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Diapositiva 1
VOCI E FIGURE
DI DONNA
NELLA POESIA DEL NOVECENTO
Guido Gozzano nasce a Torino nel 1883. Nel 1903 consegue la licenza
liceale e si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma non giungerà mai a
laurearsi. Nel 1904 compone La via del rifugio. La raccolta esce nel 1907 e
ha un buon successo. Nello stesso anno si ammala di tubercolosi. Nel
periodo della malattia compone i Colloqui, che vengono editi nel 1911. Un
anno dopo, su consiglio dei medici, fa un viaggio in India e scrive le Lettere
dall’India, pubblicate su “La Stampa”. Nel periodo della prima guerra
mondiale Guido scrive alcune poesie in merito, anche se mediocri e
generiche. Muore nel 1916 a Torino.
AD UN’ IGNOTA
Tutto ignoro di te: nome, cognome,
l’occhio, il sorriso, la parola, il gesto;
e sapere non voglio, e non ho chiesto
il color nemmen delle tue chiome.
Ma so che vivi nel silenzio; come
care ti sono le mie rime: questo
ti fa sorella nel mio sogno mesto ,
o amica senza volto e senza nome.
Fuori del sogno fatto di rimpianto
forse non mai, non mai ci incontreremo,
forse non ti vedrò, non mi vedrai.
Ma più di quella che ci siede accanto
cara è l’amica che non mai vedremo;
supremo è il bene che non giunge mai.
Umberto Saba (Trieste 1883-Gorizia 1957). La sua poesia aderisce agli aspetti
più umili della realtà autobiografica nella cornice familiare di Trieste; il suo stile è
semplice e raffinato. Le sue liriche sono riunite nel Canzoniere (1921-1948;
1951-1961), nei volumi Mediterranee (1947) e Uccelli - Quasi un racconto
(1951), le prose in Scorciatoie e raccontini (1946). Di grande utilità per la
comprensione di Saba è Storia e cronistoria del Canzoniere (1948). Postumo è
uscito il romanzo Ernesto (1975).
A MIA FIGLIA
Mio tenero germoglio,
che non amo perché sulla mia pianta
sei rifiorita, ma perché sei tanto
debole e amore ti ha concesso a me;
o mia figliola, tu non sei dei sogni
miei la speranza; e non più che per ogni
altro germoglio è il mio amore per te.
La mia vita, mia cara
bambina, è l’erta solitaria, l’erta chiusa
dal muricciolo,
dove al tramonto solo
siedo, a celati miei pensieri in vista.
Se tu non vivi a quei pensieri in cima,
pur nel tuo mondo li fai divagare;
e mi piace da presso riguardare
la tua conquista.
Ti conquisti la casa a poco a poco,
e il cuore della tua selvaggia mamma.
Come la vedi, di gioia s’infiamma
la tua guancia ed a lei corri dal gioco.
Ti accoglie in grembo un sì bella e pia
Mamma, e ti gode. E il vecchio amore oblia.
FEDRA
Soffia una bora omicida. Domani
cadrà la neve, imbiancherà le strade
che salivano amiche alla tua casa
in cima al colle, lontana. Tra i verdi
pini l’immensa vallata ripete
in foglie innumerevoli il colore
che amavi sempre ai tuoi capelli.
Fedra
Eri; ancor sei.
Più preziosa adesso
Che si accende alla stufa il primo fuoco
in rare case; la stagione è un poco
nostra, nostro il paesaggio; il pensiero
irraggia un ultimo vero; s’illude
che il peggio - forse - è passato.
Dino Campana (1885-1932): Dino nacque il 20 agosto a Marradi, un
fazzoletto di terra in provincia di Firenze, al confine con la Romagna. Il diritto
di persona gli fu negato ben presto dall’incomprensione familiare,
dall’educazione repressiva del collegio, da un vizio di poeta che non si adatta
alle regole del mondo. Come poeta fu riconosciuto dopo l’internamento
definitivo in manicomio, dopo la morte. La poesia si svolge in un "eterno
presente", incapace di storicizzare la vita interiore, il Poeta, dal primo all’ultimo
verso, rivela un’eguale grandezza e tensione
DONNA GENOVESE
Tu mi portasti un po’ d’alga marina
Nei tuoi capelli, ed un odor di vento,
Che è corso di lontano e giunge grave
D’ardore, era nel tuo corpo bronzino:
-Oh la divina
Semplicità delle tue forme snelleNon amore non spasimo, un fantasma,
Un ombra nella necessità che vaga
Serena e ineluttabile per l’anima
E la discioglie in gioia, in incanto serena
Perché per l’infinito lo scirocco
Se la possa portare.
Come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani!
IN UN MOMENTO
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
p.s. E così dimenticammo le rose.
Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori
italiani. Vive un po’ di tempo a Parigi e poi partecipa alla guerra del 1915-18 come
soldato semplice di fanteria. La vita di trincea, lo strazio per le creature morte e il
senso della fraternità umana rappresentano per lui un’esperienza decisiva e gli
permettono di scoprire le sue doti di uomo e scrittore.
Morirà a Milano nella notte tra l’1 e il 2 giugno del 1970.
LA MADRE
E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.
Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) è stato uno dei protagonisti
del novecento europeo. Montale si formò e visse le prime esperienze letterarie
a Genova. Nel 1925 esce la sua prima raccolta di poesie: Ossi di Seppia. In
seguito furono pubblicate Le occasioni (1939) dove trattò il tema
dell’antifascismo e della guerra, La bufera (1956) in cui Montale fa i conti con la
tragedia bellica, Satura (1971) e altre opere. Nominato senatore a vita nel
1967, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1975.
REBECCA
Ogni giorno di più mi scopro difettivo:
manca il totale.
Gli addendi sono a posto, ineccepibili,
ma la somma?
Rebecca abbeverava i suoi cammelli
E anche se stessa.
Io attendo alla penna e alla gamella
Per me e per altri.
Rebecca era assetata, io famelico,
ma non saremo assolti.
Non c’era molt’acqua nell’uadi, forse qualche pozzanghera,
e nella mia cucina poca legna da ardere.
Eppure abbiamo tentato per noi, per tutti, nel fumo,
nel fango con qualche vivente bipede o anche quadrupede.
O mansueta Rebecca che non ho mai incontrata!
Appena una manciata di secoli ci dividono,
un batter d’occhio per chi comprende la tua lezione.
Solo il divino è totale nel sorso e nella briciola.
Solo la morte lo vince se chiede l’intera porzione.
POESIE PER MOSCA
Ascoltare era il solo tuo modo di vivere.
Il conto del telefono s'è ridotto a ben poco.
***
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, del tuo
radar di pipistrello.
Lalla Romano nacque a Demonte ,in provincia di Cuneo nel 1906, si era
laureata in letteratura romanza nel 1928 a Torino, dove come pittrice fu allieva
di Casorati, insegnò e frequentò la Torino gobettiana , per trasferirsi poi a
Milano. Si è espressa dapprima in poesia, incoraggiata da Eugenio Montale,
per poi passare alla narrativa. Riservata, poco presenzialista, quasi schiva, la
Romano fu dapprima conosciuta in un ambito ristretto di estimatori, amata e
letta da una cerchia di ammiratori. E’ morta Martedì 26 Giugno 2001, all’ età di
95 anni ,a Milano, dove viveva.
IO NON TI CHIAMERO’ PIU’…
Io non ti chiamero’ piu’: vita,
ma ti daro’ un nome piu’ dolce.
Se il silenzio è più intenso
non solo d’ ogni rumore,
ma ogni più alta musica;
e la quiete è più vasta
non solo delle tempeste,
ma del respiro delle maree
e dello stesso ritmo dei mondi;
allora quel nome
comprende assai più della vita.
Cesare Pavese, scrittore e poeta italiano (Santo Stefano Belbo, Cuneo 1908 Torino 1950). Scrisse poesie, romanzi e saggi come: Lavorare stanca (1936),
Paesi tuoi (1941), Feria d'agosto (1946), Il compagno (1947), Dialoghi con Leucò
(1947), Prima che il gallo canti (1949), La bella estate (1949), La luna e i falò
(1950), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951), Il mestiere di vivere. (1952).
L'opera di P., anche dove più tende alla forma oggettiva del romanzo, è sempre
legata alla sua vita intima. Mentre i primi racconti, anche per suggestione della
narrativa americana, sono segnati da un realismo a volte crudo, la tendenza più
profonda, chiaritasi nei libri della maturità, portò lo scrittore a interpretare la realtà
secondo significati simbolici.
HAI UN SANGUE, UN RESPIRO
Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somiglianoil tuo riso e il tuo passo
come acque che ti sussultanola tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolteil tuo tenero corpo una zolla del sole.
Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai gli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza.Come
erba viva nell’aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.
DUE
Uomo e donna si guardano supini sul letto:
i due corpi si siedono grandi e spossati
l’uomo è immobile , solo la donna respira più a lungo
e ne palpita il molle costato. Le gambe distese
sono scarne e nodose, nell’uomo. Il bisbigli
della strada coperta di sole è alle imposte.
l’aria pesa impalpabile nella grave penombra
e raggela le gocciole di vivo sudore
sulle labbra. Gli sguardi delle teste accostate
sono uguali ,ma più non ritrovano i corpi
come prima abbracciati. Si sfiorano appena.
Muove un poco le labbra la donna ,che tace.
Il respiro che gonfia il costato si ferma
A uno sguardo più lungo dell’uomo. La donna
volge il viso accostandogli la bocca alla bocca.
Ma lo sguardo dell’uomo non muta nell’ombra.
Gravi e immobili pesano gli occhi
al tepore dell’alito che ravviva il sudore,
desolati. La donna non muove il suo corpo
molle e vivo. La bocca dell’uomo s’accosta.
Ma l’immobile sguardo non muta nell’ombra.
Alfonso Gatto è nato a Salerno nel 1909. Nel 1938 fondò a Firenze con
Vasco Pratolini la rivista "Campo di Marte" che diventò la voce del più
avanzato ermetismo. Oltre che poeta fu anche scrittore e, in particolare,
scrisse testi per l'infanzia. Negli ultimi anni della vita si dedicò alla critica
d'arte. Morì a Orbetello (Grosseto) nel 1976, in un incidente stradale.
FORSE MI LASCERÀ DEL TUO BEL VOLTO
Forse mi lascerà del tuo bel volto
amore un soffio e la celeste sera
disparirà come un silenzio intorno.
Era la neve dolce del tuo passo
e la città dai poveri cantieri
spegneva al cielo umido l'azzurro
riverbero dei muri. Mi parlavi
sciolta dal busto come una fanciulla
e lontana da te, quasi in un sogno,
io ti vedevo scendere nel dolce
sentiero della sera, aprire l'ombra.
Una parola basta sul tuo cuore,
e nessuno di te saprà mai dire
il silenzio che imbianca del tuo soffio.
Solo la notte, di cui passa eguale
la luna nei miei sogni e ferma al cielo
gli alberi, i colli e sui cipressi il vento.
Nel suo tiepido oblio che l'oriente
strugge di care lontananze ed ombre,
io so che il giorno ti soccorre, vivi,
e dimentichi i sogni e la mia voce.
Mi resta solo del tuo bene l'aria,
un passato di nulla, una parola.
Dorothy Livesay, nata a Winnipeg (Manitoba) nel 1909, si è laureate presso
l’Università di Toronto. Ha frequentato la Sorbona di Parigi e negli anni ’30 si è
dedicata ad un’intensa attività sociale e politica fino a diventare, tra il 1960 e il
1963, insegnante di inglese in Zambia per conto dell’Unesco. Successivamente ha
insegnato presso varie università canadesi e ha pubblicato numerosi volumi di
versi, tra i quali ricordiamo Day And Night (1944) e Poems for People (1947) con
cui ha vinto anche importanti premi letterari. La sua produzione iniziale è
influenzata dalla poesia della Dickinson e di Auden, ma in seguito precisa un
proprio stile caratterizzato dall’attenzione per l’immagine fresca e diretta e il
preciso controllo della metrica.
DIVERSITA’
1
Gli uomini preferiscono un’isola
Che è inizio e fine:
Sottofondo d’onde
Alberi ricurvi.
Gli uomini preferiscono una strada
Che si snoda in cerchi, come una conchiglia
Convessa e fossilizzata
In spirali eterne.
Gli uomini preferiscono una donna
Tersa nel sole
Tenuta come una conchiglia
Nel riparo di un’isola…
Gli uomini preferiscono un’isola
2
Ma io sono un continente,
Spazio
Dalle vette agli abissi:
Dai campi di salvia, dalle fratte, dalle paludi
Al fondo del mare.
Mostratemi un frutteto dove non abbia dormito,
Una cavità dove non mi sia avvolta
Nella salvia, e in alto, silenziose
Stelle e grappoli
Sul pino, sul colle dei cactus.
Ditemi di un tempo
In cui non abbia amato,
Di una montagna non scalata:
Di un campo
Che non abbia solcato con la mia lingua,
Nutrito con bui spazi della mente;
Piantato con lacrime non versate
E mietuto come amici, come volti.
Mostratemi un vicolo cieco
Che non abbia percorso,
Un sentiero di bosco che allontana il cuore
Nel segreto sempreverde delle radici dei cedri
Oltre il più lontano raggio del soleAllora, nell’improvviso sfolgorio d’una radura,
Non c’è strada, né fine, né mistero.
Ma non mostratemi nulla. Conosco
Il paese che vagheggio:
Un luogo dove non c’è possesso
Né violazione:
Un continente governato
Dalla sua inaccessibilità.
Elsa Morante nacque a Roma nel 1912; cresciuta nel quartiere popolare
Testaccio, vi è morta nel 1985 dopo aver tentato il suicidio nel 1983 aprendo i
rubinetti del gas. Cominciò a pubblicare giovanissima delle cronache di
costume su giornali e riviste ed esordì nel 1941 (anno in cui sposò A. Moravia)
con i racconti Il gioco segreto. Si impose all’attenzione della critica con
Menzogna e sortilegio, 1948, ottenendo un successo sempre rinnovato a ogni
nuovo romanzo.
LETTERA
Tutto quel che t’appartiene, o che da te proviene,
è ricco d’una grazia favolosa:
perfino i tuoi amanti, perfino le mie lagrime.
L’invidia mia riveste d’incanti straordinari
i miei rivali: essi vanno per vie negate ai mortali,
hanno cuore sapiente, cortesia d’angeli.
E le lagrime che mi fai piangere sono il mio bel diadema,
se l’amara mia stagione s’adorna del tuo sorriso.
Stupisco se ripenso che avevo tanti desideri
E tanti voti da non sapere quali scegliere.
Ormai, se cade una stella a mezzo agosto,
se nel tramonto marino balena il raggio verde,
se a cena ho una primizia nella stagione nuova,
o m’inchino alla santa campana dell’Elevazione,
non ho che un voto solo: il tuo nome, il tuo nome,
o parola che m’apri la porta del paradiso.
Nel mio cuore vanesio, da che vi regni tu,
le antiche leggi del mondo sono tutte rovesciate:
l’orgoglio si compiace d’umiliarsi a te,
la vanità si nasconde davanti alla tua gloria,
la voglia si tramuta in timido pudore,
la mia sconfitta esulta della tua vittoria,
la ricchezza è beata di farsi, per te, povera,
E peccato e perdono, ansia e riposo,
sbocciano in un fiore unico, una grande rosa doppia.
Ma la frase celeste, che la mia mente ascolta,
io ridirti non so, non c’è nota o parola.
Ti dirò: tu sei tutto il mio bene, ad ogni ora
Questa grazia d’amarti m’è dolce compagnia.
Potesse il mio affetto consolarti come mi consola,
o tu che sei la sola confidenza mia!
Mario Luzi (Firenze 1914), formatosi nell’ambiente di Siena e di Firenze, ha
esordito presto, nel 1935, come poeta con il libretto La Barca. Dal 1938 si è
dedicato all’attività di insegnante, pur continuando a collaborare con riviste
culturali di punta. Tra le sue raccolte si possono segnalare Il giusto della
vita(1960), Dal fondo delle campagne (1965), Nel magma (1966), Su fondamenti
invisibili (1971). Ha lavorato anche come saggista e traduttore.
GIOVINETTA, GIOVINETTA
Giovinetta, giovinetta
per le scogliose vie di Firenze
disperse in un etereo continente
i venti s’avvicendano e i tuoi passi
al colmo traboccano nell’assente;
gli adolescenti
nel silenzio delle strade
ricercano i tuoi passi dispersi,
l’ombra, gli sguardi lenti caduti dalle tue ciglia
sulle livide pietre dei crepuscoli:
risfiorando le porte e i davanzali
la tua forma mortale si ripete
in altri corpi in altre odorate carezze,
e sulla terra dovunque
la triste realtà d’una fanciulla.
GIOVINETTE
Voi siete la tepida figura del nostro dolore,
sulla terra dolce
d’alimenti al vostro tenue rossore
voi passate col sorriso che ci opprime.
Ritornano le prime ali ai confini
del cielo, la sera
spande la triste calma dei giardini
e muto il tempo si avvolge intorno alla
vostra bellezza.
Ma invano, perché la vostra carezza arde
profonda
ed ignota, e in voi
senza limiti il cielo si riposa
della sua eternità come una foglia.
E nelle vostre calde mani odora
tutta la fuggevole
corona delle nostre passioni, mentre
ognuna
porta il dolore della giovinezza.
Franco Fortini è nato il 10 settembre 1917 a Firenze. Qui ha compiuto gli studi,
laureandosi dapprima in Giurisprudenza e poi in Lettere ed entrando in contatto
sia con i protagonisti della stagione dell'Ermetismo, sia con gli intellettuali che
prima della guerra hanno fatto la storia della cultura italiana, da Montale a
Noventa e Vittorini. Richiamato alle armi nel 1941,dopo aver partecipato alla
Resistenza in Valdossola ed essere emigrato in Svizzera, con la fine della guerra
si è stabilito a Milano, diventando redattore del "Politecnico". Nel 1985 gli è stato
conferito il premio Montale-Guggenheim per la poesia. È morto a Milano nel
novembre del 1994.
ALLA STAZIONE DI MINSK
Perchè cosi felice
quella giovane donna bruna
e così a lungo
mi sorrideva?
I fiori della veste di cotone
battevano nel vento
che la portava via.
Stavano i nuvoli sugli alberi bianchi.
I capelli le correvano la fronte.
Voleva che non la dimenticassi
mai più, che per sempre vedessi
in lei l'idea di lei,
e i suoi boschi che vincono ogni pace?
Ma al di là delle erbe,
dove la foresta e le acque
hanno sepolto...
L'irta, la nera Europa
la sua ombra sublime
allunga fino a me:
e mi fa orrore.
Entro quell'ombra dormono tutti i miei anni
come abbiamo dormito soldati sfiniti
nelle nottate
delle sue guerre.
Sorride perchè io viva
la vera creatura che era.
O da sempre conosciuta
libertà spino di marzo
dunque non m'hai lasciato.
PER ROSSANA R.
In questo tempo che divaga
in questo tempo che ci allaga
di malgrado e di sebbene
a me la Rossana va bene
Collettivisti a tutta paga
di cooperative dabbene
e voi marxisti del pliocene
assopiti alla vecchia saga
professori di controscene
aiuto-carristi di Praga
soviettisti delle catene
letterati di gaie cene
italiani di mente vaga
a me la Rossana va bene
Gente, la rima non ripaga
corta è la vita lunga la piaga.
Finchè un’ora più vera non viene
la Rossana a me va bene.
Anne Sexton (1928-1974) è stata la più scandalosa ed eversiva tra le madri
fondatrici della "specie" culturale delle poetesse contemporanee. Love poems è il
libro con il quale approdò alla maturità stilistica e tematica che ha dato alla
letteratura anglo-americana la sua prima eroina del sesso senza inibizioni, e in
una prospettiva imperdonabilmente femminile, con passione e sarcasmo, fervore
e furore, sensualità e beffarda ironia.
SCALZA
Amarmi senza scarpe
Vuol dire amare le mie lunghe gambe brune,
dolci e care, buone come cucchiai
e i miei piedi, due bambini
liberi di giocare nudi. Nodose sporgenze
i miei diti, non più costretti
- e in più guarda le unghie e
le prensili giunture di giunture
come i dieci passi mettono radici irrequieti e selvaggi: questo
questo l'ammazzo, questo lo cucinò.
Lunghe gambe brune e lunghe brune dita.
Più su, caro, la donna
Rievoca segreti, casine,
piccole lingue che narrano per te.
Siamo soli noi due
In questa casa su una lingua di terra.
Ha un campanellino nell'ombelico il mare,
ed io sono la tua scalza puttanella
per una settimana. Gradiresti del salame?
No. Non ti va proprio uno scotch?
No. Non bevi molto tu bevi
Me. I gabbiani uccidono pesci
Strillando come bimbi di tre anni.
Il ritmo delle onde è una droga
E tutta notte invoca
Sono, sono, sono. Scalza,
ti tamburello la schiena su e giù.
Corro da porta a porta la mattina,
nella capanna giochiamo a nascondino.
Ora mi afferri le caviglie,
ti fai strada fra le gambe
e vieni a trapassarmi nel punto della fame.
PER L’ANNO DI FOLLI
[….]
O Maria, apri e tu palpebre,
io sono nel dominio del silenzio,
nel regno della pazzia e del sonno.
C’è sangue qui
Ed io l’ho mangiato.
O madre del grembo,
sono venuta soltanto per il sangue?
O piccola madre
Sono dentro i miei pensieri.
Sono rinchiusa nella casa sbagliata.
Alda Merini nasce a Milano il 21 marzo 1931 in una famiglia tranquilla,
esordisce con il volume di poesie La presenza di Orfeo.
Dopo dieci anni di internamento in manicomio e un lungo periodo di
silenzio scrive altre opere molte delle quali rifiutate da alcune case editrici.
CHE INSOSTENIBILE CHIAROSCURO…
Che insostenibile chiaroscuro,
mutevole concetto di ogni giorno,
parola d’ordine che dice: non vengo
e ti lascio morire poco a poco.
Perché questa lentezza del caos?
Perché il verbo non mi avvicina?
Perché non mangio i frammenti di ieri
Come se fosse un futuro d’amore?
Sylvia Plath, nata a Boston, nel 1932, rivelò ben presto la sua predisposizione alla
poesia. Una borsa di studio la portò in Inghilterra e a Cambridge dove conobbe e
sposò il poeta Ted Hughes, con cui ebbe due figli. Nel 1962 si separò dal marito ed
un anno dopo si suicidò.
ULTIME PAROLE
Non voglio una cassa qualunque, voglio un sarcofago
Con striature di tigre e una faccia dipinta
Tonda come la luna, con gli occhi sgranati in su.
Voglio sembrare che li guardo quando verranno
A scavarmi fra ottusi minerali e radici.
Già li vedo- pallide facce, a una distanza astrale.
Adesso non sono nulla, non sono nemmeno in fasce.
Li penso senza né padri né madri, come gli dei primigeni.
Si domanderanno se io sia stata importante.
Dovrei come frutta candire e conservare i miei giorni!
Il mio specchi si appanna –
Ancora qualche fiato e non specchierà più niente del tutto.
I fiori e le facce si sbiancano come un lenzuolo.
Dello spirituale non mi fido. Sguscia via come vapore
Nei sogni per le fessure della bocca o degli occhi. Non posso
Fermarlo né mai tornerà. Ma non così le cose.
Loro restano, con quel brillio particolare,
Da tante mani scaldato, con un brusio di piacere.
Se avrò freddo alle piante dei piedi,
Mi consolerà l’occhio azzurro del mio turchese.
Siano con me le casseruole di rame, i miei vai di coccio,
Mi fioriscano intorno notturni fiori, dal buon profumo.
Mi avvolgeranno nelle bende, deporranno il mio cuore
Sotto i miei piedi in un bel pacchettino.
Non mi riconoscerò quasi. Sarà tutto buio,
Ma ci sarà il fulgore di questi piccoli oggetti più dolce che il viso di Ishtar.
Biancamaria Frabotta è nata a Roma nel 1946. Qui vive insegnando
Letteratura italiana all’Università La Sapienza. Ha pubblicato opere narrative,
teatrali, saggistiche e le seguenti raccolte di poesia: Il rumore bianco (1982),
Appunti di volo e altre poesie (1985), Controcanto al chiuso (1991), La
viandanza (1995), High tide (1998) e Terra contigua (1999).
LA TESTA LEGGERA
Mio marito ha un cuore generoso
come quel dio che dona il primo verso.
La notte a sé non tira le coperte
sul petto non mi pungono i suoi peli
e al risveglio vorrebbe unirsi al coro
anonimo che sole e fame assillano.
Mio marito diffida delle ore oscure
e al suo cospetto io mi vergogno.
E anche di vergognarmi mi vergogno.
Mio marito diffida delle cose oscure.
Così, per amor suo, io cambierò stile
e per lui terrò in serbo cose chiare.
***
Quasi che il sonno ,l’uno all’altra
li rapisse ,nel buio intrecciano le dita
si sfiorano con la punta del piede
e pensano- gli estremi si toccano
nel cuore della notte
Uno dei due già sogna anche per l’altro.
Incline più al contagio che al presagio
s’addormenta l’amore coniugale
mano nella mano, la vita cinta
come per una danza mentre l’altra
vita preme ai cancelli del rimosso
e li piega. Entrambi sul fianco sinistro.
L’alba li sveglia un poco più fratelli.
Bibliografia essenziale
Campana, Dino
In un momento
Donna genovese
in "Canti Orfici e
altre poesie"
Alla stazione di Minsk
Per Rossana R.
in "Poesie inedite" Einaudi Torino
1997
Frabotta,
Biancamaria
La testa leggera
in "La pianta del
pane"
Mondadori Milano
2003
Gatto, Alfonso
Forse mi lascerà del tuo bel
volto
in "Poesie"
Mondadori Milano
1940/41
Ad un'ignota
in "Poesie"
Fortini, Franco
Gozzano, Guido
Livesay,
Dorothy
Diversità
Luzi, Mario
Giovinetta, giovinetta
Giovinette
Merini, Alda
Che insostenibile
chiaroscuro
Montale,
Eugenio
Rebecca
Poesie per Mosca
Garzanti Milano
1989
Einaudi Torino
1973
in "Poesia delle
Americhe"
Skira Milano
1997
in "Il giusto della
vita"
Garzanti Milano
1960
in "Satura"
Mondadori Milano
1976
Morante, Elsa
Lettera
in "Poesie
d'amore del '900"
Pavese, Cesare
Hai un sangue, un respiro
Due
in "Poesie"
Plath, Sylvia
Ultime parole
in "Lady Lazarus
e altre poesie"
Romano, Lalla
Saba, Umberto
Sexton, Anne
Sexton, Anne
Ungaretti,
Giuseppe
Io non ti chiamerò più…
in "Poesie"
A mia figlia
Fedra
in "iI Canzoniere"
Per l'anno dei folli
in "L'estrosa
abbondanza"
Scalza
La madre
in "Poesie
d'amore"
in "Sentimento
del tempo"
Mondadori Milano
Mondadori Milano
1999
1950
Mondadori Milano
1976
Einaudi Torino
2001
Einaudi Torino
1978
Crocetti Milano
1997
Le Lettere Firenze
2003
Mondadori Milano
1930
La classe 3 H
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