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anatomia spalla
ANATOMIA E BIOMECCANICA DELLA SPALLA
(dott.ssa M.Pia Bronzino)
La spalla, articolazione prossimale dell’arto superiore, è la più mobile di tutte le articolazioni del
corpo umano. Possiede tre gradi di libertà, che le permettono di orientare l’arto superiore nei tre
piani dello spazio e di eseguire movimenti di:
-flessione (anteposizione)-estensione (retroposizione) sul piano sagittale
-abduzione-adduzione sul piano frontale
-intrarotazione-extrarotazione sul piano orizzontale.
Le ossa che costituiscono il complesso articolare della spalla sono:
1. il cingolo scapolare costituito dalla clavicola, la scapola e lo sterno.
2. l’omero
Il complesso articolare della spalla è costituito di cinque articolazioni, suddivise in due
sottogruppi:
A. formato dall’articolazione scapolo-omerale, più importante, e dall’articolazione
sottodeltoidea o seconda articolazione della spalla, legata meccanicamente alla
scapolo-omerale.
B. formato da tre articolazioni, la scapolo-toracica, che è la più importante del gruppo
ma funziona solo insieme alle altre due, l’acromion-clavicolare e la sterno-costoclavicolare.
La clavicola è un osso corto, cilindrico, a forma di esse, posto a ponte tra sterno e scapola.
L’articolazione sterno-claveare mette in contatto la clavicola, la prima cartilagine costale e il
manubrio dello sterno permettendo alla clavicola movimenti di elevazione ed abbassamento,
avanzamento e arretramento e di rotazione sul suo asse, movimenti che avvengono insieme a quelli
della scapola. Essa è rinforzata da due legamenti, uno anteriore ed uno posteriore.
La scapola è un osso piatto, triangolare, con due facce, anteriore e posteriore, tre angoli e tre
margini. A livello dell’angolo esterno si trova la superficie articolare ovale della cavità glenoidea
che con la testa dell’omero cui corrisponde forma l’articolazione scapolo-omerale. Dal margine
superiore della scapola internamente origina una prominenza ossea con la forma di dito piegato e
appuntito che costituisce l’apofisi coracoide. La faccia anteriore della scapola leggermente concava
prende rapporto mobile con il torace. La faccia posteriore infine è divisa nel suo terzo superiore
dalla spina della scapola in una fossa sopraspinata ed una fossa sottospinata. La spina della scapola
verso l’esterno nel margine superiore forma una sporgenza appiattita, l’acromion.
L’articolazione acromion-claveare è costituita da due superfici ovalari situate sull’acromion e
sull’estremità esterna della clavicola, che permettono un movimento di scivolamento, aperturachiusura dell’angolo formato dalle due ossa. La capsula di questa articolazione è lassa, ma è
stabilizzata da quattro legamenti, uno superiore, uno inferiore, il conoide ed il trapezoide.
L’omero è l’osso del braccio, costituito dal corpo centrale e da due estremità.
L’estremità superiore è costituita internamente dalla testa dell’omero sferica, limitata dal solco
circolare del collo anatomico, esternamente dalla grande tuberosità o trochite e dalla piccola
tuberosità o trochine. L’estremità inferiore forma l’articolazione del gomito con le ossa
dell’avambraccio.
L’articolazione scapolo-omerale è costituita dalla testa omerale, orientata in alto, in dentro e in
dietro, dalla cavità glenoidea della scapola, orientata in fuori, in avanti e in alto, e dal cercine
glenoideo o menisco della spalla; quest’ultimo aumentando la cavità della glenoide ristabilisce la
congruenza articolare, ancora i legamenti e con la sua parte inferiore è fondamentale per la stabilità
della spalla.
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L’articolazione è protetta da una capsula articolare, che viene rinforzata dal legamento coracoomerale e dal legamento gleno-omerale con i suoi tre fasci, di cui l’inferiore è lo stabilizzatore
primario dell’omero tra i 45° ed i 90° di abduzione. Occorre ricordare che i tre fasci del legamento
gleno-omerale presentano due zone deboli, il forame di Weitbrecth ed il forame di Rouvière. La
tensione del legamento gleno-omerale è un fattore importante per la stabilità della spalla;
nell’abduzione sono i fasci medio ed inferiore che si mettono in tensione permettendo la massima
adesione della testa omerale contro la glenoide insieme all’azione dei muscoli deltoide e
sovraspinoso. Anche nella rotazione esterna dell’omero i tre fasci del legamento gleno-omerale
sono in tensione. Nell’ante e retroposizione della spalla è invece il legamento coraco-omerale ad
essere messo in tensione. La capsula articolare si comporta diversamente a seconda dei movimenti
del braccio; con il braccio pendente la sua parte superiore è tesa e l'inferiore è rilasciata, col braccio
abdotto a 90° la parte inferiore è tesa impedendo la destabilizzazione articolare in basso, a 45°
invece è rilasciata e l'articolazione risulta pertanto maggiormente instabile.
Il contatto delle superfici articolari della scapolo-omerale sono assicurati dai muscoli periarticolari
a direzione trasversale, veri legamenti attivi dell’articolazione; questi muscoli sono:
a) sovraspinoso
b) sottoscapolare
c) sottospinoso
d) piccolo rotondo
e) tendine del capo lungo del bicipite, la cui inserzione al cercine glenoideo è
intracapsulare.
I muscoli longitudinali del braccio e del cingolo scapolare impediscono con la loro contrazione
tonica alla testa omerale di lussarsi al di sotto della glenoide sotto la trazione di un peso tenuto in
mano o del semplice peso dell’arto superiore. Recenti studi elettromiografici hanno dimostrato che
essi non intervengono attivamente se non quando l’arto superiore porta dei grossi pesi, in quanto il
ruolo essenziale di sostegno in condizioni normali è effettuato dalla parte superiore della capsula
potentemente rinforzata dal legamento coraco-omerale, vero sospensore della spalla. Al contrario la
lussazione verso l’alto della testa per effetto di una contrazione troppo forte di questi muscoli
longitudinali, è impedita e limitata dalla presenza della volta acromion-coracoidea. Questi muscoli
sono:
e) capo breve del bicipite
f) coraco-brachiale
g) capo lungo del tricipite
h) deltoide
i) fascio clavicolare del grande pettorale.
I muscoli motori del cingolo scapolo-omerale possono essere suddivisi in:
I) scapolo-toracici che muovono scapola e clavicola sul torace
II) scapolo-omerali che muovono l’omero.
Al primo gruppo appartengono
- Trapezio: diviso in tre porzioni, col fascio superiore solleva il moncone della spalla e ne
impedisce la caduta sotto il peso di un carico; col fascio medio porta il moncone della spalla
indietro; col fascio inferiore attira la scapola in basso ed in dentro. I tre fasci insieme adducono
la scapola e la ruotano di 20° in alto, movimento importante per i carichi pesanti.
- Romboide: innalza e ruota verso il basso la scapola fissandone l’angolo inferiore alle coste.
- Angolare: solleva ed intraruota la scapola, serve nel trasporto dei pesi.
- Gran dentato: sposta la scapola in avanti ed in fuori fissandola quando si spinge un oggetto
pesante in avanti ed interviene nell’anteposizione ed abduzione della spalla.
- Piccolo pettorale: abbassa il moncone della spalla ed allontana l’angolo inferiore della scapola
dal torace.
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- Succlavio: abbassa la clavicola e quindi la spalla e coatta l’articolazione sterno-costo-claveare.
Al secondo gruppo appartengono:
- Sottoscapolare: ruota internamente il braccio.
- Sopraspinato: abduce il braccio col deltoide
- Sottospinato: ruota esternamente l’omero e partecipa all’abduzione.
- Piccolo rotondo: ruota esternamente l’omero.
Questi quattro muscoli costituiscono la cuffia dei rotatori, che hanno un ruolo importante come
legamenti attivi della spalla.
- Coracobrachiale: antepone e adduce il braccio.
- Bicipite brachiale: partecipa all’antepulsione, col capo lungo all’abduzione e col capo breve
all’adduzione.
- Gran pettorale: adduce ed intraruota il braccio, è il muscolo dell’abbraccio e della sospensione
del braccio, le fibre superiori antepongono la spalla fino a 60°.
- Gran dorsale: ruota internamente, adduce e retropone il braccio.
- Gran rotondo: azione simile ma meno potente del precedente.
- Deltoide: col fascio anteriore antepone e ruota internamente il braccio, col fascio medio abduce
il braccio, col fascio posteriore retropone il braccio.
Analizziamo ora i movimenti della spalla e l'attività muscolare che li effettua.
L'anteposizione si divide in tre tempi. Da 0° a 60° lavorano il fascio anteriore del deltoide, il
coraco-brachiale ed il fascio superiore del gran pettorale. Da 60° a 120° lavorano il trapezio ed il
gran dentato. Da 120° 180° lavora il rachide andando in iperlordosi.
La rotazione si effettua internamente con gran dorsale, gran rotondo, sottoscapolare e gran
pettorale; esternamente con sottospinoso e piccolo rotondo, che sono deboli ma sono coadiuvati da
romboide e trapezio che adducono la scapola aumentando la rotazione.
L'abduzione, per realizzarsi, ha bisogno che il trochite omerale passi sotto il legamento coracoacromiale e che ciò avvenga senza compressione dei tessuti interposti. Ciò è possibile solo se si
hanno le seguenti condizioni: una perfetta coordinazione muscolare, una sufficiente cedevolezza dei
tessuti molli, un normale meccanismo di rotazione dell'omero. Dal punto di vista muscolare
l'abduzione dipende dal sinergismo deltoide-cuffia dei rotatori. Il deltoide innalza l'omero secondo
il suo asse diafisario sospingendone la testa contro il legamento coraco-acromiale. La testa omerale
viene fissta nel cavo glenoideo, ruota e scivola in basso permettendo il proseguimento del
movimento. Questo avviene grazie all'azione della cuffia dei rotatori. Il sovraspinato agisce
soprattutto traendo ed ancorando la testa omerale nel cavo glenoideo, mentre la sua efficacia
rotatoria è modesta. Interviene in tutte le fasi dell'abduzione e non solo all'inizio e per questo ha
un'importante azione quantitativa sulla forza del movimento. Il sottospinato, il sottoscapolare ed il
piccolo rotondo fissano la testa omerale e la fanno ruotare ed abbassare, permettendole di sfuggire
all'impatto con il legamento coraco-acromiale. Considerando la sola articolarità gleno-omerale,
l'abuzione attiva arriva fino a 120° solo se l'omero extraruota di 90°. Dopo il movimento avviene
grazie al basculamento della scapola. La scapola scivola sulla parete toracica grazie all'articolazione
scapolo-toracica e all'acromion-claveare, per attività dei muscoli trapezio e gran dentato. Il trapezio
fa basculare la scapola verso l'esterno attorno all'asse centrale dell'articolazione acromion-claveare e
innalza la parte inferiore della glenoide. Il gran dentato fa basculare anch'esso lateralmente la
scapola.
L'abduzione completa del braccio sul piano frontale avviene pertanto secondo un armonico
susseguirsi di azioni detto ritmo scapolo-omerale. Di ogni 15° di abduzione 10° si realizzano a
livello gleno-omerale e 5° a livello scapolo-toracico, con uno schema integrato e ritmico. Per il
deltoide, il muscolo principale dell'abduzione, è importante la rotazione scapolare per mantenere la
tensione necessaria alla sua contrazione. La stabilità della spalla, specie dopo i primi 90° di
abduzione, è garantita dal basculamento della scapola che modifica i rapporti tra testa omerale e
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glenoide cosicché ai 180° il deltoide pressoché non lavora perché l'incavo della glenoide si trova
sotto la testa omerale. Occorre anche ricordare l'importanza dell'articolazione sterno-claveare.
Infatti nell'escursione tra 0° e 90° la scapola ruota di 30° e la clavicola si eleva di altrettanto; oltre i
90° di abduzione però a livello sterno-claveare non è più possibile seguire il movimento della
scapola e la clavicola ruota di 45° attorno all'asse diafisario alzando la sua estremità laterale degli
altri 30° necessari al completamento del movimento armonico di abduzione.
Studi più recenti dell'anatomia della cuffia dei rotatori hanno dimostrato che tale struttura tendinea è
strutturata in cinque strati diversamente orientati, cosa che causa una notevole suddivisione delle
forze e quindi più facili lesioni.
Anche l'arco coraco-acromiale è stato implicato nella patologia della cuffia, che sovrasta; un difetto
di ossificazione dell'acromion o forme diverse dell'acromion possono essere fattore di rischio della
patologia della cuffia. L'arco tra i 60° e i 120° di elevazione è quello dove l'acromion è più vicino
alla cuffia. Tutti questi dati e la conferma della differenza di contributo dei vari elementi nei vari
gradi di movimento e quindi l'importanza del ritmo scapolo-omerale corretto, fanno comprendere
la complessità della valutazione biomeccanica della patologia degenerativa della spalla.
Classificazione clinica delle patologie
(dott. Enrico Fiorio)
Sono talmente numerose nella Letteratura le proposte avanzate a questo proposito che il tentativo
di proporvele avrebbe un effetto sicuramente negativo sul piano didattico, ingenerando un
affastellamento di nozioni e, di conseguenza , confusione.
Dal punto di vista didattico ritengo pertanto opportuno proporvi, almeno in prima istanza, una
classificazione standard, in realtà un ibrido derivato da diverse classificazioni abbastanza simili fra
loro, la quale, più che “classica” dovrebbe essere definita “senza età”, poichè di basa
esclusivamente sulla identificazione
anatomo-patologica delle singole entità nosologiche,
indipendentemente dalla loro collocazione patogenetica e dalla loro possibile associazione.
(Tabella)
Borsite subacromiale
-acuta
-cronica (con o senza calcific.)
-fibrosi della borsa s.a.
Patologia flogistica
-Tendiniti e tenosinoviti
-del capo lungo del bicipite
-della cuffia dei rotatori
-Capsulite retrattile
-Artriti
-dell’artic.gleno-omerale
-dell’art. acromioclavicolare
-dell’art.sternoclavicolare
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- Tendinopatia inserzionale dei rotatori
(e rotture croniche della cuffia)
patologia
degenerativa
- Artrosi
-gleno-omerale (0moartrosi
concentrica o eccentrica
-acromio-clavicolare
-sterno-clavicolare
Come potete vedere nella tabella proiettata le varie entità cliniche sono elencate seguendo uno
schema tradizionale che fa riferimento al momento etiopatogenetico genericamente etichettato come
infiammatorio o degenerativo. Questo tipo di classificazione che a lungo è stata fra i più diffusi
mostra ai giorni nostri importanti limiti. Innanzitutto l’elemento patogenetico, che dovrebbe
costituirne l’aspetto essenziale , viene proposto in modo conciso e schematico e non è soggetto ad
una analisi approfondita: la patologia infiammatoria riconosce una genesi irritativa , infettiva od
autoimmune mentre quella degenerativa presuppone che la causa risieda nel logorio funzionale e
nell’invecchiamento delle strutture articolari e periarticolari. Non vengono individuati fattori
predisponenti al di fuori dell’uso prolungato ed intensivo di queste strutture e specialmente
non si tengono in considerazione né il rapporto fra età dei pazienti ed epoca di insorgenza
percentualmente più significativa nè la frequente associazione delle varie patologie che risulta
invece esserne la chiave interpretativa , almeno per quanto concerne il gruppo più rappresentato
nella pratica clinica cioè quello della cosidetta “periartrite”.
Prendendo avvio dal concetto ormai diffusamente accettato che una larga percentuale della
Patologia in oggetto interessa elettivamente lo spazio subacromiale e le strutture anatomiche che lo
delimitano o sono in esso contenute, una classificazione più attuale, ispirata cioè alle attuali
conoscenze, deve necessariamente fare riferimento innanzitutto al meccanismo patogenetico che
nella maggioranza dei casi riconosce il concorso di più fattori, sia predisponenti che causali, e
rispondere ad alcune domande che in passato ci siamo posti senza potervi fornire una
soddisfacente risposta. La prima di queste domande è la seguente: il processo infiammatorio delle
strutture periarticolari precede in ordine cronologico la patologia degenerativa concorrendo anche a
determinarla o i due processi evolvono in modo autonomo riconoscendo agenti causali comuni ed
in una certa misura sovrapponendosi ? In altri termini è il logorio funzionale a determinare una
reazione flogistica e successivamente un deterioramento strutturale conseguente ai danni anatomici
e all’alterata dinamica articolare? L’età di massima incidenza (40-60 anni), non certo casuale,
induce a ritenere il logorio funzionale elemento patogenetico importante. A fronte di tale
incontestabile realtà si fa strada un altro quesito che spesso ci siamo posti : perché alcuni individui
presentino questa patologia ed altri, apparentemente simili per età, caratteristiche somatiche,
abitudini di vita ed attività fisica ne risultino indenni o solo “sfiorati” ;ed ancora per quale ragione
la patologia interessi spesso una spalla e risparmi o aggredisca in misura meno grave la spalla
controlaterale senza una apparente disparità di carico funzionale. Ed ancora: che ruolo hanno nella
patogenesi della spalla dolorosa i traumi minori che assai spesso figurano quale “starter” della
sintomatologia?
Un certo aiuto nel dare una risposta a questi quesiti ci viene fornito dalla valutazione attenta dei dati
anamnestici specialmente per quanto si riferisce ai casi la cui insorgenza è preceduta da lesioni
traumatiche maggiori della regione della spalla. In questi casi, che pur frequenti non costituiscono
tuttavia la regola, la lesione anatomica delle formazioni capsulari e/o muscolotendinee è primaria,
cioè precede eventuali reazioni di tipo flogistico : queste spalle presentano alterazioni dinamiche
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spesso grossolane e sempre di immediato rilievo che possono configurarsi nella rigidità e nella
attivazione di compensi opportunistici o al contrario nella instabilità.
Un altro elemento da non sottovalutare è la relativa frequenza con cui le sindromi algicodisfunzionali della spalla di cui stiamo trattando si associano a patologia rachidea, specialmente del
tratto cervicale, in gran parte dei casi preesistente ad esse.
E’ plausibile ipotizzare che in assenza di eventi traumatici di rilievo possa instaurarsi a livello della
spalla una alterazione (subclinica) della corretta sequenza motoria basata sulla armonica
successione di attivazioni muscolari e soggetta ad influenze posturali o a condizionamenti derivati
da condizioni patologiche situate in altre sedi, prossimali o distali, della catena cinetica di cui la
spalla stessa fa parte ( discinesia).
Un altro elemento che può incidere negativamente nell’economia funzionale della spalla è la
instabilità: mi riferisco non tanto ( o non solo)
a quella spesso marcata ed evidente che consegue i traumatismi maggiori, le lussazioni in
particolare, dell’articolazione gleno-omerale ma specialmente a quella meno evidente, spesso
denunciata dal paziente come semplice sensazione di fastidio o di dolore lieve e non localizzabile
con precisione, che viene evocata da certi movimenti dell’arto. Questo tipo di instabilità, il più delle
volte definibile come multidirezionale, riconosce come elementi causali un momento displasico
(anomalie di ampiezza e di orientamento della glenoide scapolare documentabili con le moderne
tecniche di imaging) ed una lassità capsulo-legamentosa verosimilmente costituzionale. Si introduce
così nello studio della patogenesi della spalla dolorosa il concetto di predisposizione su base
dismorfogenetica (Genetica?) che può spiegare almeno in parte la predilezione di alcuni soggetti
rispetto ad altri non altrimenti giustificabile.
L’introduzione del concetto di anomalia morfologica congenita , opportunamente ampliato, ci porta
a focalizzare un altro elemento di significato patogenetico cioè la “variante” anatomica (termine
più corretto che “anomalia”) capace di interferire negativamente nella dinamica della spalla
generandovi risposte patologiche.
Sono note e facilmente documentabili radiologicamente tre varianti morfologiche dell’acromion
(vedi figura) delle quali le due ultime possono in effetti determinare un restringimento dello spazio
subacromiale facilitando l’insorgenza di un conflitto omero-acromiale. Il radiologo ed i chirurghi
ortopedici che vi parleranno in seguito ritorneranno certamente su tale argomento.
In sintesi (Diapo/schema) dunque la Patologia non traumatica della spalla, particolarmente quella
etichettata come “cronica” riconosce una genesi multifattoriale in cui vengono individuati
momenti dismorfici congeniti od acquisiti, questi ultimi in gran parte post-traumatici, e/o patologie
localizzate in altre sedi della catena cinetica di cui la spalla fa parte, i quali concorrono attraverso
difetti di stabilità o di coordinazione motoria (spesso entrambi) a determinare sofferenza delle
strutture anatomiche coinvolte , cioè in ultima analisi usura. Usura a cui contribuiscono
naturalmente sia l’invecchiamento che il sovraccarico funzionale.
Appare dunque verosimile che l’alterazione anche non grossolana della delicata dinamica glenoomero-acromiale possa costituire lo starter di una serie di fenomeni vuoi flogistici vuoi
degenerativi, non necessariamente vincolati ad una sequenza cronologica rigorosa, ma anzi non di
rado sovrapposti se non addirittura simultanei, da cui originano le varie espressioni cliniche.
Quanto detto si riferisce principalmente al complesso di alterazioni che caratterizzano la cosidetta
“periartrite scapolo-omerale “ ed in parte alla patologia osteo-articolare degenerativa cioè alla
artrosi. Quest’ultima infatti riconosce come elementi patogenetici principali alterazioni della
meccanica articolare analoghe a quelle invocate per la patologia “minore”, ma che oltre ad essere il
più delle volte di entità maggiore, agiscono a lungo, non di rado subdolamente, senza subire o poter
subire misure correttive in grado di rallentarne la evoluzione. Un esempio calzante di ciò è
rappresentato da quelle forme di artrosi (definite appunto “secondarie”) che conseguono a
grossolani dismorfismi scheletrici o ad altrettanto grossolane alterazioni dinamiche di origine
macrotraumatica. E’ vero purtuttavia che esistono molte tappe intermedie fra la patologia minore e
l’artrosi conclamata e che l’iter patogenetico delle due entità nosologiche ha numerosi punti in
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comune. La più evidente di queste connessioni patogenetiche si configura nella cosidetta “
omoartrosi eccentrica”, vale a dire in quella forma di artrosi gleno-omerale che consegue a
deterioramento o rottura della cuffia dei rotatori con migrazione della testa omerale verso la volta
coraco-acromiale. (Disegno)
Un capitolo a sé occupa la cosidetta capsulite retrattile o adesiva , il cui meccanismo
patogenetico , più complesso e per molti aspetti non ben conosciuto, non è riconducibile in tutto e
per tutto allo schema sopra descritto. L’elemento antomopatologico comune è costituito da un
processo infiammatorio che interessa lo strato sinoviale della articolazione gleno-omerale a cui
segue una fibrosi capsulare: tuttavia non sempre questo processo si instaura primitivamente
(capsulite primitiva); non di rado invece evolve come sequela di un processo infiammatorio delle
strutture dello spazio subacromiale da conflitto omero-acromiale o impingement che dir si voglia,
non tempestivamente o adeguatamente trattato (capsulite secondaria).
Un discorso a parte merita per l’artrite reumatoide, malattia infiammatoria sistemica, dalla
patogenesi complessa, la cui localizzazione alla articolazione scapolo-omerale è relativamente
frequente e che conduce a gravi alterazioni strutturali dei capi ossei articolari: in questa malattia la
sintomatologia dolorosa e disfunzionale origina nelle fasi più precoci dal processo infiammatorio
che partendo dallo strato sinoviale si estende a tutte le componenti anatomiche della articolazione,
mentre nella fase di stato e negli esiti deriva dalle limitazioni motorie e dalla artrosi che si instaura
secondariamente sulle citate alterazioni strutturali.
Concludendo questa necessaria divagazione sul meccanismo etiopatogenetico della patologia non
traumatica della spalla ed attenendoci ai concetti or ora espressi rientriamo in tema proponendo una
classificazione clinica ispirata a questa interpretazione. (Diapo/schema)
-Borsite subacromiale (essudativa o calcifca)
-Tendiniti o tendinopatie degenerative della cuffia
Patologia
dello spazio
sottoacromiale
-Tendiniti o tendinosi del capo lungo
del bicipite
-Rotture della cuffia ed instabilità secondarie
Patologia
Capsulare
-Instabilità (primitiva o secondaria)
-Capsulite adesiva da lassità capsulo-legamentosa
-Artrosi gleno-omerale
-primitiva (concentrica)
-secondaria (eccentrica)
-Artrosi acromion-clavicolare e sterno-clavicolare
Patologia
articolare
-Artriti gleno-omerali
-Artriti acromion-clavicolari e
Sterno-clavicolari ( S. di Tiezte)
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SEMEIOTICA DELLA SPALLA
(Dott.ssa M. G. Danovaro, Dott.ssa S. Fontolan)
Il cingolo scapolare e’ formato da tre articolazioni vere e proprie e da una articolazione speciale:
1) Articolazione sterno claveare
2) Articolazione acromio claveare
3) Articolazione gleno omerale ( la spalla propriamente detta)
4) Articolazione scapolo toracica.
Tutte queste articolazioni agiscono in sincronismo per permettere il movimento completo.
A differenza dell’anca che e’ una articolazione stabile che possiede una profonda cavita’
acetabolare, la spalla e’ una articolazione mobile con una cavita’ glenoidea poco profonda.
L’esame della spalla inizia con una accurata osservazione visuale seguita da una dettagliata
palpazione sia delle strutture ossee che delle parti molli del cingolo scapolare. La determinazione
dell’ampiezza dei movimenti, l’esame della validita’ muscolare, un esame neurologico ed alcuni
esami speciali completano l’esame.
ISPEZIONE
L’ispezione inizia mentre il paziente entra in ambulatorio.
Mentre cammina si deve osservare la uniformita’ e simmetria del movimento, l’arto superiore nella
deambulazione normale oscilla in sincronismo con l’arto inferiore del lato opposto.
Mentre il paziente si sveste osservate il ritmo del movimento della spalla.
Normalmente il movimento dai due lati e’ fluido e naturale, un movimento anormale appare invece
innaturale e irregolare.
Esso spesso rappresenta il tentativo del paziente di sostituire un movimento inefficace ma indolente
ad un altro movimento che era efficace ma che ora e’ doloroso.Il modo piu’ efficace per rilevare la
presenza di una anomalia e’ il paragone con il lato opposto, questo esame comparativo il piu’ delle
volte svela ogni alterazione presente.
Si esplora visivamente la clavicola, la porzione deltoidea della spalla, la faccia posteriore della
scapola.
PALPAZIONE DELLE OSSA
All’esaminatore la palpazione delle strutture ossee fornisce un metodo ordinato e sistematico per
studiare l’anatomia della regione.
Si palpa:
Fossa soprasternale
Articolazione sternoclavicolare
Clavicola
Processo coracoideo
Articolazione acromion clavicolare
Acromion
Grande tuberosita’ dell’omero
Solco bicipitale
Spina della scapola
Bordo vertebrale della scapola
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PALPAZIONE DELLE PARTI MOLLI PER REGIONI ANATOMO CLINICHE
L’esame delle parti molli della spalla si suddivide nell’esame di quattro distinte zone cliniche:
1) Cuffia dei rotatori
2) Borsa sottoacromiale e sottodeltoidea
3) Ascella
4) Muscoli del cingolo scapolare
LA CUFFIA DEI ROTATORI ha importanza clinica in quanto la degenerazione e la conseguente
rottura e’ un fenomeno patologico abbastanza comune che provoca una limitazione dei movimenti
della spalla
La cuffia e’ formata da 4 muscoli:
IL sovraspinato
Il sottospinato
Il piccolo rotondo
Il sottoscapolare (non palpabile)
LA BORSA SOTTOACROMIALE E SOTTODELTOIDEA puo’ esse causa di violenti dolori e
limitazioni dei movimenti della spalla se affetta da Borsite.
L’ASCELLA o CAVO ASCELLARE e’ una struttura attraverso la quale passano i grossi tronchi
vascolari e nervosi destinati all’arto superiore.
I MUSCOLI DEL CINGOLO SCAPOLARE ESPLORABILI sono :
Lo Sterno cleido mastoideo
Gran pettorale
Bicipite
Deltoide
Trapezio
Piccolo e grande romboide
Gran dorsale
Dentato anteriore
ESAME della MOTILITA’ ATTIVA E PASSIVA
ESAME DELLA MOTILITA’ ATTIVA
Comprende alcuni test:
Test di APPLEY. Chiedete al paziente di portare la mano dietro il capo e toccare l’angolo supero
mediale della scapola controlaterale, poi chiedete al paziente di portare la sua mano davanti alla
faccia e di toccare l’acromion dal lato opposto.
Infine fategli portare la mano dietro la schiena fino a toccare l’angolo inferiore della scapola dal lato
opposto.
Test di JOBE: l’esaminatore si pone davanti al paziente che mantiene le braccia abotte di 90° e
anteposte di 30°. Il tesy e’ positivo per una sofferenza del SOVRASPINOSO se il tentativo
dell’esaminatore di abbassare il braccio abdotto contro resistenza del paziente risveglia dolore.
TEST PER IL SOTTOSPINOSO. Il braccio del paziente e’ mantenuto addotto al corpo, nella
posizione intermedia di rotazione con gomito flesso e avambraccio spinato.
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L’esaminatore si pone di fronte al paziente e mentre con una mano sostiene il gomito, con l’altra
offre resistenza al movimento di extrarotazione del braccio.
TEST PER IL MUSCOLO SOTTOSCAPOLARE. Braccio in intrarotazione a gomito flsso e spalla
abdotta di 40- 60 ° e retroposta di 20 30 °.
L’esaminatore sosterra’ l’arto nella posizione descritta ed invitera’ il paziente ad effettuare una
intrarotazione contrastando il movimento.
TEST di YERGASON. Si contrasata la flessione attiva del gomito con avambraccio supinato
(processo flogistico del bicipite.
PALM UP TEST. Test attivo passivo in cui l’esaminatore contrasta il movimento del paziente di
elevazione in anteposizione del braccio a gomito esteso e con il palmo della mano rivolto in alto. E’
positivo quando il paziente avverte dolore sulla doccia bicipitale.
TEST ATTIVO PASSIVO DEL CAPO LUNGO DEL BICIPITE. A braccio addotto e retroposto si
contrasta la flessione attiva del gomito realizzando in tal modo una trazione attiva e passiva sul
tendine del bicipite.
TEST DI NEER . L’esaminatore e’ posto dietro al paziente che e ‘ seduto. La rotazione della
scapola e’ bloccata con una mano, mentre l’altra solleva il braccio del soggetto in avanti,
producendo una flessione anteriore e abduzione che creano un conflitto tra il trachite ed il bordo
antero inferiore dell’acromion
TEST DI YOCUM. La mano della spalla esaminata va posta sulla spalla controlaterale e si chiede
al soggetto di alzare il gomito senza sollevatre la spalla.. Si produce un conflitto tra trochite e parte
esterna del legamento coraco acromiale ed eventuale osteofitosi dell’articolazione acromion
claveare.
TEST DI HAWKINS. L’esaminatore, posto di fronte al paziente, portandogli il braccio a 90° di
flessione anteriore a gomito flesso di 90° imprime un movimento di rotazione interna articolazione
gleno omerale. Si produce cosi’ un conflitto tra il trachite e il legamento coracoacromiale.
ESAME DELLA MOTILITA’ PASSIVA
Se il paziente e’ incapace di eseguire in modo corretto i movimenti attivi si deve passare all’esame
dei movimenti passivi.
L’esame della motilita’ passiva esclude da ogni considerazione la variabile data dalla forza
muscolare, poiche’ e’ l’esaminatore che fornisce questa forza..
Se esiste un arresto di movimento questo puo’ essere intra o extra articolare.
Se l’arresto del movimento e’ elastico e cede leggermente aumentando la pressione, e’
probabilmente extraarticolare (parti molli); se invece l’arresto sembra invincibile e avviene
bruscamente, vi e’ probabilmente un arresto intraarticolare (osseo).
IL paziente deve essere assolutamente rilasciato durante questo esame, perche’ se egli e’ teso i suoi
muscoli saranno contratti e le sue articolazioni irrigidite e non permetteranno una completa
escursione articolare passiva.
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Trattamento conservativo
(dott. Fabio Demasi)
Per lunghi anni il trattamento conservativo è stato l’unica arma a disposizione di Ortopedici,
Reumatologi, Fisiatri e Generici per curare la spalla dolorosa nelle sue varie espressioni cliniche e
la cosidetta “periartrite scapolo-omerale in particolare e, sebbene le proposte alternative siano in
costante incremento, si può tranquillamente sostenere che esso è tuttora, almeno per alcuni aspetti,
ampiamente attuale. In particolare non si può disconoscere il ruolo importante che la terapia
conservativa riveste, per quanto concerne il suo significato antalgico, nella cura della spalla
dolorosa ad esordio acuto o subacuto, quando l’entità della sintomatologia dolorosa rende
improponibile ed inattuabile il gesto riabilitativo.
Cercherò pertanto di proporvi una concisa rassegna delle varie risorse, commentandone brevemente
in modo critico la attuale collocazione nell’ambito della strategia terapeutica. (Schema)
A)La terapia farmacologica
Alla luce della interpretazione etiopatogenetica tradizionale il panorama è dominato dai
farmaci antiflogistici (corticosteroidi e non):
è superfluo ricordarvi i rischi connessi all’uso indiscriminato e non protetto di questi preparati
ed in particolare del cortisone, farmaco prezioso per molteplici ragioni ma il cui impiego
sistematico nella patologia di cui ci stiamo occupando mi pare sproporzionato.
Nei casi ad insorgenza acuta con sintomatologia algica particolarmente intensa tuttavia i FANS,
in associazione o meno a farmaci più specificamente antidolorifici, rappresentano tuttora una
risorsa irrinunciabile. Nello schema vedete citati anche gli ansiolitici: è chiaro che il loro
impiego può essere indicato come coadiuvante della terapia antalgica qualora la componente
emotiva abbia un certo rilievo: ricordo a questo proposito come da più parti il fattore psicoemotivo venga evocato come elemento predisponente nelle spalle bloccate da capsulite adesiva.
Ricordo ancora, per una necessaria completezza espositiva, l’impiego di farmaci
immunosoppressori nel trattamento dell’artrite reumatoide in relazione al riconoscimento di un
meccanismo immunitario nella sua patogenesi.
Grande rilievo ha invece da molti anni l’uso topico dei medesimi farmaci e segnatamente dei
derivati corticosteroidei. L’argomento è da sempre assai controverso ed ingente è il numero sia
dei fautori che dei detrattori. Non intendo disconoscere il rischio connesso alla iniezione locale
di corticosteroidi in considerazione dei non indifferenti effetti indesiderati che tali sostanze
possono indurre sia a livello generale che locale. E’ bene precisare per quanto concerne gli
effetti negativi locali che questi sono più marcati se il farmaco viene iniettato nel contesto dei
tessuti rispetto all’iniezione endocavitaria o alla diffusione nell’ambiente immediatamente
circostante l’organo “bersaglio”. Va aggiunto a questo riguardo che i corticosteroidi possono
indurre nei tessuti di origine connettivale, quali quelli che costitutiscono la cuffia dei rotatori,
trasformazioni degenerative tali da ostacolarne i processi riparativi o la sutura nel corso di
interventi chirurgici. È questa una delle ragioni principali che inducono a limitare sia il numero
delle infiltrazioni che il dosaggio restringendo il campo delle indicazioni alle forme dolorose
con lesioni della cuffia assenti o di modesta entità. Ciò precisato, resta tuttavia innegabile che
,se vengono rispettate alcune condizioni quali l’indicazione corretta, la tecnica accurata, il
dosaggio limitato ed il rispetto rigoroso delle controindicazioni , la terapia infiltrativa
cortisonica rappresenta tuttora una importante risorsa terapeutica, in particolar modo nelle
forme acute iperalgiche.
Rammento ancora che per essere realmente efficace l’infiltrazione deve essere eseguita in
modo mirato così da portare la massima concentrazione del farmaco nella sede esatta del
processo patologico.(figura)
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L’intensa reazione dolorosa riferita frequentemente in passato è stata da tempo attenuata
mediante l’associazione del farmaco con anestetici locali; i quali vengono talora impiegati
isolatamente a scopo diagnostico.
Se tale tipo di trattamento merita l’attenzione che gli deriva da una elevata percentuale di
successi, non altrettanto si può dire del trattamento infiltrativo con altri farmaci , proposto da
alcuni per aggirare il problema della scarsa “maneggevolezza” del cortisone.
Fa eccezione l’iniezione intra-articolare di farmaci ad azione sinoviortesica (Rifampicina,
acido osmico, Atoxisclerol …)nelle artriti con imponente reazione sinoviale essudativa.
In alternativa al trattamento infiltrativo descritto molti medici prediligono la mesoterapia,
intendendosi per tale l’iniezione sottocutanea simultanea di FANS ed anestetici locali praticata
in aree più o meno estese della superficie corporea in corrispondenza della zona sede del
processo patologico responsabile della sintomatologia.
Credo che questo tipo di terapia, il cui vantaggio principale consiste nella scarsa invasività e
nella facilità di esecuzione, contrasti con quanto ho appena detto circa l’opportunità che il
farmaco sia erogato nella sede stessa della patologia.
B)La fisioterapia
Nel suo insieme la fisioterapia rappresenta il punto nodale del nostro incontro odierno e
certamente viene considerata diffusamente il trattamento di elezione delle patologie da noi prese in
considerazione.
Come certamente sapete essa comprende la terapia strumentale, vale a dire quella affidata
all’impiego di macchinari più o meno sofisticati che erogano varie forme di energia a scopo
terapeutico ed il cui ruolo è eminentemente sintomatico; e la terapia riabilitativa che invece
contempla l’intervento diretto di figure professionali quali sono i terapisti della riabilitazione ed ha
significato di trattamento causale . Quest’ultima ha assunto ai giorni nostri un ruolo preminente e
sarà oggetto di una particolareggiata trattazione nel pomeriggio. Io mi soffermerò invece sulla
terapia fisica che , nonostante abbia registrato recentemente un notevole calo di consensi , gode pur
sempre di una elevata considerazione non solo nell’opinione pubblica (leggi pazienti) ma anche a
livello di medicina generale .
La prima voce riportata nello schema riassuntivo fa riferimento alla terapia radiante, attuabile sia
con la Rontgenterapia classica a bassi dosaggi che con l’impiego di isotopi radioattivi (Cesio): si
tratta terapia ormai (e per alcuni purtroppo) in disuso il cui scopo era quello di interferire
negativamente sui processi flogistici, specialmente quelli iperplastici o essudativi, e sulle
trasformazioni tessutali degenerative che ne conseguivano. Le indicazioni corrette erano in realtà
assai limitate ma occorre dire che in alcuni e ben selezionati casi il risultato clinico era gratificante:
il che giustifica in qualche modo quel “purtroppo” di cui sopra.
Un ruolo tradizionalmente di assoluto rilievo ha invece la terapia con agenti termici intendendo
con tale termine sia il calore che il freddo. Quest’ultimo, realizzato o con l’impiego di ghiaccio o
con apparecchi per crioterapia, viene utilizzato per il suo effetto analgesico quasi esclusivamente
nelle forme acute iperalgiche di spalla dolorosa o nell’immediato postoperatorio.
Numerose sono invece le apparecchiature atte a produrre calore sia superficialmente (R. infrarossi)
che nel contesto dei tessuti interessati dalla patologia : ad un netto calo di utilizzo delle Onde Corte
(Marconiterapia) fa riscontro un uso ancora estensivo delle Micro-onde (Radar) e degli ultrasuoni.
Senza voler disconoscere una certa utilità di queste forme di energia termica, specialmente nelle
forme iniziali e di modesta gravità, riteniamo che gli effetti positivi siano comunque di limitata
entità e abbiano significato di terapia coadiuvante. Un certo successo pare avere recentemente
l’impiego di apparecchiature che convogliano in modo mirato il calore nella profondità dei tessuti
interessati dalla patologia utilizzando una sorgente di calore endogeno generata da onde
elettromagnetiche ed un sistema di termoregolazione esogena che provvede al raffreddamento dei
tegumenti e delle parti molli interposte (Ipertermia). Questo tipo di terapia viene impiegata dopo la
cessazione della fase acuta e contribuirebbe ad una ulteriore diminuzione della sintomatologia
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dolorosa attraverso una facilitazione dello scorrimento reciproco delle fibre collagene e quindi una
riduzione della rigidità articolare.
Maggior credito in tema di terapia antalgica viene riconosciuto alla elettroanalgesia, vale a dire
all’impiego di correnti elettriche opportunamente modificate e modulate per sfruttare la loro
capacità di interferire nei meccanismi di conduzione del dolore attraverso le fibre nervose.
L’elettrofisiologia ci è di soccorso nell’individuare le modalità di azione dei vari tipi di corrente:
questi possono agire modificando la soglia di percezione del dolore (correnti diadynamiche ed
interferenziali ) od intereferendo nel meccanismo di conduzione del dolore stesso attraverso le fibre
nervose sensitive (TENS) .Le correnti continue (galvaniche) vengono invece utilizzate allo scopo di
veicolare all’interno dei tessuti farmaci ad azione antiflogistica ed antalgica (jonoforesi).
Di più recente introduzione in terapia fisica strumentale è l’energia luminosa, nella fattispecie del
raggio Laser. Come molti di voi sapranno i tipi di Laser e di conseguenza le loro caratteristiche in
campo terapeutico dipendono dalle sostanze nel cui contesto viene generata la sorgente luminosa e
pertanto essi differiscono fra loro per potenza e penetranza. Nonostante l’impatto emotivo, indotto
forse dalla terminologia da guerre stellari, la risposta individuale dei pazienti alle varie terapie è
assai incostante e mutevole: ciononostante nella nostra personale esperienza i risultati sono assai
modesti per quanto si riferisce ai Laser ad Elio-Neon(He-Ne) ed Infrarossi (IR) e poco superiori per
quelli a CO2, verosimilmente per la scarsa capacità di penetrazione ; decisamente più incoraggianti
, ad un primo impatto, gli effetti antiflogistici ed analgesici ottenuti con i Laser a sorgente YAGNeodymio.
Un certo interesse, peraltro fugace, ha destato qualche anno fa l’uso terapeutico dell’ozono, cioè la
forma trivalente, instabile, dell’ossigeno, capace di liberare ossigeno “nascente”. Iniettato nei tessuti
interessati dalla patologia o in quelli ad essi circostanti, esso avrebbe la funzione di ripolarizzare la
membrana cellulare e di determinare localmente una rivascolarizzazione opponendosi ai processi
flogistico-degenerativi locali e contribuendo alla riparazione tessutale. Per essere sinceri questa
terminologia sa più di “depliant” pubblicitario che di realtà scientificamente documentata.
Interessante e senz’altro più attuale è la terapia con onde d’urto. Questa metodica, introdotta nella
pratica clinica inizialmente per il trattamento delle concrezioni calcaree a carico dell’apparato
urinario (calcoli), si basa sull’impiego di generatori di onde acustiche
(ultrasuoni nella
fattispecie) ad alta potenza e ad impulsi di elevata frequenza che, convogliate nel contesto dei
tessuti alterati, determinerebbero un triplice effetto:
-frammentazione e riassorbimento delle calcificazioni anomale
-riduzione della trasmissione del dolore a livello delle terminazioni nervose sia per
stimolazione diretta che attraverso la liberazione di sostanze neuromodulatrici che
modificano la percezione
-fenomeno della cavitazione a cui conseguono
neoangiogenesi e attivazione
biomolecolare con significato riparativo e trofico
L’indicazione principale all’impiego delle onde d’urto è costituita dalle cosiddette “periartriti
calcifiche” e dalle altre patologie dello spazio subacromiale in assenza di importanti lesioni dei
tendini della cuffia: secondo molti Autori infatti esse possono determinare un aggravamento di tali
lesioni.
Dubbio è invece il significato terapeutico che possono assumere in tema di “spalla dolorosa” le
onde elettromagnetiche (CEMP, campi elettromagnetici pulsati a bassa frequenza, più noti col
termine generico di “Magnetoterapia”), il cui impiego è invece sperimentato con un certo successo
in altre condizioni patologiche a carico dell’apparato locomotore.
Parrebbe riscuotere consensi ,del tutto recentemente, la Tecarterapia, della
quale non abbiamo esperienza diretta. La citiamo pertanto per completezza espositiva usando la
terminologia che ci è stata trasmessa.
La tecarterapia è una nuova forma di terapia che ha lo scopo di riattivare i naturali processi
riparativi e antinfiammatori del nostro organismo.
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La sede di lesione, interposta tra due elettrodi , viene attraversata da un campo elettromagnetico
che, mediante l’incremento della temperatura interna ripristina un metabolismo corretto attraverso
la rivascolarizzazione di tale zona. L’effetto biologico dato dall’attrazione delle cariche elettriche
verso l’elettrodo attivo mobile, si sviluppa esclusivamente nella zona di applicazione, grazie alla
possibilità di utilizzare tale terapia o con la modalità capacitativa (azione specifica sui tessuti molli),
o con la modalità resistiva (azione sui tessuti a maggiore resistenza quali ossa, cartilagini, grossi
tendini e aponeurosi). Tale trattamento risulta innocuo per la superficie cutanea, poiché la corrente
non è presente per contatto diretto ma solo indotta dall’interno dal movimento di attrazione e
repulsione delle cariche ioniche naturali. La tecarterapia ha lo scopo di ridurre rapidamente il dolore
e di restituire al paziente la normale funzionalità dell’articolazione attraverso la ricostruzione e la
restituzione ad integrum dei tessuti.
La Chirurgia della spalla
(dott. Donato Bardelli)
Fino agli anni 70 ed ai primi inizi degli anni 80 l’ortopedia e la Traumatologia per quanto
concerneva la patologia dell’articolazione clavicolo scapolo omero toracica prendeva in
considerazione solamente le lesioni scheletriche di origine traumatica o neoplastica, i fenomeni
distrattivi dell’articolazione scapolo omerale e le lesioni sottocutanee del capo lungo del tendine
bicipite.
E’ indubbio ,.soprattutto alla luce delle attuali conoscenze anatomo fisiologiche che questo
inquadramento clinico era del tutto insufficiente.
Soltanto con gli studi di De Palma, Kapandij, Rockwood e Neer si sono finalmente approfondite le
basi anatomiche, anatomofunzionali, fisiologiche e patologiche di questo complesso argomento
rappresentato dalla patologia della spalla umana.
Per quanto riguarda l’anatomia, la fisiopatologia, la semeiotica e l’inquadramento nosologico i
colleghi che mi hanno preceduto sono stati piu’ che esaurienti.
Cerchero’ quindi di inquadrare quelle che sono le basi teoriche , accompagnate da esaurienti esempi
pratici della scelta terapeutica chirurgica, rispondendo alle domande: COME? QUANDO?
PERCHE?
Il trattamento chirurgico e’ maturato nell’esperienza di tutti noi prima attraverso la pratica della
chirurgia aperta e poi solo dopo, e imprescindibilmente dopo questo training, attraverso la pratica
della chirurgia a cielo chiuso.
E questa evoluzione e’ legata non solo all’affinamento delle tecniche e della tecnologia, ma ad una
maturazione conoscitiva ed interpretativa delle patologie intrinseche della spalla e delle sue
possibilita’ riparative.
Neer che e’ stato il profeta del cielo aperto ha organizzato queste patologie e la loro soluzione
chirurgica in tre stadi successivi:
1) patologia infiammatoria della borsa con edema ed emorragia ( sotto i 25 anni) : bursectomia.
2) Fibrosi della borsa con alterazioni infiammatorie e degenerative dei tendini della cuffia (tra
1 25 e i 40 anni): bursectomia ed ev sutura della cuffia.
3) Rotture parziali o complete della cuffia associate ad alterazioni del profilo dell’acromion:
osteotomia dell’acromion e sutura della cuffia.
In questa classificazione che abbiamo a lungo seguito ed applicato non trovavano posto alcune
patologie quali le piccole, ma insidiose instabilita’ da lassita’ posteriore, le Slac, le borsiti calcifiche
senza lesione muscolare, le condromatosi articolari, le instabilita’ anteriori da lacerazione dei
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legamenti gleno omerali anteriori, le rigidita’ totali (frosen schoulder) da capsulite retroattiva, le
iperalgesie scapolo omerali da alterazioni della composizione biochimica del liquido sinoviale.
E’ solo con l’avvento delle tecniche artroscopiche , per definizione scarsamente invasive e non
demolitive associate a soluzioni in mini open, in co ablation, in lavaggi bursali a ph alcalino e a
ripristino delle stabilita’ articolari con inserzioni di viti e ancorette, che si e’ giunti, crediamo, a dare
una risposta quasi esaustiva ai problemi della patologia scapolo omerale.
Al di la’ di questo ,quando parliamo di patologie articolari rappresentate da gravi danni di tipo
degenerativo dei versanti cartilaginei ( Artrosi scapolo omerale con o senza eccentricita’ della
testa), dobbiamo menzionare il posto sempre piu’ importante che viene ad assumere la soluzione
protesica sia nella forma ordinaria sia nella forma invertita.
Tali tecniche ovviamente mutuate dall’esperienza eseguita su altre articolazioni maggiori ( es
ginocchio e anca) sono in pieno sviluppo sia dal punto di vista delle scelte strategiche, sia dal punto
di vista delle scelte tecnologiche.
La riabiltazione della spalla:
(ter. della Riabilitazione Augusto Morando, Anna Fungi )
Questo progetto riabilitativo si avvale di due protocolli, fortemente integrabili tra loro e separati
per motivi di chiarezza espositiva, in grado di offrire una valida risposta alle esigenze riabilitative
per le patologie della spalla.
Il primo protocollo, di tipo locale si promette di offrire in tempi prestabiliti un sufficiente
recupero dell’articolazione sofferente (scapolo-omerale), prima dell’articolarità passiva, poi della
mobilità attiva e relativo centraggio dinamico della cuffia dei rotatori.
Il secondo protocollo si propone di ricomporre strategie di movimento atte ad eliminare i
compensi che necessariamente convivono col processo morboso primario; questi
possono
manifestarsi con un infinità di sfumature, sia come causa del problema principale che come effetto
di una gestualità alterata da sintomatologie di varia natura.
Il recupero dell’attività motoria del cingolo scapolare non può essere considerato l’unico obiettivo;
la spalla costituisce solo uno dei molti vincoli (ed è il vincolo più complesso) attraverso i quali
l’energia cinetica viene trasferita alla mano ed oltre.
Questa argomentazione già da sola dovrebbe indurci ad interpretare secondo un criterio causale la
riabilitazione della spalla che deve essere intesa come parte di un unico sistema finalizzato al
perfetto uso delle nostre appendici prensili, che si tratti di gesto sportivo, attività manuale o solo di
gestione del baricentro durante la deambulazione.
Con queste premesse ci proponiamo di analizzare e recuperare la funzionalità corretta ed
armonica dell’arto superiore mediante l’attivazione sequenziale delle catene cinetiche e quindi al
reinserimento armonico in questo processo della spalla coinvolta nel processo patologico.
Protocollo n. 1
RIABILITAZIONE GLENO-OMERALE E SCAPOLO-OMERALE
Sono queste le due articolazioni bersaglio per questo protocollo; le indicazioni più frequenti
riguardano la rieducazione della spalla in seguito a lesioni della cuffia, impingement o in seguito ad
interventi minori di tipo prettamente conservativo. per la riabilitazione per interventi di chirurgia
maggiore fare riferimento ad altri protocolli).
I seguenti esercizi, anche se specifici cronologicamente per “patologia post-chirurgica” sono
determinanti come esordio terapeutico in caso di “spalla dolorosa primitiva”; la sequenza delle
tecniche è valida anche per la spalla non operata (anche se in tempi ridotti) in quanto spesso la
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sintomatologia dolorosa e le limitazioni dell’articolarità ci vincolano legittimamente al passaggio
ad esercizi più impegnativi. Il recupero e la verifica dell’ampiezza passiva di movimento sono un
preambolo indispensabile per ogni altro presupposto terapeutico. Una sufficiente ampiezza di
movimento passivo è quindi la miglior premessa per il successo. Una precoce approdo alla
muscolazione può invece innescare meccanismi di compenso o demodulare una catena cinetica che
così non potrà che portare altri squilibri.
Il dolore in questo caso é un “segno maggiore” ed è da tenere in grande considerazione; conoscerne
le cause è determinante perché queste condizionano l’indicazione stessa della rieducazione. Inoltre,
nel corso della rieducazione, il dolore ha caratteristiche migratorie e questo deve permetterci di
adattare il principio rieducativo, soprattutto in una spalla non operata; scelta e modulazione degli
esercizi dovranno quindi essere sempre alla portata dell’esecuzione del paziente.
Riabilitazione post-chirurgica
Riabilitazione spalla dolorosa primitiva (fase di esordio)
Il trattamento rieducativo deve avvenire attraverso le seguenti fasi cronologicamente
gerarchiche:
1. Recupero dell’articolarità passiva; é determinante l’approccio propriocettivo per
normalizzare l’ampiezza del movimento.
2. Verifica della mobilità attiva; recupero del centraggio dinamico.
3. Atletizzazione della spalla; controllo dei gradi estremi dell’ampiezza articolare
•
•
•
Recupero dell’articolarità passiva:
metodologia:
Rieducazione passiva
Esercizi di Codman
automobilizzazione
Rieducazione passiva:
La rieducazione passiva deve rispettare la soglia del dolore, stimolare il controllo propriocettivo ed
il corretto assetto posturale prossimo-distale. Viene inizialmente attuata in decubito supino con una
presa che permetta il controllo completo dell’arto. Durante la kinesiterapia passiva la componente
ascensionale della muscolatura del deltoide è assente quindi il conflitto funzionale è abolito.
Inoltre la cuffia dei rotatori non subisce tensioni e la capsula articolare viene progressivamente
stirata per tutta la sua ampiezza (evitando così capsuliti tardive).
Esercizi di Codman
•
•
•
da effettuare >3-4 volte giornalmente
devono ottenere effetto antalgico-miorilassante
un moderato peso può migliorare l’effetto percettivo del movimento
•
da ef
Esercizi di Codman
16
Automobilizzazione
L’automobilazzazione si ottiene per mezzo dell’arto controlaterale sui diversi piani del movimento.
L’intervento deve essere relativamente precoce ma deve seguire cronologicamente la kinesiterapia
passiva e gli esercizi di Codman.
Da effettuare per pochi minuti per > 4 volte al giorno.
Intrarotazione
autoassistita
Elevazione passiva e ritorno in posizione di
riposo (doloroso), posizione di partenza
allo zenith per poi produrre piccoli
movimenti
Extrarotazione autoassistita
Abuzione-adduzione
autoassistita
Stiramento capsulare autoassistito
Elevazione massimale
bilaterale autoassistita
(avanzata)
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Extrarotazione
massimale bilaterale
autoassistita (avanzata)
Autocentraggio assistito
(fase avanzata)
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Verifica della mobilità attiva; recupero del centraggio dinamico
I due problemi più comuni che possono limitare un recupero attivo sono:
• Instabilità dinamica dell’ articolazione
• Insufficienza della cuffia dei rotatori
Spesso i due fattori sono interdipendenti. La stabilizzazione dinamica può essere migliorata
eliminando i deficit di mobilità articolare diminuendo cosi le traslazioni articolari anomale e si
ottiene muovendo la cavità glenoidea sull’omero in un movimento.
L’attivazione della cuffia segue l’attivazione della muscolatura scapolare cosicché l’energia
sprigionata si ottimizza in uno stato di lunghezza tensione preciso ed adatto allo scopo.
Attraverso sollecitazioni sempre benigne applicate all’articolazione si deve ricercare un’adeguata
risposta delle strutture muscolari al fine di assorbire l’effetto destabilizzante anziché subirlo. Lo
sviluppo massimale di forza nella cuffia dei rotatori richiede guarigione dei tessuti, assenza di
dolore e assenza di conflitto articolare.
•
•
•
il passaggio dalla condizione precedente deve essere graduale
Inizialmente il movimento viene attivato passivamente dal terapista ed il paziente può
ricercare la co-conduzione partendo da posizioni in facilitazione, in moto eccentrico ed in
catena cinetica aperta.
Stabilizzazioni statiche in posizioni facilitanti e ritorno eccentrico (controllo dinamico)
Elevazione passiva a circa 150° (zenith)
Stabilizzazione
Ritorno alla posizione di partenza in modo progressivo
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Carrucola
Extrarotazione attiva
Test da parte del terapista
Posizione iniziale
facilitante
Stabilizzazione
Movimento eccentrico
Arrampicata sul muro
Straccio
3
Intrarotazione
Extrarotazione
presa
Atletizzazione della spalla; controllo dei gradi estremi dell’ampiezza articolare
Gli obiettivi sono:
1. rinforzo muscolare
2. adeguamento dei gradi estremi (personali) di movimento
3. adeguamento delle sinergie di movimento:
Rinforzo muscolare:
La vasta gamma di metodologie e la diversa tipologia dei pazienti non ci consente di elencare
ogni possibile esercizio ma la linea di condotta dovrebbe essere quella di richiedere al paziente
un’estrema variabilità di comportamenti gestuali, da semplici a complessi, con esercizi di
stabilizzazione isometrica, esercizi in pliometria, variazioni eccentriche-concentriche. Ne
elenchiamo solo alcuni:
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Lavoro con gli elastici
Eccentrico-concentrico
Lavoro con i pesi
Eccentrico-concentrico
Adeguamento dei gradi estremi di movimento e delle sinergie di movimento:
Sono strettamente correlati; infatti i gradi estremi di movimento coinvolgono diversi distretti:
• con l’elevazione del braccio l’estensione del tronco e l’apertura del torace
• con la retropulsione interviene il sostegno della flessione del tronco e chiusura del torace
• l’abduzione determina una inclinazione laterale dorsale delle coste opposte ed apertura
dell’emitorace omolaterale
• l’adduzione coinvolge un’inclinazione laterale delle coste dallo stesso lato e chiusura
dell’emitorace
• le rotazioni determinano rotazione del rachide
Un precoce lavoro di “appoggio” a questi movimenti può essere segno cattiva informazione
propriocettiva , di risparmio gestuale o disturbi della catena cinetica.
Questo protocollo è molto conosciuto ed è attualmente usato nei reparti di fisioterapia di tutto il
mondo. La teoria è molto semplice: in caso di decorso post-operatorio l’esercizio è di tipo
esclusivamente passivo per tutelare i tessuti in via di cicatrizzazione; tali manovre eluderanno il
deteriorarsi delle cartilagini per scarsa lubrificazione, eviteranno le retrazioni muscolari ed
inculcheranno stimoli propriocettivi adeguati nel paziente. Il recupero attivo sarà graduale, nel
rispetto del dolore e della fisiologia estrema del movimento fino a raggiungere lo stato di sufficiente
benessere.
Il medesimo protocollo si adatta anche quale primo approccio terapeutico nei casi di spalla dolorosa
semplice, subacuta o post-acuta in cui il dolore ,ancora presente in misura rilevante, impedisce
l’attuazione di strategie kinesiterapiche più complesse ed impegnative. In tal senso esso ha come
fine specifico il recupero dell’escursione articolare passiva ed una regressione del dolore sufficiente
per proseguire l’iter terapeutico secondo il protocollo integrato che costituisce l’argomento
centrale di questo incontro.
Il limite principale di questo programma è però quello di non prendere in esame la complessità del
movimento della spalla come parte di una catena cinetica ben identificabile; il recupero avviene più
per sollecitazione locale che per sequenze coordinate mirate al recupero della funzionalità globale.
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Protocollo integrato
LE CATENE CINETICHE E LA RIEDUCAZIONE DELLA SPALLA
La complessa funzione che la spalla riveste (stabilizzazione nel caso in cui l’arto superiore debba
esprimere forza e licenza di ampiezza di movimento) induce a considerare come determinanti per il
recupero due fattori :
•
•
La diagnosi completa ed accurata di tutte le alterazioni strutturali della catena cinetica
disarmonica
La richiesta di attivazione di tutti i segmenti della catena cinetica al fine di ripristinare
interazioni esistenti prima dell’insorgere della patologia.
Abbiamo provato a pensare, indipendentemente dai problemi legati o meno ad un approccio postoperatorio, di attuare una tecnica rieducativa comune basata sulla stimolazione del circuito
neuro-motorio nella sua totalità, capace di ripristinare efficienza, armonia e automatismi di
protezione.
Questo programma riabilitativo si ispira al concetto di catena cinetica; consiste infatti
nell’applicazione di un modello prossimo-distale e propone concetti di controllo motorio in
catena cinetica chiusa. Esso ha come scopo ultimo il ripristino della motilità e della funzionalità
dell’articolazione scapolo-omerale-omerale attraverso la facilitazione ottenuta con l’attivazione di
segmenti corporei. motori e stabilizzanti, prossimali.
Le catene cinetiche
Una catena cinetica è formata da vari segmenti corporei contigui e collegati fra loro che, in
movimento e non, realizzano l'armonia di un gesto. Se consideriamo in questo modo qualsiasi
movimento atletico, si può immaginare come complessa ne sia la valutazione e come molti fattori
possano alterarne gli equilibri.
Un gesto armonico è generato da una somma di impulsi atti a favorire, con una precisa successione
prossimo-distale la piena utilizzazione della catena cinetica stessa. Questo meccanismo muscolare è
costantemente sottoposto ad autoverifica in termini di efficienza, controllo, assenza di dolore.
Non tutti i muscoli sono però votati indifferentemente alla stessa funzione; esiste una vera e propria
gerarchia con la quale il sistema nervoso si organizza per garantire dapprima le funzioni più
importanti e poi, in modo subordinato, quelle “meno rilevanti”.
Riconosciamo ad alcuni muscoli un’attività quasi costante, addirittura permanente; altri invece si
contraggono molto raramente, alcuni addirittura mai per il mantenimento ad esempio della stazione
eretta (una delle funzioni più importanti da mantenere integre). E’ ovvio quindi pensare che
evolutivamente i diversi gruppi muscolari si siano organizzati per svolgere al meglio e soprattutto in
modo economico queste diverse funzioni.
Semplificando esistono quindi almeno 2 tipologie di tessuto muscolare: una di tipo statico ed una
di tipo dinamico, con ovviamente molteplici “sfumature” tra loro.
La muscolatura statica (generalmente prossimale) è prevalentemente fibrosa; questo aumenta le
sue capacità di resistenza e possiede un forte tono di base.
Tenere la stazione eretta è talmente essenziale che i muscoli statici rappresentano quasi il 65% di
tutta la muscolatura e molti non cessano mai la loro attività neanche a riposo; é uno straordinario
sistema che garantisce stabilità e armonizzazione all’ intera struttura. Nella nostra immobilità
relativa, i muscoli statici ci tengono in piedi attraverso un sistema di autoregolazione e permettono
21
spostamenti con la loro contrazione: la muscolatura statica, coadiuvata dai legamenti, privilegerà
sempre la funzione essenziale di modulare i movimenti in frenata (movimento eccentrico).
La muscolatura statica quindi:
• Ha selettivamente un ruolo antigravitario ed un ruolo sospensorio dei cingoli.
• E’ in attività tonica quasi permanente. Per questo, possiamo affermare che questo tipo di
muscolatura tende all’accorciamento e produce micro e macro alterazioni strutturali,
posturali e biomeccaniche.
I muscoli della dinamica agiscono in "contrapposizione-coazione"; sono meno fibrosi ed hanno
minore tono perché sufficiente alle loro necessità: terminata la contrazione, giacché non sono
indispensabili alla posizione eretta, ritornano allo stato di decontrazione naturale.
Quindi:
• Non hanno ruolo antigravitario, non hanno attività tonica costante.
• Sono muscoli che non esercitati tendono all’ipotonia. E’ il concetto di debolezza che tutti
conosciamo.
• In stretta attinenza con le enunciazioni precedenti il seguente programma motorio proposto
integra ed attiva sequenze cinetiche di tipo:
• Postura-specifiche(Funzione statica)
• Movimento-specifiche(Funzione dinamica )
• Funzione-specifiche (Funzione propriocettiva)
Tenuto conto di tali presupposti il protocollo riabilitativo per qualsiasi soggetto, sportivo o non,
deve prevedere le medesime fasi, essendo connaturate alla fisiologia umana, che siano frutto di
atletismi esasperati o del semplice interagire con il quotidiano:
PRESUPPOSTI SPECIFICI:
Diagnosi completa ed accurata
Nella maggioranza dei casi, il fattore primario che conduce il paziente verso un programma
riabilitativo della spalla è costituito da una sindrome algico-disfunzionale successiva ad un evento
traumatico, ad un intervento chirurgico o ancora ad una patologia primitiva dello spazio
subacromiale.
Il quadro clinico può essere espressione di lesioni muscolo-tendinee o articolari (in particolare
capsulo-legamentose) in grado di generare oltre al dolore anche alterazioni della stabilità e della
cinetica della spalla stessa. Frequentemente però il momento traumatico può risultare
apparentemente irrilevante o assente ed i sintomi clinici e disfunzionali descritti possono
manifestarsi in modo spontaneo, talora anamnesticamente collegati a patologie situate in altre sedi
anche distanti (colonna, bacino ecc.).
Le alterazioni più comuni sono:
• limiti che determinano anomalie nei reciproci movimenti gleno-omerali
• limiti nella elevazione e abduzione nei gradi estremi
• deficit di forza ed alterazioni nell’assetto posturale della scapola (discinesia scapolare) che
sconvolgono la linearità e la scioltezza nei movimenti combinati di scapola ed omero.
Queste anomalie sono presenti nella maggioranza dei pazienti affetti da patologia post-traumatica o
non traumatica della spalla, particolarmente nelle sindromi definite da ”impingement”.
E’ importante sottolineare che fra le alterazioni a distanza sono da annoverare:
• perdita di flessibilità ed indebolimento della muscolatura lombare >(40%)
• perdita di flessibilità di anca (34%) e ginocchio.
22
Quanto descritto implica la necessità di un approccio diagnostico e terapeutico variabile ed
estensivo poiché la sede dei sintomi può essere considerata “vittima” ma tra i colpevoli possono
essere incluse alterazioni di altre sedi della catena cinetica.
Possiamo quindi, attenendoci alle ipotesi avanzate, stabilire un rapporto di interdipendenza tra i
vari segmenti corporei che cooperano all’attività motoria dell’arto superiore ed impostare la
valutazione come segue:
•
•
•
Valutazione posturale mirata al controllo scapolare, con particolare riguardo ad eventuali
accorciamenti muscolarii
Valutazione funzionalità gleno-omerale, acromion-clavicolare e sterno-clavicolare
Ricerca di possibili compensi motori e gestuali qualora sussista l’impossibilità di ripristino
di un movimento naturale
a) Valutazione posturale mirata al controllo scapolare
La valutazione deve testare la postura del tronco e delle anche e della forza muscolare correlata
alla loro funzione. (variazioni posturali in stazione eretta, ampiezza di movimento delle anche,
flessibilità del tronco, stabilità in appoggio monopodalico, assetto del tronco in tale situazione.
Qualsiasi anomalia deve essere registrata.
anteriorità
posteriorità
biotipi
b)Valutazione funzionalità scapolare:
Osservare la scapola in condizioni di riposo, rilevando asimmetrie in base al rilevamento di punti di
repere scheletrici.
L’anomalia più frequente e la prominenza del profilo infero-mediale a cui si associa una
inclinazione rotatoria anteriore di coracoide ed acromion; prominenza dell’intero margine mediale
che simula una scapola alata oppure una traslazione superiore dell’intera scapola che determina
sporgenza dell’angolo supero-mediale.
L’esame dinamico comprende la valutazione della stessa asimmetria con l’arto abdotto e in
flessione anteriore, sia nella ascesa che nella discesa.
L’esame della forza muscolare si avvale del test di retropulsione del tronco con appoggio delle
mani alla parete e del test di scorrimento laterale della scapola (asimmetrie superiori a 1,5 cm dopo
la valutazione ad arti pendenti, mani ai fianchi ed arti superiori abdotti hanno rilevanza clinica).
23
c) Valutazione funzionalità gleno-omerale ed acromion-clavicolare
Rilevare la rotazione interna ed esterna della gleno-omerale
che dal punto di vista biomeccanico rappresenta un’importante componente della rotazione della
spalla, testando la rotazione omerale a scapola stabilizzata (paz.supino)
La valutazione complessiva deve includere i test standard per l’instabilità, per le lesioni della
cuffia e lesioni interne all’articolazione.
E’ determinante rilevare alterazioni nell’articolazione acromion-clavicolare per accertare eventuale
artrosi od instabilità.
RIABILITAZIONE DELLA CATENA CINETICA
- Esercizi postura-specifici
(la scapola è da intendere come “il segmento distale della catena cinetica”, quindi sono praticabili e
consigliati anche in fase post-operatoria precoce anche con l’arto nel tutore ad amaca)
La funzione ottimale di spalla ed arto superiore dipende dai segmenti prossimali della catena
cinetica (arti inferiori, bacino, colonna).
Se tali segmenti presentano variazioni posturali, flessibilità o forza devono essere corretti nelle
fasi precoci del recupero, condotti anche in fase preoperatoria dato che non sono strettamente
correlati al carico funzionale della spalla.
Se questi si avvicinano alla normalità bisogna avvalersi di tale potenzialità per iniziare l’attivazione
della spalla e dell’arto superiore.
Nelle fasi precoci della riabilitazione i muscoli della spalla (quelli inibiti o lesionati) necessitano di
un alto grado di facilitazione; il ruolo di controllo e di attivazione dei segmenti prossimali risulta
quindi essere determinante per un recupero armonico.
Tutti gli esercizi vengono iniziati in stazione eretta implicando il ruolo attivo dell’estensione
dell’anca. Movimenti diagonali che comprendono la rotazione del tronco facendo perno sull’arto
inferiore simulano normali schemi di lancio.
Nella fase intermedia della riabilitazione, quando la spalla è pronta al carico funzionale, gli schemi
possono includere movimenti dell’arto superiore come parte terminale dell’esercizio.
ESECUZIONE PRATICA
Tali esercizi includono
• Discesa ed ascesa da un gradino con il tronco esteso
• Affondi in avanti e laterali
• Accovacciamento su uno o entrambi gli arti inferiori
• Flesso-estensioni anche con rotazioni del tronco
Devono essere eseguiti con appoggio su superficie stabile per poi progredire con appoggio su
piano instabile per incrementare l’input propriocettivo.
Squat in
monopodalismo
24
Discesa ed ascesa da un gradino
Cavatappi
RIABILITAZIONE SCAPOLARE
Da postura-specifici a movimento-specifici
(l’intervento della muscolatura della cuffia varia da “nullo” a “minimo”)
Un’attivazione corretta della muscolatura scapolare permette una corretta mobilità ed un corretto
posizionamento della scapola, mantenendo nel contempo il centro di rotazione della gleno-omerale
costantemente adeguato ai movimenti dell’ arto superiore.
Il movimento multiplanare della scapola (retroposizione, anteroposizione, elevazione) mantiene il
proporzionato rapporto tra allungamento e tensione della cuffia dei rotatori, migliorando la
produzione di forza e riducendo la richiesta energetica alla cuffia stessa.
L’attivazione della muscolatura scapolare precede quella della cuffia dei rotatori; un deficit di
controllo scapolare, la cosiddetta “discinesia scapolare”, è riscontrabile precocemente nelle
patologie della spalla ed è molto spesso associata ai traumatismi della spalla stessa. E’ causata da
inibizione della contrazione muscolare combinata, volta ad abbassare, elevare, anteporre o posporre
la scapola alterando gli schemi di attivazione muscolare. I fasci inferiori di trapezio e dentato
anteriore paiono essere quelli maggiormente interessati dall’inibizione mentre la parte superiore del
trapezio è quella più frequentemente sovra-attivata. Questa situazione dà origine
alla
manifestazione più comune della discinesia scapolare, cioè deficit o effettiva retrazione scapolare
con tendenza alla retroposizione. La scapola retratta tende anche ad inclinarsi verso l’avanti, con
l’esito di abbassare l’acromion ed inclinare anteriormente la glenoide; da questo risulta un
impingement sia interno che esterno ed un incremento dello stiramento del legamento glenoomerale antero-inferiore.
ESECUZIONE PRATICA
Per facilitare il controllo scapolare vengono impiegati schemi di estensione del tronco e delle anche.
Gli esercizi per il controllo scapolare possono essere iniziati anche nel periodo pre-operatorio o in
fase precoce post-operatoria poiché non richiedono movimenti di spalla o dell’arto superiore.
Adattamenti nella posizione del braccio o del relativo carico funzionale possono intervenire mano a
25
mano che il processo di guarigione della spalla procede; gli esercizi di controllo scapolare
dovrebbero essere proseguiti per tutta la fase intermedia del recupero nonché durante il periodo
della riabilitazione sport-specifica.
Gli esercizi della fase precoce mirati al recupero del controllo della retrazione scapolare
comprendono
• estensioni del tronco e dell’anca omolaterali e controlaterali
• rotazioni diagonali anca tronco
• contrazioni isometriche della scapola
Schema di
estensione
dell’anca e
rotazione
del tronco
Schema di
rotazione
anca spalla
Possono essere eseguiti anche con tutore ad amaca.
Quando viene concessa la mobilizzazione dell’arto superiore oppure nei casi non chirurgici, un
esercizio altamente efficace per iniziare la retroposizione-abbassamento della scapola è costituito
dal “vogatore basso”, che prevede l’estensione del tronco, la retrazione della scapola e l’estensione
della spalla con il braccio lungo il corpo. Può essere iniziato come lavoro isometrico e proseguito in
modo isotonico, concentrico ed eccentrico (la muscolatura della cuffia è solo marginalmente in
funzione).
Vogatore basso
Estensione di anca e tronco
Retroposizione della scapola:
la contrazione deve essere avvertita a
livello infero-mediale
“L’orologio scapolare” può essere eseguito se la spalla è libera da tutela e consiste nell’alternarsi di
elevazione-abbassamento e retroposizione-anteposizione con la mano poggiata ad una parete o
supporto mobile. (Studi elettromiografici hanno dimostrato che durante l’esecuzione di tali esercizi
non vi è attivazione deltoidea; l’attivazione della muscolatura della cuffia risulta compresa tra valori
minimi e moderati per cui sono praticabili precocemente).
Orologio scapolare:
elevazione-depressione
Orologio scapolare:
retrazione-avanzamento
26
- Esercizi Funzione-specifici:
L’ attivazione della muscolatura della cuffia è cronologicamente sequenziale all’attivazione della
muscolatura scapolare cosicché l’energia prodotta dal gesto si ottimizza in uno stato di lunghezza
tensione preciso ed adatto allo scopo.
Con sufficienti stimoli si deve ricercare un’adeguata risposta delle strutture muscolari al fine di
assimilare l’effetto destabilizzante del movimento. L’esecuzione pratica degli esercizi in questa
fase è sovrapponibile alla fase della “Verifica della mobilità attiva e recupero del centraggio
dinamico” del protocollo semplificato; l’attenzione prestata in precedenza ai meccanismi prossimodistali, qualora si fossero rivelati deficitari, indurrà un corretto reclutamento della muscolatura
lesionata ed un’armonico meccanismo di riproduzione del movimento stesso. Il reclutamento
massimale la cuffia dei rotatori necessita di guarigione completa dei tessuti ma grazie ad una
corretta impostazione delle catene cinetiche prossimo-distali il paziente potrà mettere in atto tutti i
servomeccanismi di controllo necessari. Durante l’esecuzione da parte del paziente di facili
movimenti attivi dovrebbe essere valutata la percezione del paziente rispetto al:
•
•
•
•
•
controllo della posizione scapolare quando si muovono le braccia
l’autonomia del movimento della scapola rispetto al movimento del braccio
l’autonomia del movimento delle braccia rispetto al movimento della scapola
l’autonomia della colonna cervicale rispetto ai movimenti scapolali ed omerali
la coordinazione e la differenziazione rispetto alla pertinenza di ogni singolo segmento
In conclusione QUALE PROTOCOLLO ADOTTARE?
La scelta corretta è: entrambi.
Non esiste una scelta preferenziale per uno dei due protocolli descritti; la decisione andrà valutata
di volta in volta in base alle diverse esigenze e alle prospettive ed i tempi del nostro intervento;
dolore “locale”, variazioni del ritmo scapolare e componente discinetica coesistono quasi sempre
e possono indifferentemente confonderci o aiutarci. I due programmi, integrabili fra loro, sono
proponibili per una vasta fascia di patologie.
Per completezza espositiva vale la pena ricordare che, laddove esista una struttura adeguata, molti
esercizi del programma riabilitatvo possono essere eseguiti in piscina, specialmente nelle fasi più
precoci e delicate del programma di recupero.
In definitiva, come esposto in precedenza, i protocolli riabilitativi da noi adottati si propongono
come approccio universale, nel senso che sono proponibili per una vasta fascia di patologie della
spalla differendo da un caso all’altro soprattutto nei tempi dell’approccio, precoci nelle patologie
minori, più o meno dilazionati nelle situazioni complesse.
Inoltre il programma riabilitativo, sia dal punto di vista della valutazione preliminare che da
quello prevalentemente esecutivo, riconosce molta importanza alla postura come elemento
integrante del movimento specifico.
Questa interpretazione apre uno spiraglio su un particolare capitolo della moderna riabilitazione:
la rieducazione posturale. Varrà la pena, in sede di dibattito ed approfittando della partecipazione
al corso di alcuni colleghi esperti in questa metodica di addentrarci maggiormente nell’argomento.
Un analogo discorso puo essere fatto per quanto riguarda altre proposte terapeutiche (Cyriax,
Bienfait ecc.) ed in particolare al trattamento manipolativo nella sua accezione più attuale:
l’osteopatia.
Utile sarebbe determinare in quale misura e con quali limiti queste metodiche impropriamente
dette alternative, possono essere associate ai protocolli riabilitativi da noi proposti e con essi in
integrarsi
27
Strategie terapeutiche correlate alle singole patologie:
1- SPALLA DOLOROSA PRIMARIA:
Spalla iperalgica acuta:
•
•
•
•
Riposo, ghiaccio
Antiflogistici per via generale e/o infiltrativi
Fisioterapia strumentale antalgica
Dopo attenuazione del dolore programma semplificato. Infine trattamento riabilitativo
integrato.
Spalla dolorosa cronica (impingement); spalla instabile e discinetica:
•
Programma come descritto nel secondo protocollo
Capsulite adesiva:
•
•
•
Mobilizzazione passiva dolce e progressiva
Terapia antalgica
Solo in fase tardiva programma riabilitativo integrato, scegliendo la strategia più opportuna
2- SPALLA POST-CHIRURGICA
Acromionplastica artroscopica:
•
•
Mobilizzazione passiva dolce precoce
Mobilizzazione attiva e protocollo riabilitativo semplificato, passando successivamente a
quello integrato
Acromionplastica a cielo aperto:
•
Medesimo iter cronologico ma con tempi molto prolungati per in attesa della
cicatrizzazione.
Interventi di stabilizzazione (spalla instabile per lussazioni-sublussazioni recidivanti):
•
•
•
Riposo per 2 settimane
Mobilizzazione passiva (no extrarotazione-abduzione >90°)
Dopo la quarta settimana protocollo riabilitativo integrato
Protesi di spalla:
•
•
•
•
•
Breve immobilizzazione
Esercizi pendolari secondo Codman
Dalla terza settimana mobilizzazione passiva dolce e graduale
Graduale passaggio alla mobilizzazione attiva assistita
Programma mirato alla ricerca di strategie motorie e funzionali basate sull’attivazione della
muscolatura extra-articolare in funzione vicariante
28
Nursing
(dott.Fabio Demasi)
Negli ultimi anni, con l’incremento nel numero di interventi chirurgici di spalla e soprattutto a causa
dell’aumento del numero di ricoveri nei reparti di rieducazione funzionale, è diventato
indispensabile porre una maggiore attenzione verso il ruolo dell’infermiere fin dall’immediato postoperatorio.
Egli dovrà innanzitutto controllare la ferita chirurgica e provvedere alle medicazioni che
generalmente vengono eseguite ogni due giorni.
Il corretto utilizzo dei tutori ed un’adeguata postura del malato al letto sono inoltre momenti
fondamentali nell’iter terapeutico-riabilitativo del paziente operato di spalla.
Nella chirurgia artroscopica protesica ed in quella traumatologica, vengono principalmente utilizzati
due tipi di tutori che l’infermiere deve conoscere e saper utilizzare:
1. reggibraccio con arto superiore allineato lungo il tronco e gomito flesso a 90°
2. tutore con arto superiore in abduzione a 30°(posizione di riposo della spalla)e gomito flesso
Nel posizionare questi tutori vi sono alcuni accorgimenti da rispettare:
¾ evitare elevazioni eccessive della scapola che potrebbero provocare una contrazione
del trapezio e conseguente comparsa di dolore
¾ utilizzare vestiti morbidi, comodi, di facile indossabilità
¾ evitare l’utilizzo di reggiseni
¾ evitare la retroposizione della spalla al letto in posizione supina posizionando un
cuscino sotto la scapola
¾ evitare che la mano sia posta in posizione più caudale rispetto al gomito
Per evitare la stasi venosa periferica si deve educare il paziente ad eseguire mobilizzazioni attive
dell’articolazione radio-carpica e delle dita della mano soprattutto in apertura/chiusura, per facilitare
il deflusso venoso
Le ultime diapositive mostrano un esempio di come è possibile aiutare il paziente nel vestirsi e nello
spogliarsi
29
Data
Cognome
Nome
Nome
Diagnosi
Attiva
°
Passiva
°
Attiva
°
Passiva
°
Attiva
°
Passiva
°
Attiva
°
Passiva
°
Attiva
°
Passiva
°
30
Considerazioni sul ruolo della diagnostica per immagini nello studio della spalla dolorosa non
traumatica
(Dr Davico Marco)
Le moderne necessità cliniche impongono un sempre più preciso inquadramento diagnostico che
consenta di documentare la morfologia anatomica e la funzionalità articolare della spalla, mettendo
in evidenza la eventuale presenza di una patologia e l’entità della stessa ponendola in relazione
all’esame clinico obiettivo e alla sintomatologia soggettiva descritta dal paziente.
Essendo la spalla una articolazione complessa in cui una unità funzionale muscolare (la cuffia dei
rotatori) entra in un intimo contatto anatomico con gli altri componenti articolari scheletrici,
capsulo-legamentosi e di sostegno, si ingenera la necessità di effettuare uno studio per imaging
integrato con l’utilizzo di più metodiche complementari sia per le caratteristiche pratiche di
applicazione, che per la sensibilità precipua di ciascuna metodica, atta a visualizzare le varie
componenti anatomiche-funzionali articolari.
Nella seguente trattazione valuteremo singolarmente le possibilità di impiego di ciascuna delle
metodiche di diagnostica a nostra disposizione chiarendo anche in conclusione la loro successione
in un ideale algoritmo applicativo clinico-pratico.
LA RADIOGRAFIA DI SPALLA
È il metodo a nostra disposizione sicuramente più vecchio, ed è quello di più semplice attuazione
essendo le apparecchiature radiologiche utilizzate ben diffuse ed essendo la metodica di esecuzione
un patrimonio clinico culturale ormai consolidato.
Lo studio radiografico della spalla deve essere effettuato in ortostatismo con centraggio
radioscopico che consenta di proiettare l’acromion-claveare in modo che entrambe le componenti
articolari giacciano sullo stesso piano, il paziente deve essere fatto ruotare in obliquità facendo
perno per così dire con la spalla sul piano sensibile in modo che il fascio radiante sia tangente alla
glena scapolare.
Le proiezioni necessarie per uno studio corretto della spalla in un soggetto con spalla dolorosa non
traumatica sono tre:
in antero-posteriore in intrarotazione omerale,
in antero-posteriore in extrarotazione omerale,
in out-let view.
Lo studio radiografico della spalla ci consente di ottenere una corretta valutazione anatomica delle
sue componenti scheletriche e dei loro reciprochi rapporti articolari, in particolare dell’ampiezza del
piano di scorrimento sotto-acromiale, della presenza di osteofiti sotto-acromiali, della eventuale
presenza di morfologia acromiale predisponente alla sindrome da attrito sub-acromiale; per contro
ci da solo una valutazione indiretta del trofismo delle componenti muscolo fasciali capsulari e
bursali, attraverso l’eventuale reperimento di calcificazioni dei tessuti peri-articolari eventuale
espressione di patologia degenerativa della cuffia dei rotatori o della borsa di scorrimento subacromiale deltoidea.
La radiografia correttamente eseguita ci consente di escludere comunque patologie di altra natura
eventuale causa di dolore scapolo-omerale (lesioni traumatiche ossee misconosciute, lesioni
produttive ossee, segni indiretti di localizzazioni stropatiche).
31
L’ECOGRAFIA DI SPALLA
È un metodo relativamente moderno di semplice attuazione per la sua scarsa invasività, ma che
necessità di una significativa esperienza clinica applicativa da parte dell’operatore e di uno
strumentario adeguato (sonda ecografia lineare da 10 Mhz) per ottenere dei risultati attendibili.
L’ecografia ci consente di documentare in maniera esauriente il trofismo della cuffia dei rotatori
potendo stadiare attendibilmente eventuali lesioni complete ed incomplete derivanti da attrito subacromiale, distinguendo il semplice edema tendinosico dalla lacerazione parziale e completa
dell’inserzione miotendinea identificando il tratto lesionato con la pertinenza muscolare specifica
del sovraspinato o sottospinato o sottoscapolare; buona anche la documentazione di eventuali
lesioni associate e sovrapposte a carico del tendine del capo lungo del bicipite brachiale.
L’ecografia inoltre ci consente di ottenere notizie dirette del piano di scorrimento sotto-acromiale
valutando la presenza di versamenti o di segni di borsite sub-acromiale sia in fase acuta che cronica.
Difficle la quantificazione delle calcificazioni peri-articolari per la quale deve essere completata in
alcuni casi da una radiografia.
L’ecografia resta pertanto il metodo diagnostico documentativo elettivo sia da utilizzare nel followup di una lesione della cuffia dei rotatori di entità già nota in un paziente curato con metodiche non
invasive, che in prima istanza in un paziente in fase di studio pre-terapeutico volendo ottenere un
primo attendibile bilancio, sia pur sommario.
Per contro l’iconografia di accompagnamento dell’esame ecografico è spesso scarsamente
esauriente e suggestiva per la scarsa panoramicità intrinseca alla metodica, la quale presenta dei
limiti evidenti nella documentazione di eventuali alterazioni del trofismo scheletrico spesso
correlate alle sindromi dolorose per attrito sub-acromiale, per quest’ultimo motivo l’ecografia ci
consente di documentare la presenza di una lesione della cuffia dei rotatori, ma non ne documenta
la causa.
LA TAC DI SPALLA
È una metodica in disuso nello studio della spalla dolorosa non traumatica per una serie di motivi
specifici:
non aggiunge nulla di significativo a quanto rilevabile da una ecografia in associazione ad una
radiografia di spalla,
rimane un esame invasivo in quanto necessita della somministrazione del mezzo di contrasto per via
endo-articolare con metodica artro-pneumografica,
la sua panoramicità descrittiva è limitata dalla possibilità di valutare la spalla in maniera adeguata
su un solo piano dello spazio: il trasverso.
LA RISONANZA MAGNETICA DI SPALLA
E’ la metodica di studio più recente.
La Risonanza Magnetica (RM) ci consente di effettuare una esauriente valutazione anatomica e
strutturale di tutti i componenti articolari: i muscoli rotatori, il piano di scorrimento sotto-acromiale
e la sua borsa, i segmenti scheletrici e l’apparato capsulo-legamentoso.
Attraverso lo studio integrato nei tre piani dello spazio è possibile stadiare le lesioni della cuffia dei
rotatori (estensione ed entità della lesione, trofismo residuo del muscolo leso) e valutare la
conformazione anatomica acromion-claveare, riconoscere e localizzare correttamente dal punto di
vista anatomico le calcificazioni sub-acromiali dimostrare la presenza di artrofibrosi capsulare
acromion-omerale e di anomalie di decorso di alcuni legamenti come il coraco-acromiale generanti
attrito meccanico con l’unità funzionale della cuffia.
Le nuove sequenze con elevato gradiente di risoluzione ci consentono di valutare stati flogistici
irritativi dell’inserzione della cuffia che precedono il danno organico effettivo, tali sequenze inoltre
non rendono più necessaria la somministrazione del mezzo di contrasto paramagnetico per via
endo-articolare.
32
L’unico fatto sfavorevole della metodica RM è il suo alto costo che relega attualmente tale
metodica tra gli accertamenti diagnostici di seconda scelta in pazienti selezionati o di prima scelta
in pazienti con complicazioni o recrudescenza della sintomatologia in fase post-chirurgica.
LINEE GUIDA DI INTEGRAZIONE DELLE METODICHE DI DIAGNOSTICA PER
IMMAGINI NELLO STUDIO DELLA SPALLA DOLOROSA DA ATTRITO SUBACROMIALE
Le due metodiche applicabili in prima istanza in un paziente sofferente per una sospetta sindrome
da attrito sub-acromiale restano la radiologia e l’ecografia di spalla, se tali accertamenti dimostrano
un quadro di una certa gravità sarà necessario ricorrere alla RM, anche in previsione di un
intervento chirurgico, se il quadro offerto dalle prime due metodiche è tale da consigliare un
trattamento conservativo sarà necessario effettuare un follow-up mediante ecografia, riservando la
RM solo ai casi con un successivo e significativo peggioramento clinico.
La RM infine è la metodica di I scelta nel valutare i pazienti operati con scarso beneficio o con
relativo peggioramento della sintomatologia dolorosa funzionale della scapolo-omerale.
CONCLUSIONI
Le moderne metodiche di diagnostica per immagini ci consentono attualmente di diagnosticare e
monitorare nel tempo le alterazioni morfologiche ed organiche correlate ad un avvenuto danno
funzionale articolare, nel futuro forse sarà possibile documentare esaurientemente l’alterazione
funzionale articolare che precede il danno anatomico attraverso lo studio preventivo di soggetti
inquadrati in categorie a rischio selezionate dai clinici.
33
Questionario
1)Con quale termine generico veniva e viene ancora indicata la patologia flogistico-degenerativa
della spalla?
-spalla dolorosa
-periartrite scapolo-omerale
-conflitto sottoacromiale
-capsulite retrattile
-omartrosi
2)Nella patogenesi della spalla dolorosa prevalgono cause:
-genetiche
-flogistiche
-meccaniche
-degenerative
-nessuna delle precedenti
3)Quale variante morfologica di acromion può con maggiori probabilità determinare la comparsa di
un conflitto omero-acromiale?
-Tipo 1 (acromion piatto)
-Tipo 2 (acromion curvo)
-Tipo 3 (acromion ad uncino)
-Due dei precedenti
-Nessuno in particolare
4)La cosiddetta capsulite adesiva interessa principalmente:
-Lo spazio subacromiale
-La capsula gleno-omerale
-L’articolazione acromion-clavicolare
-Tutte le precedenti
-Nessuna delle precedenti
5)Quante e quali sono dal punto di vista anatomo-fisiologico le “articolazioni “ della spalla?
-Una : la scapolo-omerale
-Due : la scapolo omerale e l’acromion-clavicolare
-Tre: le precedenti più la sterno-clavicolare
-Quattro: le precedenti più la scapolo-toracica
-Cinque: le precedenti più la sottoacromiale
6) Quale importanza riveste lo scivolamento della scapola sulla parete toracica
-Nessuna importanza
-Modesta importanza
-Importanza fondamentale
-Importanza variabile da soggetto a soggetto
7) Quali muscoli concorrono a formare la cuffia dei rotatori?
-Deltoide e sovraspinato
-Deltoide e bicipite
-Sovra- e sottospinato, piccolorotondo e sottoscapolare
-Trapezio e sovraspinato
-Tutti i muscoli nominati
8) L’abduzione massimale della spalla si realizza con il contributo delle seguenti articolazioni:
-Scapolo-omerale
-Scapolo-omerale ed acromion claveare
-Scapolo-omerale,acromion-clavicolare e scapolo- toracica
-Le precedenti più la sterno-clavicolare
-Le precedenti più il rachide cervicale
34
9) La massima escursione in rotazione interna della spalla raggiunge:
-90°
-55°
-20°
-100°
10) Il test di Yocum è utilizzato per valutare:
- La forza del bicipite
- La forza del deltoide
- L’esistenza di un conflitto omero-acromiale
- L’esistenza di una capsulite adesiva
- Una rottura del capo lungo del bicipite
11) In caso di spalla dolorosa quale tipo di indagine ritenete prioritria:
- Radiografia
- Radiografia più ecografia
- Tac
- Risonanza magnetica nucleare
- Solo ecografia
12) In caso di spalla dolorosa di recente insorgenza la RMN deve essere eseguita( una sola risposta
delle 5 seguenti è corretta):
-Come esame di prima scelta
-Senza essere preceduta da Radiografia ed ecografia
-con mezzo di contrasto
-per avvalorare una ipotesi di trattamento chirurgico
-in ogni caso
13) L’artroscopia della spalla è intervento che si pratica:
- a cielo aperto
- a cielo chiuso
- in ambedue i modi
- indifferentemente in alternativa ad intervento cruento
- se è necessaria una sutura della cuffia dei rotatori
14) Quale delle seguenti terapie è utilizzata preferenzialmente nelle forme acute iperalgiche?
-Ultrasuoni e corticosteroidi
-Laserterapia e sedativi
-Crioterapia e farmaci antalgici
-Microonde
- Tutte le precedenti
15)La somministrazione locale di derivati corticosteroidei è praticata principalmente per via:
- sottocutanea
- infiltrativa intra-articolare
- infiltrativa sub-acromiale
- mesoterapica
- tutte le precedenti
16)Quale dei seguenti farmaci viene impiegato per il suo effetto sinoviortesico (sinoviosoppressore)
- Acido jaluronico
- Acido acetilsalicilico
- Acido osmico
- Rifampicina
- Atoxisclerol
(N.B.: per questo quesito possono essere fornite più risposte)
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