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Processo ed esecuzione di
don Giuseppe Borea
Il progetto si propone di realizzare un ipertesto da porre
in rete sulla figura di don Giuseppe Borea sacerdote
piacentino fucilato durante la seconda guerra mondiale
ed evidenziare meccanismi della propaganda e la
relazione con il problema del male nel 900.
Don Giuseppe Borea
• Nato a Piacenza il 4 luglio 1910 da Paolo Borea e Isoletta
Scala, fucilato il 9 febbraio 1945, cappellano partigiano
della Divisione partigiana "Val d’Arda", comandata dal
colonnello Giuseppe Prati.
• Nel 1937, a soli 26 anni, fu chiamato a reggere la
parrocchia di Obolo piccola frazione sui monti del comune
di Gropparello.
• Nel 1942 arrestato per antifascismo e deferito al Tribunale
speciale. La caduta di Mussolini gli evitò il processo e gli
valse la liberazione.
• Arrestato dai fascisti il 28 gennaio 1945, don Borea fu
condannato a morte e fucilato la sera del 9 febbraio 1945
Pastore zelante
• Innamorato dei suoi monti ed amico leale e generoso di
tutti, iniziò subito il suo servizio pastorale prodigandosi
con entusiasmo a promuovere l’elevazione spiritualeculturale e sociale dei suoi parrocchiani.
• Infuse nuovo vigore alle varie associazioni cattoliche,
restaurò con gusto artistico la graziosa chiesina, il
cimitero e la canonica, formò dal nulla una corale di
elevato livello artistico e ottenne la luce elettrica per
tutte le case, dando egli stesso l’esempio del contributo
manuale nella costruzione della linea elettrica.
• Sotto la sua guida, la piccola comunità di Obolo esplose
in una fioritura così feconda di opere che si impose in
breve all’attenzione delle parrocchie circostanti e agli
elogi dei superiori.
Il suo amore verso i sofferenti
• Durante la guerra …
Sarebbe errato pensare che egli limitasse la sua
presenza soltanto nel campo strettamente
religioso: si prestava generosamente in tutti quei
settori in cui ci fosse da compiere un po’ di bene a
favore di chiunque.
• Sembrava avesse il dono dell’ubicazione perché
la sua figura slanciata e dinamica di camminatore
instancabile appariva dappertutto: al cambio dei
prigionieri, a trattare con il comando tedesco ed in
tutte quelle case dove ci fosse un aiuto da
prestare, una notizia da recapitare, un conforto da
dare.
Né fazioso né fanatico
• Si sentiva prima di tutto un pastore di anime, non
riservava le sue cure soltanto ai partigiani, ma si
interessava anche di quegli altri che militavano in
campo opposto e anche per questi nutriva profondi
sentimenti di umanità e paternità cristiana.
• Racchiusi in piccole prigioni di fortuna, dislocate nei
vari dintorni di Parato barbieri, sono debitori a lui se
hanno ottenuto dai loro carcerieri un trattamento
meno severo e qualcuno di essi deve addirittura la
propria salvezza al suo interessamento.
• Quando gli era impossibile ottenere che si
sospendessero le condanne a morte, cercava di
rendere meno penosa la loro fine prematura e
violenta con il conforto della sua assistenza
sacerdotale e fraterna.
L’arresto
• il 28 gennaio 1945. Una pattuglia di militi era giunta da Piacenza a
Parto Barbieri con l'ordine di catturare il Cappellano don Borea.
Stava rifocillandosi nell'osteria e si compiacevano della criminale
missione che stavano compiendo, quando una giovane, che aveva
ascoltato quei discorsi, intuito il grave pericolo che incombeva sul
parroco, sgattaiolò inosservata tra i soldati e si diresse da Don
Borea per avvertirlo di mettersi in salvo. Lo mise al corrente della
situazione. Don Giuseppe si infuriò, protestando che non aveva
fatto nulla di male e che quindi non aveva nulla da temere. Per
questo andò incontro ai militari che venivano per catturarlo. La
fanciulla gli si gettò ai piedi e gli afferrò le gambe nel tentativo di
immobilizzarlo, ma egli si svincolò. Fu subito arrestato e trasferito
alle carceri di Piacenza.
La difesa
Un processo prefabbricato
• Racconta Mons. Francesco Castignetti, che fu incaricato dall'autorità
ecclesiastica di intervenire preso i centri di potere di Piacenza perchè si
procedesse contro di lui con equità, comprensione e moderazione.
Bruciando le tappe perchè il tempo stringeva, affrontò per primo il
Questore che stava costruendo l'istruttoria e gli ricordò con dignitosa
fermezza:
• 1. che si dovevano appurare i fatti a lui imputati con oculatezza,
discernimento e precisione;
• 2. che si tenesse conto dello stato di esaurimento e di depressione
psichica di cui don Borea soffriva da tempo e che costitutiva un grande
motivo per le attenuanti;
• 3. che don Boera era suddito anche dell'Autorità ecclesiastica e che in
proposito il Concordato stabiliva procedure speciali che andavano
rispettate.
L’accusa
• Accusato di avere vestito la divisa da
partigiano
• Accusato di avere infierito sui prigionieri
• Accusato di immoralità (avere usato
violenza carnale alla sorella)
Tutte le accuse si dimostrarono false e caddero immediatamente. L’unica che don Borea
non negò è quella di avere vestito la divisa da partigiano
Numerose sono le testimonianze dei prigionieri che dichiararono di essere stati trattati con
misericordia e spirito cristiano
Riguardo all’accusa di violenza carnale, si fa presente che la stessa sorella interpellata da
Mons. Castignetti negò decisamente e gli consegnò una deposizione scritta in cui
dichiarava di non essere mai stata interpellata dall’accusa e di non aver depositato
testimonianze davanti al questore
Una sorte già segnata
• Dopo aver concesso in un primo momento di
accogliere testimoni a discolpa l’inchiesta viene
chiusa dal questore negando questa possibilità
• Non vengono accolti gli avvocati difensori ma
viene nominato un avvocato d’ufficio il maggiore
della Milizia dott. Ambrogio Ginanneschi
Una sorte già segnata
• L’avvocato d’ufficio si rende conto della falsità delle
accuse e prova una difesa accalorata che gli
procurerà l’epulsione dal partito
• DON BOREA DOVEVA SERVIRE DA MONITO
CONTRO TUTTO IL CLERO PIACENTINO.
La richiesta di Grazia
• La condanna a morte appare scontata. Al processo
cade solo l’accusa di immoralità si decide allora di
giocare l’ultima carta: la richiesta di grazia.
• Arrivata la richiesta al Comando di Alessandria, il
generale De Logu si rifiutò di farla pervenire a
Mussolini per l’alta probabilità che l’avrebbe
accettata.
La fucilazione
Nella consapevolezza della sua innocenza, don
Borea, dopo aver ricevuto la visita della madre, il
giorno 9 Febbraio alle ore 17, viene condotto al
Cimitero di Piacenza per essere fucilato
Il testamento
• Muoio innocente, perdono tutti, pregherò per voi
in paradiso. “Viva Gesù, Viva Maria”
• «lascio il mio cuore alla mia carissima parrocchia
... volentieri perdono a tutti e passerò il paradiso a
compiere quel bene che non ho potuto fare sulla
terra ... il mio ultimo pensiero è per la mia
parrocchia di Obolo, dove desidero essere
sepolto. Viva Gesù! Viva Maria!»
1973 – Medaglia d’argento al
valor militare
“Dopo l’8 settembre 1943, sosteneva e
propagandava il movimento di resistenza,
dimostrandosi strenuo assertore degli
ideali di libertà, di democrazia e di
indipendenza della patria e profondendo l
sua opera nell’assistenza morale e
materiale dei partigiani e dei nemici
prigionieri.”
Ringraziamenti e Documenti
Un ringraziamento particolare per questo lavoro
va a Umberto Ciani che ci ha aiuto a fare questa
ricerca su don Borea fornendoci la
documentazione raccolta da Carlo Borea, fratello
del sacerdote piacentino così barbaramente
trucidato. Tale documentazione trova riscontro
anche con i documenti ufficiali che la Curia ci ha
consentito di consultare e che saranno oggetto di
successiva pubblicazione. Il giornale diocesano
“Nuovo giornale” ci ha fornito tutti gli articoli su
don Borea pubblicati da don Mario Bianchi
testimone oculare di quei tragici eventi. La
biblioteca Passerini Landi inoltre ha fornito altri
documenti importanti documenti.
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