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lo sviluppo psicologico del bambino nel periodo prenatale
LO SVILUPPO PSICOLOGICO DEL BAMBINO
NEL PERIODO PRENATALE
MARTINA ROFI
Key words: Vita intrauterina Percezione Genitori Psicologia prenatale
La vita psicologica di un individuo ha inizio durante i nove mesi di gravidanza e pertanto l’interesse
per il periodo gestazionale nella letteratura specialistica non è recente. Tuttavia per le fasi della vita
che precedono la nascita solo negli ultimi anni c’è stata una notevole diffusione delle ricerche: la
precocità e compiutezza delle competenze sensoriali e percettive fetali nonché la complessità delle
attività esibite ha portato l’attenzione sull’insieme di esperienze che il bambino vive nell’età
prenatale e su come ciò possa costituire il nucleo fondamentale dell’esperienza psichica ed
emozionale dell’individuo, costituendosi come base per lo sviluppo successivo. Il grande impulso
scientifico è stato sicuramente dovuto all’avvento delle moderne tecniche ad ultrasuoni che hanno
consentito l’osservazione in tempo reale dell’attività spontanea fetale e delle sue reazioni alle più
diverse stimolazioni: attraverso gli apporti multidisciplinari della neuroanatomia comparata, della
psicofisiologia clinica, della psicologia sperimentale, unitamente agli studi di tipo osservativo,
ecografico e neonatale, è possibile, infatti, ricostruire un’immagine abbastanza completa del
bambino e della sua vita psicoemotiva fin dai primordi (Della Vedova, 1999).
Le competenze psicofisiologiche sensoriali
Le competenze psicofisiologiche sensoriali umane, ad esempio, iniziano a formarsi a livello
embrio-fetale (Della Vedova e Imbasciati, 1998): l’ovulo femminile e lo spermatozoo portano dei
segnali di capacità che, dal momento della fecondazione, determinano l’inizio dello sviluppo e della
crescita del bambino e dei suoi organi di senso. La sequenza dello sviluppo degli apparati sensoriali
prevede che il primo sistema a divenire funzionale sia quello della sensibilità cutanea,
successivamente quello vestibolare, uditivo e infine quello visivo.
La sensibilità cutanea rappresenta quindi il primo canale dell’esperienza e della comunicazione
nell’uomo (Tajani e Ianniruberto, 1990): a 8 settimane si manifesta la prima forma di sensibilità
cutanea nella zona del volto; a 10 settimane questa si estende alla zona genitale; a 11 settimane al
palmo della mano; a 12 settimane alla zona plantare; a 17 settimane alla zona addominale e alle
natiche; infine, a 32 settimane tutta la superficie corporea mostra sensibilità cutanea (Chamberlain,
1998).
Per quanto sia difficile determinare quando e in che modo siano attivate inizialmente le competenze
uditive, gli studi neurobiologici più recenti mostrano che la coclea entra in funzione verso la 20ª
settimana di gestazione e il sistema uditivo periferico completa la sua maturazione circa alla 32ª
settimana (Giovanelli et al., 1999). Il sistema uditivo è perciò sicuramente funzionante dall’inizio
del settimo mese di gestazione: studi condotti su feti hanno evidenziato delle risposte a stimolazioni
acustiche a partire dalla 25ª settimana (Birnholz e Benacerraf, 1983) con una stabilizzazione alla 32ª
settimana (Krumholz et al., 1985). Reazioni a stimoli tra i 250 Hz e i 500 Hz, che si manifestano
come alterazioni nella frequenza cardiaca e nell’attività motoria, si registrano già a 16 settimane di
gestazione, mentre a 24 le capacità del sistema uditivo sono quasi del tutto paragonabili a quelle
dell’età adulta. Poche settimane dopo è possibile evidenziare capacità di discriminazione tra stimoli
con diverse caratteristiche sonore e risposte di “habituation” sonora (Shahidullah e Hepper, 1994).
Altre ricerche hanno mostrato che in utero sono percepibili stimoli acustici provenienti sia
dall’interno del corpo materno (battito cardiaco, rumori corporei e voce della madre) sia
dall’ambiente esterno.
A partire dall’ultimo trimestre di gravidanza, il funzionamento e la capacità del sistema uditivo ed i
processi neurali ad esso sottesi, si modificano oltre che per la maturazione biologica anche per il
tipo di stimolazioni acustiche percepite: prove a conferma dell’ipotesi che la maturazione biologica
implichi un apprendimento e una diversificazione individuale già dagli ultimi mesi del periodo
fetale giungono da alcuni studi condotti su feti di 37-38 settimane. Queste ricerche hanno mostrato
che il feto discrimina l’intensità degli stimoli acustici e distingue la voce femminile da quella
maschile (Lecanuet et al., 1993). Una volta nato, in più, il piccolo preferisce una breve storia
ripetutamente letta in gravidanza rispetto ad una nuova (DeCasper et al., 1994). Anche alcuni studi
condotti su nati pretermine di 32-34 settimane mostrano una preferenza per la voce femminile
rispetto alla voce maschile. Da uno studio di Giovanelli et al. (1999) emerge che anche se il sistema
uditivo periferico raggiunge la sua maturazione solo verso la 32ª settimana di età gestazionale,
l’orecchio interno funziona già a partire dalla 20ª settimana e quindi, da quel momento, il feto è in
grado di recepire stimoli acustici sia pure prevalentemente nelle basse frequenze (Spence e
Freeman, 1996). Inoltre, al bambino giungono stimolazioni a struttura ritmica che possono essere
recepite da altri sistemi sensoriali che maturano prima di quello acustico, come quello tattile, il
propriocettivo e il vestibolare. Per tale motivo, si può affermare che la percezione degli stimoli a
struttura ritmica comincia molto precocemente e che probabilmente tale percezione permette di
integrare le informazioni che giungono da diversi sistemi sensoriali. Si può inoltre assumere che i
suoni vascolari placentari, quelli del sistema digestivo e quelli del battito cardiaco della madre,
essendo a bassa frequenza, siano probabilmente avvertiti già prima della 25ª settimana di età
gestazionale e che, come osservato da Gottlieb, il feto non avverta solo il battito cardiaco materno
(a livello acustico e propriocettivo), ma anche il proprio battito cardiaco (anche se solo a livello
propriocettivo). Da ciò si può evincere che la sensibilità alle stimolazioni materne a struttura ritmica
abbia una funzione regolatrice sull’elaborazione delle altre stimolazioni ambientali (Giovanelli et
al., 1999). Diversi studi hanno dimostrato che la funzione uditiva intrauterina è prevalentemente un
sentire di tipo tattile per vibrazione del liquido amniotico: il nascituro risponde attivandosi di più se
stimolato da una voce femminile poiché la voce femminile produce una vibrazione più veloce di
quella maschile.
Per quanto riguarda il sistema visivo alla 7ª settimana si ha già la formazione del nervo ottico e
delle cellule retiniche. Fino alla 26ª settimana le palpebre non si dischiudono, ma il feto sembra
essere in grado di localizzare gli stimoli visivi anche in precedeza e mostra di reagire con
accelerazioni della frequenza cardiaca a fasci di luce proiettati sull’addome materno (Birnholz,
1981). Nei bambini nati prematuri si rilevano potenziali evocati visivi a 30 settimane e abilità visive
alla 31ª settimana; inoltre l’attenzione visiva testata alle 34 settimane non differisce da quella dei
bambini di 40 (Birnholz, 1981).
Gli organi gustativi, invece, sono maturi alla 14 ª settimana e si può vedere come il feto aumenti o
diminuisca l’inghiottimento del liquido amniotico in relazione alla presenza in questo di sostanze
zuccherine o amare. Alla nascita, le preferenze gustative sono già molto nette (Della Vedova,
1999): i recettori, infatti, vengono stimolati dall’aroma delle sostanze presenti nel liquido amniotico
e di conseguenza è possibile evidenziare subito dopo la nascita un riconoscimento degli stimoli
olfattivi sperimentati in utero (Hepper, 1995).
Immerso nel liquido amniotico, il nascituro è dunque continuamente stimolato da suoni, rumori,
luci, voci, odori e gusti provenienti o dalla cavità endouterina o dall’ambiente esterno. Il feto è in
grado di discriminare stimoli tattili, distinguere una voce femminile da una maschile, musiche
diverse, di dare sia risposte cardiache sia motorie differenti, a seconda se percepisce gusti dolci o
salati, o se stimolato con luci intense e deboli; è dunque dotato della capacità di ricevere stimoli ed
entrare in contatto con il mondo. Ma il feto avverte le sensazioni dolorose? Lo sviluppo del sistema
nocicettivo è un punto sul quale dibattono gli studiosi. Per alcuni autori l’esperienza dolorifica è
molto precoce e non deve considerarsi per forza legata allo sviluppo delle corrispondenti aree a
livello neocorticale; altri sostengono il contrario. Quello che è possibile evidenziare è che in seguito
alla somministrazione di stimoli dolorosi il feto dimostra reazioni motorie così intense da sembrare
esagerate. Le vie di trasmissione del dolore si mielizzano attorno alla 30ª settimana, ma,
esaminando il livello di cortisolo e di beta-endorfine in feti sottoposti a trattamenti dolorosi, si sono
accertate alterazioni in questi parametri come accade negli adulti sofferenti. Quindi, per quanto non
sia chiaro se c’è percezione del dolore, certo è che nel feto vi è una reazione agli stimoli non diversa
da quella dei neonati o degli organismi adulti (Chamberlain, 1994). Le vie nervose efferenti sono in
sede dalla sesta settimana e numerosi neurotrasmettitori specifici compaiono dalle 13 settimane.
Queste vie arrivano al talamo alla base del cervello dalla 20a settimana e raggiungono la corteccia
nel periodo 17-26 settimane. Il fatto che le fibre ancora non siano completamente mielinizzate non
impedisce la trasmissione di stimoli. È da notare che nel feto la densità di recettori e di sostanza P
(sostanza mediatrice del dolore) è maggiore che nell'adulto: questo dato ha permesso a taluni di
sostenere che la sensazione dolorosa è addirittura maggiore nel feto che nell'adulto.
Sonno, sogno e movimento
Per quanto concerne l’attività onirica si può affermare che durante l’ultimo trimestre di gravidanza è
possibile registrare un’attività REM anche nel bambino. Un feto trascorre circa il 70-80% della sua
vita intrauterina dormendo, ma sogna? E se sì, cosa potrebbe sognare? Pur potendo dare alcune
risposte (tonalità chiaro/scure, voci, suoni, il rumore del battito cardiaco della madre ecc.), non è
tanto importante saper cosa sogna, quanto che c’è attività di sonno con sogno, un’attività
neuropsicologica raffinata, una continua crescita encefalica non solo per lo sviluppo fisiologico, ma
anche grazie alle stimolazioni che riceve e che determineranno la sua esperienza (Righetti, 2003).
Non meno importante delle altre esperienze, il muoversi rappresenta per il bambino nel periodo
prenatale un modo di essere psichicamente attivo sull’ambiente circostante. I movimenti embriofetali hanno sempre interessato la clinica e la medicina pre e peri-natale come indici fondamentali
del benessere del nascituro (Milani Comparetti, 1981). Il movimento del feto è presente da subito
(zig-zag, balzelli, disegni concentrici ecc.): già a 6 settimane è possibile vedere le prime forme di
attività motoria: movimenti di allungamento, rotazione del capo, delle braccia e delle gambe; a dieci
settimane le mani vengono portate al capo, al viso e alla bocca che presenta già movimenti di
apertura, chiusura e inghiottimento; a 15 settimane si evidenziano anche movimenti della mandibola
e movimenti coordinati con gli arti dove le mani sono portate a interagire con le altre parti del corpo
e con il cordone ombelicale (De Vries et al., 1985). A partire quindi dalle fasi più precoci di
gestazione si registrano movimenti generalizzati e parziali, singhiozzi, moti di deglutizione e
respirazione che diventano evidenti a partire dalla 12ª e 13ª settimana (Mancia, 2006). La madre
generalmente inizia a percepire il movimento tra il III e il IV mese e attraverso di esso il nascituro
può comunicare il suo disagio, la sua disapprovazione, la sua partecipazione. L’attività motoria si
manifesta inizialmente in forma spontanea come fenomeno endogeno, a carattere psichico, ma
rappresenta anche l’espressione di caratteristiche soggettive del feto. Dopo le 10-15 settimane la
variazioni dell’attività motoria fetale evidenziano una forma di reazione a stimolazioni provenienti
dal mondo esterno o dal corpo materno. Solo successivamente il bambino inizierà ad esplorare
attivamente l’ambiente uterino (De Vries et al., 1985). All’aumentare dell’età gestazionale
aumentano e si differenziano i pattern motori. Da movimenti vermicolari detti startle, si passa a
movimenti sempre più complessi, raffinati e maturi da parte degli arti fino ad arrivare ad una
coordinazione completa nei movimenti degli arti superiori e inferiori (Tajani e Ianniruberto, 1983).
Circa verso la 20ª settimana il movimento del feto da involontario diventa volontario (Righetti e
Sette, 2000). Attorno al 1970-1980 in ambito psicologico e neuropsichiatrico iniziò ad emergere la
convinzione che il movimento possa essere interpretato come competenza psicologica: con la
creatività motoria il feto aggiunge qualcosa di proprio alla risposta motoria e questo determinerà
successivamente la personalità e le differenze individuali (Milani Comparetti, 1985). Come ho già
precedentemente affermato da movimenti iniziali che assomigliano a semplici riflessi si vengono a
formare dei pattern organizzati di movimenti che assumono significato di volontarietà: il feto
emette un movimento in risposta a una stimolazione esterna. L’alta organizzazione e completezza
dei pattern motori permette di ipotizzare che il feto reagisca elaborando scrupolosamente le sue
risposte motorie; siamo quindi di fronte ad un essere molto organizzato e capace di elaborazioni
raffinate (Righetti, 2003). Milani Comparetti (1985) giunge alla conclusione che nessun pattern
motorio neonatale ha origine alla nascita, ma prima, durante la gestazione: il feto infatti è dotato del
completo repertorio di movimenti che si osserva nel neonato. Circa alla 30ª settimana i movimenti
diminuiscono e si hanno periodi di quiete e un aumento dell’inibizione motoria esercitata dal tronco
cerebrale. Anche i movimenti respiratori diminuiscono; alla diminuzione di questi movimenti
corrisponde un aumento dei movimenti oculari (Mancia, 2006). L’attività motoria fetale e la sua
alternanza con i periodi di riposo dipende dalla relazione con la madre. Si può registrare la tendenza
a muoversi di più di notte che di giorno per effetto della bassa quantità di cortisolo. Anche la
personalità e il comportamento della madre hanno la loro influenza; i figli di madri ansiose, per
esempio, possono generare pochi movimenti (Galardi e Aristarchi, 2001).
I processi cognitivi e la comunicazione madre-bambino
Come abbiamo visto, il bambino in gravidanza si modifica, apprende e fa esperienza. Possiamo
sostenere che i processi dell’apprendere e del memorizzare inizino durante il periodo prenatale e
che nell’ontogenesi risultino privilegiati gli apprendimenti degli stimoli a struttura ritmica sia
perché questi sono caratteristici del battito cardiaco di cui il feto ha una precoce e prolungata
esperienza sia perché mediati da substrati lateralizzati a destra che sono i primi a svilupparsi
(Leppanen et al., 1994). Le ipotesi riguardo alle prime forme dei processi cognitivi individuabili a
livello prenatale sono derivate in maniera molto massiccia dagli studi sulla percezione uditiva
fetale. Ho sottolineato precedentemente che la capacità di discriminazione tra suoni diversi è già
presente a 27 settimane (Shahidullah e Hepper, 1994). Nello stesso periodo compare la risposta di
“habituation”, cioè un progressivo decremento della risposta fetale a stimoli sonori identici
presentati ripetutamente in un certo intervallo di tempo. Gli studiosi sono d’accordo nel ritenere che
in questo fenomeno si possa riconoscere la primordiale forma di plasticità comportamentale e
dunque di apprendimento (Madison et al., 1986). Dalla lettura emergono numerosi studi rivolti alle
capacità di apprendimento fetale e alla familiarizzazione del bambino con determinati stimoli
caratteristici dell’esperienza uterina. Ogni esperienza della vita intrauterina rappresenta perciò una
fetta di esperienza che il feto memorizza. Tutto questo viene organizzato e costituirà il bagaglio
esperienziale del feto.
La gestazione è il primo passo di esperienza umana, un periodo fondamentale per lo sviluppo
biologico, fisico, fisiologico, ma soprattutto per la nascita e lo sviluppo della vita psichica. È
un’epoca psicologica, un insieme di stimolazioni che verranno conservate per tutta la vita.
Alcuni esperimenti dimostrano l’esistenza di rapporti comunicativi materno/fetali che si
mantengono anche dopo la nascita e che fanno ipotizzare un certo inizio di vita psichica a livello
prenatale. Winnicott fu il primo a rilevare come la comunicazione che si instaura tra la madre e il
feto è determinante per l’importantissima relazione di attaccamento e per il successivo sviluppo
psichico del bambino (Della Vedova, 2005). Quando si parla di comunicazione gestante-feto non
dobbiamo dimenticare che, oltre ad avere un legame speciale con il bambino, la madre rappresenta
il medium di tutti gli elementi dell’ambiente fisico e psicologico che circonda la diade. Alcuni studi
hanno verificato che il feto è influenzato da intensi turbamenti degli stati emotivi materni e
manifesta questo restando per alcune ore successive all’evento disturbante in uno stato di agitazione
motoria; se la situazione di stress materno persiste, l’eccitazione motoria fetale diventa un tratto
stabile riflettendosi nel basso peso alla nascita. A livello ambientale il ruolo maggiormente
patogeno verso il benessere del feto sembra sia assunto dalla presenza di elementi stressanti che
portino una minaccia per la stabilità emotiva della madre (Stott, 1973). L’atteggiamento della
gestante verso la gravidanza è risultato essere in relazione con le caratteristiche di personalità del
bambino. Uno studio longitudinale svolto su 163 donne in gravidanza e, successivamente, sui loro
bambini, ha rilevato che la non accettazione della gravidanza da parte della madre correla con un
comportamento deviante nei bambini. Anche l’atteggiamento paterno non accettante è risultato
interferire nel vissuto materno rispetto al feto e alla gravidanza (Carey-Smith, 1984).
Per definire il particolare legame che i genitori sviluppano verso il bambino durante la gravidanza è
stato coniato nel 1981 dalla Cranley il costrutto di “attaccamento prenatale”, cioè il formarsi, da
parte dei genitori, dell’immagine mentale del feto lungo il corso della gravidanza. La letteratura
scientifica sottolinea come la qualità dell’attaccamento prenatale possa influire sulle relazioni
successive tra genitori e bambino e sul tipo di attaccamento che il bambino svilupperà: poiché
questi elementi sono correlati allo sviluppo psichico e somatico del bambino l’importanza di poter
migliorare la qualità dell’attaccamento prenatale risulta essere sempre più rilevante. Ancora più
sorprendenti sono i risultati ottenuti da programmi di stimolazione fetale e comunicazione tra
genitori e nascituro (bonding). L’idea di base è che incentivare le esperienze sensoriali promuova lo
sviluppo somatopsichico del bambino. Il feto è in grado di dimostrare una precisa attenzione e
responsività nei giochi tattili con i genitori, per esempio rispondendo con un pari numero di calcetti
ad un certo numero di piccoli colpi delle dita sull’addome materno oppure seguendo con i suoi arti
il percorso del dito del genitore sull’addome materno. Questa presa di contatto prenatale costituisce
la premessa per il legame postnatale tra madre e bambino. È inoltre stato dimostrato statisticamente
il suo effetto favorevole per la salute della madre e del bambino. Osservazioni hanno dimostrato che
nella madre questo contatto prenatale determina una distensione e un rilassamento della cartilagine
dell’osso pubico e delle articolazioni dell’osso sacro e dell’osso del bacino, utili al momento del
parto (Lunetta, 1998).
Conclusioni
La psicologia prenatale e perinatale, riconoscendo al nascituro le capacità di ricevere, elaborare e
rispondere a stimolazioni intra ed extrauterine anche a contenuto emotivo, colloca dunque l’inizio
della vita psichica allo stadio prenatale (Righetti e Sette, 2000). Tale disciplina ha evidenziato come
i vissuti legati al periodo trascorso nell’utero materno rappresentino le fondamenta su cui si
costruiscono le fasi di sviluppo successive. Alla base di questa osservazione è presente l’ipotesi
secondo cui, nel corso dei nove mesi di gestazione, il bambino riceve i primi condizionamenti e
subisce i primi traumi. La ricerca clinica ha dimostrato che l’essere umano conserva il ricordo
remoto degli eventi significativi avvenuti durante la sua vita prenatale nel corso della quale sarebbe
in grado di sperimentare specifici stati emotivi (Chamberlain, 1996). Attualmente stanno
riscuotendo un notevole impulso le indagini sperimentali relative alle competenze del nascituro,
grazie anche alla possibilità di utilizzare strumenti sempre più raffinati. La globalità dei risultati
permette di rilevare come siano attive le sue abilità di adattamento per reagire ai cambiamenti che
avvengono nel suo ambiente di vita e come le sue competenze lo rendano capace di stabilire
interazioni con il mondo interno ed esterno all’utero materno. I risultati permettono inoltre di
affermare l’esistenza di una continuità tra le fasi di sviluppo prenatale e quelle successive alla
nascita e di asserire che il feto è in grado di interagire con l’ambiente esterno ed interno e che il suo
sviluppo cerebrale, motorio, corporeo e psicologico viene inevitabilmente influenzato dalle
stimolazioni che riceve nel contesto di crescita. Egli partecipa a tutte le esperienze vissute dalla
madre e riceve da lei, attraverso la placenta, le informazioni di natura metabolica, endocrina,
emotiva e psichica (Soldera e Beghi, 2005). Si può quindi affermare che il feto è protagonista di se
stesso, seleziona gli input che lo interessano, offre come risultato una precisa personalità
evidenziabile fin dalle prime ore di vita. La vita umana non è dunque una tabula rasa che si riempie
e si modella solo a cominciare dalla nascita. Questo modellamento avviene prima, nella vita
intrauterina ed è sicuramente il risultato di più fattori che interagiscono, ma un ruolo fondamentale è
svolto dal feto stesso. Il piccolo nasce quindi già provvisto di un bagaglio esperienziale e pronto ad
iniziare la sua esplorazione.
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