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Mattang lucente brilla a Torino
38 Cultura LIBERTÀ Domenica 31 gennaio 2016 A fianco, il Museo dell’Astronomia e dello Spazio e a destra, l’artista sperimentale Ugo Locatelli L’EVENTO TORINESE Una metafora dell’esplorazione La missione Gaia Mattang lucente brilla a Torino L’opera di Locatelli da piazza Castello al Museo dell’Astronomia di PATRIZIA SOFFIENTINI e l’universo è retto da una trama che gli antichi volevano magica e i contemporanei vogliono scientifica, se è attraversato da corrispondenze segrete tra fenomeni naturali per cui una cellula dell’organismo può influenzarne un’altra pur lontanissima, se tutto si tiene e le somiglianze stesse sono frammenti di rivelazione all’occhio che le sa cogliere, inseguire le tracce di queste relazioni resta la più straordinaria delle esplorazioni. E tra i pervicaci, ispirati “detective” delle connessioni che reggono il tessuto del reale, caricato poi di molta sapienza culturale, c’è Ugo Locatelli. L’artista è stato ed è protagonista a Torino con il lavoro Mattang lucente, un monolito prima esposto nella centrale Piazza Castello nel corso della mostra “Luci d’Artista” (ha illuminato la città con ventiquattro installazioni d’autore) e che, dai prossimi giorni, sarà stabilmente accolto nel Museo dell’Astronomia e dello Spazio accanto ai pannelli dedicati al Big Bang e ad Einsetein e dove verrà presentato martedì 2 febbraio (ore 11) dall’autore. Cosa è un “mattang”? Per gli isolani delle isole Marshall, nel Pacifico, le esplorazioni via mare esigevano di memorizzare i luoghi scoperti per poterli raggiungere nuovamente, i mattang fatti con bambù o costole delle palme, aperti a sempre nuove aggiunte, consentivano di tracciare una mappatura delle principali correnti marine e l’ubicazione delle isole, oltre ad essere suscettibili di adattamenti nati da rilevazioni altrui. Locatelli si è ispirato a un originale mattang conservato al British Museum e ne ha realizzato uno proprio. Montato su un monolito in alluminio e plexiglass, è retroilluminato con led temporizzati a intensità graduale, la progettazione luminosa dell’opera è stata affidata al designer delle luci Davide Grop- S pi, la curatela scientifica all’astrofisica Maria Teresa Crosta. Locatelli si è sempre occupato di relazioni tra visibile e invisibile, l’installazione torinese esprime questa tensione usando un antico attrezzo, povero e mini- male, che nell’anno internazionale della luce è diventato metafora della missione europea Gaia lanciata nel 2013, ovvero la mappatura della galassia attraverso la luce stellare, il satellite Gaia compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle, una nuova cartografia celeste. Mattang Lucente raccoglie e fertilizza in senso filosofico l’inesauribile aspirazione diffusa in ogni epoca e in ogni gruppo umano di penetrare il mondo, di illuminarne le aree oscure e di tracciare percorsi salvifici, in quanto portatori di conoscenza, costruiti attraverso la scintilla intuitiva, l’emozione del profondo, la conoscenza già acquisita, la potenza dello sguardo. La collocazione di Mattang lucente in piazza Castello, durante la mostra Luci d’Artista che si è conclusa nella prima decade di gennaio. A fianco il Mattang visto frontalmente Quel magico tessuto di relazioni fra scienza, filosofia e intuizione ■ “Luci d’Artista” di Torino, arrivata nel 2015 alla diciottesima edizione (novembre 2015 gennaio 2016), è un esempio da seguire. All’inaugurazione un movimento sinuoso di ballerini ha acceso, via via, le luci disposte in tanti luoghi della città e fra queste il monolito ideato da Ugo Locatelli (cm 110x178): il tramonto vedeva accendersi l’illuminazione a led di Mattang lucente destinata ad aumentare lentamente in relazione al buio sempre più profondo. Al museo dell’Astronomia l’opera apparirà in ombra e si illuminerà solo al passaggio dei visitatori tramite un ‘sensore di prossimità’ e du- rante le future rassegne di “Luci d’Artista” verrà esposta sul terrazzo esterno del museo, quale richiamo della circuitazione artistica di cui il Mattang Lucente fa parte. Mattang Lucente è il simbolo perfetto del tipo di lavoro condotto da Locatelli negli anni, crocevia di relazioni tra pensiero e immagine. Rappresenta per eccellenza l’opera ipertestuale germinata dal tronco metodologico del progetto Areale e appare per la prima volta in una iniziativa milanese nel marzo 2013 alla Galleria 10.2! nell’ambito del Photofestival. Il recente volume del grecista Giulio Guidorizzi La trama segreta del mondo (Il Mulino) nel trattare la magia nell’antichità identifica il fatto che «ogni azione magica ha alla sua base un’idea: che tutto, microcosmo macrocosmo, visibile e invisibile, è connesso fittamente come un grande tessuto. Per il pensiero magico l’universo e le forze che lo governano formano un solo organismo che avvolge l’uomo in un cerchio di energie». «Chi è capace di agire su una cellula di questo organismo, può influenzarne un’altra, remota, come chi getta una pietra in un lago vede le onde allontanarsi circolarmente dal punto di caduta e rag- giungere punti lontani». Lo spirito magico è in grado di avvicinare ciò che è distante, conciliare ciò che, in apparenza, diverge. Bisogna però attivare una forma di mentalità, avverte Guidorizzi, che non si fonda su una logica consequenziale di causa ed effetto, il pensiero magico pensa in termini di simpatie e di corrispondenze. Questa dimensione intuitiva, emotiva entra nel linguaggio colto e raffinato di Locatelli che cerca il conforto di analisi epistemologiche, scientifiche, letterarie, senza mai inibizioni o pregiudizi sulla provenienza delle risposte che ottiene. ps ■ L’installazione Mattang lucente - La rete celeste di Gaia ideata da Ugo Locatelli, intreccia arte, filosofia e scienza. L’installazione è una metafora della navigazione esplorativa e richiama il concetto della mappatura in corso nella nostra galassia attraverso la luce stellare, ciò grazie alla rivoluzionaria missione europea del satellite Gaia, lanciata dall’Agenzia Spaziale Europea nel 2013 e di cui Torino ha una titolarità. Inoltre Il 2015 è stato l’anno internazionale della luce e il centenario della teoria della relatività generale di Einstein, entrambi aspetti caratterizzanti la missione. Tutto si tiene. L’estetica Areale di Locatelli non ha a che fare con un altro mondo, scrivono i critici, ma con la profondità del mondo interno ed esterno in cui viviamo. E’ un metodo che può generare più interpretazioni e livelli nella ri-cognizione della realtà. Gaia vede protagoniste ben otto sedi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), che ha “adottato il mattang . L’interesse rivolto ai mattang da parte del mondo scientifico nasce proprio dalla loro capacità simbolica di mostrare la semplicità formale della griglia facendo però intuire la complessità e dinamicità delle reti generali. In controtendenza con l’attuale tecnologia pervasiva e dirompente, la natura minimale e allo stesso tempo densa di queste mappe dei navigatori polinesiani rivela “una tecnologia povera e insieme straordinaria” (Arne Naess, filosofo norvegese dell’ecologia profonda, 1973). Costruire mappe mutevoli di bambu o di luce per orientarsi nello spazio-tempo a partire dalla propria ‘isola’, esplorare l’esistente, navigare verso l’ignoto e nuove terre, gettare un ponte tra noi e l’universo, estrarre delle prospettive di senso dai modelli mentali della realtà, non sono processi conoscitivi fini a se stessi, ma esigenze di carattere vitale connaturate da sempre nell’essere umano e, in quanto tali, proprie sia al mondo scientifico sia a quello artistico. Una curiosità. Interessante è la scelta della prima collocazione pubblica in esterno del Mattang lucente, nel corso della mostra torinese “Luci d’Artista”. Non è stata una scelta casuale, dato che sul tetto di Palazzo Madama, da sempre cuore storico della città, era collocato il primo osservatorio astronomico torinese. L’origine di quest’ultimo risale al 1759, quando il re Vittorio Amedeo III di Savoia diede a Giovanni Battista Beccaria l’incarico di determinare l’arco di meridiano locale. Gli strumenti astronomici usati per queste misure diventarono il primo nucleo dell’Osservatorio, che a quel tempo era situato appunto in piazza Castello. QUELLE ESPRESSIONI POLITICO-MUSICALI di STEFANO PARETI apita di frequente nel mondo dell’arte o dello spettacolo che si ricorra a citazioni di poesie più o meno celebri, ma comunque appartenenti ad una cultura alta. Tutti ricordiamo “Quattro matrimoni e un funerale” con la riscoperta di W.H. Auden; o i versi di Walt Whitman “O capitano! Mio Capitano!” ne “L’attimo fuggente”, eccetera. Più raro è che la citazione colta venga inserita nel discorso istituzionale di un capo di stato o di un leader politico. Più raro ancora che in questo ambito si ricorra addirittura alle parole di una canzone popolare, una canzonetta. Simili casi costituiscono sicuramente una eccezione, dato che il genere non è ritenuto sdoganabile in un contesto ufficiale e i puristi arriccerebbero il naso. C A volte non sono solo canzonette: pensate a Obama L’ECCEZIONE DI OBAMA Non ha avuto simili preoccupazioni Barack Obama quando, il 20 gennaio 2009, nel suo discorso di insediamento quale presidente degli Stati Uniti ha fatto propri alcuni versi di una famosa canzone americana, tratta da un film del 1936, una commedia musicale interpretata da Fred Astaire e Ginger Rogers. Il film si intitola “Swing Time”, che nella edizione italiana divenne “Follie d’inverno”. La canzone è “Pick Yourself Up” (“Rialzati!”) con musica di Jerome Kern e parole di Dorothy Fields. Da notare che un’altra canzone di quel film meritò l’Oscar in quello stesso anno, quale miglior canzone originale, “The Way You Look Tonight”, uno standard che i grandi della musica Barack Obama durante il suo discorso di insediamento alla Casa Bianca jazz eseguono in tutto il mondo. Nella canzone utilizzata da Obama si dice: “Pick yoursel up; dust yourself off; start all over again”. Tradotto significa:” Rialzati!; togliti la polvere di dosso; ricomincia tutto da capo”. Il neo-presidente in quel suo primo incontro istituzionale con il popolo americano non ebbe timore di parafrasarne il testo, trasformandolo in un messaggio di incitamento per il suo paese. E così nella sua allocuzione disse: “Starting today, we must pick ourselves up; dust ourselves off, and begin again the work of remaking America”, che in italiano recita: “ A partire da oggi dobbiamo rialzarci, toglierci di dosso la polvere, e ricominciare il lavoro di ricostruzione dell’America”. La sua fu un’espressione politico-musicale che in effetti ben si prestava alla situazione degli Stati Uniti, nel 2009 alle prese con una situazione economica e finanziaria deprimente e paragonabile alla grande crisi del 1929. E dalla quale stanno faticosamente emergendo come del resto succede in Europa. L’invito di Obama era un appello a reagire, a non lasciarsi travolgere dal tracollo dei mer- cati e dalla disoccupazione: «C’è chi ha perso la casa. Sono stati cancellati posti di lavoro. Imprese sono sparite. Le nostre scuole perdono troppi giovani», questa la situazione di quell’America. Nelle parole della canzone erano in gioco i sentimenti; in quelle di Obama la sorte di una Nazione. A VOLTE NON SONO SOLO CANZONETTE E’ sorprendente che l’uomo più importante del pianeta sia ricorso alle parole di una canzonetta per lanciare un messaggio di speranza a un intero paese. Ed è vero che qualche volta anche la musica popolare può andare oltre parole destinate al consumo immediato, arrivando al contrario ad esprimere il sentire profondo di una grande potenza mondiale.