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Come organizzare un ufficio legale interno

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Come organizzare un ufficio legale interno
Organizzarsi
Come organizzare
un ufficio legale interno:
grandezza e limiti degli
avvocati «in-house»
È conveniente per una Pmi avere un avvocato interno all’azienda o è
preferibile affidarsi ad un consulente esterno? E viceversa è
conveniente per un professionista lavorare alle dipendenze di
un’azienda come legale? Facciamo il punto della situazione in Italia
di Stefano Sartore - Avvocato del foro di Venezia
Nell’anno 2007, gli avvocati italiani hanno raggiunto la considerevole quota delle 180.000 unità:
solo un esiguo numero di essi
però «esercita» all’interno di
realtà aziendali medio-grandi e
lo fa con tutti i limiti che lo status di lavoratore subordinato impone, primo fra tutti l’impossibilità di patrocinare in giudizio
stante il limite (arcaico per alcuni, ineliminabile per altri) rappresentato dall’incompatibilità
della libera professione con l’esistenza di un rapporto di dipendenza dall’impresa.
Salta però subito all’occhio, almeno all’imprenditore più attento, come una simile regola rappresenti con molta probabilità
una «stortura» del sistema (una
tra le tante viene da dire) che
prevede ad esempio la possibilità
per i legali di alcuni enti pubblici
o di alcuni istituti di credito di
poter rappresentare in giudizio
in via esclusiva l’ente per il quale
lavorano; per non parlare della
oggettiva condizione di salariati
di molti avvocati, giovani e meno
giovani, tanto in Italia quanto so-
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prattutto all’estero (in Italia sotto le mentite spoglie di una collaborazione coordinata e continuativa, all’estero e con tutte le
differenze terminologiche del caso, con i più lusinghieri e altisonanti appellativi di paralegal o
junior partner). Fatta questa
premessa (non priva, si noterà,
di un certo spirito critico) si impone una seria riflessione sulla
necessità per molte aziende (anche quelle PMI) di dotarsi di un
ufficio legale interno o quanto
meno di un avvocato in-house
come è stato recentemente definito in ossequio alla spinta internazionalizzatrice che proviene
dalle stesse imprese e dalle associazioni di categoria.
Tale riflessione deve muovere da
alcune considerazioni di base
che, se possono risultare scontate o di immediata comprensione
per gli addetti ai lavori, spesso
non lo sono per gli imprenditori
ovvero per coloro che devono
porsi il problema e che devono
avere gli strumenti adatti per risolverlo.
Ufficio legale interno
o esterno
Se per un’azienda di dimensioni
medio-grandi infatti è quasi naturale organizzare un ufficio legale interno, per quelle di più ridotte dimensioni e nelle quali
l’organigramma aziendale è poco
articolato o nelle quali esiste una
commistione di ruoli che spesso
si traduce in vera e propria confusione, la scelta rappresenta un
nodo cruciale. Il primo ostacolo
da superare è quello, per cosı̀ dire, «ideologico» e potrebbe sintetizzarsi nella seguente domanda che ogni imprenditore del terzo millennio dovrebbe porsi: «ma
la mia azienda ha veramente bisogno di una legale o di una
struttura legale interna?». L’analisi da compiere è semplice e verte su due elementi fondamentali:
il livello di litigiosità globale dell’azienda e l’incidenza della voce
spese e consulenze legali all’interno del bilancio. Se la seconda
voce non richiede ulteriori spiegazioni riducendosi ad una mera
rilevazione contabile, la prima
merita una precisazione: per livello di litigiosità non deve infatti intendersi solo la quantità di
cause attive (tra le più frequenti
il recupero crediti) ma tutto ciò
che implica una valutazione di
carattere tecnico-legale, dalle
cause passive (ovvero quelle
che l’azienda subisce e quindi
in via esemplificativa le cause
di lavoro, quelle relative a contestazioni su forniture per vizi e
quant’altro) ai pareri, dalle questioni interne all’azienda (ad
esempio di carattere societario,
fiscale, commerciale ecc.) a
quelle che investono i suoi rapporti con l’estero (internazionalizzazione), dalla formazione in-
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terna dei quadri e dei dirigenti
(troppo spesso trascurata) alla
gestione dei rapporti con gli enti
pubblici (istituti di previdenza e
assistenza, enti e organismi di
controllo, autorità antitrust,
agenzie fiscali ecc.).
Lo spettro di competenze che
possono quindi a ragione essere
ritenute prerogativa quasi esclusiva del legale in-house, come si
può vedere, è quindi piuttosto
ampio.
Di qui la prima obiezione che
l’imprenditore potrebbe sollevare: «ma con questa varietà di materie non conviene affidarsi di
volta in volta al professionista
esterno competente in ciascuna
di esse?». L’obiezione è almeno
parzialmente fondata ma non si
deve perdere di vista quale sia il
ruolo fondamentale dell’avvocato in-house che è in prima battuta quello di filtro, di first-aid.
Il pregio di questa figura è infatti
quello di riuscire a «scremare» le
questioni rilevanti e che quasi
certamente avranno uno strascico giudiziario da quelle risolvibili
o quanto meno gestibili a livello
interno.
La seconda censura che potrebbe essere mossa dall’imprenditore riguarda i requisiti della figura
in questione: «ma se allora deve
essere solo un ruolo di filtro perché assumere un avvocato abilitato e non un semplice laureato
in giurisprudenza, magari con
laurea triennale?».
Anche a questa domanda, se pur
legittima, si deve rispondere in
maniera decisa: perché solo un
avvocato che ha proficuamente
compiuto la pratica forense e ancor meglio che ha esercitato per
un significativo periodo di tempo, ha le necessarie competenze
per comprendere le dinamiche
giuridiche interne ed esterne all’azienda. Non basta: solo chi ha
maturato una certa esperienza
tanto di contenzioso, quanto di
stragiudiziale ha la capacità di
discernere se l’intervento dei legali esterni sia appropriato e
competente; in poche parole, se
l’attività resa da professionisti
autonomi abbia il valore auspicato dall’azienda e se i relativi costi
siano adeguati sotto il profilo
della congruità e della necessità.
Ed è a questo punto che si pone
il primo grosso limite dell’avvocato in-house che è quello di
non poter rappresentare l’azienda per cui lavora in giudizio: precisi obblighi normativi, come si
accennava precedentemente, gli
impediscono di andare in aula, al
pari del suo collega libero professionista imponendo il ricorso
a quest’ultimo.
Le notifiche
Torniamo però solo per un istante alle cause cd. passive per affrontare un problema delicato,
troppo spesso sottovalutato: le
notifiche.
Come è noto la notifica è quello
strumento endo-processuale o
extra-processuale che introduce
una controversia o che segna
passaggi fondamentali di una
controversia: essa per essere
pienamente valida deve possedere determinati requisiti, in
mancanza dei quali tale formalità
non può raggiungere gli effetti
desiderati. È quindi opportuno
se non corretto affidare tale incombenza al legale interno e non
alla segretaria, alla centralinista,
alla receptionist come spesso
accade nella pratica.
Nella pratica, inoltre, capita frequentemente di assistere a episodi di grossolana trascuratezza
e imperdonabile leggerezza: non
si contano infatti i casi di denunzie di vizi cestinate, contratti
conclusi a mezzo telefax e posta
elettronica smarriti, accordi sottoscritti da soggetti non abilitati
e senza i necessari poteri, decreti ingiuntivi non opposti che in
pochi mesi si trasformano in procedimenti esecutivi con costi più
che raddoppiati, sentenze passate in giudicato magari emesse
nella dichiarata contumacia del
convenuto, atti di avvio di procedure arbitrali dimenticati nei
cassetti del titolare o di un poco
accorto dirigente ecc..
La disponibilità pressoché immediata dell’avvocato in-house
consente di rispondere prontamente a queste esigenze evitando di dover ricorrere ai legali
esterni quando spesso ormai è
troppo tardi.
La sottovalutazione del problema o peggio ancora in qualche
caso la presunzione di poterlo risolvere con l’arcaica «stretta di
mano», senza coinvolgere il legale, rappresenta ancora una vera
e propria «piaga». Ovviamente
per ottenere dal legale interno
garanzie analoghe a quelle che
il libero professionista può dare
in ossequio alle norme deontologiche che è chiamato ad osservare, sarà necessario far sottoscrivere al primo un patto di non
concorrenza, efficace anche oltre la cessazione del rapporto lavorativo (avendo ovviamente cura che il patto possegga tutti i
requisiti di validità previsti dal
codice civile ovvero limitazione
territoriale, temporale, forma
scritta ecc).
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Il rapporto con le autorità Antitrust e in particolare con la Commissione CE è forse l’ambito in
cui la differenza tra legale interno e legale esterno (ci si perdoni
l’estrema semplificazione terminologica) è più evidente.
Qualora infatti l’azienda fosse
«nel mirino» degli agenti della
Commissione CE o delle autorità
da questa delegate in materia di
concorrenza, il legale interno dovrebbe cedere il passo al suo
omologo extra-moenia non potendo il primo frapporre ostacoli
procedurali assai utili nella fase
preliminare di indagine, proprio
in virtù del vincolo di dipendenza dall’azienda.
A chi deve rispondere il legale
interno? La questione non è di
poco conto e implica una sottile
distinzione: a tutti e a nessuno si
potrebbe dire inizialmente ma
cosa si deve intendere con il verbo «rispondere»? In pratica quale responsabilità può eventualmente essere imputabile a questo soggetto? In realtà bisogna
avere chiara in mente la realtà
aziendale concreta e cosı̀ il legale potrà rispondere direttamente
al Presidente del c.d.a., piuttosto
che all’Amministratore Unico o
al Direttore Generale.
Se infatti è auspicabile che proprio in considerazione della peculiarità e spesso dell’unicità del
ruolo rivestito il legale in-house
si relazioni ed interagisca con
tutti i settori, reparti o dipartimenti dell’impresa, la valutazione di eventuali responsabilità
presuppone la capacità di interpretare le attività poste in essere
e le conseguenze delle stesse
sull’andamento dell’impresa: ciò
non è cosı̀ facile come potrebbe
sembrare e richiede una non co-
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mune sensibilità giuridica anche
da parte dei soggetti ai quali il
legale è tenuto a rispondere.
Quanto invece alla responsabilità, trattandosi di attività tendenzialmente di consulenza e assistenza primaria, il parametro sarà quello della diligenza «qualificata». Un ulteriore aspetto da
sempre trascurato ma che fortunatamente negli ultimi tempi sta
catturando l’attenzione degli imprenditori più attenti è la formazione.
È fin troppo evidente il proliferare di offerte formative provenienti da istituzioni pubbliche o
private i cui costi spesso non sono rapportati all’efficacia dei
contributi dei docenti: il legale
interno (o lo staff legale) può
soddisfare anche a questa esigenza, effettuando workshop
mirati e focus tematici di particolare interesse per il personale
aziendale.
Utilissimo si rivela nella fattispecie lo strumento della «rassegna
stampa» on-line da realizzarsi
periodicamente su materie di
particolare interesse per l’attività d’impresa. Quanto all’organizzazione di un ufficio legale interno è facilmente intuibile come
essa dipenda dalle dimensioni
dello stesso: usualmente nel caso in cui vi sia applicato un solo
soggetto esso potrà richiedere
l’assistenza di un collaboratore;
nel caso invece la struttura dovesse essere più complessa ad
un responsabile (solitamente
con qualifica dirigenziale) verranno affiancati più addetti, a
ciascuno dei quali verranno affidate aree particolari secondo un
apprezzamento che compete al
responsabile. In molti casi il responsabile degli Affari Legali è
anche Responsabile dei cd. Affari Generali.
Doveroso è infine affrontare il
problema dei costi, argomento
che non deve assolutamente scoraggiare una simile scelta: se infatti si tiene conto del risparmio
di spesa derivante dal minor ricorso al consulente legale esterno per una considerevole quantità di attività, il ridotto impiego di
dotazione tecnica e strumentale
(un p.c. e una completa banca
dati giuridica possono fornire
adeguato supporto) ma soprattutto la poliedricità e l’estrema
fungibilità della figura professionale in esame, ci si renderà conto che lo sforzo sarà tutto sommato sostenibile. È quindi di fondamentale importanza che gli
imprenditori acquisiscano una
nuova mentalità, lasciandosi
condurre per mano dal proprio
avvocato in-house che si rivelerà in molte occasioni una risorsa
assai preziosa.
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