave contenuta nel comma 1 del citato art. 136), non bastano a qualificare la nave, se con esse non concorre la destinazione effettiva alla navigazione, ben potendo avvenire che una costruzione potenzialmente idonea a navigare sia in concreto destinata ad uno
scopo diverso. È, dunque, la destinazione del natante che costituisce l’elemento decisivo di
differenziazione tra le navi e i galleggianti mobili».
È, peraltro, evidente che, nonostante lo sforzo argomentativo, nell’art. 136 cod.
nav. non è riscontrabile alcuna differenza “ontologica” tra nave e galleggiante, con
riferimento alla loro funzione, e che la nozione di destinazione al trasferimento per
acqua è talmente ampia da comprendere anche i trasferimenti per acqua che hanno
la funzione di portare la costruzione sul luogo dove realizzare lo scopo (qualsiasi
scopo) per il quale è stata costruita e dovrà essere definitivamente impiegata.
È stato, quindi, suggerito di ritenere che l’art. 136, comma 1, cod. nav. contenga
una nozione “ampia” di nave, intesa come qualsiasi costruzione avente l’attitudine
alla navigazione e destinata al trasferimento per acqua, dovendosi all’interno di tale
nozione lata distinguere tra navi in senso stretto (divise a loro volta in maggiori e minori) e galleggianti, che si differenziano dalle navi non tanto per la loro peculiare de-
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stinazione, bensì in modo obiettivo in quanto difettano dell’autopropulsione (par zialmente in questo senso Cons. Stato, sez. IV, 16 ottobre 2001 n. 5465; cfr. art. 62
reg. nav. int.).
Non sono, poi, qualificabili come navi quelle costruzioni che, pur essendo state
impiegate come navi, sono concretamente e permanentemente destinate a scopi diversi dal trasporto per acqua, quali navi ristorante o navi museo, anche nel caso in
cui le trasformazioni cui sono state sottoposte non abbiano fatto perdere l’obiettiva
attitudine alla navigazione, senza che al fine rilevi la permanente iscrizione del mezzo nelle matricole, in quanto avente efficacia meramente dichiarativa della sussistenza (Cons. Stato 21 settembre 2006 n. 5547, in Dir. trasp., 2007, p. 817).
1.2. Galleggiabilità, attitudine alla navigazione e navigabilità
Per “galleggiabilità” e “attitudine alla navigazione” si devono intendere quelle
caratteristiche obiettive della costruzione, dipendenti dai requisiti tecnici della stessa, che la rendono idonea a galleggiare ed al trasferimento per acqua. T ali requisiti
obiettivi non vanno confusi con la “navigabilità”, che è una qualità della costruzione ed indica la capacità della stessa di spostarsi per acqua in sicurezza, in relazione
allo specifico viaggio che deve essere intrapreso. Poiché la destinazione alla navigazione discende dalle caratteristiche costruttive obiettive del bene, essa non viene automaticamente meno allorché si verifichi un sinistro, quale un urto che causa una via
d’acqua nello scafo, pregiudicandone la navigabilità. D’altro canto, una stessa nave
può essere navigabile in relazione ad uno specifico viaggio (ad esempio, costiero),
ma non invece per un altro (ad esempio, alturiero).
La temporanea perdita o mancanza di navigabilità o il temporaneo pregiudizio
delle caratteristiche tecniche della costruzione non fa perdere alla stessa la qualifica
di nave (cfr. Cass. 5 aprile 2005 n. 7020, in Dir. mar. , 2007, p. 1141), anche se – nella pratica – non è facile identificare il momento in cui il bene sia a tal punto com promesso dal punto di vista obiettivo da far venir meno l’attitudine alla navigazio ne e, quindi, la qualifica di nave. Ciò viene chiaramente illustrato, sia pure a livello
di enunciazione di principio, dalla Cass. 1 giugno 1995 n. 6134 (inGiust. civ., 1996,
p. 157):
«La destinazione al trasporto per acqua non va confusa, tuttavia, con la c.d. “navigabilità”, e con l’attualità di questa, che restringerebbe inammissibilmente il concetto, sol che
si pensi alla nave che si trovi a secco od in bacini di carenaggio, per riparazioni, ovvero a
quella non attualmente in esercizio, e persino alla nave sommersa, che sia possibile riportare allo stato di galleggiabilità e di navigabilità (cfr. in generale Cass. 31 ottobre 1956 n.
4096). Trattasi, in realtà, di un elemento subiettivo impresso alla res connexa che ne presuppone soltanto l’attitudine alla navigazione, che, come è stato chiarito, ricorre allorché la
costruzione presenti quei requisiti tecnici che la rendano idonea a galleggiare, a spostarsi
sull’acqua ed a trasportare cose o persone. La nave quindi perisce come tale allorché ne
vengano meno gli elementi essenziali, quando, cioè, si sia verificata una situazione tale per
cui non possa più essere considerata quale costruzione atta e destinata al trasporto di cose
e persone per acqua: ciò può avvenire per naufragio (che comporti la dissoluzione dellares
connexa, ovvero la navis fractio), derivante da cause esogene (collisione, investimento, tem-
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Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali
pesta, uragano, azione bellica, ecc.), ovvero endogene (esplosione, cedimento di parti, falle, allagamento), o comunque per una alterazione irreversibile delle sue componenti di pendente da qualsiasi altra causa (quale, ad esempio, l’incendio)».
La mancanza di un’attuale attitudine alla navigazione esclude altresì che la nave
in costruzione sia equiparabile alla nave (salvo norme espresse che estendano alla
prima disposizioni dettate per la seconda cfr. art. 566 cod. nav.).
2. Iscrizione della nave
2.1. Procedimento amministrativo di iscrizione nelle matricole italiane
Gli elementi di individuazione della nave sono la stazza (ossia, il volume degli
spazi interni), il nome (o, per le navi minori, il numero), il luogo ed il numero di
iscrizione e la nazionalità. Le navi maggiori vengono iscritte in matricole (registri
per le navi minori) tenute presso gli uffici marittimi competenti. In dottrina si è discusso quale natura abbia il procedimento di iscrizione, ossia quel procedimento finalizzato ad ottenere la registrazione del bene nave e l’abilitazione dello stesso alla
navigazione.
In primo luogo, va chiarito che la qualifica di nave data ad un bene discende dalla obiettiva sussistenza delle caratteristiche richieste dall’art. 136 cod. nav., sicché il
bene nave è giuridicamente rilevante anche prima dell’iscrizione, dovendosi peraltro valutare caso per caso quali norme la legge ricollega alla circostanza che il bene
nave non solo esista come tale, ma sia anche iscritto negli appositi registri (cfr. Cass.
26 maggio 2004 n. 10133, in Foro it., 2005, I, c. 1874).
La tesi per cui il procedimento di ammissione avrebbe carattere costitutivo non
discrezionale e sarebbe la fonte del diritto a navigare, subordinato al rilascio dell’autorizzazione, è respinta dalla dottrina prevalente che, sia pure con non secondarie
differenze, concorda nel ritenere che la Pubblica Amministrazione, con il procedimento di iscrizione, si limiti ad accertare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge per l’iscrizione, la quale è quindi un diritto del soggetto ri chiedente qualora tali requisiti e presupposti sussistano.
Il procedimento giuridico-formale di ammissione della nave alla navigazione ed
il controllo tecnico amministrativo sulla stessa sfociano nell’iscrizione della nave
nelle matricole e nel rilascio dell’atto di nazionalità (licenza per le navi minori), ossia nell’abilitazione alla navigazione. Anche l’ottenimento di tale atto costituisce un
diritto soggettivo per il richiedente, laddove sussistano i presupposti ed i requisiti richiesti dalla legge, per cui ogni eventuale controversia relativa sia all’iscrizione della
nave, sia al rilascio dell’atto di nazionalità è di competenza della giurisdizione ordinaria.
Al fine di favorire il trasferimento di navi da carico e passeggeri battenti la bandiera di uno Stato membro da un registro di uno Stato membro ad un altro, assicurando al contempo un elevato livello di protezione degli interessi pubblicistici connessi al fatto tecnico della navigazione (tutela della sicurezza e dell’ambiente marino) il Regolamento CE/789/2004 prevede le modalità con cui ciascuno Stato mem-
La nave
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bro deve procedere alla valutazione tecnica delle navi provenienti da un registro comunitario, per le quali sia richiesta l’iscrizione. In particolare, tale iscrizione non
può essere negata per motivi tecnici allorché la nave risulti munita dei necessari certificati di conformità alle normative internazionali pertinenti rilasciati dalle competenti Autorità dello Stato del registro di provenienza, salvo ovviamente il diritto per
lo Stato richiesto di iscrivere la nave nel proprio registro di verificare la corrispondenza dello stato della nave a tali certificati (art. 4).
D’altra parte, la normativa comunitaria ammette che per alcune tipologie di navi
siano previsti ulteriori requisiti tecnici per l’iscrizione: ad esempio, in conformità al
Regolamento CE/417/2002, l’art. 2 della legge 9 gennaio 2006 n. 13 prevede che non
possano essere iscritte nei registri tenuti dalle Autorità nazionali navi cisterna a scafo
singolo, aventi portata lorda superiore a 600 tonnellate, abilitate al trasporto di petrolio greggio o di prodotti petroliferi e chimici la cui età risalga ad oltre quindici anni.
Più discutibile appare invece l’art. 9, comma 3 della legge 28 dicembre 1999 n.
522, che vieta l’iscrizione nelle matricole e nei registri nazionali di navi adibite al trasporto passeggeri provenienti da registri stranieri, costruite da oltre venti anni. Si
può osservare, infatti, che tale disposizione, non prevista dalla pertinente normativa
comunitaria in materia di sicurezza delle navi passeggeri, né dal citato Regolamento
CE/789/2004, se applicata a navi provenienti dal registro di uno Stato membro e acquistate per essere iscritte in Italia, potrebbe configurare un ostacolo alla libera circolazione delle merci in ambito comunitario e, pertanto, essere contrastante con
l’art. 34 TFUE.
Non sorprende, pertanto, che la giurisprudenza (Cons. Stato 31 maggio 2006 n.
3321, in Dir. mar., 2007, p. 612; conforme T.A.R. Lazio 9 maggio 2005, inedita) abbia pacificamente interpretato detto art. 2 come non riferibile a navi provenienti da
registri di iscrizione comunitari, da considerarsi equiparate alle navi italiane, pena in
difetto pena la violazione dei principi comunitari:
«I principi del Trattato istitutivo sulla libera circolazione delle persone, delle merci, dei
servizi e dei capitali implicano che una motonave iscritta in un registro di uno Stato membro a quo può senz’altro essere iscritta nel registro di un altro Stato membro ad quem, purché abbia i requisiti ( in primis, quelli sulla sicurezza) richiesti dallo Stato ad quem per le
motonavi nazionali. Vi sarebbe una indebita discriminazione se lo Stato membro, pur ammettendo l’iscrizione nel registro di una motonave nazionale aventi determinati requisiti,
non consentisse l’iscrizione di una motonave aventi i medesimi requisiti, solo perché proveniente dal registro di un altro Stato membro (nella specie, dal registro portoghese). Ciò
comporta che la legge italiana – poiché consente la perdurante iscrizione di motonavi na zionali costruite da oltre venti anni – consente anche l’iscrizione (nel Registro internazionale previsto dall’art. 1 del d.l. n. 457/1997, convertito nella legge n. 30/1998) di motona vi costruite da oltre venti anni e che siano provenienti da altri Stati membri».
2.2. Requisiti di nazionalità per l’iscrizione nelle matricole
Tradizionalmente, gli ordinamenti statali subordinano la possibilità di iscrivere
una nave nelle proprie matricole non solo alla sussistenza di requisiti tecnico-nauti-
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Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali
ci del bene (art. 164 cod. nav.), ma anche all’esistenza di specifici requisiti di nazionalità in capo ai soggetti proprietari del bene stesso. Espressione di tale orienta mento era l’art. 143 cod. nav. che, nella versione originaria, imponeva che le navi
iscritte nelle matricole italiane fossero per una quota non inferiore a 16 carati di proprietà di cittadini o enti pubblici italiani o di società costituite e aventi la sede di amministrazione in Italia, in cui risultasse accertata la prevalenza degli interessi nazionali nel capitale e negli organi di amministrazione e direzione.
La rigidità di tali requisiti è stata progressivamente allentata sia per una mutata
concezione del rapporto che deve legare il bene nave all’ordinamento ai fini dell’attribuzione della bandiera, sia per gli obblighi sorti in capo all’Italia a seguito del l’adesione alla Comunità europea (cfr. legge 9 dicembre 1971 n. 723). Il sistema è
stato, da ultimo, radicalmente trasformato a seguito dell’entrata in vigore della legge 27 febbraio 1998 n. 30, per cui l’art. 143 cod. nav., nel testo vigente, ammette all’iscrizione nelle matricole italiane:
(i) le navi che appartengono per una quota superiore a dodici carati a persone fisiche giuridiche o enti italiani o di altri Paesi dell’Unione europea;
(ii) le navi di nuova costruzione o provenienti da un registro straniero non co munitario, appartenenti a persone fisiche, giuridiche o enti stranieri non comunitari, i quali assumano direttamente l’esercizio della nave attraverso una stabile orga nizzazione sul territorio nazionale con gestione demandata a persona fisica o giuridica di nazionalità italiana o di altri Paesi dell’Unione europea, domiciliata nel luogo di iscrizione della nave, che assuma ogni responsabilità per il suo esercizio nei
confronti delle autorità amministrative e dei terzi, con dichiarazione da rendersi
presso l’ufficio di iscrizione della nave, secondo le norme previste per la dichiara zione di armatore.
Viene così ad essere sostanzialmente superato il ricorso alla nazionalità dei proprietari quale unico criterio rilevante per stabilire un collegamento significativo tra
il bene nave e l’ordinamento italiano, a vantaggio di un collegamento di tipo economico-funzionale, consistente nell’esercizio della nave attraverso strutture localizzate
in Italia. Rimangono, però, alcune perplessità date dalla difficoltà, rilevata in dottrina, di distinguere tra l’assunzione dell’esercizio tramite stabile organizzazione (ad
opera dei proprietari) e gestione demandata a soggetti italiani e comunitari, con assunzione di ogni responsabilità verso i terzi.
2.3. Il Registro c.d. bare-boat e il Registro internazionale
Secondo il sistema tradizionale, alla nave veniva attribuita la bandiera e la nazionalità delle Stato di iscrizione, e tale iscrizione era esclusiva, per cui nessuna nave
poteva battere più bandiere, essendo l’iscrizione in una matricola straniera circo stanza preclusiva dell’iscrizione o della permanenza della nave nelle matricole na zionali (artt. 145 e 163, lett. d), cod. nav., vecchio testo).
Peraltro, attualmente in molti Stati è consentita l’iscrizione nelle matricole (con
relativa assunzione della bandiera) di navi provenienti da registri esteri e da questi
non cancellate. In tali casi l’iscrizione nelle matricole originarie rimane sospesa per
alcuni profili (soprattutto quelli concernenti l’obbligo di imbarcare equipaggio
La nave
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avente la stessa nazionalità della bandiera della nave), mentre continua ad esplicare
effetti per altri profili. Lo scopo dell’operazione è quello di consentire agli armatori
di poter usufruire delle condizioni di gestione della nave più vantaggiose garantite
dal secondo registro, senza al contempo eliminare del tutto il collegamento tra la nave e l’ordinamento di prima iscrizione.
In Italia, tale possibilità è stata ammessa in un primo tempo con la legge 14 giu gno 1989 n. 234, che ha modificato l’art. 145 cod. nav ., prevedendo la possibilità
(per un periodo di regola non superiore ai due anni) di iscrizione in speciali registri
alle navi già iscritte in un registro straniero, previa loro sospensione da tale registro
ed in presenza di locazione a scafo nudo a favore di un soggetto italiano. In tal caso,
si consente alle stesse di battere bandiera italiana, pur escludendole dal diritto ad effettuare navigazione di cabotaggio ex art. 224 cod. nav. Per converso, l’art. 156 cod.
nav. (anch’esso modificato) ammette la sospensione delle navi dalle matricole italiane a seguito di locazione a scafo nudo a straniero e di temporanea iscrizione della
nave per il periodo di locazione nell’apposito registro dello Stato straniero.
Il d.p.r. 21 febbraio 1990 n. 66 (art. 10) stabilisce poi le modalità con cui può essere concessa l’autorizzazione alla sospensione temporanea della abilitazione alla
navigazione e all’uso della bandiera italiana.
Nonostante tale sospensione, peraltro, continuano ad essere regolati dal codice
la proprietà e gli altri diritti reali di garanzia gravanti sulla nave (art. 11 del d.p.r. n.
66/1990). Ogni altro profilo viene, invece, affidato allo Stato in cui la nave è temporaneamente registrata. Di particolare interesse, al riguardo, è l’art. 14 del d.p.r . il
quale prevede che durante il periodo di sospensione temporanea della abilitazione
alla navigazione e all’uso della bandiera la nave non si considera italiana ai fini
dell’art. 4 cod. nav. Anche per quanto riguarda il regime di diritto internazionale
privato (e col solo limite delle norme di cui all’art. 29 della legge n. 234/1989 in tema di tutela del lavoro marittimo) legge della bandiera della nave si considera quella del registro straniero di iscrizione temporanea (con riferimento all’applicazione
degli artt. 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13). Peraltro, come già accennato, nonostante la sospensione, legge nazionale della nave, ai sensi dell’art. 6 cod. nav., dovrà intendersi
quella italiana (cfr. Trib. Genova 28 aprile 1995, in Dir. mar., 1997, p. 1082).
Va peraltro ricordato come le disposizioni del codice della navigazione così ri chiamate possano trovare applicazione solo in via residuale e nella misura in cui non
siano altrimenti derogate dalle pertinenti norme di diritto internazionale privato applicabili alle fattispecie (ad esempio, in punto legge regolatrice del contratto di lavoro marittimo cfr. cap. 4).
Così, benché la proprietà e i diritti reali parziali o di garanzia sulla nave siano regolati, quale bene mobile registrato, dalla legge della bandiera della stessa (non essendo l’art. 6 cod. nav. derogato in punto dal comma 1 dell’art. 51 della legge n.
218/1995), non vi è dubbio che nel caso in cui l’attribuzione del diritto reale dipenda da un contratto, l’acquisto e la perdita del diritto sarà regolata dalla lex contractus ex art. 51, comma 2, legge n. 218/1995.
In buona sostanza, il ricorso allo strumento della sospensione della nazionalità
italiana a favore di una nazionalità straniera in presenza di una locazione a scafo nudo è un mezzo per consentire di derogare alle norme italiane che comportano costi
di gestione della nave superiori a quelli che possono essere ottenuti gestendo la na-
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Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali
ve sotto bandiere estere, mantenendo però comunque un collegamento con l’ordinamento italiano, in particolare per quanto attiene la tutela della proprietà (art. 29
della legge n. 234/1989).
Ancora più significative sono le modifiche apportate al codice della navigazione
dalla già ricordata legge n. 30/1998, la quale ha istituito il c.d. Registro internazionale (diviso in tre Sezioni) delle navi battenti bandiera italiana, in cui possono essere iscritte:
(i) le navi che appartengono a soggetti italiani o di altri Paesi dell’Unione europea (art. 143, comma 1, lett. a), cod. nav.);
(ii) le navi di nuova costruzione o provenienti da un registro straniero non co munitario, appartenenti a persone fisiche, giuridiche o enti stranieri non comunitari i quali assumano direttamente l’esercizio della nave attraverso una stabile orga nizzazione sul territorio nazionale con gestione demandata a persona fisica o giuridica di nazionalità italiana o di altri Paesi dell’Unione europea, domiciliata nel luogo di iscrizione della nave, che assuma ogni responsabilità per il suo esercizio nei
confronti delle autorità amministrative e dei terzi, con dichiarazione da rendersi
presso l’ufficio di iscrizione della nave, secondo le norme previste per la dichiara zione di armatore (art. 143, comma 1, lett. b), cod. nav.);
(iii) le navi che appartengono a soggetti non comunitari, in regime di sospensio ne da un registro straniero non comunitario, ai sensi del comma 2 dell’art. 145 cod.
nav., a seguito di locazione a scafo nudo a soggetti giuridici italiani o di altri Paesi
dell’Unione europea.
Le navi iscritte nel Registro internazionale godono di un regime particolarmente
favorevole sotto il profilo della composizione dell’equipaggio (con significative deroghe alla riserva di nazionalità; cfr. artt. 2 e 3 della legge n. 30/1998; vedasi infra,
cap. 5 § 4) e beneficiano di un trattamento fiscale e contributivo particolare (artt. 4
e 6). Esse, peraltro, possono essere adibite esclusivamente a traffici commerciali internazionali e non possono effettuare traffici di cabotaggio se non nei limiti previsti
dalla legge. In particolare, in base all’art. 1, comma 5, le navi iscritte nel Registro internazionale non possono effettuare servizi di cabotaggio (art. 224 cod. nav .) salvo
che per le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda e nei limiti di un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, se si osservano i criteri di cui all’art.
2, comma 1, lett. b) e c). Le predette navi possono effettuare servizi di cabotaggio
nel limite massimo di sei viaggi mensili, o viaggi, ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine se osservano i criteri di cui all’art. 2, comma 1, lett. a), e
comma 1-bis.
Salvo quanto espressamente previsto dalle norme in tema di Registro internazionale (in particolare, con riferimento alla disciplina dei rapporti di lavoro nautico relativi a personale extracomunitario), le navi in esso iscritte sono assoggettate alle disposizioni generali, ai regolamenti, alla normativa comunitaria ed alle disposizioni
delle convenzioni internazionali applicabili alle unità iscritte nelle matricole nazionali o che fruiscono del regime di locazione a scafo nudo. In ogni caso, le navi iscritte nel Registro internazionale di cui sub (iii) (e cioè, le navi che conservano la registrazione in uno Stato estero pur in regime di sospensione) restano soggette alla leg-
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ge dello Stato responsabile del registro sottostante (ossia, dello Stato della bandiera
di provenienza) ai fini dell’applicazione dell’art. 6 cod. nav.
2.4. Il procedimento di dismissione della bandiera italiana
Il controllo da parte dello Stato della bandiera non è limitato al momento del l’iscrizione della nave, ma prosegue durante la vita della stessa, intervenendo laddove vengano meno i requisiti necessari per la perdurante iscrizione della nave nelle
matricole o nei registri italiani, con conseguente cancellazione della stessa (artt. 156
e ss. cod. nav.). Scopo di tale controllo è soprattutto quello di garantire che non vengano lesi gli interessi dei creditori del proprietario della nave o degli altri soggetti
che possano vantare diritti sulla stessa.
Il procedimento, peraltro, è regolato diversamente a seconda che la cancellazione della nave dalle matricole italiane venga richiesta per trasferimento ad un registro
non comunitario, ovvero per passaggio ad un registro comunitario.
Nel primo caso, il proprietario che intende ottenere la cancellazione della nave
deve farne dichiarazione all’Ufficio di iscrizione, il quale procede alla pubblicazione
della dichiarazione, invitando gli interessati a far valere entro sessanta giorni i loro
diritti.
Se entro tale termine sono promosse presso l’ufficio di iscrizione formali opposizioni con l’indicazione e quantificazione dei crediti vantati o se risulta l’esistenza di
diritti reali o di garanzia sulla nave, la cancellazione della nave dal registro di iscrizione può essere effettuata solo dopo che l’opposizione sia stata respinta con sen tenza passata in giudicato, o i creditori siano stati soddisfatti o i diritti estinti, ovvero, in mancanza, il proprietario abbia eseguito le provvidenze disposte dall’autorità
marittima o da quella preposta alla navigazione interna per i salari dell’equipaggio e
per le somme dovute all’amministrazione, o dall’autorità giudiziaria, su domanda
della parte più diligente per la salvaguardia degli interessi dei creditori.
La controversia promossa per opporsi alla vendita all’estero, essendo assimilabile all’opposizione di terzo prevista dall’art. 669 cod. nav ., rientra nella competenza
per materia e territorio del tribunale nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del
registro di iscrizione della nave (cfr. Cass. 8 maggio 1998 n. 4715, in Dir. mar., 1999,
p. 780).
In caso di urgenza, su richiesta del proprietario, la nave può essere cancellata prima della scadenza del termine di sessanta giorni, subordinatamente all’assenza o all’avvenuto soddisfacimento od estinzione dei gravami (quali diritti reali o di garanzia) risultanti dalla matricola o dai registri, ed al deposito di fideiussione bancaria a
garanzia di eventuali diritti non trascritti, pari al valore della nave accertato dai competenti organi tecnici dell’Amministrazione dei trasporti e della navigazione.
Una procedura semplificata è, invece, prevista nel caso in cui si intenda cancellare la nave dalle matricole nazionali per iscriverla nel registro di un altro Paese dell’Unione europea (art. 156, comma 9, cod. nav.).
Deve, peraltro, essere sottolineato con particolare enfasi, quale importante effetto del processo di liberalizzazione dei rapporti economici che ha caratterizzato l’ordinamento italiano nel corso dell’ultimo decennio, il fatto che, a seguito delle modi-
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Il diritto marittimo attraverso i casi e le clausole contrattuali
fiche apportate dalla legge n. 30/1998, è venuta meno l’autorizzazione discrezionale da parte del Ministero della Marina Mercantile alla cancellazione della nave dalle
matricole o dai Registri, originariamente prevista dall’art. 156 cod. nav.
3. Il Registro Italiano Navale
I registri di classifica sono sorti per rispondere all’esigenza dei privati interessati
a vario titolo sulla nave (in origine soprattutto gli assicuratori corpo e macchine, i
noleggiatori, etc.) di conoscere quali fossero le effettive condizioni della stessa. Nacquero così i certificati di classe, che attestavano il grado di fiducia che poteva essere
attribuito alla nave a seguito della verifica tecnica effettuata da soggetti terzi (anche
se di solito costituiti con l’intervento di società di assicurazione), specializzati nell’effettuazione di tali indagini. La certificazione di classe accompagna tutta la vita
della nave, attestando – a seguito di visite periodiche ed occasionali – il permanere
di quel complesso di caratteristiche che fondano il maggiore o minore grado di fi ducia attribuito alla nave stessa ed è obbligatoria per alcune categorie di navi (art.
167 cod. nav.).
Accanto a questa attività tradizionale, i registri di classifica possono anche svolgere funzioni loro delegate dalla P.A. in ordine all’attività di controllo tecnico delle
costruzioni e delle navi. Infatti, al fine di tutelare l’interesse pubblico alla sicurezza
della navigazione marittima e alla tutela dell’ambiente marino dagli inquinamenti,
sono state elaborate in ambito internazionale (soprattutto a cura dell’ International
Maritime Organisation) una serie di convenzioni che fissano le caratteristiche tecniche ed i requisiti di sicurezza che devono possedere le navi, con rilascio di appositi
certificati, la cui perdurante validità viene garantita con l’effettuazione di visite periodiche ed occasionali.
La progressiva evoluzione del sistema della sicurezza della navigazione a livello
internazionale ha portato all’adozione da parte della maggioranza degli Stati non solo di convenzioni volte a fissare gli standard tecnici relativi alla costruzione delle navi (Convenzione SOLAS 1974/78 e successivi aggiornamenti e per i profili relativi
alla prevenzione dell’inquinamento marino – su cui vedasi ancheinfra, cap. 7 – Convenzione MARPOL 1973/78 e successivi aggiornamenti), ma anche a stabilire standard uniformi relativi all’addestramento e qualifica professionale dei marittimi
(Convenzione STCW1978/95), nonché ad imporre modelli relativi all’organizzazione delle società armatrici, che sono tenute ad adottare specifici programmi e sistemi
gestionali volti ad assicurare che in tutte le procedure interne e fasi decisionali vengano perseguiti gli obiettivi di sicurezza fissati dalle norme sia per quanto attiene la
gestione della singola nave che della società armatrice nel suo complesso ( International Safety Management Code, divenuto parte del sistema SOLAS nel 1993).
Nell’ordinamento italiano, tra gli enti abilitati all’esercizio di queste complesse
attività di controllo è particolarmente significativo il ruolo del Registro Italiano Navale (art. 166 cod. nav.), che ha natura di ente privato delegato all’esercizio di funzioni pubbliche da parte di alcuni Stati con riguardo alle navi che ne battono la bandiera (cfr. T.A.R. Liguria 12 settembre 2007, in Dir. mar., 2008, p. 1449). In particolare, la direttiva 2009/391/CE, relativa alle disposizioni ed alle norme comuni per gli
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