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Bukovaz_nuovo ok 166x216.ps, page 25 @ Preflight
Antonella Bukovaz
al Limite
prefazione di Alina Marazzi
postfazione di Franco Arminio
con una nota di Moreno Miorelli
Le Lettere
Bisognava forse, per portare il Friuli a un livello di coscienza
che lo rendesse rappresentabile, esserne sufficientemente
staccati, marginali, non essere troppo friulani e, per adoperare con libertà e con un senso di verginità la sua lingua, non
essere troppo parlanti. Il “regresso”, questa essenziale vocazione del dialetto, non doveva compiersi dentro il dialetto: da
un parlante (il poeta) a un parlante presumibilmente più
puro, più felice: assolutamente immediato rispetto allo spirito dell’inventum; ma essere causato da ragioni più complesse, sia all’interno che all’esterno; compiersi da una lingua
(l’italiano) a un’altra lingua (il friulano) divenuta oggetto di
accorata nostalgia, sensuale in origine (in tutta l’estensione e
la profondità dell’attributo) ma coincidente poi con la nostalgia di chi viva – e lo sappia – in una civiltà giunta a una sua
crisi linguistica, al desolato, e violento, «Je ne sais plus parler» rimbaudiano.
Pier Paolo Pasolini
Oggi (just for one day)
si potrebbe giocare a pensare che la lingua
danes (just for one day)
si potrebbe giocare a pensare che la lingua
permetta esplorazioni
che non hanno a che vedere con il pensiero
si materializzi
in un vento che sposta i piani di osservazione
e produca
il gesto che fa sparire l’orizzonte.
Parlo dal bordo e solo mi capisce
chi arretra per dare spazio
alla respirazione della distanza
tra una lingua e l’altra
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componendosi nel suono che resta
mentre infilo il dito nella terra
infilo il dito tra un sasso e l’altro
e parlo da questa compresenza
in cui sempre cerco la parola persa.
Vesti il sudore dei miei pensieri
scivoli in rivoli dalla cupola della mente
gocciolandomi in bocca
ne prendi la forma
come un tempo che segna
e l’aria che occupa.
Parlo dal colmo in me razume samo
chi diserta la linea immaginaria
e gode di suoni incomprensibili.
Parlo dal fondo dov’è l’amaro e inizia la gola
e i suoni slavi compongono il mondo
che appena mi consola.
Ti ho attraversata per tradirti
ti sei leccata i baffi al mio passaggio
potessi avere il ritmo della risacca
saresti lingua di ciottoli
e andremmo mescolate al mare
ma è questo restare... restare... restare...
che mi allontana.
Bisogna l’aurora mi tenga da parte e non mi perda di vista
sarà facile in un coro di poche migliaia
bisogna lei abbia l’aiuto del fiume
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e della giostra di civette
speriamo non si accorga dell’eco breve
di questa lingua sorda fatta a fette.
Zora chiarore d’oriente
schiarisci il corpo sonoro
di questa mia madre dolente
ha l’andatura di popolana altera
madrecustode che risuona
in un profumo di tigli.
Per riconoscere la leggerezza della notte
devo addormentarmi con te in bocca e fare strada
come il primo della centuria dei bulgari.
Lahko noè... lahka naj ti bo noè...
to poznaš? to pot poznaš?
lahko noè... lahka naj ti bo noè...
to poznaš? to pot poznaš?
Nella nenia ininterrotta dei rosari serali
era la preghiera della tua sonorità
un paesaggio di sinfonie germinali
ascoltavo che ero bambina
su una panca dura nell’attesa del canto finale
e addormentarsi era il rituale
che mi dava fioritura.
Mi aggiusto i capelli cento volte al giorno
e mai una mi riesce di aggiustare te
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dentro di me
darti chiaro posto
dove posare gli accenti
rilassare i confini del duale
allungare tutte le declinazioni del caso.
Je oblak ki poèasi potuje
la geografia della tua costruzione
e io che sono da sempre al mondo
ti canto per com’è
un canto assordante
e inudibile è la mia devozione.
Nei miei piedi ritorti
è un canto di versi storti
in cui la verità non è che dimenticanza.
Qui – già l’ho detto – le nuvole viaggiano veloci
nel cielo fermo
il bello è anche rosso
il blu è saggezza
la sposa è colei che non sa
la notte si augura leggera
tutto sottolinea continue intensificazioni.
Quando avevamo le stesse parole
e quando avremo le stesse parole
sono tempi che scorrono paralleli
non permettono che poca consapevolezza
e in ogni caso le parole non si toccano
semplici a sostenersi
e non mancare a se stesse.
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Sono tutte mie care parenti
rubandomi i gesti del corpo
lanciandomi all’aria immobile
partorendomi al tramonto
torcendomi i piedi nel cumulo di consonanti
non sono io a parlarle
sono loro che parlano me
ma preferisco scorrere così
siamo un modo e c’è chi
scorre solo dentro di se.
Lingua sconfinata
io ti sono sentiero!
gradino ai tuoi passi
duna – avanzo rallento e mi fermo
sono nel resto
del moto interiore.
Partenza e idea di ritrovamento
è stato caricato tutto
si attende come sempre il vento e la perdita
come annuncio di nuova scoperta.
È il linguaggio l’unico altrove che mi resta
l’identità t’incatena mentre l’acqua sale alla gola
ma qui sono tutti troppo troppo perbene
per aggrapparsi o farne scialuppa
spargerti come seme.
Se io fossi un cavaliere innamorato e tu la mia donzella
ti rapirei e ti porterei lontano e ti chiederei di cantare
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vorrei sentirti eco
tradotto linguaggio
rimbalzata da altri versanti
da nuovo paesaggio.
Se io fossi un viaggiatore inquieto e tu la mia casa
ti traslocherei ad ogni partenza
vorrei vedere cosa va perso
e cosa pensato perduto ricompare.
Se la sera balliamo
al ritmo della liturgia russa
ti scopro la notte in ampiezza
per trovarti la bellezza addormentata.
Una a una vedo le cose intorno
comparire nella mia trasformazione
rimando riflessi che precedono
l’alba delle mie attese sui rilievi
di un tempo corto mentre mi ricopro
e scrivo versi per pigrizia del corpo.
E infatti tutto sempre attende.
Tutto sempre attende di cambiare ordine di precedenza
secondo l’aderire che sempre si china alla necessità
quando si stende come un tendone da circo e io
a tirar su pilastri come fosse una chiesa.
E dopo giornate e notti di crimini contro la nostra bellezza
smonto e rimonto le mie antenne di ricezione
per continuare a convivere con l’insopportabile istante
di cui inarrestabile il cuore subisce irrequieta seduzione.
Ogni tanto lo sento il vuoto intorno
smette di essere suggestione
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si apparecchia e fa da contorno
diventa traducibile distanza.
Per raggiungere la coda dell’inizio del suono
la dang-va indoeuropea
dovrei concepirti come figlia
mentre rilasci odore d’impotenza
e prevedi il mare
e per ogni suono hai un segno
ma gli specchi restano vuoti
come mancasse il tuo doppio celeste
sarà questa eccessiva vicinanza
che ti nasconde
o l’assenza di luce tra una parola e l’altra
Si moja piham diham
piham si moja
medtem ko èakam da se odpre
diham si moja
medtem ko èakam
da se odpre piham
si moja
ko èakam tvoj veter
diham si moja
medtem ko èakam
èakam si moja
da se odpre
tvoj veter.
Ti ho pensata come chiave
ferma nell’uscio
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schivata come pensiero
strusciata
e con le bave
lubrificata
nell’uscio intero
interno tuo uscio
dove beve
stremato
un istinto
un po’ moscio...
... ecco cos’è affidarsi al canto degli uomini
o di streghette dai piedi ritorti!
Ti giocano addosso senza rispetto
alla fatica di non esserti ancora estinta.
E chi tra i miei ti parla ancora agilmente?
Come fosse tua sonora vendetta
le valli complici sembrano fatte apposta
per accogliere gli incespichi e i tartagli.
Tirano i fili alle tue calze di bisso
infilandole con la loro lingua grezza
scorticano la tua pelle di slava sottile
carezzandoti con zampe di gazza.
Ecco loro
il passo corto
gli ammaestratori di pulci
pensano pensieri
parlano parole
tutto come fosse sempre ieri
e ieri non avesse prole.
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Draga moja danzo al tuo ritmo
senza mai essere a casa
nei campi a cui Šiman risaliva la terra
il bosco soffoca ai meli muschiati
la voce fruttuosa
tesa ad arco la faggeta
l’idea aperta dovrebbe invaderti
scatenarsi così intensamente
trasformarti da bersaglio in freccia
ma incaglio è l’antica nomadezza.
Impasto mederjavka
uova luštrik moko an mlieko
per risentire l’unica voce che mi appartiene.
Voce voce voce
ho bisogno di voce
con la voce
cercata
parlata nella voce.
È stata.
Dove? Tam! Tam!
Dajte mi glas
glas glas
E ora è
tardi
e ora è
domani.
Tam je blo
ali tamle
... al talee
kje?
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Persaripersa
mai avuta
mai posseduta.
Zgubila san se...
Esaurita nei salotti
della battaglia
sul passo
della montagna
vicina
persa di vista
allontanata
è che mai mi hai fatto ballare
nella tua cucina
solo rosari
e odore di fuliggine bagnata.
Il dire come posso
è permesso?
Pusti me!
toglimi le mani di dosso
io non sono come te.
Ljuba
ti sta gocciolando il sangue
sulle scarpe
ljuba
sediamoci un attimo
bianco
ti ripulisce il mio verso
bianco
altrimenti
ho perso.
32
Parlo te
a te ritorno
a ogni passo
compone il suono
tra le macerie un senso.
33
al Limite
Indice
Prefazione di Alina Marazzi, Una donna cammina
.......
5
Storia di una donna che guarda al dissolversi di un paesaggio
Canto per linguesconfinate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
al Limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Camerardente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Objects in the mirror are closer than they appear . . . . . . . .
9
21
Identiqua
35
45
51
Identilà
Identiqua / Identilà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alterata in tuo nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’inseguimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il proiettile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il delitto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
57
61
65
71
75
77
Tra – dire
Dalla fedeltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dal dubbio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
BUM! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La forma esatta del cuore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
85
89
93
95
Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
Postfazione di Franco Arminio, La colatura di alici . . . . . . . 107
Moreno Miorelli, Di là e di qua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
115
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