Arte e politiche culturali: il caso del quartiere Isola di Milano
by user
Comments
Transcript
Arte e politiche culturali: il caso del quartiere Isola di Milano
Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Storia delle arti e conservazione dei beni artistici Tesi di Laurea Arte e politiche culturali: il caso del quartiere Isola di Milano Relatore Ch. ma Prof.ssa Roberta Dreon Correlatore Ch. ma Prof.ssa Stefania Portinari Laureanda Valentina Negri Matricola 837882 Anno Accademico 2013 / 2014 A Gloria, mio esempio Mari, mia forza Buga, mio eroe 1 INDICE Introduzione p. 4 Capitolo I Il quartiere Isola I.1 Milano-Isola: il quartiere paese p. 8 I.2 Progetto Porta Nuova: riqualificazione dell'area Garibaldi-Repubblica-Isola-Varesine I.3 p. 11 Dietro al progetto Porta Nuova: riqualificazione e gentrification p. 17 I.4 (Ri)progettare lo spazio p. 25 I.5 Dalla città ideale al diritto alla città p. 28 Capitolo II La pratica artistica come opera in atto nel campo sociale II.1 Uno sguardo all'arte degli anni Sessanta e Settanta p. 32 II.2 Milano anni '70 e '80: tra occupazioni e collettivi p. 39 II.3 Un'azione collettiva nell'ex-fabbrica Brown Boveri p. 47 Storia dell'edificio 2 L'occupazione dell' ex-fabbrica nel 1984 L'esposizione e le opere SCHEDA: le Officine del gas Bovisa p. 57 I progetti di riqualificazione dei gasometri II.4 Dalla Brown Boveri al Condensatore Culturale p. 61 Il Condensatore culturale o “Stecca 3” Macao e l'occupazione della Torre Galfa Capitolo III L'arte come strategia III.1 Il campo dell'arte all'interno del campo del potere: l'arte pubblica nel dibattito politico p. 69 III.2 La nascita di movimenti in opposizione ai nuovi progetti urbanistici: l'esempio di Isola Art Center p. 78 III.3 Cantieri Isola, Comitato I Mille, Out p. 81 III.4 La nascita di Isola Art Center nel 2005 p. 89 III.5 L'abbattimento della Stecca degli Artigiani nel 2007: Isola Art Center dal dirty cube al cubo diffuso o centro disperso p. 98 III.6 Il progetto di Isola Pepe Verde p. 107 III.7 Isola Arte Center dal 2012 a oggi p. 109 Bibliografia p. 113 Sitografia p. 120 Appendice p. 121 3 Introduzione Questo lavoro nasce dall'analisi dei cambiamenti di assetto e di “forma” del tessuto urbano in particolare della città di Milano, che hanno portato ad avanzare una lettura più ampia al fine di cogliere le nuove dinamiche di soggettivazione e di assoggettamento che si svolgono all’interno del tessuto urbanistico e sociale. In queste dinamiche si è cercato di esaminare la maniera in cui si inseriscono alcune pratiche che si sviluppano nell'ambito di progetti artistici autonomi con lo scopo di dare vita a una sperimentazione e progettazione di nuovi modelli di socialità che vogliono essere collettivi e relazionati con lo spazio (nell'accezione di luogo portatore di identità e storia) nel quale si trovano ad agire e i problemi a esso legati. Nel primo capitolo si è ricostruita brevemente la storia del quartiere Isola non tanto seguendo una cronologia ma attraverso la narrazione delle sue principali caratteristiche riunite sotto la metafora del quartiere come 'paese': la delimitazione del suo perimetro dato dal tracciato dei binari ne ha determinato per molto tempo un distacco dal resto della città, un'insularità che ha contribuito a plasmarne il carattere popolare e paesano degli abitanti; dall'inizio del Novecento si caratterizza per la forte componente operaia derivata dalla presenza di molte fabbriche che si installano nel territorio, tra le quali la Tecnomasio italiano Brown Boveri, l'Elvetica, la Pirelli e la Heinemann; con la seconda guerra mondiale Isola diviene roccaforte antifascista e culla della malavita milanese, la 'ligera', nella quale spicca la figura di Ezio Barbieri detto il boss dell'Isola. Architettonicamente anche le abitazioni rispecchiano il carattere operaio dell'Isola e la sua evoluzione nel tempo: dalle abitazioni con i tipici ballatoi e cortili interni alle costruzioni del razionalismo architettonico degli anni trenta edificate per mano di Terragni e Lingeri. 4 Questo riassuntivo profilo del quartiere è essenziale per comprendere poi la seconda parte del capitolo con la quale si è introdotto in maniera generale, nei suoi tratti fondamentali, il Progetto Porta Nuova: approvato nel 2000 dal Consiglio Comunale di Milano, il quale, all'interno del disegno più ampio di inquadramento delle politiche urbanistiche “Ricostruire le Grande Milano”, individua la zona di IsolaGaribaldi come strategica e come potenziale nuovo centro istituzionale; un piano di riqualificazione urbana, dunque, che mette in atto cambiamenti sostanziali nella grammatica del quartiere Isola: a partire dalla demolizione della Stecca degli Artigiani e dei giardini adiacenti per far posto alle nuove costruzioni che vanno a comporre lo skyline milanese. Di fatto la città di Milano, come molte altre città a livello europeo, è entrata ormai da anni in quel meccanismo di sviluppo urbanistico-economico al fine di rendersi competitiva nelle nuove gerarchie globali e garantirsi una nuova visibilità, anche attraverso eventi di risonanza mondiale come l'Expo 2015. Si tratta di cambiamenti che non coinvolgono solamente la trama urbanistica del luogo ma anche, e soprattutto, quella sociale della popolazione che vi abita; la crisi dei modelli urbanistici va posta in relazione con un'elaborazione, ugualmente difficile e complessa, più ampia in grado di interrogarsi sui nuovi equilibri che si vengono a formare, che causano esclusioni di fette della popolazione e portano in certi casi a una sottrazione di risorse alla popolazione locale da parte di multinazionali. Questo ha portato ad analizzare i concetti di riqualificazione e gentrification che sottendono a disegni urbanistici di questo tipo, senza pretesa alcuna di esaurire il discorso qui, ma con il semplice intento di esaminare il progetto non solo dal punto di vista tecnico ma di integrarlo in un discorso più articolato in un'ottica sociologica. Si è considerata la nozione di spazio come risultato dell'intreccio tra economia, politica e azione sociale, portando a sostegno la lezione di Lefebvre, nel tentativo di analizzare i nodi sui quali riflettere nell'ottica di un ri-disegnamento dello spazio stesso basato sulla riflessione di diritto alla città, ovvero di una città che incorpori nel suo disegno le risposte ai bisogni dei suoi cittadini attraverso un'azione partecipata e radicata nel concetto del quotidiano, in una considerazione dello 5 spazio stesso più qualitativa che quantitativa. In questo contesto la pratica artistica svolge un ruolo unificatore tra il luogo fisico, la città, e coloro che la abitano divenendo opera in atto all'interno del campo sociale, sviluppando cioè una ricerca pratica e teorica che agisce nel rispetto delle infrastrutture sociali e culturali. Un'arte che esplora i confini, che si destruttura per ricostruirsi in processi relazionali inseriti nella dimensione quotidiana e che produce opere interdisciplinari che sconfinano in linguaggi innovativi al fine di interpretare la complessa metafora tra arte e vita. Si sono dunque esplorate le radici di questo sconfinamento dell'arte e della sua evoluzione iniziata sull'onda delle contestazioni del '68 dove molti artisti, nel quadro di denuncia del sistema culturale dominante, hanno percepito l'esigenza di dirigere la propria pratica oltre i confini degli spazi convenzionali dell'arte, quali gallerie e musei, per contaminare lo spazio sociale e cambiare i rapporti stessi tra arte e pubblico cercando la corrispondenza tra arte e vita; in particolare nel contesto specifico della città di Milano che vede nascere e operare sul territorio una serie di gruppi e collettivi artistici autogestiti e interventi spontanei le cui azioni ruotano intorno al ruolo politico e sociale dell'arte. Un modo di operare che, in parte, si è riflesso nell'occupazione della ex-fabbrica Brown Boveri negli anni '80, qui analizzata, per opera di un gruppo di artisti/studenti guidati dalla figura di Corrado Levi con l'intento di appropriarsi di uno spazio in autonomia all'interno della città di Milano che ancora non aveva una rete di strutture e istituzioni di supporto all'arte contemporanea. In ultima analisi si è si è preso in considerazione il caso di Isola Art Center, un esperimento/laboratorio artistico e sociale che, nato dall'occupazione della stessa ex-fabbrica Brown Boveri divenuta poi Stecca degli Artigiani, sviluppa un legame con lo spazio pubblico e urbano inserendosi nella lotta a specifiche dinamiche urbanistiche e cittadine. Il suo spazio d'azione è quello urbano nel quale le pratiche e gli eventi vengono territorializzati promuovendo una fusione tra arte e vita quotidiana coinvolgendo direttamente gli abitanti del quartiere e operando nel loro interesse, in risposta a dei bisogni soffocati dalle dinamiche del progetto urbanistico in atto citato precedentemente. 6 Si è seguita l'evoluzione e la ricostruzione della storia di questa piattaforma di sperimentazione per l'arte contemporanea 'no-budget' e autogestita, dalla sua nascita all'interno dei locali della Stecca degli Artigiani dove nascono i primi eventi e le prime mostre in una filosofia dell'operare in un dirty-cube, e nella maniera fightspecific, inserendosi nel più ampio dibattito dell'arte contemporanea introdotta negli spazi pubblici. La metodologia utilizzata è stata quella di una ricostruzione cronologica degli eventi, scelti all'interno della folta programmazione sviluppata negli anni, messi in moto da Isola Art Center soffermandosi su quelli più rilevanti nel percorso del progetto e relazionandoli di pari passo ai cambiamenti e alle problematiche derivate dall'avanzare del progetto urbanistico Porta Nuova. Un evento tra questi molto significativo, che segna un'importante cesura e nodo di svolta nella natura di Isola Art Center e nel territorio del quartiere, è l'abbattimento nel 2007 della Stecca degli Artigiani: Isola Art Center si trova senza una sede fissa e inizia dunque a operare ospitando le proprie azioni all'interno di altri spazi messi a disposizione dai commercianti all'interno dell'Isola. Il lavoro di Isola Art Center procede tutt'ora e questa analisi non vuole in nessuna maniera esaurirne la narrazione ma l'intento principale è stato quello di portare a conoscenza una realtà attiva da anni con un fare artistico partecipativo e in stretta relazione al territorio circostante che forse, a mio parere, segnala un ritardo sulla scena internazionale artistica italiana. 7 Capitolo I Il quartiere Isola I.1 Milano-Isola, il quartiere 'paese' Isola è un quartiere della città di Milano che si colloca nella parte nord del centro cittadino. Viene così denominato, poiché, all'epoca della sua formazione, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, risultava un territorio morfologicamente separato dal resto della città dal tracciato dei binari (caratteristica oggi sfumata a causa della costruzione della ferrovia Garibaldi e della metropolitana, che ha così connesso il quartiere con il centro1), ma anche per la presenza di 'cascine' che venivano chiamate 'isole'. Il confine sud era tracciato dalla ferrovia che percorreva lungo via Guglielmo Pepe, sul lato est, il quartiere aveva un confine naturale costituito dal naviglio della Martesana, coperto negli anni sessanta, mentre a ovest correva Via Farini, una strada a scorrimento veloce. Al nord, invece, Isola finiva in piazzale Lagosta, già piazzale Zara (sorto sull'antico cimitero della Mojazza che venne chiuso nel 1895 a seguito dell'apertura del cimitero Monumentale), il quale collegava il quartiere con Sesto San Giovanni, sede delle principali fabbriche dell'epoca quali la Falck, la Pirelli, e la Magneti Marelli. Già dal piano regolatore del 1953 e poi in seguito alle ristrutturazioni avvenute negli 1Nel 1931 viene inaugurata la Stazione Centrale per sostituire quella di Piazza della Repubblica, spostandone quindi la posizione di un chilometro più distante dal centro città, mentre nel 1963 viene arretrata di un chilometro la stazione di Porta Nuova (o Varesine) diventando la stazione di Porta Garibaldi. 8 anni del boom economico, sino agli anni ottanta e novanta, Isola ha subito un radicale cambiamento e i suoi confini sono andati modificandosi: ora l'area è limitata a nord da grandi strade quali via Gioia, via Farini e via Stelvio, mentre è possibile accedervi a sud passando da tre punti che attraversano la ferrovia: il cavalcavia Bussa, via Farini e il sottopasso pedonale (uscita via Pepe) della stazione Garibaldi. Per descrivere il carattere del quartiere, oltre all'individuazione 'dell'insularità' di questo, viene spesso utilizzata anche la metafora di 'paese': la vecchia separatezza fisica, infatti, non si riferisce solamente a una dimensione territoriale scostata ma anche al tessuto relazionale che si trova all'interno, a una maniera diversa di vivere il tempo, gli spazi di quartiere e i legami sociali rispetto al resto della città. Il concetto di 'paese' è legato a un processo di storicizzazione che ha portato a una unicità del contesto di vita, frutto di condizioni economiche e sociali che hanno favorito nel tempo l'emergere di un certo tessuto urbano e di conseguenza di un certo tipo di socialità e che ne hanno fatto un'area estremamente vitale e fortemente caratterizzata, di fatto 'l'isolamento fisico' rispetto al resto della città ha portato a una significativa coesione sociale. Alla fine dell'Ottocento c'era solo la presenza di qualche cascina in prossimità della confluenza del Seveso e del Naviglio della Martesana, ma la presenza di molte vie di comunicazione e l'arrivo della seconda rivoluzione industriale hanno reso il luogo ideale per la costruzione di fabbriche. Isola, infatti, assume una connotazione popolare caratterizzata da una forte componente operaia dovuta alla presenza dal 1899 della Gadda&C, industria di macchinari elettrici , il cui stabile viene rilevato nel 1906 dai concorrenti del TIBB (Tecnomasio Italiano Brown Boveri), azienda che ha rappresentato la fonte di occupazione principale degli abitanti fino alla sua chiusura, nel secondo dopoguerra (chiude in maniera definitiva nel 1965 per trasferirsi a Vittuone), causando gravi contraccolpi economici ai lavoratori stessi; tra gli altri stabilimenti presenti nel quartiere ricordiamo anche quello dell'Elvetica, della Pirelli, Janecke produttrice di pettini e il saponificio Heinemann, tutti con sedi in via De Castilla. 9 Il carattere popolare del quartiere è riconoscibile anche dalle vecchie architetture, come le case 'a ballatoio', spazio riservato appunto alle abitazioni operaie, e il cortile interno, sopravvissute nel tessuto urbano alla prevaricazione del razionalismo milanese architettonico degli anni Trenta per mano di Giuseppe Terragni2 e Pietro Lingeri3; questi, con la Casa Ghiringhelli in piazzale Lagosta, la casa Toninello in via Perasto e la casa Rustici Comolli in via Cola Montano, per citare alcuni tra gli episodi più singolari, portano le prime forme di edificazioni tipicamente borghesi nel tessuto urbano del quartiere operaio. Il passato popolare del quartiere si identifica anche in un'impronta politica radicata nell'impegno antifascista dei partigiani milanesi che trovarono proprio in questa zona la loro base. In via Volturno, poi, nel 1964 venne inaugurata da Palmiro Togliatti e Armando Cossutta la sede del PCI (detta comunemente il “Botteghino”), punto di riferimento della sinistra per molti anni sino alla sua trasformazione in un complesso di appartamenti di lusso. Il carattere popolare si ritrova anche in una particolarità nota della zona, ovvero il fatto che divenne rifugio, nel secondo dopoguerra, della malavita milanese, la cosiddetta ligera della quale facevano parte Renato Vallanzasca, Luciano Lutring e il 'boss dell'Isola' Ezio Barbieri4. L'Isola inizia però il riscatto di questa suo non troppo felice reputazione negli anni Ottanta diventando uno dei punti di maggior fermento all'interno del panorama artistico milanese e italiano. 2Giuseppe Terragni (1904-1943) è stato un architetto italiano, uno dei protagonisti nella definizione del razionalismo italiano. Tra le sue opere più importanti e manifesto del movimento moderno italiano vi sono la casa ad appartamenti Novocomum (1927-29) e la Casa del Fascio a Como (1932-36). 3Pietro Lingeri (1894-1968) è stato un architetto italiano, protagonista del razionalismo. Tra le sue opere più significative vi sono: il monumento ai caduti a Como realizzato con Terragni (1926), condominio della rosa a Milano (1956). 4Vedi il libro ERBA N., Il bandito dell'Isola, Milieu editore, 2013. 10 I.2 Il progetto Porta Nuova: riqualificazione dell'area Garibaldi- Repubblica-IsolaVaresine. […] perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualcosa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c’entrava con questa forma della città, con questo profilo della città...5 Pier Paolo Pasolini, La forma della città La nascita della città, intesa come unità politica, è il risultato di una rivoluzione radicale nella vita economica, politica e sociale, per questo la città odierna non si può definire un prodotto finito poiché il suo sviluppo è talmente rapido che ogni giorno cambia aspetto e il carattere dei suoi abitanti. Negli ultimi anni il ruolo principale nei processi di trasformazione urbana è stato assunto dalle logiche di mercato, dalla speculazione edilizia alla privatizzazione dei servizi per il cittadino, all'interno di dinamiche speculative del libero mercato che hanno spesso sottomesso gli organi amministrativi delle città alle proprie esigenze e interessi. Milano, come molte delle maggiori città europee, è il risultato di stratificazioni progettuali attuate nel tempo. Il vecchio Piano Regolatore Generale risale al 1980 e la prassi urbanistica dominante in questi ultimi trent'anni è stata quella di introdurre continue varianti a quel piano con una serie di accordi di programma e piani integrati d'intervento, il tutto non accompagnato da un disegno di insieme connesso a una pianificazione più ampia partendo dalle aree verdi e dai servizi6. Cito dallo studio pubblicato dall' ISFOL7: Ad oggi il tessuto di Milano presenta alcuni interventi caratterizzati da edifici spesso non ultimati a causa della crisi, piuttosto difficili da digerire, non sostenibili e malati di gigantismo, intorno ai quali sono assenti gli spazi pubblici, nonostante la forte volontà di trasformazione e di cambiamento sia nei confronti del territorio della regione che di 5PASOLINI P.P., La forma della città, video Rai, durata 15 min, 1973. 6CORONAS G., (a cura di) La riqualificazione sostenibile dei contesti urbani metropolitani. Settori strategici per lo sviluppo sostenibile: implicazioni occupazionali e formative, ISFOL, Roma 2013, pag.171. 7Ente pubblico di ricerca sui temi della formazione, delle politiche sociali e del lavoro. 11 quello nazionale8. Da più di dieci anni è in attivo il progetto Porta Nuova, nome complessivo coniato per indicare un intervento di grande trasformazione urbana che riguarda quella zona 'sospesa' tra Garibaldi, Isola e Varesine, sorta dallo spostamento dell'arretramento della stazione Porta Nuova (oggi Garibaldi) e dallo spostamento della stazione Centrale da piazza Repubblica a dove oggi si trova. Le prime ipotesi progettuali risalgono in realtà agli anni Cinquanta anche se non si arriva a nessuna proposta concretamente attuabile. Una prima svolta si ha nel 1991, anno in cui viene indetto dall'amministrazione comunale un concorso internazionale per progettare la zona Garibaldi-Repubblica, con l'idea di rendere il nuovo palazzo della Regione Lombardia polo e fulcro istituzionale. Vince il progetto dell'architetto Pierlugi Nicolin, professore ordinario di Composizione architettonica presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, ma l'amministrazione comunale decide di inquadrare il suo progetto in un programma urbanistico ampliato, variante che verrà annullata da un ricorso al Tar presentato dai cittadini stessi. Bisogna aspettare il 2000, quando, con la giunta del sindaco Gabriele Albertini, viene presentato il documento “Ricostruire la Grande Milano” che delinea gli orientamenti di sviluppo della città, collocandone il nuovo centro istituzionale proprio nella zona di Garibaldi-Repubblica. Il piano urbanistico da rilanciare è volto a creare una 'Città della Moda' per la quale nel 2001 viene chiesto allo stesso Nicolin di sviluppare un masterplan per l'area in questione. Il progetto comprendeva l'idea di un parco pubblico, una spazio a forma di rombo cosiddetta 'Campus' circondata da edifici commerciali, della Regione e del Comune; nel 2002 il Comune di Milano informa le variazioni del progetto ' Città della Moda' ovvero nel PIR (Piano Integrato di Recupero) Isola è prevista la costruzione di una strada a scorrimento veloce bipartita a “Y” la quale porterebbe il traffico 8CORONAS G., (a cura di) La riqualificazione sostenibile dei contesti urbani metropolitani. Settori strategici per lo sviluppo sostenibile: implicazioni occupazionali e formative, ISFOL, Roma 2013, pag.172. 12 proveniente da viale Zara, zona nord, direttamente al centro città attraverso il prolungamento di via Volturno. Tuttavia, nel 2003 l'idea della Città della Moda sembra scemare inesorabilmente ma, dall'altro lato, il Consiglio Comunale delibera il rinnovo di una convenzione che consente l'edificazione di un immobile di 33 mila mq (per uffici e posti auto) con un'impresa facente parte del gruppo Ligresti 9 che spartisce i capitali del progetto con Hines10: Ligresti acquista il 48% della società Garibaldi Scs ripartendo l'area dell'Isola con Hines, il tutto mediato dell'amministratore di Hines Italia Manfredi Catella. Oltre all'entrata nel progetto di nuovi investitori multinazionali, nel frattempo viene introdotto anche il piano per i “Giardini di Porta Nuova” che il Comune dichiara essere il cuore del progetto, ovvero un parco di 100.000 mq circondato dal Polo Istituzionale della Comunicazione e del Design. Di fatto il progetto si estende con l'acquisizione delle zone Isola e Varesine e viene assunto, da parte di Hines, l'architetto Stefano Boeri il quale si rivela decisivo per quanto riguarda la realizzazione del masterplan di Isola. Nel 2006, infatti, il Consiglio Comunale approva il nuovo PII Isola con un emendamento di Boeri e Catella con il quale si pronunciano favorevoli alla demolizione della Stecca degli Artigiani11, storico simbolo della storia industriale del quartiere. Questa decisione porta alla formazione di una serie di associazioni di quartiere, (tra i quali il Comitato I Mille, l'Associazione Genitori Confalonieri, Ida Associazione Isola dell'arte, il Forum Isola e Out) che mettono in atto una serie di strategie alternative e controproposte per evitare l'abbattimento della Stecca12. 9A capo della società è l'imprenditore Salvatore Ligresti, coinvolto nel 1992 nello scandalo di Tangentopoli, arrestato per corruzione negli appalti per i lavori riguardanti la metropolitana di Milano; fa parte del consiglio del Gruppo Unicredit fino al 2011 ed è stato coinvolto negli ultimi più importanti interventi urbanistici della città di Milano, quali l'Expo, Garibaldi-Repubblica e Fieramilanocity. 10Hines è una multinazionale texana, in primo piano nel business immobiliare a livello mondiale. È attiva a New York dal 1981, città nella quale ha costruito numerosi edifici, mentre in Italia è presente dal 1999 dove ha già realizzato dei progetti a Milano. 11Edificio collocato collocato trasversalmente a via Confalonieri e via De Castilla. Era stato edificato tra il 1894 e il 1899 dall'azienda Gaddara&Co., la quale venne poi acquisita nel 1904 dalla Tecnomasio Italiano Brown Boveri che ne acquista di conseguenza anche l'edificio. Simbolo, dunque del passato industriale del quartiere, dopo lo smantellamento di alcune parti dell'edificio nel 1996, l'area viene recuperata da Comitato Isola e Compagnia del Parco con l'obiettivo di utilizzare lo spazio dimesso per fornire alla zona un'area verde. Ma nel 2007 viene indetto lo sgombero di tutte le associazioni presenti all'interno della Stecca e ne viene eseguito l'abbattimento dell'edificio. 12Nel 2005 viene organizzato nel quartiere un corteo di protesta dal Comitato dei Mille insieme all'Associazione Genitori e Isola Dell'Arte con lo slogan “Difendiamoci dallo smog, dal cemento e dai 13 Nel 2007 si procede, non senza impedimenti, come scriverò in seguito, allo sgombero e all'abbattimento della Stecca degli Artigiani13, privatizzando i giardini di via Confalonieri adiacenti a essa; a marzo dello stesso anno, infatti, il Comune di Milano firma insieme a Hines una convenzione per l'attuazione del PII Isola, procedendo il 7 aprile allo sgombero dell'edificio da parte della Polizia e della Digos, e il 25 dello mese inizia la demolizione della metà della Stecca sul lato di via De Castilla. Il quartiere perde così un punto di riferimento, un pezzo storico e un luogo di incontro e riflessione lasciando spazio al Bosco Verticale 14, progettato da Boeri: ovvero due torri, per uffici di classe A, eco-sostenibili rivestite da alberi (550 nella più alta e 350 nella seconda) che si sviluppano su diverse altezze: il verde viene apparentemente mantenuto, diventando però privato e verticale. Il nuovo skyline milanese sorto negli ultimi anni è così composto dalla Torre Unicredit di César Pelli, dal Palazzo Lombardia di Pei Cobb Freed & Partners, dalla Torre Isozaki di Araka Isozaki, la Torre Diamante di Kohn Pedersen Fox, le Torri Solaria dello Studio Arquitectonica, e, come sopra citato, il Bosco verticale di Boeri Studio. Questa “epopea” di grattacieli è stata recentemente celebrata con la mostra, promossa dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione Riccardo Catella, Grattanuvole. Un secolo di grattacieli a Milano, curata da Alessandra Coppa, definita da Marco Biraghi come “soltanto un pretesto, o piuttosto un piacevole detour turistico-culturale con cui intrattenere i visitatori più curiosi; una vetrina entro cui far scintillare alcuni gioielli della corona ambrosiana 15”, e conclude “Oggi, grattacieli” in contestazione alla volontà, da parte del Comune, di voler abbattere il Bosco di Gioia, luogo prescelto per la costruzione del nuovo edificio della Regione Lombardia previsto nel PII GaribaldiRepubblica. Nonostante le proteste nel dicembre dello stesso anno il Bosco di Gioia viene distrutto, divenendo un simbolo di una sconfitta significativa per le forze di mobilitazione di Isola. 13Si tratta dell'edificio realizzato all'inizio del '900 quando la Tecnomasio, azienda specializzata in strumentazione elettrica, decide di fondersi con la Brown Boveri, scegliendo l'area tra via de Castilla e via Confalonieri per la costruzione del nuovo stabilimento che verrà abbandonato poi negli anni '60 quando la società realizzerà un nuovo impianto a Vittuone. Negli anni '80 viene acquistato dal Comune di Milano, ricava due giardini dal parziale abbattimento e affida gli spazi restanti a un gruppo di artigiani. 14L'opera fulcro del progetto urbanistico Porta Nuova viene inaugurata nell'ottobre 2014, “Una casa per gli alberi che ospita gli umani” è il commento dell'architetto Stefano Boeri, mentre il delegato di Hines italia Manfredo Catella afferma “Qui all'Isola ci sono le radici del pensiero che ha ispirato Porta Nuova come opera pensata per ridare lustro e reputazione al Paese, l'ambizione è che diventi un modello di lavoro per il futuro”, da Il sole 24 Ore online, 18 ottobre 2014. 15Marco Biraghi è professore associato di Storia dell'architettura contemporanea presso la Facoltà di architettura civile del Politecnico di Milano. Queste parole sono tratte dall'articolo da lui pubblicato, Il grande gioco dei grattacieli, del 10 novembre 2014, visibile su <www.gizmoweb.org>. 14 sotto il cielo di Milano, il grattacielo viene fatto apparire al più come un altro mattone nella costruzione di una dilettevole Legoland”. A novembre Boeri ritira il premio dell' “International Highrise Award”, promosso dal Museo di Architettura di Francoforte, il cui presidente di giuria Christoph Ingenhoven dichiara: Il Bosco Verticale è un progetto meraviglioso! Espressione del bisogno umano di contatto con la natura. I grattacieli boscosi sono un vivido esempio di simbiosi tra architettura e natura. Il progetto è un’idea radicale e coraggiosa per le città di domani, rappresenta sicuramente un modello per lo sviluppo di aree ad alta densità di popolazione in altri paesi europei16. E, mentre l'archistar pronuncia il suo discorso di ringraziamento: Sono molto contento perché il premio che è stato assegnato al Bosco Verticale rappresenta un riconoscimento all’innovazione nell’ambito dell’architettura. E’ un invito a pensare all’architettura come un’anticipazione del futuro per ognuno di noi, non solo come l’affermazione di uno stile o di un linguaggio. Il Bosco Verticale è una nuova idea di grattacielo, in cui alberi e umani convivono. E’ il primo esempio al mondo di una torre che arricchisce di biodiversità vegetale e faunistica la città che lo accoglie. Sono felice per Milano, per Expo, e ringrazio chi ha promosso e sostenuto il nostro progetto, a partire da Hines Italia e dalle associazioni del quartiere Isola. l'intero quartiere Isola finisce allagato a causa dell'esondazione del Seveso, bloccando il normale trascorso quotidiano, bloccando mezzi di trasporto, paralizzando il traffico, inondando negozi e cortili. Certamente le conseguenze derivate non sono direttamente collegabili e asservite ai nuovi edifici, o per lo meno non solo, ma sono da analizzare nel più ampio contesto: scaturiscono, infatti, dure critiche nei confronti dell'amministrazione comunale, il dito viene puntato contro l'intervento invasivo messo in atto in loco con il progetto Garibaldi-Porta Nuova, contro le nuove costruzioni in verticale che hanno alterato il drenaggio orizzontale di tutta la zona sotto il mantello di affascinanti archistar e scenari ecologici a più piani. Perché anche i più babbei tra i cittadini si rendono conto che col cavolo che il bosco verticale di Boeri serve al territorio come un bravo bosco orizzontale senza cemento, acciaio e senza specchi. Col cavolo la cartolina con il nuovo skyline stile Manhattan alla 16Corriere della Sera online, 19 novembre 2014. 15 milanese serve agli abitanti per vivere meglio. Serve ai ricchi, serve alla multinazionale immobiliare, serve all'intreccio tra politica, affari e finanza che ha dotato la città di una nuova Madonnina delle banche, quella dell'Unicredit che vigila sulla perversione del tempo. Sull'impoverimento del tessuto sociale, sulla gentrificazione e sulla follia di chi ha permesso una distruzione culturale e civile del genere 17. Il fenomeno fin qui descritto, focalizzato sul quartiere Isola, è in realtà un intervento, nel suo complesso, che sta avendo e avrà ripercussioni su tutta la città di Milano, città che ha vissuto un cambiamento lento, progressivo e senza piano organico, dove si è costruito poco negli ultimi decenni e soltanto riempiendo gli spazi vuoti. Come è noto, le radicali e considerevoli trasformazioni urbanistiche moderne che si verificano in aree metropolitane già urbanizzate, come nel caso di Milano, si caratterizzano per una debole integrazione con il tessuto sociale preesistente, confinato in una posizione subalterna nel gioco della trasformazione. Si tratta di un gioco che assume il territorio come fattore competitivo in grado di migliorare le performance delle imprese per attirare nuovi clienti, innalzandone così il valore d'uso e di scambio dell'area; si pensi per esempio all'uso residenziale dell'area e ai servizi erogati destinati alla riduzione della frammentazione sociale. 17Dall'articolo di CIPRIANI A., Milano allagata: che strano che il Bosco Verticale non assorbe la pioggia, martedì 18 novembre 2014, su <www.peopleglobalist.it>. 16 I.3 Dietro al progetto Porta Nuova: riqualificazione e gentrification Quello che sta accadendo al quartiere Isola è un processo di 'riqualificazione urbana', processo che è per sua natura un atto pianificato, non si tratta cioè di un avvenimento spontaneo ma è regolato e trova la sua genesi nei precisi scopi che un'autorità territoriale intende perseguire; di fatto non c'è nulla di “naturale” nelle dinamiche di trasformazione degli spazi 'umani', che siano essi un quartiere o una città. Secondo la definizione intendiamo si intende per riqualificazione: Indirizzo della pianificazione urbanistica, a scala generale e particolareggiata, nonché intervento concreto, mirante ad un recupero e ad una rivalutazione complessiva , in termini contemporanei, degli ambienti urbani e degradati ed anche funzionalmente superati rispetto a sopravvenute esigenze sociali 18. Il discorso di “riqualificazione” implica dunque il concetto di 'degrado' (etimologicamente indica un movimento dall'alto verso il basso, il venire a poco a poco scemando in altezza) come si evince dalla presentazione Porta Nuova: Porta Nuova accoglie la sfida di riqualificare un'area dismessa e degradata. […] Negli anni Sessanta, l'arretramento dell'area delle Varesine portò alla realizzazione della stazione Porta Garibaldi lasciando quest'area strategica per Milano sospesa per oltre quarant'anni. Si generò così una ferita nel tessuto urbano, che portò la zona a “disconnettersi” non solo dalla città ma anche dai quartieri circostanti. […] Porta Nuova rivolge lo sguardo oltre l’Expo 2015, promuovendo il tema della qualità urbana attraverso una progettazione attenta che contribuisce al miglioramento della vita dei cittadini 19. Le ragioni espresse qui a favore di un risanamento della zona in questione partono, da un discorso di vuoto urbano e di un quartiere abbandonato “disconnesso”, che verrà riqualificato per il miglioramento della vita degli abitanti. Le trasformazioni che interessano oggi i quartieri o precise zone urbane (in riferimento a zone occidentali) sono improntate a quella che è la ridefinizione del ruolo della città stessa nel contesto internazionale, ruolo che viene definito in base alla capacità di catalizzare il capitale finanziario e dall'ampia gamma di servizi 18BORRI D., Lessico Urbanistico, Bari, Dedalo, 1985. 19Brochure Porta Nuova consultabile sul sito <www.porta-nuova.com>. 17 specializzati offerti alle imprese: la conseguenza più diretta, al fine quindi di rendere più appetibile la città da un punto di vista economico è la nascita di un tipo di commercio focalizzato, che riguarda per lo più negozi di lusso e ristoranti per esempio, come richiamo per la nuova aristocrazia urbana. Tiziana Villani20 lo definisce in questo modo: Lo spazio urbano nelle sue più recenti trasformazioni tende alla privatizzazione delle funzioni contando sui processi di globalizzazione, che impongono la strutturazione di città disarticolate e diffuse, ove però si insediano nuove gerarchie, soprattutto finanziarie, che finiscono con l'essere le vere artefici di questa nuova e rapida colonizzazione del territorio21. Come scrive Saskia Sassen22, alla luce dei suoi studi riguardanti le rapide trasformazioni degli ultimi decenni in tema di spazi urbani, esaminando i flussi delle classi creative, gli sviluppi e i flussi delle reti finanziarie, «per chi è strategica la città oggi?23». Sembra, infatti, che il concetto di riqualificazione implichi dei fenomeni più complessi e forse non di immediata percepibilità nel suo divenire, i quali non sono solamente di natura socio-economica ma riguardano conflitti sociali “nascosti dalla retorica zuccherina della rigenerazione urbana”24. Questi fenomeni sono stati spiegati e raggruppati sotto il termine più ampio di gentrificazione: il neologismo, dall'inglese gentrification, è stato coniato in ambito accademico dalla sociologa britannica Ruth Glass 25 per spiegare un particolare fenomeno in corso in alcune zone popolari della Londra degli anni sessanta del 20Tiziana Villani è una filosofa e saggista che dal 2005 collabora con Isola Art Center. Dirige le riviste di filosofia “millepiani” e “millepiani/Urban” e collabora con “Urbanisme”. Tra i suoi ultimi scritti figurano: La voce del corpo in “Lessico postfordista” (2001) e Il Tempo della Trasformazione (2006). 21VILLANI T., Il restayling di Garibaldi-Isola, in Fight-Specific Isola, p.328. 22Saskia Sassen (1949) è una sociologa ed economista statunitense. La sua ricerca si è da sempre concentrata sul concetto di globalizzazione nella sua dimensione politica, sociale ed economica, oltre che sui concetti di immigrazione e sulla 'città globale' concetto da lei teorizzato. Tra i suoi scritti: Losing Control?: Sovereignty in the Age of Globalization (1996), Globalization and its Discontents: Essays on the New Mobility of People and Money (1999), A Sociology of Globalization (2006). 23SASSEN S., Le città nell'economia globale, il Mulino, Bologna, 1997, p.208. 24DIAPPI L., Rigenerazione urbana e ricambio sociale. Gentrification in atto nei quartieri storici italiani, Franco Angeli,Milano, 2009, p.10. 25Ruth Glass (1912-1990) è stata una sociologa tedesca, emigrata in Inghilterra negli anni '30. Attraverso i suoi studi sull'urbanizzazione, in particolare in riferimento alla città di Londra, è arrivata a coniare il termine gentrification. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Urban Sociology in Great Britain (1955), London, Aspect of Change (1964), London's Housing Needs (1965). 18 Novecento. One by one, many of the working class quarters of London have been invaded by the middle classes—upper and lower. Shabby, modest mews and cottages—two rooms up and two down—have been taken over, when their leases have expired, and have become elegant, expensive residences. Larger Victorian houses, downgraded in an earlier or recent period—which were used as lodging houses or were otherwise in multiple occupation—have been upgraded once again. […] The current social status and value of such dwellings are frequently in inverse relation to their size, and in any case enormously inflated by comparison with previous levels in their neighbourhoods. Once this process of ‘gentrification’ starts in a district, it goes on rapidly until all or most of the original working class occupiers are displaced, and the whole social character of the district is changed. There is very little left of the poorer enclaves of Hampstead and Chelsea: in those boroughs, the upper-middle class take-over was consolidated some time ago. […]. And this is an inevitable development, in view of the demographic, economic and political pressures to which London, and especially Central London, has been subjected 26. Il fenomeno, in breve, riguarda la riqualificazione urbana attraverso l'estetizzazione di alcuni luoghi con la conseguente sostituzione degli abitanti di quella data parte di città (distretto o quartiere) in funzioni delle variabili economiche, demografiche ed etniche: una popolazione composta da lavoratori appartenenti a una classe mediobassa viene sostituita, al seguito di un rinnovo delle unità immobiliari e dunque da un accrescimento del loro valore, da una classe medio-alta (gentry: la borghesia inglese), provocando quindi uno sfaldamento del tessuto sociale. Quindi, secondo la definizione della Glass il processo descritto segnala una prospettiva multidisciplinare in quanto include in sé, almeno, tre punti di vista: edilizio, geografico e sociale. Edilizio in quanto vecchie alloggi, in condizioni di degrado, vengono recuperati e rinnovati, con conseguenti ripercussioni sul valore immobiliare degli stessi; geografico poiché quanto descritto sopra si circoscrive e verifica perlopiù in una grande metropoli, comunque in prossimità del centro città. Dal punto di vista sociale, invece, emerge il discorso dell'appartenenza a una 'classe' ovvero si parla di 'middle class' e 'working class'. Nel corso degli anni '80 si sono sviluppati gli studi in merito ed è nata una vera e propria gentrification literature, che ha visto la definizione della Grass cambiare nel tempo, di pari passo con il dibattito sulle cause e conseguenze del processo da lei 26GLASS R., Aspect of change, London: Centre for Urban Studies & McGibbon & Key, 1964, p.18. 19 descritto, e i fenomeni di gentrification, da questo momento, vengono sempre più individuati in città di medie dimensioni. Autori come David Ley27, hanno sottolineato il carattere generativo e di cambiamento nel sistema economico della città indotto dal fenomeno della gentrification, come risultato del passaggio da una società industriale a una postindustriale. Una delle analisi più note a riguardo è quella di Neil Smith 28, il quale ne suddivide l'evoluzione in tre fasi distinte: nella prima fase la gentrification è sporadica e ciò che la caratterizza è l'arrivo dei cosiddetti 'pionieri' (che può essere inteso come un gruppo di persone, inizialmente non bene definibili e circoscrivibili a una certa classe sociale, che giunge nel quartiere per scoprirne le potenzialità dal punto di vista della produzione estetica, tra cui anche gli 'artisti'); nella seconda fase il processo già si stabilizza grazie a un progressivo sostegno da parte dell'amministrazione pubblica; mentre nell'ultima fase si raggiunge una gentrification generalizzata, ovvero definita come “la prua del cambiamento metropolitano nei centro-città29” che cela, dietro a una apparente accessibilità democratizzata di un paesaggio percorribile da chiunque, una disuguaglianza nelle possibilità di consumo. In riferimento all'elemento dell'esclusione sociale analizzato nel nostro caso di Isola a Milano, la studiosa delle città globali Saskia Sassen afferma: L'elevamento sociale di un quartiere portato all'estremo, come mi sembra stia accadendo con l'intervento urbano in questione, inserisce appunto una certa politica nello spazio urbano in questione, troppo potere che spinge i più deboli fuori. E questo farà nascere una reazione altrettanto politica30. 27David Ley è geografo e professore presso la University of British Columbia. La sua ricerca si concentra nel campo della urban geography, e sul fenomeno della gentrification. Tra i sui scritti: Neighbourhood Organizations and the Welfare State (1994), The New Middle Class and the Remaking of the Central City (1996), Community Participation and the Spatial Order of the City (1974). 28Neil Smith (1954-2012) è stato un geografo e professore di geografia e antropogia presso il Graduate Center della City University di New York. Nella sua opera più conosciuta Uneven Development: Nature, Capital and the Production of Space (1984) propone la teoria secondo la quale lo sviluppo ineguale dello spazio dipende dalla logica procedurale dei mercati e che in questa logica sono la società e le economie a plasmare lo spazio. Tra i suoi scritti: Geography, Social Welfare and Underdevelopment (1977), Gentrification of the City (1986), The New Urban Frontier: Gentrification and the Revanchist City (1996). 29“...comme la proue du changement métropolitain dans les centres-villes”, SMITH N., La gentrification généralizée: d'une anomalie locale à la “régénération” urbaine comme stratégie urbaine globale, Descartes &Cie, Parigi , 2003., p.22. 30La citazione è tratta da un' intervistata realizzata da A.Baudel su «D di Repubblica», 7 luglio 2007. 20 Di fatto “lo sblocco dell'annoso progetto Garibaldi-Repubblica ha incrementato al visibilità del quartiere Isola sui mezzi di informazione […] si è registrato nel quartiere il tasso di crescita dei valori immobiliari più alto della città”31. Tra i dati più recenti riguardo agli sviluppi della crescita del mercato immobiliare sono del 2007 e indicano che il quartiere Isola nell'intervallo che va dal 2002 al 2006 è stato tra i quartieri di Milano quello che ha registrato l'aumento più significativo dei valori immobiliari, con un aumento tra gli abitanti di liberi professionisti e laureati, mentre una scomparsa di persone anziane le quali figurano invece tra i venditori principali delle abitazioni32. Questo denota uno degli effetti a lungo andare di un'iniezione di capitali in una specifica zona che la porta ad avere un carattere attraente che porta a un insediamento di un tipo di popolazione con un potere d'acquisto più elevato rispetto a chi già ci vive. Sono i cosiddetti gentrifiers, i 'nuovi' abitanti, i quali, come sottolinea la sociologa Sharon Zukin33, sono attratti nei quartieri riqualificati nei quali, il loro arrivo, genera anche il bisogno di nuovi consumi culturali per i quali giocano un ruolo fondamentale, di attrazione e valorizzazione, le diverse attività commerciali in loco. Il meccanismo che è entrato in gioco nel quartiere Isola è stato quello del 'definirlo come 'quartiere ricreativo', la linea narrativa della creatività, portandolo a una fase di “emersione” con la stessa forza con cui si era “degradato”, dove però la stessa caratteristica di 'autenticità' risulta ambigua in quanto può diventare uno strumento di potere e di ricchezza. Da un saggio di Davide Caselli34 e Mara Ferreri35 emerge: Si tratta di una concezione del tutto particolare della creatività. Per esempio è possibile che negli anni dell'affermazione dell'”Isola creativa”, nel quartiere vengano chiusi quattro importanti centri sociali e squat che, nati nella fase del presunto “vuoto urbano”, avevano 31DIAPPI L., Rigenerazione urbana, p.126. 32Ibid. 33Sharon Zukin è una sociologa, insegna presso il Brooklyn College. La sua ricerca si concentra sulla modern urban life, Tra le sue pubblicazioni: Loft Living: Culture and Capital in Urban Change (1982), Industrial Policy: Business and Politics in the United States and France (1985), Structures of Capital (1990). 34Davide Caselli è un sociologo. Le sue ricerche si focalizzano sulle politiche di inclusione/esclusione sociale, governance urbana e gentrificazione. 35Mara Ferreri è una ricercatrice che vive a Londra. Collabora dal 2007 con Isola Art Center. In riferimento al quartiere Isola ha pubblicato il saggio Self-organised critical spatial practices and affects in conflictive urban developments in “Critical Cities. Ideas, Knowledge and Agitation from Emerging Urbanists” (2009). 21 reso il quartiere un punto di riferimento della cultura alternativa di Milano […] aprono nel frattempo negozi di artigianato di nicchia, enoteche, bar e pasticcerie. […] La designazione dell'Isola come “quartiere creativo” produce dunque una normativa urbana nella quale l'unica possibile “emersione” è data da un'integrazione nei circuiti del mercato immobiliare, attraverso l'aumento degli affitti e del valore degli immobili e la sparizione dei principali spazi di cultura alternativa, a cui tutti i quartieri si devo adeguare in maniera diretta o indiretta secondo sempre nuove frontiere di “sviluppo” 36. La gentrification appare dunque fenomeno da condannare nel momento in cui invece che realizzarsi e partecipare alla formazione di una maggiore integrazione sociale ne favorisce all'opposto le disuguaglianze tra le classi sociali, ovvero tra le nuove élite e le nuove marginalità (popolazione di reddito medio-basso), poiché obbliga i ceti popolare ad abbandonare la zona a causa dei prezzi proibitivi. Viene usato il termine “espulsione” per indicare appunto la conseguenza causata da processi di trasformazione del territorio urbano o da pressioni di tipo economico sulle classi sociali. Come sottolinea anche l'urbanista Peter Marcuse37, questo fenomeno dell'espulsione non è facilmente leggibile in quanto varia tra un contesto urbano e l'altro ed è composto da diversi gradi di visibilità/invisibilità. Si può trattare di un abbandono del quartiere da parte di una fetta della sua popolazione, oppure di un'espulsione diretta attuata attraverso sfratti e sgomberi, oppure ancora un effetto catena di nuovi gruppi migratori che spostano le classi meno abbienti verso zone periferiche e infine la già citata esclusione sociale ed economica che si verifica a causa dell'aumento del costo degli immobili38. Nel quartiere Isola, come vedremo in seguito, lo sgombero più visibile è stato senz'altro quello avvenuto alla Stecca degli Artigiani nel 2007 da parte della Digos, a cui seguirà la demolizione dell'edificio stesso. Questi processi di ricomposizione/composizione sociale sono dinamiche complesse che aprono a un discorso molto più ampio che ingloba il dibattito sul ruolo della cultura e della cosiddetta “classe creativa” come elemento decisivo nei processi di 36CASELLI D., FERRERI M., Agire nel vuoto emergente, in Fight-Specific Isola, pp. 346-347. 37Peter Marcuse (1928) è un urbanista e avvocato tedesco, è stato professore di pianificazione urbana presso la Columbia University. Tra le sue pubblicazioni: Of States and Cities: The Partitioning of Urban Space (2002), Cities For People, Not For Profit: Critical Urban Theory And The Right To The City (2011). 38MARUSE P., Abandonment, Gentrification and Displacement. The Linkages in New York City, London, 1986, p.23. 22 trasformazioni urbanistiche. Infatti, da parte di alcuni studiosi, la gentrification non sempre è da considerarsi negativa: si riconoscono, infatti, in alcuni casi gli effetti rigenerativi della gentrification in termini economici e ambientali che si traducono nella rivitalizzazione dei quartieri davvero in stato di degrado. In alcuni casi risulta anche che il ricambio sociale di una determinata zona gentrificata è meno radicale di quanto si pensi, poiché pare dovuto a dinamiche di abbandono spontaneo anziché di un'esclusione vera e propria, casi nei quali i ceti popolari cedono il posto a una popolazione di giovani che apporta al territorio nuova linfa culturale. A questo proposito è interessante lo studio condotto da Richard Florida 39, pubblicato nel volume L'ascesa della nuova classe creativa, ha teorizzato l'ambiente adatto per lo sviluppo delle attività creative legato al bohemian index, ovvero la presenza in una certa zona di artisti, attori e scrittori, in pratica quell'indice che misura il grado di creatività di una città derivato dalla crerative class: Il suo nucleo centrale comprende le persone impegnate nel campo scientifico, nell'ingegneria, architettura e design, nell'educazione e nell'arte, musica e spettacolo, la cui funzione economica è di creare idee, tecnologie e/o contenuti creativi nuovi. Per loro, tutti gli aspetti e le manifestazioni della creatività – sia essa tecnologica, culturale o economica – sono interrelazionati e inseparabili 40. La sostituzione dei ceti sociali è dunque vista in quest'ottica in maniera positiva nella trasformazione di una città in quanto la creatività, e quindi la classe creativa, apporta al luogo nuove tecnologie, industrie e ricchezza insieme a una serie di positive conseguenze economiche. E' giusto quindi procedere comunque con un'analisi caso per caso, circoscrivendo al contesto specifico ogni tipo di conclusione. Vero è che non esiste un metodo standard, strumentale, per la rilevazione dei processi di gentrification. Per questo motivo per descrivere il processo di 39Richard Florida (1957) è un teorico degli studi urbani e insegna presso la Rotman School of Management dell'Università di Toronto. Le sue ricerche si focalizzano sulle teorie sociale ed economiche e sulla 'classe creativa', idea espressa nei suoi scritti The Flight of the Creative Class (2005) , Cities and the Creative Class (2005) e The Rise of the Creative Class (2002). 40FLORIDA R., L'ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Mondadori, Milano, 2003, pp. 28-29. 23 trasformazione di un quartiere risulta significativo analizzare la percezione soggettiva del mutamento per stabilire l'eventuale stadio di maturazione del processo, andando a leggere le trasformazioni nelle loro ricadute sul vissuto quotidiano, privilegiando il ricorso alle testimonianze dirette dei soggetti coinvolti. Per quanto riguarda il quartiere Isola, qui mi oggetto di studio, è stato istituito Osservatorio in Opera41, un laboratorio nato per mano degli artisti Piero Almeoni e Paola Sabatti Bassini, che ha raccolto, a questo proposito, una serie di interviste condotte ad alcuni abitanti della zona restituendoci un panorama della situazione in data giugno 2006, sviluppando in questo modo una forma di indagine che attua una sorta di empatia con il luogo e le persone, con la conoscenza locale diretta di queste che si oppongono alla trasformazione del proprio quartiere. OinO(OsseravtorioInOpera)- Avete ancora delle idee da raccontare, dei progetti, dei sogni, per questi spazi dell' Isola? T- Se ci sono spazi comuni la gente esce. Io ad esempio vorrei una piscina, ma qualcuno altro avrà altre esigenze, vorrei si chiedesse loro cosa vogliono per poi ridefinire un progetto. Vorrei ricreare quello che c'era una volta. Un borgo, un piccolo comune. Piano piano ci hanno tolto tutto: la bocciofila, le porte da calcio le hanno portate via perché dicevano che le rubavano...Pensa che da quelli della mia età questo giardino è stato soprannominato il “campo dei topi” e non il “campo giochi”, perché veramente non c'è niente. OinO- Tu che sei un commerciante, come pensi di reagire a questo progetto? T- C'è poco da fare, più che mobilitarsi come stiamo già facendo...però quella è gente forte, una volta che partono gli appalti non so che cosa potremmo ancora fare, spero non ci tocchi di subire e basta. Qui di vita sociale non ce n 'è e io come commerciante, oltre che come abitante, non sarei comunque contento di queste nuove costruzioni che non porterebbero più gente al mio negozio, anche perché è previsto un centro commerciale. Anche un gran traffico di automobili per me non sarebbe il meglio, invece se la zona fosse ben servita dai tram ci sarebbe più gente in giro a piedi. Il business a Milano comunque sono i centri commerciali, quindi non so che destino avrà il mio negozio. E quella è la massima aspirazione della nostra amministrazione. Forse mi andrà meglio con i palazzi con tanti appartamenti, ad esempio ne stanno facendo uno qui dietro che ha diciassette appartamenti con 200 box. È assurdo 42. 41L'Osservatorio era situato inizialmente alla stecca degli Artigiani e nasce sotto la spinta degli artisti di Isola art Center. Piero Almeoni e Paola Sabattini Bassini sono due artisti il cui incontro porta alla realizzazione di questo laboratorio di ricerca che a partire dal 2001 dà vita a progetti site-specific collaborando con altri artisti, realizzando una serie di eventi e di pubblicazioni sempre in relazione al tema del rapporto tra il linguaggio dell'arte e la realtà, intesa soprattutto come sociale. 42Osservatorio in Opera, pag. 54. 24 I.4 (Ri) progettare lo spazio Alla base del dibattito sul processo di gentrification e di riqualificazione urbana è necessario capire cosa intendiamo quando parliamo di spazio ovvero quel luogo definito e determinato dall'azione politica, economica e sociale in continua interazione tra di loro. Per definizione potremmo affermare che lo spazio è politico, in quanto caratterizzato dai diversi gruppi che lo abitano, e di conseguenza è anche strategico poiché orientato a un uso economico, sociale, politico. Lefebvre sostiene che il potere, ovvero lo Stato43, utilizza lo spazio per ridurre le differenze, per ricondurle sotto il proprio controllo, infatti, l'omogeneità dello spazio porta agilmente a una garanzia di controllo, sorveglianza e assicurazione delle condizioni che permettono la riproduzione dei rapporti di dominio. Basta vedere, negli ultimi anni, l'applicazione di una serie di misure per il “decoro urbano”, ordinanze municipali attuate in Italia, e anche nel resto d'Europa, che prevedono una serie di ordinanze restrittive delle libertà individuali tese, in particolare, a impedire l'uso degli spazi pubblici come luoghi di socialità sotto la denominazione di “nuova prevenzione” o “sicurezza delle comunità”. Per uno sguardo d'insieme rimando allo studio pubblicato sul sito dell'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), Per una città sicura: Seppur continuando ad occupare un'area “grigia”, dai confini “incerti o in continua ridefinizione”, nello sviluppo di tali politiche gli enti territoriali sono stati progressivamente coinvolti, divenendo soprattutto negli ultimi anni, “attori chiavi” nelle politiche di sicurezza e di prevenzione della criminalità. Proprio a partire da un'idea di sicurezza urbana, non più intesa esclusivamente come politica di controllo del territorio e di repressione dei reati e con l'obiettivo comune di migliorare la sicurezza dei cittadini, in Italia e in Europa, si sono sviluppate soprattutto negli ultimi anni, politiche paternariali che hanno visto il coinvolgimento e la collaborazione tra più attori, istituzioni e non 44. Lo spazio in quanto soggetto al cambiamento è strumentale, nel senso che il suo utilizzo consente al potere di garantire la propria esistenza e di esercitarne la propria 43Per Lefebvre il potere non è riducibile a un'unica identità ma è costituito da una molteplicità di parti che agiscono simultaneamente. 44GIOVANNETTI M., Introduzione in Per una città sicura, pag. 12. 25 azione di dominazione. Le classi dominanti si servono oggi dello spazio come di uno strumento. Uno strumento dai molteplici fini: disperdere la classe operaia, ripartirla in luoghi assegnati […], subordinare lo spazio al potere, controllare lo spazio e regolare tecnocraticamente la società, conservando i rapporti di produzione capitalistic i45. Di fatto ogni atto di pianificazione è un atto politico, in quanto cela in sé un'ideologia e veicola una serie di valori che vengono inscritti nella comunità che vive quello spazio. Ciò che prende rilievo in questa interpretazione è ,dunque, il ruolo della disciplina urbanistica, il quale compito, dovrebbe essere quello di definire quali operazioni spaziali siano imprescindibili per raggiungere un certo esito sociale e quali da evitare per impedire eventuali fratture nel tessuto sociale. In questo senso è interessante, e applicabile a mio parere alla riflessione sul caso del quartiere Isola, l'analisi di Lefebvre46 sulle modalità e le forme attraverso le quali il capitalismo ha, nel corso del Novecento, prodotto un modello di spazio confacente alle proprie esigenze; di fatto con l'avvio dell'industrializzazione è avvenuta una sorta di rottura nella storia urbana, con la quale la città è stata orientata sempre più verso la sottomissione del suo valore d'uso al prodotto: Il suolo è diventato merce, lo spazio indispensabile per la vita quotidiana si vende e si acquista. Tutto ciò che fa la vitalità della città come opera è scomparsa davanti alla generalizzazione del prodotto. Lefebvre dedica un'attenzione particolare giustappunto all'urbanistica, che secondo il filosofo francese, è causa di quella omogenizzazione di cui parlavo sopra, di quel processo per il quale viene soffocata la vera natura differenziale dello spazio sociale fatta di forme varie, caratteristiche peculiari e contraddizioni irriducibili. 45LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976 , pp.130-132. 46Henri Lefebvre (1901-1991) è stato un filosofo, urbanista e sociologo francese, noto per aver introdotto i concetti di diritto alla città e produzione dello spazio sociale. Tra i suoi scritti vi sono: Critique de la vie quotidienne (1947), Le Droit à la ville (1968), La Révolution urbaine (1970), La Production de l'espace (1974). 26 non sanno che lo spazio cela un'ideologia […]. Ignorano o fingono di ignorare che l'urbanistica, obiettiva in apparenza è un'urbanistica di classe e cela una strategia di classe (una logica particolare)47. Intervenire su grandi aree, infatti, implica necessariamente chiedersi come vengano percepiti questi spazi, le dinamiche che li attraversano, cercando di comunicare e mantenere quei valori che vanno oltre i limiti dello spazio stesso. Il compito della disciplina urbanistica dovrebbe essere quello di cercare di definire quali operazioni spaziali sono necessarie per raggiungere un certo esito sociale attraverso uno studio e un riconoscimento della popolazione, tenendo presente che lo spazio viene creato dalle forze sociali e dai rapporti di produzione. Una delle opere che senz'altro ha maggiormente contribuito al dibattito sull'urbanistica contemporanea è la pubblicazione L'immagine delle città di Kevin Lynch48. Questi, partendo da alcuni principi di base forniti dagli studi della Gestalt (psicologia della forma) analizza la formazione dell'immagine urbana prendendo in analisi la percezione che ne hanno di questa i suoi abitanti, attraverso interviste e chiedendo di rappresentare gli elementi più significativi per loro della città. Sembra che per ogni città data esista un'immagine pubblica, che è la sovrapposizione di molte immagini individuali. Tali immagini di gruppo sono indispensabili perché un individuo possa agire con successo nel suo ambiente e collaborare con gli altri 49. Il materiale raccolto gli ha permesso di capire come la città possa influenzare la vita quotidiana dei cittadini che la abitano e quali sono le parti di questa più sentite, più significative che hanno una maggior presenza urbana al fine di poterle valorizzare. 47LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976 , pp.72. 48Kevin Lynch (1918-1984), è stato un architetto e urbanista statunitense., professore ordinario presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di disegno e pianificazione urbana. La sua indagine si focalizzò in particolare sullo studio della percezione urbana da parte degli abitanti. Tra le sue opere figurano: The Image of the City (1960), What Time is this Place? (1972), A Theory of Good City Form (1984). 49LYNCH K., L'immagine della città, Marsilio Editori, Padova, 1969, p.65 27 I.5 Dalla città ideale al diritto alla città50 Le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altra bastano a tenere su le loro mura. Italo Calvino, Le città invisibili 51 Di fatto nei primi anni del '900 sopravviveva ancora la possibilità di pensare a una città organizzata e ordinata, idea che è poi entrata in crisi con l'avvento del capitalismo disorganizzato, costellato dai processi di globalizzazione, migrazione, crisi economiche, che hanno visto svanire la possibilità di poter elaborare un piano regolatore ad hoc. Nelle città contemporanee non esiste più né un centro né un punto di vista unificante, la città ideale è un'utopia (dall'etimo greco ou-tópos, non luogo, e eutópos, luogo felice), l'idea di uno spazio estraneo a qualsiasi conflittualità resta prettamente un'idea rinascimentale, legata alla cultura umanistica, quando ancora si progettavano le città ideali dalla geometria rigorosa e dall'armonia di moduli e proporzioni, come la Sforzinda di Filarete. Nuovi centri urbani sono cresciuti in maniera discontinua, con la presenza di vuoti urbani significativi tra le zone urbane e quelle industriali, questo è avvenuto soprattutto dopo la trasformazione del sistema produttivo che ha visto fuoriuscire l'industria dal tessuto urbano; è divenuto, dunque, necessario capire come questi processi fondamentali abbiamo provocato ripercussioni sul modo di vivere la città da parte degli abitanti, sulle modalità attraverso la quale la società riproduce le sue relazioni e strutture. Nel '900 nasce un vivo interesse sul tema e vengono considerati, da intellettuali quali Max Weber, George Simmel52, gli effetti della moderna metropoli sulle relazioni sociali tra i cittadini e il loro stile di vita, sul nuovo individuo emergente 50LEFEBVRE H., Il diritto alla città, Marsilio Editori, Padova, 1968. 51CALVINO I., Le città invisibili, Mondadori, Milano, 1992, p. 392. 52SIMMEL G., Le metropoli e la vita dello spirito (1903), opera nella quale, il filosofo e sociologo tedesco, sottolinea lo sviluppo di una vita nervosa da parte degli abitanti di una metropoli e alla spersonalizzazione delle relazioni umane. 28 da una urbanizzazione così rapida e incontrollata. Nel 1973 Manfredo Tafuri pubblica Progetto Utopia: architettura e sviluppo capitalistico, nel quale sferra una dura critica all'ideologia architettonica esprimendo l'urgenza di trovare delle soluzioni nuove per la progettazione urbana. In un'ottica di rilettura radicale della città, i Situazionisti sono tra i primi nel dimostrare interesse per la città come complessa macchina urbana e nel comprendere l'importanza dello sviluppo di una geografia sociale, documentandone gli spazi attraverso delle mappature alternative, elaborando le cosiddette psicogeografie, al fine di ricostruire lo spazio sociale e di sottolineare come le strutture abbiamo un impatto rilevante sulle persone che le abitano e di come la qualità estetica dei luoghi influisca sulla vita quotidiana dei cittadini. Per mezzo dell' “attraversamento” della città, dei suoi spazi, interstizi e ostacoli è possibile recuperare una conoscenza spazio-temporale dimenticata. Robert Park, sociologo, esponente della scuola di Chicago, definisce la città come un mondo da un lato creato dall'uomo in funzione dei suoi desideri e allo stesso tempo il posto in cui l'uomo stesso è condannato a vivere, costruendo la città ha quindi costruito se stesso. La città è piuttosto uno stato d'animo, un corpo di costumi e tradizioni, di atteggiamenti e di sentimenti...non è semplicemente un meccanismo fisico e una costruzione artificiale: essa è coinvolta nei processi vitali della gente che la compone; essa è un prodotto della natura, e in particolare della natura umana 53. Conseguentemente dunque, la città, una volta formatasi in risposta ai bisogni dei suoi abitanti, modella e influenza questi ultimi con gli interessi del disegno che essa incorpora al suo interno. La città contemporanea misura il suo grado di complessità nella difficoltà di considerare e gestirei diversi aspetti e le diverse dinamiche, nella sua organizzazione e nel suo essere in grado di offrire i servizi richiesti in risposta ai nuovi bisogni di chi la abita. Le trasformazioni sociali degli ultimi decenni sono difficilmente analizzabili 53PARK R., La città: indicazioni per lo studio del comportamento umano nell'ambiente urbano, p. 5 in La città, Edizioni di comunità, Treviso, 1999, p.43. 29 attraverso strumenti pianificatori tecnici tradizionali, che non ne comprendono i caratteri fondamentali urbani, per questo è necessaria un nuovo modo di guardare, un nuovo orientamento in grado di cogliere le nuove emergenze e, conseguentemente, nuove tecniche e strumenti di valutazione degli interventi all'interno della città, partendo per esempio dall'analisi delle ragioni alla base di pratiche culturali e sociali nati in alcuni spazi della città. Come riconnettere la città formale a quella informale, i diversi pezzi frammentati del territorio urbano, attraverso l'azione partecipata dei cittadini stessi? È questione di assumere nuovamente una visione antropocentrica, ovvero riporre al centro del discorso l'individuo nello spazio sociale e analizzare il rapporto che intercorre tra l'architettura e il suo comportamento; ciò che Lefebvre definisce “produzione dello spazio sociale”54, riconoscendo in essa tre categorie, una dialettica triplice dello spazio: lo spazio praticato (vissuto), la rappresentazione dello spazio (concepito) e lo spazio di rappresentanza (percepito). Sempre negli anni '70 Foucault teorizza alcune aree particolari comprese nel perimetro della città che chiama eterotopie55, ovvero dei luoghi potenziali punti di ritrovo tra abitanti e spazio pubblico56. Queste teorizzazioni spaziali per indicare che l'azione di reinventare la città in base alle esigenze di chi la vive, di plasmarla in funzione dei propri desideri deve diventare, per questo, un diritto ad appannaggio di tutta la collettività, il diritto di partecipare ai processi di urbanizzazione in maniera attiva e alla possibilità, cioè, di poter definire in maniera comunitaria i tipi di beni che si vogliono consumare, lo stile di vita e le relazioni sociali che si vogliono sviluppare. Il diritto alla città, secondo Lefebvre, trova le sue radici nel concetto del quotidiano, della vita quotidiana, ovvero nella necessaria relazione tra l'uomo e altri uomini, e tra questi e il mondo, relazioni che vanno a costituire l'essenza della nostra vita, la nostra “familiarità”, è lo spazio in cui si muove l'essere umano e il terreno sul quale, 54LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976, p.32. 55«spazi differenti […], luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo», da FOUCAULT M., Eterotopia, a cura di S. Vaccaro, T. Villani e P. Tripodi, Mimesis, Milano 2010,p.13. 56Paul-Michel Foucault (1926-1984) è stato uno storico, filosofo e sociologo francese. Di grande rilevanza sono i suoi studi sulle organizzazioni sociali della società moderna, sulla sessualità, Tra i suoi scritti: Storia della follia nell'età classica (1961), Utopie. Eterotopie (1966), Sorveglliare e punire: nascita della prigione (1975), Storia della sessualità (1976-1984). 30 allo stesso tempo, la forza politica perpetua il suo dominio assicurandosi la continuazione dei rapporti di produzione. E dove si manifesta la vita quotidiana nel mondo contemporaneo se non nella cittàprodotto? E cosa costituisce se non un corpo unico,un supporto, differenziato al suo interno, dove ogni cittadino ritrova un senso di appartenenza e pone fine al senso di alienazione? Escludere alcuni cittadini dalla partecipazione ai processi di rigenerazione urbani significa formalmente escluderli dal processo collettivo di civilizzazione, oltre che escluderli fisicamente allontanandoli dal cuore della città e relegarli in periferie dimenticate. Il senso della cittadinanza urbana e della natura di uno spazio urbano, come lo è un quartiere, viene dunque espresso non soltanto dall'aspetto estetico architettonico ma da una serie di fattori intrecciati e combinati tra di loro, quali il disegno urbano, le diverse variabili morfologiche e sociologiche; anche la presenza o assenza dello spazio pubblico influisce sulla “personalità” e sulla sostanza dello spazio in questione; È da queste riflessioni che hanno preso vita diversi movimenti sociali che affrontano temi quali lo spazio pubblico, le relazioni tra il centro e le periferie, la cittadinanza attiva e i suoi diritti, tentando di proporre nuove forme democratiche di gestione e produzione della vita urbana. Quindi il poter esercitare il proprio diritto alla città è ciò che differenzia un comune individuo da un cittadino, ovvero ciò che si deve intendere come cittadinanza (concetto da ridefinire, riconsiderandone tutte le sfaccettature, le dinamiche e le complessità, termine costantemente rinegoziato da autorità e poteri economici) è la partecipazione piena e attiva di un cittadino alla vita urbana, attraverso la quale si possono misurare i traguardi ottenuti e individuare le mete a cui indirizzarsi e nelle quali investire in maniera ragionata le energie. 31 Capitolo II La pratica artistica come opera in atto nel campo sociale l'arte è l'espressione più sensibile e integrale del pensiero ed è tempo che l'artista prenda su di sé la responsabilità di porre in comunicazione ogni altra attività umana, dall'economia alla politica, dalla scienza alla religione, dall'educazione al comportamento, in breve tutte le istanze del tessuto sociale. Michelangelo Pistoletto, Manifesto Progetto Arte, 1994 II.1 Uno sguardo all'arte degli anni Sessanta e Settanta La grande sperimentazione in campo artistico negli anni Sessanta e Settanta aveva creato una certa consapevolezza della mancanza di confini dell'esperienza artistica, toccando per certi versi un punto di non ritorno. Si affermano svariati campi d'indagine, una mobilità sperimentativa che inizia a produrre 'altro', altre proposte, altri modi di fare arte, relegando la pittura nelle gallerie e negandole così il ruolo di tendenza esclusiva nell'arte. Dagli anni Sessanta, infatti, si avverte uno svanire della nozioni di avanguardia che lascia il posto a un progressivo passaggio verso una nuova categoria concettuale, ovvero quella delle arti plastiche costellata da una miriade di mezzi ed espressioni 32 artistiche nuove che vedono l'arte affrancarsi sempre più dal campo delle belle arti intese nelle forme di pittura e scultura, e offrono un quadro concettuale di più ampio respiro. Giulio Carlo Argan, nella sua critica a questo decennio sottolinea l'importanza dell'arte di assolvere a una funzione sociale e la necessità dell'individuo di integrarsi totalmente nella società sincronizzando il proprio ritmo esistenziale con quello del fare sociale, ed è qui che l'arte sviluppa la sua partecipazione “nell'impresa collettiva dell'umanità” come lui stesso la definisce. Il momento di cambiamento, di cesura, si attua quando iniziano a conquistare il terreno quelle pratiche extra-artistiche, quando con gli happening vengono instaurati nuovi tipi di rapporti tra arte e pubblico, espandendo il territorio dell'arte mediante il ricorso a nuovi supporti e ampliando l'uso di materiali e tecniche finora attinenti a specifici ambiti, come il video o la fotografia. Ma questo sconfinamento dell'arte non avviene soltanto oltre 'la cornice', cioè per quanto riguarda le nuove tecniche, ma anche e soprattutto oltre i luoghi e il sistema dell'arte, sino ad arrivare a un coinvolgimento tale che vede il sovrapporsi e il coincidere di arte e società, arte e politica. Un rapporto, per un certo verso, già intimamente connesso che risuona nelle parole di Althusser : il compito specifico dell'arte è far vedere, far percepire, far sentire qualcosa che si riferisca alla realtà. Quello che l'arte ci fa vedere o ci dà in forma di un vedere è l'ideologia da cui ha origine, nella quale si sprofonda e dalla quale si distacca in quanto arte, pur continuando a farvi riferimento. Infatti l'ideologia penetra in tutte le attività degli uomini, ed è identica al 'vissuto' stesso dell'esistenza umana, l'ideologia nell'arte ha per contenuto il vissuto degli individui. Questo vissuto non è un dato, il dato di una 'realtà pura' bensì il vissuto spontaneo dell'ideologia nella sua propria relazione con il sociale 57. Si fa strada un'arte consapevole del suo messaggio e della sua necessità di essere 'sociale', un'arte che scardina quel meccanismo per il quale il fare arte era visto come vittima del consumismo e dei meccanismi propri della società capitalista. Uno dei primi eventi di arte contemporanea internazionale che ha cambiato 57ALTHUSSER L. in F.Fedi, Collettivi e gruppi artistici a Milano. Ideologie e percorsi 1968-1985, Edizioni Endas, Milano 1986, p.17. 33 radicalmente il modo di percepire il lavoro dell'artista e il mutamento della sensibilità artistica di questi anni è senza dubbio la mostra Live in Your Head. When Attitudes Become Form, inaugurata il 27 aprile del 1969 alla Kunsthalle di Berna, curata da Harald Szeemann. Tra gli artisti presenti ricordiamo gli italiani Mario Merz, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Giuseppe Penone, Jannis Kounellis, Gilberto Zorio; gli americani Richard Long, Robert Morris, Sol LeWitt, Joseph Beuys, Richard Serra, Dennis Oppenheim; e i concettuali tedeschi Eva Hesse, Hanse Haacke e Hanne Darboven. Il sottotitolo della mostra è Opere, concetti, processi, situazioni, informazione. Le loro opere sono, infatti, letteralmente gesti messi in atto, racchiudono in sé un'ansia di agire e una tensione che fonde il comportamento dell'artista con la vita stessa, espressioni di un connubio tra energia manuale e mentale concentrata su un oggetto che si sviluppa nel tempo, il gesto che azzera l'oggetto rappresentato annullandone ogni rimando simbolico attraverso la semplice presentazione della cosa in sé. Cambia la figura del curatore come quella dell'artista stesso ,in questi anni, il quale assume innanzitutto il ruolo di cittadino socialmente e politicamente impegnato e orientato, gli artisti si definiscono e vengono definiti come “operatori estetici e culturali” o “operatori culturali” con il quale si evidenzia il fare artistico che sviluppa in una pratica molteplice. Tra casi di artisti italiani più evidenti possiamo citare come esempi Enzo Mari, Enrico Castellani e Piero Gilardi, accomunati dalla decisione ferma di operare fuori dal sistema dell'arte, convinti del forte carattere politico legato all'attività artistica. In tal senso ci furono artisti che offrirono la la propria manualità alla lotta rivoluzionaria, altri si dedicarono a temi legati alla società svelandone le contraddizioni e contestando la natura del linguaggio della comunicazione di massa (come il Gruppo 7058), altri invece introdussero direttamente la politica nelle loro opere anche introducendosi fisicamente nei luoghi della contestazione (come il 58Il Gruppo 70 si fonda nel 1964 a opera di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti ai quali si unirono Luciano Ori, Lucia Marucci, Mirella Bentivoglio, Emilio Isgrò, Giuseppe Chiari e Michele Perfetti. Il gruppo intendeva denunciare le contraddizioni linguistiche tipiche dei media, sottolineando la maniera nella quale questi traducevano in un linguaggio codificato le ideologie della cultura politica, economica e sociale. 34 collettivo Artwork59). Nello stesso anno della mostra di Harald Szseeman si aprivano le porte all'azione Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana60, a Como nel settembre 1969, che vedeva coinvolti tra i partecipanti Bruno Munari, Ugo La Pietra, Enrico Baj, Gianni Colombo, Gianni Pettena, Dadamaino e Ugo Mulas. L'evento si caratterizza per le pratiche radicali messe in atto dai diversi artisti nel centro storico di Como, interventi partecipativi che mirano al coinvolgimento degli spettatori-collettività per portarli a una riflessione in senso lato sull'architettura, la musica, l'arte, la performance, il design; Bruno Munari, ad esempio, con Visualizzazione dell'aria di Piazza Duomo, invita i presenti a tagliuzzare pezzi di carta e lanciarli dalla torre di piazza Duomo. Così facendo l'azione porta l'artista nella comunità, a diretto contatto con la collettività e negli spazi in cui questa agisce, si relaziona e vive il suo quotidiano, nella ricerca di un rapporto reale tra le due parti: l'artista che si insinua e converge con le abitudini della comunità e quest'ultima che diviene parte integrante di un'azione evasiva, radicale ma allo stesso tempo effimera. Di fatto la critica artistica degli anni '70 vede come sfondo e base teorica la filosofia pragmatista americana, in particolare di John Dewey, secondo la quale non è nel messaggio che risiede la comunicazione ma nella partecipazione e nello spazio implicato; nell'opera Arte come esperienza del 1934 Dewey sostiene che la comunicazione è il risultato derivato dal rapporto che si realizza tra organismo (l'artista) e l'ambiente (il pubblico), in una continua relazione e interazione tra l'individuo e l'ambiente in cui si trova. Anche secondo il filosofo Jean Pierre Cometti, riprendendo il pensiero di Dewey, afferma che è l'esperienza si è sostituita all'arte realizzandosi nell'esperienza del quotidiano, un evento che si esaurisce nella produzione di un'azione a contatto con la vita, rivendicando la dipendenza dell'arte dai contesti socio-culturali nei quali si definisce Il Padiglione italiano della Biennale di Venezia del 1976, curato da Germano Celant, 59Artwork è un collettivo nato come strumento di lotta che non aveva uno spazio fisico ma si concretizzava in iniziative proposte di volta in volta. 60L'evento è curato da Luciano Caramel, Ugo Mulas e Bruno Munari. 35 sviluppa il tema di Ambiente come sociale, dove vengono trattati argomenti quali la partecipazione spontanea, la crisi del concetto di comunità e di città, la riappropriazione urbana. In questo clima di profonda riflessione sul fare arte e sul significato di arte nella società si percepisce che il termine ultimo della pratica artistica, recuperato dal pensiero delle avanguardie storiche, deve essere quello di operare un cambiamento all'interno della società, liberando l'uomo dai condizionamenti imposti dalla società capitalista. Nel pensiero filosofico con Derrida, con Bourdieu e Foucault emergono i meccanismi nascosti del potere e della cultura, mentre nella dimensione artistica si assiste a una evoluzione delle forme e a una percezione della possibilità di trasformazione che porta alla cosiddetta 'uscita dalla cornice'. Nel 1967 Guy Debord, che fu uno dei fondatori dell' 'Internationale Situationniste', pubblica La société du spectacle, in cui sostiene che «tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli»61. La tesi che sostiene Debord è che la società dello spettacolo non è tanto un prodotto dello sviluppo tecnologico mediatico ma si identifica con il sistema economico avanzato capitalistico. Nel 1968 Enrico Castellani con Enzo Mari, Manfredo Massironi e Davide Boriani sottoscrivono il manifesto Un rifiuto possibile, prendendo una chiara posizione critica rispetto al sistema dell'arte, un rifiuto in particolare verso la partecipazione a manifestazioni quali Biennale di Venezia, Documenta, condannandone l'impronta prettamente commerciale. Esplorare le diverse sfaccettature della pratica artistica misurandone l'impatto sociale, forgiando un linguaggio utile alle trasformazioni in atto nella società, unito a una radicale critica al sistema e alle istituzioni dell'arte, ne fanno le principali linee di ricerca di questi anni. In questa costellazione di nuove attitudini tecniche e linguaggi uno degli aspetti di maggior impatto sono state le pratiche performative e la cosiddetta body art 61DEBORD G., La società dello spettacolo, SugarCo, Milano, 1990, p.22. 36 (termine introdotto dal sistema dell'arte americano e applicato in riferimento sia alle esperienze europee sia statunitensi), tendenze che raggruppano esperienze e ricerche concettualmente tra loro diverse ma accomunate dall'uso del corpo come strumento linguistico dell'opera d'arte, Il corpo come linguaggio titolo dato da Lea Vergine nel 1974 al suo pionieristico studio sull'argomento. Ho creato un linguaggio che mi ha dato la possibilità di pensare l'arte in modo nuovo. Quello dei corpi è il mio gesto radicale: i corpi diventano il materiale e l'oggetto del discorso (senso, spirito e materia). Gina Pane Si tratta di una ricerca artistica dove c'è il coinvolgimento pieno del corpo dell'artista che assorbe illusoriamente lo spettatore, un 'esserci' fisico che crea una nuova relazione diretta tra artista e spettatore: istanze di ricerca comuni ad altre esperienze di poco precedenti o coeve come gli happening, gli artisti Fluxus, alle operazioni di arte concettuale di Bruce Nauman dove il corpo è il principale oggetto di indagine. Risulta difficoltoso tracciare dei confini precisi intorno a questa pratica e definire quali esperienze e artisti rientrino precisamente in questa 'corrente', infatti, l'interesse sul problema del corpo nasce in un momento storico di crescente tensione sociale e mediatica nata intorno al movimento femminista, alla liberazione sessuale e ai movimenti del Sessantotto. La prima di queste esperienze è da trovarsi nel Wiener Aktionismus, ovvero l' Azionismo Viennese (nel quale figurano gli artisti Hermann Nitsch, Otto Mühl, Günter Brus e Rudolf Schwarzkogler, per citarne alcuni), nato agli inizi degli anni Sessanta proprio in seno a un'Austria conservatrice e repressiva rispetto alle libertà individuali. Il carattere sovversivo e rivoluzionario di tale movimento costituito da una crudezza dei gesti , una morbosità e azioni sconcertanti, attira immediatamente su di se la condanna da parte delle istituzioni e del pubblico, ma anche un eco internazionale. Infatti, nella seconda metà degli anni Sessanta diversi artisti si avvicinano al movimento azionista con azioni incentrate sul corpo, come il lavoro di Valie Export e Peter Weibel Aus der Mappe der Hundigkeit, 1968, utilizzando il corpo come 37 veicolo per infrangere quei codici sociali imposti dalla società o meglio da processo di civilizzazione; anche la francese Gina Pane cerca di svelare alcuni tabù sociali provocandosi svariate ferite e mettendo sempre più alla prova il suo corpo come luogo e materia d'arte e mettendo al centro della sua ricerca il dolore che si insinua nella vita quotidiana, nei gesti e nei rapporti interpersonali. Questo progressivo superamento della concezione tradizionale 'bidimensionale' dell'opera d'arte porta con sé importanti conseguenze per quel che riguarda il rapporto con lo spettatore. Il fruitore, in questo caso, è chiamato ad assistere all'azione da spettatore emotivamente attivo in quanto partecipa con empatia vivendo su di sé indirettamente il dolore, il disagio e la sofferenza dell'artista, e in maniera passiva in quanto accetta la sottomissione culturale dell'autorità dell'artista, ovvero lo spettatore, in nome dell'arte, accetta passivamente che il performer arrivi a umiliarsi e a infliggersi sofferenze fisiche. 38 II.2 Milano negli anni '70 e '80: tra occupazioni e collettivi La pratica sociale nella forma del gruppo Dal clima di insoddisfazione e fermento che caratterizza gli anni Settanta nasce, in contrasto con il concetto di individualismo, il senso della collettività: prendono forma, sotto la spinta di nuovi fattori culturali, gruppi mossi da una cultura politica e da un'ideologia che ha alla base l'uso della forma della democrazia diretta, dell'autogestione e del controllo dal basso. Il passaggio dall'individualismo al collettivismo è stato evidente anche nel settore delle arti visive, dove gli 'operatori' (termine che va a sostituire quello di 'artista', termine elitario per la sua natura che si poneva al di fuori di una realtà contingente) vogliono entrare nelle fabbriche, operare nel tessuto urbano provocando il pubblico a una partecipazione attiva contro una cultura organizzata a priori e imposta in modo passivo all'individuo. Bruno Munari ha scritto: si fa sempre più strada la convinzione che l'esperienza individuale può essere anche formidabile per l'individuo, ma se non ha anche un valore per la collettività, di questa esperienza non resta niente. Einstein disse: un uomo vale per quello che dà non per quello che prende. La vita della collettività, intesa come insieme di individui, è, logicamente più lunga di una singola vita individuale. È la somma delle esperienze individuali utili alla comunità, è da questa conservata e portata nel futuro. La somma delle esperienze è la tradizione, finora male intesa, nel senso che invece che costruirla ogni giorno veniva stancamente ripetuta. […] Io credo che l'artista è individualista, nel senso che gli interessa solo far vedere quanto è bravo, ma non aiuta gli altri nella crescita culturale, non serve alla collettività. Lascia gli individui nell'ignoranza, anzi ne sfrutta questo lato negativo a proprio vantaggio, aiutato da mercanti disonesti 62. La sperimentazione trova modi operativi nuovi, come la cooperazione della collettività alla definizione dei progetti; per molti operatori, infatti, il passaggio obbligato per trovare un modo alternativo è stato quello di lavorare in gruppi, aprendo il cambiamento nella concezione convenzionale del rapporto artista-società. Prevale il desiderio di correggere i rapporti tradizionali tra la gente e l'arte attuando nuove strategie in termini di pratica comunicativa, come riferisce Franco 62MUNARI B., Dall'individualismo al collettivismo, in 'Arte Centro 75' aprile-giugno. 39 Mazzucchelli: Adesso ci interessiamo esclusivamente dell'operazione che dobbiamo compiere, a più livelli, in più città […] Ho bisogno soprattutto della messa a punto di un lavoro collettivo, felice, disincantato, che trascenda dai canoni sclerotizzati dell'operare artistico e faccia parte anch'esso della vita di tutti i giorni 63. Il lavoro in gruppo insieme all'autogestione del lavoro, alla riappropriazione, al decentramento culturale accompagnato dalla nascita della problematica del rapporto con gli enti pubblici diventano i temi fondamentali alla base dello spirito delle esperienze artistiche di questi anni. La prima ricognizione consapevole dei fenomeni legati a questa nuova forma operativa viene condotta, come già citata in precedenza, dalla Biennale di Venezia del 1976, la quale ci presenta un'Italia, della prima metà degli anni Settanta, di fatto costellata di gruppi che tentavano esperienze politiche e sociali. Crispolti, curatore insieme a Raffaele De Grada, della sezione italiana dedicata all'Ambiente come sociale avente la sotto-sezione Documentazione Aperta64, afferma: un mutamento radicale di prospettive […] in senso di 'cooperazione' culturale, ove l'operatore assume un ruolo di provocatore e stimolatore, ma subito pronto a dare quanto a ricevere, disposto cioè subito a partecipare della partecipazione che egli stesso inizialmente ha sollecitato65. La modalità d'approccio all'ambiente sociale era, quindi, quella di mettere in atto una serie di operazioni artistiche dal carattere contestativo che creassero, in maniera conflittuale, un forte impatto emotivo all'interno del contesto urbano, cercando di suggerire una diversa consapevolezza della realtà della situazione sociale urbana. Vennero messe in atto dei veri e propri momenti di 'riappropriazione urbana' e 63Franco Mazzucchelli nasce a Milano nel 1939 e si diploma in scultura all’Accademia di Brera, dove diviene docente di Tecniche della Scultura. Nella sua produzione artistica analizza il problema dello spazio e della sua agibilità, attraverso le sue strutture gonfiabili in PVC lasciate in luoghi pubblici, ideate per interagire con la gente. 64Documentazione Aperta, Padiglione italiano ai Giardini di Castello, Biennale di Venezia 1976, Venezia 18 luglio-10 ottobre 1976. La mostra di Venezia era stata preceduta da alcune manifestazioni significative connesse con l'ambiente urbano come Al di là della pittura organizzata nel 1969 a San Benedetto del Tronto, e Campo Urbano dello stesso anno a Como dove alcuni artisti avevano cercato di coinvolgere emotivamente il centro della città. 65CRISPOLTI E., in Ugo La Pietra, Recupero e reinvenzione 1969-1976, Mariano, 1976. 40 opere di 'partecipazione spontanea' attraverso azioni poetiche piuttosto che politiche le quali coinvolsero direttamente il pubblico-popolazione, attraverso anche una serie di interventi in collaborazione e in sostegno di cortei di operai e militanti di sinistra in particolare nella città di Milano66, che in quanto città industriale italiana per eccellenza, fece avvertire in maniera più massiccia il conflitto sociale e politico che altrove67. Il novembre del 1970 è teatro di azioni di disturbo messe in atto durante il Festival del Nouveau Réalisme, delle azioni 'disequilibranti' di Ugo La Pietra, che lancia come motto di ispirazione all'Internazionale situazionista: Abitare è essere ovunque a casa propria. Un esponente di rilievo nel panorama milanese di quegli anni è Fernando De Filippi, noto per la sua invasione di testi strettamente politici per tutta la città, come il manifesto esposto in occasione della mostra Testuale. Le parole e le immagini recitava: La pratica sociale dell'arte è la sola possibilità di lavoro autonomo all'interno del processo di produzione artistico, in ogni progettazione ideologica si esprimono gli interessi della classe egemone e si rispecchia attraverso mediazioni il modo di produzione dominante. All'ideologia dominante ed all'Internazionalismo della mediocrità, la pratica politicosociale dell'arte oppone la destrutturazione del sistema artistico, attraverso la guerriglia ideologica e l'assunzione del concetto di 'arte come critica dell'arte' e come analisi dei processi e dei fenomeni sociali che condizionano e determinano il processo di produzione artistico. Arte come progettazione avviata da una sola classe, quella subalterna o emarginata (e quindi creativa) in vista di un diverso modo di produzione e di una diversa organizzazione dei rapporti sociali. La modificazione di questi rapporti presuppone l'acquisizione e l'uso (legale o illegale) di strumenti di comunicazione più vasti e determinati, conquistabili solo attraverso la strategia della pratica politica (prassi e coscienza o prassi e pensiero)68. 66Vengono documentate anche operazioni artistiche in rapporto con le amministrazioni locali, come 'La Piazzetta' a Sesto San Giovanni, volta a realizzare interventi estetici nello spazio urbano sulla base di esigenze formulate dai cittadini. 67Va comunque segnalata la vitalità di questa stagione che coinvolse tutta l'Italia, nel 1978 venne organizzata la prima Rassegna dei Gruppi autogestiti in Italia organizzata da Il Moro di Firenze e Centro Lavoro Arte di Milano, manifestazione dalla quale emersero molti gruppi quali: Il Portello di Genova, Ti-Zero di Torino, Il Brandale di Savona, Magazine di Prato, Inter/Media di Ferrara, Il Cronotopo di Perugia, Associazione AM di Roma, Spazio alternativo di Roma, Linea Continua di Caserta, Verifica 8+1 di Mestre/Venezia. Da CIONI C., I Rassegna Gruppi Autogestiti in Italia, Edizione Il Moro, Firenze, 1980, pp.16-17. 68DE FILIPPO F., La pratica politica, manifesto, 1979. 41 Il Collettivo Lavoro Uno69 nasce nel 1972, un gruppo eterogeneo il cui scopo è stato quello di costruire un rapporto alternativo e nuovo tra arte e società identificando nel lavoro collettivo l'unica maniera di fare arte e ponendosi in netta contraddizione rispetto al 'mondo dell'arte' istituzionale. Intervengono soprattutto nella periferia di Milano con varie azioni e manifestazioni, tra le quali a Sesto S.Giovanni con Artisti nei quartieri e con Piazzetta '75-'76 dove basano il loro lavoro sulla ristrutturazione di spazi urbani per uso collettivo in un discorso più ampio di modifica del tradizionale rapporto insito tra arte-società-artista. Nel 1974 (e avrà il suo atto finale alla Rotonda di via Besana nel 1977) nasce in corso di Porta Ticinese 87 un nuovo collettivo il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese70, la cui figura catalizzatrice fu Giovanni Rubino, nella Galleria di Gigliola Rovasino; un collettivo che si proponeva come un gruppo di artisti militanti che rifiutava i privilegi “dell'autonomia della cultura” e trasformò la galleria in un punto di di raccordo e scambio fra gli artisti, i cui interessi ruotavano intorno al ruolo politico e sociale dell'arte, un laboratorio aperto al confronti delle ricerche artistiche individuali. Realizzano, inoltre, una serie di murales a sostegno delle lotte operaie tra i quali quelli in piazza Duomo a Milano per il Cile1974 o per la Mobilitazione per l'Innocenti e le altre fabbriche in Lotta sempre a Milano nel 1976. Tra i vari collettivi l'unico che dimostra un'evoluzione da una critica al sistema a una poetica autonoma è il Laboratorio di Comunicazione Militante 71, che dal 1976 al 1979 occupa come sede la ex chiesa di San Cristoforo a Brera, mentre nel 1976 presenta alla Rotonda della Besana la mostra Strategia d'Informazione, allestita poi nel 1977 alla Casa del Mantegna a Mantova, ricerca che si focalizza sulle forme e sulle tecniche di comunicazione dominanti, evidenziando le modalità interpretative con le quali comprendere i messaggi e i loro contenuti impliciti o occulti. Il gruppo si scioglierà nel 1978 dopo l'ultima mostra tenutasi a Milano alla Permanente. Qui viene ideata e organizzata la Fabbrica della comunicazione: un laboratorio 69Il collettivo viene fondato da Giorgio Calvi, Giuseppe Denti ,Tullo Montanari a cui si aggiungeranno l'anno successivo Fernanda Fedi, Giorgio Cantonetti, Alberto Fornai, Gino Gini, Giuseppe Giunta, Antonio D'attellis, Gianni Montanaro. 70Nato per opera di Amadori, Corciani, Costa, Borgese, Ricatto, Rubino, Sommariva, Tibaldi, Lanassini. 71Costituitasi a Milano nel 1975 da Tullio Brunone, Claudio Guenzani, Giovanni Columbu, Ettore Pasculli, Paolo Rosa. 42 interdisciplinare, un workshop aperto a tutti, con concerti e mostre. Un altro tassello importante nella scrittura di una storia dell'arte sociale milanese è senz'altro la Casa degli artisti, in corso Garibaldi 89a, occupata nel 1978 (e che proseguirà la sua attività negli anni '80) da un collettivo di artisti di cui fecero parte i fondatori, coloro che individuarono il luogo come 'terreno fertile' per un esperienza laboratoriale, ovvero Jole de Sanna, Luciano Fabro e Hidetoshi Nagasawa. C'è spazio anche per ricordare alcuni altri gruppi o interventi spontanei che, anche se non costituitisi in veri e propri collettivi hanno comunque contribuito a questa ricerca di orizzontalità nella modalità operativa artistica a sostegno delle lotte in questo puzzle di esuberanza. La Brigada di Poder Popular, per esempio, nata nel 1975 tra le mura dell'Università Statale di Milano che esegue una ventina di murales tra i confini dei quartieri popolari della città, scuole, fabbriche; o l'azione partecipativa messa in atto da De Vecchi e Boriani, due tra i fondatori del Gruppo T di Milano, all'interno dell'Accademia di Brera dove hanno realizzato dei murales partendo dall'ambiente stesso dell'accademia stimolando così un rapporto di integrazione e interazione fra gli studenti e il contesto sociale nel quale questi sono inseriti. 'A Milano non passeranno' è lo slogan lanciato, invece, agli inizi degli anni Ottanta da alcuni artisti come polemica nei confronti di quei nomi che rappresentavano la scena artistica con i lavoro lavori nelle migliori gallerie e musei del mondo. Sono anni nei quali la distanza tra la città di Milano e il resto del mondo si ridimensiona, dove le possibilità per una artista di estendere il suo campo visivo e di farsi conoscere altrove aumentano notevolmente. Ma nella seconda metà degli anni Ottanta si assiste a un proliferare di nuove gallerie attente a ciò che stava succedendo non solo localmente ma globalmente: come lo studio Cannaviello che porta a Milano artisti svizzeri, austriaci e tedeschi, o come Luciano Inga-Pin, un talent-scout per giovani artisti che esploravano le nuove idee sui rapporti tra arte e impresa. Corrado Levi, sicuramente, è stato in questo senso una figura catalizzatrice per quel 43 che riguarda le sue manifestazioni e le sue attività espositive nelle quali ha coinvolti artisti emergenti alla luce di quanto succedeva nell'East Village 72, sopperendo a quella mancanza di spazi pubblici, privati e alternativi senza i quali non avrebbe mai potuto esporre i loro lavori. Non si arriva comunque a captare e ad afferrare quell'arte che era in auge in quel momento nel resto delle capitali europee, e gli anni Ottanta a Milano restano legati in prevalenza ad artisti nazionali senza offrire al pubblico la possibilità di visitare una mostra significativa dei protagonisti del tempo 73, lasciando tutto circoscritto a circuiti limitati e di carattere locale. Il problema sostanziale è costituito dalla mancanza in quel preciso momento a Milano di una rete di strutture e istituzioni di supporto all'arte contemporanea, una debolezza della critica ufficiale e anche un inesistente dialogo tra pubblico e privato, lasciando così un vuoto alimentato anche dall'assenza di una tendenza artistica forte in loco. Francesco Bonami sulla Milano di quegli anni scrive: eravamo la coda di una generazione e pensavamo di essere il naso di un'altra, eravamo in transizione e credevamo di essere la causa di un passaggio.[...] Ma Milano è proprio questo; la perenne transizione della città e della società italiana, la voglia di trasformarsi e la comodità di restare sempre gli stessi, un simbolo di progresso e mai una realtà 74. A Milano effettivamente non si è mai imposta una tendenza tanto forte da fare scuola (come l'Arte Povera a Torino)e, anche se da un lato è stata caratterizzata da una staticità del mercato se paragonato alla scena internazionale, dall'altro si è fatto della città una base per sperimentazioni inedite; possiamo dire che l'esperienza della Brown Boveri sia stata una delle più convincenti se non altro per il suo carattere rinnovatore dovuto a una neonata generazione di artisti. Per quanto riguarda lo stile e un 'fare nuovo' Renato Barilli ha scritto: sembrava possibile sganciarsi dal presente per andare a rivisitare il passato, ma senza 72Tra il 1983 e il 1984 nascono a New York decine di gallerie di una sola stanza che accoglievano opere di artisti create con le tecniche e i materiali più svariati, come Peter Nagy e Gracie Manson, e nuovi giovani critici come Carlo Mc Cormick. 73Gli anni Ottanta producono un accelerazione del successo, per esempio, di Peter Halley, Mayer Weisman, Jeff Koons. 74BONAMI f., da Il cucciolo e le ostriche in Due o tre cose che so di loro..., p.35. 44 riproporlo tale e quale (operazione assurda, inutile) bensì saccheggiandone i vari stilemi e rilanciandoli. Ovvero era forse lecito darsi a una navigazione folle, sottratta alle coordinate del 'qui e ora', per elaborare uno stato interspaziale, ma anche, per così dire, intertemporale, dove passato e futuro, scavalcando il presente, si fondessero tra loro 75. Così definisce la nuova stagione artistica che dominerà la scena artistica per la prima metà degli anni Ottanta sotto il nome di Transavanguardia, supportata dalle gallerie private come dal sistema istituzionale, provocando quella grande risonanza e quel rapido successo che hanno offuscato così tendenze artistiche parallele. Per quanto riguarda prettamente il fermento artistico presente nel quartiere Isola, già nel 1976 era nato un gruppo intorno al Centro Culturale L'Isola, che già si muoveva con azioni contro la speculazione edilizia iniziata in quegli anni, contro lo stato di degrado al quale erano abbandonate diverse abitazioni del quartiere sviluppando così il primo seme di proteste (profetiche) contro 'la speculazione, degradazione, demolizione'. Vengono realizzati dei murales da un gruppo di pittori, quali: Giunta, Cantonetti, Gini, Fedi, gambino, Roncato, Ronchi, Wagnest, Carminati, Magli, Contini76, influenzati dai murales creati in Cile all'interno della protesta culturale contro il governo di Pinochet77. Le parole di Corrado Levi riassumono il clima diffuso in Italia e in particolare a Milano in quegli anni: Gli anni ottanta seguono immediatamente quelli di piombo, per chi non c'era sappia che la sera a Milano non si poteva uscire, non c'era un bar aperto. Il rapimento di Moro del 1978 e seguente inferocimento delle parti tolse spazio alle infinite manifestazioni delle nuove forme di partecipazione politica inventate nel decennio precedente, l'autodeterminazione, i consigli di fabbrica, le assemblee, la politica dal basso a portata di ciascuno. Lo stato e i gruppi del piombo riportarono la situazione a una radicalizzazione arretrata e superata, entrambi solidali e paurosi nei confronti del nuovo che si stava diffusamente sperimentando, sopravvissero i gruppi di autocoscienza e di analisi del personale che avevano scelto già a quel tempo la separatezza come pratica politica e quindi furono meno toccati da quella reazione. Il senso nuovo e liberatorio di quella somma di esperienze rimase come conquista e speranza nell'aria e nelle coscienze 78. 75BARILLI R., Designer re-designer, in “Ars”, anno V, n.7, Milano, luglio 2001, pp.90-93. 76Cronologia a cura di Antonio Brizioli e Mariette Schiltz, p. 23, in Fight-Specific Isola. 77Nel 1974 la Biennale di Venezia venne dedicata al Cile e ai suoi murales, molti artisti (tra i quali Emilio Vedova e Sebastian Matta , influenzati da quest'attivismo artistico riempirono alcuni campi veneziani con murales dedicati alla libertà del popolo cileno, costituendosi nella Brigada Salvador Allende; mentre a Milano venne organizzata la mostra Mostra incessante per il Cile tra il 1973 e il 1976. 78LEVI C., Gli anni Ottanta,P. 49, in MENEGUZZO M., Due o tre cose che so di loro. Dall'euforia alla crisi: giovani artisti a Milano negli anni Ottanta, catalogo della mostra al PAC, Electa, Milano 1998. 45 In ultima analisi, nonostante la testimonianza di questa effervescenza manifestata dai diversi collettivi qui ricordati, mossi dalla volontà di condannare varie istanze del sistema generali e allo stesso tempo portare il loro contributo in una fase di proposizione alternativa e partecipativa, va segnalato il loro fallimento che si manifesta nella loro scomparsa dai cui resti si assiste a un ritorno all'individualismo, al privato e alla ricerca dell'effimero; un fallimento legato alle risposte forse troppo utopistiche (nella definizione di Marcuse cioè che ciò che viene proclamato utopico non è più qualcosa di che non accadrà ma qualcosa la cui realizzazione è impedita dalla forza della società) o nel voler operare nel contesto sociale affrancandosi da ogni tipo di appoggio istituzionale restando nella forma dell'autogestione (ovvero autofinanziamento). Si può inserire questa analisi in un contesto più ampio, nel quale, le dinamiche di questi gruppi e la loro parabola terminata nell'insuccesso è da iscriversi all'interno del fallimento dei tentativi delle neoavanguardie internazionali nel recuperare la separazione arte-vita Bürger Teoria in e dunque dell'avanguardia arte del e realtà 1974 sociale-politica. scrive in merito: Una moderna estetica, come non può trascurare i drastici cambiamenti che i movimenti storici d'avanguardia hanno prodotto in campo artistico, così non può nemmeno restare indifferente al fatto che l'arte da tempo è entrata in una fase postavanguardistica, caratterizzata da una restaurazione della categoria di opera e dall'impiego a fini artistici di procedimenti che le avanguardie avevano escogitato con intenti antiartistici. Questo non deve essere considerato come «tradimento» degli obiettivi dei movimenti d'avanguardia (superamento dell'arte come istituzione sociale, unificazione di arte e vita), bensì il risultato di un processo storico.[...] dopo il fallimento dell'attacco portato dai movimenti storici d'avanguardia all'istituzione arte, e quindi dopo la mancata conversione dell'arte nella vita pratica, l'istituzione arte continua a esistere come sfera distinta dalla vita pratica79. Si tratta di un'analisi nata dopo le contestazioni del '68, anni nei quali si sviluppano le neoavanguardie Arte processuale e Arte Povera, nelle quali l'artista non è più artefice di un oggetto ma l'opera sta nei processi cognitivi-percettivi, ma che finisce comunque per essere assorbita in una logica generale nella quale viene istituzionalizzata e commercializzata, logica che non da spazio alle minoranze, soffocata da i meccanismi di controllo. 79BÜRGER P., Teoria dell'avangurdia, a cura di Riccardo Ruschi, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p.67. 46 Inoltre l'obiettivo dell'incidere e modificare la società risulta realizzabile solamente all'interno dei confini formali propri dell'opera e il limite formale delle neoavanguardie ricade dunque nell'impossibilità di riconvertire l'arte nella vita pratica. Come sostiene Cometti nella sua riflessione sulla fine delle avanguardie: C'est pourquoi l'art d'après la fin de l'art n'est pas seulement privé de ses anciens ressorts. Comme la fin annoncée de l'histoire, il ne peut être qu'un art de consensus, même s'il donne encore l'impression d'une forme d'êlitisme associée à l'une des sources hitoriques des avant-gardes. […] dans l'arte d'avant-garde, la ropture présente généralement une double signification artistique et sociale ou politique. La fin presumee de l'art et celle des avant-gardes, substitue à la rupture et au differend, les seules differences, privees de leur inscription temporelle et de leur structure d'exclusivitè 80. 80COMETTI J.P., Que signifie la «fin des avant-gardes»?, in Rue Descartes, n.69, 2010/3, pp. 102. 47 II.3 Un'azione collettiva nella ex-fabbrica Brown Boveri L'innovativa sperimentazione messa in atto negli anni Sessanta e Settanta arriva a un punto di non ritorno dando vita a una volontà d'azione artistica che cerca di muoversi al di fuori dei tradizionali luoghi deputati all'arte. Si genera così un fermento artistico che coinvolge anche la città di Milano, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, come l'esempio dell'occupazione della ex fabbrica Brown Boveri che diventa teatro di nuovi incontri ed esperimenti con linguaggi artistici inediti in una libertà espressiva affrancata dalle logiche di mercato, una propensione a conquistare uno spazio di autonomia espressiva all'interno della metropoli. Storia dell'edificio Come sottolineato in precedenza, Isola nasce come quartiere industriale a partire dagli anni Ottanta e Novanta dell'Ottocento, quando i campi agricoli vengono industrializzati e l'espansione delle fabbriche porta alla nascita di una quartierepolis autonomo all'interno della Milano stessa. La nascita della fabbrica Brown Boveri, una delle presenze industriali più importanti del quartiere, ha inizio nel 1863 (anche se una parte dello stabilimento già fu costruito nel 1908) anno nel quale viene fondata a Milano la Tecnomasio Italiano, un'officina di ottica e meccanica di precisione che diviene intorno al 1871 la protagonista dell'industria elettromeccanica nazionale, per fondersi successivamente con la società svizzera di Baden, fondata da Charles Brown e Walter Boveri. Esigenze di spazio portano successivamente la società ad acquistare degli stabilimenti nel cuore del quartiere Isola, tra via Confalonieri e via De Castilla. La produzione della Brown Boveri prosegue per i seguenti cinquant'anni sino agli inizi degli anni Sessanta quando lo stabilimento, inadeguato alle esigenze aziendali, viene definitivamente abbandonato e la sede trasferita in piazzale Lodi. Nel 1984 quindi la Brown Boveri si trova vittima delle trasformazioni della società 48 in atto in una Milano competitiva a livello industriale, e resta un capannone abbandonato. Dopo l'occupazione nel 1985 la fabbrica resterà murata sino alla sua definitiva chiusura e demolizione agli inizi degli anni Novanta, per far posto alle nuovi costruzioni del progetto in atto nel quartiere Isola. L'occupazione della ex-fabbrica nel 1984 Nel 1973 l'anatomia dell'edificio della ex fabbrica Brown Boveri aveva già conosciuto le mani e l'azione di un artista, Gordon Matta Clark 81. Con la sua opera Infraform l'artista, famoso per i suoi interventi in edifici in abbandono, apre la sua serie dei cutting tagliano letteralmente il triangolo di parete nel punto di incontro delle mura due stanze, creando una nuova prospettiva e una visione simultanea dello spazio. Mentre, tra l'autunno del 1984 e l'estate del 1985, un gruppo di giovani studenti e artisti decide di occupare l'edificio, dismesso ormai da più di un ventennio, consapevoli che il luogo era oggetto di discussione e obiettivo di interesse in particolar modo da parte del Comune di Milano. Il gruppo era guidato da Corrado Levi 82, artista, collezionista, che in quegli anni insegnava Composizione Architettonica al Politecnico di Milano. Originario di Torino, grande 'movimentatore' ha saputo fare di Milano un terreno fertile per la sperimentazione, per lo sviluppo di stimoli nuovi per una generazione di artisti e per il cambiamento di atteggiamento mentale nei confronti della definizione di arte; si è fatto promotore di un'arte al di fuori dai luoghi accademici a fronte di una 81Arista newyorkese, “anarchitetto”, dopo la laurea in architettura si dedica a interventi effimeri sulle architetture, in particolare su edifici in demolizione, creando nuove prospettive e fonda il gruppo Anarchitecture. Arriva a Milano su invito di Salvatore Ala, gallerista. Infraform coincide con il suo primo viaggio in Italia e studia nello stesso periodo un'azione anche in una fabbrica occupata a Sesto San Giovanni. 82Corrado Levi partecipa in prima persona all'evento, anche se non ne è l'organizzatore. Levi trova nell'esperienza della Brown Boveri qualcosa che evoca i fermenti che generarono il fenomeno dell' East Village a New York intorno al 1984. Dai primi anni '80, infatti, Levi è stato influente animatore culturale, specialmente a Milano, dove ha trasformato il suo studio in Via San Gottardo in uno spazio in cui sperimentare con i giovani artisti, attraverso una serie di mostre personali e collettive. 49 potenzialità di allargamento della fruizione estetica di un'arte legata all'ambiente inteso come luogo di creazione fertile. Levi, inoltre, è stato protagonista della scena della new wave americana esplosa tra il 1983 e il 1986, dove viene invitato a una mostra nell'East Village in un magazzino abbandonato, portandosi poi a Milano gli artisti newyorchesi presentandoli per la prima volta in Europa. Attraverso l'esperienza di Levi il clima di sperimentazione newyorchese viene riproposto a Milano nella vicenda della Brown Boveri. Di fatto, l'area sulla quale sorgeva la ex fabbrica era già dall'inizio degli anni '80 di complessa risoluzione in quanto identificata come uno dei tanti 'vuoti urbani' (un edificio dimenticato, ignorato) presenti sul territorio milanese e per questo vincolata nella vendita dei privati da un interesse retrostante da parte dell'amministrazione comunale. Si tratta di un'azione, quella di occupare e conquistare spazi di autonomia espressiva all'interno della città, che ha un retaggio culturale dagli anni Settanta spinto da rivendicazioni politiche e sociali come i movimenti di lotta per il diritto alla casa. Nei capannoni della Brown Boveri il principale intento è stato quello di creare una realtà artistica alternativa, mettendo il processo di creazione, e il suo frutto finale, al centro di una connessione tra arte e architettura, mettendo, allo stesso tempo, lo spettatore difronte, o meglio nel mezzo, di un nuovo tipo di ricezione più esplorativa e inabituale. In questo edificio fatiscente il gruppo trova il suo luogo e i suoi materiali come vettori per una simbolica rinascita dello spazio; ne ritrovano la sacralità riecheggiante e traducono così il luogo di lavoro in luogo del lavoro artistico. Le forme sono più associate che costruite e le immagini vengono acquisite per suggestione, immersi pienamente nella realtà disponibile così da elaborarla e trasformarla. Nessun evento e nessuna mostra è riuscito meglio in quegli anni della B.B ad affrancarsi dall'arte ricorrente (come Transavanguardia, Pittura colta/ipermanierismo, Nuovo Futurismo e altri) nel mercato e per quanto riguarda la stampa di settore, diventando così un momento unico sulla scena artistica nazionale. 50 Gli occupanti erano: Andrea Andronico, Pietro Aresca, Stefano Arienti, Guglielmo Emilio Aschieri, Cosimo Barna, Cristina Cary, Umberto Cavenago, Elisa Chierici, Vittoria Chierici, Libero Concordia, Enzo Contini, Luigi Corte Rappis, Anna Falcone, Gianni Gangai, Francesco Garibelli, Alexander Garbin, Nicola Gianmaria, Elena Giorcelli, Danusia Horst, Yochi Yakir, Corrado Levi, Antonio Maniscalco, Anna Mari, Amedeo Martegani, Marco Mazzucconi, Esther Musatti, Camillo Pennisi, Paolo Pellegrini, Pier Vincenzo Rinaldi, Giona Rossetti, Milo Sacchi, Stefano Sevegnani, Michele Sigurani, Pino Spadavecchia, Carlo Spoldi, Antonello Tagliaferro, Vittorio Valente, Fosco Valentini, Enrico Valli, Paolo Ventriglia, Francesco Volpe. Si tratta di persone con un bagaglio culturale diverso, fatto di informazioni raccolte in luoghi che si pongono al di fuori del campo conoscitivo prettamente artistico e molti tra loro non hanno seguito dei corsi regolari in Accademia. In Aformali, mobili, coinvolti83, Giulio Ciavoliello ha scritto: Oltrepassare l'effetto shock dell'avanguardia, la loro azione di svolge senza l'angoscia dell'influenza, senza soffrire di mani di opposizione e di distinzione, senza rifiutare a priori la tradizione, anzi, con la consapevolezza dei tributi inevitabili alla 'tradizione del nuovo',[...] Quello che si avverte nettamente è un'insofferenza di fondo verso la proposizione univoca di una forma...Non è decaduto il ruolo del progetto, ma la sua potenza euforica. Gli artisti operano, infatti, consapevoli delle spoliazioni e delle rielaborazioni che attuano nelle loro opere a cui vi si dedicano però con leggerezza e ironia in una dialettica aperta a tutti i giochi e rimescolamenti possibili che propongono nuovi linguaggi, sgravati dal peso della razionalità e dalla paura del 'sbagliare' in uno sguardo però mai innocente. 83G.CIAVOLIELLO, Aformali, mobili, coinvolti, in Flash Art, 158 ottobre/novembre 1990, pp.101-103. 51 L'esposizione e le opere Le installazioni di quaranta giovani hanno trasformato i capannoni abbandonati in un singolare e suggestivo museo84. Al momento dell'occupazione 'artistica' nel 1984 l'edificio si presentava in 20000 mq di superficie sviluppata e divisa in diversi ambienti articolati tra esterni/interni e disposti su più piani. Lo stato di degrado in cui vertevano aveva ormai contribuito a mascherare e rendere invisibile lo scheletro costruttivo industriale originario per far spazio, al suo posto, a un labirinto destrutturato. Lo spettatore entrando non veniva a trovarsi in uno spazio unitario e definito e tanto meno trovava indicazioni in riferimento a un percorso, doveva semplicemente abbandonarsi al proprio istinto, curiosità e al desiderio di scoperta. Giulio Ciavoliello scrisse a proposito Ricordo che la caduta di gocce d'acqua da molti punti del soffitto rendeva suggestivo e irreale il passaggio nella penombra di quei capannoni decadenti, rovinati dall'abbandono e dall'azione delle intemperie ma ancora belli nelle strutture disadorne, con le parti in muratura piene di incrostazioni e ricoperte dal muschio 85. L'area interessata, che raccoglieva in sé gli interventi, venne denominata dagli artisti stessi la 'Cattedrale' ispirato alla 'sacralità' del luogo, una sacralità legata sia alla monumentalità architettonica che ricordava quella di una chiesa sia al passato di queste mura quale tempio del lavoro e del progresso, divenuto ora emblema del contrario, ovvero del ritorno del dominio della natura su quello tecnologico. I lavori realizzati all'interno della fabbrica in occasione dell'occupazione hanno testimoniato oltretutto la fusione con lo spazio, instaurando un dialogo e un legame con le sue caratteristiche peculiari e la sua atmosfera estranea ai canoni standard di spazio espositivo; è proprio nello spazio che le opere hanno trovato un comun denominatore: solenne, imponente e carico di memorie. 84PASÉRO R., Fra le macerie spunta l'immaginazione, in “Il Giornale”, 31 maggio 1985. 85CIAVOLIELLO G. Brown Boveri, in Flash Art,n.158, 1990, p. 60. 52 L'uso di materiali rinvenuti all'interno della fabbrica ha consentito un mimetismo quasi naturale delle opere con le pareti in perfetta armonia come se la figura dell'artista-creatore fosse assente; le opere si svelavano nel cammino, affacciandosi dalle pareti, o si scoprivano adagiate sui pavimenti, in un lieve romanticismo sotteso, nel desiderio di fondo, di dar vita all'edificio un'ultima volta. Francesco Gabanelli installa il suo Altare in fondo alla navata centrale della 'Cattedrale' , una 'scultoparola' emblema di un incontro tra la potenza evocativa della parola, rappresentata con dei tubi di ferro, e la fisicità del materiale. Nella parte retrostante all'Altare, invece, Amedeo Mategani e Marco Mazzucconi realizzano la Sagrestia, una composizione astratta di travi in ferro affiancata a una serie di pannelli metallici rettangolari disposti uno accanto all'altro in maniera verticale. Anche Paolo Pellegrini riprende l'idea del sacro nella sua Installazione, un tempio, rinchiuso solo in una stanza, dedicato al dio sole dal quale si propagano diversi raggi intorno e sul suolo; seguono le undici piramidi create da Antonio Maniscalco e Libero Concordia che agisce, invece, nella cucitura tra due ambienti per mezzo di una enigmatica figura attorno a una fessura trapassata dalla luce del giorno. Anche la pittura è protagonista all'interno dell'intervento da parte del gruppo della B.B, un tipo di rappresentazione lontana dal citazionismo e dallo stile accademico, gli artisti, difatti, sperimentano tecniche e materiali applicate direttamente sulle pareti le quali riprendono vita conseguentemente agli effetti naturali provocati dagli agenti atmosferici, effetti che trasfigurano la fabbrica in un corpo generatore, quasi fosse lei stessa fautrice-artista delle opere. Cosimo Barna è stato artefice di Vibrazioni oltre lo spazio, un'azione versata a dare nuova vita alle pareti attraverso l'uso di terre, ossidi e cobalti; l'azione, di grande respiro, era costituita da piccoli segni, virgole ingrandite e ripetute con ossessione sulla superficie. Anche Stefano Arienti, con l'intervento Muffe, ha operato sulle pareti utilizzando dei gessetti colorati che, a contatto con le muffe, l'umidità e le polveri hanno innescato un processo naturale di colorazione tra le 'virgole' dipinte e l'epidermide dell'edificio; accanto appare l'intervento di Esther Musatti, che colora di rosso una 53 spaccatura nel muro, come un'allegoria della frattura, di una ferita e della possibilità di passarci attraverso. Meno incisivo è stato l'intervento di Corrado Levi, mentore del gruppo Brown Boveri, con la scritta Uomini di Corrado Levi posta sopra a una porta, quasi a voler revocare una sorta di paternità dell'azione. Piero Aresca, Michele Sigurani e Esther Musatti sviluppano il loro lavoro Installazione, con l'aiuto di due performer i quali simulano un rallentamento del tempo e dell'azione fisica. Argomento, quello del tempo, ripreso anche da Antonello Tagliaferro nella sua installazione Il tempo giallo, con la quale, in un gioco di sospensioni e pennellate, blocca la discesa si una ruota su di un'asse. La totale libertà d'espressione ha fatto sì che ogni artista creasse una sorta di rituale personale carico di molteplici contenuti e con l'utilizzo di materiali diversi in un quadro generale leggibile, in chiave allegorica, come passaggio dalla civiltà industriale, inscritta nella memoria del luogo, all'era post-industriale. Conseguentemente alla chiusura della fabbrica nel 1985 e al suo successivo abbattimento, questi interventi sono stati sigillati all'interno dell'edificio e per la loro natura precaria, effimera e per il naturale processo di decomposizione, sono rimasti pochi documenti a testimonianza dell'accaduto. Di fatto questo tipo di 'creazioni-provocazione', nate in questa occasione all'interno della fabbrica, si scontrano con il problema della forma museografica inadatta nel conservare la memoria di queste opere, che in alcuni casi furono gesti; è difficile poter ricostruire e comunicare in maniera differente senza presupporre necessariamente l'esposizione dell'oggetto-opera in un ambiente istituzionalmente riconosciuto come la struttura museale. Tutto ciò infatti, concorre a sottolineare l'idea di quanto l'istituzione 'museo' sia mutata nel tempo, divenendo obsoleta e superata, vanificando l'idea dell'opera finita e compiuta solo attraverso la sua esposizione e installazione. Quello che è accaduto all'interno della Brown Boveri è stato riportare in superficie il 'sacro' dell'arte (da qui un rimando metaforico alla 'cattedrale' e all'Altare di Gabanelli e alla Sagrestia di Mantegani e Mazzucconi), un modo di esprimersi 54 nuovo e singolare, in rottura con il pensiero dominante per cui l'eccellenza risiede solo nella perfezione, nella risposta a certi canoni e nell'imitazione. Questo gruppo di persone ha espresso una sorta di forma di resistenza artistica, un tentativo coraggioso ed eroico di cambiare quella struttura interna al campo artistico nel quale la produzione artistica è ormai sottomessa e dominata dalla legge del profitto. Secondo il filosofo Bouridieu il campo dell'arte è per definizione strutturato sulla lotta tra gli agenti presenti per la ridefinizione dei confini del campo stesso, ovvero per le norme e i principi che lo definiscono. Entra, dunque, in gioco la questione sul valore dell'opera d'arte, sul suo riconoscimento o meno in quanto oggetto e del suo potere simbolico, fornito dal dominio del campo e socialmente legittimo. Un compito ad appannaggio, sino alla metà del XIX secolo delle Accademie, che tracciavano il confine tra arte e non arte, decisione che oggi è strettamente legata alla quantità di capitale specifico in gioco nel campo: l'arte viene oggi utilizzata sempre più come forma di capitale simbolico, rappresenta uno status sociale, un habitus, radicalmente dipendente dal mercato, dai mecenati privati e dalla politica. In tutto ciò i musei sono diventati qui non-luoghi nel quale questa dinamica si concretizza e prende forma, nella direzione di un annientamento della critica e dell'espressione più libera e incondizionata dell'artista, con un'impostazione culturale su scala economica mondiale. Ed è proprio dagli anni '80 che le opere artistiche hanno iniziato e divenire delle vere e proprie merci, e hanno iniziato a emergere quelle forme di resistenza artistica in opposizione alla riduzione della creazione artistica a mera e pura merce. I musei hanno continuato la loro attività di conservazione priva di una proposta, rivolta essenzialmente a una idealizzazione dell'arte lontana dalla vita quotidiana, rispondendo in maniera fallace alla democratizzazione dell'accesso all'arte aprendo l'era dei musei dell' iperconsumo, e divenendo, i musei, luoghi per l'intrattenimento culturale e, a partire dagli anni '70, seducenti e simboliche sculture architettoniche. Ciavoliello definirà, dunque, il gruppo Brown Boveri come privi di etichetta; effettivamente la manifestazione da vita a una svolta pionieristica degli anni Ottanta 55 a Milano, mettendo in atto un mutamento di direzione rispetto agli orientamenti soliti del mondo dell'arte e attirando anche l'attenzione dei media: vengono pubblicati articoli su D'Ars, Flash Art, Corriere della Sera. Inoltre, data la grande risonanza, verrà organizzata un'esposizione sul gruppo e sull'occupazione della fabbrica allo Studio Marconi, con la pubblicazione di un catalogo realizzato da Salvatore Licitra e un film per mano di Giuseppe Baresi. Da questa esperienza prenderanno poi forma ,negli stessi anni, altre situazioni alternative simili, sempre rientranti nella dinamica tra comportamenti giovanili e pratiche artistiche e nel dibattito sui linguaggi dell'arte: si sviluppano in maniera indipendente dal mondo cosiddetto ufficiale dell'arte sotto forma di collettivi che anticiperanno poi quelle auto-organizzazione che caratterizzeranno anni '90. Tra queste possiamo citare lo Spazio Lazzaro Palazzi che nasce principalmente come luogo di aggregazione, dalla voglia di occupare lo spazio e invaderlo con icone tangibili e con la loro presenza fisica, proponendo un fare arte che si occupi prevalentemente del modo in cui viene percepita piuttosto che delle forme o del sé. i lavori del gruppo coagulatosi attorno allo spazio di via Lazzaro Palazzi, una sede espositiva autogestita nata a Milano nel'89, hanno in comune il culto per l'immagine e l'intolleranza rispetto a qualsiasi regola, il rifiuto di un'arte che voglia definirsi “oggettuale” o “pittorica” o “chissà-che-altro” in riferimento al suo modo di presentarsi.86. Questo carattere peculiare del nuovo spazio autogestito, il cui aspetto di sviluppo e ideologico era curato da Mario Airò, Liliana Moro e Bernhard Rudiger, si rifletterà pienamente nella mostra del settembre del 1990 Avanblob, nello spazio della Galleria di Massimo De Carlo: una mostra fatta contro il 'sistema dell'arte' ovvero che non teneva conto dei problemi professionali o commerciali, con il carattere di un progetto radicale che si rispecchiava nel rapporto tra opere d'arte e spazio e nella relazione tra identità del singolo e produzione collettiva. 86VETTESE A., Via Lazzaro Palazzi, in “Flash Art”, 1989. 56 SCHEDA: L' eredità della Brown Boveri: le Officine del Gas di Bovisa 'IN-PRESSIONE-Artisti contemporanei nella memoria industriale' è il titolo della mostra curata da Mimmo di Marzo 11 ottobre 2001 tenutasi presso gli spazi storici delle Officine del Gas di Bovisa87 a Milano. Si è trattato di un altro tentativo di interazione tra la memoria di un luogo industriale, le officine del Gas di Bovisa, e l'interpretazione in chiave contemporanea di giovani artisti88 in un percorso visivo integrato nel territorio. Dopo l'esperienza della Brown Boveri, dunque, è stato scelto un'altra volta un luogo al di fuori dei posti tradizionali dell'arte anche a distanza di tempo e si è deciso di esporre tra le 'cattedrali' di mattoni rossi, le officine e i grandi serbatoi, in un altro dei grandi esempi di archeologia industriale presenti nel territorio milanese. Le opere esposte sono frutto di un'elaborazione, da parte degli artisti, delle tematiche legate alla memoria industriale del luogo e di conseguenza all'energia e al calore; essi, infatti, vengono chiamati al compiti di evocare quegli stati d'animo e quelle memorie che fanno parte della storia di una collettività. La costruzione delle Officine del Gas a Bovisa iniziò nel 1905, (si trattava di una produzione 300.000 metri cubi al giorno) e cambiò per sempre il panorama della periferia nord-ovest di Milano. Nel 1931 subentra la più importante società elettrica italiana, la Edison, la quale dopo aver stipulato un accordo di concessione con il comune di Milano, sposta tutta la produzione di gas della città nella fabbrica della Bovisa. Nel secondo dopoguerra si vide dunque necessario un ampliamento e sviluppo degli impianti per soddisfare l'incremento della domanda di gas. 87La nascita del quartiere Bovisa di Milano è strettamente legato all'insediamento delle prime industrie intorno al 1882 (con la prima fabbrica di Giuseppe Candiani, primo stabilimento per la produzione di acido solforico) che trasformarono la zona in uno dei poli chimici più importanti in Italia. 88Gli artisti che vi hanno preso parte sono: Stefano Arienti, Carlo Bernardini, Pietro Bologna, Luigi Bussolati, Michele Chiossi, Cuoghi-Corsello, Leonida De Filippi, Paola Di Bello, Diamante Faraldo, Barbara Fassler, Giovanni Frangi, Jonathan Guaitamacchi, Federico Guida, Francesco Jodice, Enzo Lisi, Claudio Marconi, Annamaria Martena, Davide Nido, Nicola Pellegrini, Simone Racheli, Andrea Simeone, Simona Uberto. 57 La produzione di gas dal carbone in Bovisa terminerà solo nel 1969, anche se gli ultimi impianti di produzione e i gasometri verranno disattivati definitivamente nel 1994, lasciando una delle aree ex-industriali più importanti della città di Milano in attesa di un progetto di riqualificazione. L'edificio è dunque l'esito di una delle più interessanti esperienze italiane di costruzione di una Milano 'operosa', un simbolo di progresso e delle nuove aspettative legate al benessere. Le opere presentate alla mostra In-Pressione sono state pensate come site-specific in questa 'galleria contemporanea ideale' e coerentemente a ciò che il luogo aveva rappresentato per molti anni, con lo scopo di farne rivivere la storia, le mura e gli ingranaggi. Molti degli artisti hanno lavorato con la luce, come Cuoghi e Corsello con il loro Bosco luminoso , evidenziano come l'energia della natura sia l'unica presenza vitale del luogo; Federico Guida riporta in vita la Sala della Pressione, trasformandone una delle finestre circolari in un rosone gotico sottolineando la sacralità di una 'cattedrale industriale', Claudio Marconi invece riempie lo spazio del seminterrato con 150 quintali di sale, evocando un deserto animato da sculture di plastica scintillanti. Lettura , pittura, cinema hanno saputo cogliere i contenuti più profondi di questo vissuto di Bovisa e li hanno assolutizzati e proiettati al di là del tempo aiutando la riflessione su una nuova estetica. Grazie ad essi, già la prima volta che visitai l'area dei gasometri ero stato in grado di coglierne la sofisticata bellezza. […] Le garbate architetture dei piccoli edifici di mattoni e vetro sembravano tese a rafforzare l'impotenza delle grandi strutture dei gasometri e della rete di tubi che dipartendosi da quella enclave, racchiusa entro i bastioni delle ferrovie, ne evidenziavano la stretta appartenenza al più ampio sistema della metropoli 89. A differenza dell'esperienza della Brown Boveri avvenuta alcuni anni prima, qui non si tratta di un'occupazione da parte di un 'collettivo' artistico, ma il gesto riguarda comunque il rapporto sensoriale, mentale con la realtà e con uno spazio preciso, di un luogo di memoria in termini simbolici, una memoria operaia e 89DI MARZIO M., Inpressione. Artisti contemporanei nella memoria industriale, Cristina Marinotti Edizioni, Milano, 2001p.5. 58 rivoluzionaria; un gesto in uno spazio che tenta di superare quei paradigmi del museo-contenitore di opere d'arte per estendere invece il rapporto al di là del semplice intento espositivo, ma al fine di raggiungere e far percepire una 'memoria futura'. I Progetti di riqualificazione dei gasometri: Con l'apertura dell'Università Politecnico di Milano, a partire dal 1992, il quartiere Bovisa ha già vissuto cambiamento di largo respiro subendo profonde trasformazioni, sia dal punto di vista urbano che sociologico, vedendo aumentati i flussi di persone che lo attraversano ed è cambiata la percezione che le persone hanno del quartiere. Nel 1997 viene indetto un concorso internazionale di progettazione per l'area dei gasometri che si conclude nel 1998 con due vincitori: Ishimoto Architectural and Engineering Firm di Tokyo e il raggruppamento composto da Serete Italia Spa, Serete Constructions, Architecture Studio, Studio Associato Brusa Pasquè e Anthea. Dall'unione delle due proposte vincitrici è dunque stato tratto un progetto di sintesi che ne frutta la complementarietà. Nello stesso anno, infatti, il Comune di Milano aveva approvato il progetto della Serete che prevedeva i nuovi insediamenti del Politecnico, la nuova sede AEM, una biblioteca comunale, edifici residenziali, un parco pubblico e il Museo del Presente proprio al fine di proporre un sapiente esempio di recupero di architetture industriali dismesse che hanno fatto la storia del nostro paese. Per quanto riguarda i due grandi gasometri si è pensato di destinare questi due spazi 'gemelli' alla sperimentazione artistica contemporanea, ovvero diverranno il fulcro del progetto più ampio 'Museo del Presente', un museo dedicato a opere d'arte dagli anni '80 a oggi, riunite in una collezione permanente e in esposizioni temporanee dedicate ad artisti emergenti. Nel progetto si prevede che il primo gasometro costituirà l'ingresso principale alla struttura, sede espositiva; da lì un percorso di rampe lo collegherà al secondo gasometro, che ospiterà una zona espositiva di enormi dimensioni libera da 59 qualsiasi impedimento. Prenderà parte del progetto museale anche la Sala Pressione e l'ex Officina meccanica. Ma il progetto non è mai stato realizzato, pare essersi bloccato per problemi di burocrazia e mancanza di risorse finanziarie per la bonifica del territorio. Tra i più recenti articoli che si possono leggere sull'argomento uno di Artribune dell'agosto 2012 riporta: il già alto livello di confusione sul tema non dovrebbe incrementarsi ulteriormente: il grande appezzamento dei gasometri della Bovisa, intercluso tra il sedime ferroviario, sarà, semmai bonificato, destinato ad altre funzioni perché nel frattempo la città ha approvato il suo piano regolatore che non prevede in quest’area l’antica ipotesi del Museo del Presente. A beneficiarne sarà in primis il Politecnico che potrà così ulteriormente allargarsi in questo quadrante dove è già sbarcato anni fa 90. 90Sapessi com’è strano, costruire un centro d’arte contemporanea a Milano, in “Artribune”, 24 agosto 2012. 60 II.4 Dalla Brown Boveri al Condensatore Culturale Il breve episodio di occupazione della Brown Boveri ha richiamato quella pratica di riutilizzazione e rifunzionalizzazione di ex edifici abbandonati, abitativi o più spesso industriali, già in auge nella manifestazione artistiche della fine degli anni Settanta: si trattava di occupazioni che manifestavano un rifiuto della specializzazione dei centri urbani attorno a funzioni prettamente commerciali con il conseguente dislocamento delle attività e dello 'spazio' popolare verso le periferie. Questi casi di 'riconversione funzionale' momentanei, che hanno interessato il recupero non solo di fabbriche in dismesse ma anche la riqualificazione di intere zone estese, stanno alla base degli studi dell' archeologia industriale91 e nascono in risposta al cambiamento e all'evoluzione della società contemporanea, in particolare dal secondo dopoguerra; quei territori, edifici e intere aree, colpiti dalla deindustrializzazione, lasciati vacanti, zone interstiziali ai margini o nei centri delle città. L'archeologia industriale, in quanto disciplina, si occupa, infatti, dell' industrial heritage, ovvero di quegli edifici, trasformati dal tempo, che sono ritenuti patrimoni culturali e storici poiché simboli di un'attività dell'uomo e che hanno avuto un particolare impatto e interesse nell'area in cui sorgono; l'edificio assume un valore non solo per la sua struttura fisica, ovvero prettamente di interesse architettonico, ma anche per tutto ciò che ha 'contenuto' nel corso del tempo. L'oggetto di studio ha , giust'appunto, una valenza multidisciplinare e costituisce una sorta di grammatica del territorio in quanto richiede l'analisi del ex luogo di lavoro, delle trasformazioni sociali avvenute all'interno, delle ripercussioni, delle dinamiche createsi nell'ambiente circostante e delle modificazioni ambientali avvenute nel tempo e i rapporti con la società e il territorio. Attraverso un tipo di analisi tipico della metodologia archeologica (come di tipo 91L'archeologia industriale è una nuova disciplina nata in Inghilterra negli anni Cinquanta del Novecento che studia i reperti e le testimonianze dell'epoca della rivoluzione industriale in tutti i suoi aspetti e contenuti (macchine, tecnologie, infrastrutture, tecnologie). Una delle sue criticità sta nell'impossibilità di definirla propriamente come disciplina in quanto priva di un suo statuto. 61 stratigrafica92), si può procedere a un progetto di valorizzazione e rivitalizzazione dell'edificio, valorizzandone gli aspetti rilevanti e coniugandone la tradizione alla contemporaneità. La struttura diventa in questo modo essa stessa museo, inserito, o meglio, re-inserito nel suo contesto territoriale d'appartenenza con la possibilità di divenire sede di nuove attività, luogo polifunzionale e di appartenenza alla comunità intera; parte attiva, nuovo soggetto nella creazione di dinamiche, rapporti e valori all'interno del territorio. Ciò è da tenere in considerazione nell'ottica di un progetto di riqualificazione, come quello del quartiere Isola, dinamica nella quale viene implicato il coinvolgimento non soltanto del singolo edificio oggetto di studio ma dell'intero territorio e contesto sociale e urbano nel quale questo si trova. Il problema qui è la riconcettualizzazione di un 'vuoto' industriale, di uno spazio assolutamente differente da tutti gli altri spazi sociali, testimone di un silenzio in negativo, che porta in maniera fisiologica il dover attuare politiche territoriali più complesse. Ma allo stesso tempo questi 'non luoghi' costituiscono una vasta gamma di possibilità di riconfigurazioni per divenire parti attive di una nuova riappropriazione e configurazione di relazioni con l'ambiente. La riflessione scaturisce in seguito all'abbattimento, nei primi anni Novanta, dell'intera area dell'ex-fabbrica Brown Boveri, della quale resta soltanto la Stecca accanto, ovvero due edifici che si affacciano su una strada interna. Già prima dell'occupazione da parte del gruppo di Levi, il Comune di Milano era diventato il proprietario dell'ex-stabilimento e aveva iniziato ad affittare gli spazi della Stecca ad alcuni artigiani che trovarono lo spazio ideale per la loro bottega in attesa delle riqualificazioni dei loro stabili da parte del Comune stesso, cosa mai avvenuta. La Stecca diviene così per anni la sede definitiva per circa una ventina di artigiani, da qui i nome Stecca degli Artigiani, unico l'unico residuo del passato industriale 92Lo studio stratigrafico negli scavi archeologici si occupa di ricostruire la storia degli eventi geologici studiando gli strati sedimentari delle rocce analizzandone la genesi e le deformazioni subite. 62 del quartiere Isola dopo l'abbattimento della ex-fabbrica. A questi si aggiungono pittori e associazioni come Apolidia, che lavora con gli immigrati e Athla, associazione che si occupa di persone disabili, che trovano nella Stecca la loro base operativa e il loro luogo d'incontro e di scambio. Un tentativo di riqualificazione e valorizzazione dell'edificio era stato portato avanti dall'associazione Cantieri Isola, nato nel 2001 in risposta alle trasformazioni imposte dall'alto relative all'area Garibaldi-Repubblica, con lo scopo di anticipare i rischi connessi alle trasformazioni pianificate, creando una rete di connessioni tra le diverse realtà associative, culturali e sociali attive in loco e occuparsi di quegli spazi abbandonati ma tuttavia vivi quali La Stecca e i giardini di via Confalonieri. Isabella Inti, architetto, membro di Cantieri Isola e presidente dell'associazione Ada Stecca (Associazione delle associazioni) in un'intervista afferma: Nell'arco di qualche anno le associazioni locali che hanno organizzato la propria base presso gli spazi della Stecca sono aumentate e quindi abbiamo dovuto occuparci di riqualificare gli spazi e di gestire al meglio la convivenza tra noi. […] Abbiamo cercato di affrontare tutte queste difficoltà al meglio, impegnandoci a portare avanti tutta una serie di attività per valorizzare la Stecca e il quartiere, che hanno avuto un forte riscontro anche a livello cittadino. […] Parallelamente alla costruzione della rete di associazioni abbiamo portato avanti il dibattito sulle trasformazioni urbane attraverso l'utilizzo di diversi strumenti, come la stesura delle osservazioni alla Variante consegnate al Comune nel 200293. Purtroppo a conclusione di una lunga esperienza di resistenza e convivenza all'interno della Stecca ha fatto seguito l'abbattimento dell'edificio; nonostante la scomparsa del luogo fisico Cantieri Isola non si è dato per vinto ma ha scelto di far continuare a vivere questa rete di relazioni passando così da una rete informale a una rete formalizzata sotto il nome di ADA Stecca94, Associazione delle Associazioni, nata nel marzo 2007: 93CASTELLANO G., Diari in attesa, nuove geografie urbane: garibaldi-isola-varesine. Milano parte prima. Officina Libraria, Milano, 2008, p.73. 94L'associazione è composta da: Apolida, Architetti Senza Frontiere, Cantiere Isola, Ciclofficina +bc, GAS Isola Critica, La compagnia del parco-circolo Legambiente, AIAB, l'associazione di artigiani Controprogetto e il pittore Francesco Magli. 63 La rete di associazioni ADA Stecca nasce da un’esperienza di autorganizzazione pluriennale di spazi in abbandono da parte di una decina di associazioni, artigiani, artisti fermamente motivati alla salvaguardia e valorizzazione di spazi pubblici dedicati all’associazionismo locale e cittadino ai margini tra lo storico quartiere Isola e una delle più centrali aree di trasformazione urbana, il Garibaldi-Repubblica 95. Il Condensatore Culturale o “Stecca3” All'associazione Ada stecca viene dato in comodato d'udo dal Comune di Milano il condensatore culturale “Stecca3”, inaugurato nell'aprile 2012 in via della Castilla 26. All'interno del grande progetto di rinnovamento urbano Porta Nuova, tutt'ora in atto, è stato previsto, infatti, proprio a fronte dell'abbattimento della Stecca degli Artigiani e al bisogno di sopperire alla mancanza di uno spazio che potesse divenire punto di riferimento e rifugio per attività culturali-artigianali, il 'Condensatore culturale' ovvero un incubatore dell'Arte, detto anche “La nuova Stecca” o “Stecca3”. Sorge da un progetto di Boeri Studio (Stefano Boeri, Giovanni La Varra, Gianandrea Barreca), ai piedi dei 'boschi verticali' (già progetto di Boeri), un edificio di 760 mq rivestito in lamiera di alluminio stirata, pannelli solari e fotovoltaici, una struttura architettonica 'dal respiro internazionale', così definito, che si pone in comunicazione con i nuovi edifici intorno. L'edificio è strutturato su due piani: al piano terra ci sono tre spazi utilizzabili come laboratori, mentre al piano superiore un open-space adibito a sala riunione/esposizioni. Al momento ospita la Ciclofficina (+bc), magazzino con pezzi di ricambio utili a costruire da sé la propria bicicletta, e l'associazione BRIChECO 96 che si occupa di design sostenibile, ovvero con materiale di recupero. 95Dal sito < http://www.lastecca.org.>. 96Per una panoramica più ampia sul progetto vedi <www.bricheco.wordpress.com>. 64 Si tratta di quella promessa stretta dal Comune di Milano con gli artigiani che sono stati sgomberati, per seguire con i lavori di demolizione, dalla storica Stecca degli Artigiani. Promessa mantenuta dal Comune, il quale, a cadenza quinquennale aprirà il bando per l'assegnazione degli spazi, politica, certo, che non favorirà però una certa continuazione e sviluppo delle attività ospitate. Macao e l'occupazione della Torre Galfa Il tema dell'abbondanza di spazi inutilizzati, abbandonati e con un potenziale di utilizzo alternativo nella città di Milano è riemerso, (dopo quasi trent'anni dall'occupazione della Brown Boveri e dopo dieci anni dalla demolizione della Stecca degli Artigiani) anche negli ultimi anni con un'altra occupazione, quella della Torre Galfa, sempre nel quartiere Isola, da parte del collettivo Macao. L'edificio è la ex sede della Banca Popolare di Milano e si trova tra via Galvani e via Fara ed è una torre di 31 piani vuoto da 15 anni, nel 2006 infatti viene venduta alla Immobiliare Lombarda, società del gruppo Fondiaria SAI S.p.a, lasciandola in totale stato di abbandono. Nel mese di maggio del 2012 la torre viene occupata e il primo piano diventa la sede di Macao, un centro per le arti di Milano nato da un gruppo di lavoratori del mondo dello spettacolo e delle arti proveniente da tutta Italia che punta alla sperimentazione di nuove forme di linguaggi culturali, a un nuovo sistema di gestione degli spazi condivisi e a una idea di cultura intesa come bene comune. La pratica e la riflessione di Macao, sempre aperte al contributo di tutt*, segnano un modello radicale di cittadinanza attiva che si esprime nei tavoli, nelle assemblee, nel lavoro sullo spazio, nella produzione di arte e cultura, nelle relazioni con il movimento, con le istituzioni del sapere e del potere, coi media, con la cittadinanza tutta. E’ a partire da questa radicalità che pretendiamo la legittimazione di modelli orizzontali, permeabili e non verticisti nella gestione dei beni comuni; questa è la forza che immagina forme di produzione in cui il valore generato venga diversamente redistribuito, e che dichiara apertamente una sfida verso le tensioni (finanziarizzazione, biocapitalismo, precarietà,…) che ci attraversano e di cui subiamo la stretta come cittadini, oltre che come operatori 65 della cultura e/o della conoscenza97. Nelle settimane successive, però, le forze dell'ordine procedono allo sgombero dopo che il gruppo Ligresti (famiglia che controlla il gruppo assicurativo Fondiaria), giustamente, ne rivendica la proprietà. Allo il gruppo di Macao, mosso dalla vitalità e dall'energia di quel gesto, decide per una seconda occupazione, ovvero quella di Palazzo Citterio, un edificio del '700, in via Brera, acquistato dallo Stato italiano nel 1972 in quanto edificio ideale per l'estensione della Pinacoteca Brera, ma da lì abbandonato 98. L'occupazione però ha vita breve, dopo due giorni i lavoratori dell'arte vengono sgomberati dall'esercito inviato dal Ministero dei Beni Culturali. Ma la volontà di Macao non si arresta, e dopo varie assemblee tenutesi in luoghi sempre differenti, anche nelle officine creative Ansaldo messe a disposizione dal Comune di Milano dopo un confronto di Macao con il sindaco Pisapia, il gruppo entra e si stanzia nell'Ex borsa del Macello in Viale Molise, un palazzina degli anni Venti al centro di una zona un tempo interessata dalla distribuzione delle derrate alimentari e popolata da industrie che producevano cibo. Macao chiamato “la primavera di Milano” , ha sollevato molte questioni sin dal suo apparire, oltre al problema della precarietà dei lavoratori della cultura, al tentativo di percepire e di costruire un nuovo modello per creare produzioni artistiche e culturali indipendente, autogestito attraverso un'azione diretta della comunità, ha sollevato, anche se in maniera circoscritta, un dibattito pubblico su i 'vuoti' della città, rivelandone una costellazione di edifici, un patrimonio edilizio e territoriale inutilizzato nonostante, a volte, la rivendicata penuria di spazi dedicati alla 97Dal sito di Macao: <http://www.macaomilano.org/>. 98Nel 2012 sono stati stanziati dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) 23 milioni di euro per la realizzazione del progetto 'Grande Brera': progetto che comprende tre lotti quali Caserme Magenta e Carroccio in via Mascheroni, Palazzo di Brera e il suddetto Palazzo Citterio al quale è stata destinata la cifra maggiore dell'operazione in quanto prescelto per l'ampliamento della Pinacoteca di Brera. Dopo quarant'anni di discussioni, finalmente, nell'aprile 2014 sono stati assegnati in via definitiva i lavori per il restauro e la rifunzionalizzazione del complesso Citterio che dovranno essere terminati entro 24 mesi dalla consegna. Così nei prossimi due anni il progetto prevede il trasferimento dell'Accademia di Belle Arti alla caserma di via Mascheroni (in zona Fiera) per procedere con l'ampliamento della Piancoteca, portando lo spazio espositivo a 6.500 metri quadrati che verranno dedicati all'arte del Novecento. Per maggiori informazioni sul progetto: http://www.versolagrandebrera.it. 66 cittadinanza, rendendo visibili (come sopra citato) alcuni luoghi simbolo di una gestione procrastinante da parte dell'amministrazione comunale e statale. Il caso della Stecca degli Artigiani e di Macao sono solamente due tra gli esempi ,delimitati al territorio urbano della città di Milano e in particolare nel quartiere Isola, che fanno da monito al tema della disciplina dell'archeologia industriale, ma la lista potrebbe essere estesa a tutto il territorio nazionale. Solamente nel territorio della provincia di Milano il progetto Temporiuso, nato nel 2008 con l'intento di “utilizzare il patrimonio edilizio esistente e gli spazi aperti vuoti, in abbandono o sottoutilizzati di proprietà pubblica o privata, per riattivarli con progetti legati al mondo della cultura e associazionismo, dell’artigianato e piccola impresa, dell’accoglienza temporanea per studenti e turismo giovanile, con contratti a uso temporaneo a canone calmierato”99, ha censito con l'aiuto del Politecnico e del Comune di Milano 200 luoghi potenzialmente recuperabili, si parla cioè di quasi 3 milioni e 720 mila metri quadri di spazio abbandonato e inutilizzato. Le nuove politiche internazionali ed europee obbligano sempre più a guardare al paesaggio in maniera sostenibile, puntando al recupero piuttosto che a una politica di edificazione. Discorso sensato soprattutto in un territorio come quello italiano, con la storia, il patrimonio culturale e la diversità e la complessità geografica che racchiude. L'esercizio della tutela, accompagnato da un'attività di educazione e formazione che coinvolga l'opinione pubblica, permette di conoscere e valorizzare il paesaggio, da intendersi come come risorsa d'uso limitata, in tutte le sue caratteristiche, permettendone la salvaguardia e l'identificazione di un patrimonio identitario, creando un sentire comune e di conseguenza una maggiore percezione e sensibilità 99 L' associazione culturale Temporiuso (vedi <www.temporiuso.org>) nasce da un'idea di Isabella Inti, Valeria Inguaggiato, Giulia Cantaluppi e Andrea Graglia; è un progetto di ricerca-azione nato nel 2008 in collaborazione con Cantieri Isola e Precare.it. Il passo eseguito successivamente alla fase di censimento che Temporiuso ha fatto è stata la creazione di un data-base nazionale nel quale viene incrociata l'offerta di spazi in abbandono e inutilizzati con la domanda da parte dei cittadini per poi organizzare una fase di concorsi, promozioni e bandi per regolamentarne l'accessibilità, il tutto esente da finalità di mercato immobiliare o speculazione economica. 67 nei suoi confronti. Solamente interpretando il territorio che viviamo ogni giorno possiamo vedere al di là di noi stessi, indagando anche le relazioni, le identità, il senso e la rilevanza di un luogo, così da riscoprirne l'importanza e ri-donarla alle nuove generazioni insieme a quella memoria collettiva molto spesso negata. La memoria collettiva accorre alla costruzione dell'identità del singolo, ma affinché acquisti valore è necessario che sia condivisa e lo diventa nel momento in cui viene contestualizzata, altrimenti si consuma, si deforma, si perde. 68 Capitolo III L'arte come strategia III.1 Campo dell'arte all'interno del campo del potere: l'arte pubblica nel dibattito politico La città ha rimpiazzato la fabbrica come teatro del conflitto sociale, i padroni politici ed economici dovranno gestire lo spazio urbano contemporaneo insieme a coloro che occupano gli interstizi in cui si inventa giustamente l'avvenire. Fabrice Lextrait100 La città contemporanea-globale, come sottolineato in precedenza, è ormai uno spazio contraddittorio generato da conflitti, tensioni e differenti dinamiche che ne hanno cambiato la grammatica; uno spazio non più percepibile come un insieme omogeneo ma come un ecosistema che richiede una nuova comprensione, attenta e analitica, in grado di captare gli effetti provocati dalla rapida urbanizzazione che stiamo vivendo, quali, ad esempio, la perdita dei luoghi di socializzazione, gli spazi pubblici. André Corboz101 parla di ipercittà per descrivere questa perdita di continuità tra gli 100LEXTRAIT F., Une nouvelle époque de l'action culturelle. Rapport à Michel Duffour, Marsiglia, 2001, p. 32. 101Andé Corboz (1928-2012), nasce a Ginevra dove si laurea in giurisprudenza. Si avvicina poi all'architettura e dal 1976 insegna storia dell'architettura presso l'Università di Montreal. La sua ricerca si focalizza sulla riflessione urbanistica e la nuova dimensione della città. Tra i suoi scritti compaiono: Invention de Carouge 1772-1792 (1968), Ordine sparso. Saggi sull'arte, il metodo, la città e il territorio 69 spazi, costruendo un'analogia tra la morfologia contemporanea della città e l'ipertesto: l'ipertesto non è in sé percettibile attraverso i sensi, non ha una struttura percepibile attraverso i sensi, non ha una struttura univoca e imperativa, si recepisce ad libitum […] il termine ipercittà avrebbe il vantaggio di non far passare in secondo piano la densità e di non essere in contraddizione con i nuclei storici, essendo essi stessi parte costituente dell' ipercittà102. Già nel 1974 Henri Lefebvre103, nello studio sull'interazione tra spazio e relazioni sociali individuava tre categorie fondamentali: lo spazio praticato (o spazio percepito), ovvero la realtà fisica esperita e praticata dalle persone, presentato sia come mezzo che come risultato dei comportamenti dell'attività umana; le rappresentazioni dello spazio (o spazio concepito), cioè quella rappresentazione dello spazio teorizzata dai tecnocrati: urbanistico, architettonico, economico, connesso alle relazioni della produzione; infine gli spazi di rappresentanza (o spazio vissuto), che rappresentano quegli spazi che vengono vissuti in maniera passiva dagli abitanti e da dove dovrebbe prendere forma la lotta per l'emancipazione e la liberazione dello spazio. Lo spazio sociale è da sempre il punto cieco nelle progettazioni urbane, ma come immaginare un progetto per una città che non sia frutto di un'azione tecnica o di un'utopia ma che contenga e abbracci quegli spazi riconosciuti collettivamente? In un'ottica di rigenerazione urbana è necessario superare quelle convenzioni urbanistiche tradizionali e legate a una economia di tipo capitalistico nel tentativo di sviluppare parallelamente le dinamiche sociali legate allo spazio coinvolto e non lasciare che l'ambiente sociale svanisca in un processo di mera mercificazione. Il problema di fondo è la tendenza all'omologazione dei luoghi aggiunto alla capacità sempre più sfumata e impotente di penetrare la superficie di un ambiente, leggerne i segni e renderli visibili, luoghi attivi. E' importante creare una visione allargata che riesca a combinare pratiche economiche, urbanistiche e sociali indagandone gli effetti e non tenere in (1998), Le territoire comme palimpseste et autres essays (2001). 102CORBOZ A., L'ipercittà, in Urbanistica, n. 103, 1995, p.8. 103LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976, pp.139-41. 70 considerazione solamente una progettualità che riguarda solo l'aspetto formale, della città che è esteriore, ed esterna, alle conseguenze sulle dinamiche collettive e relazionali. A partire da questa riflessione, e sulla base delle precedenti riflessioni sul processo di gentrification inserito in un'ottica più ampia di 'diritto alla città', ci si chiede quali pratiche possono condurci, o (ri)condurci, a una soggettività al di fuori del paradigma egemonico, Maurizio Lazzarato104 si chiede «Quali sono gli strumenti specifici della produzione di soggettività per eludere la sua fabbricazione, industriale e seriale, organizzata dalle imprese e dallo Stato?» sono domande che stanno alla base di un conflitto generato dalla città come risultato di una definizione tecnocratica e la città, invece, come prodotto di pratiche sociali. Intervenire su spazi di grande scala, come una metropoli, significa porsi delle domande rispetto alla percezione comune diffusa delle aree in questione e da quali tensione, problematiche e dinamiche è caratterizzata. In questo contesto le pratiche artistiche ci possono fornire una nuova chiave di lettura, una nuova traiettoria necessaria per ridisegnare nuove relazioni tra i soggetti e i luoghi in questione, come afferma Marco Scotini105,: le pratiche artistiche, in questo nuovo scenario, molto più delle procedure statistiche e delle indagini analitiche, riescono a immaginare nuovi segni, a introdurre nuove capacità di orientamento, a riscrivere le relazioni attuali tra soggetti, identità e luoghi. Il primo passo è rendere visibile ciò che è poco visibile: cominciare a tracciare, entro la mappa globale, gli itinerari di una geografia minore106. L'arte acquista la funzione di irrompere nei territori non propri, in una collaborazione interdisciplinare oltre i suoi confini, facendo incontrare le diverse 104Maurizio Lazzarato è un sociologo e filosofo la cui ricerca si focalizza sulle trasformazioni del lavoro e le nuove forme di movimenti sociali. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Lavoro immateriale. Forme di vita e produzione di soggettività (1997) La politica dell’evento (2004), Il governo dell'uomo indebitato (2013), Marcel Duchamp e il rifiuto del lavoro (2014). La citazione qui è stata tratta dall'articolo Dopo la fine della rappresentanza. Disobbedienza e processi di soggettivazione, in Alfabeta2, n.25, dicembre 2012. 105Marco Scotini vive a Milano dove lavora come critico e curatore indipendente. È co-fondatore di Isola Art Center e direttore del Dipartimento di Arti Visive, Multimediali e Performative presso NABA di Milano oltre che direttore del Biennio Specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso la stessa istituzione. Dal 2005 cura la mostra itinerante “Disobedience Archive” che è stata esposta a Berlino, Mexico DF, Bucarest, Riga, Cambridge, Atlanta. I suoi articoli sono stati pubblicati su Falsh Art, Domus, Moscow Art Megazine, Manifesta Journal, Arte e Critica. 106SCOTINI M., Per una geografia minore, Pratiche artistiche e spazi di democrazia, pubblicato in <www.undo.net>. 71 discipline e combinandole tra di loro introducendo quesiti, facendo emergere anomali e offrendo uno sguardo inedito e trasversale. Il campo d'azione dell'artista diventa, infatti, il territorio concepito come “medium trandisciplinare” (come lo definisce Scotini) dove egli si muove tra diversi stimoli e istanze dedotti da altre discipline affini: come la storia, la sociologia, l'antropologia, l'etnografia, l'urbanistica e l'architettura, arrivando a una sintesi inedita. Di fatto lo sviluppo del concetto stesso relazionale dell'arte nasce da una convergenza con un nuovo modo di intendere lo spazio e l'ambiente ma anche con altre tendenze sviluppatesi in diversi ambiti, come la psico-geografia 107 o la psicologia relazionale, discipline che concorrono alla creazione di una nuova mappa, di una 'geografia minore' fatta di nuove reti e nuovi nodi critici. Doreen Massey108, geografa inglese e pioniera della geografia radicale, afferma che siamo noi stessi gli inventori e coloro che plasmano il nostro spazio sociale, quello spazio riflesso nelle nostre relazioni e azioni, intessuto dalle narrazioni che mettiamo in atto tra persone-attori che agiscono e interagiscono cambiandolo, e dunque non solo come passivi prodotti del cambiamento. Lo spazio sociale è divenuto, infatti, quel terreno dimenticato, quell'ambiente dove prendono forma le identità affettivo-emotive degli individui ma che non ancora rientra in una categoria di luoghi da preservare. Come si inserisce, dunque l'arte in questo contesto e quali sono le sue capacità di intervento e/o di trasformazione? Di fatto la criticità dei territori sottoposti a particolari traumi e cambiamenti mettono l'arte nella condizione di esercitare un'azione sulla propria epoca o esserne un riflesso. Quindi, alla luce dei processi di trasformazione, designati sotto il termine di gentrificazione, può l'arte essere utilizzata con il solo fine di promuovere l'elevamento sociale della zona in questione, e dunque concorrere al processo o può anche divenire mezzo in contrapposizione alla trasformazione in atto costituendo un mezzo di ribellione e denuncia? 107 William G. Niederland in Maps from the Mind: Readings in Psychogeography,: "Psychogeography is the study of how issues, experiences, and processes that resultfrom growing up in a male or female body [...] become symbolized and played out in the wider socialand natural worlds, which serve as 'screens' for these inner dramas”. 108Tra i suoi scritti: For Space (2005), City Worlds: Understanding Cities e Space, Place and Gender. 72 Negli ultimi anni, ha trovato ampio spazio, nel campo dell'arte contemporanea, il dibattito in riferimento all'arte pubblica intesa come prassi politica, dove per 'arte pubblica' si intende, richiamando la definizione che ne da Patricia C. Phillips 109, «la public art non è tale perché è collocata in un qualche spazio aperto, ma perché sa indicare questioni pubbliche110», mentre per spazio pubblico, parafrasando il pensiero di Rosalyn Deutsche111, intendiamo quello spazio sociale, arena dell'attività politica, nel quale il significato e l'unità sociale viene negoziata, si costruisce un consenso consolidando la comunità e si placano i conflitti. Jürgen Habermas112, un tra i maggiori teorici della società del '900, definiva il concetto di 'sfera pubblica' come risultato di quel nuovo assetto della società che ha le sue radici nell'illuminismo e che rappresenta quella linea di demarcazione tra le società autoritarie del passato e le democrazie moderne. Spazio pubblico e spazio sociale finiscono per coincidere ed essere concetti interdipendenti: Il nesso dell'arte pubblica come prassi di intervento politico, è declinato in molti odi: come azione artistica che interviene nelle situazioni sociali concrete in un territorio dato; come lavoro artistico nei territori urbani di confine e di marginalità; nelle pratiche di autorganizzazione dal basso che costruiscono spazio pubblico come meccanismo di partecipazione aperto in un campo di azione micropolitica; come pratica di inclusione attraverso progetti artistici di soggetti sociali esclusi; come indagine attorno agli spazi pubblici considerati quali territori incerti e in trasformazione nello sforzo di elaborare nuovi strumenti descrittivi e di azione in essi; come pratica di condivisione fra artisti e non artisti in progetti di scambio e messa in comune di esperienze e conoscenze al fine di creare un patrimonio culturale comune, esempio di una produzione culturale non imposta ma autoprodotta; come costruzione di socialità non basata sui consumi o sul commercio, ma sulla gratuità e lo scambio113. 109Patricia Phillips, critica e storica dell'arte. Le sue ricerche si concentrano in particolare sui temi dell'arte pubblica, dell'architettura, della scultura nel paesaggio. I suoi saggi sono apparsi su riviste internazionali quali Artforum, Flashart, Art in America e Public Art Review. 110PHILLIPS P.C., Out of Order: the Public Art Machine, in Artforum, dicembre 1988, p.92-96. 111Rosalyn Deutsche è una storica e critica d'arte, insegna arte contemporanea presso il Barnard College and Columbia University di New York. Le sue ricerche si focalizzano in particolare sull'arte nella sfera pubblica. I suoi articoli sono stati pubblicati su riviste internazionali quai October, Arforum, Society and Space. Tra i suoi scritti ricordiamo: Evictions. Art and Spatial Politics (1998). 112Jürgen Habermas (1929) è filosofo, sociologo e storico tedesco. Tra le sue opere più rilevanti spicca Teoria dell'agire comunicativo (1981) nella quale elabora il concetto di una comunicazione libera dai rapporti di potere, studiata come modello di azione sociale. 113PERELLI L., L'opera d'arte e il suo spazio, in Public Art,Arte, interazione e progetto urbano, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 64. 73 Come in parte già analizzato in precedenza, è a partire dagli anni '70 che si è data vita a una nuova forma di fare arte strettamente legata alla dimensione del sociale che è divenuta relazione e 'pratica politica', ovvero che rifugge dalla logica dominante nel campo dell'arte cercando di ricucire la dicotomia teoria e pratica all'interno dell'opera stessa. Un 'arte che prende in considerazione all'interno del suo raggio d'azione sia lo spazio sia la partecipazione attiva dello spettatore aprendosi al l'esterno: all'ambiente, al paesaggio, alla città; questi due elementi non sono più accessori ma sono fattori strutturanti e necessari alla percezione di una specifica opera che si oggettivizza in quel preciso spazio e in quel preciso istante: nasce il concetto di 'interattività' legato all'opera, che non è più espressione autonoma, autoreferenziale ma diviene un evento, un oggetto, un'azione che si lega profondamente ad altri linguaggi e dimensioni coinvolte nello stesso tempo reale in cui hanno luogo. L'arte viene portata fuori dai suoi luoghi deputati, esce dalle gallerie e dai musei ed entra a far parte del paesaggio inteso come un elemento complesso nel quale lo spettatore ne è una parte essenziale. Rosalind Krauss 114 definisce ciò nel concetto di expanded field nella sua opera del 1979 Sculpture in the Expanded Field, nella quale identifica quell'area, quel luogo nuovo e incerto tra arte e architettura, che si trova al di fuori delle sedi istituzionali. Si arriva a un'articolata ed estesa ricerca da parte degli artisti sul significato di “luogo” e “spazio pubblico” che mostrano una crescente molteplicità: Vito Acconci, uno tra gli artisti che ha dedicato gran parte del suo lavoro a progetti pubblici, afferma: Uno spazio pubblico è creato e non è già nato così... Uno spazio pubblico non è uno spazio per sé ma una rappresentazione dello spazio. Uno spazio pubblico è il terreno per accoppiamenti o guerre...115 114Rosalind Epstein Krauss (1941), è una curatrice e critica d'arte statunitense. Insegna Storia dell'Arte presso la Columbia University di New York. Nel 1975 ha fondato la rivista October pubblicata dalla casa editrice del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Passages in Modern Sculpture (1977), The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths (1985), A Voyage on the North Sea: Art in the Age of the Post-Medium Condition (1999). Ha curato numerose e importanti mostre tra le quali Joan Mirò presso il Solomon R. Guggenheim Museum (1970-73) e Richard Serra al Museum of Modern Art (1985-86). 115ACCONCI V., Making Public: The Writing and Reading of Public Space, New York, 1993, p.3. 74 E' nel 1995 che viene pubblicato, negli Stati Uniti, Mapping the Terrain. New Genre Public Art a cura di Suzanne Lacy, che contiene una critica radicale della definizione di “arte pubblica”: We might describe this as “new genre public art” to distinguish it in both form and intention from what has been called “public art”- a term used for the past twenty-five years to describe sculptur and installations sited in public places. The term “new genre” has been used since the last sixities to describe art that departs from traditional boundaries of media.[...]new genre public artist draw on ideas from vanguard forms, but they add a developed sensibility about audience, social strategy, and effectiveness that is unique to visual art as we know it today116. Secondo, dunque, la teoria della New Genre Public Art più che il luogo è il rapporto costruito che costituisce il fulcro e il vero senso del lavoro dell'artista rappresentando una sfida verso le strutture e le politiche dominanti, in quanto arriva a mettere in discussioni temi quali la comunità, i diritti e la coltura partendo da una rielaborazione del ruolo dell'arte vicina al pragmatismo di Dewey nella nozione di partecipazione alla coscienza sociale attraverso l'interazione di gruppo. Già negli anni '80 emerge il lavoro di alcuni artisti che con il loro lavoro partecipano alla costruzione di un significato dell'arte pubblica, nel quale l'opera stessa è costruita con lo spettatore: la partecipazione attiva diventa il nucleo della questione democratica. Per esempio nelle opere di Barbara Kruger 117 lo spettatore è la condicio sine qua non per il formarsi del significato, come in Untitled (You delight in the loss of others) 118, la quale rivolge il suo messaggio 'Ti compiaci della perdita degli altri' direttamente allo spettatore appellandolo in prima persona, includendolo nel significato dell'opera stessa: è un processo reciproco tra immagine e osservatore. Troviamo un altro esempio nel lavoro di Gianni Motti dove si ha una riconciliazione tra l'elemento della partecipazione imprescindibile del pubblico e il luogo istituzionale come la galleria d'arte: nell'opera Eclipse Total De Lune l'artista invita 116LACY S., Mapping the Terrain. New Genre Public Art, Bay Press, Seattle, 1995, pp. 19-20. 117Baraba Kruger (1945) è un'artista concettuale e fotografa statunitense. Nel suo lavoro si appropria di immagini pubblicitarie, estrapolandole dal loro contesto originario, e le riedita con frasi provocatorie contro le diverse sfaccettature della vita postmoderna. Alcune tra queste sono: Untitled (You invest in the divinity of the masterpiece) (1982), Power Pleasure Desire Disgust (1997), It's all about me, I mean you, I mean me (2010). 118All'interno della mostra Public Vision del 1982 tenutasi al White Columns di New York. 75 gli spettatori ad assistere all'ultima eclissi di luna del millennio, (prevista per il martedì 16 settembre 1997 dalle ore 20.15 alle ore 22.45,) rivendicandone la paternità sul tetto della Cité Radieuse di Marsiglia. Il cartoncino di invito alla mostra rappresenta la parte formale dell'opera mentre la presenza del pubblico e il luogo ne diventano il contenuto stesso legati insieme dall'aspetto performativo che conduce tutti gli elementi necessari nel hic et nunc creando un momento di condivisione comunitario. Il rapporto che si instaura tra l'artista e il suo pubblico è determinato dalle condizioni di realizzazione dell'opera nella collettività e nella costruzione e condivisione di un linguaggio comune. A partire dagli anni '90, con l'emergere di una moltitudine di collettivi e organizzazioni di artisti in una visione d'azione di emancipazione collettiva, l'arte si lega in un contesto più ampio ai movimenti sociali, e si radicalizza anche il concetto di opera d'arte che vede al centro il tema del pubblico al centro dell'opera stessa. L'artista Cesare Pietroiusti afferma: Molti negli anni '90, e io tra questi, hanno portato l'arte fuori dalla galleria non per ragioni ideologiche, ma perché hanno pensato che la ricerca stesse assumendo una potenzialità talmente ampia che richiedeva fra l'altro uno strumentario teorico molto più complesso rispetto a quello della critica e della storia dell'arte, una competenza che s'intreccia con l'epistemologia, l'antropologia, la psicologia. […] Se si esce dalle strettoie degli spazi interdisciplinari singoli e dalle tecniche specifiche, si uscirà pure dagli spazi fisici organizzativi a loro deputati: viene spontaneo, come usare un nuovo strumento. Non annulla la galleria, ma la mette in una prospettiva e in un ruolo molto meno centrale, diventa solo un elemento tra diversi119. L'idea dello spazio pubblico come luogo da plasmare e da riportare in vita attraverso la mano dell'artista che tenta di creare un legame, un qualche tipo di connessione con il destinatario è al centro del lavoro di Alberto Garruti, Luca Vitone, Cesare Pietroiusti, Laura Morelli e molti altri. Sulle pratiche artistiche nate dall'interazione tra persone e il contesto sociale risulta di particolare rilevanza, anche se in parte superato, il testo di Nicolas Bourriaud Esthétique Relationelle, una raccolta di saggi pubblicata nel 1998. I testi si concentrano sul tema della relazione che vengono riattivate e create da particolari pratiche artistiche, Bourriaud porta come esempi alcune opere di Sophie 119Da un'intervista di Anna Detheridge a Cesare Pietroiusti (Roma, 2006). 76 Calle, Félix Gonzàlez-Torres, Philippe Parreno e Rirkrit Tiravanija cercando di capire in che modo la dimensione estetica possa agire nelle relazioni con gli altri: L'arte occupa un posto particolare nel processo di produzione collettiva, dato che è fatta dello stesso materiale usato per gli scambi sociali. Un'opera d'arte possiede una qualità che la distingue dagli altri prodotti delle attività umane: la (relativa) trasparenza sociale. Quando è riuscita, un'opera d'arte mira sempre al di là della sua semplice presenza nello spazio; si apre al dialogo, alla discussione, a quella forma di negoziazione interumana che Marchel Duchamp chiamava “coefficiente d'arte”, un processo temporale che si gioca qui e ora120. Il limite con il quale la riflessione di Bourriaud si scontra può essere, a mio avviso, quello di riferirsi solamente a pratiche artistiche avvenute sempre in contesti istituzionali dell'arte quali gallerie e musei, escludendo invece quelle esperienze a cui accennavo sopra, ovvero quegli artisti che hanno sconfinato con le loro opere in un campo in cui arte e vita si intersecano e si rimescolano. 120BOURRIAUD N., Estetica Relazionale, Postmedia Books, Milano, 2010, p.43. 77 III.2 La nascita di movimenti in opposizione ai nuovi progetti urbanistici: l'esempio di Isola Art Center Il fattore T, il fattore territorializzante, dev'essere cercato altrove: precisamente nel divenir-espressivo del ritmo o della melodia, cioè nell'emergenza delle qualità proprie (colore, odore, suono, figura...). Possiamo chiamare Arte questo divenire, quest'emergenza? Il territorio sarebbe l'effetto dell'arte. L'artista, il primo uomo delimitazione...Ne che fissa deriva la un confine proprietà, o di effettua un una gruppo o individuale, anche se destinata alla guerra e all'oppressione. Deluze-Guattari121 Alla luce del discorso fatto sull'accezione dell'arte contemporanea oggi che individua nell'operato degli artisti un'adesione alla realtà e un intervento attivo nella sfera pubblica intesa come campo sociale, mi sembra doveroso, in questo contesto portare il caso-esempio dei movimenti sviluppatisi nel quartiere Isola e in particolare del caso di Isola Art Center. Negli anni '60-'70 nel quartiere Isola già era si era attivata una mobilitazione contro il progetto urbanistico, descritto precedentemente, riguardante il 'vuoto urbano' Garibaldi-Repubblica che prevedeva lo sventramento di quasi metà del rione, attraverso la nascita di un Comitato di Quartiere creato da alcune forze sociali del territorio con l'appoggio di altri gruppi esterni, come il Movimento Studentesco. A sostegno del movimento si schiera l'arte con la precisa funzione di mobilitare e smuovere l'opinione pubblica e di fare pressioni all'amministrazione comunale. Viene occupato un ex convento nel quale prende vita il Centro Sociale Isola il quale organizza diverse attività collettive e di svago, tra le quali parteciperanno anche Dario Fo e Franca Rame mettendo in scena lo spettacolo Mistero Buffo, innescando così una produzione artistica dal carattere sociale e politico (da ricordare, infatti, che nello stesso periodo ha luogo l'occupazione della ex fabbrica Brown Boveri). 121DELUZE G., GUATTARI F., Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Cooper Castelvecchi, Roma, 2003, pp. 445-446. 78 Nel 2000 emerge Isola Art Center, un gruppo eterogeneo di persone unite nel fine unico di opporsi all'ultima versione presentata del progetto Garibaldi-Repubblica, e quindi come alternativa alle politiche neoliberiste in atto nel quartiere. La relazione con il quest'ultimo è la parte principale del percorso artistico che si sviluppa, dove l'unione tra le varie associazioni e movimenti costituisce la costruzione di una “scultura sociale”122: ovvero si cerca di proporre un progetto alternativo a quello comunale, dove la relazione al contesto urbano e sociale viene integrata a un'attenzione estetica per alcuni luoghi (ex-convento, fabbrica Brown Boveri) stimolando una produzione artistica con l'utilizzo di materiali non convenzionali, in linea con ciò che stava accadendo nel panorama artistico generale degli stessi anni. Si tratta di una creazione in itinere che presuppone un lavorare 'per' ma 'con', ovvero potenziare le opportunità di scambio e stabilire delle relazioni solide con il territorio e con la collettività che lo vive, innescando innovazioni e processi sociali e un metodo di lavoro basato su un'elaborazione comune di significato, in un'ottica in cui, come scrive Certeau123, «non è l'arte che si fonde con la vita ma è la Vita che si fa Arte»: le pratiche si rivelano come una forma dell'agire collettivo, dove la coesione locale è frutto di processi elaborati collettivamente che risentono di un intreccio di storie individuali con il fine ultimo di rendere disponibili risorse e beni comuni e riscoprire e ricostruire l'identità del luogo. Ed è proprio in questa dimensione locale, molecolare ovvero delle soggettività e desideri, nella quale questo agire dell'artista nella collettività può essere più valorizzato e produrre degli effetti concreti di pressione sui modelli dominanti. All'ingresso della Stecca degli artigiani Isola Art Center scrive: “Immagina un sistema di ordine sociale decentralizzato in cui a tutte le persone colpite da decisioni politiche si permetta di prendere decisioni in maniera 122Concetto mutuato da Joseph Beuys, artista tedesco, inventa il concetto di “scultura sociale”, nel 1972 durante Documenta V di Kassel afferma: «questa moderna disciplina artistica giungerà a fruizione quando ogni persona vivente diventerà creatore, scultore, architetto dell'organismo sociale[...]Soltanto un concetto di arte rivoluzionato fino a questo grado può diventare una forza produttiva politica attraversando ogni persona e formando la storia». Da DE DOMIZIO DURINI L., Il cappello di Feltro. Joseph Beuys. Una vita raccontata, Carte Segrete, Roma, 1991. 123 Michel de Certau (1925-1986), è stato uno storico francese. Tra le sue opere ricordiamo: L’Absent de l’histoire (1973), L’invention du quotidien (1980) , L’ordinaire de la communication,(1983). 79 democratica dal basso, in base al principio del consenso”124. La strategia messa in atto da Isola Art Center è quella di pensare a un centro per l'arte costantemente in costruzione, aperto e flessibile, che si sviluppi nella relazione con la comunità in cui si trova e con lo spazio urbano, producendo situazioni e immagini funzionali alla “lotta” che porta avanti con le altre associazioni presenti nel territorio, utilizzando l'arte, appunto, come strumento trasversale in una concezione relazionale della pratica artistica. Difficile risulta il definire il termine “comunità”, in quanto considerandolo da un punto di vista sociologico non è possibile definirla in maniera astratta e identificarne le necessità e i bisogni, in quanto ognuno di noi appartiene nello stesso momento a diverse comunità, quindi anche la posizione dell'artista va costruendosi man mano all'interno e corre il rischio di cadere in un tipo di socialità illusoria priva di un vero dialogo tra le parti. Certo non risulta facile arrivare all'obiettivo, può rivelarsi utopico e frustrante, soprattutto faticoso il fatto di lavorare ai margini, fuori dai luoghi del consenso, ma comunque a prescindere da ciò credo che ogni tipo di progetto che cerchi come in questo caso di difendere la dignità e l'identità di una comunità con la quale costruisce, lavora e cresce non possa essere un fallimento totale anche soltanto per il tipo di relazione instaurata e il tipo di impegno nel mettersi in gioco e l'onestà. 124La frase è mutuata da un lavoro di Oliver Ressler dal titolo Alternative Economics, Alterantive Societies, composto da una serie di cartelloni che sono stati esposti in diversi spazi pubblici nelle città dal Sud America all'Europa. I testi che riportano sono degli appelli rivolti ai rapporti di potere dominanti contro il sistema capitalistico dei governi mutuando alcuni concetti come 'democrazia inclusiva' da Takis Fotopoulos e 'economia partecipativa' di Michael Albert. 80 III.3 Cantieri Isola, Comitato i Mille, out Cogliere le diverse vocazioni del quartiere. Per pensare a uno sviluppo “qualitativo” del quartiere, è necessario innanzitutto riuscire a capire le particolarità dei tessuti sociali, economici e territoriali che lo caratterizzano come luogo con una storia a sé 125. Questo è uno tra gli obiettivi che si propone il gruppo Cantieri Isola, associazione nata nel 2001 da un gruppo di architetti del Politecnico di Milano in opposizione ai progetti urbanistici previsti dal progetto Garibaldi-Repubblica. Lo scopo è quello di creare una rete di contatto tra le diverse realtà culturali e associative attive nel quartiere Isola per dar forma a una proposta di progetto urbanistico 'qualitativo', basato in primis su uno studio del territorio dal punto di vista economico, sociale, storico e una forma partecipativa diretta dei cittadini, a un loro coinvolgimento. A questi si affianca un piccolo gruppo formato da alcuni artisti, già da tempo residenti in Isola, come Bert Theis126, Stefano Boccalini127, Mariette Schiltz128, il gruppo di architetti-artisti A12129 e alcuni tra critici d'arte e curatori quali Roberto Pinto130 e Marco Scotini, che decidono di mettere in moto un progetto d'arte indipendente. Questo progetto, con il tempo, prenderà il nome di Isola Art Project, proprio come 125Dal volantino di Cantieri Isola, Laboratorio di quartiere, 2001. 126Bert Theis nasce in Lussemburgo nel 1952, è artista, curatore e attivista stabilitosi a Milano, nel quartiere Isola. I suoi lavori sono concepiti principalmente per spazi urbani cercando in particolare di relazionarli ai contesti sociali. Ha partecipato a diverse manifestazioni artistiche internazionali quali la Biennale di Venezia (1995), Skulptur Projekte di Münster (1997), Manifesta 2 in Lussemburgo (1998), Biennale di Istanbul (2007) e numerose altre mostre in città quali Bruxelles, Parigi, Milano, Tirana, Busan. Nel 2003 è stata pubblicata la sua prima monografia Some Works, edita da Hatje Cantz, mentre la seconda Building Philosophy è del 2010, pubblicata da Domaine départemental de Chamarande. É co-fondatore di Isola art Center e membro attivo di out (Office for Urban Transformation). 127Stefano Boccalini è un artista tra i fondatori di Isola art Center, nato a Milano, dove vive e lavora, nel 1963.é docente di arte pubblica e Urban design presso la NABA di Milano. Ha partecipato con i suoi lavori a molte mostre collettive e personali e collabora con gallerie private in Italia e all'estero. Nel suo lavoro pone al centro il rapporto con lo spazio, le relazioni con l'architettura e fattori sociali. 128Mariette Schiltz nasce in Lussemburgo nel 1955, ora vive e lavora a Milano. É artista e videomaker, ha infatti realizzato diversi video riguardanti il quartiere Isola e sulla storia del suo conflitto, che sono stati esposti al Mamco di Ginevra (2003), alla 10a Biennale di Istanbul (2009) e alla Biennale di Tirana (2009). É co-fondatore di Isola art Center e membro attivo di out (Office for Urban Transformation). 129Il Gruppo A12 è un collettivo di architetti formatosi a Genova nel 1993 con sede a Milano. I componenti sono: Nicoletta Artuso, Andrea Balestrero, Gianandrea Barreca , Antonella Bruzzese, Maddalena De Ferrari, Fabrizio Gallanti, Massimiliano Marchica. A12 lavora nel campo dell'architettura, dell'urbanistica e dell'arte contemporanea, concentrandosi in particolare sulle trasformazioni delle città e sui diversi modi di abitare gli spazi, sperimentando in diversi ambiti di intervento. Ha esposto a numerose biennali di arte e architettura in tutto il mondo, tra le quali la Biennale di Venezia (2003), Biennnale di Shanghai (2001), Fondazione Pistoletto a Biella (2003). <http://www.gruppoa12.org/>. 130Roberto Pinto è curatore e professore e docente presso il dipartimento di arte dell'Università di Bologna. 81 una prima serie di interventi da loro realizzati nel giugno 2001, attuati nei giardini di via Confalonieri, curato da Bert Theis all'interno dell'evento più ampio “La strada rovescia la città” organizzato da Cantieri Isola, dove egli realizza l'opera Untitled/Untilted che consiste in una simbolica barriera, costituita da una palizzata di legno bianco contro la strada che avrebbe distrutto il quartiere dividendolo in due. Stefano Boccalini, invece, con la sua Sleepy Island, colloca tre amache in una zona in ombra e nascosta dei giardini di via Confalonieri, introducendo il sonno come possibile tema all'interno della configurazione di uno spazio pubblico, funzione e servizio che normalmente non viene contemplato in un giardino pubblico. Il gruppo A12 sviluppa un intervento in diversi punti del quartiere, nei quali vengono disposti dei quadrati di calce su cui vengono impressi i segni del passaggio di persone e mezzi sino a disperdersi totalmente. Il tutto viene documentato dalla videocamera di Mariette Schiltz. Parallelamente il Comune di Milano prosegue con il progetto di riqualificazione del quartiere, annunciando nel 2002 la volontà di realizzare la Città della Moda attraverso il nuovo Piano Integrato di Recupero che prevede notevoli interventi invasivi nel tessuto urbano del quartiere. A seguito di ciò Cantieri in Isola, negli spazi del Teatro Verdi di via Pastrengo, organizza un incontro informativo “Il Garibaldi-Repubblica visto dall'Isola” rivolto agli abitanti dell'Isola, e poco dopo decide di occupare uno degli spazi rimasti vuoti nell'edificio della Stecca, dove già sono in affitto le associazioni apolidia, Athla e alcuni artigiani, affermando: Se nuove pratiche e attività temporanee catalizzano nuove popolazioni, flussi di merci, prodotti e servizi, possiamo allora parlare del riuso temporaneo come un'altra economia sussidiaria, ma non sostitutiva alle politiche di riqualificazione urbana 131. Ad affiancare la lotta di Cantieri Isola, nasce un nuovo gruppo che si costituisce nel maggio dello stesso anno: il Comitato I Mille 132, il quale inizia una raccolta firme 131Dalla locandina di “Dispositivi Riuso Temporaneo” seminario tenuto presso il Politecnico di Milano, 9 settembre 2009. 132Dal documento di Costituzione del Comitato I Mille, del 15 maggio 2002 si legge: Il Comitato agirà affinchè venga garantito alla collettività il verde pubblico e la sua fruibilità, opponendosi alla cessione a 82 contro i progetti che minacciano il quartiere. Su iniziativa di Bert Theis, insieme a Mariette Shiltz, Alessandro di Giampietro, Marco Velieri e l'architetto messicano Lorenzo Rocha Cito, nasce e si installa al primo piano della Stecca, il gruppo out (Office for Urban Transformation), un “servizio collettivo a scala urbana” ovvero un ufficio per la trasformazione urbana i cui principali focus sono l'analisi urbana e sociale e il rilevare le diverse esigenze dei cittadini cercando di darne una realizzazione pratica. Il campo di intervento di out non si limita solamente a quello artistico ma abbraccia molte discipline e si estende a tutti i settori che riguardano la società; out si pone più come un metodo di lavoro, uno strumento utile al fine di tentare uno sviluppo urbanistico alternativo dal basso. L'ufficio permette la collaborazione con altri artisti, no-artisti e associazioni in una struttura più flessibile di quello che può essere un gruppo fisso e costituito. [...]La priorità è quella di operare in un modo auto-organizzato, democratico, sociale ed ecologico nel campo della trasformazione urbana. I risultati ricercati non sono dei risultati estetici ma dei risultati efficienti nella comunicazione133. Il punto centrale della riflessione di queste realtà è il bisogno di procedere nel colmare il vuoto creatosi tra gli abitanti e gli artisti in mobilitazione, la scommessa sta nell'attivare un progetto sul territorio che riesca a definire una nuovo senso di appartenenza. Muovendosi in questa direzione Boccalini, con il sostegno di Cantieri Isola, mette in moto la realizzazione di Wild Island134, ovvero un orto comunitario all'interno del terreno destinato a scomparire; l'artista coinvolge il circolo di Legambiente, l'associazione per l'agricoltura biologica AIAB oltre agli abitanti invitandoli a donare le piante per la realizzazione dell'orto: privati di terreni comunali attualmente a verde e promuovendone l'estensione. Il Comitato promuove tutte le istanze necessarie a garantire la vivibilità del quartiere Isola e a proporre soluzioni alternative al progetto Garibaldi-Repubblica e al PII (Programma Integrato di Intervento) sulle aree Isola Lunetta. 133THEIS B., in Partecipazione: Pensiero incompiuto, intervista a Bert Theis di Marco Scotini. 134Dalla pagina web di Isola Art Center, Stefano Boccalini: “volevo che”Wild Island” crescesse come cresce la città contemporanea,dove la coabitazione tra culture diverse si sviluppa in maniera esponenziale. Così nell’orto-giardino le persone che vivono nel quartiere piantano qualcosa che appartiene alla loro cultura e al loro desiderio e lo mettono in comune con gli altri:l’albero di fichi cresce vicino a un pianta esotica e un cespuglio di lavanda cresce vicino ad una paulonia”. 83 Il territorio non si definisce solo attraverso una serie di volumi, ma attraverso una serie di relazioni, di vissuti e di desideri, perché chi abita tale luogo deve essere un soggetto attivo nella trasformazione dello spazio pubblico135. Il primo mercato biologico, nato dall'iniziativa, ha luogo nel novembre 2002, grazie anche al finanziamento derivato da un bando della Fondazione Cariplo, in concomitanza con Isola Art Project 4 : viene proiettato il video 'Arte, città, natura' a cura di Mario Gorni e del suo archivio di C/O careof 136, e si inaugura l'apertura di out con l'incontro-dibattito “Park Fiction137, Amburgo e Isola Art Project, Milano, due esperienze a confronto” a cui partecipano Giacinto Di Pietrantonio, Roberto Pinto, Francesca Pasini, Marco Scotini, Angela Vettese, Gruppo A12, Stefano Boccalini, Andrea Sala e Bert Theis. L'incontro di rivela un buon punto d'inizio per far conoscere la situazione urbanistica, sociale e artistica del quartiere a critici, curatori e artisti, dove la Stecca sembra poter essere quel laboratorio milanese per l'arte contemporanea ancora non presente in città. Tra il 2003 e il 2004 la mobilitazione da parte di Cantieri Isola, insieme con il Comitato I Mille, contro i progetti imposti dall'amministrazione, si intensifica e diversifica a fronte dell'approvazione da parte della regione Lombardia del PII Garibaldi-Repubblica che stabilisce il permesso a edificare su una superficie di 230.238 mq e segue l'introduzione della multinazionale texana Hines nella vicenda. Contro l'approvazione dei progetti (PIR Isola e PII Isola) i cittadini ricorrono al TAR Lombardia. Nel frattempo il Comitato I Mille avanza una serie di proposte per controbattere al progetto di urbanizzazione imposto, in un documento firmato da più di tremila cittadini del quartiere e da istituzioni locali: vorrebbero che non si costruisse sui giardini di Via Confalonieri e propongono la ristrutturazione della 135BOCCALINI S., testo per Forum mondial-Villes et qualité de vie. Enjeux globaux, solutions locales, Ginevra 2006. 136Careof nasce a Cusano Milanino nel 1987 come organizzazione no-profit per la ricerca nel campo dell'arte contemporanea, ponendosi come interlocutore fra giovani artisti, curatori e pubblico non specializzato. I fondatori sono Mario Gorni e Zefferina Castoldi i quali danno vita a DOCVA, un centro di documentazione e archiviazione di materiali d'artista che nel 2006 è stato inserito dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali tra gli archivi storici di rilevanza nazionale. 137Park Fiction è un progetto nato da un gruppo di artisti nel 1994 in opposizione alla costruzione di un complesso abitativo in un quartiere povero di Amburgo, cercando di proporne una pianificazione collettiva alternativa. 84 Stecca al fine di destinarla a centro per l'arte, cultura e artigianato138. La proposta viene raffigurata da out realizzando una sagoma vuota della Stecca e dei giardini di via Confalonieri che vengono distribuiti a cittadini e associazioni del quartiere: l'idea è quella di far completare a loro tutti con le proprie idee, desideri e proposte. Il risultato è un grande telo appeso proprio sulla facciata della Stecca, dal titolo “Giardini di via Confalonieri...e se fossero così?”. Per quanto riguarda, invece, Isola Art Project si assiste a una seconda tappa importante del progetto nel febbraio 2003: dopo aver avuto notevole visibilità per il suo operato, e avendo avuto una notevole partecipazione da parte del mondo dell'arte locale, il gruppo decide di trasformarsi nell'associazione Isola dell'arte (IdA) con Grazia Toderi alla presidenza 139, dando forma all'ambiziosa idea di costituirsi in un centro d'arte con sede alla Stecca perseguendo nell'obiettivo di salvare gli spazi comuni, i giardini, minacciati dal progetto urbanistico in corso, attraverso il dialogo tra istituzioni e cittadinanza operando attraverso l'arte. Prende vita da qui il video della Toderi 'Shining Garden', la performance 'No' di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini140 nel quale la coppia si ammanetta legandosi simbolicamente alle pareti della Stecca. L'impossibilità di arrestare il progetto Garibaldi è tangibile, quello in cui però le varie associazioni continuano a perseguire è quanto meno una vittoria sul piano culturale, IdA in particolare articola la sua strategia di azione in alcuni punti fondamentali quali: occupare con una serie di opere permanenti l'edificio della Stecca, attuare una vendita delle opere d'arte donate dagli artisti stessi al fine di investire il denaro del ricavo in ricorsi in tribunale, infine, riuscire a dare al gruppo 138La proposta viene inoltrata al Consiglio di zona e a tutti i consiglieri comunali. I firmatari del documento sono: Comitato I Mille, Istituto Comprensivo Confalonieri, Associazione Genitori Confalonieri, Commercianti Quartiere Isola, Cooperativa Mercato Comunale Zara, Compagnia del Parco, Isola dell’Arte e Cantieri Isola. 139Tutti i soci fondatori di IdA sono: Mario Airò, Stefano Arienti, Stefano Boccalini, Marco Brugnara, Antonella Bruzzese (A12), Cecilia Casorati, Giulio Ciavoliello, Laura Cherubini, Emanuela De Cecco, Anna Daneri, Gabriele Di Matteo, Giacinto Di Pietrantonio, Stefano Dugnani, Eva Marisaldi, Liliana Moro, Adrian Paci, Luca Pancrazzi, Francesca Pasini, Roberto Pinto, Gianni Romano, Marco Scotini, Bert Theis, Grazia Toderi, Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart (Undo.Net), Giorgio Verzotti, Angela Vettese, Francesco Vezzoli, Cesare Viel, Luca Vitone. Presidente: Grazia Toderi. Vicepresidente: Bert Theis. 140Ottonella Mocellin (1966) e Nicola Pellegrini (1962) sono nati in Italia, ora vivono e lavorano a Berlino. Si specializzano in architettura e arte pubblica presso la Chelsea School of Art e la Architectural Association negli anni '80. Al loro rientro in Italia iniziano a sperimentare una serie di differenti linguaggi visivi, dalla fotografia al video alla performance, partecipando a numerose esposizioni in gallerie e musei sia in Italia che all'estero. 85 un carattere nazionale e internazionale. Da qui partono una serie di eventi inizialmente concentrati in un solo giorno, il giorno de 'Le Mille e una Notte', metaforicamente come racconto dello spazio e del futuro di Isola con il riferimento ai racconti orientali da un'idea della critica d'arte veneziana Francesca Pasini. In questo primo evento avvenuto in aprile partecipano attivamente molti artisti e curatori anche internazionali vicini ai circuiti d'arte della città; alcuni tra gli interventi proposti sono di natura permanente, definibili come site specific in quanto creati nei giardini o sulle pareti stesse della Stecca come Viaggio sulla luna di Gabriele di Matteo, disegni tratti dell'opera di Meliés realizzati ad affresco sulle pareti interne dell'edificio; Stefano Arienti ripropone la sua opera realizzata anni prima nella ex fabbrica Brown Boveri durante l'occupazione: il titolo Muffe designa dei segni ripetuti con dei gessetti, delle virgole che ricoprono le mira esterne e interne che interagiscono con la pelle della Stecca. Il gruppo A12 contribuisce invece realizzando un'opera di convivialità ovvero un tavolo e il banco per il bar del centro d'arte; Liliana Moro141 insieme a Stefano Dugnani realizza Casedagioco, delle piccole costruzioni-abitazioni in cemento collocate nei giardini della Stecca al servizio dei bambini. Aderisce alla programmazione anche il gruppo di Park Fiction di Amburgo proponendo il video, in versione italiana, I sogni lasciano le case e scendono in piazza presentato dagli stessi a Documenta 11, per la stessa giornata viene organizzato anche il convegno Quali spazi per l'arte oggi?142 al fine di discutere sul problema della mancanza di un' autentico polo dedicato all'arte contemporanea nella città di Milano e su quali tipi di spazio meglio si potrebbero adattare al tema. Nel dibattito Christian Bernard, direttore del Mamco di Ginevra, presenta la mostra Fragments d'un Discours Italien che contiene una sintesi dei lavori e delle azioni messe in atto all'Isola fino a quel momento, mentre Mariette Schiltz presenta il film da lei realizzato Ondanomala dove racconta i primi tre anni di lotta e di arte nel 141Liliana Moro nasce a Milano nel 1961. Allieva di Luciano Fabro all'Accademia di Belle Arti di Brera inizia la sua carriera artistica partecipando lo Spazio di Via Lazzaro Palazzi tra il 1989 e il 1993. La sua ricerca artistica si focalizza sul tema della fragilità e della ricerca di equilibrio che esprime attraverso sculture, oggetti, suoni e video. 142Al convegno partecipano personalità sia nazionali che internazionali quali: Christian Bernard (Mamco,Ginevra), Claire Burrus, Michelangelo Pistoletto, Christoph Schäfer (Park Fiction), Giulio Ciavoliello, Cecilia Casorati, Giacinto Di Pietrantonio, Francesca Pasini, Roberto Pinto, Gianni Romano, Marco Scotini, Giorgio Verzotti, Angela Vettese. 86 quartiere. DE-ABC, formato da Steve Piccolo143, Luca Pancrazzi144 e Gak Sato145 presentano invece L' acchiapparumori, una scatola che convoglia i rumori della città come un' imbuto, ne amplificano le sensazioni e regalano una percezione diversa della strada, del quartiere a cui i suoni appartengono dato dalla mancanza del rapporto visivo con ciò che sta al di fuori. La programmazione si fa sempre più fitta e ricca di eventi che non si limitano più a una sola giornata: inizia un ciclo di conferenze Selfurbanization nelle quali sono previsti degli incontri incentrati su tematiche legate al quartiere Isola come “Storie e memorie: come l’arte può raccontare l’identità dei luoghi” e “Dalla Brown Boveri a oggi. Arte a Milano tra anni Ottanta e Novanta. La storia della fabbrica del quartiere Isola occupata dagli artisti nel 1985. Un racconto dell’arte in città da questa esperienza a oggi” organizzati da Marco Scotini e Alessandra Pioselli. Per proseguire poi con la strategia iniziale decisa da IdA nel dicembre del 2004 viene organizzata, al secondo piano della Stecca 146, la mostra Arte per l'isola, curata da Lino Baldini e Giacinto di Pietrantonio, accompagnata da un'asta con le opere d'arte donate dagli artisti di IdA e altri sostenitori del progetto 147, la vendita infatti è finalizzata unicamente alla raccolta di fondi per ripianare i debiti dovuti ai ricorsi al TAR riguardanti il progetto Garibaldi-Repubblica. Segue a ciò un manifesto redatto da IdA per lanciare un petizione internazionale e far conoscere il progetto al di fuori del quartiere 143Steve Piccolo è un musicista, artista e curatore nato a New York ma stabilitosi da tempo a Milano. Ha curato vari progetti sonori per performance/installazioni in collaborazione con Adrian Paci, Luca Pancrazzi e altri artisti. Cura le pagine di sound art per il sito UnDo.Net. 144Luca Pancrazzi è un artista che vive e lavora a Milano. Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle art di Firenze sviluppa il suo lavoro basato in prevalenza sui 'vuoti' urbani, su quegli spazi interstiziali urbani abbandonati. 145Gak Sato nasce a Tokyo e nel 1996 si trasferisce a Milano. Nel 2002 diventa professore di Tecniche del Suono presso l'Accademia Carrara delle Belle Arti di Bergamo. 146IdA inizia a occupare il secondo piano dell'edificio mettendo da parte qualsiasi tipo di rivendicazione riguardante gli altri spazi in seguito a contrasti con Cantieri Isola, questi ultimi, infatti, arrivano a concepire la Stecca come un'associazione che venda e offra servizi agli abitanti quando invece IdA, out e il Comitato I Mille lottano per ottenere un'associazione socio-culturale formata da artigiani, spazi di aggregazione per varie attività legate al quartiere e al progetto di centro per l'arte contemporanea. 147Alcuni tra gli artisti simpatizzanti sono: Alberto Garutti, Loris Cecchini, Massimo Bartolini, Michelangelo Consani, Marcello Maloberti, Maurizio Nannucci, Enzo Umbaca, Patrick Tuttofuoco, Italo Zuffi. 87 [...]Proponiamo di ristrutturare questa fabbrica e di trasformare l’ultimo piano in un Centro per l’Arte Contemporanea, preservando e sviluppando la ricchezza attuale delle funzioni sociali, economiche e culturali presenti nell’edificio. […] Nonostante il dinamismo di gallerie e istituzioni private, la presenza di riviste specializzate, di molti artisti, di critici, di collezionisti importanti —dato il livello delle mostre pubbliche e la scarsa rete di spazi per l’arte contemporanea —oggi Milano è una realtà provinciale. […] L’associazione si propone di convincere il Comune di Milano a ripensare e a modificare questa parte del progetto “Garibaldi Repubblica”,: si eviterebbe così di distruggere un campione storico importante dello sviluppo produttivo e urbanistico della città contribuendo, invece, alla creazione del Centro d’Arte Contemporanea 148. Il manifesto solleva attenzione nel mondo della cultura e dei media, su La Repubblica esce un articolo dal titolo 'L'isola del futuro. Festa per il nuovo museo alla Stecca degli artigiani': La stecca degli artigiani, la pittoresca , scalcinata ma vivacissima ex fabbrica della siemens nel cuore del quartiere dell'Isola, laboratorio di creatività e incubatrice di conflitto sociale minacciata di demolizione nel quadro del piano urbanistico GaribaldiRepubblica, potrebbe essere salvata e trasformata in un Centro per l'arte contemporanea. […] L'Isola dell'arte è una lobby forte e influente, ne fanno parte artisti e critici con robusti legami nazionali e internazionali. […] Il progetto è credibile149. 148Appello internazionale di IdA, tra i firmatari si trovano harald Szeemann, Hans Ulrich Obrist, Hou Hanur; galleristi quali Giò Marconi, Francesca Minini e Raffaella Cortese; artisti quali Maurizio Cattelan, Marina Abremović, Olaf Nicolai e Richard Nonas; imprenditori del mondo della moda quali Miuccia Prada, Angela Missoni, Alessia Bulgari e Antonio Marras. 149Armando Besio, L'Isola del futuro, in “La Repubblica”, ed. Milano, 4 febbraio 2004. 88 III.4 La nascita di Isola Art Center nel 2005 Completati i lavori di sistemazione del secondo piano della Stecca, circa 1500 m² di spazio che ne fanno il fulcro e il terreno di sperimentazione per numerosi eventi e la tessitura di una rete di persone solida, l'8 aprile 2005 avviene l'inaugurazione ufficiale di Isola Art Center primo centro d'arte indipendente e autogestito a Milano, presieduta dall'Assessore alla cultura della Provincia di Milano Daniela Benelli 150 in compagnia delle altre associazioni 'satelliti' del quartiere. Il fine è quello di dar vita a un progetto alternativo che dia voce ai cittadini, all'identità del quartiere, rinforzandone la posizione all'interno dell'urbanistica e portando alla luce il problema della mancanza di spazi pubblici e il rischio dell'eliminazione degli stessi dai quartieri storici. Sin dall’inizio la sfida per Isola Art Center è stata quella di creare una piattaforma di sperimentazione aperta e dinamica, che combinasse l’arte contemporanea di livello internazionale, l’arte giovane emergente, la ricerca teorica, i bisogni e desideri degli abitanti di un quartiere popolare e misto, e incidesse sulla trasformazione di questo quartiere. Un progetto precario e ultralocale in una situazione di trasformazioni globali e conflittuali. Isola Art Center ha scelto di non ripetere modelli istituzionali prestabiliti, sull’esempio di New York, Berlino o Parigi, ma di creare un nuovo modello di Centro d’Arte per una situazione di crisi culturale, sociale, economica e politica prolungata 151. L'idea è quella di inserire l'arte all'interno delle problematiche del quartiere al fine di utilizzarla come strumento per il cambiamento del progetto urbanistico, come monito che dia voce ai reali bisogni del quartiere. Quello che è determinante è che Isola Art Center è un progetto d’arte contemporanea inserito in un contesto di conflitto urbano, dove interviene a fianco degli abitanti in mobilitazione. E dunque il progetto non è soltanto specifico al sito, in una connotazione strettamente spaziale, o relazionale in una connotazione sociale, ma specifico alla lotta di chi lavora e vive in quel sito152. Isola Art Center si muove senza un budget, la scelta infatti è quella di non dipendere da alcun legame istituzionale stabile ma di basarsi solamente su finanziamenti 150Daniela Benelli nasce a Milano nel 1952e ricopre attualmente la carica di Assessore all'Area metropolitana, Casa, Demanio nella giunta del sindaco Pisapia. 151Berth Theis, vedi: <www.isolartcenter.org>. 152 Antonio Brizioli e Bert Theis, Isola, la storia di una trasformazione urbana, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012. 89 pubblici (esterni al Comune di Milano, come per esempio il Comune di Firenze e la Regione Toscana) o privati quali Open Care e Frigoriferi Milanesi 153, reperendo i mezzi, materiali e le finanze necessarie di volta in volta a seconda del progetto in corso, e affidandosi all'energia individuale e collettiva dei partecipanti. Per quanto riguarda lo spazio, ovvero l'ex edificio industriale della Stecca, Isola Art Center decide di operare in un dirty cube, ovvero di non trasformarlo e di non nascondere il suo passato industriale in opposizione alla concezione modernista del white cube, una definizione dello spazio espositivo coniata da Brian O’Doherty 154, (in una raccolta di saggi usciti tra il 1976 e il 1981 su Artforum 155) secondo il quale il bianco assoluto delle pareti, la sterilità da qualsiasi elemento di disturbo proveniente dalla realtà esterna, l'opera viene a-contestualizzata così da sfidare, illusoriamente, lo scorrere del tempo e delle mode in un'idea di assolutezza oltre i legami effimeri di temporalità. Per gran parte del Novecento, infatti, è stata la pratica dominante e in parte lo è tutt'ora , Bert Theis afferma: Il luogo industriale che abbiamo reso accessibile è stato lasciato volutamente in questo stato. Non per una ragione nostalgica, ma piuttosto per la scelta di non cancellare le tracce del passato e far in modo che le opere d'arte e le attività interagissero con questa situazione. […] Il concetto di dirty cube è strettamente collegato a quello di piattaforma, come forma aperta di organizzazione che permette ad artisti, attivisti, curatori, teorici, collettivi o singole persone di diversa provenienza, di portare liberamente a termine proposte e progetti all'interno di un contesto fight-specific156. Certamente questo concetto del dirty cube, non è, a mio parere, da vincolare necessariamente solo alla dimensione estetica dello spazio artistico/espositivo ma in senso lato soggiace a una questione legata a una ricerca dei modi e delle forme di 153“I Frigoriferi Milanesi sono un luogo di incontro e di scambio dedicato all’arte e alla cultura”, nati nel 1899 come magazzini refrigeranti hanno riconvertito la propria attività in un contenitore culturale. Open Care, invece, nasce all'interno di Frigoriferi Milanesi nel 2003 e si occupa della logistica, conservazione, valorizzazione delle opere d'arte. Vedi: www.frigoriferimilanesi.it. 154Brian O’Doherty, nato nel 1928 in Irlanda è artista (le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia e a Documenta) e scrittore: tra le sue opere ricordiamo American Masters: The Voice and the Myth, The Deposition of Father McGreevy, Christo’s Running Fence. 155Brian O’Doherty, Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo (traduzione italiana di I. Inserra e M. Mancini), Johan and Levi editore, Milano 2012. 156CHARLES E., Dal white cube al dirty cube in Fight-specific Isola, p. 273. 90 resistenza; si tratta di rimanere legati, per quanto possibile, a una dimensione 'territorializzata' dello spazio. L'edificio della Stecca viene ripopolato con opere d'arte senza snaturarlo ma al fine di salvaguardarlo (nonostante si sia rivelato, come vedremo, un meccanismo fallimentare). É una scelta che per altro lega, inconsapevolmente, Isola art Center con l'esperienza della Brown Boveri degli anni '80, oltre al fatto che si sta parlando di un' edificio appartenente al Comune di Milano occupato da un gruppo di artisti-curatori i quali, come detto precedentemente, non ricevono alcun tipo di sovvenzione economica. Come afferma Gerald Raunig157: Il cube è dirty, precisamente perché non è guardato come un incubatore che porta insieme l'arte e l'economia capitalista, ma perché permette il concatenamento trasversale di pratiche e di gruppi che non avevano mai cooperato prima gli uni con gli altri […] Invece delle promesse luccicanti dell'Isola creativa sorge qui, nella mischia, la trasversalità selvaggia dell'industria Isola che rifiuta l'obbedienza, la cooperazione e l'autoaddomesticamento negli incubatori dell'industria creativa 158. Il principio del dirty cube, infatti, è anche funzionale al fine di differenziare lo spazio della Stecca da un luogo d'arte istituzionale come può essere il Palais de Tokyo159 di Parigi, più volte citato come termine di paragone e allo stesso tempo di contrasto: in occasione della sua apertura nel 2002 sono stati investiti quasi 5 milioni di euro per trasformare ma bensì rinvigorire l'originaria struttura dell'edificio del 1937 in un contenitore per l'arte contemporanea. Come scrive Claire Bishop160: 157Gerald Raunig è un filosofo e teorico dell'arte. Insegna alla Zürcher Hochschule der Künste. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Art and Revolution. Transversal Activism in the Long Twentieth Century (Los Angeles, 2007), Art and Contemporary Critical Practice. Reinventing Institutional Critique (MayFlay, 2009) e Fabbriche del sapere, industrie della creatività (Verona, 2013). 158RAUNING G., Industria Isola, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, Archivebooks, Berlino, 2012, p. 309. 159 Il palazzo venne costruito per l'Esposizione Universale del 1937 nel XVI arrondissement di Parigi. Il Centro Arte contemporanea è stato creato nel 2002 per volontà di Nicolas Bourriaud e Jérôme Sans che lo hanno diretto sino al 2006. 160Claire Bishop (1971) è una critica e storica dell'arte. E' stata professoressa associata nel Dipartimento di storia dell'arte dell'Università di Warwick e presso il Royal College of Art di Londra. I suoi scritti sono pubblicati su riviste quali Artforum, Flesh Art e October. Tra i suoi scritti ricordiamo Participation (2006), Installation Art: A Critical History (2005), Radical Museology, or, What's Contemporary in Museums of Contemporary Art? (2013). 91 Instead of clean white walls, discretely installed lighting, and wooden floors, the interior was left bare and unfinished. […] The Palais the Tokyo' s improvised relationship to its sorroundings has subsequently become paradigmatic of a visible tendency among European art venues to reconceptualize the “white cube” model of displaying contemporary art as a studio or experimental 'laboratory' 161. In questo modo la scelta stessa degli artisti e delle tematiche si riflette nel sistema di allestimento: Non era più concepito come semplice white cube - uno sfondo neutro su sui possano risaltare, senza interferenze, gli oggetti esposti – quanto, piuttosto, come luogo con una specifica identità in cui far rinascere, appunto, delle relazioni. La trasandatezza, intenzionalmente lasciata tale, dei muri o dei pavimenti non perfettamente lisci e puliti, non disturbavano le possibilità espressive dei lavori concepiti, per la maggior parte, come work in progress; anzi le caratteristiche dello spazio erano frequentemente usate dagli artisti come ulteriore elemento da cui partire nella progettazione del lavoro 162. Sfuggire al white cube non significa necessariamente sfuggire alla dimensione estetica del campo artistico in quanto, che si parli di un'istituzione affermata o di un collettivo auto-organizzato, si tratta comunque di situazioni profondamente immerse nel meccanismo capitalistico che sfrutta qualsiasi dettaglio al fine di trarne profitto. In questo caso quello che differenzia Isola Art Center sta nella sua volontà di di 'riterritorializzare' uno spazio all'interno di un progetto ampio che coinvolge il cambiamento urbanistico di un quartiere. Un altro concetto che introduce l'artista Bert Theis, e che conia lui stesso in relazione alla natura di Isola Art Center, è quello del fight-specific. Per capirne il significato bisogna prima definire il concetto, entrato ormai a far parte del linguaggio artistico comune, del site-specific dal quale il neologismo di Theis deriva. Per site-specific (espressione inglese composta da site 'luogo' e specific 'specifico') si intende il principio per cui un'opera d'arte non solo viene concepita per uno spazio non originariamente destinato all'arte ma pensata e plasmata in maniera tale che crei dei legami spaziali specifici con il luogo nel quale viene destinata, ricostruendo l'esperienza percettiva locale dello spettatore. 161BISHOP C., Antagonism and Relational Aesthetics in October, 2004, p.51. 162PINTO R., Il dibattito sull'arte degli anni Novanta, in Estetica relazionale di BOURRIAUD N., pp. 112113. 92 Secondo la definizione di Miwon Kwon163: Site specificity used to imply something grounded, bound to the laws of physics. […] Whether inside the white cube or out in the Nevada desert, whether architectural or landscape-oriented, site-specific art initially took the "site" as an actual location, a tangible reality, its identity composed of a unique combination of constitutive physical elements: length, depth, height, texture, and shape of walls and rooms; scale and proportion of plazas, buildings, or parks; existing conditions of lighting, ventilation, traffic patterns; distinctive topographical features 164. L'opera intesa come site-specific emerge per la prima volta sulla scia del Minimalismo, ovvero dalla seconda metà degli anni Sessanta e inizio Settanta, e poi con la creazione di quei tableaux effimeri o manipolazioni permanenti del territorio e del paesaggio creati da quel movimento di artisti racchiusi sotto la dicitura di land art, (tra i quali: Walter De Maria, Christo, Robert Smithson, Richard Long)e da altri come l' arte concettuale, performance/body art, arte processuale: si crea una relazione indivisibile tra l'opera e lo spazio, questo non viene più percepito come una tabula rasa ma come uno spazio reale dove l'oggetto artistico o l'evento viene fruito 'nel qui e ora' attraverso la presenza fisica dello spettatore necessaria al suo stesso completamento e compimento. Robert Barry dichiarava nel 1969 in un'intervista in riferimento alle sue installazioni «made to suit the place in which it was installed. They cannot be moved without being destroyed165», questo perché l'opera, le cui caratteristiche sono direttamente determinate dalla topografia dello spazio, che sia questo urbano, paesaggistico o parte di un'architettura, diventa parte di esso modificandone la percezione e l'organizzazione. Nella nozione di fight-specific ( letteralmente 'lotta-specifica'), invece, non è tanto lo spazio l'elemento prioritario e caratteristico dell'opera o dell'atto artistico quanto la lotta intrapresa, attraverso l'arte, per la salvaguardia di quello spazio in particolare, in questo caso il quartiere Isola. 163Miwon Kwon (Corea del sud, 1961) è una curatrice e critica d'arte e d'architettura. Le sue ricerche e i suoi scritti riguradano principalmente l'arte contemporanea, l'architettura, l'arte pubblica. Ha co-curato, con Philipp Kaiser la mostra Ends of the Earth: Land Art to 1974 tenutasi al Museum of Contemporary Art in Los Angeles nel 2012. 164KWON M., One Place After Another: Notes on Site Specificity in October, Vol. 80, 1997, p.85. 165Ivi., p.86. 93 Qui gli artisti si trovano in un terreno di conflitto, agiscono politicamente attraverso un'arte che si mette al servizio e si relaziona con una collettività, affrancandosi dal campo neutrale della rappresentazione e da un sistema di “arte per l'arte”. Abbiamo originariamente coniato il termine fight-specific art per descrivere le forme d'arte legate alla lotta urbana. Il nostro lavoro, focalizzato sula quartiere Isola, è stato indubbiamente site-specific. La decisione però di affiancare il movimento, e sostenere le alternative suggerite dai cittadini, di lottare contro le politiche neoliberiste promosse dall'amministrazione pubblica e dagli investitori privati, ha fatto in modo che fosse necessario estendere il concetto di site-specific a quello di fight-specific. Per noi gli elementi decisivi del site (luogo) sono le persone che vivono e lavorano dentro il luogo stesso. L'arte fight-specific diventa possibile solo se le persone iniziano ad organizzarsi e ad agire, cioè se esiste una situazione “calda”, una condizione di conflitto e di lotta 166. L'attività di Isola Art Center è costretta a mutare tanto nella forma quanto nella strategia della produzione estetica nella quale gli artisti coinvolti sono chiamati a identificarsi con la comunità e a rappresentarla, divenendo parte attiva di quella che può essere definita (ma non riducibile a) come community art, attraverso un fare artistico politico e determinando un legame diretto tra produttore e utenza determinando, in alcuni casi, uno scambio dei ruoli data la sua specificità alla lotta e a chi vi lavora e vive in loco. L'evento inaugurale dello spazio è Architecture of change, curato da Marco Scotini, a cui partecipano una ventina tra artisti e collettivi italiani e non 167. L'obiettivo, contenuto nel titolo stesso, è quello di focalizzare il dibattito sul rapporto tra pratiche artistiche all'interno di uno specifico contesto urbano e politico che implicano uno spazio pubblico rispondendo alle necessità e richieste di chi quello spazio lo vive, partendo però dal presupposto che non esiste una soluzione unica al problema urbano ma diverse che si intrecciano. L'analisi parte dal semplice spazio 166Bert Theis da Dal site-specific alla fight-specific art in Fight Specific Isola, p.266. 167Tra i partecipanti alla mostra: Massimo Bartolini, Cantieri Isola, Loris Cecchini, Alexandre da Cunha, Vincenzo De Cotis, Brice Dellastrada, Paola di Bello, Carlos Garaicoa, Alberto Garutti, Bernardo Giorgi, Gruppo A12, Isabella Inti, Deborah Ligorio, Love Difference, Francesco Jodice, out, Luca Pancrazzi, Olaf Nicolai, Marietica Potrc, Andrea Sala, Paola Salerno, Antonio Scarponi, Bert Theis, Florin Tudor e Mona Vatamanu, Ultra-Red, vedovamazzei, Italo Zuffi. 94 positivo e dalle relazioni che sviluppa in relazione all'edificio, come centro di arte, sino a una scala più grande relativa alle dinamiche del quartiere e della rete urbana. In questa cornice vengono dunque presentati interventi di varia natura che vertono sulla produzione dello spazio in chiave 'lefebvriana', dalle installazioni permanenti di out e Wurmkos a progetti di proposte di riutilizzo di vuoti urbani, alla proiezione di mappe politiche ai dibattiti. Inizia così una nuova fase, Isola Art Center si presenta come un' evoluzione dell'organizzazione iniziale IdA, un movimento mosso dalla condivisione della battaglia per lo spazio pubblico, e nel quale vengono integrati mano a mano i diversi collettivi quali Stazione Isola168, UnDo.Net169, Forum Isola, Werkstatt170, Sugoe171, millepiani172 e Love difference173. Il tema dello spazio, incentrato più su una riflessione per quanto riguarda lo sviluppo e la costruzione ragionata di un centro per l'arte contemporanea, viene ripreso anche nella mostra del marzo 2006 The People's Choice/ La scelta della Gente174, sempre a cura di Marco Scotini. Nel percorso si snodano i progetti, le idee e le proposte di una quarantina tra artisti, curatori, economisti e politici che si confrontano nel tentativo di plasmare uno spazio per l'arte aperto, flessibile e 168Nasce da un'idea di stefano Boccalini e Katia Anguelova e si propone come raccoglitore di archivio di informazioni utili per proporre una progettazione urbanistica ragionata del quartiere Isola. 169Network nato nel 1995 con l'obiettivo di sperimentare le potenzialità della rete nel campo della produzione di arte e cultura contemporanea. Ne fanno parte Anna Stuart Tovini, Vincenzo Chiarandà ed Emanuele Vecchia. Vedi la pagina web: www.undo.net.it. 170Si tratta di un laboratorio di fotografia che inizia la sua collaborazione con Isola Art Center nel 2006. Composto da Simona Barbagallo, Tiziano Doria, Antonietta Foschini e Jacopo De Gennaro con lo scopo di creare un'officina per il quartiere ovvero un luogo di incontro e di scambio per giovani artisti. 171Sugoe è un laboratorio che si occupa di produzione e allestimento di opere per collaborazioni con altri enti ma elabora anche progetti in autonomia. Ne fanno parte alice Pintus, Fabrizio Stipari, Manuel Scano, Matteo Rubbi, Luca Pozzi, Alek O., Matteo Mascheroni e altri. 172Millepiani è un progetto editoriale nato da Tiziana Villani e collaborano con Isola Art Center per l'organizzazione di conferenze e seminari. Ne fanno parte anche Ubaldo fadini, Francesco Galluzzi e Stefano Vailati. 173Nasce nel 2002 all'interno di Cittadellarte Fondazione Pistoletto come “movimento artistico per una politica Intermediterranea” ovvero un laboratorio artistico che parte dal concetto di arte come impegno politico e sociale. Tra i membri ci sono Alberto Mazza, Arianna Panarella, Chiara Piraccini e Noemi Satta. 174Il titolo richiama volutamente una mostra del Group Material del 1980 “The People's Choice (Arroz con Mango)”allestita a New York nell'East End nella quale veniva coinvolta la comunità ispanica del quartiere chidendo alle persone di portare con loro in galleria degli oggetti significativi per loro, per la loro famiglia, per i loro amici. Qui invece vi partecipano: Gruppo A12, Doug Ashford (Group Material), Stefano Boccalini, Gea Casolaro, Josef Dabernig, José Davila, Pablo Leon de la Barra, Paola Di Bello, Etcétera, Alberto Garutti, Bernardo Giorgi, Isabella Inti, Rem Koolhaas and Alain Fouraux, Armando Lulaj, Marcello Maloberti, Alessandro Nassiri Tabibzadeh, Network Nomadic Architecture, OUT, Adrian Paci, Maria Papadimitriou, Steve Piccolo, Cesare Pietroiusti, Post-Programmed City-Territory, Marietjca Potrc, Oda Projesi, Radek Community, Renshi.org, Oliver Ressler, Pedro Reyes, Mariette Schiltz, Chemi Rosado Seijo, Stalker, Bert Theis, Tercerunquinto, Ian Tweedy, Enzo Umbaca, Luca Vitone 95 accessibile agli abitanti del quartiere, riconoscendo in questo processo l'arte come una funzione trasversale ai diversi gruppi sociali e come filo rosso. Il comunicato stampa recita: la sfida del progetto è quella di pensare ad un centro d'arte sotto permanente costruzione all'interno di una comunità che negozia, di giorno in giorno, i propri parametri di rappresentazione e di relazione con e nello spazio urbano. […] 'La scelta della gente' vuole immaginare non solo uno spazio aperto e flessibile, ma, letteralmente, attraversato dalla vita dei gruppi e delle persone175. Un delle opere esposte, ad esempio, Framing the Comunity di Paola Di Bello176: una serie di fotografie che ritraggono gli abitanti dell'Isola davanti a una finestra aperta sul quartiere stesso, a sottolinearne la natura comunitaria e di appartenenza di quel frammento di città, quasi una autorappresentazione comunitaria per immagini. Isola Art Project entra sempre più nel circuito internazionale, tant'è che inizia a ospitare mostre ed eventi al di fuori del circuito circoscritto alla sola città di Milano, spinti dalla volontà di sperimentare nuove logiche espositive e di lavoro intessendo legami e relazioni con altre realtà. Nell'ottobre 2006 ospita Women shi gaibian ( La rivoluzione siamo noi ), a cura di Martina Köppel-Yang177, dove protagonisti sono un gruppo di artisti cantonesi riunitisi sotto l'appellativo di Canton Express 178 i quali arrivano appunto da una regione della Cina (Guangzhou) confinate con il Pearl River Delta (Delta del Fiume delle Perle) una delle zone più densamente urbanizzate nel mondo e caratterizzata da un inarrestabile sviluppo economico, dinamica nella quale l'arte si inserisce con il doveroso e responsabile compito di salvaguardare e mantenere le tradizioni affrancate dal puro meccanismo economico attraverso la sua potenzialità di generare 175Comunicato stampa The People's Choice/ La scelta della Gente. Attrezzi per un art and Community Center a cura di Marco Scotini, 27 marzo – 14 maggio 2006. 176Paola Di Bello nasce a Napoli nel 1961, vive e lavora a Milano. Il suo lavoro si svolge attraverso la macchina fotografica con la quale interroga la realtà conoscibile e indaga l'ambito stesso della percezione. Insegna fotografia presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. 177Martina Köppel-Yang storica dell'arte con base a Parigi. Ha curato molte mostre in materia di arte contemporanea cinese come ad esempio Leased Legacy. Hong Kong (Francoforte , 1997), Black Extreme Vigorous Figurative (Schenzhen Fine Arts Institute, 2005) Surplus Value e Accumulation: Canton Express – The next stop (Pechino, 2006). 178 Formato da: Xu Tan, Jiang Zhi, Zhou Tao, Liang Juhui, Duan Jianyu, Lin Yilin, Yang Jiechang, Huang Xiaopeng, Yang Yong. Il collettivo aveva già esposto alla Biennale di Venezia nel 2003 all'interno del progetto Z.O.U. - Zone of Urgency. 96 nuove idee preservando valori culturali e sociali. Le opere presentate hanno natura diversa, dalla pittura alla performance al video, come quello di Xu Tan Keyword – Survive, una installazione accompagnata da un video che riflette sul ruolo della figura dell'artista e del suo operato in una situazione di catastrofe naturale o guerra, figurato attraverso l'esposizione di una casa-rifugio portatile per artisti utilizzabile in qualsiasi situazione così da poter fuggire dal 'mercato dell'arte', ovvero salvarsi dall'epoca di repressione della libertà d'espressione. Seguono altre mostre rilevanti che chiudono un intenso anno di lavoro di Isola Art Center, l'ultimo prima che la Stecca venga definitivamente abbattuta: Collegare in parallelo con New Museum e alla presentazione della rivista Millepiani 'Caosmos'179. Collegare180 è curata da Gianni Romano che vede indagare una decina di giovani artisti il tema della connessione nel suo senso più ampio. New Museum, invece, è un segnale luminoso al neon realizzato da Daniele Innamorato e Federica Pedrazzoli181 posizionato sopra l'edificio della Stecca per rivendicarne l'esistenza e la presenza del centro di arte contemporanea al cui interno ospita un loro lavoro fotografico. L'ultimo grosso progetto presentato con sede nell'edificio della Stecca è stato SituazionIsola. A new Urbanism182 nell'aprile 2007, curata da Marco Biraghi183, Bert Theis e Maurizio Bertolotto184. Più che una mostra è una dimostrazione del lungo percorso svolto da Isola Art Center, dalla sua esperienza riletta in chiave 179A cura di G.SIMONDON-D.LYON, Caosmos. Filosofia e tecnica nelle società di controllo, Millepiani, 2006. 180Vi partecipano dalla Germania René Arbeithuber e Daniel Lange/Malun, (gruppo DFM), Benjamin Wittner, Sascha Thoma/CASTO, Julie Djohan, Philippe Werhahn . Dalla Serbia Nino Maljevic; dal Messico Marco Villaseñor; dall’Italia Davide Farabegoli e dalla Svezia Linda Hörnquist. 181Sono due artisti che vivono e lavorano a Milano, dove hanno fondato insieme nel 2000 il duo Kings, il cui lavoro si basa prevalentemente sull'utilizzo di neon, del mezzo fotografico uniti in installazioni. Vedi la loro pagina: www.kingsart.it. 182Vi hanno preso parte: Tomas Saraceno, FlyingCity, Corea (progetto a cura di Marco Scotini), Paola Di Bello, King’s (Daniele Inamorato e Federica Perazzoli), Marco Colombaioni e Bert Theis, Steve Piccolo con Xabier Iriondo, Donata Clovis e Manuel Scano, Luciana Andreani, Christophe Bouvet, Brice Dellastrada e Giovanni Giaretta, Mara Ferreri, Alek O., Alice Pintus, Luca Pozzi, Anja Puntari, Collettivo 3.2.1, Love Difference, Osservatorio inOpera, ufficio out, Forum Isola, Corso Graphic Design & Art Direction della Nuova Accademia di Belli Arti in collaborazione con l’Associazione Genitori F. Confalonieri (“Piedibus”). 183Marco Biraghi è professore presso la facoltà di architettura civile del Politecnico di Milano. Fa parte del comitato di redazione di 'Casabella' e collabora con diverse riviste di architettura. 184Maurizio Bertolotto è critico d'arte e curatore. Curatore di Art Experience per Domus Academy e colabora con diverse riviste d'arte e d'architettura internazionali. 97 'situazionista' alla luce di una nuova urbanizzazione ponderata fondata su un modello che pensa lo spazio sociale come una rete di legami sociali e non solamente come mera urbanistica. Molto significativa è l'opera presentata in questa occasione da Tomas Saraceno 185 Museo aero solar186 per il progetto Think global, act local curato da Maurizio Bertolotto. L'opera viene eseguita in collaborazione con alcuni abitanti del quartiere e giovani artisti i quali raccolgono, ritagliano e assemblano sacchetti di plastica raccolti all'Isola e il risultato è un'enorme superficie volante ovvero il più grande pallone a energia solare mai realizzato. É un museo volante la cui forma evolve in base a quante persone partecipano alla sua costruzione e al materiale di riciclo reperito in loco. III.5 L'abbattimento della Stecca degli Artigiani nel 2007: Isola Art Center dal dirty cube al cubo diffuso o centro disperso Nel 2007 i piani urbanistici previsti per le aree Garibaldi-Repubblica, Varesine e Isola sono ormai consolidati dagli accordi siglati tra multinazionale Hines, Boeri Studio e il Comune di Milano. Nel marzo dello stesso anno, infatti, viene sottoscritta l'attuazione del PII Isola che prevede l'eliminazione dei giardini di via Confalonieri e la demolizione in toto dell'edificio della Stecca, da sempre considerata da Hines come un ostacolo al piano generale di rinnovamento urbano della zona. All'interno della Stecca la programmazione continua (è in atto la mostra 185Tomas Saraceno nasce in Argentina nel 1973, vive e lavora a Francoforte. E' artista e architetto conosciuto per le sue installazioni, strutture aeree praticabili ed esperibili dal pubblico in grado di modificare la percezione degli spazi architettonici. Tra le ultime esposizioni ci sono On Space Time foam (Hangar Bicocca, 2012), On the roof: cloud city (Metropolitan Museum di New York, 2012). 186Questo museo volante viene realizzato interamente per la prima volta in questa occasione e successivamente in Colombia, Francia, Svizzera, Albania e Stati Uniti. 98 SituazionIsola) ma il movimento è indebolito dal fatto che alcuni gruppi all'interno di Cantiere Isola (simbolo, come detto in precedenza, dell'unione iniziale del fronte delle associazioni contro il piano urbanistico) decidono di costituirsi come ADA 187 (Associazione delle Associazioni, presieduta da Isabella Inti) e di dialogare direttamente con Hines accentando la soluzione avanzata da quest'ultima ovvero la promessa della costruzione a breve di una Nuova Stecca/Incubatore dell'arte per mano dell'architetto Boeri188 a prezzo della definitiva rinuncia dell'edificio in questione. Le parole di Isabella Inti: Il nuovo progetto è la rivendicazione di uno spazio per l'associazionismo e l'incubazione di attività micro-imprenditoriali a costi sociali su un'area di altissimo valore immobiliare. Sulla base di questa difficile decisione abbiamo affrontato un'altra scelta importante: passare da rete informale a rete formalizzata e da qui è nata ADA Stecca 189. Si può parlare di un compromesso accettato da ADA verso la decisione guidata dai privati in cambio della propria sopravvivenza e tradendo in parte la base ideologica sul quale si era fondata la nascita del movimento generatore di Isola Art Center. Il Forum Isola, dissociandosi pienamente dalla decisione di ADA, non si da per vinto e continua la sua resistenza con una lettera aperta alla stampa “Il Forum non trasloca” ma il Comune inizia a fare leva sul concetto di “insicurezza” e “degrado” ormai diffuso all'interno della Stecca derivato da alcuni eventi legati a situazioni di spaccio nella zona, così da convincere facilmente l'opinione pubblica a sposare la causa, legittima, della 'riqualificazione' della zona e procedere dunque allo smantellamento del 'fortino dello spaccio' , come venne definito. Il 25 aprile le ruspe iniziano la demolizione, da parte della Digos e Polizia, di una metà della Stecca, quella affacciata sul lato di via De Castilla noncuranti delle opere esposte e degli eventi in corso all'interno, motivo per il quale Isola Art Center lancia 187All'associazione ADA aderisco: Architetti Senza Frontiere, Cantieri Isola, Apolida, Ciclofficina +bc, Gas Isola Critica, La compagnia del Parco-circolo di Legambiente, Controprogetto e AIAB (Associazione Italiana per l'agricoltura Biologica). 188Stefano Boeri si era dichiarato infatti concorde all'abbattimento della Stecca: “Abbiamo provato a lungo a mantenere l'edificio della Stecca degli Artigiani, ma in seguito, dopo non pochi ripensamenti, ci siamo convinti che mantenerlo avrebbe compromesso proprio quell'idea di apertura verso il parco che rappresentava il punto di forza del nostro progetto”; da Diari in attesa...,p. 92. 189INTI I., Diari in attesa..., p.74. 99 un appello rivolto al Comune di Milano “Isola Art Center deve vivere!” , presentato anche alla mostra inContemporanea1 alla Triennale di Milano, con il quale riesce a ottenere la sospensione delle operazioni di sgombero e demolizione. Chiediamo al Comune di Milano di non cancellare un progetto d'arte contemporanea inedito in Italia, e di non cancellare i due piccoli giardini adiacenti all’edificio, nel quale è stato costruito il Centro. Appoggiamo le richieste delle associazioni del quartiere che chiedono di riqualificare questi spazi pubblici invece di privatizzarli per edificare 90.000 metri cubi di costruzioni come prevede un contratto tra il comune di Milano e la multinazionale texana Hines. Oggi, nel 2007, Isola Art Center rischia di perdere gli spazi dove lavora dal 2003 senza avere a disposizione uno spazio alternativo dove continuare la sua attività in modo adeguato. Il Centro disponeva di una superficie espositiva di 1.500 metri quadri al secondo piano dell'edificio industriale chiamato "Stecca degli Artigiani" di proprietà comunale, che secondo i piani del comune di Milano dovrebbe essere raso al suolo in tempi brevi. Lo spazio ospita una collezione permanente di opere d'arte inserite nell'architettura dell’edificio di artisti internazionali […]190. Il provvedimento si rivela però momentaneo tant'è che, dopo alcune proroghe, il 5 ottobre viene definitivamente evacuata la parte sopravvissuta dell'edificio, che ancora ospitava la sede di Rifondazione Comunista e parte della sede di Isola art Center al secondo piano, e la demolizione della Stecca viene portata a termine. A guardare la Stecca, si vede che le ruspe distruggono qua e là lasciando in piedi pezzi di fabbrica. E dai buchi si intravedono i resti del «New Museum» creato da Bert Theis, animatore di out e dell'Art Center. La sua si è rivelata un'utopia a Milano; cioè quella di chiedere all'amministrazione di utilizzare la grande area che va da via Confalonieri a via de Castilla per un progetto pubblico, come succede in molte città europee 191. Isola art Center non si neutralizza ma viene a trovarsi in una fase di metamorfosi dove l'assenza di una base fissa la porta a una scissione e al dover attuarsi in una moltitudine di spazi per poter continuare con il progetto e sperimentare nuove forme di linguaggio. L'idea e il principio perseguito resta sempre quello di creare un centro di arte contemporanea per la città con uno spazio verde per tutti ma in un'identità di dispersed center ovvero di centro disperso che si basa sull'utilizzo di infrastrutture preesistenti, il concetto viene mutuato da quello del dispersed museum coniato da 190Appello Isola Art Center deve vivere! , testo completo e nomi dei firmatari su <www.isolartcenter.org>. 191BERTASI N., Isola Art Center non ha più una sede, in “Il Manifesto”, 3 maggio 2007. 100 Charles Esche192 in riferimento al Van abbemuseum: In many ways I think we are using up the symbolic capital of the museum. The core audience still comes for what the museum represented in the past rather than what it does now, so at some point they will give up, I imagine, as will many modernist-trained critics. We are working hard on building different routes to a public, however, I think the art world by and large has failed to address new publics. For our museum, the Van Abbemuseum, I’m desperately trying to find ways out of this impasse, mostly by leaving the building, or at least dispersing the art across the city and perhaps the world. The art audience in general is probably one of the least interesting audiences for an art (or an institution) that seeks a different relationship with the world and its people. It is the audience least likely to be transformed by an artwork, because it already has a rather strict view of what art can do in the world193. Si articola così una nuova programmazione per Isola Art Center basata su tre livelli: internazionale, per far conoscere sempre più il progetto e ciò che sta succedendo al quartiere Isola anche all'estero, cittadino, coinvolgere sempre più la partecipazione degli abitanti nelle pratiche artistiche, e infine di quartiere, ovvero agire letteralmente all'interno di altri spazi del quartiere in mancanza di un propria sede stabile. Si crea un gioco di relazioni tra Isola art Center e altre associazioni, negozi e spazi pubblici che iniziano a ospitare nei loro spazi alcune mostre. Come scrive Marco Scotini: Se si può riscontrare una radicale differenza dopo il 2007 (come di fatto c’è stata) nell’efficacia delle strategie perseguite dal centro, questo è dovuto non alla perdita della sede come zona franca, ma al mutamento di contesto: economico, sociale, culturale. Nel 2007 questo spazio d’azione trasversale è stato catturato, ricanalizzato tanto dall’industria creativa che dalla speculazione immobiliare, ormai sotto regime securitario e finanziario. Oggi la difesa della libertà dell’arte come bene comune dimostra la propria insufficienza politica: c’è bisogno di una nuova indagine delle forme della produzione e della composizione sociale piuttosto che d’immaginazione194. Pochi giorni dopo viene presentata alla Triennale di Milano il progetto di Isola art Center all'interno di inContemporanea1195 che ha lo scopo di presentare la rete di 192Charles Esche (Inghilterra, 1962) è un curatore e critico d'arte. Dal 2004 è stato direttore del Van Abbemuseum di Eindhoven. Ha inoltre curatore numero mostre internazionali tra le quali: co-curatore della IX Biennale di Istanbul insieme a Vasif Kortun (2005), It Doesn't have to be Beautiful Unless it's Beautiful at National Gallery of Kosovo, Prishtinë (2012), An Idea for Living, U3 Slovene Triennale, Moderna Galerija, Ljubljana (2011). 193ESCHE C., Destroy de Museum in Kaleidoscope, anno 3, Numero 10, primavera 2011. 194 Marco Scotini, Ceci n’est pas une exposition. Dai collettivi artistici al governo dei pubblici, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012. 195Su progetto di Gabi Scardi sono presenti una quindicina di associazioni: aMAZElab, artandgallery, 101 realtà associative indipendenti presenti nella città di Milano e nel suo hinterland mettendone a confronto i progetti, i metodi e gli obiettivi. Lo stand che viene presentato però è spoglio e privo di opere, un comunicato spiegava ai visitatori: Ci scusiamo con i visitatori del fatto che il nostro stand rimanga quasi del tutto vuoto e non possa presentare il materiale informativo previsto. Dal 17 aprile 2007, data dello sgombero della Stecca degli Artigiani, Isola Art Center è infatti senza sede. Il Comune di Milano e la multinazionale americana Hines, tengono sotto sequestro una ventina di opere d’arte e tutto il nostro materiale rimasto a Isola Art Center 196. Lo stesso anno viene invitato Bert Theis e l'ufficio di out alla X Biennale di Istanbul, curata da Hou Hanru 197, per presentare il progetto e le vicende di Isola Art Center che viene illustrato con la proiezione del video-documentario Isola Nostra198 di Mariette Schiltz. Seguono poi una serie di mostre le prime ospitate in maniera capillare in altri contesti di Milano, come ad esempio Made In curata da Katia Anguelova, prevista inizialmente per gli spazi della Stecca, viene ospitata dallo spazio no-profit Assab One199, dove i due artisti bulgari invitati Daniela Kostova e Plamen Dejanoff presentano i progetti Planets of Comparison che vede una serie di edifici acquistati a Veliko Tarnovo, ristrutturati e posti al servizio di musei, gallerie e istituzioni con finalità culturali; e il video Body-without-organs centrato sul problema dell'emigrazione raccontando la storia e le vicende del Bar Bulgaro di New York. A ottobre, invece, prende forma il progetto Isola Rosta Poject200: le saracinesche dell'associazione culturale Punto Rosso201 diventano spazio espositivo, la tela per AssabOne,Atelier Spazio Xpò, C/O careof, esterni (Aprile), FreeUndo, Isola Art Center, Museo Teo,Neon,O’Artoteca, Reporting System, Viafarini, Wurmkos, Xing. 196Testo completo su <www.isolartcenter.org>. 197Hou Hanru, nato nel 1963 a Guangzhou, Cina, è critico e curatore d'arte. Collabora con riviste internazionali d'arte come “Flash Art International”, “Art in America”, “Art Asia Pacific”, “Yishu”. Ha curato numerose mostre e Biennali in tutto il mondo tra cui il Padiglione Francese nel 1999 alla Biennale di Venezia, la mostra Z.O.U – Zone of Urgency nel 2003 e il Padiglione Cinese nel 2007; la Biennale di Shangai nel 2000, quella di Tirana nel 2005, quella di Istanbul nel 2007 e quella di Lione nel 2009. Da dicembre 2013 è Direttore artistico del MAXXI di Roma. 198Il video racconta tutti gli eventi della Stecca tra il 2001 e il 2007, è diviso in 6 capitoli nei quali narra le vicende delle rivendicazioni degli abitanti del quartiere. 199Assab One è uno spazio espositivo nato a Milano nel 2002 da un'idea di Elena Quarestani con sede in un edificio industriale (era sede dell'azienda grafica Gea) ospita mostre, eventi e promuove progetti culturali. 200Vi partecipano Marco Colombaioni, Dan Perjovschi, Andreas Siekmann, Marco Vaglieri. 201Punto Rosso è un'associazione fondata per la promozione della ricerca culturale e il dibattito. Promuove 102 raffigurazioni di artisti italiani e internazionali che narrano le ultime vicende di Isola con temi come la gentrification dei quartieri popolari. Il titolo Rosta, infatti, richiama l'agenzia di telegrafia russa che dal 1919 fece illustrare le sue vetrine dai manifesti creati da artisti come Vladimir Majakowski, alludendo a un utilizzo politico dell'atto artistico; qui viene utilizzato lo stesso metodo come segno di protesta contro il tentativo di cancellare un progetto artistico e sociale e per rivendicare i disegni sulle pareti della Stecca eliminati con la sua demolizione. Nel marzo del 2008 il negozio di abbigliamento Tantrika Shop, in via del Pollaiuolo 2, si offre per ospitare una mostra fotografica realizzata da Paola Di Bello negli anni di collaborazione con Isola Art Center e comprende: Framing the Community, Strip (2006), L'isola-che-non-c'è (2007). A novembre, nello stesso posto e in collaborazione con l'Osterialnove in via Thaon De Revel 9, viene ospitata Taipei-Beirut-Madrid-Berlino-Isola una rassegna di video realizzati da Kuang-Yu Tsui, Ziad Antar, Democracia, Nevin Aladag, Manuel Scano, Matteo Rubbi i quali si confrontano sul tema della vita di città attraverso la narrazione di particolari vicende: a Beirut si parla intimamente della vita nelle mura di casa, a Madrid si mostra lo sgombero di un campo rom nella periferia. All'Osteriadelnove si tiene invece una tavola rotonda per discutere le tematiche trattate nei video con la partecipazione di Anna Daneri (critica e curatrice), Fondazione Antonio Ratti, Mario Gorni (curatore dell’archivio video del C/O), Marco Scotini, Anna Stuart e Vincenzo Chiarandá, UnDo.Net, network per l’arte contemporanea, Tiziana Villani (direttrice di millepiani). In collaborazione con NABA (Nuova Accademia di Belle Art di Milano) Isola Art Center presenta Public Turbulence/ Disordine pubblico202 promosso dalla provincia di Milano e a cura di Alberto Pasavento e Bert Theis. La programmazione si estende su quattro giorni di attività e si moltiplicano sempre più i luoghi nel quartiere disposti a ospitare gli eventi dell'associazione (tra i quali: convegni, conferenze e iniziative pubbliche e non ha scopo di lucro. 202Vi partecipano per Isola art Center: Agenzia X, Stefano Boccalini, Park Fiction, Stina Fisch, Gaia Fugazza, Angelo Sarleti, Sašo Sedla?ek, HR Stamenov, Urbonas, Fani Zguro, Isola Art’s Club Band. Mentre per NABA artisti e curatori del Biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali: Valentina Angeleri, Paolo Caffoni, Arianna Carcano, Igor Muroni, Michele D’Aurizio, Anita Gazzani, Luca Puglia, Matteo Lucchetti, Valentina Maggi, Sofia Scarano, Giulia Paciello, Mila Popdimitrova, Beto Shwafaty, Lorenzo Tamai. 103 Soundmetak, Piazzale Segrino 1; Tantrika Shop, Via Pollaiuolo 2 ; Puerto de Libros, Via Pollaiuolo 5; Osterialnove, Via Thaon de Revel 9; Punto Rosso, Via Pepe 14; Naba, via Darwin 20). Vengono presentate performance come Complaints Choir – Il coro delle lamentele a Milano, un infopoint sui progetti di out-ufficio per la trasformazione urbana; la tavola rotonda Out to the fiction of protest – Arte e attivismo politico203, il tutto ha come il fine quello di stimolare e approfondire il ruolo e la funzionalità dell'arte, che non si limiti ad avere un ruolo passivo anche e soprattutto nella relazione con lo spettatore. Nel 2009 c'è un altro importante evento a livello internazionale nel quale viene invitata Isola Art Center: si tratta della IV Biennale di Tirana (T.I.C.A.B – Tirana International Contemporary Art Biennal) che ha sede in quell'anno nell'Hotel Dajti, edificio frutto dell'architettura fascista italiana degli anni '30, che ora giace abbandonato e in rovina proprio nel centro della città, fa da cornice perfetta a questa edizione della Biennale che si concentra sullo sviluppo urbanistico e architettonico delle città all'interno dell'orizzonte neo-liberista caratterizzato da un'urbanizzazione 'selvaggia' degli spazi. In questo contesto Isola Art Center presenta il video Isola, a neo-liberal italian tale (Isola, una storia neo-liberale italiana), ovvero una summa degli eventi artistici e politici avvenuti nel quartiere, dai progetti artistici creati in contrapposizione alla gentrification in atto, l'elaborazione di controproposte ai piani urbani imposti dall'amministrazione sino alla creazione di un nuovo tipo di museo 'senza sede' ospitato da associazioni private, negozi e ristoranti. Altra proposta di riflessione sul quartiere ormai da anni divenuto un campo di forze, uno spazio politico oggetto di progetti speculativi, è la mostra WE DO IT. Il quartiere di Isola in due inadeguati sistemi descrittivi 204, curata da Marco Scotini con Matteo Lucchetti e tenutasi presso il Kunstraum Lakeside di Klangenfurt in Austria con la quale, come descrive il sottotitolo, ripreso per altro dal lavoro di 203Prendono parte: Park Fiction, Urbonas, out, osservatorio in opera, Wurmkos, Undo.net, Millepiani/urban, PartiColAzioni, AR.RI.VI, Marcella Anglani, Katia Anguelova, Andris Brinkmanis, Paola di Bello, otherehto, Jacopo Muzio, Marco Scotini, Beto Shwafaty, Marcella Stefanoni, Elvira Vannini, moderatori Matteo Lucchetti e Paolo Caffoni. 204Con : Adrian Paci, Andrea Sala, Bert Theis, Christoph Schäfer, Danilo Correale, Enzo Umbaca, Yang Jiechang, Maria Papadimitriou, Mariette Schiltz, Millepiani magazine, Museo aero solar (Tomas Saraceno), OUT (Office for Urban Transformation), Paola Di Bello, Stefano Boccalini, Undo.net, Wurmkos. 104 Martha Rosler nel quartiere di Bowery a New York tra il 1974 e il 1975 205, intende presentare e confrontare parallelamente i progetti urbanisti ufficiali del Comune di Milano e Hines con i controprogetti realizzati da Out e Isola Art Center. Continua anche il sodalizio con l'accademia NABA di Milano che presenta, nell'aprile 2010, Horror Vacui – Occupare il presente, curata da Aria Spinelli206 e Valerio Del Baglivo207, a sottolineare la volontà incontrollata di edificare e saturare ogni spazio urbano ancora vergine con nuove e imponenti costruzioni mettendo in dubbio la qualità della vivibilità dell'area urbana oggetto della trasformazione. Vengono presentate opere di Fabrizio Bellomo208, il video Senza Titolo (2010) video-documentario di una performance svoltasi alla Stecca degli artigiani prima della sua demolizione che vede la creazione di un orto temporaneo in nome della rivendicazione del verde ormai non più esistente; Maria Pecchioli 209 e Mirko Smerdel210 lavorano insieme su ZQR (2010), una serie di diapositive che hanno come soggetto, e bersaglio della critica, i nuovi edifici in costruzione e quelli simbolo della città: dai Boschi Verticali alla Torre Velasca, accompagnati da scritte quali “I vostri grattacieli sono macerie prima ancora di essere costruiti”. Nel 2011 Isola art Center insieme a Fuori Dal Vaso 211 mette in atto una serie di laboratori e incontri coinvolgendo abitanti, artisti e ricercatori del titolo G come 205Martha Rosler (1943) è un'artista americana la cui opera si focalizza sulla scrittura di testi di natura saggistica, fotomontaggi fotografici installazioni e performance che hanno come soggetto argomenti quali gli stereotipi legati al corpo femminile, emarginati e condizioni di disagio. Il lavoro The Bowery in Two Inadequate Descriptive Systems (1974-1975) è un progetto fotografico realizzato nel quartiere sud di Manhattan, Bowery, al tempo rifugio di alcolisti ed emarginati. Le foto vengono accompagnate da un apparato descrittivo composto da parole e frasi derivate dallo slang utilizzato legato all'alcolismo e al suo gergo con il fine ultimo di denunciare l'impossibilità di descrivere e rappresentare il fenomeno in maniera adeguata. 206Aria Spinelli (1981) ha conseguito al laurea in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università La Sapienza di Roma e un Master in Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA. Dal 2009 fa parte del collettivo Radical Intention; attualmente svolge una ricerca sui rapporti tra arte e politica in Iran. 207Valerio Del Baglivo (1979) vive e lavora a Milano dove continua la collaborazione con Bert Theis e Isola Art Center. Ha collaborato anche con l'associazione no-profit Connecting Cultures di Milano. 208Fabrizio Bellomo (Bari, 1982) è un artista che vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro predilige l'uso del mezzo fotografico e del video focalizzandosi sulla denuncia sociale. 209Maria Pecchioli (Firenze, 1977) lavora attraverso tecniche diverse quali la fotografia, la pittura, la performance, il video. “Attraverso visioni futuribili e percorsi mnemonici applico un utilizzo libero dei materiali che rielaborati e mutati nel loro contesto originale creano delle visioni inaspettate e consentono una presa di posizione e e coscienza fuori da logiche cognitive lineari. Utilizzo un linguaggio radicale, diretto e sporco che proviene da uno scontro non filtrato con la storia”. Da <www.isolartcenter.org>. 210Mirko Smerdel (Prato, 1978) vive e lavora a Milano. Il suo lavoro si concentra su temi quali l'archeologia urbana, la memoria pubblica e le relazioni tra passato e presente. 211Fuori dal Vaso è un gruppo di giovani artisti e curatori interdisciplinare nato dalla collaborazione con Isola Art Center per appoggiare la rivendicazione dello spazio di Pepe Verde. 105 Gentrificazione – La trasformazione del quartiere Isola 212, un percorso pensato appunto per indagare il concetto di gentrification e delle sue conseguenze più visibili analizzando la situazione nel suo complesso e consapevolizzare i cittadini sulle trasformazioni che stanno prendendo piede all'interno del quartiere. A maggio dello stesso anno viene presentata la mostra LOASI (anagramma della parola Isola) curata da un giovane gruppo di artisti e curatori del biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali della NABA213 creano delle piccole 'oasi' intervenendo all'interno di luoghi estranei al circuito dell'arte, in linea con il principio del 'cubo disperso', dove vetrine di negozi, strade, aiuole ospitano gli interventi degli artisti mimetizzati e integrati all'interno del quartiere: dalle medicine Homeopanic contro gli effetti della gentrificazione esposte in farmacia, alla definizione stessa, il lemma, di 'gentrification' affisso sui muri del quartiere. Il 2011 si chiude con la mostra Green Desire/Desiderio Verde214 curata da Camilla Pin, Elena Mantoni e Valeria Mancinelli presso l'Associazione Sassetti Cultura 215, incentrata sulla questione ambientale, sull'emergenza della mancanza di verde che riversa le ripercussioni nel vivere sociale, e quindi sulla discussione e sul rapporto tra ambiente-territorio-società. Viene riproposta Isola Project Milano realizzata da Bert Theis nel 2003, una documentazione fotografia che mostra gli edifici della zona Garibaldi circondati da una folta e tropicale vegetazione; Fuori dal Vaso invece propone un laboratorio nel quale realizzare degli Ecobox giardini istantanei costruito con dei bancali, già sviluppato a Parigi dall'Atelier d'architecture autogérée, da poter utilizzare per creare un giardino provvisorio. 212Agli incontri-laboratori interviene Marta Ferreri (Milano, 1983), ricercatrice che si occupa di politiche dello spazio e di arte contemporanea come possibile azione politica e sociale. Collabora con Isola Art Center dal 2007. 213Il gruppo è composto da: Federica Annoni, Martina Antonioni, Zeynep Arinc, Valentina Brenna, Alessia Brizi, Naima Faraò, Jung Kyunghwa, Elena Mantoni, Maria Adele Molica, Pierfabrizio Paradiso, Martina Pelacchi, Camilla Pin, Claudia Sabbatini, Sara Saini, Daniela Silvestrin, Fernanda Uribe, Davide Zanutta. 214Vi prendono parte: Emanuela Ascari, Atelier d’architecture autogérée, Massimo Bartolini, Stefano Boccalini, Danilo Borelli, Fuori dal Vaso, out, Pierfabrizio Paradiso, Park Fiction, Public Works, Mirko Smerdel, Bert Theis. 215“Sassetti Cultura promuove iniziative e opere di giovani artisti sconosciuti, scoprendone talento e capacità soprattutto nei confronti di un pubblico curioso e assetato di novità. E' questo l'obiettivo dell'Associazione Sassetti Cultura, all'interno dello storico quartiere "Isola" di Milano, con l'intento di fornire spunti di riflessione e momenti di confronto sull'eredità culturale del Novecento. Sin da subito è stato impostato un approccio all'arte e alla cultura basato sulla proposta di mostre collettive basate sulla ricerca e la sperimentazione artistica” da <www.sassetticultura.it>. 106 III.6 Il progetto di Isola Pepe Verde Dopo l'abbattimento dell'edificio la Stecca abbiamo visto di come Isola art Center si sia adattata e sia riuscita a sviluppare la sua programmazione nella modalità di lavoro del 'museo disperso' inserendosi sempre più nel tessuto urbano; non è stato così per le altre associazioni e movimenti che si erano sviluppati e che, nell'allontanamento della possibilità di creare uno spazio autogestito e nella mancanza fisica dello stesso e di uno spazio verde pubblico da rivendicare hanno disperso le loro energie. Va sottolineato, infatti, che in conseguenza alla distruzione del 2007 vennero sottratti agli abitanti, e agli artisti che li utilizzavano come spazio per la sperimentazione, anche i due giardini presenti nel quartiere, ovvero quello in via Confalonieri e quello più piccolo in via De Castilla. Così un gruppo di cittadini dell'Isola insieme al Comitato I Mille, Associazione Genitori Confalonieri e alcuni attivisti di Isola Art Center, mossi dal desiderio di restituire uno spazio di verde pubblico agli abitanti si costituiscono nell'Associazione Isola Pepe Verde e individuano un'area dismessa, di proprietà del Demanio compresa tra via Borsieri e via Pepe, formata da un parcheggio, un ex-deposito di materiale edile, e un piccolo prato. Nel 2010 iniziano così la rivendicazione di questo spazio abbandonato e ritenuto strategico al fine del progetto proprio perché pienamente inserito nell'area del quartiere: accanto sono presenti due scuole, la parrocchia e la piazza principale. Vengono organizzati diversi eventi e azioni per le strade e le piazze del quartiere nelle quali interviene anche Isola Art Center con progetti specifici realizzati dagli artisti e dai collettivi come out e Fuori Dal Vaso già sopra citati; viene inoltre avanzata la richiesta al Comune per inserire il progetto di realizzazione di un giardino comune con un'osservazione al PGT (Piano di Governo del Territorio): Siamo un gruppo di abitanti del quartiere Isola, in procinto di formalizzare la costituzione di una Associazione. […] Da alcuni mesi stiamo riflettendo sulla ipotesi di trasformare l'area adiacente a Via Pepe, Via Borsieri, cavalcavia Bussa, meglio indicata nelle piante allegate, in un'area a Parco. […] Il parco in progetto nell'ambito dell'operazione immobiliare Porta Nuova, sarà vicino ma esterno al quartiere, separato da esso da numerosi grandi edifici e, soprattutto, disponibile non prima di altri 4 o 5 anni. Noi ci 107 proponiamo anche di seguire la realizzazione e la gestione del nuovo spazio verde, di promuoverlo nel quartiere e farlo diventare un momento di partecipazione e socialità 216. L'appello viene allegata una simulazione grafica della possibile configurazione dei giardini realizzata da out che ricorda la Stecca con i suoi giardini qui però viene aggiunto un campo sportivo, un'area gioco e l'edificio atto a divenire padiglione per l'arte contemporanea; la proposta viene respinta dal Comune ma approvata dal Consiglio di Zona, dove al punto 9 dal titolo Proposta di realizzazione di un'area verde nel quartiere Isola scrivono: le Commissioni “Per la Città Sostenibile” e “Per la Città dei Giovani e dei Bambini”, riunitesi congiuntamente il giorno 11 gennaio 2011, hanno considerato favorevolmente la richiesta dell’Associazione “Isola Pepe Verde” di trasformare l'area tra Via Pepe e Via Borsieri, all’altezza del Cavalcavia Bussa (cfr. planimetria allegata), in uno spazio verde di quartiere.[…] Le Commissioni riunite hanno approvato, a maggioranza, la richiesta di riqualificare a verde l’area e di coinvolgere i proponenti, i cittadini e il CDZ 9 nella ricerca della soluzione progettuale più rispondente alle esigenze del quartiere 217. Isola Pepe Verde, che nel frattempo si è costituita come associazione, inizia a organizzare feste ed eventi pubblici nello spazio oggetto della rivendicazione che attirano la visibilità mediatica e danno nuove energie al quartiere; tra questi la performance collettiva Seed Bombs ideata da Public Works218: bombe di semi per la nascita di vegetazione 'clandestina', si tratta di 'bombe' verdi fabbricate utilizzando materiale locale (come semi trovati sul posto) e utilizzate poi per un'azione simbolica rivolta alla diffusione di un verde spontaneo.Alcuni membri della Giunta Comunale di dimostrano disponibili al dialogo: l'Assessore all'Urbanistica Ada Lucia De Cesaris propone un contratto di comodato d'uso per l'area, con il sostegno dell'Assessore al Demanio Lucia Castellano. Isola Pepe Verde accetta la convenzione che viene approvata dalla Commissione Ambiente e decentramento del Consiglio di Zona 9 nel gennaio 2013. 216 Relazione descrittiva: oggetto e contenuti dell'osservazione, Osservazione per GPT, da <www.isolartcenter.org>. 217 Delibera del CDZ9 e Relazione della Commissione “Per la Città Sostenibile”, seduta consigliare del 27/01/2011. 218 Public Works è un gruppo no-profit con base a Londra che si definisce come “una pratica di arte e architettura all'interno e attraverso lo spazio pubblico”, il loro obiettivo è la produzione ed estensione dello spazio pubblico attraverso al collaborazione e la partecipazione. <www.publicworksgroup.net>. 108 III.7 Isola Art Center dal 2012 a oggi Nell'ottobre 2012 viene inaugurata la mostra Fight-Specific Isola219 in suddivisa negli spazi di Frigoriferi Milanesi, Libreria Isola Libri e Macao: si tratta della prima retrospettiva dedicata alla storia di Isola Art Center in chiave analitica di questa esperienza, dell'esperimento di alleanza tra arte e istanze attiviste configuratosi come uno spazio d'arte contemporanea, una community-based sviluppatasi in antagonismo, e la fine di contrastare, le trasformazioni urbanistiche e sociali imposte dalla governance finanziaria. La mostra viene articolata su diversi livelli di analisi del percorso di Isola Art Center: uno di natura documentaria derivato dall'archivio del Politecnico di Milano di Daniele Vitale affiancato dalle foto aeree realizzate da Stefano Topuntoli che mostrano l'evoluzione dell'assetto urbanistico della città a partire dagli anni Settanta; la parte legata all'attività e alla produzione artistica è simboleggiata da una serie di opere realizzate all'interno del quartiere e per il quartiere, mentre nell'ultima parte si evidenziano la nascita e gli sviluppi di Isola Pepe Verde, nata come esperienza di progettazione di uno spazio verde comunitario. Con quest'ultima continua una stretta collaborazione: nel 2013 viene presentata Occupare Orizzonti/Occupying Horizons, un'esposizione a cura di Camilla Pin e Bert Theis, una festa dedicata alla riconquista dello spazio verde da parte di Isola Pepe Verde nella quale Isola Art Center interviene con una serie di opere fightspecific: Jacopo Rinaldi riflette sui concetti di spazio pubblico e privato attraverso le luci dei nuovi grattacieli dell'orizzonte milanese mentre Chiara Balsamo immagine le sorti urbane della stessa città partendo dal plastico del progetto Porta Nuova elaborato da Hines; segue un'esposizione fotografica che sottolinea e mostra la trasformazione in atto nel quartiere realizzata dagli artisti Emil Andersson, 219 Vi partecipano: AAA (Atelier d’Architecture Autogérée), Paola Di Bello, Stefano Boccalini, Dafne Boggeri, Danilo Borelli, Emanuele Braga, Antonio Brizioli, Daria Carmi, Angelo Castucci, Loris Cecchini, Marco Colombaioni, Gabriele Di Matteo, Grupo Etcetera, Giuseppe Fanizza e Andrea Kunkl, Maddalena Fragnito, Elena Mantoni e Naima Faraò, David Michel Fayek, Kings, Fuori Dal Vaso, Valentina Maggi, outOffice for Urban Transformation, Luca Pancrazzi, Maria Papadimitriou, Park Fiction, Pierfabrizio Paradiso, Camilla Pin, Edith Poirier, Rha Ze, Andrea Sala, Mariette Schiltz, Marco Scotini, Mirko Smerdel, Bert Theis, Stefano Topuntoli, Elvira Vannini, Daniele Vitale, Fani Zguro. 109 Stefano Serretta, Marco Ornella, Daniele Rossi, Camilla Topuntoli, Leah Messersmith. Negli ultimi anni il lavoro di Isola Art Center diventa sempre più internazionale, supera i confini del quartiere e nazionali facendo conoscere la sua pratica istituente diffusa e 'no-budget' all'estero, al fine di proporsi come un possibile di metodo di codificazione di un'arte fight-specific adattabile ad altri contesti di mobilitazioni urbane locali; 1:1 Stopover220 è un laboratorio-mostra che ha luogo al Museum of Contemporary Art Metelkova (+MSUM) di Ljubljana, all'interno del quale vengono ripercorsi i 13 anni del lavoro di Isola Art Center attraverso la presentazione della pubblicazione “Fight-Specific Isola” e altri lavori prodotti collettivamente dal gruppo negli anni; segue Ongoing Fight-Specific Isola221 nel gennaio 2014 ospitato da S.a.L.E. (Signs And Lyrics Emporium) Docks222 di Venezia, uno spazio indipendente dedicato alle arti visive nato nel 2007 occupando I Magazzini del Sale, spazio in disuso nel cuore dell'isola. Condividono, infatti, con Isola Art Center, l'idea di « una ricerca artistica che si fa risposta concreta alla costante pressione esercitata dalle politiche neoliberiste e dai fenomeni di gentrificazione, dall’altro vuole essere un momento di riflessione e di confronto tra due realtà territorialmente differenti che riescono a esprimere un modus operandi comune»223. Nel giugno 2014 ha luogo The Indipendent presso il museo MAXXI di Roma, un progetto dedicato alla promozione e presentazione di quei gruppi indipendenti di 220 Mostra curata da Bert Theis e Camilla Pin. Vi partecipano: Antonio Brizioli, Tania Bruguera, Angelo Castucci, Edna Gee, Grupo Etcetera, Maddalena Fragnito, out-Office for Urban Transformation, Maria Papadimitriou, Dan Perjovschi, Steve Piccolo, Camilla Pin, Edith Poirier, Christoph Schäfer, Mariette Schiltz, Sašo Sedlaček, Bert Theis, Camilla Topuntoli, Nikola Uzunovski, Daniele Rossi, Wei-Ning Yang. 221A cura di Valeria Mancinelli e Camilla Pin. Vi prendono parte: Emanuel Balbinot, Dafne Boggeri, Emanuele Braga, Antonio Brizioli, Tania Bruguera, Angelo Castucci, Walter Donaldson, Naima Faraò, Giuseppe Fanizza, Maddalena Fragnito, Igor Francia, Fuori Dal Vaso, Edna Gee, Isola Art's Club Band, KINGS, Andrea Kunkl, Valeria Muledda, Denis C. Novello, Walter Novello, Vincenzo Onida, out, Maria Papadimitriou, Dan Perjovschi, Steve Piccolo, Edith Poirier, Rhaze, Daniele Rossi, Gak Sato, Christoph Schäfer, Mariette Schiltz, Mirko Smerdel, Bert Theis, Camilla Topuntoli, Stefano Topuntoli, Flora Vannini, Daniele Vitale, Wei-Ning Yang 222«Ci siamo riappropriati di uno spazio (i Magazzini del Sale) da tempo in disuso nel cuore di Venezia. Lo abbiamo fatto perché vogliamo rovesciare quei processi che privatizzano il bene comune artistico e lo abbiamo fatto partendo da alcune domande. Perché a grandi capitali investiti nella cultura corrisponde una precarietà endemica? Perché ad una radicalità sempre più spesso rappresentata non consegue alcuna trasformazione reale? Perché arte, finanza e rendita immobiliare sono così fortemente intrecciate? Il S.a.L.E. è un laboratorio aperto di produzione culturale e inchiesta. Il S.a.L.E. è fatto da lavoratori dell’arte e dello spettacolo, da artisti e studenti. Il nostro programma (mostre, laboratori, spettacoli,pubblicazioni, seminari, occupazioni e azioni dirette) è in continua evoluzione.». Dalla pagina <www.saledocks.org>. 223Dal comunicato stampa della mostra Ongoing Fight-Specific Isola consultabile integralmente su <www.isolartcenter.org>. 110 sperimentazione contemporanea distribuiti sul territorio nazionale e internazionale, ideato da Hou Hanru, Giulia Ferracci e Elena Motisi. In questa prima tappa viene ospitato il lavoro CURA224, un progetto curatoriale con base a Roma, Dreams That Money Can’t Buy, e una panoramica dei lavori di Isola Art Center su una grande parete nella hall del museo, che vedono le fotografia di Paola Di Bello che presenta lo spazio di Isola Pepe Verde, le serigrafie Lab Fight-Specific Isola e i video Isola, Lab Fight-Specific Isola e Slideshow Isola, che raccontano le fasi della 'lottaspecifica' e i cambiamenti urbanistici del quartiere tra il 1986 e il 2011. Nell'estate prende vita Isola Utopia (Frammenti e momenti per nuove utopie Mostre, voli, presentazioni, dibattiti, performance e musica), un progetto presentato da Isola Art Center con la collaborazione di Creative Olive, a San Mauro Cilento (Salerno): una mostra itinerante sviluppato in una serie di laboratori, incontri, mostre, che gioca sul termine di utopia, dal greco “ou-topos” vale a dire 'in nessun luogo' , con un richiamo al contesto particolare in cui opera Isola Art Center (del museo diffuso, itinerante), Gerald Raunig scrive per l'occasione: Allo stesso tempo, l'utopia come tempo ora ci suggerisce di pensare al non asservimento in una concezione nuova e meccanica. Non asservimento meccanico, non compiacenza. Una mostruosità selvaggia contraria all'asservimento, che non emerge in forma di rottura eroica con un tempo pieno, provvista di caratteristiche limitate e una forma bella, ma piuttosto come una perdurante, ripetuta e ricorrente breccia nella sovrabbondanza del tempo misurabile e incommensurabile. Questa è la questione della disobbedienza nel capitalismo meccanico225. Segue la presentazione dello stesso progetto al Survival Kit International Contemporary Art Festival di Riga, accompagnata dal dibattito Urban Utopia: Art and Culture as a Tool for Exploring and Researching a City a cui partecipa Bert Theis, e infine al Palazzo della Secessione di Vienna con il titolo Utopian Pulse224«CURA. Fondato nel 2009 da Ilaria Marotta e Andrea Baccin, CURA. è una piattaforma mobile e propulsiva, dedicata allo scambio e al dialogo tra voci critiche, attività di produzione artistica contemporanea e alla collaborazione con realtà istituzionali e indipendenti. Le sezioni dedicate agli approcci curatoriali e all’esplorazione delle pratiche artistiche, sono le sfaccettature di un unico e organico progetto di ricerca, condotto attraverso le pagine della rivista e sviluppato anche in altri contesti. Le attività curatoriali caratterizzate dal nomadismo dei progetti e alternate alle mostre nel basement di cura., si presentano come lo sviluppo concreto dei contenuti elaborati in campo editoriale nonché di una visione più ampia, che si avvale di una pluralità di supporti». 225RAUNIG G., Utopia is now/L'utpia è ora, 2014. Testo scritto per Isola Utopia. Consultabile integralmente su <www.isolartcenter.org>. 111 Flares in the Darkroom. L' ultima mostra che ha visto nel 2014 Isola Art Center protagonista è LOS TRABAJADORES DE LA LUNA / I Lavoratori della Luna 226 tenutasi al MAC, Museo de Arte Contemporaneo Facultad de Artes di Santiago del Cile: un progetto internazionale a cura del Grupo Etcetera che ha coinvolto una trentina di artisti provenienti da dieci paesi, incentrata sui processi contemporanei messi in atto oggi per quanto riguarda l'appropriazione e lo sfruttamento delle risorse naturali in relazione ai cambiamenti politici e culturali all'interno della nuova economia globale. 226Il titolo fa riferimento ai protagonisti delle onde migratorie che si sono verificati nel nord del Cile alla fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo. 112 Bibliografia AA.VV., La pratica politica. Il sistema dell'arte e il tessuto sociale, Cooptip, Modena, 1979. AA.VV., Cantieri dell'arte, Silvana editoriale, Milano, 2004. AA.VV., Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012. AA.VV., No order. Art in a post-fordist society, n.1, Archive Books, Milano, 2010. AA.VV., Playgrounds. Reinventar la plaza, catalogo dell'esposizione al Museo Reina Sofia, Ediciones Siruela, Madrid, 2014. ACCONCI V., Making Public: The Writing and Reading of Public Space, New York, 1993. AUGE' M., Che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo, Elèuthera, Milano, 2009. AUGE' M., Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino, 2004. ALMEONI P., SABATTINI BASSINI P., SISTI R., Osservatorio in Opera. Bollettino multimano, Edizioni Nuovi Strumenti, Travagliato, 2007. BARGNA I., Sull’arte come pratica etnografica. Il caso di Alterazioni Video, in Molimo, Quaderni di Antropologia culturale ed Etnomusicologia, CUEM Soc. Coop, 2009. BARZEL A., Arte e industria. L'esperienza Textile Produkte per l'arte contemporanea, Marcos y Marcos, Milano, 1996. BECKER HOWARD S., I mondi dell'arte, Il Mulino, Bologna, 2004. BELLINI R., Anni '90 arte a Milano, Abitare Segesta Cataloghi, Milano, 1995. BENJAMIN W., L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Milano, 2000. BIRROZZI C. e PUGLIESE M., L'arte pubblica nello spazio urbano. Committenti, artisti, fruitori. Bruno Mondadori, Milano, 2007. BOERI S., LANZANI A.,Il territorio che cambia. Ambienti, paesaggi e immagini della regione milanese, Abitare Segesta, Milano, 1993. 113 BORRI D., Lessico Urbanistico, Dedalo, Bari, 1985. BOURRIAUD N., Estetica relazionale, Postmedia books, Milano, 2010. BÜRGER P., Teoria dell'avangurdia, a cura di Riccardo Ruschi, Torino, Bollati Boringhieri, 1990. CALVINO I., Le città invisibili (1972), in Romanzi e racconti, Vol.II, Mondadori, Milano, 1992. CARAMEL L., Arte in Italia negli anni '70. Verso i settanta (1968-19070), Edizioni Charta, Milano, 1996. CASTELLANO G., Diari in attesa, nuove geografie urbane: garibaldi-isolavaresine. Milano parte prima. Officina Libraria, Milano, 2008. CIAVOLIELLO G., Dagli anni 80 in poi: il mondo dell'arte contemporanea in Italia, catalogo della mostra al museo di arte contemporanea al Castello di Rivoli, Artshow edizioni- Juliet editrice, Torino, 2005. CIONI C., I Rassegna Gruppi Autogestiti in Italia, Edizione Il Moro, Firenze, 1980. CORCHIA L., La teoria della socializzazione di Jürgen Habermas, Edizioni ETS, Pisa, 2009. CORONAS G., (a cura di) La riqualificazione sostenibile dei contesti urbani metropolitani. Settori strategici per lo sviluppo sostenibile: implicazioni occupazionali e formative, ISFOL, Roma, 2013. CREMASCHI M. (a cura di), Tracce di quartieri. Il legame sociale nella città che cambia, Francoangeli, Milano, 2008. CRISPOLTI E., Arti visive e partecipazione sociale, De Donato, Bari, 1977. CRISPOLTI E., L'ambiente come sociale in AA.VV., La Biennale di Venezia 1976, Ambiente, partecipazione, strutture culturali, catalogo generale, Edizioni la Biennale di Venezia, Venezia, 1976. DAMUS M., L'arte del Neocapitalismo, Biblioteca di cultura Moderna Laterza, Roma, 1979. DEBORD G., La società dello spettacolo, SugarCo, Milano, 1990. DE CERTEAU M., L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2005. 114 DE DOMIZIO DURINI L., Il cappello di Feltro. Joseph Beuys. Una vita raccontata, Carte Segrete, Roma, 1991. DELUZE G., GUATTARI F., Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Cooper Castelvecchi, Roma, 2003. DETHERIDGE A., Scultori della globalizzazione, Einaudi, Trento, 2012. speranza. L'arte nel contesto della DEUTSCHE R., Evictions: art and spatial politics, the Mit Press, Cambridge (Mass), 1996. DIAPPI L., Rigenerazione urbana e ricambio sociale. Gentrification in atto nei quartieri storici italiani, Franco Angeli,Milano, 2009. DI MARZIO M., Inpressione. Artisti contemporanei nella memoria industriale, Cristina Marinotti Edizioni, Milano, 2001. DI MAURO E., TORRI M.G., CIRONE E., Ge.mi.to. L'ultima generazione artistica del triangolo industriale, Fabbri Editori, Milano, 1988. FABBRI M., GRECO A., L'arte nella città, Bollati Bordigheri, Torino, 1995. FEDI F., Collettivi e gruppi artistici a Milano. Ideologie e percorsi 1968-1985, Edizioni Endas, Milano, 1986. FLORIDA R., L'ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Mondadori, Milano, 2003. FOSTER H., KRAUSS R., BOIS-YVE Y. A., BUCHLOH B. H. D., Arte dal 1900: modernismo, antimodernismo, postmodernismo, trad. it. Elio Grazioli, Zanichelli, Bologna, 2006. FOUCAULT M., Eterotopia, a cura di S. Vaccaro, T. Villani e P. Tripodi, Mimesis, Milano, 2010. FOUCAULT M., Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976. HARVEY D., Città ribelli, Il Saggiatore, Cremona, 2013. INTI I., CANTALUPPI G., PERSICHINO M., Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono, in Italia, Altreconomia edizioni, Milano, 2014. KLEIN N., No Logo, Baldini & Castoldi, Varese, 2001. 115 LACY S., Mapping the Terrain. New Genre Public Art, Bay Press, Seattle, 1995. LEFEBVRE H., Il diritto alla città, Marsilio Editori, Padova, 1968. LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976. LEGATES, R., HARTMAN, C., The Anatomy of Displacement in the United States, in Smith, N. and Williams, P. ,Gentrification of the City , Routledge, Boston, 1986. LEXTRAIT F., Une nouvelle époque de l'action culturelle. Rapport à Michel Duffour, Marsiglia, 2001. LIPPOLIS L., Viaggio al termine della città. Le metropoli e le arti nell'autunno del postmoderno (1972-2001), Elèuthera, Milano, 2009. LYNCH K., L'immagine della città, Marsilio Editori, Padova, 1969. MARUSE P., Abandonment, Gentrification and Displacement. The Linkages in New York City, London, 1986. MATZNER F., Public Art, Hatje Cantz Publisher, Monaco, 2004. MELLO P., Metamorfosi dello spazio. Annotazioni sul divenire metropolitano, Bollati Boringhieri, Torino, 2002. MENEGUZZO M., Due o tre cose che so di loro. Dall'euforia alla crisi: giovani artisti a Milano negli anni Ottanta, catalogo della mostra al PAC, Electa, Milano 1998. MIWON K., One place after another. Site-specific art and locational identity, MIT Press Edition, Massachusetts, 2004. O'DOHERTY B., Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo (traduzione italiana di I. Inserra e M. Mancini), Johan and Levi editore, Milano, 2012. PARK E.R.,BURGESS W.E., McKENZIE D.R., La città, Edizioni di comunità, Treviso, 1999. PERELLI L., Public Art. Arte, interazione e progetto urbano, Franco Angeli, Milano, 2006. PIETROMARCHI B. a cura di, Il luogo (non)comune. Arte, spazio pubblico ed estetica urbana in Europa, Fondazione Adriano Olivetti, 2005. 116 QUATTRONE R., Modernità e campo dell'arte. Per una sociologia critica dell'arte contemporanea italiana, Lampi di stampa, Milano, 2010. RAUNIG G., Art and Revolution. Trasversal Activism in the long Twentieth Century, Semiotext(e), Los Angeles, 2007. RIOUT D., L'arte del ventesimo secolo, Protagonisti, temi, correnti, Einaudi editor, Torino, 2002. SASSEN S., Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all'età globale, Bruno Mondadori, Milano, 2008. SASSEN S., Le città nell'economia globale, il Mulino, Bologna, 1997. SAVAGE M., WARDE A., Urban sociology Capitalism and Modernity, MacMillan, London, 1993. SCARDI G., Paesaggio con figura. Arte, sfera pubblica e trasformazione sociale, Umberto Allemandi & C., Torino, 2011. SCOTINI M., Networking city-la città della gente, m&m-maschietto&editore, Firenze, 2003. SCOTINI M., The people's Choice, catalogo della mostra, Isola Art Center, Milano, 2006. SIMMEL G., Individuo e gruppo, Armando Editore, 2006. SIMMEL G., Ventura e sventura della modernità, a cura di Alfieri Pasquale ed Enzo Rutigliano, Bollati Boringheri, Torino, 2003. SMITH N., La gentrification généralizée: d'une anomalie locale à la “régénération” urbaine comme stratégie urbaine globale, Descartes &Cie, Parigi, 2003. TORRES M., Nuovi modelli di città. Agglomerazioni, infrastrutture, luoghi centrali e pianificazione urbanistica, Franco Angeli, Milano, 2004. TROMBETTA L., La Casa degli artisti, Cronistoria dal 1978 al 2003, Edizioni per l'arte, Milano, 2003. ZUKIN S., L'altra New York. Alla ricerca della metropoli autentica, Il Mulino, Bologna, 2013. 117 Articoli BARILLI R., Designer re-designer, in “Ars”, anno V, n.7, Milano, luglio 2001. BERTASI N., Isola Art Center non ha più una sede, in “Il Manifesto”, 3 maggio 2007. BERTASI N., La stecca degli artisti a rischio di estinzione, in “Il Manifesto”, 20 febbraio 2007. BIRAGHI M., Il grande gioco dei grattacieli, pubblicato su <www.gizmoweb.org>, 10 novembre 2014. CIAVOLIELLO G., Aformali, mobili, ottobre/novembre 1990, pp.101-103. coinvolti, in “Flash Art”, n.158 CIAVOLIELLO G., Brown Boveri, in “Falsh Art”,n.158, 1990, pp.60-61. CIPRIANI A., Milano allagata: che strano che il Bosco Verticale non assorbe la pioggia, su <www.peopleglobalist.it.>, 18 novembre 2014. COGNETTI F., In forma di evento. La città e il quartiere Isola fra temporaneità e progetto, in Territorio 19, 2001. COMETTI J.P., Que signifie la «fin des avant-gardes»?, in Rue Descartes, n.69, 2010/3, pp. 98-107. CORBOZ A., L'ipercittà, in Urbanistica, n. 103, 1995. ESCHE C., Destroy de Museum in “Kaleidoscope”, anno 3, Numero 10, primavera 2011. GHEZZI M., I residenti: un progetto per l'Isola. Vogliamo parco nell'area degradata, in “Corriere della Sera”, 21 maggio 2011. LAZZARATO M., Dopo la fine della rappresentanza. Disobbedienza e processi di soggettivazione, in “Alfabeta2”, n.25, dicembre 2012. MARUCCI L., Forme di Artivismo, in “Juliet art magazine”, n.164, ottobrenovembre 2013. MUNARI B., Dall'individualismo al collettivismo, in “Arte Centro 75”, aprilegiugno. 118 PASÉRO R., Fra le macerie spunta l'immaginazione, in “Il Giornale”, 31 maggio 1985. PHILLIPS P.C., Out of Order: the Public Art Machine, in “Artforum”, dicembre 1988. RAUNING G., Utopia <www.isolartcenter.org>. is now/L'utpia è ora, 2014, pubblicato su SCOTINI M., Per una geografia minore, Pratiche artistiche e spazi di democrazia, pubblicato in <www.undo.net>. SELVELLI L.M., Rappresentare l'Isola. Archeologia di un centro per l'arte, pubblicato in <www.transform.eipcp.net>. SENALDI M., L'isola che non c'è (più), in “Exibart”, giugno-luglio 2007. Sapessi com’è strano, costruire un centro d’arte contemporanea a Milano, in “Artribune”, 24 agosto 2012. Stecca Artigiani. Inaugurato l'incubatore per l'arte al quartiere Isola, pubblicato in <www.comune.milano.it>, 20 ottobre 2014. VANNI F., Un parco in mezzo ai grattacieli ecco il sogno del quartiere Isola, in “La Repubblica” 28 novembre 2011. VETTESE A., Via Lazzaro Palazzi, in “Flash Art”, 1989. VILLANI T., Milan. Conflicts autour de la requalification du quartier Isola Garibaldi, in “Urbanisme” n.358, gennaio-febbraio 2008, pp 36-42. ZANDERIGO A., Condensatore culturale, in “Domus”n.967, www.domusweb.it, 2013. Video SCHILTZ M.,. Isola Nostra, Produzione Isola Art Center e Forum Isola, durata 59 min, 2007. PASOLINI P.P., La forma della città, video Rai, durata 15 min, 1973. 119 Sitografia www.comune.milano.it www.domusweb.it www.gizmoweb.org www.gruppoa12.org www.hines.com www.isolartcenter.org www.lastecca.org www.macaomilano.org www.millepiani.org www.parkfiction.org www.peopleglobalist.it www.porta-nuova.com www.puntorosso.it www.sassetticultura.it www.stefanoboccalini.it www.stefanoboeri.net www.temporiuso.org www.undo.net www.versolagrandebrera.it. www.viafarini.org 120 Appendice Quartiere Isola Milano: progetto Porta Nuova Progetto vincitore del concorso, Pierluigi Nicolin, planimetria generale, 1991 121 La Stecca degli Artigiani 122 Gruppi e collettivi a Milano negli anni '60-'70 Collettivo dei Pittori di Porta Ticinese Articolo ne "Il Giorno", 5 febbraio 1976 123 Murale in via De Castilla, 1976 Murale in via De Castilla, 1976 124 L'occupazione della Brown Boveri nel 1984 Targa all'ingresso dell'ex-fabbrica Brown Boveri, 1984 Interno dell'ex-fabbrica, 1984 125 Locandina-invito per l'inaugurazione Brown Boveri, 18-19 maggio 1985 126 Francesco Gabelli, 'Altare', 1985 Cosimo Barna, 'Vibrazioni oltre lo spazio', 1985 127 Isola Art Project La strada rovescia la città, 2001 Bert Theis, Untitled/Untitled, giardini di Via Confalonieri, 2001 Gruppo A12, Tracce, 2001 128 Stefano Boccalini, Sleepy Island, 2001 129 Out ( Office for Urban Transformation) Proposta di Out per il quartiere Isola Proposta per la Stecca degli Artigiani, Out 130 Le mille e una notte, 2003 Le Mille e una notte, mappa delle opere 131 'Isola' sul tetto della Stecca degli Artigiani DE-ABC, 'L'Acchiapparumori', 2003 132 L'Arte per l'Isola, 2004 Marco Vaglieri, Arte per l'Isola, 2004 Arte per l'Isola, 2004 133 Isola Art Center, 2005 Art-chitecture of change Logo di Isola art Center Art-chitecture of change, aprile 2005 134 The People's Choice/ La scelta della Gente, 2006 Oliver Ressler, 'Economie alternative, società alternative', 2006 Luca Pozzi, 'Save 100x100.lp', 2006 135 Maria Papadimitriou, 'Hotel Isola' 136 Kings, 'New Museum', Stecca degli Artigiani, 2006 Kings, 'New Museum',Stecca degli Artigiani, 2006 137 situazionIsola. A new Urbanism, 2007 Urban Blooz Project, 'Interférences', 2007 Tomas Saraceno, 'Think global, act local!', 2007 138 L'abbattimento della Stecca degli Artigiani, 2007 Dal video di Mariette Schiltz, 'Isola nostra', 59'min, 2007 139 Isola Rosta Project 2007 Marco Vaglieri, Isola Rosta Project, 2007 140 King, 'Permanent Green', 2008 141 Marco Vaglieri, 'Permanent Green', 2008 142 Osservetorio inOpera, 'Permanent Green', 2008 143 Peter Kogler, 'Permanent Green', 2008 144 Horror Vacui, Occupare il presente, 2010 Locandina di Horror Vacui, Occupare il Presente di Lorenzo Tamai e Maria Pecchioli. 145 Mirko Smerdel, 'I vostri grattacieli', 2010 146 Maria Pecchioli, 'Milanodaricordare', 2010 147 Maddalena Fragnito, 'SGentrification', disegno su carta, 2011 148 Maddalena Fragnito, 'SGentrification', 2011 149 Maddalena Fragnito, 'Sgentrification', disegno su carta, 2011 150 Occupare orizzonti, 2013 Occupare Orizzonti, Nikola Uzunovski con Isola Art Center per Apriti Isola Pepe Verde, 2013 Edna Gee, 'Unclaimed Grass', 2013 151 Isola Art Center, 2014 Foto e opere per gentile concessione di Isola Art Center. 152 Ringraziamenti L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. Italo Calvino, Le città invisibili. 153