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ADHD: Disturbo Da Deficit Di Attenzione E Iperattività Biologia dei Processi Cognitivi CFU a Scelta Dr.ssa Alessia Rizzuto [email protected] 08713555351 “Sono alcuni di quei bambini che troviamo alle feste dei nostri figli, nei bus o sul treno, nelle scuole o per la strada e che si mostrano continuamente agitati, in continuo movimento, che non riescono a stare mai fermi, che si dimenano continuamente e che i genitori trovano grande difficoltà a tenere buoni. Quando poi iniziano a frequentare la scuola, sono quei bambini che le insegnanti non vorrebbero mai tenere: si alzano continuamente dal loro posto, danno fastidio ai compagni, non riescono a svolgere i compiti loro assegnati e finiscono spesso per cambiare banco, classe e talvolta scuola. Il loro profitto scolastico proprio per la ridotta capacità di concentrazione è spesso scarso o comunque sufficiente e difficile è il loro rapporto con i coetanei, ma anche con gli adulti per la grande impulsività”. (AIFA, Associazione Italiana Famiglie ADHD) Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI) •Disturbo evolutivo dell’autocontrollo •Eziologia di carattere neurobiologico •Interferisce con il normale sviluppo psicologico del bambino ostacolando lo svolgimento delle comuni attività quotidiane ADHD: Difficoltà di Attenzione e Concentrazione Difficoltà nel controllo degli impulsi e del livello di attività Bambini ADHD presentano le seguenti difficoltà: Controllo degli impulsi Posticipo delle gratificazioni Riflettere prima di agire Aspettare il proprio turno Svolgere ordinatamente giochi organizzati in cui vi sia uno scopo da raggiungere con una sequenza articolata di azioni Difficoltà a relazionarsi con gli altri Problemi scolastici Rimproveri da parte delle figure di riferimento (genitoriinsegnanti) Senso di inadeguatezza percepito dai frequenti insuccessi Scarsa autostima e demotivazione Aumento delle difficoltà Cenni Storici ADHD: fu identificato per la prima volta agli inizi del 1900 anche se non era ancora chiamato così. Dopo la 1° Guerra Mondiale, i ricercatori notarono che i bambini che avevano contratto l’encefalite mostravano un’alta incidenza di iperattività, impulsività e disturbi della condotta. ‘40: militari che avevano subito danni al cervello furono trovati affetti da disturbi comportamentali. Sembrava abbastanza probabile che alcuni tipi di lesione provocassero iperattività. Altre forme di danni cerebrali furono identificate come cause di iperattività (esposizione al piombo, intossicazione fetale da droghe o alcool). Dopo che in alcuni pazienti il danno cerebrale accertato venne considerato causa di iperattività, i ricercatori supposero che quest’ultima fosse sempre causata da danni cerebrali, anche quando di essi non vi era traccia. Questo spiega perché un tempo l’ADHD fosse chiamato “disfunzione cerebrale minima”. È proprio in virtù di questa associazione fra danni cerebrali e iperattività che le caratteristiche dell’ADHD sono tuttora ritenute da molti conseguenza di un disturbo organico del SNC. DSM III (1980): trovarono collocazione i bambini con problemi di attenzione e iperattività, nella sezione “Disturbo da deficit dell’attenzione con o senza iperattività”. Venivano messi in risalto i deficit cognitivi rispetto a quelli comportamentali. DSM-IV (APA, 1994) Deficit di attenzione Impulsività/Iperattività L’Attenzione Van Zomeren e Brouwer (1994), allo scopo di classificare i disturbi attenzionali e gli strumenti per la loro valutazione, hanno proposto un modello funzionale multicomponenziale che si basa su due dimensioni principali: •Temporale (intensità) •Spaziale (selettività) La dimensione dell’intensità ci permette di distinguere due componenti dell’attenzione: l’allerta e l’attenzione sostenuta La dimensione della selettività permette di definire invece altre due componenti: l’attenzione selettiva e l’attenzione divisa Chi presenta un deficit attentivo può manifestare difficoltà a diversi livelli ma secondo recenti studi in materia si è concordi nello stabilire che il problema maggiormente evidente nell’ADHD riguardi il mantenimento dell’attenzione nel tempo, soprattutto durante attività ripetitive e noiose o in attività che richiedano una discreta dose di flessibilità cognitiva e uso di strategie. Queste difficoltà si manifestano anche nell’ambito di attività ludiche in cui il bambino manifesta frequenti passaggi da un gioco all’altro senza completarne alcuno. A scuola: evidenti difficoltà nel prestare attenzione ai dettagli; i lavori sono incompleti e disordinati. Insegnanti e genitori riferiscono che i bambini ADHD sembrino non ascoltare; si può rimanere inoltre molto colpiti dal disordine con cui gestiscono il materiale scolastico e dalla facilità con cui vengono distratti da suoni o da altri stimoli irrilevanti. Di norma preferiscono orientare l’attenzione verso attività immediatamente gratificanti, evitando quelle che richiedono un lavoro impegnativo per poter avere subito un riconoscimento e un’approvazione; questo porta alla ricerca continua di nuovi stimoli, interessanti e divertenti. Motivazione (Edmund Sonuga-Barke, Jaap Van der Meere) È stata esaminata la motivazione come fattore influenzante le prestazioni attentive. Il problema principale dei bambini ADHD sarebbe un deficit motivazionale. Motivazione: sistema di processi psicologici che consentono a una persona di orientare le proprie risorse cognitive e comportamentali al fine di raggiungere un certo obiettivo considerato gratificante. L’attenzione si situa nel più ampio concetto di “autoregolazione”. L’autoregolazione include la capacità di posticipare una gratificazione, il controllo degli impulsi e delle emozioni, il controllo dell’attività motoria e di quella verbale; essa include dunque tutte quelle abilità che consentono di orientare il comportamento rispetto alle richieste interne ed esterne. I bambini ADHD sanno che un certo compito è importante e andrebbe portato a termine ma non riescono ad autoregolare il proprio sforzo per raggiungere l’obiettivo; da qui la convinzione di non essere in grado di affrontare e risolvere i problemi. Da un punto di vista neurobiologico, lo sviluppo dei processi di autoregolazione è strettamente determinato dalla maturazione delle aree anteriori del cervello. Pertanto l’attenzione, e più in generale l’autoregolazione, si sviluppa nella maggior parte dei bambini, tra i 3 e i 10 anni, proprio a causa della maturazione dei lobi frontali e della corteccia cerebrale. L’autoregolazione implica anche l’aumento di abilità inibitorie sia a livello comportamentale che cognitivo. L’iperattività Eccessivo e inadeguato livello di attività motoria che si manifesta con una continua irrequietezza. “mossi da un motorino”: muovono continuamente le gambe anche da seduti, giocherellano o lanciano oggetti, si spostano da una posizione all’altra, non riescono a rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei coetanei, a scuola hanno difficoltà a rimanere seduti. L’impulsività Incapacità di aspettare o inibire risposte e comportamenti che in quel momento risultano inadeguati. Impulsività Motoria vs Impulsività Cognitiva Impulsività motoria: tendenza ad agire immediatamente in presenza di uno stimolo. Impulsività cognitiva: incapacità nel ritardare una gratificazione o tendenza ad attuare comportamenti svantaggiosi o pericolosi pur di ottenere nell’immediato una forte gratificazione. I bambini impulsivi rispondono troppo velocemente, interrompono frequentemente gli altri quando stanno parlando, non riescono a stare in fila e attendere il proprio turno. Oltre ad una persistente impazienza, l’impulsività si manifesta anche nell’intraprendere azioni pericolose senza considerare le possibili conseguenze negative. L’impulsività è una caratteristica che rimane abbastanza stabile durante lo sviluppo ed è presente anche negli adulti con ADHD. Iperattività e Impulsività: difficoltà di inibizione dei comportamenti inappropriati, definita da Barkley (1997) disinibizione comportamentale Diagnosi DSM-IV (APA, 1994) ICD-10 (OMS, 1992) Disattenzione 1. spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici o in altre attività 2. spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco 3. spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente 4. spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici o i propri doveri, non a causa di un comportamento in opposizione alle regole sociali 5. spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività 6. spesso evita di impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale prolungato (come compiti a scuola o a casa) 7. spesso perde gli oggetti necessari per i compiti e le attività quotidiane 8. spesso è facilmente distratto da stimoli estranei 9. spesso è sbadato nelle attività quotidiane Iperattività 10. spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia 11. spesso lascia il proprio posto in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto 12. spesso scorrazza e salta ovunque in modo eccessivo in situazioni in cui è fuori luogo 13. spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquilli 14. spesso si muove come se fosse guidato da un motorino 15. spesso parla eccessivamente Impulsività 16. spesso <<spara>> le risposte prima che le domande siano state completate 17. spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno 18. spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per esempio si intromette nelle conversazioni o nei giochi) DSM-IV: per poter ricevere diagnosi di ADHD, è necessario che i sintomi descritti (6 o più) si manifestino prima dei 7 anni d’età, durino da più di sei mesi, siano pervasivi, quindi evidenti in almeno due diversi contesti della vita del bambino, causino una compromissione significativa del funzionamento globale: è necessario constatare che proprio a causa di quei comportamenti una persona manifesti un rendimento scolastico, sociale e professionale non adeguato rispetto a quanto atteso in base ad età, intelligenza, condizioni socio-affettive. DSM-5: i sintomi devono manifestarsi entro i 12 Adolescenti e adulti (dai 12 anni) devono presentarne almeno 5 anni DSM-IV: Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI). ICD-10: Disturbo dell’Attività e dell’Attenzione (DAA). DAA insieme alla Sindrome Ipercinetica della Condotta rientra nella categoria Sindrome Ipercinetica. DSM-IV: esordio prima dei 7 anni ICD-10: esordio prima dei 6 anni. ICD-10: si può porre diagnosi se il paziente presenta almeno 6 sintomi di disattenzione, 3 di iperattività, uno di impulsività; se inoltre si constata la contemporanea presenza di comportamenti aggressivi, riconducibili a DC o a DOP, la diagnosi non sarà più di DAA ma Sindrome Ipercinetica della Condotta. L’ICD-10 non ammette diagnosi associate. DSM-IV: si può porre diagnosi se il paziente manifesta 6 o più sintomi di disattenzione, iperattività/impulsività. DSM-IV tre sottotipi: Disattento Iperattivo-Impulsivo Combinato Prevalenza I criteri diagnostici dei due manuali conducono a percentuali differenti d’incidenza del disturbo. Nord America (DSM-IV) frequenza ADHD superiore a quella Europea (ICD-10). DSM-IV: 3% - 7% soggetti età inferiore 18 anni. ICD-10: soggetti ADHD < 2%. Evoluzione del Disturbo Massima incidenza tra i 6 e i 10 anni. Intorno ai 6 anni (ingresso scuola elementare, regole da rispettare, compiti da eseguire) la presenza del disturbo espone questi bambini a una forte compromissione in ambito scolastico e nelle relazioni sociali; in questa fase si evidenziano, oltre alle manifestazioni negative del comportamento, le difficoltà cognitive tipiche dell’ADHD. Adolescenza – Età Adulta: iperattività tende a diminuire ma può venire parzialmente sostituita da un’”agitazione interiorizzata” sotto forma di irrequietezza, logorrea, incapacità a rilassarsi e stare seduti per lunghi periodi; permane la disattenzione con conseguenze negative nelle capacità di organizzare studio e lavoro. Ne derivano continui cambiamenti nelle scelte di formazione o inserimento lavorativo, con l’attitudine ad intraprendere sempre nuove attività senza essere mai appagati da alcuna di loro. Fino a non molti anni fa si riteneva che l’ADHD si risolvesse favorevolmente con lo sviluppo. Per circa 1/3 dei bambini l’ADHD costituisce semplicemente un ritardo nello sviluppo delle funzioni esecutive: con l’età adulta essi non manifestano più sintomi di disattenzione o iperattività. 40% dei casi i sintomi permangono in adolescenza e età adulta con correlate difficoltà sociali, emozionali e di inserimento lavorativo. 15% - 20% oltre ai sintomi tipici mostrano altri disturbi psicopatologici (alcolismo, td, Disturbo Antisociale di personalità). Il più importante indice predittivo di tale evoluzione è la presenza in infanzia di una comorbilità ADHD-DC; tale associazione ha una prognosi significativamente peggiore di quella di un DC puro. Comorbilità Studi su campioni clinici ed epidemiologici sono concordi nell’affermare che almeno il 70% dei soggetti ADHD presenta un disturbo associato. Comorbilità più frequenti: • Disturbi delle condotte esternalizzate (DOP, DC) e internalizzate (ansia, disturbo bipolare, depressione) • DSA ADHD e DOP Comorbilità più frequente (40%). DOP: collericità, tendenza a infastidire e irritare gli altri intenzionalmente. Bambini con DOP: “attacabrighe”, si propongono con atteggiamenti di sfida, soprattutto nei confronti degli adulti, prendono in giro i coetanei, utilizzano un linguaggio eccessivamente disinibito. Se presente insieme all’ADHD, il DOP può complicare le relazioni sociali del bambino, il rendimento e inserimento scolastico. Criteri diagnostici DSM-IV almeno 4 dei seguenti sintomi da almeno 6 mesi: Spesso va in collera Spesso litiga con gli adulti Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste o le regole degli adulti Spesso irrita deliberatamente le persone Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento È spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri È spesso arrabbiato o rancoroso È spesso dispettoso e vendicativo ADHD e DC Se il bambino persevera in comportamenti aggressivi o nella violazione delle regole si può trattare di un DC che include veri e propri comportamenti dissociali. Caratteristica fondamentale DC: modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri, le regole, le norme della società vengono violate. Soggetti con DC: scarsa empatia, scarsa attenzione per i sentimenti, i desideri, il benessere degli altri. Possono essere insensibili, mancare di adeguati sentimenti di colpa e rimorso. Sono frequentemente associate scarsa tolleranza alla frustrazione, irritabilità, esplosioni di rabbia e avventatezza. DC può essere diagnosticato in soggetti che hanno più di 18 anni solo se non vengono soddisfatti i criteri per il Disturbo Antisociale di Personalità. Associazione ADHD – DC molto meno frequente rispetto a quella ADHD – DOP (10% - 15%) Sebbene i bambini ADHD manifestino spesso un comportamento iperattivo e impulsivo che può essere dirompente, questo comportamento non viola di per sé le norme societarie appropriate per l’età e quindi non soddisfa i criteri per un DC. Quando esiste tale comorbilità, essa individua un sottogruppo di soggetti ad alto rischio di evoluzione antisociale. Questi bambini hanno in genere un DC più precoce, grave e duraturo che fa seguito ad un iniziale ADHD con possibile evoluzione verso un Disturbo Antisociale di personalità. Ne deriva che probabilmente, il rischio che l’ADHD evolva in tale disturbo, sia dovuto in misura minima all’ADHD e maggiormente alla sua associazione con un DC. ADHD-DSA 40% bambini ADHD presenta difficoltà di apprendimento scolastico pur dimostrando abilità intellettive nella norma. Difficoltà di apprendimento in età evolutiva: Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), Disturbi non Specifici dell’Apprendimento (DNSA). Mediamente i bambini di 8/9 anni che vengono osservati per i problemi di iperattività/impulsività e disattenzione, presentano anche prestazioni basse di rendimento. In questo caso è necessario valutare e distinguere se si tratti di ADHD, DSA o entrambi. Optimal Management of ADHD in Older Adults (Torgersen et al., 2016) Come si manifesta il Disturbo nei sg ≥50 anni? I sintomi persistono in almeno 2/3 dei pz diagnosticati nell’infanzia. Numerosi casi di sg che chiedevano una prima valutazione. Prevalenza non ancora chiara Kassler et al. (2006): prevalenza 4.4%, in soggetti ≤40 anni Kooij et al. (2005): 50% del campione ≥50 anni (range: 18-75); prevalenza 1-2.5% Sintomi principali ADHD persistono in età adulta Nonostante la persistenza dei sintomi, essi si manifestano con modalità differenti nel corso dello sviluppo. Iperattività e impulsività tendono a declinare con l’età mentre la disattenzione persiste. Impulsività: in età adulta può manifestarsi con esplosioni di rabbia, impazienza, guida spericolata e decisioni affrettate. Disattenzione: si manifesterà con disorganizzazione, dimenticanze, scarso rendimento nella pianificazione e nel completamento dei compiti, nel cambio compito e nella gestione del tempo. A causa di questo cambiamento evolutivo nell’espressione dei sintomi, molti adulti non soddisferanno appieno i criteri diagnostici pur rimanendo significativamente compromessi. Inoltre, l’ADHD in età adulta è significativamente correlato con la disregolazione emotiva (ED). ED include sintomi come un’aumentata irritabilità, bassa tolleranza alle frustrazioni e allo stress, labilità emotiva. Comorbidità Forte comorbidità psichiatrica che avrà un impatto negativo sui risultati del trattamento nel corso della vita. Insorge prevalentemente durante l’infanzia e l’adolescenza e più raramente dopo i 20 anni. I disturbi più frequentemente associati riguardano i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore, disturbo antisociale di personalità e disturbo da uso di sostanze. Esistono pochi studi riguardanti la comorbidità in adulti ≥50 anni. In generale sono stati riscontrati, rispetto ai gruppi di controllo, sintomi ansiosi e depressivi, bassa autostima, inadeguatezza sociale. ADHD in età adulta è associato, inoltre, a compromissione del funzionamento sociale, occupazionale, accademico. 148 adulti con ADHD (età media 55.7): più frequentemente single (41.5% versus 25.2%) e meno frequentemente impiegati (48.8% versus 69.2%) rispetto al gruppo di controllo. Il livello di istruzione non è risultato significativamente diverso (Lensing et al., 2015) Gli adulti ≥50 anni con ADHD presentano una qualità di vita ridotta rispetto alla popolazione nomale. È stato riscontrato, inoltre, un più alto numero di divorziati e una rete sociale e familiare più povera con conseguente solitudine ed emarginazione sociale. A causa dei pochi studi e dei piccoli campioni non è possibile però arrivare a conclusioni definitive riguardo le compromissioni in adulti ADHD ≥50 anni. Comunque sembra essere certo che l’impatto negativo del disturbo persista nell’età adulta. Sono stati pubblicati pochi studi farmacoterapia degli adulti con ADHD. riguardanti la Con l’invecchiamento si verificano dei cambiamenti che possono modificare farmacocinetica e farmacodinamica dei farmaci psicotropi; tutto ciò può influenzare l’efficacia, la tollerabilità e la sicurezza di qualsiasi trattamento psicofarmacologico. È comunque raccomandata una terapia personalizzata per ciascun paziente per bilanciare il rapporto rischi-benefici Sebbene quello farmacologico sia considerato il trattamento d’elezione nella terapia ADHD, non è spesso sufficiente. Molti fattori possono ridurre l’effetto del farmaco (scarsa aderenza alla terapia, discontinuità nell’assunzione del farmaco). Inoltre, l’alta prevalenza di disturbi psichiatrici, strategie compensatorie inefficienti e pensieri disadattivi possono ridurre l’efficacia farmacologica. Diversi studi sono stati effettuati sul trattamento psicologico dell’ADHD in età adulta. Solanto et al., (2010), hanno messo a confronto la terapia meta-cognitiva con una terapia di supporto in un gruppo formato da 88 Adulti ADHD tra 18 e 65 anni. Terapia meta-cognitiva: intervento in cui i principi cognitivi e comportamentali sono utilizzati per fornire competenze nello scomporre problemi complessi in unità più semplici e sostenere la motivazione. I pazienti che hanno ricevuto il trattamento meta-cognitivo hanno raggiunto significativi miglioramenti nei punteggi al test di Conner (ADHD Rating Scales), più precisamente nelle sottoscale relative alla disattenzione e alla memoria. Qual è la causa dell’ADHD? Basi Biologiche e Funzioni Esecutive La comprensione scientifica dell’ADHD si è notevolmente evoluta nel corso degli anni. Inizialmente esso era considerato un disturbo disorganizzante del comportamento associato a difficoltà nel mantenere l’attenzione; ora numerose prove indicano l’ADHD come un disturbo evolutivo, generalmente di tipo ereditario, derivante dal malfunzionamento di alcune reti di neurotrasmettitori e che determina un deficit nelle funzioni esecutive. Patologia multifattoriale: alcuni studiosi ritengono che vari fattori, neurobiologici e psicosociali contribuiscano insieme al suo manifestarsi, ma che i fattori psicosociali da soli non siano la causa primaria. Funzioni Esecutive: “una serie di abilità cognitive per il controllo e il monitoraggio di azioni complesse, nuove e incongruenti rispetto agli schemi di comportamento abitualmente applicati” (Tim Shallice) Le funzioni esecutive presuppongono 5 domini principali che riguardano: • La pianificazione • La memoria di lavoro • L’inibizione di altri stimoli • La fluenza • La flessibilità cognitiva Capacità di generare comportamenti ed azioni finalizzati al raggiungimento di uno scopo. La capacità di inibire alcune risposte motorie ed emotive a stimoli esterni, al fine di permettere la prosecuzione delle attività in corso (autocontrollo), è fondamentale per l’esecuzione di qualsiasi compito. Durante lo sviluppo, la maggior parte dei bambini matura la capacità di impegnarsi in attività mentali che li aiutino a non distrarsi, a ricordare gli obiettivi, a compiere i passi necessari per raggiungerli Funzioni Esecutive Nella regolazione di questi sistemi è coinvolta la corteccia prefrontale, coinvolta nel mantenimento dell’attenzione e nella regolazione del comportamento mediante le connessioni con la corteccia motoria e sensoriale e con le strutture sottocorticali (gangli della base, cervelletto). Studi di imaging hanno dimostrato che pazienti ADHD presentano alterazioni a carico della corteccia prefrontale, rilevando una debole attivazione della stessa quando essi sono impegnati nel regolare l’attenzione e il comportamento. Altri studi hanno dimostrato che bambini ADHD confrontati con bambini di controllo, mostrano una sottile riduzione del volume totale del cervello di circa il 4%; oltre a questa globale riduzione, tecniche di RMN hanno messo in evidenza che anche la corteccia frontale e alcuni nuclei della base (nucleo caudato e globo pallido) risultano più piccoli: tali differenze sono maggiori nell’emisfero destro. Differenze significative: le aree cerebrali di dimensioni ridotte sono proprio quelle che regolano l’attenzione. La corteccia prefrontale destra è coinvolta nella programmazione e nel controllo del comportamento, nella capacità di resistenza alle distrazioni, nell’esecuzione motoria delle risposte e nella consapevolezza di sé e del tempo. Il nucleo caudato e il globo pallido agiscono interrompendo le risposte automatiche per permettere una decisione più accurata da parte della corteccia cerebrale e per coordinare gli impulsi che raggiungono le diverse regioni della corteccia. Dal punto di vista dell’attività neuronale, nei gangli della base e nella corteccia prefrontale dei bambini ADHD avviene un consumo di glucosio inferiore rispetto ai bambini di controllo, di circa il 10% e una minor irrorazione sanguigna nello striato. La ridotta attività delle aree anteriori del cervello determina un’incapacità di controllare il proprio comportamento e un allentamento dei freni inibitori. Conseguenze iperattività comportamentale, impulsività, ridotta capacità attentiva. A livello biochimico, i sistemi neurotrasmettitoriali maggiormente coinvolti nell’ADHD, per una disregolazione del loro funzionamento, sono quello dopaminergico e noradrenergico. Dopamina: controllo del movimento, meccanismi di ricompensa, risposte emozionali e motivazionali, incluse esperienze di piacere e di dolore come risposte ad eventi ambientali positivi e negativi. Il livello di Dopamina e di Noradrenalina nelle regioni anteriori dei bambini ADHD è inferiore rispetto a quello dei bambini di controllo. Insufficiente rilascio ed eccessivo reuptake del neurotrasmettitore a livello sinaptico fa sì che il bambino non possieda una concentrazione di neurotrasmettiri tale, da permettere un adeguato funzionamento delle aree frontali. Metilfenidato/Atomoxetina: particolarmente efficaci nel ridurre i sintomi di disattenzione/iperattività poiché regolano i meccanismi d’azione di Dopamina e Noradrenalina rallentandone l’assorbimento. Le aree frontali quando funzionano normalmente, sono in grado di porre adeguati freni inibitori al comportamento, consentendo di controllare l’impulsività, di pianificare le azioni e di mantenere la concentrazione per prolungati periodi di tempo. Aree frontali sottoattivate: disinibizione del comportamento, incapacità di ritardare le risposte impulsive, cadute attentive. Il ruolo della Genetica: Innato o Acquisito? Genetica delle popolazioni: studia le cause dei comportamenti confrontando gemelli omozigoti e gemelli dizigoti. Gemelli omozigoti: stesso patrimonio genetico; ogni differenza di comportamento sarà imputabile all’ambiente (condiviso e non) Gemelli dizigoti: somiglianze nel patrimonio genetico paragonabili a quelle tra due fratelli. Uno degli aspetti più indagati per dimostrare la componente innata dell’ADHD. E’ stata dimostrata una forte componente genetica nella sua eziologia. Fratelli e sorelle di bambini ADHD hanno una probabilità di sviluppare il disturbo da 5 a 7 volte maggiore rispetto a famiglie senza casi ADHD. Figli di un genitore ADHD fino al 50% di probabilità di sviluppare le stesse difficoltà. Studi su gemelli monozigoti suggeriscono un’ereditabilità dell’80%, per i gemelli dizigoti la probabilità che entrambi presentino il disturbo, scende al 30% - 35%. ADHD: disturbo poligenico; ad oggi nessun gene gioca un ruolo primario. Varianti geniche più studiate: DAT1: codifica per il trasportatore della Dopamina DRD4: codifica per il recettore D4 della Dopamina DAT: principale responsabile della rimozione della dopamina dalla fessura sinaptica e quindi della terminazione del segnale. D4: l’espressione di questo recettore è moderata nella corteccia prefrontale e suggerisce un possibile coinvolgimento nei processi della working-memory Fattori Ambientali Se è vero che alcuni bambini nascono con una predisposizione genetica-neurobiologica a sviluppare l’ADHD, è anche vero che le modalità con cui esso si esprime permangono durante la crescita e sono legate al contesto culturale e sociale del bambino. Gli studi della genetica delle popolazioni affermano che le cause dell’ADHD siano da imputare per il 70% a fattori di tipo genetico, mentre per il restante 30%, esso potrebbe derivare da cause di tipo ambientale. L’ambiente (famiglia, scuola) ha un ruolo fondamentale nel determinare la comparsa del disagio. Chi non vive con un bambino iperattivo tende ad attribuire la cause del problema ai genitori, accusati, il più delle volte di non aver saputo trasmettere buone norme comportamentali; dalle osservazioni cliniche emerge che i genitori di bambini ADHD sono particolarmente direttivi e impongono regole con maggiore impegno rispetto a quelli che non hanno figli ADHD. Barkley (2006) Quali sono le vere responsabilità dei genitori nell’insorgenza del disturbo e quanto invece sia il bambino a causare certi comportamenti nei genitori? Effetti del Metilfenidato e del Placebo sulla relazione madre-bambino. Due gruppi Bambini ADHD; 1)gruppo sperimentale: metilfenidato; 2)gruppo di controllo: placebo Risultati: è stato dimostrato che il farmaco produce netti miglioramenti nella concentrazione e nel comportamento; a ciò corrisponde, da parte delle madri, una minor impartizione di comandi, meno rimproveri e un atteggiamento meno teso e diffidente nei confronti dei bambini. Lo stesso non si è verificato nelle famiglie i cui bambini avevano assunto un placebo e i cui comportamenti erano rimasti pressoché invariati. Questi risultati indicano che la maggior parte degli atteggiamenti negativi dei genitori sia probabilmente non la causa dei comportamenti disorganizzati e disturbanti del figlio ma una risposta ad essi. Una vita familiare disorganizzata, priva di regole o in cui i genitori accusano stress e problemi coniugali, può far insorgere problemi di attenzione o di iperattività nei bambini. Una famiglia equilibrata e ben strutturata è in grado invece di fornire ai propri figli una crescita serena. Se questo è vero per tutti i bambini, lo è ancor di più per quelli con ADHD, il cui comportamento è particolarmente esposto alle influenze esterne. Regolarità nello stile di vita e coerenza nell’educazione costituiscono due elementi essenziali per la crescita di un bambino. Valutazione Diagnostica Iter Diagnostico complesso. Le figure professionali (es. neuropsichiatra infantile) che in sede diagnostica si occuperanno del bambino, effettueranno una serie di test e osservazioni al fine di stabilire o meno l’esistenza del disturbo e la gravità: è importante sottolineare che non esistono test diagnostici specifici per questo disturbo, la diagnosi si basa sull’osservazione clinica, la raccolta di informazioni fornite da fonti multiple (genitori, insegnanti, educatori) e sulla somministrazione di strumenti di varie tipologie: interviste cliniche, questionari di auto o eterosomministrazione, test cognitivi-neuropsicologici. La raccolta d’informazioni avviene durante i primi colloqui durante i quali il clinico ricostruisce la storia globale del bambino e della sua famiglia; per fare ciò, egli può avvalersi anche di questionari o interviste strutturate o semistrutturate che indagano sistematicamente tutti i sintomi dei disturbi psichici che possono insorgere in età evolutiva e che quindi hanno il vantaggio di essere maggiormente attendibili. L’uso dei questionari va sempre accompagnato dall’utilizzo di interviste diagnostiche che esplorano l’intera gamma della psicopatologia: ciò consente di individuare eventuali patologie associate, quali disturbi del comportamento (DOP, DC), disturbi dell’umore (depressione e distimia, disturbo bipolare), disturbi d’ansia (ansia generalizzata, panico, fobia), disturbi di apprendimento, tic e disturbo ossessivo-compulsivo. Oltre alle interviste semistrutturate, rappresentano un elemento essenziale per l’indagine diagnostica dell’ADHD, i questionari per la valutazione comportamentale: essi rappresentano una misura quantitativa da cui ricavare lo scostamento del comportamento del bambino rispetto alla media della popolazione. Ogni questionario per la valutazione comportamentale comprende di solito due o tre versioni parallele: una per i genitori, una per gli insegnanti e una per il bambino. Una volta completata la raccolta di informazioni sul comportamento del bambino tramite i resoconti di insegnanti e genitori, lo psicologo può somministrare dei test cognitivi per indagare alcune funzioni neuropsicologiche e programmare eventualmente un intervento riabilitativo. La valutazione cognitiva non può prescindere dalla somministrazione della scala Wechsler per bambini, la Wisc-R (Wechsler intelligence scale for children-Revised), che permette di valutare le abilità verbali, di performance e visuo-spaziali. Successivamente verranno indagate le abilità di apprendimento scolastico, in particolar modo la lettura, la comprensione del testo, l’ortografia e il calcolo aritmetico. Oltre alla valutazione cognitiva generale e dell’apprendimento scolastico è opportuno procedere alla valutazione di altri processi cognitivi maggiormente deficitari nei bambini ADHD: l’attenzione sostenuta, l’uso di strategie, l’inibizione di risposte impulsive e i processi di problem-solving. Attenzione sostenuta: Continuous Performance Test (CPT), Matching Familiar Figure Test (MFFT), Torri di Londra, Stroop Test. Brown Attention-Deficit Disorders Scales (Brown ADD Scales) 1996: prima versione per la diagnosi di adulti e adolescenti, ; 40 item autosomministrabile. Successivamente sviluppa una versione destinata a sg con età 3-12. Versione Adulti: sg con età > 18 Versione Adolescenti: sg con età 12-18. Versione Bambini 3-12 comprende 2 elenchi paralleli di item: uno rivolto a bambini 3-7 anni e un altro da impiegare con bambini 8-12 Bambini 3-7 anni: 2 versioni composte da 44 item ciascuna (genitori e insegnanti) Bambini 8-12 anni: 3 versioni composte da 50 item ciscuna (genitori, insegnanti, autovalutazione). Nella versione per adolescenti e adulti gli item sono raggruppati in 5 cluster che rappresentano gli aspetti fondamentali per una diagnosi di ADHD: 1. Organizzazione e Attivazione 2. Attenzione e Concentrazione 3. Sforzo ed Energie 4. Interferenze Affettive 5. Memoria di Lavoro Nella versione per bambini i cluster sono 6 (Azione/Iperattività) Ogni cluster rappresenta un aspetto fondamentale dell’ADHD. 1. Organizzazione e Attivazione: difficoltà che il bambino può incontrare nell'organizzare e nell'iniziare compiti di tipo lavorativo (attività non piacevoli), es. dover rispettare lo svolgimento delle routine giornaliere quali vestirsi e mettere a posto i giocattoli o difficoltà nell'organizzare i compiti a casa e iniziare a svolgere gli incarichi. 2. Attenzione e Concentrazione: problemi cronici nel mantenere l'attenzione e nel focalizzarsi su un compito o ancora nello spostarla, quando necessario (es. l'adulto deve ripetutamente chiedere al bambino di fermarsi e di ascoltare, in misura superiore a quella attesa,oppure nei casi in cui sono presenti difficoltà nell'ascoltare la lettura di storie e nel passare da un'attività a un'altra. Per bambini più grandi gli item includono domande relative a un'eccessiva distraibilità e a una difficoltà a cogliere il tema principale, quando sono impegnati in una lettura). 3. Sforzo ed Energie: problemi nel mantenersi vigile e sostenere uno sforzo sufficiente durante i compiti; si riferisce, inoltre, ad una lentezza nella elaborazione delle informazioni, alla tendenza a completare in maniera non adeguata i compiti e a un livello di prestazione incostante. (es. bisogno di eccessivi stimoli per mangiare e per prepararsi ad andare a letto e la tendenza a rinunciare velocemente ad apprendere nuovi compiti; difficoltà nel completare i compiti nel tempo previsto e la necessità che venga loro ricordato di portare a termine un incarico loro attribuito). 4. Interferenze Affettive:fino a che punto le difficoltà nel regolare le reazioni emotive (come frustrazioni, preoccupazioni, rabbia, tristezza) possano prendere il sopravvento su quello che il soggetto sta pensando o facendo. L'attenzione è posta sulle frustrazioni legate ad eccessiva irritabilità, alla sensazione di sentirsi troppo facilmente feriti, al mancato compimento del lavoro a causa di rimuginii eccessivi o di sentimenti di eccessivo scoraggiamento e di depressione. 5. Memoria di Lavoro: l'impatto che i problemi di memoria e di rievocazione delle nozioni apprese comportano nelle attività quotidiane. Le difficoltà maggiori riguardano il ricordare le indicazioni e le routine quotidiane; il portare a compimento azioni organizzate, ricordare il materiale appreso e memorizzare vocaboli o regole matematiche. 6. Iperattività: difficoltà che il bambino potrebbe incontrare nel valutare quali siano i comportamenti più appropriati e nel regolare, di conseguenza, le proprie azioni. Il bambino si intromette o interrompe continuamente gli altri ed è incapace di tollerare l'attesa, in misura molto superiore rispetto a quello che accade ai coetanei; è presente, inoltre, la tendenza a insistere e a parlare anche dopo essere stati zittiti, ad agire o a prendere le cose prima di aver ricevuto il permesso o che siano date le indicazioni, a fare le cose in modo troppo rapido e a scrivere frettolosamente lettere e numeri senza verificarne la correttezza. ≥ 70 Marcatamente atipico, problema molto significativo. 60-69. Moderatamente atipico, problema significativo 55-59 Parzialmente atipico, preoccupazione probabilmente significativa. ≤ 54 Range medio, preoccupazione che potrebbe essere significativa. La Terapia Farmacologica Nei paesi anglosassoni, l’ADHD viene affrontato soprattutto con farmaci che stimolano l’attività cerebrale. L’efficacia e la tollerabilità degli psicostimolanti è stata descritta per la prima volta da Bradley nel 1937 ed è stata documentata da circa 60 anni di esperienze cliniche. Questo approccio è giustificato da molti risultati scientifici secondo i quali circa il 70-80% dei bambini ADHD trattati con metilfenidato, mostra una riduzione dei sintomi uguale o superiore al 50%. I farmaci registrati in Italia per la terapia farmacologica dell’ADHD sono il Ritalin Metilfenidato (Novartis) e l’Atomoxetina (Strattera). Il metilfenidato è sicuramente lo psicostimolante più utilizzato; fino al 2003 era considerato in Italia sostanza illegale. Esso è il principio attivo di un farmaco la cui molecola somiglia molto a quella delle sostanze derivate dalle amfetamine. Tutti gli psicostimolanti inibiscono il reuptake delle monoamine bloccando il trasportatore presinaptico; alcuni ne stimolano anche il rilascio dalle terminazioni sinaptiche. L’Atomoxetina è invece, un inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina a livello presinaptico, con un’attività minima sui trasportatori di altre monoamine quali dopamina e noradrenalina. Non è noto come il farmaco riduca i sintomi nel deficit di attenzione e di iperattività, tuttavia, come già affermato, si ritiene che la noradrenalina svolga un ruolo importante nel regolare l’attenzione, l’impulsività e i livelli di attività. Gli effetti del Metilfenidato sul comportamento dei bambini sono rapidi e intensi e permettono allo stesso di controllare l’iperattività e l’inattenzione. Durante l’assunzione del farmaco risultano migliorate le risposte ai test di attenzione, di vigilanza, di apprendimento visivo e verbale e di memoria a breve termine. I bambini ADHD, oltre ad essere meno impulsivi, irrequieti e distraibili, sono anche maggiormente capaci di tenere a mente informazioni importanti, di interiorizzare meglio il discorso autodiretto, di avere un maggior autocontrollo In genere il farmaco viene somministrato durante la frequenza scolastica attuando, quando possibile, una sospensione nel periodo estivo; bisogna tenere sempre presente, però, che una volta sospesa la terapia gli effetti del farmaco svaniscono. Una volta iniziato, il trattamento prosegue in genere per alcuni anni valutando, almeno una volta l’anno, l’utilità di continuare. Nei bambini, gli effetti terapeutici degli psicostimolanti non diminuiscono con l’uso prolungato e l’abuso e la dipendenza sono praticamente inesistenti. G. M. Marzocchi (2008): “E’ doveroso precisare che non tutti i bambini ADHD necessitano di un trattamento farmacologico. Dopo un’attenta valutazione medica, la decisione di usare farmaci deve basarsi sulla severità dei sintomi, sul consenso dei genitori e del bambino, sulle risorse cognitive del bambino, sulle capacità di genitori e insegnanti di gestire i problemi comportamentali e sui risultati di precedenti terapie”. Controversie Giù le Mani dai Bambini: La loro missione è quella di descrivere l’allarmante situazione attuale del mercato degli psicofarmaci in rapporto ai bambini. Secondo la tesi da loro sostenuta, alcune case farmaceutiche starebbero procedendo all’individuazione di nuovi segmenti di mercato per promuovere le vendite di diversi tipi di prodotti farmaceutici: la fascia d’età dell’infanzia sarebbe stata identificata dalle multinazionali del farmaco come un segmento ancora vergine e suscettibile quindi di un forte sviluppo. Ciò che maggiormente viene contestato da coloro che si oppongono alla commercializzazione del farmaco, è che l’ADHD non sia una patologia biologicamente definita; essa, cioè, si diagnostica in base ai sintomi e non in base ad un’anomalia riscontrabile anatomicamente (è importante sottolineare che non è possibile fare una diagnosi di ADHD tramite esami medici di laboratorio). Si considerano non di minore importanza gli effetti collaterali che il metilfenidato avrebbe sull’organismo e il rischio di suicidio e infarti derivante da agitazione, intollerabilità e inusuali cambiamenti nel comportamento. Negli Stati Uniti, secondo l’associazione Giù le mani dai Bambini, tra il 1990 e il 1997, le morti causate dal Ritalin sarebbero state almeno 160. Gli studi citati dall’AIFA, che hanno valutato questi casi, hanno però dimostrato da tempo che nell’utilizzo del metilfenidato i casi di decessi sono ricollegabili o ad assunzione dello stesso con particolari antidepressivi triciclici oppure a malformazioni cardiache congenite e quindi non direttamente ascrivibili al farmaco, ovvero ad altri casi limite. I casi di suicidi sono ricollegabili invece alla comorbidità dell’ADHD con altri disturbi (depressione maggiore, disturbi antisociali della personalità, etc.) e/o alla contemporanea assunzione di droghe e alcool. Anche lo Strattera, secondo quanto riportato dall’associazione Giù le Mani dai Bambini, sarebbe ad alto rischio suicidio; infatti, la Eli Lilly, la casa farmaceutica che lo produce, su richiesta della FAD (Food and Drug Administration), è stata costretta ad inserire nella scheda tecnica del medicinale un “warning” riguardante il rischio suicidio tra i bambini e gli adolescenti trattati con lo psicofarmaco. L'atomoxetina, la molecola alla base del farmaco, è stata messa in commercio dalla Eli Lilly nel tentativo di contrastare la posizione dominante della Novartis, produttrice del Ritalin, e trova anch'essa un largo impiego nel trattamento dell'ADHD e di altre sindromi del comportamento infantile. La Terapia Combinata L’obiettivo di ogni intervento terapeutico, per quel che riguarda l’ADHD, non è quello di far scomparire completamente i sintomi, ma di sviluppare un adeguato benessere che dipende anche dalle relazioni familiari e con gli insegnanti. Un trattamento, dunque, che includa tutte le persone coinvolte nella vita del bambino ADHD è la risposta più efficace per contrastare le difficoltà innescate dal disturbo stesso. La terapia combinata include sia la terapia psicologica che quella farmacologica. La terapia psicologica può comprendere a sua volta diversi interventi, dalla consulenza agli insegnanti, alla formazione dei genitori, fino al training cognitivo e metacognitivo per il bambino. L’intervento psicologico che riguarda tutte e tre le figure coinvolte nel problema (insegnanti, genitori, bambino), viene detto multimodale. Sintomi cardine (disattenzione, impulsività, iperattività): terapia farmacologica; Disturbi della condotta, di apprendimento e interazione sociale: interventi psicosociali, ambientali, psicoeducativi, centrati sulla famiglia, sulla scuola e sul bambino. La ricerca sui risultati del trattamento è molto incoraggiante. I bambini cui vengono somministrati esclusivamente farmaci o in combinazione con una terapia comportamentale hanno mostrato progressi significativi sia nel comportamento che nei risultati scolastici, così come nelle relazioni sociali con i compagni e la famiglia. I bambini ADHD che vengono sottoposti esclusivamente a trattamenti comportamentali, senza l’ausilio di una terapia farmacologica, mostrano miglioramenti solo a breve termine; la terapia psicologica da sola è inefficace anche nei casi in cui i farmaci siano somministrati in modo discontinuo Lo scopo principale degli interventi terapeutici è quello di migliorare il funzionamento globale del bambino. In particolare essi devono tendere a: •Migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti, coetanei; •Diminuire i comportamenti dirompenti e inadeguati; •Migliorare le capacità di apprendimento scolastico; •Aumentare l’autonomia e l’autostima; •Migliorare l’accettabilità sociale del disturbo e la qualità della vita del bambino affetto da ADHD Gli Interventi Psicoeducativi L’approccio psicoeducativo è costituito da una serie di interventi volti alla modificazione dell’ambiente fisico e sociale del bambino al fine di migliorarne il comportamento. Gli interventi psicoeducativi utilizzati per il trattamento dell’ADHD, che hanno dato maggiori riscontri di efficacia, sono quelli basati su un approccio cognitivocomportamentale. L’approccio cognitivo-comportamentale è focalizzato maggiormente sull’insegnamento diretto al bambino delle abilità di autocontrollo e delle abilità per la risoluzione dei problemi. Le aree d’interesse includono l’impulsività e l’autocontrollo, la stima di sé, le relazioni tra pari. Questi programmi sono implementati anche istruendo genitori e insegnanti su specifiche tecniche di ricompensa per comportamenti desiderati (rinforzo positivo) o di punizione/perdita di privilegi per il mancato raggiungimento degli obiettivi desiderati. L’applicazione ripetuta di tali premi e punizioni può modificare progressivamente il comportamento. Sono altresì incluse le tecniche cognitive per favorire l’apprendimento dell’auto-monitoraggio e del problem solving. Per le madri e i padri dei bambini ADHD, assumere un ruolo genitoriale efficace è di cruciale importanza. Questi bambini sono, come abbiamo già visto, per le loro caratteristiche, imprevedibili e difficili. Le conseguenze, dal punto di vista del genitore, possono essere uno stile educativo autoritario e la tendenza a imporre le regole, con la speranza che questo eviti situazioni in cui la relazione genitore-figlio degeneri. In realtà, in situazioni del genere può accadere proprio l’opposto: il bambino fa i capricci, il genitore cerca di risolvere la situazione in maniera rigida e punitiva e il bambino diventa ancora più oppositivo e capriccioso. Si instaurano quindi strategie di gestione del problema direttive e veicolate da comandi poco chiari e ripetitivi (Smettila! Fai sempre così, sei il solito. Stai attento! Ascoltami! Te l’ho ripetuto mille volte!) senza che vi sia da parte del genitore una vera e propria azione educativa efficace. Tutto ciò porta ad una funzione genitoriale poco coerente con situazioni sempre più difficilmente gestibili e a credenze su di sé, come genitori, e sul figlio, non obiettive e difficilmente modificabili; la tendenza è quella di vedere il proprio figlio come privo di punti di forza e pregi, impossibile da gestire, e percepire se stessi come un totale fallimento. Quando il clima familiare e le relazioni dei genitori con il loro bambino creano disagio, sofferenza e incapacità di trovare soluzioni e capire dove risieda la difficoltà, può essere necessario l’aiuto di un esperto che favorisca la visione e l’analisi distaccata del problema, e che aiuti a stilare un piano di lavoro adatto alla situazione. tra gli interventi rivolti ai genitori rientrano i Parent Training e cioè programmi strutturati di formazione che hanno lo scopo di favorire la comprensione delle modalità di interazione e l’acquisizione di maggiori competenze educative e relazionali. Nell’ambito dei programmi di parent training, i genitori vengono incoraggiati e aiutati ad affrontare i sintomi dell’iperattività, utilizzando tecniche efficaci per gestire quei comportamenti che sono per loro problematici. I parent training prevedono una parte di lavoro cognitivo per ristrutturare le attribuzioni dei genitori circa i comportamenti negativi dei loro figli e una parte di insegnamento di strategie comportamentali. Parent Training: educazione + formazione 1. Fornire informazioni relative al PT e all’ADHD 2. Favorire la comprensione delle modalità di interazione genitore-bambino e spiegare i principi di intervento comportamentale 3. Insegnare al genitore a stare con il bambino in modo non rigido e autoritario 4. Insegnare a prestare attenzione ai comportamenti positivi del bambino, in particolare quando manifesta autonomia e collaborazione 5. Concordare con il bambino un sistema di rinforzo a punti 6. Utilizzare tecniche quali il time out 7. Generalizzare il time out anche ad altri comportamenti problema 8. Gestire il comportamento del bambino nei luoghi pubblici 9. Prevedere probabili e future difficoltà comportmaentali 10.Richiamo e ripasso delle tecniche apprese (Barkley,1987) Il Lavoro con il Bambino Educazione al pensiero strategico e riflessivo (C. Cornoldi). Il training propone una serie di esercizi per aiutare il bambino a diventare meno impulsivo, a controllare la propria attenzione, a organizzare le proprie attività scolastiche ed extrascolastiche Un’altra modalità, mediante cui si guida il bambino verso l’acquisizione di un pensiero più riflessivo e strategico, si concretizza attraverso il dialogo interno, in particolare mediante una tecnica chiamata autoistruzione verbale, che si basa sull’apprendimento per imitazione dell’uso della verbalizzazione interna da parte del bambino; egli acquisisce, cioè, la capacità di dire a sé stesso cosa fare nelle diverse occasioni. L’autoistruzione può essere applicata per gestire il comportamento impulsivo che fa sì che il bambino non sia in grado di strutturare un pensiero lineare e strategico per l’esecuzione di azioni complesse. Mediante il dialogo interno i bambini con iperattività e difficoltà attentive sviluppano la capacità di riflettere e le abilità di autocontrollo. Esso può essere impiegato anche per il controllo della rabbia e per aiutare il bambino ad organizzarsi meglio. La Scuola Un lavoro parallelo a quello con la famiglia dovrà essere svolto con la scuola, fornendo agli insegnanti informazioni chiare e precise sull’ADHD e sulle sue diverse manifestazioni al fine di evitare che essi si costruiscano rappresentazioni non corrette sul disturbo con attribuzioni legate magari a difetti della personalità, di problematica ecc. carattere, a una situazione familiare Interventi basati sui comportamenti negativi: 1. Ignorare Pianificato Una strategia vincente può essere proprio quella di ignorare sistematicamente i comportamenti indesiderabili, utilizzati per attirare l’attenzione su di sé, rinforzando allo stesso tempo quelli positivi. Nei casi in cui venga accertato che un comportamento inappropriato sia stato rinforzato dall’attenzione dell’insegnante, l’ignorare pianificato richiederebbe il ritiro dell’attenzione quando il comportamento si ripresenta; infatti, se l’intento del bambino è quello di attirare l’attenzione con modalità disturbanti, ogni qualvolta l’attenzione arriva, tale comportamento viene premiato e rinforzato. Un punto importante riguardo al ritiro dell’attenzione è che, nella fase iniziale, l’alunno intensificherà i comportamenti indesiderabili nel tentativo di riottenere ciò che ha perso. Questo è il momento cruciale in cui la tenacia nell’ignorare porterà il comportamento a ridursi sino a scomparire 2. Rimproveri Il rimprovero conseguente a comportamenti negativi è un momento di importante valore educativo in quanto si ha la possibilità di dare diverse indicazioni di ritorno al bambino che si intende punire. Una formulazione del rimprovero che risulta particolarmente efficace è il rimprovero centrato sul comportamento. Si tratta di un tipo di rimprovero suddiviso in quattro fasi: descrizione del comportamento indesiderabile, spiegazione del perché tale comportamento è indesiderabile, suggerimento di un comportamento alternativo, indicazione del vantaggio che deriva dall’uso del comportamento adeguato. Questa modalità di rimprovero ha il vantaggio di evidenziare non solo il comportamento indesiderabile, ma di indicare anche quale potrebbe essere il comportamento adeguato in tale circostanza; inoltre viene accuratamente evitato ogni commento svalutativo nei confronti del bambino, qualsiasi giudizio di tipo morale, enfatizzando invece gli aspetti pragmatici del comportamento. 3. Time Out Il termine time out significa letteralmente sospensione e trae origine dalla terminologia sportiva del basket, dove viene utilizzato per indicare una breve sospensione o interruzione della partita. I bambini con ADHD a volte presentano dei comportamenti impulsivi e incontrollabili che lasciano poco spazio all’efficacia di altre tecniche; il time out, infatti, viene utilizzato soprattutto per interrompere quei comportamenti esplosivi, collerici, aggressivi e fortemente indisponenti. Esso consiste nell’allontanare il bambino dal luogo in cui si trova, collocandolo in un luogo neutro e insignificante, con lo scopo di interrompere atteggiamenti negativi e tipicamente distruttivi. In questo contesto, quindi, il time out indica sospensione, per il bambino, di ogni attenzione, gratificazione o soddisfazione. I bambini non gradiscono il time out proprio perché esso comporta la perdita di qualcosa: sia essa l’attenzione degli insegnati o la possibilità di disturbare gli altri. Se l’alunno viene messo sistematicamente in time out quando manifesta determinati comportamenti, sarà sempre più motivato a ridurre tali reazioni e a escogitare altre e più desiderabili modalità di comportamento; se questi nuovi modi di agire verranno adeguatamente ricompensati e incoraggiati, sarà sempre più probabile che in futuro tendano a consolidarsi in alternativa a comportamenti indesiderabili.