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adhd - Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del
ADHD: Disturbo Da
Deficit Di Attenzione
E Iperattività
Biologia dei Processi Cognitivi
CFU a Scelta
Dr.ssa Alessia Rizzuto
[email protected]
08713555351
“Sono alcuni di quei bambini che troviamo alle feste dei
nostri figli, nei bus o sul treno, nelle scuole o per la
strada e che si mostrano continuamente agitati, in
continuo movimento, che non riescono a stare mai fermi,
che si dimenano continuamente e che i genitori trovano
grande difficoltà a tenere buoni. Quando poi iniziano a
frequentare la scuola, sono quei bambini che le insegnanti
non vorrebbero mai tenere: si alzano continuamente dal
loro posto, danno fastidio ai compagni, non riescono a
svolgere i compiti loro assegnati e finiscono spesso per
cambiare banco, classe e talvolta scuola. Il loro profitto
scolastico proprio per la ridotta capacità di
concentrazione è spesso scarso o comunque sufficiente e
difficile è il loro rapporto con i coetanei, ma anche con gli
adulti per la grande impulsività”.
(AIFA, Associazione Italiana Famiglie ADHD)
Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività (DDAI)
•Disturbo evolutivo dell’autocontrollo
•Eziologia di carattere neurobiologico
•Interferisce con il normale sviluppo psicologico del bambino
ostacolando lo svolgimento delle comuni attività quotidiane
ADHD:

Difficoltà di Attenzione e Concentrazione

Difficoltà nel controllo degli impulsi e del livello
di attività
Bambini ADHD presentano le seguenti difficoltà:

Controllo degli impulsi

Posticipo delle gratificazioni

Riflettere prima di agire

Aspettare il proprio turno

Svolgere ordinatamente giochi organizzati in cui vi sia uno scopo da
raggiungere con una sequenza articolata di azioni
Difficoltà a relazionarsi con gli altri
Problemi scolastici
Rimproveri da parte delle figure di riferimento (genitoriinsegnanti)
Senso di inadeguatezza percepito dai frequenti insuccessi
Scarsa autostima e demotivazione
Aumento delle difficoltà
Cenni Storici
ADHD: fu identificato per la prima volta agli inizi del 1900
anche se non era ancora chiamato così.
Dopo la 1° Guerra Mondiale, i ricercatori notarono che i
bambini che avevano contratto l’encefalite mostravano
un’alta incidenza di iperattività, impulsività e disturbi della
condotta.
‘40: militari che avevano subito danni al cervello furono
trovati affetti da disturbi comportamentali. Sembrava
abbastanza probabile che alcuni tipi di lesione provocassero
iperattività. Altre forme di danni cerebrali furono identificate
come cause di iperattività (esposizione al piombo,
intossicazione fetale da droghe o alcool).
Dopo che in alcuni pazienti il danno cerebrale accertato
venne considerato causa di iperattività, i ricercatori
supposero che quest’ultima fosse sempre causata da danni
cerebrali, anche quando di essi non vi era traccia. Questo
spiega perché un tempo l’ADHD fosse chiamato
“disfunzione cerebrale minima”.
È proprio in virtù di questa associazione fra danni cerebrali e
iperattività che le caratteristiche dell’ADHD sono tuttora
ritenute da molti conseguenza di un disturbo organico del
SNC.
DSM III (1980): trovarono collocazione i bambini con
problemi di attenzione e iperattività, nella sezione “Disturbo
da deficit dell’attenzione con o senza iperattività”.
Venivano messi in risalto i deficit cognitivi rispetto a quelli
comportamentali.
DSM-IV (APA, 1994)

Deficit di attenzione

Impulsività/Iperattività
L’Attenzione
Van Zomeren e Brouwer (1994), allo scopo di classificare i
disturbi attenzionali e gli strumenti per la loro valutazione, hanno
proposto un modello funzionale multicomponenziale che si basa
su due dimensioni principali:
•Temporale (intensità)
•Spaziale (selettività)
La dimensione dell’intensità ci permette di distinguere due
componenti dell’attenzione: l’allerta e l’attenzione sostenuta
La dimensione della selettività permette di definire invece altre
due componenti: l’attenzione selettiva e l’attenzione divisa
Chi presenta un deficit attentivo può manifestare difficoltà a
diversi livelli ma secondo recenti studi in materia si è concordi
nello stabilire che il problema maggiormente evidente
nell’ADHD riguardi il mantenimento dell’attenzione nel
tempo, soprattutto durante attività ripetitive e noiose o in
attività che richiedano una discreta dose di flessibilità cognitiva
e uso di strategie.
Queste difficoltà si manifestano anche nell’ambito di attività
ludiche in cui il bambino manifesta frequenti passaggi da un
gioco all’altro senza completarne alcuno.
A scuola: evidenti difficoltà nel prestare attenzione ai dettagli;
i lavori sono incompleti e disordinati. Insegnanti e genitori
riferiscono che i bambini ADHD sembrino non ascoltare; si
può rimanere inoltre molto colpiti dal disordine con cui
gestiscono il materiale scolastico e dalla facilità con cui
vengono distratti da suoni o da altri stimoli irrilevanti.
Di norma preferiscono orientare l’attenzione verso attività
immediatamente gratificanti, evitando quelle che richiedono
un
lavoro
impegnativo
per
poter
avere
subito
un
riconoscimento e un’approvazione; questo porta alla ricerca
continua di nuovi stimoli, interessanti e divertenti.
Motivazione
(Edmund Sonuga-Barke, Jaap Van der Meere)
È stata esaminata la motivazione come fattore influenzante le
prestazioni attentive.
Il problema principale dei bambini ADHD sarebbe un deficit
motivazionale.
Motivazione: sistema di processi psicologici che consentono a
una persona di orientare le proprie risorse cognitive e
comportamentali al fine di raggiungere un certo obiettivo
considerato gratificante.
L’attenzione
si
situa
nel
più
ampio
concetto
di
“autoregolazione”.
L’autoregolazione include la capacità di posticipare una
gratificazione, il controllo degli impulsi e delle emozioni, il
controllo dell’attività motoria e di quella verbale; essa include
dunque tutte quelle abilità che consentono di orientare il
comportamento rispetto alle richieste interne ed esterne.
I bambini ADHD sanno che un certo compito è importante e
andrebbe portato a termine ma non riescono ad autoregolare il
proprio sforzo per raggiungere l’obiettivo; da qui la convinzione
di non essere in grado di affrontare e risolvere i problemi.
Da un punto di vista neurobiologico, lo sviluppo dei processi di
autoregolazione è strettamente determinato dalla maturazione delle
aree anteriori del cervello. Pertanto l’attenzione, e più in generale
l’autoregolazione, si sviluppa nella maggior parte dei bambini, tra i
3 e i 10 anni, proprio a causa della maturazione dei lobi frontali e
della corteccia cerebrale.
L’autoregolazione implica anche l’aumento di abilità inibitorie sia a
livello comportamentale che cognitivo.
L’iperattività
Eccessivo e inadeguato livello di attività motoria che si manifesta
con una continua irrequietezza.
“mossi da un motorino”: muovono continuamente le gambe anche da
seduti, giocherellano o lanciano oggetti, si spostano da una posizione
all’altra, non riescono a rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei
coetanei, a scuola hanno difficoltà a rimanere seduti.
L’impulsività
Incapacità di aspettare o inibire risposte e comportamenti che in
quel momento risultano inadeguati.
Impulsività Motoria vs Impulsività Cognitiva
Impulsività
motoria:
tendenza
ad
agire
immediatamente
in
presenza di uno stimolo.
Impulsività cognitiva: incapacità nel ritardare una gratificazione o
tendenza ad attuare comportamenti svantaggiosi o pericolosi pur di
ottenere nell’immediato una forte gratificazione.
I
bambini
impulsivi
rispondono
troppo
velocemente,
interrompono frequentemente gli altri quando stanno parlando,
non riescono a stare in fila e attendere il proprio turno.
Oltre ad una persistente impazienza, l’impulsività si manifesta
anche nell’intraprendere azioni pericolose senza considerare le
possibili conseguenze negative.
L’impulsività è una caratteristica che rimane abbastanza
stabile durante lo sviluppo ed è presente anche negli adulti con
ADHD.
Iperattività
e
Impulsività:
difficoltà
di
inibizione
dei
comportamenti inappropriati, definita da Barkley (1997)
disinibizione comportamentale
Diagnosi

DSM-IV (APA, 1994)

ICD-10 (OMS, 1992)
Disattenzione
1. spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici o in altre attività
2. spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco
3. spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente
4. spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici o i propri doveri, non a causa di un comportamento in opposizione alle regole sociali
5. spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività
6. spesso evita di impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale prolungato (come compiti a scuola o a casa)
7. spesso perde gli oggetti necessari per i compiti e le attività quotidiane
8. spesso è facilmente distratto da stimoli estranei
9. spesso è sbadato nelle attività quotidiane
Iperattività
10. spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia
11. spesso lascia il proprio posto in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto
12. spesso scorrazza e salta ovunque in modo eccessivo in situazioni in cui è fuori luogo
13. spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquilli
14. spesso si muove come se fosse guidato da un motorino
15. spesso parla eccessivamente
Impulsività
16. spesso <<spara>> le risposte prima che le domande siano state completate
17. spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno
18. spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per esempio si intromette nelle conversazioni o nei giochi)
DSM-IV: per poter ricevere diagnosi di ADHD, è necessario che i
sintomi descritti (6 o più) si manifestino prima dei 7 anni d’età,
durino da più di sei mesi, siano pervasivi, quindi evidenti in
almeno due diversi contesti della vita del bambino, causino una
compromissione significativa del funzionamento globale: è
necessario constatare che proprio a causa di quei comportamenti una
persona manifesti un rendimento scolastico, sociale e professionale
non adeguato rispetto a quanto atteso in base ad età, intelligenza,
condizioni socio-affettive.
DSM-5:
i
sintomi
devono
manifestarsi
entro
i
12
Adolescenti e adulti (dai 12 anni) devono presentarne almeno 5
anni
DSM-IV: Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI).
ICD-10: Disturbo dell’Attività e dell’Attenzione (DAA). DAA
insieme alla Sindrome Ipercinetica della Condotta rientra nella
categoria Sindrome Ipercinetica.
DSM-IV: esordio prima dei 7 anni
ICD-10: esordio prima dei 6 anni.
ICD-10: si può porre diagnosi se il paziente presenta almeno 6
sintomi di disattenzione, 3 di iperattività, uno di impulsività; se
inoltre si constata la contemporanea presenza di comportamenti
aggressivi, riconducibili a DC o a DOP, la diagnosi non sarà più di
DAA ma Sindrome Ipercinetica della Condotta.
L’ICD-10 non ammette diagnosi associate.
DSM-IV: si può porre diagnosi se il paziente manifesta 6 o più
sintomi di disattenzione, iperattività/impulsività.
DSM-IV
tre sottotipi:

Disattento

Iperattivo-Impulsivo

Combinato
Prevalenza
I criteri diagnostici dei due manuali conducono a
percentuali differenti d’incidenza del disturbo.
Nord America (DSM-IV) frequenza ADHD superiore a
quella Europea (ICD-10).
DSM-IV: 3% - 7% soggetti età inferiore 18 anni.
ICD-10: soggetti ADHD < 2%.
Evoluzione del Disturbo
Massima incidenza tra i 6 e i 10 anni.
Intorno ai 6 anni (ingresso scuola elementare, regole da rispettare,
compiti da eseguire) la presenza del disturbo espone questi bambini a
una forte compromissione in ambito scolastico e nelle relazioni sociali;
in questa fase si evidenziano, oltre alle manifestazioni negative del
comportamento, le difficoltà cognitive tipiche dell’ADHD.
Adolescenza – Età Adulta: iperattività tende a diminuire ma può venire
parzialmente sostituita da un’”agitazione interiorizzata” sotto forma di
irrequietezza, logorrea, incapacità a rilassarsi e stare seduti per lunghi
periodi; permane la disattenzione con conseguenze negative nelle
capacità di organizzare studio e lavoro. Ne derivano continui
cambiamenti nelle scelte di formazione o inserimento lavorativo, con
l’attitudine ad intraprendere sempre nuove attività senza essere mai
appagati da alcuna di loro.
Fino a non molti anni fa si riteneva che l’ADHD si risolvesse
favorevolmente con lo sviluppo.
Per circa 1/3 dei bambini l’ADHD costituisce semplicemente un
ritardo nello sviluppo delle funzioni esecutive: con l’età adulta
essi non manifestano più sintomi di disattenzione o iperattività.
40% dei casi i sintomi permangono in adolescenza e età adulta con
correlate difficoltà sociali, emozionali e di inserimento lavorativo.
15% - 20% oltre ai sintomi tipici mostrano altri disturbi
psicopatologici (alcolismo, td, Disturbo Antisociale di
personalità).
Il più importante indice predittivo di tale evoluzione è la presenza
in infanzia di una comorbilità ADHD-DC; tale associazione ha
una prognosi significativamente peggiore di quella di un DC puro.
Comorbilità
Studi su campioni clinici ed epidemiologici sono concordi
nell’affermare che almeno il 70% dei soggetti ADHD
presenta un disturbo associato.
Comorbilità più frequenti:
• Disturbi delle condotte esternalizzate (DOP, DC) e
internalizzate (ansia, disturbo bipolare, depressione)
• DSA
ADHD e DOP
Comorbilità più frequente (40%).
DOP: collericità, tendenza a infastidire e irritare gli altri
intenzionalmente.
Bambini con DOP: “attacabrighe”, si propongono con atteggiamenti
di sfida, soprattutto nei confronti degli adulti, prendono in giro i
coetanei, utilizzano un linguaggio eccessivamente disinibito.
Se presente insieme all’ADHD, il DOP può complicare le relazioni
sociali del bambino, il rendimento e inserimento scolastico.
Criteri diagnostici DSM-IV
almeno 4 dei seguenti sintomi da almeno 6 mesi:








Spesso va in collera
Spesso litiga con gli adulti
Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste o le
regole degli adulti
Spesso irrita deliberatamente le persone
Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo
comportamento
È spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri
È spesso arrabbiato o rancoroso
È spesso dispettoso e vendicativo
ADHD e DC
Se il bambino persevera in comportamenti aggressivi o nella
violazione delle regole si può trattare di un DC che include veri e
propri comportamenti dissociali.
Caratteristica fondamentale DC: modalità di comportamento
ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri, le
regole, le norme della società vengono violate.
Soggetti con DC: scarsa empatia, scarsa attenzione per i
sentimenti, i desideri, il benessere degli altri. Possono essere
insensibili, mancare di adeguati sentimenti di colpa e rimorso. Sono
frequentemente associate scarsa tolleranza alla frustrazione,
irritabilità, esplosioni di rabbia e avventatezza.
DC può essere diagnosticato in soggetti che hanno più di 18 anni solo
se non vengono soddisfatti i criteri per il Disturbo Antisociale di
Personalità.
Associazione ADHD – DC molto meno frequente rispetto a quella
ADHD – DOP (10% - 15%)
Sebbene i bambini ADHD manifestino spesso un comportamento
iperattivo e impulsivo che può essere dirompente, questo
comportamento non viola di per sé le norme societarie
appropriate per l’età e quindi non soddisfa i criteri per un DC.
Quando esiste tale comorbilità, essa individua un sottogruppo di
soggetti ad alto rischio di evoluzione antisociale. Questi bambini
hanno in genere un DC più precoce, grave e duraturo che fa
seguito ad un iniziale ADHD con possibile evoluzione verso un
Disturbo Antisociale di personalità.
Ne deriva che probabilmente, il rischio che l’ADHD evolva in tale
disturbo, sia dovuto in misura minima all’ADHD e maggiormente
alla sua associazione con un DC.
ADHD-DSA
40%
bambini
ADHD
presenta
difficoltà
di
apprendimento
scolastico pur dimostrando abilità intellettive nella norma.
Difficoltà di apprendimento in età evolutiva: Disturbi Specifici
dell’Apprendimento
(DSA),
Disturbi
non
Specifici
dell’Apprendimento (DNSA).
Mediamente i bambini di 8/9 anni che vengono osservati per i
problemi di iperattività/impulsività e disattenzione, presentano
anche prestazioni basse di rendimento. In questo caso è necessario
valutare e distinguere se si tratti di ADHD, DSA o entrambi.
Optimal Management of ADHD in
Older Adults
(Torgersen et al., 2016)
Come si manifesta il
Disturbo nei sg ≥50 anni?
I sintomi persistono in almeno 2/3 dei pz diagnosticati
nell’infanzia.
Numerosi casi di sg che chiedevano una prima
valutazione.
Prevalenza non ancora chiara
Kassler et al. (2006): prevalenza 4.4%, in soggetti ≤40 anni
Kooij et al. (2005): 50% del campione ≥50 anni (range: 18-75);
prevalenza 1-2.5%
Sintomi principali ADHD persistono in età adulta
Nonostante la persistenza dei sintomi, essi si manifestano con modalità differenti
nel corso dello sviluppo.
Iperattività e impulsività tendono a declinare con l’età mentre la disattenzione
persiste.
Impulsività: in età adulta può manifestarsi con esplosioni di rabbia, impazienza,
guida spericolata e decisioni affrettate.
Disattenzione: si manifesterà con disorganizzazione, dimenticanze, scarso
rendimento nella pianificazione e nel completamento dei compiti, nel cambio
compito e nella gestione del tempo.
A causa di questo cambiamento evolutivo nell’espressione dei sintomi, molti adulti
non soddisferanno appieno i criteri diagnostici pur rimanendo significativamente
compromessi.
Inoltre, l’ADHD in età adulta è significativamente correlato con la disregolazione
emotiva (ED). ED include sintomi come un’aumentata irritabilità, bassa tolleranza
alle frustrazioni e allo stress, labilità emotiva.
Comorbidità
Forte comorbidità psichiatrica che avrà un impatto negativo sui risultati del
trattamento nel corso della vita.
Insorge prevalentemente durante l’infanzia e l’adolescenza e più raramente
dopo i 20 anni.
I disturbi più frequentemente associati riguardano i disturbi d’ansia, i disturbi
dell’umore, disturbo antisociale di personalità e disturbo da uso di sostanze.
Esistono pochi studi riguardanti la comorbidità in adulti ≥50 anni. In generale
sono stati riscontrati, rispetto ai gruppi di controllo, sintomi ansiosi e depressivi,
bassa autostima, inadeguatezza sociale.
ADHD in età adulta è associato, inoltre, a compromissione del
funzionamento sociale, occupazionale, accademico.
148 adulti con ADHD (età media 55.7): più frequentemente
single (41.5% versus 25.2%) e meno frequentemente
impiegati (48.8% versus 69.2%) rispetto al gruppo di controllo.
Il livello di istruzione non è risultato significativamente diverso
(Lensing et al., 2015)
Gli adulti ≥50 anni con ADHD presentano una qualità di vita ridotta
rispetto alla popolazione nomale. È stato riscontrato, inoltre, un più
alto numero di divorziati e una rete sociale e familiare più povera con
conseguente solitudine ed emarginazione sociale. A causa dei pochi
studi e dei piccoli campioni non è possibile però arrivare a conclusioni
definitive riguardo le compromissioni in adulti ADHD ≥50 anni.
Comunque sembra essere certo che l’impatto negativo del disturbo
persista nell’età adulta.
Sono stati pubblicati pochi studi
farmacoterapia degli adulti con ADHD.
riguardanti
la
Con l’invecchiamento si verificano dei cambiamenti che
possono modificare farmacocinetica e farmacodinamica
dei farmaci psicotropi; tutto ciò può influenzare
l’efficacia, la tollerabilità e la sicurezza di qualsiasi
trattamento psicofarmacologico.
È comunque raccomandata una
terapia personalizzata per ciascun
paziente per bilanciare il rapporto
rischi-benefici
Sebbene quello farmacologico sia considerato il
trattamento d’elezione nella terapia ADHD, non è
spesso sufficiente.
Molti fattori possono ridurre l’effetto del farmaco
(scarsa aderenza alla terapia, discontinuità
nell’assunzione del farmaco). Inoltre, l’alta
prevalenza di disturbi psichiatrici, strategie
compensatorie inefficienti e pensieri disadattivi
possono ridurre l’efficacia farmacologica.
Diversi studi sono stati effettuati sul trattamento
psicologico dell’ADHD in età adulta.
Solanto et al., (2010), hanno messo a confronto la terapia
meta-cognitiva con una terapia di supporto in un gruppo
formato da 88 Adulti ADHD tra 18 e 65 anni.
Terapia meta-cognitiva: intervento in cui i principi cognitivi e
comportamentali sono utilizzati per fornire competenze
nello scomporre problemi complessi in unità più semplici e
sostenere la motivazione.
I pazienti che hanno ricevuto il trattamento meta-cognitivo
hanno raggiunto significativi miglioramenti nei punteggi al
test di Conner (ADHD Rating Scales), più precisamente
nelle sottoscale relative alla disattenzione e alla memoria.
Qual è la causa
dell’ADHD?
Basi Biologiche e Funzioni Esecutive
La comprensione scientifica dell’ADHD si è notevolmente evoluta nel corso
degli anni. Inizialmente esso era considerato un disturbo disorganizzante del
comportamento associato a difficoltà nel mantenere l’attenzione; ora numerose
prove indicano l’ADHD come un disturbo evolutivo, generalmente di tipo
ereditario, derivante dal malfunzionamento di alcune reti di neurotrasmettitori e
che determina un deficit nelle funzioni esecutive.
Patologia multifattoriale: alcuni studiosi ritengono che vari fattori,
neurobiologici e psicosociali contribuiscano insieme al suo manifestarsi, ma che
i fattori psicosociali da soli non siano la causa primaria.
Funzioni Esecutive:
“una serie di abilità cognitive per il controllo e il monitoraggio di azioni
complesse, nuove e incongruenti rispetto agli schemi di comportamento
abitualmente applicati”
(Tim Shallice)
Le funzioni esecutive presuppongono 5 domini principali che riguardano:
• La pianificazione
• La memoria di lavoro
• L’inibizione di altri stimoli
• La fluenza
• La flessibilità cognitiva
Capacità di generare comportamenti ed azioni finalizzati al
raggiungimento di uno scopo.
La capacità di inibire alcune risposte motorie ed emotive a
stimoli esterni, al fine di permettere la prosecuzione delle
attività in corso (autocontrollo), è fondamentale per l’esecuzione
di qualsiasi compito. Durante lo sviluppo, la maggior parte dei
bambini matura la capacità di impegnarsi in attività mentali che li
aiutino a non distrarsi, a ricordare gli obiettivi, a compiere i
passi necessari per raggiungerli
Funzioni Esecutive
Nella regolazione di questi sistemi è coinvolta la corteccia
prefrontale, coinvolta nel mantenimento dell’attenzione e nella
regolazione del comportamento mediante le connessioni con la
corteccia motoria e sensoriale e con le strutture sottocorticali
(gangli della base, cervelletto).
Studi di imaging hanno dimostrato che pazienti ADHD
presentano alterazioni a carico della corteccia prefrontale,
rilevando una debole attivazione della stessa quando essi sono
impegnati nel regolare l’attenzione e il comportamento.
Altri studi hanno dimostrato che bambini
ADHD confrontati con bambini di
controllo, mostrano una sottile riduzione
del volume totale del cervello di circa il
4%; oltre a questa globale riduzione,
tecniche di RMN hanno messo in evidenza
che anche la corteccia frontale e alcuni
nuclei della base (nucleo caudato e globo
pallido)
risultano
più
piccoli:
tali
differenze sono maggiori nell’emisfero
destro.
Differenze significative: le aree cerebrali di
dimensioni ridotte sono proprio quelle che regolano
l’attenzione. La corteccia prefrontale destra è
coinvolta nella programmazione e nel controllo del
comportamento, nella capacità di resistenza alle
distrazioni, nell’esecuzione motoria delle risposte e
nella consapevolezza di sé e del tempo.
Il nucleo caudato e il globo pallido agiscono
interrompendo
le
risposte
automatiche
per
permettere una decisione più accurata da parte
della corteccia cerebrale e per coordinare gli
impulsi che raggiungono le diverse regioni della
corteccia.
Dal punto di vista dell’attività neuronale, nei gangli della base e
nella corteccia prefrontale dei bambini ADHD avviene un
consumo di glucosio inferiore rispetto ai bambini di controllo, di
circa il 10% e una minor irrorazione sanguigna nello striato. La
ridotta attività delle aree anteriori del cervello determina
un’incapacità di controllare il proprio comportamento e un
allentamento dei freni inibitori.
Conseguenze
iperattività comportamentale, impulsività,
ridotta capacità attentiva.
A livello biochimico, i sistemi neurotrasmettitoriali maggiormente
coinvolti nell’ADHD, per una disregolazione del loro funzionamento,
sono quello dopaminergico e noradrenergico.
Dopamina: controllo del movimento, meccanismi di ricompensa, risposte
emozionali e motivazionali, incluse esperienze di piacere e di dolore
come risposte ad eventi ambientali positivi e negativi.
Il livello di Dopamina e di Noradrenalina nelle regioni anteriori
dei bambini ADHD è inferiore rispetto a quello dei bambini di
controllo.
Insufficiente rilascio ed eccessivo reuptake del neurotrasmettitore a
livello sinaptico fa sì che il bambino non possieda una
concentrazione di neurotrasmettiri tale, da permettere un adeguato
funzionamento delle aree frontali.
Metilfenidato/Atomoxetina: particolarmente efficaci nel ridurre i
sintomi di disattenzione/iperattività poiché regolano i meccanismi
d’azione di Dopamina e Noradrenalina rallentandone
l’assorbimento.
Le aree frontali quando funzionano normalmente, sono in grado di porre
adeguati freni inibitori al comportamento, consentendo di controllare
l’impulsività, di pianificare le azioni e di mantenere la concentrazione per
prolungati periodi di tempo.
Aree frontali sottoattivate: disinibizione del comportamento, incapacità di
ritardare le risposte impulsive, cadute attentive.
Il ruolo della Genetica: Innato o
Acquisito?
Genetica delle popolazioni: studia le cause dei
comportamenti confrontando gemelli omozigoti e gemelli
dizigoti.
Gemelli omozigoti: stesso patrimonio genetico; ogni
differenza di comportamento sarà imputabile all’ambiente
(condiviso e non)
Gemelli dizigoti: somiglianze nel patrimonio genetico
paragonabili a quelle tra due fratelli.
Uno degli aspetti più indagati per dimostrare la componente innata
dell’ADHD. E’ stata dimostrata una forte componente genetica nella sua
eziologia.
Fratelli e sorelle di bambini ADHD hanno una probabilità di sviluppare il
disturbo da 5 a 7 volte maggiore rispetto a famiglie senza casi ADHD.
Figli di un genitore ADHD fino al 50% di probabilità di sviluppare le stesse
difficoltà.
Studi su gemelli monozigoti suggeriscono un’ereditabilità dell’80%, per i
gemelli dizigoti la probabilità che entrambi presentino il disturbo, scende al
30% - 35%.
ADHD: disturbo poligenico; ad oggi nessun gene gioca un ruolo primario.
Varianti geniche più studiate:

DAT1: codifica per il trasportatore della Dopamina

DRD4: codifica per il recettore D4 della Dopamina
DAT: principale responsabile della rimozione della dopamina dalla
fessura sinaptica e quindi della terminazione del segnale.
D4: l’espressione di questo recettore è moderata nella corteccia
prefrontale e suggerisce un possibile coinvolgimento nei processi
della working-memory
Fattori Ambientali
Se è vero che alcuni bambini nascono con una predisposizione
genetica-neurobiologica a sviluppare l’ADHD, è anche vero che le
modalità con cui esso si esprime permangono durante la crescita e sono
legate al contesto culturale e sociale del bambino.
Gli studi della genetica delle popolazioni affermano che le cause
dell’ADHD siano da imputare per il 70% a fattori di tipo genetico,
mentre per il restante 30%, esso potrebbe derivare da cause di tipo
ambientale.
L’ambiente (famiglia, scuola) ha un ruolo fondamentale nel determinare la
comparsa del disagio. Chi non vive con un bambino iperattivo tende ad
attribuire la cause del problema ai genitori, accusati, il più delle volte di non
aver saputo trasmettere buone norme comportamentali; dalle osservazioni
cliniche emerge che i genitori di bambini ADHD sono particolarmente
direttivi e impongono regole con maggiore impegno rispetto a quelli che non
hanno figli ADHD.
Barkley (2006)
Quali sono le vere responsabilità dei genitori nell’insorgenza del
disturbo e quanto invece sia il bambino a causare certi
comportamenti nei genitori?
Effetti del Metilfenidato e del Placebo sulla relazione madre-bambino.
Due gruppi Bambini ADHD; 1)gruppo sperimentale: metilfenidato;
2)gruppo di controllo: placebo
Risultati: è stato dimostrato che il farmaco produce netti
miglioramenti nella concentrazione e nel comportamento; a ciò
corrisponde, da parte delle madri, una minor impartizione di comandi,
meno rimproveri e un atteggiamento meno teso e diffidente nei
confronti dei bambini.
Lo stesso non si è verificato nelle famiglie i cui bambini avevano
assunto un placebo e i cui comportamenti erano rimasti pressoché
invariati.
Questi risultati indicano che la maggior parte degli
atteggiamenti negativi dei genitori sia probabilmente non la
causa dei comportamenti disorganizzati e disturbanti del figlio
ma una risposta ad essi.
Una vita familiare disorganizzata, priva di regole o in cui i genitori
accusano stress e problemi coniugali, può far insorgere problemi di
attenzione o di iperattività nei bambini. Una famiglia equilibrata e
ben strutturata è in grado invece di fornire ai propri figli una
crescita serena.
Se questo è vero per tutti i bambini, lo è ancor di più per quelli con
ADHD, il cui comportamento è particolarmente esposto alle
influenze esterne. Regolarità nello stile di vita e coerenza
nell’educazione costituiscono due elementi essenziali per la
crescita di un bambino.
Valutazione Diagnostica
Iter Diagnostico complesso.
Le figure professionali (es. neuropsichiatra infantile) che in sede
diagnostica si occuperanno del bambino, effettueranno una serie di test e
osservazioni al fine di stabilire o meno l’esistenza del disturbo e la
gravità: è importante sottolineare che non esistono test diagnostici
specifici per questo disturbo, la diagnosi si basa sull’osservazione
clinica, la raccolta di informazioni fornite da fonti multiple (genitori,
insegnanti, educatori) e sulla somministrazione di strumenti di varie
tipologie:
interviste
cliniche,
questionari
di
auto
o
eterosomministrazione, test cognitivi-neuropsicologici.
La raccolta d’informazioni avviene durante i primi colloqui durante
i quali il clinico ricostruisce la storia globale del bambino e della
sua famiglia; per fare ciò, egli può avvalersi anche di questionari o
interviste
strutturate
o
semistrutturate
che
indagano
sistematicamente tutti i sintomi dei disturbi psichici che possono
insorgere in età evolutiva e che quindi hanno il vantaggio di essere
maggiormente attendibili.
L’uso dei questionari va sempre accompagnato dall’utilizzo di interviste
diagnostiche che esplorano l’intera gamma della psicopatologia: ciò
consente di individuare eventuali patologie associate, quali disturbi del
comportamento (DOP, DC), disturbi dell’umore (depressione e distimia,
disturbo bipolare), disturbi d’ansia (ansia generalizzata, panico, fobia),
disturbi di apprendimento, tic e disturbo ossessivo-compulsivo.
Oltre alle interviste semistrutturate, rappresentano un elemento
essenziale per l’indagine diagnostica dell’ADHD, i questionari per
la valutazione comportamentale: essi rappresentano una misura
quantitativa da cui ricavare lo scostamento del comportamento del
bambino rispetto alla media della popolazione. Ogni questionario
per la valutazione comportamentale comprende di solito due o tre
versioni parallele: una per i genitori, una per gli insegnanti e una
per il bambino.
Una volta completata la raccolta di informazioni sul comportamento del
bambino tramite i resoconti di insegnanti e genitori, lo psicologo può
somministrare dei test cognitivi per indagare alcune funzioni
neuropsicologiche e programmare eventualmente un intervento
riabilitativo. La valutazione cognitiva non può prescindere dalla
somministrazione della scala Wechsler per bambini, la Wisc-R (Wechsler
intelligence scale for children-Revised), che permette di valutare le abilità
verbali, di performance e visuo-spaziali.
Successivamente verranno indagate le abilità di apprendimento
scolastico, in particolar modo la lettura, la comprensione del testo,
l’ortografia e il calcolo aritmetico.
Oltre alla valutazione cognitiva generale e dell’apprendimento
scolastico è opportuno procedere alla valutazione di altri processi
cognitivi maggiormente deficitari nei bambini ADHD: l’attenzione
sostenuta, l’uso di strategie, l’inibizione di risposte impulsive e i
processi di problem-solving.
Attenzione sostenuta: Continuous Performance Test (CPT), Matching
Familiar Figure Test (MFFT), Torri di Londra, Stroop Test.
Brown Attention-Deficit
Disorders Scales (Brown ADD
Scales)
1996: prima versione per la diagnosi di adulti e adolescenti, ; 40 item
autosomministrabile.
Successivamente sviluppa una versione destinata a sg con età 3-12.
Versione Adulti: sg con età > 18
Versione Adolescenti: sg con età 12-18.
Versione Bambini 3-12 comprende 2 elenchi paralleli di item: uno
rivolto a bambini 3-7 anni e un altro da impiegare con bambini 8-12
Bambini 3-7 anni: 2 versioni composte da 44 item ciascuna
(genitori e insegnanti)
Bambini 8-12 anni: 3 versioni composte da 50 item ciscuna
(genitori, insegnanti, autovalutazione).
Nella versione per adolescenti e adulti gli item sono
raggruppati in 5 cluster che rappresentano gli aspetti
fondamentali per una diagnosi di ADHD:
1. Organizzazione e Attivazione
2. Attenzione e Concentrazione
3. Sforzo ed Energie
4. Interferenze Affettive
5. Memoria di Lavoro
Nella versione per bambini i cluster sono 6 (Azione/Iperattività)
Ogni cluster rappresenta un aspetto fondamentale dell’ADHD.
1. Organizzazione e Attivazione: difficoltà che il bambino può incontrare
nell'organizzare e nell'iniziare compiti di tipo lavorativo (attività non
piacevoli), es. dover rispettare lo svolgimento delle routine giornaliere quali
vestirsi e mettere a posto i giocattoli o difficoltà nell'organizzare i compiti a
casa e iniziare a svolgere gli incarichi.
2. Attenzione e Concentrazione: problemi cronici nel mantenere l'attenzione
e nel focalizzarsi su un compito o ancora nello spostarla, quando necessario
(es. l'adulto deve ripetutamente chiedere al bambino di fermarsi e di
ascoltare, in misura superiore a quella attesa,oppure nei casi in cui sono
presenti difficoltà nell'ascoltare la lettura di storie e nel passare da un'attività
a un'altra. Per bambini più grandi gli item includono domande relative a
un'eccessiva distraibilità e a una difficoltà a cogliere il tema principale,
quando sono impegnati in una lettura).
3. Sforzo ed Energie: problemi nel mantenersi vigile e sostenere uno
sforzo sufficiente durante i compiti; si riferisce, inoltre, ad una
lentezza nella elaborazione delle informazioni, alla tendenza a
completare in maniera non adeguata i compiti e a un livello di
prestazione incostante. (es. bisogno di eccessivi stimoli per mangiare e
per prepararsi ad andare a letto e la tendenza a rinunciare velocemente
ad apprendere nuovi compiti; difficoltà nel completare i compiti nel
tempo previsto e la necessità che venga loro ricordato di portare a
termine un incarico loro attribuito).
4. Interferenze Affettive:fino a che punto le difficoltà nel regolare le
reazioni emotive (come frustrazioni, preoccupazioni, rabbia, tristezza)
possano prendere il sopravvento su quello che il soggetto sta pensando
o facendo. L'attenzione è posta sulle frustrazioni legate ad eccessiva
irritabilità, alla sensazione di sentirsi troppo facilmente feriti, al
mancato compimento del lavoro a causa di rimuginii eccessivi o di
sentimenti di eccessivo scoraggiamento e di depressione.
5. Memoria di Lavoro: l'impatto che i problemi di memoria e di
rievocazione delle nozioni apprese comportano nelle attività quotidiane. Le
difficoltà maggiori riguardano il ricordare le indicazioni e le routine
quotidiane; il portare a compimento azioni organizzate, ricordare il materiale
appreso e memorizzare vocaboli o regole matematiche.
6. Iperattività: difficoltà che il bambino potrebbe incontrare nel valutare
quali siano i comportamenti più appropriati e nel regolare, di conseguenza, le
proprie azioni. Il bambino si intromette o interrompe continuamente gli altri
ed è incapace di tollerare l'attesa, in misura molto superiore rispetto a quello
che accade ai coetanei; è presente, inoltre, la tendenza a insistere e a parlare
anche dopo essere stati zittiti, ad agire o a prendere le cose prima di aver
ricevuto il permesso o che siano date le indicazioni, a fare le cose in modo
troppo rapido e a scrivere frettolosamente lettere e numeri senza verificarne
la correttezza.
≥ 70
Marcatamente atipico, problema molto
significativo.
60-69. Moderatamente atipico, problema significativo
55-59 Parzialmente atipico, preoccupazione
probabilmente significativa.
≤ 54
Range medio, preoccupazione che potrebbe
essere significativa.
La Terapia Farmacologica
Nei paesi anglosassoni, l’ADHD viene affrontato soprattutto con
farmaci che stimolano l’attività cerebrale.
L’efficacia e la tollerabilità degli psicostimolanti è stata descritta
per la prima volta da Bradley nel 1937 ed è stata documentata da
circa 60 anni di esperienze cliniche. Questo approccio è giustificato
da molti risultati scientifici secondo i quali circa il 70-80% dei
bambini ADHD trattati con metilfenidato, mostra una riduzione dei
sintomi uguale o superiore al 50%.
I farmaci registrati in Italia per la terapia farmacologica dell’ADHD
sono il Ritalin Metilfenidato (Novartis) e l’Atomoxetina (Strattera).
Il metilfenidato è sicuramente lo psicostimolante più
utilizzato; fino al 2003 era considerato in Italia sostanza
illegale.
Esso è il principio attivo di un farmaco la cui molecola
somiglia molto a quella delle sostanze derivate dalle
amfetamine. Tutti gli psicostimolanti inibiscono il reuptake
delle monoamine bloccando il trasportatore presinaptico;
alcuni ne stimolano anche il rilascio dalle terminazioni
sinaptiche.
L’Atomoxetina è invece, un inibitore selettivo della ricaptazione
della noradrenalina a livello presinaptico, con un’attività minima sui
trasportatori di altre monoamine quali dopamina e noradrenalina.
Non è noto come il farmaco riduca i sintomi nel deficit di attenzione
e di iperattività, tuttavia, come già affermato, si ritiene che la
noradrenalina svolga un ruolo importante nel regolare l’attenzione,
l’impulsività e i livelli di attività.
Gli effetti del Metilfenidato sul comportamento dei bambini
sono rapidi e intensi e permettono allo stesso di controllare
l’iperattività e l’inattenzione.
Durante l’assunzione del farmaco risultano migliorate le
risposte ai test di attenzione, di vigilanza, di apprendimento
visivo e verbale e di memoria a breve termine.
I bambini ADHD, oltre ad essere meno impulsivi, irrequieti e
distraibili, sono anche maggiormente capaci di tenere a mente
informazioni importanti, di interiorizzare meglio il discorso
autodiretto, di avere un maggior autocontrollo
In genere il farmaco viene somministrato durante la frequenza
scolastica attuando, quando possibile, una sospensione nel periodo
estivo; bisogna tenere sempre presente, però, che una volta sospesa la
terapia gli effetti del farmaco svaniscono.
Una volta iniziato, il trattamento prosegue in genere per alcuni
anni valutando, almeno una volta l’anno, l’utilità di continuare. Nei
bambini, gli effetti terapeutici degli psicostimolanti non
diminuiscono con l’uso prolungato e l’abuso e la dipendenza sono
praticamente inesistenti.
G. M. Marzocchi (2008): “E’ doveroso precisare che non tutti i
bambini ADHD necessitano di un trattamento farmacologico. Dopo
un’attenta valutazione medica, la decisione di usare farmaci deve
basarsi sulla severità dei sintomi, sul consenso dei genitori e del
bambino, sulle risorse cognitive del bambino, sulle capacità di genitori
e insegnanti di gestire i problemi comportamentali e sui risultati di
precedenti terapie”.
Controversie
Giù le Mani dai Bambini: La loro missione è quella di descrivere
l’allarmante situazione attuale del mercato degli psicofarmaci in
rapporto ai bambini.
Secondo la tesi da loro sostenuta, alcune case farmaceutiche
starebbero procedendo all’individuazione di nuovi segmenti di
mercato per promuovere le vendite di diversi tipi di prodotti
farmaceutici:
la
fascia
d’età
dell’infanzia
sarebbe
stata
identificata dalle multinazionali del farmaco come un segmento
ancora vergine e suscettibile quindi di un forte sviluppo.
Ciò che maggiormente viene contestato da coloro che si
oppongono alla commercializzazione del farmaco, è che l’ADHD
non sia una patologia biologicamente definita; essa, cioè, si
diagnostica in base ai sintomi e non in base ad un’anomalia
riscontrabile anatomicamente (è importante sottolineare che
non è possibile fare una diagnosi di ADHD tramite esami
medici di laboratorio).
Si considerano non di minore importanza gli effetti collaterali che il
metilfenidato avrebbe sull’organismo e il rischio di suicidio e infarti
derivante da agitazione, intollerabilità e inusuali cambiamenti nel
comportamento.
Negli Stati Uniti, secondo l’associazione Giù le mani dai Bambini, tra
il 1990 e il 1997, le morti causate dal Ritalin sarebbero state almeno
160.
Gli studi citati dall’AIFA, che hanno valutato questi casi, hanno
però dimostrato da tempo che nell’utilizzo del metilfenidato i
casi di decessi sono ricollegabili o ad assunzione dello stesso
con particolari antidepressivi triciclici oppure a malformazioni
cardiache congenite e quindi non direttamente ascrivibili al
farmaco, ovvero ad altri casi limite.
I casi di suicidi sono ricollegabili invece alla comorbidità
dell’ADHD con altri disturbi (depressione maggiore, disturbi
antisociali della personalità, etc.) e/o alla contemporanea
assunzione di droghe e alcool.
Anche lo Strattera, secondo quanto riportato dall’associazione
Giù le Mani dai Bambini, sarebbe ad alto rischio suicidio; infatti,
la Eli Lilly, la casa farmaceutica che lo produce, su richiesta
della FAD (Food and Drug Administration), è stata costretta ad
inserire nella scheda tecnica del medicinale un “warning”
riguardante il rischio suicidio tra i bambini e gli adolescenti
trattati con lo psicofarmaco.
L'atomoxetina, la molecola alla base del farmaco, è stata messa
in commercio dalla Eli Lilly nel tentativo di contrastare la
posizione dominante della Novartis, produttrice del Ritalin, e
trova anch'essa un largo impiego nel trattamento dell'ADHD e
di altre sindromi del comportamento infantile.
La Terapia Combinata
L’obiettivo di ogni intervento terapeutico, per quel che riguarda
l’ADHD, non è quello di far scomparire completamente i sintomi,
ma di sviluppare un adeguato benessere che dipende anche dalle
relazioni familiari e con gli insegnanti. Un trattamento, dunque, che
includa tutte le persone coinvolte nella vita del bambino ADHD è la
risposta più efficace per contrastare le difficoltà innescate dal
disturbo stesso.
La terapia combinata include sia la terapia psicologica che quella
farmacologica. La terapia psicologica può comprendere a sua volta
diversi interventi, dalla consulenza agli insegnanti, alla formazione dei
genitori, fino al training cognitivo e metacognitivo per il bambino.
L’intervento psicologico che riguarda tutte e tre le figure coinvolte nel
problema (insegnanti, genitori, bambino), viene detto multimodale.
Sintomi cardine (disattenzione, impulsività, iperattività): terapia
farmacologica;
Disturbi della condotta, di apprendimento e interazione sociale:
interventi psicosociali, ambientali, psicoeducativi, centrati sulla
famiglia, sulla scuola e sul bambino.
La ricerca sui risultati del trattamento è molto incoraggiante.
I bambini cui vengono somministrati esclusivamente farmaci o in
combinazione con una terapia comportamentale hanno mostrato
progressi significativi sia nel comportamento che nei risultati
scolastici, così come nelle relazioni sociali con i compagni e la famiglia.
I bambini ADHD che vengono sottoposti esclusivamente a
trattamenti comportamentali, senza l’ausilio di una terapia
farmacologica, mostrano miglioramenti solo a breve termine; la terapia
psicologica da sola è inefficace anche nei casi in cui i farmaci siano
somministrati in modo discontinuo
Lo scopo principale degli interventi terapeutici è quello di
migliorare il funzionamento globale del bambino. In particolare
essi devono tendere a:
•Migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli,
insegnanti, coetanei;
•Diminuire i comportamenti dirompenti e inadeguati;
•Migliorare le capacità di apprendimento scolastico;
•Aumentare l’autonomia e l’autostima;
•Migliorare l’accettabilità sociale del disturbo e la qualità della
vita del bambino affetto da ADHD
Gli Interventi Psicoeducativi
L’approccio psicoeducativo è costituito da una serie di interventi
volti alla modificazione dell’ambiente fisico e sociale del bambino al
fine di migliorarne il comportamento. Gli interventi psicoeducativi
utilizzati per il trattamento dell’ADHD, che hanno dato maggiori
riscontri di efficacia, sono quelli basati su un approccio cognitivocomportamentale.
L’approccio cognitivo-comportamentale è focalizzato maggiormente
sull’insegnamento diretto al bambino delle abilità di autocontrollo e
delle abilità per la risoluzione dei problemi. Le aree d’interesse
includono l’impulsività e l’autocontrollo, la stima di sé, le relazioni tra
pari.
Questi programmi sono implementati anche istruendo genitori e
insegnanti su specifiche tecniche di ricompensa per
comportamenti
desiderati
(rinforzo
positivo)
o
di
punizione/perdita di privilegi per il mancato raggiungimento
degli obiettivi desiderati. L’applicazione ripetuta di tali premi e
punizioni può modificare progressivamente il comportamento.
Sono altresì incluse le tecniche cognitive per favorire
l’apprendimento dell’auto-monitoraggio e del problem solving.
Per le madri e i padri dei bambini ADHD, assumere un ruolo
genitoriale efficace è di cruciale importanza. Questi bambini sono,
come abbiamo già visto, per le loro caratteristiche, imprevedibili e
difficili. Le conseguenze, dal punto di vista del genitore, possono
essere uno stile educativo autoritario e la tendenza a imporre le
regole, con la speranza che questo eviti situazioni in cui la relazione
genitore-figlio degeneri. In realtà, in situazioni del genere può
accadere proprio l’opposto: il bambino fa i capricci, il genitore cerca
di risolvere la situazione in maniera rigida e punitiva e il bambino
diventa ancora più oppositivo e capriccioso.
Si instaurano quindi strategie di gestione del problema direttive e
veicolate da comandi poco chiari e ripetitivi (Smettila! Fai sempre
così, sei il solito. Stai attento! Ascoltami! Te l’ho ripetuto mille volte!)
senza che vi sia da parte del genitore una vera e propria azione
educativa efficace.
Tutto ciò porta ad una funzione genitoriale poco coerente
con situazioni sempre più difficilmente gestibili e a
credenze su di sé, come genitori, e sul figlio, non obiettive e
difficilmente modificabili; la tendenza è quella di vedere il
proprio figlio come privo di punti di forza e pregi,
impossibile da gestire, e percepire se stessi come un totale
fallimento.
Quando il clima familiare e le relazioni dei genitori con il loro
bambino creano disagio, sofferenza e incapacità di trovare soluzioni e
capire dove risieda la difficoltà, può essere necessario l’aiuto di un
esperto che favorisca la visione e l’analisi distaccata del problema, e
che aiuti a stilare un piano di lavoro adatto alla situazione. tra gli
interventi rivolti ai genitori rientrano i Parent Training e cioè
programmi strutturati di formazione che hanno lo scopo di
favorire la comprensione delle modalità di interazione e
l’acquisizione di maggiori competenze educative e relazionali.
Nell’ambito dei programmi di parent training, i genitori
vengono incoraggiati e aiutati ad affrontare i sintomi
dell’iperattività, utilizzando tecniche efficaci per gestire quei
comportamenti che sono per loro problematici.
I parent training prevedono una parte di lavoro cognitivo per
ristrutturare le attribuzioni dei genitori circa i comportamenti
negativi dei loro figli e una parte di insegnamento di strategie
comportamentali.
Parent Training: educazione + formazione
1. Fornire informazioni relative al PT e all’ADHD
2. Favorire la comprensione delle modalità di interazione
genitore-bambino e spiegare i principi di intervento
comportamentale
3. Insegnare al genitore a stare con il bambino in modo non
rigido e autoritario
4. Insegnare a prestare attenzione ai comportamenti positivi
del bambino, in particolare quando manifesta autonomia
e collaborazione
5. Concordare con il bambino un sistema di rinforzo a punti
6. Utilizzare tecniche quali il time out
7. Generalizzare il time out anche ad altri comportamenti
problema
8. Gestire il comportamento del bambino nei luoghi pubblici
9. Prevedere probabili e future difficoltà comportmaentali
10.Richiamo e ripasso delle tecniche apprese
(Barkley,1987)
Il Lavoro con il Bambino
Educazione al pensiero strategico e riflessivo (C. Cornoldi).
Il training propone una serie di esercizi per aiutare il bambino a
diventare meno impulsivo, a controllare la propria attenzione, a
organizzare le proprie attività scolastiche ed extrascolastiche
Un’altra modalità, mediante cui si guida il bambino verso
l’acquisizione di un pensiero più riflessivo e strategico, si
concretizza attraverso il dialogo interno, in particolare mediante una
tecnica chiamata autoistruzione verbale, che si basa
sull’apprendimento per imitazione dell’uso della verbalizzazione
interna da parte del bambino; egli acquisisce, cioè, la capacità di
dire a sé stesso cosa fare nelle diverse occasioni. L’autoistruzione
può essere applicata per gestire il comportamento impulsivo che fa
sì che il bambino non sia in grado di strutturare un pensiero lineare
e strategico per l’esecuzione di azioni complesse.
Mediante il dialogo interno i bambini con iperattività e difficoltà
attentive sviluppano la capacità di riflettere e le abilità di
autocontrollo. Esso può essere impiegato anche per il controllo della
rabbia e per aiutare il bambino ad organizzarsi meglio.
La Scuola
Un lavoro parallelo a quello con la famiglia dovrà essere svolto
con la scuola, fornendo agli insegnanti informazioni chiare e
precise sull’ADHD e sulle sue diverse manifestazioni al fine di
evitare che essi si costruiscano rappresentazioni non corrette
sul disturbo con attribuzioni legate magari a difetti della
personalità,
di
problematica ecc.
carattere,
a
una
situazione
familiare
Interventi basati sui comportamenti negativi:
1. Ignorare Pianificato
Una strategia vincente può essere proprio quella di ignorare
sistematicamente i comportamenti indesiderabili, utilizzati per
attirare l’attenzione su di sé, rinforzando allo stesso tempo quelli
positivi. Nei casi in cui venga accertato che un comportamento
inappropriato sia stato rinforzato dall’attenzione dell’insegnante,
l’ignorare pianificato richiederebbe il ritiro dell’attenzione quando il
comportamento si ripresenta; infatti, se l’intento del bambino è
quello di attirare l’attenzione con modalità disturbanti, ogni
qualvolta l’attenzione arriva, tale comportamento viene premiato e
rinforzato. Un punto importante riguardo al ritiro dell’attenzione è
che, nella fase iniziale, l’alunno intensificherà i comportamenti
indesiderabili nel tentativo di riottenere ciò che ha perso. Questo è il
momento cruciale in cui la tenacia nell’ignorare porterà il
comportamento a ridursi sino a scomparire
2. Rimproveri
Il rimprovero conseguente a comportamenti negativi è un
momento di importante valore educativo in quanto si ha la
possibilità di dare diverse indicazioni di ritorno al bambino che
si intende punire.
Una formulazione del rimprovero che risulta particolarmente
efficace è il rimprovero centrato sul comportamento. Si tratta
di un tipo di rimprovero suddiviso in quattro fasi: descrizione
del comportamento indesiderabile, spiegazione del perché tale
comportamento è indesiderabile, suggerimento di un
comportamento alternativo, indicazione del vantaggio che
deriva dall’uso del comportamento adeguato.
Questa modalità di rimprovero ha il vantaggio di evidenziare non
solo il comportamento indesiderabile, ma di indicare anche quale
potrebbe essere il comportamento adeguato in tale circostanza;
inoltre viene accuratamente evitato ogni commento svalutativo nei
confronti del bambino, qualsiasi giudizio di tipo morale,
enfatizzando invece gli aspetti pragmatici del comportamento.
3. Time Out
Il termine time out significa letteralmente sospensione e trae origine dalla
terminologia sportiva del basket, dove viene utilizzato per indicare una
breve sospensione o interruzione della partita.
I bambini con ADHD a volte presentano dei comportamenti impulsivi e
incontrollabili che lasciano poco spazio all’efficacia di altre tecniche; il
time out, infatti, viene utilizzato soprattutto per interrompere quei
comportamenti esplosivi, collerici, aggressivi e fortemente indisponenti.
Esso consiste nell’allontanare il bambino dal luogo in cui si trova,
collocandolo in un luogo neutro e insignificante, con lo scopo di
interrompere atteggiamenti negativi e tipicamente distruttivi. In
questo contesto, quindi, il time out indica sospensione, per il
bambino, di ogni attenzione, gratificazione o soddisfazione. I
bambini non gradiscono il time out proprio perché esso comporta la
perdita di qualcosa: sia essa l’attenzione degli insegnati o la
possibilità di disturbare gli altri.
Se l’alunno viene messo sistematicamente in time out quando
manifesta determinati comportamenti, sarà sempre più motivato a
ridurre tali reazioni e a escogitare altre e più desiderabili modalità di
comportamento; se questi nuovi modi di agire verranno
adeguatamente ricompensati e incoraggiati, sarà sempre più
probabile che in futuro tendano a consolidarsi in alternativa a
comportamenti indesiderabili.
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