Linee guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle
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Linee guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle
UNIONE EUROPEA Fondo Europeo di Sviluppo Regionale Avv. Filippo Bersani Linee guida sui criteri di valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di affidamento dei servizi a favore delle Regioni Convergenza a valere sul POAT FESR 2007 - 2013, Obiettivo Operativo II.4 - Regioni Convergenza Studio Legale Bersani - Piazza Cola di Rienzo 69, 00192 Roma - Tel. 063244859 - mail [email protected] 1 INDICE 1. PREMESSA 2. STRUMENTI E DISPOSITIVI ADOTTATI A LIVELLO COMUNITARIO 2.1) Livello normativo 2.2) Comunicazioni e linee guida 2.3) In particolare, la Guida adottata dalla Commissione europea 2.4) Criteri sociali e fasi delle operazioni di appalto 2.5) Considerazioni metodologiche finali riguardo la Guida della Commissione 3. STRUMENTI E DISPOSITIVI ADOTTATI A LIVELLO INTERNO 3.1) Ricognizione dei principali fra questi 3.2) La considerazione degli aspetti socio-ambientali nel Codice dei contratti pubblici 3.3) Il PAN GPP 3.4) I decreti del Ministero dell'Ambiente di individuazione dei criteri ambientali minimi per alcune tipologie di acquisto 3.5) La “Guida per l’integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici” del Ministero dell'Ambiente 3.6) Gli appalti riservati e gli affidamenti a cooperative sociali 4. LA PROPOSTA DI NUOVA DIRETTIVA APPALTI APPROVATA DALLA COMMISSIONE 5. ALCUNI ESEMPI DI AZIONI GIÀ INTRAPRESE IN MATERIA DI APPALTI SOCIALMENTE RESPONSABILI 6. LE CLAUSOLE SOCIALI NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA 7. LE FILA 7.1 Metodologicamente 7.2 Il punto, relativamente alle istanze ambientali 7.3 Il punto, relativamente alle istanze sociali in senso stretto 2 1. Premessa Il tema del presente elaborato è l'individuazione o la definizione di linee guida in ordine ai valutazione degli aspetti sociali nelle procedure di affidamento dei servizi a favore delle Regioni Convergenza a valere sul POAT FESR 2007 - 2013, Obiettivo Operativo II.4 - Regioni Convergenza. Prima di entrare nel merito di tale tema, sembra opportuno premettere alcune brevissime notazioni di carattere metodologico. In primo luogo, deve essere considerata la destinazione geo-politica dell'analisi, rappresentata, appunto, dalle Regioni dell'Obiettivo Convergenza. In merito, appare appena il caso di sottolineare che, vertendosi in materia di appalti pubblici, nessuna davvero significativa differenza di tenore normativo potrà rilevarsi a seconda del territorio di riferimento. Salve difatti le prerogative regionali in materia di programmazione, organizzazione degli uffici ed altri aspetti affini o collaterali, i parametri normativi di base per la conformazione delle procedure di affidamento e la definizione dei conseguenti regolamenti contrattuali non conoscono diversità di natura sostanziale fra Regione e Regione. Il quadro di riferimento essenziale è infatti comune ad ogni area o regione del paese ed è costituito in primo luogo dalla normativa di matrice comunitaria e dalla normativa nazionale di attuazione ed esecuzione della medesima. L'impianto normativo comune peraltro non impedisce che, nell'esercizio dei compiti strategici e dei poteri discrezionali che tale impianto mantiene in capo alle singole Amministrazioni giudicatrici, ciascuna Regione conformi le operazioni di cui trattasi in modo specialmente confacente alle proprie specifiche caratteristiche socioeconomiche e quindi al proprio specifico fabbisogno. La ratio di una guida destinata alle Regioni dell'Obiettivo Convergenza non risiede dunque nella individuazione delle soluzioni operative che queste Regioni, a differenza di altre, hanno la possibilità di adottare, avendo ogni Regione, sul piano regolamentare, essenzialmente le medesime opportunità operative di ogni altra. La ratio della detta destinazione riposa invece nella considerazione che le caratteristiche socio-economiche delle Regioni Convergenza giustificano uno speciale impegno nell'implementazione - nell'ambito delle operazioni di competenza delle medesime - del processo in corso a livello europeo volto alla progressiva introduzione delle istanze di carattere sociale nel sistema degli appalti pubblici. 3 Tale processo, come è noto e come meglio verrà illustrato nel presente elaborato, si basa prima di tutto sul principio del necessario contemperamento fra le tradizionali istanze regolanti il mercato degli appalti pubblici (prezzo, qualità della prestazione, pienezza della concorrenza) ed altre istanze significativamente diverse, in alcuni casi addirittura, perlomeno apparentemente, divergenti dalle prime: salvaguardia dell'ambiente, tutela delle classi o delle categorie sociali più deboli, parità di genere, tutela dell'occupazione e così via. Le finalità di recupero economico e sociale che sottosta agli interventi destinati all'Obiettivo Convergenza perfettamente si accordano, dunque, con la tematica considerata nel presente elaborato. Più e prima delle altre Regioni, infatti, quelle dell'Obiettivo Convergenza hanno necessità di conformare le proprie operazioni di appalto in modo di sfruttare a pieno l'effetto leva, a tali operazioni riconducibile, in funzione del proprio fabbisogno sociale specifico. Muovendo dall'ambiente, bene comune a tutti, senza distinzione geografica di sorta, non sembra esservi dubbio che le enormi potenzialità turistiche ancora non adeguatamente utilizzate delle Regioni Convergenza potrebbero risentire significativi benefici concreti da una committenza pubblica specialmente attenta alle istanze di salvaguardia del territorio. E ciò, si badi bene, non con riferimento (o almeno non solo) ad operazioni ad oggetto propriamente ambientale, quanto in occasione dell'acquisto di beni e servizi di contenuto diverso, nel cui processo di fornitura sia tuttavia possibile individuare opzioni maggiormente, o invece in minor misura, rispettose dell'ambiente. Corrispondenza di grado ancora più elevato si rinviene peraltro rispetto ai criteri sociali in senso stretto, ovvero ad esempio, inclusione sociale, coesione sociale, tutela di alcune fasce specialmente svantaggiate, tutela dell'occupazione, tutela dei diritti minimali dei lavoratori, etc.. È purtroppo dato non confutabile che le Regioni Convergenza si distinguano, ad esempio, per elevatissimi indici di disoccupazione, specie in alcune categorie o fasce sociali (giovani e donne, prima di tutto) e per l'inadeguata risposta tanto del mercato come del sistema pubblico rispetto a tale endemico problema, peraltro negli ultimi anni significativamente aggravatosi in ragione dei noti fenomeni recessivi in intervenuti. In via parzialmente connessa, è a tutti noto che nelle stesse Regioni il fenomeno del lavoro sommerso risulti particolarmente grave, con quello che ne consegue in ordine alla compromissione dei diritti, anche di base, dei lavoratori. Della criticità di tale situazione generale ovviamente poi maggiormente risentono quelle categorie sociali afflitte da speciali situazioni di svantaggio, come ad esempio i disabili e gli ex detenuti, per i quali il rischio di vera e propria emarginazione sociale (o anche di definitiva devianza sociale, per i secondi) appare particolarmente consistente. 4 I margini per uno speciale impegno delle Istituzioni operanti all'interno di tali Regioni nel processo di introduzione della considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici vi sono dunque tutti e giustificano, quindi, l'orientamento tendenziale della presente Guida proprio verso le tematiche maggiormente sensibili rispetto alle dette Regioni. Per criteri sociali, nell'accezione maggiormente corrente dell'espressione, si intendono sia le istanze di tipo ambientale, come le istanze sociali in senso stretto. Nella Guida adottata dalla Commissione europea a riguardo ("Acquisti sociali - Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici"), nel testo ampiamente commentata, si fa riferimento alle une come alle altre. La versione 2013 del Piano di Azione Nazionale per il Green Public Procurement, anch'esso nel testo ampiamente commentato, vi è una sezione specifica dedicata alla introduzione di criteri propriamente sociali (tutela del lavoro, inclusione sociale, etc,) nel sistema degli appalti pubblici. Ma anche al di là di questa oggettiva contiguità, nell'economia del presente scritto va specialmente evidenziata la comune ispirazione delle due direttrici di intervento, ovvero l'obiettivo di conformare le operazioni di appalto in modo da pervenire al soddisfacimento anche di istanze di carattere non strettamente economico. Sotto il profilo strutturale, poco importa se si stratta di istanze di salvaguardia dell'ambiente o invece istanze di salvaguardia, ad esempio, dei diritti minimali dei lavoratori. Il sistema di dispositivi elaborato per l'ambiente, sicuramente più articolato ed avanzato di quello ad oggi elaborato per le istanze sociali in senso stretto, bene può difatti fungere da paradigma generale - cambiando quello che deve essere cambiato ed ovviamente nei limiti consentiti dall'ordinamento - per ogni operazione di acquisizione di prestazioni imprenditoriali sul mercato che intenda affiancare, alle tradizionali discriminanti puramente economiche, discriminanti di altro genere, ispirate a ragioni di interesse collettivo di respiro più ampio e comunque diverso. Linee guida è l'espressione che ricorre nel titolo dell'elaborato predisposto, ma anche su di essa è necessario intendersi. La materia della valutazione dei criteri sociali negli appalti è una materia relativamente giovane, oggi molto fluida e per molti aspetti probabilmente ancora acerba. Fornire veri e propri modelli operativi a riguardo risulterebbe, allo stato, probabilmente improprio e comunque non utile, considerata la necessità di contemperare i principi in gioco (da una parte quelli a finalità sociale, dall'altra quelli economici tradizionali) secondo una logica di prudenza e soprattutto proporzionalità che non può prescindere da una analisi della concreta situazione di partenza, nonchè degli obiettivi specifici dell'operazione ipotizzata. 5 Il tentativo operato è stato piuttosto quello di fornire agli operatori del settore un quadro ragionato delle principali opportunità che il sistema attualmente offre, evidenziando i principali parametri e strumenti normativi e metodologici di riferimento, anche con ricorso - quando possibile - ad esempi concreti o comunque alla presentazione di fattispecie a carattere esemplificativo. Come detto, peraltro, la materia è attualmente particolarmente fluida e nuova linfa al processo in corso proverrà in particolare dalla riforma del sistema normativo comunitario in materia di appalti pubblici (nel testo già peraltro ovviamente considerata), la cui definitiva approvazione non dovrebbe tardare ancora a lungo. 6 2. STRUMENTI E DISPOSITIVI ADOTTATI A LIVELLO COMUNITARIO 2.1) Livello normativo Le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (disciplinanti rispettivamente le procedure di appalto pubblico nei settori speciali e le procedure di appalto pubblico nei settori ordinari) rappresentano l’ultima generazione di direttive sugli appalti pubblici e sono frutto di una lunga evoluzione avviatasi all'inizio degli anni settanta con l’approvazione della direttiva 71/305/CEE (la quale ultima, a differenze delle direttive attuali, era peraltro destinata a regolare unicamente il settore dei lavori pubblici). L'obiettivo storico di tali direttive è quello di assicurare che gli operatori economici possano beneficiare, nel campo degli appalti pubblici, delle libertà fondamentali loro garantite dalle disposizioni del Trattato, con particolare riferimento ai principi in materia di concorrenza e non discriminazione. Accanto tuttavia a tale obiettivo ed al suo logico corollario, ovvero una maggiore efficienza / efficacia della spesa pubblica, le Istituzioni comunitarie hanno sempre mostrato grande attenzione al possibile uso strategico del sistema degli appalti per fronteggiare altre specifiche emergenze dei nostri tempi, ovvero, in particolare, la salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica, il risparmio energetico, il miglioramento delle condizioni sociali dei cittadini e dei lavoratori, la crescita dell'occupazione, il recupero e l'inclusione dei gruppi sociali svantaggiati. Il perseguimento di tale obiettivi (contigui e complementari rispetto a quelli maggiormente tradizionali, ovvero lo sviluppo dei mercati di riferimento e l'efficienza della spesa pubblica) richiede un processo di ammodernamento degli strumenti e dei metodi a disposizione della committenza pubblica già da tempo in corso, ma che in questi ultimi anni sta conoscendo una significativa accelerazione. Accanto a strumenti più specifici, un ruolo fondamentale deve essere a questo effetto riconosciuto al processo in corso per la revisione delle sopra menzionate Direttive Appalti. Tale processo, che alla data odierna non sembra lontano dal pervenire a conclusione, ha conosciuto un passaggio fondamentale nella adozione da parte della Commissione europea della Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici, resa definitiva il 20.12.2011 (COM(2011)896, attualmente in sede di discussione presso il Parlamento europeo. Alcuni dei principali elementi innovativi di tale proposta - che verrà specificamente considerata al paragrafo 4, attengono difatti specificamente alla introduzione dei criteri socio-ambientali nelle operazioni di appalto pubblico. Tale proposta merita peraltro adeguata considerazione non solo nella prospettiva come detto, tutt'altro che remota - della futura entrata in vigore della regolamentazione in essa contenuta, ma anche in quanto già adesso rappresenta un punto di riferimento estremamente significativo con riferimento al corrente sentire 7 giuridico in ambito europeo circa le questioni in esame, ricordando che tale sentire deve, tanto oggi come in prospettiva futura, raffrontarsi con il medesimo quadro normativo fondamentale, costituito dalle norme e dai principi discenti dal Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea. Fermo questo, il quadro regolamentare predisposto nel tempo dalle Istituzioni comunitarie in merito è già oggi molto ampio ed articolato e consta di strumenti di natura profondamente diversa gli uni dagli altri: accanto a norme di diritto positivo, infatti, stanno strumenti a carattere informativo o propulsivo, procedure di consultazione specifiche, linee guida, comunicazioni della Commissione su aspetti specifici, disposizioni di raccordo con settori normativi a contenuto diverso (come per esempio la normativa sui SIEG o quella sugli Aiuti di Stato), etc.. Senza quindi pretesa di esaustività, di seguito si fornisce una sintetica disamina di quelli che si ritengono essere i principali dispositivi predisposti in merito, ad iniziare dal versante comunitario. In primo luogo devono naturalmente considerarsi le già menzionate Direttive Appalti (2004/17/CE e 2004/18/CE), le quali già al loro interno, pur avendo obiettivi prioritari di carattere più squisitamente economico, contengono importanti riferimenti ad alcuni degli obiettivi complementari sopra cennati, prevedendo significative aperture verso l'introduzione dei cd. criteri sociali o socio-ambientali nel sistema degli appalti pubblici. Il quinto considerando della direttiva 2004/18/CE (che trova il suo omologo nel dodicesimo considerando della direttiva gemella, 2004/17/CE) ricorda a questo effetto che “conformemente all'Articolo 6 del Trattato, le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente sono integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all'Articolo 3 del trattato, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. La presente direttiva chiarisce dunque in che modo le amministrazioni aggiudicatrici possono contribuire alla tutela dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile garantendo loro al tempo stesso di poter ottenere per i loro appalti il miglior rapporto qualità/prezzo.” Sulla stessa linea, il quarantaseiesimo considerando della direttiva 18/2004/CE (che ha il suo omologo nel cinquantacinquesimo considerando della direttiva 17/2004/CE) specifica che “criteri di aggiudicazione economici e qualitativi, come quelli relativi al rispetto di requisiti ambientali, possono consentire all'amministrazione aggiudicatrice di rispondere ai bisogni della collettività pubblica interessata, quali espressi nelle specifiche dell'appalto. Alle stesse condizioni un'amministrazione aggiudicatrice può utilizzare criteri volti a soddisfare esigenze sociali, soddisfacenti, in particolare bisogni definiti nelle specifiche dell'appalto, propri di categorie di popolazione particolarmente svantaggiate a cui appartengono i beneficiari / utilizzatori dei lavori, forniture e sevizi oggetto dell'appalto.” La possibilità di considerare - anche - criteri ambientali per l'aggiudicazione dell'appalto è quindi prevista agli articoli, rispettivamente 55 e 53, delle direttive 17 e 18 citate; mentre, con riferimento alla fase di realizzazione delle attività commissionate, le direttive medesime stabiliscono che “le condizioni di esecuzione di un appalto possono basarsi in particolare su considerazioni sociali e ambientali ” (in modo conforme, art. 38 direttiva 17 e art. 26 della direttiva 18). 8 Infine, l'art. 19 della direttiva 2004/18 e l'art. 28 della direttiva 2004/17 prevedono, come è noto, che gli Stati membri “possono riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti a laboratori protetti o riservarne l'esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di diversamente abili, i quali, in ragione della natura o della gravità del loro handicap, non possono esercitare un'attività professionale in condizioni normali”. I suddetti richiami rappresentano, oltrechè ovviamente i principali parametri normativi per le disposizioni attuative ed esecutivo di livello di Stato membro, anche la base positiva essenziale per tutti i successivi sviluppi ed approfondimenti sul tema operati dalle stesse Istituzioni dell'U.E.. Ovviamente, trattasi di principi e di regole che per trovare concreta applicazione dovranno coordinarsi con un sistema di disposizioni comunitarie estremamente articolato e stratificato: dalle disposizioni inderogabili di carattere generale poste dalle medesime direttive appalti, alle disposizioni di ambito invece tematico (in particolare in materia di salvaguardia degli ecosistemi ambientali o in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro); dalle disposizioni attinenti la libertà d'impresa a livello europeo contenute nella cd. direttiva servizi 1, alla normativa in materia di SIEG (Servizi di Interesse Economico Generale) e di SSIG (Servizi Sociali di Interesse Generale) 2 etc.. E in ogni caso l'applicazione concreta dei suddetti principi dovrà comunque quantomeno confrontarsi con i canoni normativi discendenti direttamente dal Trattato UE, i quali restano sempre il principale parametro interpretativo (e addirittura conformativo) dell'intero sistema comunitario. 2.2) Comunicazioni e linee guida Quello sopra tratteggiato essendo il quadro normativo (di matrice comunitaria) di essenziale riferimento, assoluto rilievo riveste altresì il complesso di strumenti di carattere diverso adottati dalla Commissione europea nella prospettiva, anche evolutiva, oggetto del presente elaborato. La principale palestra all'interno della quale sono stati sviluppati e testati detti strumenti è sicuramente la questione ambientale o, per usare la terminologia corrente a riguardo negli atti e nella letteratura di riferimento, il Green Public Procurement (GPP). Già nel 2001 la Commissione infatti adottava il “Libro Verde sulla politica integrata relativa ai prodotti” e nello stesso anno pubblicava il documento “Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici" . A questo faceva seguito, nel 2003, la Comunicazione n. 302 della Commissione sulla cd. I.P.P. (“Politica Integrata dei Prodotti: sviluppare il concetto di Ciclo di Vita 1 2 Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, GU 376 del 27.12.2006. Vedasi in particolare il cd. pacchetto SIEG, adottato dalla Commissione in data 20 dicembre 2011. 9 Ambientale” e quindi, nel 2008, la “Comunicazione Appalti pubblici per un ambiente migliore”, n. 400/2008, nonchè il documento dei servizi della Commissione “Acquistare verde! Un manuale sugli appalti pubblici ecocompatibili”). Di particolare rilievo operativo risulta a questo riguardo l' “European Commission Green Public Procurement (GPP) Training Toolkit (2008)”, che fornisce ampi e significativi esempi di soluzioni appunto operative a disposizione della committenza pubblica in questo ambito, nonchè un apposito strumentario da impiegarsi per la formazione specifica del personale responsabile della preparazione e conduzione delle procedure relative. Ma lo strumento di maggior rilievo adottato dalla Commissione, per ampiezza di articolazione ed organicità, è sicuramente il documento "Acquisti sociali - Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici" (redatta sulla base del documento dello staff della Commissione SEC(2010) 1258 final, 19 ottobre 2010). A differenza infatti degli strumenti precedentemente menzionati, questa Guida affronta in modo articolato le principali problematiche (a legislazione vigente) connesse alla introduzione nelle procedure di appalto pubblico non solo delle istanze ambientali, ma anche delle altre priorità sociali che la legislazione corrente consente di considerare nella predisposizione e nella conduzione delle dette procedure, in linea e ad implementazione degli obiettivi e delle linee di impegno individuate della cosiddetta “Strategia Europa 2020”: occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale ed energia/clima. Si tratta di una guida a carattere tecnico, rivolta quindi più agli operatori del sistema che alle Istituzioni in senso proprio, formulata in chiave propositiva a legislazione vigente e corredata da ampi esempi concreti di prassi già adottate a livello europeo. Essendo questo, come detto, il principale strumento di riferimento di matrice comunitaria rispetto alle problematiche oggetto del presente elaborato, conviene dunque quantomeno tratteggiarne i tratti salienti. 2.3) In particolare, la Guida adottata dalla Commissione europea La Guida muove innanzitutto dalla definizione di Appalti Socialmente Responsabili (Socially Responsible Procurement - SRP), ovvero “le operazioni di appalto che tengono conto di uno o più dei seguenti aspetti sociali: opportunità di occupazione, lavoro dignitoso, conformità con i diritti sociali e lavorativi, inclusione sociale (inclusione delle persone con disabilità), pari opportunità, accessibilità, progettazione per tutti, considerazione dei criteri di sostenibilità tra cui gli aspetti legati al commercio etico e una più ampia conformità di natura volontaristica con la responsabilità sociale di impresa (RSI), nel rispetto dei principi sanciti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dalle direttive sugli appalti.” A titolo esemplificativo e non limitativo, vengono quindi indicate alcune istanze di carattere sociale il cui inserimento nelle procedure di appalto potrebbe essere ricercato dalle Amministrazioni aggiudicatrici, compatibilmente con le disposizioni del TFUE, con le direttive appalti e con tutte le altre disposizioni vincolanti applicabili. 10 La prima istanza indicata consiste nella promozione delle «opportunità di occupazione», con particolare riferimento: alla promozione dell’occupazione giovanile; alla promozione dell’equilibrio di genere (ad es. equilibrio tra lavoro / vita privata, lotta alla segregazione settoriale e occupazionale e così via); promozione delle opportunità di occupazione per i disoccupati di lunga durata e i lavoratori anziani; politiche a favore della diversità e opportunità di occupazione per le persone appartenenti a gruppi svantaggiati (ad es. lavoratori migranti, minoranze etniche, minoranze religiose, persone con un basso livello di istruzione e così via); promozione delle opportunità di occupazione per le persone con disabilità, anche attraverso gli ambienti inclusivi e accessibili. La seconda istanza considerata consiste nella promozione del «lavoro dignitoso». Nel contesto degli appalti pubblici socialmente responsabili potranno a riguardo assumere un ruolo molto significativo varie ed importanti tematiche, fra le quali: la conformità con le norme fondamentali del lavoro; una retribuzione dignitosa; salute e sicurezza sul luogo di lavoro; il dialogo sociale; l'accesso alla formazione; la parità di genere ed i comportamenti non discriminatori; l'accesso alla protezione sociale di base. La terza istanza, contigua e parzialmente complementare rispetto alla precedente, riguarda la promozione dell’osservanza dei «diritti sociali e lavorativi» ed in particolare: l'osservanza delle normative e dei contratti collettivi nazionali conformi con il diritto dell’UE; l'osservanza del principio della parità di trattamento tra uomini e donne, tra cui il principio della parità di retribuzione per il lavoro di uguale valore e la promozione della parità di genere; l'osservanza delle normative vigenti in materia di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro; la lotta alla discriminazione basata su altri criteri (età, disabilità, razza, religione o convinzioni personali, orientamento sessuale, etc.) e creazione di pari opportunità. 11 La quarta istanza individuata dalla Commissione (peraltro come detto in assoluta coerenza con i principi di Europa 2020) è rappresentata dalla promozione dell’«inclusione sociale» e delle organizzazioni dell’economia sociale. Qui in risalto trovasi l'obiettivo di promuovere “l'occupazione assistita” per persone affette da disabilità di vario genere. Ma non deve dimenticarsi la cura delle opportunità di accesso al settore degli appalti pubblici da parte di imprese i cui proprietari o dipendenti appartengono a gruppi etnici o minoritari e in genere da parte delle imprese sociali, del settore cooperativo e delle organizzazioni non profit. La quinta istanza concerne la promozione della cd. «accessibilità e progettazione per tutti». Si tratta in questo caso di introdurre disposizioni imperative nelle specifiche tecniche da applicarsi alle fase esecutiva dei costituendi rapporti contrattuali, finalizzate ad assicurare alle persone con disabilità la possibilità di accedere, ad esempio, ai servizi pubblici, agli edifici pubblici, ai trasporti pubblici, alle informazioni pubbliche ed ai beni e servizi resi disponibili dalla Information and Telecomunication Tecnology. La sesta istanza considerate nella Guida della Commissione europea riguarda il cd «commercio etico» ed in particolare la possibilità, in determinate condizioni, di tenere conto delle questioni relative al commercio etico nella determinazione delle specifiche di partecipazione alle gare o delle specifiche di esecuzione dei contratti conclusi in esito a queste ultime. Con la settima istanza la Commissione riprende un concetto da tempo caro alle Istituzione europee, ovvero la cd. «responsabilità sociale di impresa» (RSI), vale a dire il superamento da parte delle Imprese, su basi fondamentalmente volontaristiche, dei vincoli normativi regolanti l'attività aziendale, nella prospettiva del raggiungimento di più elevati livelli di soddisfacimento di obiettivi ambientali e sociali. L' ottava istanza, riguarda la protezione dall’inosservanza dei diritti umani e la promozione del rispetto degli stessi. La nona e ultima istanza rappresenta la specificazione di una priorità anche questa da tempo perseguita a livello comunitario (così come del resto anche a livello nazionale), ovvero la promozione della partecipazione alle gare d'appalto anche della Piccole e Medie Imprese. Nel contesto del documento in esame, peraltro, la Commissione considera tale istanza nella misura in cui tale più ampia partecipazione possa essere collegata al perseguimento delle finalità sociali dianzi considerate (ad esempio, con riferimento a politiche di inclusione sociale, probabilmente favorite dalla frequente maggiore vicinanza anche territoriale delle aziende di dimensioni contenute). Se questa è le sintetica definizione delle istanze alla cui considerazione sono finalizzati gli appalti pubblici socialmente responsabili, la parte più significativa della Guida predisposta dalla Commissione europea è probabilmente quella di ordine 12 maggiormente operativo, a cominciare dalla individuazione di quattro possibili “approcci” verso i socially responsible procurement. Vale difatti la considerazione che le procedure di appalto pubblico devono comunque rispondere a un sistema di norme e principi stringente e serrato forse come nessun altro settore amministrativo. Tale sistema, peraltro, prescinde per lo più dal perseguimento di obiettivi di carattere sociale, per essere invece prioritariamente informato ad obiettivi di natura economica, come devono ad esempio fondamentalmente considerarsi le regole poste a tutela della concorrenza. Gli spazi di introduzione dei criteri sociali all'interno delle dette procedure devono essere ricercati con attenzione e prudenza. Di seguito conviene dunque richiamare i possibili approcci che la Commissione a questo riguardo individua, peraltro facendo riferimento ad esperienze concrete sviluppatesi nel panorama europeo. Il primo approccio consiste nell’inserimento di criteri sociali, da parte della committenza, direttamente nell’oggetto dell’appalto e/o nelle specifiche tecniche a cui i concorrenti dovranno adeguarsi già in fase di offerta. L'esempio portato nella Guida a questo proposito è quello della fornitura di apparecchiature informatiche per le quali dovrà essere garantita e dimostrata la conformità a determinati criteri di accessibilità. Si può definire, in prima istanza, un approccio di tipo selettivo. Il secondo approccio prevede, in determinate condizioni, che alle imprese sia impedito di acquisire appalti pubblici se in precedenza hanno subito condanne per determinati atti illeciti, ovvero non hanno raggiunto determinati standard minimi di comportamento socialmente corretto. È il caso, ad esempio di irregolarità riscontrate nell'assolvimento degli oneri sociali o negli adempimenti obbligatori in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. Si può definire, quindi, un approccio di tipo escludente. Il terzo approccio mira ad indurre le imprese ad assumere determinati impegni di carattere sociale in sede di partecipazione alle procedure di gara, in una prospettiva competitiva, in quanto di tali impegni si terrà conto nella fase di aggiudicazione dell’appalto. L'esempio più semplice a riguardo è quello della premialità riconosciuta a prodotti o processi a più basso indice di impatto ambientale. Può dunque definirsi un approccio di tipo premiante. Il quarto approccio fa riferimento alla fase di esecuzione dell’appalto, rispetto alla quale la committenza potrebbe richiedere che l'appaltatore si attenga a determinate condizioni di carattere tecnico aventi specifico valore aggiunto (lato sensu) sociale. Per fermarsi alla materia ambientale, un esempio classico di tale approccio è l'obbligo di dematerializzazione di tutti gli atti e le comunicazioni da adottarsi nel corso delle realizzazione delle attività contrattuali. 13 Si noterà che tale approccio, che potrebbe essere definito di tipo conformativo, non è concettualmente distante dal primo considerato. Il carattere distintivo dell'uno rispetto all'altro sta peraltro nel fatto che mentre con il primo l'obiettivo sociale viene perseguito nella stessa scelta dell'oggetto del contratto (per restare all'esempio formulato, una sistema accessibile piuttosto che un sistema anche non accessibile), con il secondo si interviene non sull'oggetto, ma su alcune modalità di svolgimento delle prestazioni contrattuali. Ad esemplificazione di tale differenza potrebbe portarsi quello di due contratti aventi quale comune oggetto quello della consulenza direzionale, soltanto uno dei quali peraltro preveda - appunto come specifica esecutiva, corrispondente al quarto approccio considerato - l'obbligo di dematerializzazione di atti e corrispondenza. Naturalmente, utilizzare un approccio non esclude l'utilizzo contestuale anche di altri approcci, di modo che - laddove l'operazione intrapresa lo consenta - sarà possibile combinare due o più dei suddetti approcci così da massimizzarne l'efficacia. Un esempio estremamente semplice, a riguardo, è dato dalla imposizione di un determinato standard di risparmio energetico quale condizione di accettazione dell'offerta, per poi premiare, in sede di valutazione, coloro i quali siano in grado di offrire, per la fase esecutiva del rapporto, standard di risparmio energetico di rango superiore a quello minimo richiesto. 2.4) Criteri sociali e fasi delle operazioni di appalto La stessa Guida tuttavia presenta una suddivisione logica dei momenti di possibile introduzione delle istanze sociali negli appalti pubblici ispirata a criteri diversi (ancorchè evidentemente connessi) rispetto alla suddivisione basata sugli approcci sopra considerata. Tale secondo sistema di categorizzazione degli interventi risulta probabilmente di più immediata percezione rispetto al precedente e merita dunque autonoma considerazione. Nell'ambito di ciascuna operazione d'appalto vengono infatti isolate quattro macrofasi, ciascuna delle quali - secondo intensità, modalità e contenuti diversi idonea ad ospitare istanze di natura sociale o socio-ambientale. In estrema sintesi, tali fasi o macrofasi possono così essere definite: (a) la fase di definizione dell'oggetto e dei requisiti funzionali dell'appalto, intendendo per questi ultimi non i requisiti di partecipazione (come i requisiti di capacità speciale), ma le specifiche appunto funzionali dell'appalto medesimo (ad esempio: prodotti corredati da etichettature Ecolabel o equivalente); (b) la fase di determinazione dei requisiti minimi (di carattere giuridico-morale, o invece di carattere tecnico-economico) che gli operatori debbono possedere per essere ammessi a partecipare alla procedura di gara: positivi (ad esempio: possesso di determinate certificazioni di qualità ambientale o equivalenti) o 14 negativi (ad esempio: non aver subito condanne per reati attinenti alla sicurezza nei luoghi di lavoro); (c) la fase di determinazione dei criteri di valutazione delle offerte e quindi di aggiudicazione dell'appalto (ad esempio: l'efficienza, in termini di impatto ambientale, del metodo di produzione); (d) la fase di esecuzione di esecuzione dell'appalto (ad esempio: l'impiego nel ciclo di produzione del servizio di determinate categorie di lavoratori). Questo essendo il vero tema del presente elaborato, conviene soffermarsi brevemente su ciascuna di tali fasi (salvo ovviamente tornare sull'argomento in maniera più definita nelle successive sezioni del presente elaborato). Fase (a) [definizione dell'oggetto e dei requisiti funzionali dell'appalto] Definito l’oggetto dell’appalto (ad esempio: la fornitura di servizi sostitutivi di mensa) l’Amministrazione è chiamata a tradurre tale oggetto in una serie di requisiti funzionali sufficientemente completi ed analitici da poter fungere quale adeguato parametro di riferimento per le imprese rispetto, innanzitutto: alla decisione di partecipazione alla procedura di gara; alla formulazione dell'offerta tecnico-economica (o anche solo economica, nelle procedure da aggiudicarsi con il metodo del prezzo più basso). Nello stesso tempo, tali requisiti assolvono alla funzione di determinare i parametri di conformità minimi per l'esecuzione del contratto, di modo che eventuali offerte non conformi saranno per ciò stesso ritenute inaccettabili. Restando all'esempio dei servizi sostitutivi di mensa, una specifica funzionale assolutamente ordinaria (che ovviamente nulla ha a che spartire con i criteri sociali oggetto del presente documento) è costituita dalla garanzia della spendibilità, negli esercizi convenzionati, dell'intero valore nominale dei buoni pasto oggetto della fornitura. Nella prospettiva propria del Social Responsible Procurement, un esempio pertinente di specifica funzionale è dato dalla comprensione nell'oggetto dell'appalto anche dei servizi di smaltimento eco-compatibile dei prodotti di risulta dell'appalto stesso (ad esempio: apparati tecnologici il cui ciclo di vita utile sia pervenuto a conclusione). È nota, peraltro, la valenza generale del principio, ratificato nelle stesse Direttive Appalti, secondo cui le specifiche tecniche di un appalto non devono comunque mai risultare tali da determinare in alcuna misura la compromissione della concorrenza, devono essere trasparenti e non devono realizzare effetti di discriminazione fra i candidati di Stati diversi dallo Stato membro a cui appartiene la stazione appaltante procedente. 15 Se questo è il quadro generale, vi è però una regola ulteriore, fondamentalmente elaborata in seno alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in base alla quale tali specifiche, oltre a rispondere ai caratteri sopra detti, devono anche essere collegate all’oggetto dell’appalto (si tratta, come meglio verrà chiarito nel prosieguo, di una regola di essenziale riferimento per l'intera materia della considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici e che pertanto nella presente sezione viene solamente anticipata per ragioni espositive). Le specifiche prive di adeguata relazione con le prestazioni richieste (indipendentemente dal fatto che si tratti di forniture di beni, di servizi o di lavori) non sono di regola infatti giustificate, nemmeno quando siano ispirate a criteri di ordine sociale. Per richiamare un esempio piuttosto usuale in merito, la quota di lavoratori diversamente abili in carico all'impresa non può essere considerata come una specifica funzionale, perchè evidentemente esula dall'oggetto dell'appalto e non appare rispetto ad esso collegata. Mentre è evidentemente collegata all'oggetto dell'appalto, sempre ad esempio, la prescrizione della adozione di speciali misure di sicurezza dei luoghi di produzione. Ancora: non costituisce legittima specifica funzionale la localizzazione di un call center telefonico in una specifica località, mentre costituisce valida specifica funzionale la prescrizione della osservanza, nell'erogazione del medesimo servizio di call center, di modalità idonee a garantire l'accessibilità al servizio da parte di utenza avente particolari caratteristiche di disabilità. Il criterio discriminante, come anche per altre fasi della procedura, risulta dunque essere quello del collegamento con l'oggetto del contratto in affidamento: potranno cioè essere oggetto di specifica tecnica, agli effetti della delimitazione dell'oggetto dell'appalto, solamente elementi che risultino comunque funzionali alla realizzazione dell'appalto medesimo. Le Amministrazioni aggiudicatrici dovranno quindi astenersi dall'introdurre nelle proprie procedure specifiche tecniche che non risultino avere una specifica giustificazione od una effettiva relazione funzionale con la causa e gli obiettivi dell'appalto eseguendo. Una interessante modalità di introduzione di istanze sociali attraverso lo strumento delle specifiche tecniche è dato dalle cd. varianti d'offerta. Sottolinea a questo riguardo la Commissione, nella Guida in esame, che, anche dopo opportune ricerche di mercato, “è possibile che l’amministrazione aggiudicatrice abbia dei dubbi circa il modo migliore di integrare gli standard sociali nelle specifiche tecniche”: in tali ipotesi potrebbe essere utile lasciare ai potenziali offerenti la possibilità di presentare varianti socialmente responsabili. Starà quindi alla stazione appaltante, in sede di verifica delle proposte pervenute, confrontare tutte tali proposte, sia quelle integrate con istanze sociali e sia quelle cd. neutre, valorizzando ognuna di esse in base al medesimo sistema predeterminato di criteri e fattori di valutazione, salva la possibilità, a determinate condizioni, di 16 assegnare una qualche forma di priorità alle offerte socialmente preferibili. Risulta peraltro chiaro il collegamento di tale ultima opzione con quella considerata di seguito (alla lettera c) attinente alla determinazione dei criteri di valutazione dell'offerta. Fase (b) [determinazione dei requisiti minimi di partecipazione] Le Direttive Appalti (e così ovviamente anche la normativa interna di recepimento ed attuazione) contengono un elenco esaustivo dei casi in cui la situazione soggettiva di un candidato o di un offerente, avuto riguardo al profilo giuridico o morale, può determinarne l’esclusione dalla procedura di appalto. Alcune di queste carenze possono essere di natura sociale. È noto, ad esempio, che costituisce causa di esclusione dalla procedura l'essere incorso in gravi irregolarità negli obblighi di versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti in ragione della forza lavoro in carico, oppure nella materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro. Il carattere tassativo di tali cause di esclusione (così come esplicitamente stabilito, per quanto concerne il nostro ordinamento nazionale, all'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006, con il quale è stato adottato il Codice dei contratti pubblici di lavori, forniture e servizi) rende tuttavia tale componente della procedura sostanzialmente impermeabile ad istanze di carattere sociale che non siano già predeterminate con legge (come avviene, per esempio, con riferimento al requisito dell'osservanza delle norme in materia di diritto al lavoro dei soggetti disabili, che deve essere espressamente attestata ed all'occorrenza dimostrata dai concorrenti ai fini della partecipazione alla procedura o del mantenimento nella medesima). Compatibilmente con i principi delle Direttive, spetta dunque essenzialmente ai Legislatori degli Stati membri (e non invece alle singole Amministrazioni o stazioni appaltanti) di introdurre nuove o più intense istanze sociali nei requisiti soggettivi (di ordine giuridico-morale) di partecipazione alle procedure di gara. In via parzialmente analoga, anche i requisiti di capacità economico-finanziaria ed i requisiti di capacità tecnico-organizzativa tendenzialmente resistono alla introduzione di criteri sociali, in quanto le Direttive Appalti prevedono già degli elenchi chiusi (o semi-chiusi) dai quali attingere gli specifici requisiti da porre quale condizione di partecipazione alle singole procedure. Vi è però almeno una significativa eccezione (o apparentemente tale) per quello che riguarda la capacità tecnica, nelle ipotesi in cui occorra verificare lo specifico knowhow dell'offerente nel settore sociale con riferimento ad un servizio che insista proprio su tale ambito. La Guida della Commissione prevede in questi casi la possibilità che le Amministrazioni procedenti si pongano, traducendo quindi le stesse in requisiti di capacità tecnica e quindi di partecipazione, le seguenti domande: l'impresa offerente utilizza o ha accesso a personale dotato delle 17 conoscenze e delle esperienze necessarie per gestire gli aspetti sociali dell’appalto (ad es. l’esigenza di disporre di personale formato e di un’esperienza di gestione specifica per un appalto relativo a un nido d'infanzia, oppure di ingegneri e architetti qualificati sugli aspetti di accessibilità per la costruzione di un edificio pubblico) ? l'impresa offerente possiede o ha accesso alle attrezzature tecniche necessarie per la protezione sociale relativamente alla specifica destinazione dell'intervento (ad es. l’esigenza di disporre di attrezzature idonee per le persone anziane per un appalto relativo a una casa di riposo) ? l'impresa offerente dispone delle attrezzature tecniche specialistiche necessarie per gestire gli aspetti sociali dell'operazione (ad es. per un appalto relativo all’acquisto di hardware informatico, le misure atte a garantire i requisiti di accessibilità per le persone disabili) ? In casi consimili, dunque, la specificità dell'oggetto dell'appalto rappresenta il collegamento necessario per l'introduzione, sotto forma di requisiti di partecipazione, di valori socialmente responsabili. Fase (c) [determinazione dei criteri di valutazione delle offerte] Le Direttive Appalti consentono esplicitamente l’inclusione di aspetti etico-sociali nei criteri di aggiudicazione (così come, ovviamente, la normativa italiana di recepimento ed attuazione delle direttive medesime, ovvero, come detto, in primo luogo il d.lgs. n. 163/2006). In materia è risultata peraltro determinate la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che ha sostanzialmente tracciato le linee poi adottate dal Legislatore comunitario (per tutte, vedasi le cause C-513/99 [Concordia Bus] e C-448/01 [Wienstrom]. In ogni caso nella Guida qui analizzata la Commissione ricorda come tutti i criteri di aggiudicazione, per la loro legittimità, debbano soddisfare quattro condizioni fondamentali, ovvero: devono essere collegati all’oggetto dell’appalto; devono essere specifici ed oggettivamente quantificabili; devono essere stati oggetto di preventiva pubblicazione; devono essere compatibili con il diritto dell'UE ed in particolare con i principi fondamentali del Trattato. Si tratta, come è agevole rilevare, di condizioni valevoli in via generale per ogni operazione d'appalto, della cui osservanza semplicemente la Commissione riafferma la necessità anche laddove si tratti di introdurre criteri di valutazione socialmente orientati. 18 Peraltro, se in linea di principio tutte le suindicate condizioni sono ugualmente essenziali, per quello che concerne gli appalti socialmente responsabili particolare rilievo riveste la prima, ossia, di nuovo, il collegamento con l'oggetto dell'appalto, in quanto condizione la cui configurazione e il cui apprezzamento concreto possono risultare particolarmente critici e quindi discriminanti. E questo avviene per una ragione molto semplice, ovvero il fatto che la giustificazione fondamentale di un'operazione d'appalto è, in genere, prettamente economica, trattandosi di condurre una operazione sostanzialmente di scambio del tutto assimilabile a quelle ordinarie di mercato; cosicchè la ricerca di effetti accessori socialmente benefici nell'ambito di tali operazioni può facilmente creeare tensioni rispetto alla funzione essenziale dell'istituto. Così, ad esempio, quando si tratti di affidare servizi di sviluppo di pagine o strumenti sul web rispetto ai quali risulti rilevante il requisito dell'accessibilità ai sistemi realizzati da parte di soggetti variamente disabili, potrà graduarsi il punteggio relativo in rapporto al livello di conformità agli standard di accessibilità garantito in sede di offerta (A, AA oppure AAA). Spostandosi sul settore delle forniture di beni, ugualmente potrà riconoscersi una valutazione proporzionalmente più elevata alle imprese che offrano prodotti a minor consumo energetico garantito. Deve però trattarsi, come negli esempi sopra formulati, di aspetti strettamente connessi all'oggetto dell'appalto, nel senso che producono utilità comunque direttamente riferibili alla specifica operazione condotta. La Guida riporta a questo effetto un caso molto chiaro, tratto da una nota sentenza della Corte di Giustizia (causa Wienstrom), con la quale è stato stabilito che, in un’offerta di gara finalizzata alla fornitura di energia elettrica, un criterio correlato esclusivamente al quantitativo di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili che ecceda il consumo previsto dell’Amministrazione acquirente non possa essere considerato come collegato all’oggetto dell’appalto (e quindi ammissibile); mentre tale collegamento sarebbe stato configurabile (e quindi la relativa specifica ammissibile) laddove il quantitativo di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili avesse riguardato solo l’elettricità effettivamente fornita all’Amministrazione acquirente. Si badi bene: in un caso e nell'altro l'effetto ricercato è esterno rispetto alla causa sostanziale dell'operazione (che non è evidentemente quella di acquisire energia elettrica tout court); così come in un caso e nell'altro il beneficio per la comunità risulterebbe del medesimo genere (maggior ricorso a fonti rinnovabili); ma nel primo caso viene valorizzato un elemento (impiego di energia rinnovabile oltre il fabbisogno specifico dell'operazione) che non ha sufficiente collegamento con l'appalto e quindi non può essere considerato ai fini della assegnazione del medesimo. 19 Il collegamento con l'oggetto dell'appalto rappresenta quindi a un tempo la condizione legittimante e la misura per l'impiego di criteri di valutazione caratterizzati da finalità sociali. Parziale deroga a questa regola si rinviene peraltro nella stessa Guida predisposta dalla Commissione, con riferimento ai cd. criteri di valutazione “aggiuntivi”. Anche in questo caso la via è stata aperta dalla Corte di Giustizia europea, che nella causa C-225/98 ha affermato che le stazioni appaltanti possono utilizzare criteri di aggiudicazione di natura sociale (finalizzati, nel caso di specie, alla lotta contro la disoccupazione), non direttamente collegati all'oggetto dell'appalto, in una sola ipotesi, ovvero quando si trovino di fronte a due o più offerte “economicamente equivalenti” (laddove per “economicamente equivalenti” può bene intendersi anche equivalenti sotto il profilo tecnico-economico). Nella fattispecie concreta in esame, l'Amministrazione procedente aveva considerato il profilo dell'offerta finalizzato a contrastare la disoccupazione come un criterio secondario non determinante, e ne aveva tenuto conto solo dopo aver effettuato il prescritto confronto comparativo tra tutte le offerte pervenute sulla base dei criteri di aggiudicazione invece direttamente collegati all'oggetto dell'appalto. In questa prospettiva, il criterio relativo alla lotta alla disoccupazione (per esempio: l'impegno alla assunzione di lavoratori disoccupati di lunga durata, seppure non da impiegarsi nell'appalto in affidamento) e altri criteri non direttamente collegati all’oggetto dell’appalto potrebbero essere presi in considerazione nella fase di aggiudicazione dell’appalto - previa adeguata preventiva pubblicità di tale possibilità - solo come «criteri aggiuntivi», vale a dire solo al fine di operare la scelta definitiva fra due o più offerte pre-giudicate, prescindendo da tali criteri aggiuntivi, perfettamente equivalenti. Affinchè tale possibilità abbia qualche concreta possibilità di verificarsi, sembra peraltro necessario che la strutturazione dei criteri e parametri di valutazione ordinari (ovvero quelli collegati all'oggetto dell'appalto) sia tale da non rendere probabilisticamente inverosimile la parità finale fra due offerte. Fase (d) [esecuzione dell'appalto] Spazi per l'introduzione di istanze sociali nei contratti d'appalto sussistono evidentemente anche nella fase propriamente esecutiva di questi ultimi. Peraltro si tratta di dispositivi in qualche misura logicamente contigui o complementari rispetto a quelli ipotizzati per la fase di definizione iniziale delle specifiche funzionali dell'appalto (cfr. sopra, sub fase a]), così come ai dispositivi da impiegarsi nella fase di aggiudicazione del contratto (cfr. sopra, sub fase c]), sebbene dal punto di vista sia concettuale che operativo sufficientemente distinti. Anche in questo caso, il criterio fondamentale (fermo sempre il rispetto degli obblighi discendenti dal Trattato, primo fra tutti quello di non discriminazione, nonchè la preventiva pubblicità di tali condizioni aggiuntive) è quello del collegamento con l'oggetto dell'appalto, che anzi nella fase in esame non sembra ammettere deroga alcuna. 20 In sostanza, sulla base della ricostruzione del sistema operata dalla Commissione europea nella Guida in esame, le stazioni appaltanti, accanto alle finalità specifiche dell'appalto e fermi rimanendo gli obblighi già ex lege previsti ad esempio in materia di ambiente, sicurezza, salute e tutela del lavoro in genere, possono prevedere alcune ulteriori specifiche esecutive del contratto in affidamento giustificate da finalità di carattere sociale. Un esempio relativamente semplice a riguardo (perlomeno sulla carta), è dato dall'impiego di personale diversamente abile nell'appalto o ancora da prescrizioni in materia di parità di genere nella selezione del personale da impiegarsi nella commessa. Si badi bene che in questo caso le condizioni aggiuntive socialmente responsabili non rappresentano una componente necessaria del rapporto (per restare all'esempio precede: l'appalto avrebbe potuto funzionare altrettanto bene, in rapporto alla sua finalità principale, anche senza l'inserimento di personale svantaggiato), ma rappresentano una specifica esecutiva che trova comunque spazio e si esaurisce all'interno del medesimo (proseguendo nell'esempio: non viene richiesto semplicemente di detenere una determinata quota o quantità di personale diversamente abile, bensì di impiegare specificamente nell'appalto in esecuzione una determinata quota o quantità di personale avente le suddette caratteristiche). Di nuovo, quindi, l'oggetto dell'appalto rappresenta, nella su delineata prospettiva, il limite del ricorso a tale clausole sociali. La Guida della Commissione individua nelle clausole di esecuzione del contratto la fase della procedura maggiormente appropriata ai fini della introduzione nelle operazioni d'appalto, in primo luogo, di aspetti sociali correlati all’occupazione e alle condizioni di lavoro del personale coinvolto nell’esecuzione dell’appalto. D'altra parte negli stessi considerando delle Direttive Appalti (che, come è noto, costituiscono un riferimento interpretativo essenziale del sistema) è previsto che clausole di questo genere “possono essere finalizzate alla formazione professionale nel cantiere, alla promozione dell’occupazione delle persone con particolari difficoltà di inserimento, alla lotta contro la disoccupazione”, etc.. Per altro verso, è chiaro che all’inserimento di istanze sociali nei termini e nelle condizioni di esecuzione dell’appalto deve essere associata la predisposizione di un adeguato sistema di controllo in corso di esecuzione, in mancanza del quale qualsiasi previsione può risultare priva di effetti positivi concreti ed anzi addirittura distorsiva della leale concorrenza fra imprese. 2.5) Considerazioni metodologiche finali riguardo la Guida della Commissione La Guida in esame rappresenta sicuramente una utile ed importante sintesi di ipotesi, regole e principi - questi ultimi in molta parte, come visto, maturati nell'ambito della giurisprudenza comunitaria - che gli Stati membri sono chiamati a considerare 21 in funzione della progressiva introduzione dei criteri sociali nelle operazioni d'appalto. Trattasi tuttavia di uno strumento che, seppure possiede esplicitamente una vocazione pragmatica, si mantiene ad un livello di astrazione tale da lasciare inevitabilmente agli operatori del settore - nonostante gli utili esempi offerti, ricavati da esperienze concrete maturate nel contesto europeo - il tratto più lungo del complessivo percorso da compiere. Ciò peraltro non risponde a un caso. É chiaro, difatti, che trattandosi di documento destinato ad ispirare l'azione delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori di tutti gli Stati membri, ragionevolmente le indicazioni con lo stesso fornite mantengono una consistente connotazione di generalità, venendo meno la quale le stesse indicazioni avrebbero potuto facilmente risultare non compatibili con i sistemi normativi e/o organizzativi interni di questo o di quello Stato membro. Ogni amministrazione od ente che intenda concretamente procedere secondo le linee indicate dalla Commissione non potrà infatti evitare, fattispecie per fattispecie, di verificare la correttezza e legittimità delle ipotesi operative adottande, sì alla stregua dei principi richiamati nella Guida in esame, ma anche in raffronto alle specifiche normative di settore adottate a livello di normativa nazionale (o perfino sub-nazionale) interna. Il passo successivo da compiere, conseguentemente, è appunto l'esame degli strumenti adottati a riguardo a livello interno. 22 3. STRUMENTI E DISPOSITIVI ADOTTATI A LIVELLO INTERNO 3.1) Ricognizione dei principali fra questi Come anticipato nelle premesse, l'adozione a livello nazionale di strumenti e dispositivi per l'introduzione dei criteri sociali negli appalti è avvenuta su impulso significativo e comunque in stretto raccordo con l'azione delle istituzioni comunitarie. Le due direttrici di intervento - appunto, quello comunitario e quello nazionale risultano dunque ampiamente intrecciate, sia sotto il profilo temporale e sia evidentemente sotto quello dei contenuti. Come si vedrà, peraltro, la diversa e in genere maggiormente specifica prospettiva del Legislatore nazionale ha fatto sì che in alcuni casi i dispositivi adottati possiedano caratteristiche di concretezza ed operatività probabilmente superiori agli omologhi interventi comunitari. In ogni caso, quello che è avvenuto è che il processo di adeguamento ai principi comuni dell'Unione Europea è avvenuto per una significativa misura attraverso singoli interventi di carattere settoriale, piuttosto che attraverso interventi di respiro maggiormente generale ed organico. Tuttavia alcuni interventi di portata più ampia sono sicuramente individuabili ed a questi si farà dunque principale riferimento. In primo luogo, anche a livello interno si conferma il dato secondo cui la questione della sostenibilità degli appalti pubblici si è posta ed è stata trattata innanzitutto con riferimento alla questione ambientale. Saltando i passaggi intermedi, un rilievo fondamentale riveste in merito ancora una volta un atto di matrice comunitaria, ovvero la Comunicazione 302/2003/CE sulla Politica Integrata dei Prodotti (IPP, in acronimo), in quanto con la stessa la Commissione europea ha invitato e di fatto indotto gli Stati membri “a dotarsi di piani d'azione accessibili al pubblico per l'integrazione delle esigenze ambientali negli appalti pubblici”. Con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008 3, l'Italia ha quindi adottato il suo PAN GPP (Piano Nazionale d'Azione sul Green Public Procurement)4. Muovendo da questo, ed anzi in attuazione di tale Piano, più recentemente sono stati adottati una serie di altri importanti strumenti, fra i quali mette conto specialmente di segnalare, sempre sulla direttrice della salvaguardia dell'ambiente, i decreti adottati dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare aventi ad oggetto la definizione di criteri ambientali minimi per l'acquisizione di alcuni specifici beni o servizi. 3 Adottato di concerto con il Ministero dell'Economia ed il Ministero dello Sviluppo Economico 4 Di recente ed esattamente con DM. del 10 aprile 2013, oggetto di significativa revisione; v.si in merito il successivo paragrafo 3.3. 23 Sempre nel solco del PAN GPP (ma in questo caso ad ulteriore sviluppo del medesimo, sotto il profilo della natura delle istanze, in questo caso propriamente sociali, prese a riferimento), con decreto del Ministero dell'Ambiente del 6 giugno 2012 è stato approvata la “Guida per l'integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici”. In ogni caso, il primo dispositivo normativo interno da cui l'analisi deve muovere è il D.Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006, con il quale, come noto, è stato adottato il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in quanto evidentemente costituisce il paradigma di immediata e generale applicazione per ogni (o quasi) operazione d'appalto pubblico condotta nel nostro Paese. Di seguito brevemente, in quanto rappresentano la base normative e/o metodologica interna di principale riferimento per qualsiasi sviluppo applicativo intenderà darsi ai principi oggetto del presente elaborato, verranno sottolineati gli aspetti o i passaggi maggiormente salienti e pertinenti dei su richiamati strumenti, a cominciare come detto, dal Codice dei contratti pubblici. 3.2) La considerazione degli aspetti socio-ambientali nel Codice dei contratti pubblici Per molta parte, come è noto, il D.Lgs. n. 163/2006 rappresenta attuazione delle Direttive Appalti (n. 17 e 18 del 2004), cosicchè molti dei passaggi di seguito considerati costituiscono essenzialmente la traduzione in chiave nazionale dei principi normativi stabiliti a livello comunitario. In ogni caso, può anticiparsi che nel Codice dei contratti pubblici sono presenti aperture normative oppure vere e proprie regole positive - sia pure di varia cogenza specificità e concretezza - con riferimento a ciascuna delle fasi realizzative delle operazioni di appalto, già prima menzionate, ovvero : la definizione dell’oggetto; la definizione delle specifiche tecniche o funzionali; la definizione dei requisiti per la partecipazione alle procedure; la definizione dei criteri di aggiudicazione; la definizione delle clausole di esecuzione del contratto. Ma conviene muovere dai principi generali e quindi dall'art. 2 del Codice dei contratti pubblici, il quale, al comma secondo, così testualmente recita: “Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell'ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”. 24 Si tratta quindi di una apertura estremamente significativa, in quanto inserita negli stessi principi informatori del sistema normativo posto; e tuttavia espressamente condizionata alla necessità di mantenersi all'interno dei limiti discendenti dalle più specifiche previsioni presenti nell'articolato del Codice. Sebbene, dunque, si tratti più di una prospettiva interpretativa che di una regola di ordine positivo, l'incidenza di tale prospettiva sul sistema è indubbia, in quanto se non altro rende disponibile una chiave di lettura altrimenti preclusa all'interprete. Procedendo quindi per fasi operative, la prima da prendere in considerazione è quella della definizione dell'oggetto dell'appalto. In questo caso e solo in questo caso, peraltro, non è necessario ricercare specifiche aperture nel Codice, trattandosi di materia già di per sè rimessa, entro i limiti generali e settoriali dell'ordinamento, alla libera determinazione delle stazioni appaltanti. Bene può infatti ogni Amministrazione committente preferire l'acquisto di veicoli elettrici a basso impatto ambientale piuttosto che mezzi a propulsione tradizionale. Ovviamente, laddove la definizione dell'oggetto di per sè risulti discriminatoria (ad esempio, individuando una o più determinate case produttrici), l'operazione sarà comunque illegittima, in quanto in contrasto con i principi fondamentali del sistema discendenti dallo stesso Trattato UE. Diversa e maggiormente delicata è la seconda questione, ovvero quella delle specifiche tecniche o funzionali. L'art. 68 del D.Lgs. n. 163/2006 così dispone a riguardo: “1. Le specifiche tecniche [...], figurano nei documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d'oneri o i documenti complementari. Ogni qualvolta sia possibile le specifiche tecniche devono essere definite in modo da tenere conto dei criteri di accessibilità per i soggetti disabili, di una progettazione adeguata per tutti gli utenti, della tutela ambientale.” [...] “9. Le stazioni appaltanti, quando prescrivono caratteristiche ambientali in termini di prestazioni o di requisiti funzionali [...] possono utilizzare le specifiche dettagliate o, all'occorrenza, parti di queste, quali sono definite dalle ecoetichettature europee (multi)nazionali o da qualsiasi altra ecoetichettatura, quando ricorrono le seguenti condizioni: a) esse siano appropriate alla definizione delle caratteristiche delle forniture o delle prestazioni oggetto dell'appalto; b) i requisiti per l'etichettatura siano elaborati sulla scorta di informazioni scientifiche; c) le ecoetichettature siano adottate mediante un processo al quale possano partecipare tutte le parti interessate, quali gli enti governativi, i consumatori, i produttori, i distributori e le organizzazioni ambientali; d) siano accessibili a tutte le parti interessate.” “10. Nell'ipotesi di cui al comma 9 le stazioni appaltanti possono precisare che i prodotti o servizi muniti di ecoetichettatura sono presunti conformi alle specifiche 25 tecniche definite nel capitolato d'oneri; essi devono accettare qualsiasi altro mezzo di prova appropriato, quale una documentazione tecnica del fabbricante o una relazione di prova di un organismo riconosciuto. 11. Per «organismi riconosciuti» ai sensi del presente articolo si intendono i laboratori di prova, di calibratura e gli organismi di ispezione e di certificazione conformi alle norme europee applicabili.” Il primo comma segna il passaggio dalla formulazione di un principio (art. 2, comma 2, del Codice, dianzi riportato) alla introduzione di una vera a propria regola comportamentale. Non si tratta più quindi di consentire agli operatori determinante scelte, ma di imporle invece come scelte ordinarie, eccettuate solamente quelle situazioni nelle quali tali scelte non possano trovare utili spazi o margini di attuazione (“Ogni qualvolta sia possibile le specifiche tecniche devono essere definite in modo da ...”) Considerata in negativo, questa regola comporta in linea di principio la non conformità al Codice di quelle specifiche tecniche le quali, pur risultando ciò possibile, non tengono conto “dei criteri di accessibilità per i soggetti disabili, di una progettazione adeguata per tutti gli utenti, della tutela ambientale.” Veniamo quindi a quelli che prima abbiamo alla fase che prima abbiamo chiamato di definizione dei requisiti speciali di partecipazione, che il Codice dei contratti tratta al Capo II del Titolo I, della Parte seconda, agli artt. 34 e segg.. Per quello che riguarda la materia del presente scritto, la prima norma rilevante si rinviene peraltro all'art. 40 (“Qualificazione per eseguire lavori pubblici”), a termini del quale “tra i requisiti di capacità tecnica e professionale il regolamento comprende, nei casi appropriati, le misure di gestione ambientale.” La specificazione “nei casi appropriati” rimanda pur sempre all'analisi dell'estensore degli atti le necessarie valutazioni circa la sussistenza di effettivi margini di applicazione di misure di salvaguardia ambientale, con riferimento all'oggetto concreto dell'appalto in affidamento. Disposizione di analogo tenore è dato incontrare al successivo art. 42 del Codice (“Capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori di servizi”), laddove è stabilito che “negli appalti di servizi e forniture la dimostrazione delle capacità tecniche dei concorrenti può essere fornita [...], a seconda della natura, della quantità o dell’importanza e dell’uso delle forniture o dei servizi: [...] f) indicazione, per gli appalti di servizi e unicamente nei casi appropriati, stabiliti dal regolamento, delle misure di gestione ambientale che l’operatore potrà applicare durante la realizzazione dell’appalto”. Più specifiche indicazioni sono contenute al successivo art. 44 del Codice (“Norme di gestione ambientale”), il quale prevede testualmente quanto di seguito: “Qualora, per gli appalti di lavori e di servizi, e unicamente nei casi appropriati, le stazioni appaltanti chiedano l’indicazione delle misure di gestione ambientale che 26 l’operatore economico potrà applicare durante l’esecuzione del contratto, e allo scopo richiedano la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare il rispetto da parte dell'operatore economico di determinate norme di gestione ambientale, esse fanno riferimento al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS) o a norme di gestione ambientale basate sulle pertinenti norme europee o internazionali certificate da organismi conformi alla legislazione comunitaria o alle norme europee o internazionali relative alla certificazione. Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti in materia rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Esse accettano parimenti altre prove relative a misure equivalenti in materia di gestione ambientale, prodotte dagli operatori economici.” Si entra in questo modo nel vivo della materia dei criteri ambientali, nella definizione dei quali un ruolo necessariamente molto significativo è assolto dai sistemi di certificazione ed audit di processi e prodotti adottati od accettati a livello comunitario, con la fondamentale specifica, peraltro, circa l'obbligo per le stazioni appaltanti di accettare attestazioni o prove equivalenti. È agevole peraltro ricondurre tale soluzione al principio fondamentale che regola la questione della introduzione dei criteri sociali o socio-ambientali negli appalti pubblici, ovvero la necessità di contemperare la considerazione di questi ultimi con i principi ispiratori generali del sistema, ovvero prima di tutto il principio di concorrenza e non discriminazione. Ancorchè, difatti, ispirate dai migliori propositi, specifiche tecniche basate su certificazioni o misure che non ammettessero equivalenti, risulterebbero facilmente ed ingiustificatamente discriminatorie verso operatori non in possesso di quelle specifiche attestazioni, ma comunque in grado di dimostrare livelli di qualità ambientale equiparabili. Passando alla fase successiva, ovvero quella della definizione dei criteri di aggiudicazione della procedura, il primo essenziale riferimento lo troviamo all'art. 83 (“Criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa”), laddove è stabilito che “Quando il contratto è affidato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell'offerta, pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto, quali, a titolo esemplificativo: a) il prezzo; b) la qualità; c) il pregio tecnico; d) le caratteristiche estetiche e funzionali; e) le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell'opera o del prodotto [...]. […]” Il tema qui è parzialmente affine a quello precedentemente considerato, anche in questo caso potendo venire in conto sistemi di certificazione o etichettatura ambientale. Peraltro qui i margini di intervento appaiono oggettivamente più ampi, 27 perchè obiettivi o misure di salvaguardia dell'ambiente possono derivare in via diretta dalla stessa conformazione specifica dell'intervento, così come determinata sulla base degli spazi di progettazione del medesimo lasciati agli stessi concorrenti. Il confronto fra le varie soluzioni proposte (anche) sotto il profilo dell'impatto ambientale potrà quindi determinare la preferenza della stazione appaltante per una o l'altra offerta di gara. Con riferimento specifico agli appalti di lavori ed in particolare per i contratti di cui all’articolo 53, comma 2, lettere b) e c), del Codice (ovvero i contratti rispetto ai quali è atteso dagli operatori un contributo di progettazione significativo, il Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice medesimo (approvato con DPR. n. 207/2010) ha dettato disposizioni ancora più precise. L'art. 120 del Regolamento detto (“Offerta economicamente più vantaggiosa [...]”) stabilisce infatti quanto segue: “In caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa [...] i fattori ponderali da assegnare ai “pesi” o “punteggi” attribuiti agli elementi riferiti alla qualità, al pregio tecnico, alle caratteristiche estetiche e funzionali e alle caratteristiche ambientali non devono essere complessivamente inferiori a sessantacinque. Al fine di attuare nella loro concreta attività di committenza il principio di cui all’articolo 2, comma 2, del codice nonché l’articolo 69 del codice, le stazioni appaltanti nella determinazione dei criteri di valutazione: a) ai fini del perseguimento delle esigenze ambientali, in relazione all’articolo 83, comma 1, lettera e), del codice, si attengono ai criteri di tutela ambientale di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 11 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008, e successivi decreti attuativi, nonché, ai fini del contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali, ai criteri individuati con apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dello sviluppo economico; b) ai fini del perseguimento delle esigenze sociali, hanno la facoltà di concludere protocolli di intesa o protocolli di intenti con soggetti pubblici con competenze in materia di salute, sicurezza, previdenza, ordine pubblico nonché con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali.” Di particolare interesse risultano queste disposizioni, oltre che ovviamente per il loro specifico contenuto conformativo, per due diversi ordini di ragioni: in primo luogo, viene fatto espresso riferimento, quale fonte diretta di parametri normativi, al decreto del Ministero dell'Ambiente dell'aprile 2008, con il quale è stato adottato il Piano di Azione Nazionale in ordine al Green Public Procurement ed ai relativi decreti attuativi o conseguenti a mezzo dei quali lo steso Ministero ha determinato i criteri ambientali minimi (C.A.M.) con riferimento a specifici settori produttivi o categorie merceologiche (v.si appresso, paragrafo 3.4), in questo modo conferendo alle suddette fonti dignità di norme di primario riferimento, come spetta a tutte le disposizioni contenute nel Regolamento in esame; 28 In secondo luogo, accanto ed in via autonoma rispetto alla considerazione dei criteri ambientali, viene introdotta una specifica considerazione delle esigenze di carattere sociale, declinate in questo caso nelle materie della salute, della sicurezza, della previdenza, dell'ordine pubblico, nonchè nelle materie attinenti al mondo del lavoro, di competenza queste ultime delle organizzazioni rappresentative delle parti sociali. Disposizione dai contenuti e risvolti sostanzialmente analoghi è poi contenuta all'art. 283 (“Selezione delle offerte”) del medesimo DPR. n. 207/2010, questo volta compreso nella sezione del Regolamento specificamente afferente i contratti per servizi e forniture: “In caso di aggiudicazione di servizi e forniture con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa [...] al fine della determinazione dei criteri di valutazione, le stazioni appaltanti hanno la facoltà di concludere protocolli di intesa o protocolli di intenti con soggetti pubblici con competenze in materia di ambiente, salute, sicurezza, previdenza, ordine pubblico nonché con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali [...]”. Tradotto in termini più operativi, tutto ciò sta ad attestare che le comprensibili difficoltà di ordine tecnico che possono presentarsi per l'assolvimento degli obblighi in parola non dovrebbero mai considerarsi alla stregua di una causa di esenzione (ancorchè di fatto) rispetto agli obblighi stessi, in quanto comunque è data la possibilità alle stazioni appaltanti di avvalersi delle competenze specifiche detenute in merito da altri soggetti pubblici. La concreta percorribilità, seconda una tempistica utile rispetto al fabbisogno alla base dell'operazione, delle soluzioni operative prospettate (protocolli di intesa o di intenti con altre P.A.) è poi questione che attiene essenzialmente alla questione della programmazione o della programmabilità degli interventi L'ultima fase operativa da considerare è quella della definizione delle clausole di esecuzione dell’appalto, nel Codice dei contratti pubblici trattata essenzialmente all'art. 69 (“Condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nell'invito”) a' termini del quale le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari per l'esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l'altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e purché siano precisate nel bando di gara, o nell'invito in caso di procedure senza bando, o nel capitolato d'oneri. “Dette condizioni” recita quindi il secondo comma del suindicato art. 69, “possono attenere, in particolare, a esigenze sociali o ambientali”. Di speciale interesse è poi la previsione di cui al comma successivo, secondo cui “la stazione appaltante che prevede tali condizioni particolari può comunicarle all'Autorità, che si pronuncia entro trenta giorni sulla compatibilità con il diritto comunitario. Decorso tale termine, il bando può essere pubblicato e gli inviti possono essere spediti.” 29 Queste condizioni possono attenere,ad esempio, alle modalità di smaltimento degli imballaggi od in genere dei rifiuti prodotti durante il ciclo di produzione del servizio richiesto, alla tipologia di prodotti utilizzati per la pulizia ambientale, alla quota di prodotti riciclabili consumati, etc.. Il primo limite, come sempre, è costituito dalla non discriminatorietà di tali clausole, la funzione delle quali deve essere appunto quelle di conformare positivamente il servizio e non invece - neppure indirettamente - quella di privilegiare determinati gruppi di operatori rispetto ad altri. Se il concetto è semplice, la pratica concreta può essere molto più difficile, nonchè caratterizzata da criticità obiettive e rilevanti. Si consideri a questo effetto, che qualsiasi abuso od errore commesso nell'esercizio di tale facoltà: per un verso, potrà determinare un effetto non voluto dal Legislatore (interno come anche comunitario, essendo la norma in parola diretta espressione di principi normativi adottati a livello, quantomeno, di Unione Europea), ovvero le lesione di interessi concorrenziali protetti; e per altro verso, determinerà l'esposizione della procedura a provvedimenti di ordine caducativo dell'Autorità giudiziaria, con tutte le conseguenze pregiudizievoli che ordinariamente ciò arreca all'attività della P.A. ed agli interessi da questa curati. Appunto alla luce di queste ragioni, il nostro Legislatore - sulla scorta di conforme indicazioni fornita in merito dal Consiglio di stato in funzione consultiva - ha previsto la possibilità per le stazione appaltanti di richiedere, in merito a bandi e capitolati adottandi nei quali siano appunto stabilite speciali condizione di esecuzione giustificate da istanze ambientali o sociali, un parere preventivo all'Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici. Tale parere - non obbligatorio, nè vincolante - atterrà specificamente alla compatibilità delle soluzioni adottate con i principi di riferimento comunitario in materia di appalti pubblici. Come già rappresentato nei paragrafi precedenti e come meglio verrà illustrato nel prosieguo, il principale discrimine in merito è costituito dal collegamento fra tali speciali condizioni di esecuzione e l'oggetto dell'appalto in affidamento. Solo infatti la sussistenza di obiettivo collegamento di questo tipo potrà legittimare la conformazione dell'operazione secondo istanze di natura anche socio-ambientali. Infine, l'ultimo comma del cit. art. 69 prevede che qualora bandi e/o capitolati prevedano effettivamente tali speciali condizioni di esclusione, i concorrenti siano chiamati ad accettare espressamente e preventivamente queste ultime, al fine di evitare successive incertezze o contestazioni. Anche tale ultima disposizione conferma, qualora occorresse, la delicatezza di tale passaggio, tanto da richiedere difficile dire a quali effetti e con quali conseguenze - una specifica ed autonoma approvazione preventiva da parte degli stessi concorrenti. 30 Sempre in tema di condizioni di esecuzione del contratto, sembra ancora il caso di menzionare l'art. 281 (“Criteri di applicabilità delle misure di gestione ambientale”) del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti, il quale in merito dispone che per gli appalti di servizi e forniture, la cui esecuzione possa causare danni all'ambiente e che dunque richiedono l'utilizzo di misure volte a proteggere l'ambiente, le stazioni appaltanti, nel richiedere l'applicazione di misure o sistemi di gestione ambientale, nell'esecuzione delle prestazioni contrattuali tengono conto di criteri diretti alla riduzione dell'uso delle risorse naturali, di produzione dei rifiuti, del risparmio energetico, delle emissioni inquinanti e dei rischi ambientali, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla normativa vigente. Viene quindi per tale via introdotta una prima declinazione delle istanze socioambientali (uso risorse, gestione rifiuti, risparmio energetico, emissioni nocive e rischio ambientale in genere) da salvaguardarsi attraverso l'adozione di misure appropriate, ma in ogni caso sempre secondo modalità compatibili con la normativa di riferimento (settoriale e trasversale, come ovviamente quella sulle procedure di affidamento di contratti pubblici). Per quanto riguarda il sistema disegnato con il Codice dei contratti, una ulteriore disposizione estremamente significativa in materia di appalti socialmente responsabili è rappresentata dall'art. 52 (“Appalti riservati”). Si tratta peraltro di una ipotesi normativa del tutto speciale, in ragione della quale viene eccezionalmente consentito alle stazioni appaltanti di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti, ai cd. laboratori protetti, oppure di riservarne l'esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti, purchè la maggioranza dei lavoratori interessati sia composta da disabili non in grado di esercitare un'attività professionale in condizioni normali. Come è agevole rilevare, si tratta di una fattispecie del tutto diversa da quelle sin qui considerate, ma che pure rappresenta una chiara applicazione del principio della responsabilità sociale quale quale criterio per la realizzazione delle operazioni di appalto pubblico. In ragione di tale specialità, tale ipotesi verrà comunque separatamente considerata al successivo paragrafo 3.6. 3.3) Il PAN GPP La definizione in uso presso la Commissione europea del Green Public Procurement (GPP) o “Acquisti Verdi” della Pubblica Amministrazione o, meglio, Acquisti Sostenibili della Pubblica Amministrazione, è la seguente: “Il GPP è l'approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull'ambiente lungo l'intero ciclo di vita". 31 I Piani d'Azione Nazionale hanno quindi l'obiettivo di promuovere la diffusione del GPP presso le Amministrazione aggiudicatrici e gli enti pubblici in genere, favorire le condizioni necessarie per far sì che il GPP possa dispiegare in pieno le sue potenzialità come strumento per il miglioramento ambientale. Il primo Piano d'Azione Nazionale per gli acquisti sostenibili delle pubbliche amministrazioni è stato adottato, per il nostro Paese, con decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, d'intesa con i principali Ministeri economici, dell'11 aprile 2008. Già all'interno di tale Piano era chiarito che gli appalti pubblici dovrebbero fare riferimento non solo al “pilastro” della sostenibilità ambientale, ma anche anche agli due “pilastri” del sistema, ovvero la sostenibilità economica e quella sociale. Nella versione revisionata di tale documento programmatico, approvata con decreto sempre del Ministero dell'Ambiente del 10 aprile 2013, la componente sociale del Piano è andata consolidandosi ed arricchendosi, anche in virtù della medio tempore intervenuta approvazione della Guida alla introduzione dei criteri sociali negli appalti pubblici, sempre ad opera del medesimo Ministero (v.si appresso, paragrafo 3.5). Nel PAN, in sostanza, è delineata la strategia per la diffusione del GPP, individuandone le principali categorie merceologiche interessate, gli obiettivi ambientali qualitativi e quantitativi da raggiungere, nonchè infine gli aspetti metodologici generali da tenere in conto per il perseguimento degli obiettivi dati. Lo stesso PAN prevede quindi che con successivi decreti del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare vengano definiti i criteri ambientali minimi (secondo una procedura piuttosto complessa nello stesso documento disegnata), da inserire nelle procedure d'acquisto sopra e sotto la soglia di rilievo comunitario, in coerenza con le specifiche merceologiche e le disposizioni metodologiche del Piano medesimo. In particolare, vengono individuati come obiettivi ambientali strategici, nell'ordine di considerazione: l' efficienza ed il risparmio nell'uso delle risorse, in particolare dell'energia e la conseguente riduzione delle emissioni di CO2; la riduzione dell'uso di sostanze pericolose; la riduzione quantitativa dei rifiuti prodotti. Le azioni da intraprendersi a questi fini dovranno rispondere a due principi essenziali: la dematerializzazione dell'economia, vale a dire la graduale riduzione degli sprechi e l'ottimizzazione delle risorse impiegate (materiali ed energetiche), per il soddisfacimento delle medesime funzioni; l'impiego di modelli di acquisto e di consumo che pongano attenzione agli impatti ambientali delle operazioni gestite e all'uso delle risorse dedicate ispirato ai principi di sana gestione delle medesime. 32 Il PAN, come detto, rinvia ad appositi decreti da emanarsi da parte del Ministero dell'Ambiente per la definizione di un set di criteri ambientali minimi (CAM) da impiegarsi con riferimento a ciascuna tipologia di acquisto (nell'ambito delle categorie merceologiche individuate). Detti criteri ambientali minimi sono prima di tutto delle "indicazioni tecniche" finalizzate alla introduzione di fattori eco-ambientali e, laddove possibile, anche etico-sociali, nelle diverse fasi delle procedure di gara o contrattuali in genere (ovvero: definizione oggetto dell'appalto, specifiche tecniche, criteri premianti della modalità di aggiudicazione all'offerta economicamente più vantaggiosa, condizioni di esecuzione dell'appalto). L'impiego corretto di tali fattori o criteri - alla individuazione dei quali, partecipa con il Ministero anche la CONSIP - consente di qualificare come "sostenibile" l'acquisto o l'affidamento. Le pubbliche Amministrazioni di cui agli articoli 3 e 32 del D.Lgs. 163/2006, con alcuni distinguo relativamente alle Amministrazioni regionali che saranno nel prosieguo esaminati, sono dunque chiamati ad adottare specifici comportamenti, che possono, per l'intanto, sintetizzarsi come di seguito. A) analisi preliminare I soggetti su indicati sono in primo luogo chiamati a condurre un'analisi preliminare volta a valutare come razionalizzare i propri fabbisogni tenendo in considerazione li obiettivi ambientali strategici di riferimento del PAN GPP. B) obiettivi Gli stessi soggetti sono invitati ad articolare un piano che individui i propri obiettivi specifici e documenti il livello di raggiungimento dei medesimi. C) funzioni competenti All'interno delle loro strutture, detti Enti sono invitati ad individuare le funzioni coinvolte nel processo d'acquisto, competenti per l'attuazione del Pan, ad individuare le modalità di raggiungimento degli obiettivi stabiliti ed a garantire gli adeguati livelli di conoscenza e formazione al fine di svolgere le funzioni atte al raggiungimento degli obiettivi di acquisto ambientalmente preferibili. D) monitoraggio Gli stessi Enti sono invitati a monitorare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ponendo in essere tutte le azioni migliorative necessarie al raggiungimento degli stessi. 3.4) I decreti del Ministero dell'Ambiente di individuazione dei criteri ambientali minimi per alcune tipologie di acquisto Secondo la procedura prevista nel PAN GPP (versione 2008) ed in esecuzione delle direttive in esso contenute il Ministero dell'Ambiente ha ad oggi adottato una serie 33 importante di decreti per la definizione dei “criteri ambientali” minimi da impiegarsi nell'ambito di alcune operazioni d'acquisto ed in particolare: con DM del 2 ottobre 2009 (G.U. n. 269 del 9 novembre 2009)sono stati adottati i “Criteri Ambientali Minimi” per: Carta in risme (carta in fibra vergine e carta in fibra riciclata); Ammendanti (servizi urbani e al territorio); con DM del 22 febbraio 2011 sono stati adottati i"Criteri Ambientali Minimi" per: Prodotti tessili; Arredi per ufficio; Apparati per l'illuminazione pubblica; IT (computer, stampanti, apparecchi multifunzione, fotocopiatrici); con DM del 25 luglio 2011 sono stati adottati i "Criteri Ambientali Minimi" per l'affidamento di servizi di ristorazione collettiva e fornitura derrate alimentari, nonchè, separatamente, per la fornitura di serramenti esterni; con DM del 7 marzo 2012 sono stati adottati i "Criteri Ambientali Minimi” per l'Affidamento di servizi energetici per gli edifici - servizio di illuminazione e forza motrice - servizio di riscaldamento / raffrescamento; con DM dell'8 maggio 2012 sono stati adottati i “Criteri Ambientali Minimi" per l'Acquisizione dei veicoli adibiti al trasporto su strada (in data 30 novembre 2012, il Ministro ha firmato decreto correttivo del precedente; con DM del 24 maggio 2012 sono stati adottati i “Criteri Ambientali Minimi" per l'Affidamento del Servizio di pulizia e per la fornitura di prodotti per l’igiene; con DM del 4 aprile 2013 sono stati adottati i "Criteri Ambientali Minimi" per l'Acquisto di carta per copia e carta grafica - aggiornamento 2013. Sono inoltre in fase avanzata di definizione i “Criteri Ambientali Minimi” relativi alle seguenti categorie: Costruzione e manutenzione delle strade; Gestione dei rifiuti urbani. Tali decreti seguono una struttura in larga parte comune, sebbene in quelli di più recente adozione appaia con chiarezza il progressivo intervenuto affinamento degli strumenti e delle metodologie, tanto a livello interno come a livello comunitario. In sostanza, con la definizione dei criteri ambientali minimi vengono fornite alle stazioni appaltanti indicazioni di carattere tecnico in ordine alla costruzione delle procedure contrattuali, seguendo la partizione tradizionale fra le fasi di seguito brevemente richiamate. La prima fase di definizione dell'oggetto dell'appalto: in questa fase, strettamente connessa a quella ancora precedente di rilevazione del fabbisogno da soddisfare, viene definito lo stesso contenuto dell'acquisto o dell'appalto, privilegiando forniture e soluzioni a minor impatto socio-ambientale. La seconda fase è quella della definizione delle modalità di selezione dei concorrenti (ad esempio: solo gli operatori in grado di dimostrare l'applicazione di misure di gestione ambientale rispondenti a determinati standard), determinando nel contempo le modalità di attestazione e dimostrazione dei requisiti stabiliti, ad esempio 34 attraverso la prova della Registrazione EMAS - Eco-Management and Audit Scheme (ovvero uno strumento volontario creato dalla Comunità Europea al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali) o del possesso di specifiche certificazioni ambientali della serie ISO o comunque dell'utilizzo di un sistema di gestione ambientale avente caratteristiche conformi od equivalenti. La terza fase è quella della individuazione delle specifiche tecniche dei prodotti da fornire o dei servizi da eseguire (ad esempio: prodotti con etichetta ecologica “Ecolabel” o prodotti dalle caratteristiche almeno equivalenti), determinando nel contempo, anche in questa caso, le modalità di attestazione di tale specifiche da parte dei soggetti concorrenti (in mancanza delle “etichette ecologiche” richieste, per esempio, potranno prodursi rapporti di prova redatti da laboratori accreditati). La quarta fase è quella della cd. “specifiche tecniche premianti” e fa riferimento all'attribuzione di punti tecnici in misura direttamente proporzionale alla consistenza quali-quantitative delle misure di gestione ambientale (diverse da quelle già imposta dalla stazione appaltante, come specifiche tecniche dell'appalto o come condizioni di partecipazione alla procedura) che l'offerente si impegna ad adottare nel corso dell'esecuzione del servizio. È in genere previsto che tali misure di gestione ambientale vengano descritte in un apposito Piano gestionale del servizio, destinato a diventare, in caso di aggiudicazione, parte integrante del contratto di affidamento definitivo. Ad esempio, potranno essere premiate le soluzioni che minimizzano i consumi energetici o i consumi di acqua o le emissioni inquinanti e/o quelle che prevedano modalità particolarmente efficienti di smaltimento o riciclo dei rifiuti e/o ancora quelle soluzioni che prevedano l'impiego o la fornitura di materiali a più elevato indice di biodegradabilità. La quinta fase è quella relativa alla fissazione delle clausole esecutive / contrattuali. Tale clausole possono prevedere l'obbligo di azioni positive (ad esempio: un determinato volume di formazione del personale impiegato nell'appalto, in funzione del corretto utilizzo dei prodotti e dei macchinari a fini di risparmio energetico; oppure, utilizzare solo segatura proveniente da legname a basso impatto ambientale) o anche semplici divieti (ad esempio: non utilizzare, nei servizi di pulizia negli edifici, piumini di origine animale o prodotti al di sotto di un certo indice di biodegradabilità). *** Riguardo tale sistema di provvedimenti, possono intanto fornirsi, in chiave metodologica, le seguenti osservazioni: gli strumenti ad oggi proposti dal Ministero dell'Ambiente sono in misura relativamente agevole riferibili alle caratteristiche dei prodotti oggetto di fornitura oppure da impiegarsi nella produzione dei beni richiesti; l'applicazione di criteri ambientali al settore dei servizi risulta per certi aspetti più indiretta e ad esiti maggiormente incerti, in quanto spesso legata a 35 precostituite certificazioni o verifiche di processo, piuttosto che a specifiche esecutive (minime o premianti) in senso stretto; laddove possibile, risulterà evidentemente maggiormente efficace non posizionare l'intervento all'interno di un un'unica fase, bensì ricercare una combinazione mirata di interventi nell'ambito di più d'una delle fasi sopra ricordate (ad esempio: associando specifiche / criteri premianti [fase 4] al divieto di utilizzo di prodotti o macchinari o processi aventi determinate caratteristiche negative sul piano dell'impatto ambientale [fase 5] e magari riservando contemporaneamente la partecipazione ai soggetti in grado di dimostrare, già in sede di offerta, l'adozione di sistemi di gestione ecologicamente efficienti [fase 2]); si tratta in ogni caso di strumenti da impiegare con la massima prudenza, poichè afferenti tutti, seppure da prospettive diverse, a momenti estremamente sensibili della procedura, rispetto ai quali il rischio di incorrere in comportamenti di fatto lesivi della concorrenza è, in caso di uso appena sbilanciato, tutt'altro che remoto. 3.5) La “Guida per l’integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici” del Ministero dell'Ambiente Come è noto, con Decreto del 6 del giugno 2012 il Ministero dell'Ambiente ha adottato la “Guida per l’integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici”, di speciale interesse non tanto perchè successiva a quasi tutti gli strumenti sin qui considerati, quanto per la sua vocazione a fungere da parametro di riferimento generale in relazione all'introduzione, nelle procedure di gara e nelle successive fasi contrattuali, di criteri non già più solo ambientali, ma propriamente e specificamente di ordine etico-sociale od economico-sociale. In ciò dunque muovendo dal contenuto della Guida precedentemente diffusa dalla Commissione europea agli inizi del 2011 ("Acquisti sociali - Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici"), già prima d'ora richiamata, la Guida ministeriale si concentra sulle priorità di ordine sociale da tenersi in conto al fine del raggiungimento dell'obiettivo generale prefisso, ovvero la realizzazione, da parte di tutte le P.A. del sistema, di appalti socialmente responsabili. Seppure, dunque, l'ambito formale di partenza è sempre il PAN GPP, il baricentro della Guida ministeriale non è più costituito dagli “appalti verdi”, quanto piuttosto dalla sostenibilità degli appalti sotto il profilo appunto sociale o sotto altri profili a questo limitrofi. In via generale, peraltro, le priorità considerate sono le medesima già considerate nella Guida di provenienza comunitaria, ovvero, in sintesi: la promozione delle opportunità di occupazione per le persone appartenenti a gruppi svantaggiati ·la promozione del «lavoro dignitoso»: 36 la promozione della conformità con i diritti sociali e del lavoro: la promozione dell’«inclusione sociale» e la promozione delle organizzazioni dell’economia sociale; la promozione dell’«accessibilità e progettazione per tutti»; la considerazione degli aspetti legati al «commercio equo e solidale»; la promozione di impegni di natura volontaristica verso la «responsabilità sociale di impresa» (RSI) la protezione dalla mancata osservanza dei diritti umani e la promozione del rispetto degli stessi; la promozione delle «piccole e medie imprese» nella misura in cui possano essere collegate alle considerazioni esposte sopra. Il concetto chiave che lega tutte queste priorità è quello delle cd. “catene di fornitura” ovvero l'intero processo produttivo (in senso lato) attraverso cui il fornitore ultimo perviene ad erogare alla la P.A. committente le forniture o le prestazioni richieste. Trattasi di processo in alcuni casi molto complesso, frammentato e localizzato anche in Paesi ove possono facilmente non essere garantiti il rispetto dei diritti umani fondamentali e l'applicazione di standard minimi relativi alle condizioni di lavoro. Nella Guida in esame, dunque, “per 'criteri sociali' si intendono i criteri tesi a promuovere l'applicazione, lungo la catena di fornitura, degli standard sociali riguardanti i diritti umani e le condizioni di lavoro, riconosciuti a livello internazionale e definiti da: - le otto Convenzioni fondamentali dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization - ILO)[...]; - la Convenzione ILO n. 155 sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; - la Convenzione ILO n. 131 sulla definizione di salario minimo; - la Convenzione ILO n. 1 sulla durata del lavoro (industria); - la Convenzione ILO n. 102 sulla sicurezza sociale (norma minima); - la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; - art. n. 32 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo; - la legislazione nazionale, vigente nei Paesi ove si svolgono le fasi della catena di fornitura, riguardanti la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, nonche' le legislazione relativa al lavoro, inclusa quella relativa al salario, all'orario di lavoro e alla sicurezza sociale (previdenza e assistenza)”. Quello della catena di fornitura è appunto un concetto chiave in quanto evidentemente ben poco utile sarebbe assumere garanzie con riferimento ad uno o più segmenti del processo produttivo o distributivo, laddove altri segmenti dello stesso - e magari quelli più significativi, sotto il profilo sociale - dovessero rimanere 37 privi di qualsiasi attenzione e tutela. L'approccio da seguire si basa quindi sulla trasparenza e tracciabilità della catena di fornitura, l'introduzione delle istanze sociali basandosi prima di tutto sulla qualità e quantità delle informazioni relative alle condizioni di lavoro praticate lungo tutti i segmenti di quest'ultima. A questo riguardo, l'approccio individuato nella Guida prevede la costruzione di uno specifico processo di facilitazione, ossia di un "dialogo strutturato" tra le Amministrazioni aggiudicatici e i relativi fornitori (potenziali ed effettivi), finalizzato specificamente alla emersione della dimensione sociale nel sistema degli approvvigionamenti pubblici. Il dialogo strutturato ha in sostanza lo scopo di migliorare la conoscenza relativa alle condizioni di lavoro e al rispetto dei diritti umani lungo la catena di fornitura, di trasmettere segnali di attenzione e/o di allarme sugli standard sociali lungo la stessa catena e di permettere il monitoraggio dell'applicazione dei criteri sociali dell'appalto, compresa l'attivazione di eventuali meccanismi correttivi in caso di mancato rispetto degli stessi. Prima di esaminare un po' più da vicino lo strumento proposto dal Ministero dell'Ambiente, va precisato che, in prima versione, il dispositivo del dialogo strutturato viene indirizzato esclusivamente alle funzioni di definizione dell'oggetto dell'appalto e delle condizioni di esecuzione del medesimo, rimandando invece a successive versioni della Guida la considerazione dei criteri sociali anche con riferimento alla altre fasi del processo (criteri di selezione dei candidati, specifiche tecniche e criteri di aggiudicazione). In concreto, il percorso del dialogo strutturato si compone della seguente serie di attività: 1. informazione agli operatori economici: l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore, con adeguato anticipo ed adeguati mezzi, informa gli operatori economici della intenzione di introdurre i criteri sociali nelle proprie attività contrattuali; 2. inserimento di clausole contrattuali relative alla conformità a standard sociali minimi tra le condizioni di esecuzione contrattuale (nessun anello della catena di fornitura escluso); 3. sottoscrizione di una "Dichiarazione di conformità a standard sociali minimi": parte integrante del capitolato e del contratto, riporta l'assunzione di impegni dell'aggiudicatario verso il rispetto di standard sociali minimi lungo la catena di fornitura, nonchè alla collaborazione con la stazione appaltante in ordine al monitoraggio degli impegni assunti (modello di tale dichiarazione è reso disponibile in allegato alla Guida ministeriale); 4. compilazione da parte del fornitore, nel corso della durata del contratto, di apposito questionario di monitoraggio sulla conformità agli standard sociali minimi assunti (in allegato alla Guida ministeriale è reso disponibile modello di tale questionario, oltre a modello semplificato per appalti di valore inferiore alla soglia di applicazione della normativa comunitaria); anche tale 38 questionario è parte integrante della documentazione contrattuale ed eventuali risposte false o mendaci saranno sanzionate (oltre che contrattualmente) anche penalmente, ai sensi dell'art. 76 del DPR 445/2000; 5. richieste di chiarimenti ed incontri: l'Amministrazione richiede chiarimenti all'aggiudicatario sulla base delle risposte contenute nel questionario, anche se del caso organizzando incontri mirati a soddisfare eventuali esigenze informative dell'aggiudicatario ed a facilitare la soluzione di eventuali problemi; 6. verifiche ispettive: l'Amministrazione effettua o dispone l'effettuazione di verifiche ispettive al fine di vigilare sul rispetto delle clausole contrattuali; 7. azioni correttive: l'aggiudicatario potrà essere tenuto ad effettuare adeguate azioni correttive, che possono coinvolgere i sub-fornitori, di cui l'Amministrazione aggiudicatrice potrà chiederne l'attuazione entro i termini stabiliti dalla stessa; 8. penalità: l'Amministrazione stabilisce penalità proporzionali alla gravità delle violazioni contrattuali inerenti eventuali momenti di non conformità agli standard sociali minimi lungo la catena di fornitura (non esclusa, ricorrendone i presupposti di gravità, la risoluzione del contratto). Nella Guida è peraltro opportunamente precisato che la misura dell'applicazione dei criteri sociali potrà essere valutata dalla stazione appaltante in ragione del grado di rischio connesso all'operazione, in relazione, in primo luogo, al settore di riferimento dell'appalto (è noto ad esempio, che il settore tessile ed il settore agro-alimentare presentano un notevole rischio intrinseco di violazione dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani in genere, quantomeno lungo alcuni segmenti della linea di produzione e fornitura). Specifica raccomandazione è poi formulata nella Guida del Ministero verso un maggior ricorso alle centrali di committenza (joint purchasing, nella terminologia derivata dalla Guida della Commissione europea), le quali sono chiamate all'applicazione dei criteri sociali a prescindere dal valore dell'appalto in affidamento. Sempre solo in funzione metodologica, può osservarsi che lo strumento predisposto dal Ministero dell'Ambiente si presta principalmente ad almeno tre ordini di considerazioni: trattasi di dispositivo costruito in una prospettiva sufficientemente pragmatica ed operativa, specie tenuto conto, dei modelli contestualmente messi a disposizione (di questionario, nonchè di clausole contrattuali); il sistema di monitoraggio e verifiche delineato nella Guida presuppone tuttavia una capacità operativa nelle stazioni appaltanti più facile da rinvenire o presumere nella organizzazioni di dimensioni medio-grandi, piuttosto che in quelle medio-piccole; in ogni caso, la concentrazione dell'applicazione dei criteri sociali sulla 39 fase di definizione dell'oggetto del contratto e di esecuzione del medesimo lascia ampi margini di integrazione e sviluppo dello strumento predisposto (come del resto rappresentato nella stessa Guida ministeriale). 3.6 Gli appalti riservati e gli affidamenti a cooperative sociali È stata dianzi anticipata la possibilità, prevista all'art. 52 del Codice dei contratti, che una stazione appaltante riservi la partecipazione ad una determinata procedura d'appalto ai cd. laboratori protetti oppure di riservarne l'esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti. Si tratta, per la verità, di una disposizione mutuata direttamente dalle Direttive comunitarie, che non trova nel nostro ordinamento un sostrato normativo sufficientemente solido ed univoco. Difatti non esiste a livello nazionale una definizione di laboratorio o di programma di lavoro protetto. Sulla base dei contributi forniti a riguardo dall'Autorità di Vigilanza per i contratti pubblici - a più riprese intervenuta sull'argomento, ad esempio con la determinazione n. 2 del 2008 o con la determinazione n. 7 del 2011 - nonchè delle esperienze anche normative maturate a livello europeo (ad esempio, nella materia degli aiuti di stato è considerato “lavoro protetto” uno stabilimento nel quale almeno il 50 % dei lavoratori è affetto da disabilità grave, tale da impedire loro di esercitare una occupazione sul mercato del lavoro, per converso, aperto; cfr. Regolamento CE 2204/2002, punto h) il quadro di riferimento è andato relativamente chiarendosi. Così, in primo luogo, all'espressione “laboratori protetti” viene ricondotta una valenza identificativa di tipo soggettivo e si riferisce a quelle entità organizzate tendenzialmente stabili nelle quali prestano attività soggetti con disabilità grave per una quota superiore al 50 % del totale; mentre l'espressione “programmi di lavoro protetti” ha una connotazione oggettiva, in quanto prende a riferimento direttamente la fase di realizzazione delle attività, la quale potrà definirsi appunto programma protetto quando nelle medesima sia assicurato l'impiego di lavoratori disabili sempre per una quota superiore al 50 % (a prescindere, quindi, dal profilo soggettivo delle organizzazioni che intervengono nel processo produttivo). Nella prima ipotesi (laboratori protetti) la procedura di scelta del contraente è ristretta a quelle organizzazioni che possiedano le caratteristiche sociali suindicate, mentre nella seconda ipotesi (programmi di lavoro protetti) la limitazione non è a monte, bensì a valle, e non è di tipo soggettivo bensì oggettivo, concernendo semplicemente le modalità sociali di esecuzione del servizio. La prima ipotesi richiede peraltro di essere tenuta discosta da altre figure in qualche misura affini, prima fra tutte quella dell'impresa sociale, entrambe prevedendo il coinvolgimento strutturale di personale a rischio di emarginazione. La linea di discrimine non è sempre agevole da tracciarsi e può dipendere da fattori 40 diversi, concernendo, ad esempio, anche il livello di disabilità è la quota di lavoratori disabili impiegata). Il principale parametro di riconoscimento è comunque dato dalla missione o dalla scopo sociale: nel laboratorio protetto le ambizioni produttive sono assolutamente marginali rispetto al fine assorbente dell'organizzazione, rappresentato dall'inserimento lavorativo di soggetti altrimenti necessariamente esclusi dal mondo del lavoro; nell'impresa sociale, il fine in qualche misura sociale o solidaristico è invece accompagnato da una vocazione produttiva potenzialmente di respiro più ampio, tanto che in molti casi dette organizzazioni si trovano a competere sul mercato libero pressochè da pari a pari con imprese dalla caratteristiche tradizionali. Si tratta, come è facile rilevare, di uno strumento di natura chiaramente derogatoria rispetto al sistema generale degli appalti pubblici, peraltro teoricamente non limitato da soglie di valore, ma solo dalle suindicate caratteristiche soggettive od obiettive dell'operazione. La ricorrenza di queste ultime, peraltro, stante appunto la natura straordinaria del dispositivo, dovrà quantomeno venire verificata con assoluto rigore. Circa le procedure di affidamento, i due modelli considerati comportano soluzioni diverse. I laboratori protetti costituiscono appalti riservati in senso stretto, ma ciò non significa che, almeno tutte le volte che ciò risulti possibile, sarà necessario selezionare l'organizzazione assegnataria sulla base di procedura coerente con le regole della concorrenza. I programmi di lavoro protetti seguono invece la disciplina di affidamento ordinaria, in quanto, come detto, la specialità dell'operazione attiene semplicemente alla fase esecutiva del rapporto. In qualche misura affine al fenomeno degli appalti riservati previsti all'art. 52 del D.Lgs. n. 163/2006 è la previsione di cui all'art. 5, comma, 1 della legge n. 381 del 1998, a' termini della quale gli enti pubblici possono stipulare convenzioni con le cd. cooperative sociali di tipo B, finalizzate alla fornitura di determinati beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi - in deroga alle procedure di cui al suddetto D.Lgs. n. 163 /2006, purché il valore di tali convenzioni sia di importo inferiore alla soglia di applicazione della normativa comunitaria. La prima notazione che a riguardo si rende opportuna è che il cit. art. 52 del Codice, al primo comma, fa espressamente salve “le norme vigenti sulle cooperative sociali e sulle imprese sociali”, così dissipando ogni dubbio circa la persistenza anche del canale di affidamento previsto dalla legge 381/1998. Entrambi i dispositivi sono peraltro evidentemente tesi alla promozione ed all’integrazione sociale e come tali vanno a inserirsi nel più ampio quadro di attenzione che il diritto comunitario riserva alla considerazione degli aspetti sociali nelle procedure di appalto pubblico. 41 Nel caso delle cooperative sociali, tuttavia, è rinvenibile anche uno specifico appoggio nella Costituzione italiana, e più esattamente all'art. 45, secondo il quale “la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei, assicurandone, con opportuni controlli, il carattere e le finalità.” Occorre quindi definire il perimetro soggettivo di applicazione dell'art. 5 della legge 381/1998. Sul lato della committenza, non vi sono preclusioni particolare, trattandosi di soluzione consentita a tutti gli enti pubblici, compresi quelli economici e le società a partecipazione pubblica. Sul lato del soggetto fornitore, il novero dei beneficiari è invece estremamente specifico, essendo costituito esclusivamente le cd. cooperative sociali di tipo “B”, come definite dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge cit., la quale individua, due distinte tipologie di cooperative: cooperative di tipo A: nell’esercizio dell’attività di gestione dei servizi sociosanitari ed educativi sono rivolte ad arrecare beneficio a persone bisognose di intervento in ragione dell’età, della condizione familiare, personale o sociale. cooperative di tipo B: svolgono attività diverse dalle prime (agricole, industriali, commerciali o di servizi), e sono finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Dette cooperative di tipo B, per poter beneficiare delle convenzioni sopra dette, devono avere in organico almeno il 30 % dei lavoratori (soci o anche non soci) costituito da persone svantaggiate, da individuarsi sulla base della definizione contenuta all’art. 4 della stessa legge, secondo cui sono da ritenersi, appunto, persone svantaggiate, “gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354 , e successive modificazioni. Si considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari sociali”. Anche i consorzi costituiti per almeno il 70 % da cooperative sociali sono ammessi a stipulare le convenzioni in esame, a condizione che le attività oggetto della convenzione siano svolte esclusivamente da cooperative sociali di tipo B (cd. cooperative di inserimento lavorativo). Per le cooperative sociali aventi sede in Italia ed i loro consorzi è anche necessaria la previa iscrizione ad apposito albo regionale, effettuata sulla base della ricorrenza di un insieme di elementi concernenti la capacità professionale ed economico finanziaria (in mancanza di tale albo, peraltro, requisiti equivalenti dovranno essere 42 attestati con riferimento ad ogni singola operazione di convenzionamento). In ogni caso, anche cooperative aventi sede in altro Stato membro dell'Unione potranno risultare beneficiarie delle dette convenzioni, previa dimostrazione del possesso di caratteristiche analoghe a quelle richieste dalla legge italiana. Sotto il profilo invece oggettivo, le convenzioni di cui trattasi conoscono due specie di limitazioni. Per la prima, il valore delle medesime deve essere comunque inferiore, come detto, alla soglia di rilevanza comunitaria, così come stabilita (o meglio: esplicitata) all'art. 28 del Codice dei contratti pubblici. Per la seconda, dette convenzioni possono avere come oggetto solo lo svolgimento di servizi strumentali all'attività della P.A. committente o l'erogazione di forniture ugualmente strumentali, con esclusione quindi sia dei lavori pubblici che della gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica (v.si, in merito, la sentenza del C.d.S., 6 ottobre 2011, n. 1466) Ma una terza almeno altrettanto rilevante condizione limitativa è stabilita all’art. 5 della legge n. 381/1991, secondo cui le convenzioni sono “finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’art. 4, comma 1”. Il fine di inserimento lavorativo è dunque elemento essenziale della fattispecie, valendo come insostituibile presupposto legittimante la deroga al sistema ordinario di affidamenti che queste convenzioni evidentemente comportano. Quanto alle procedure di affidamento - osservato che la materia è affidata anche alla competenza normativa regionale, nell'ambito dei principi posti con la normativa di livello nazionale - va detto che secondo l'insegnamento della giurisprudenza la deroga deve intendersi verso le procedure formalizzate ordinarie, restando tuttavia tenuta la stazione appaltante, qualora sussistano o possano sussistere più soggetti interessati ad una determina operazione, selezionare il soggetto fornitore attraverso l'esperimento di procedura comunque coerente con le regola della concorrenza, sia pure eventualmente nelle forme attenuate proprie, ad esempio, delle procedure negoziate. Quali le differenze con gli appalti riservati di cui al sopra menzionato art. 52 del Codice ed in particolare con gli affidamenti a laboratori protetti ivi previsti ? Innanzitutto, quelle di natura soggettiva. Le convenzioni di cui alla legge 381/1998 sono come detto riservate alla cooperative sociali di tipo B, mentre nessuna forma giuridica o tipologica risulta predeterminata per i laboratori protetti, i quali sono contraddistinti esclusivamente in ragione delle loro caratteristiche soggettive interne. Se poi entrambe le fattispecie sono caratterizzate dallo spirito solidaristico e quindi sociale, la convenzioni con le cooperative sociali rappresentano attuazione diretta del principio mutualistico e cooperativo, avente, come detto, valenza sua propria nel nostro ordinamento. 43 La stessa finalità di inserimento lavorativo che accomuna le due ipotesi conosce diverse specificazioni fra l'una e l'altra fattispecie. Mentre, difatti, i laboratori protetti sono quelli all'interno dei quali operano (per una quota non inferiore al 50 %) soggetti affetti da disabilità tale da non consentirgli senz'altro altro impiego nel mercato aperto, i lavoratori occupati nelle cooperative sociali utili al raggiungimento della quota minima prescritta (almeno il 30 % dell'organico) sono persone svantaggiate di vario genere, sicuramente a rischio di emarginazione sociale, ma certamente non a priori altrimenti escluse dal mondo del lavoro. Non vi è dubbio che negli appalti che prevedono il coinvolgimento dei laboratori protetti il carattere solidaristico dell'operazione sia, dunque, ancora più intenso ed assorbente rispetto alle convenzioni con le cooperative sociali, che restano comunque operatori economici a tutti gli effetti, sia pure connotati da speciali caratteristiche soggettive e finalità. Tali differenze si riverberano peraltro in via diretta sulla consistenza economica consentita per le suddette operazioni, che, come detto, è limitata ad una dimensione infracomunitaria (sottosoglia) per l'ipotesi delle cooperative, mentre non conosce virtualmente limitazioni per i laboratori protetti. Per una più specifica analisi delle problematiche afferenti le convenzioni con le cooperative sociali si rinvia alla determinazione dell'Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici n. 3 del 1° agosto 2012 (“Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991”), adottata dopo apposita procedura di consultazione di operatori pubblici e privati. 44 4. LA PROPOSTA DI NUOVA DIRETTIVA APPALTI APPROVATA DALLA COMMISSIONE Come anticipato in apertura, in data 20 dicembre 2011 la Commissione europea ha reso definitiva Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici, COM(2011)896, attualmente in sede di discussione presso il Parlamento europeo. Sebbene da tale proposta, in quanto tale, evidentemente non possano allo stato discendere parametri regolamentari di immediata applicazione, trattasi comunque di documento già ad oggi di notevole interesse, specialmente in quanto frutto di ampia consultazione a tutti livelli negli Stati dell'Unione e quindi espressione per larga parte di principi e posizioni già ampiamente condivise. Tale proposta rappresenta quindi sin da ora un utile riferimento interpretativo, se non altro per quanto concerne il fondamentale punto di vista comunitario riguardo alle problematiche oggetto del presente elaborato. Ebbene già nella relazione illustrativa delle detta proposta ampio spazio è dedicato agli aspetti sociali associati alle operazioni di appalto. Facendo diretto riferimento alla già citata strategia Europa 2020, nella detta relazione è sottolineato il ruolo fondamentale degli appalti pubblici per assicurare lo sviluppo di una economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione, efficiente e competitiva sotto il profilo delle risorse, a basso impatto ambientale, con un alto tasso di occupazione e tale da favorire la coesione sociale e territoriale. La messa in opera di un quadro normativo rivisto e ammodernato in materia di appalti pubblici è intesa come azione funzionale sia a rendere più flessibile e quindi più efficiente le procedure di aggiudicazione dei contratti e sia ad un uso maggiormente efficace dei contratti d'appalto pubblici a sostegno di altre politiche pubbliche. Gli obiettivi principali della proposta sono infatti così definiti: • Accrescere l'efficienza della spesa per garantire i migliori risultati possibili, in termini di rapporto qualità/prezzo, in materia di appalti. Ciò comporta, in particolare, una semplificazione e una maggior flessibilità dell'attuale normativa in materia di appalti pubblici. Procedure semplificate ed efficienti andranno a vantaggio di tutti gli operatori economici e favoriranno la partecipazione delle PMI e degli offerenti transfrontalieri. • Far sì che i committenti facciano un miglior uso degli appalti pubblici a sostegno di obiettivi sociali comuni quali la tutela dell'ambiente, una maggiore efficienza energetica e sotto il profilo delle risorse, la lotta contro i cambiamenti climatici, la promozione dell'innovazione e dell'inclusione sociale e infine la garanzia delle migliori condizioni possibili per la fornitura di servizi pubblici di elevata qualità. Se la tutela dell'ambiente, il supporto alle PMI e all'innovazione, rappresentano da tempo obiettivi ampiamente condivisi a livello comunitario, la considerazione 45 dell'inclusione sociale fra i principali obiettivi della riforma degli appalti costituisce un passaggio particolarmente significativo, che va ad inserirsi in quello che viene definito nella stessa Relazione “Uso strategico degli appalti pubblici in risposta alle nuove sfide” In ogni caso, almeno tre sono le linee evolutive che interessano l'oggetto del presente elaborato. La prima linea concerne la possibilità per i committenti di basare le loro decisioni di aggiudicazione non più (accanto eventualmente al merito tecnico dell'offerta, nel caso in cui il metodo di aggiudicazione sia quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa) semplicemente in rapporto al prezzo offerto dai concorrenti, bensì sul cd. costo del ciclo di vita dei prodotti, servizi o lavori che prevedono di acquistare. “Il concetto di costo dell'intero ciclo di vita comprende tutti i costi che emergono durante il ciclo di vita dei lavori, delle forniture o dei servizi, sia in termini di costi interni (come lo sviluppo, la produzione, l'uso e la manutenzione e i costi di smaltimento finale) che di costi esterni, a condizione che possano essere monetizzati e controllati” (40° considerando della proposta di Direttiva in esame). Peraltro è anche previsto che una volta dall'Unione Europea definita una metodologia ad hoc per il calcolo dei costi del ciclo di vita, le Amministrazioni aggiudicatrici saranno tenute - e non più semplicemente autorizzate - a utilizzare tale parametro. La seconda fondamentale linea evolutiva attiene al cd. processo di produzione dei beni, servizi o lavori commissionati, essendo previsto che la Amministrazioni aggiudicatrici possano far riferimento a tutti i fattori direttamente collegati al processo di produzione, sia nella fase di definizione delle specifiche tecniche, che nella fase di definizione dei criteri di aggiudicazione, sempreché si riferiscano ad aspetti di tale processo strettamente legati alla produzione o alla fornitura delle merci o dei servizi acquisiti. Quindi, “per una migliore integrazione delle considerazioni di tipo sociale negli appalti pubblici, ai committenti dovrebbe essere consentito di inserire – nel criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa - alcune caratteristiche relative alle condizioni di lavoro del personale direttamente coinvolto nel processo di produzione o di prestazione in questione. Le caratteristiche possono riferirsi unicamente alla tutela della salute del personale direttamente coinvolto nei processi produttivi o alla promozione dell'integrazione di persone svantaggiate o di membri di gruppi vulnerabili nel personale incaricato dell'esecuzione del contratto, anche per quanto riguarda l'accessibilità per le persone con disabilità. Ciascun criterio di aggiudicazione che include tali caratteristiche dovrebbe comunque limitarsi alle caratteristiche che hanno conseguenze immediate sul personale nell'ambiente di lavoro” (41° considerando proposta detta). In applicazione di tale ultima regola, peraltro, le stesse Amministrazioni sono tenute ad escludere dal sistema requisiti non connessi al processo di produzione dei prodotti, lavori o servizi ai quali si riferisce l'appalto, “quale il requisito sulla responsabilità sociale generale delle imprese che copre la globalità dell'attività dell'aggiudicatario.” 46 Si tratta, come è agevole osservare, di una puntuale riaffermazione del criterio del collegamento con l'oggetto dell'appalto quale parametro discriminante in ordine alle legittimità della imposizione di determinate specifiche socialmente responsabili o dell'impiego di determinati criteri di aggiudicazione ugualmente ispirati a ragioni di natura sociale. La terza pertinente linea evolutiva concerne il metodo delle cd. etichette. Si tratta, peraltro, non certo di una novità assoluta, quanto piuttosto di una estensione del campo di operatività dello strumento, ad oggi principalmente impiegato nella materia ambientale. Sulla base della nuova direttiva proposta, infatti, le Aamministrazioni aggiudicatrici potranno esigere che lavori, forniture o servizi siano muniti di particolari etichette o marchi di certificazione sì ambientali, ma anche specificamente sociali o relativi ad altre caratteristiche (come sempre, a condizione che riconoscano anche etichette o marchi di certificazione equivalenti) Oltre alle etichette od ai marchi di qualità ecologica europei o(multi)nazionali, sarà dunque possibile ricorrere a marchi od etichette anche per attestare che per la realizzazione di un determinato prodotto non è stato fatto ricorso all'impiego di lavoro minorile o ad altre forme di sfruttamento del lavoro sanzionate dalla Convenzioni internazionali su lavoro comunemente accettate. La linea evolutiva generale è dunque ampiamente tracciata e confermata nella proposta di direttiva qui esaminata, mentre restano ancora da definirsi molti dei possibili contorni concreti delle nuove procedure ispirate ad una maggior considerazione degli aspetti sociali degli appalti. 47 5. ALCUNI ESEMPI DI AZIONI GIÀ INTRAPRESE IN MATERIA DI APPALTI SOCIALMENTE RESPONSABILI Non sarà inutile, si ritiene, prima di passare ad indicazioni di genere possibilmente maggiormente operativo, soffermarsi brevemente su alcune significative esperienze o iniziative in materia di appalti socialmente orientati avviate in Europa come anche in Italia. La prima iniziativa a cui si intende fare riferimento è quella posta in esser dal Regno Unito, con il Social Value Act, approvato l'8 marzo 2012 ed in vigore dal 31 gennaio 2013. Si tratta di un testo normativo che impone a tutte le amministrazioni e gli enti pubblici in Inghilterra e nel Galles di porsi, nella fase propedeutica alla indizione di procedure di gara, la seguente fondamentale domanda: - in che modo l'operazione di acquisizione programmata potrà essere conformata al fine migliorare il benessere economico, sociale o ambientale del territorio di riferimento ? Il carattere innovativo di tale iniziativa non risiede peraltro nel suo contenuto specifico, quanto piuttosto nel fatto detta azione non è più considerata alla stregua di semplice facoltà e nemmeno oggetto di specifica raccomandazione, quanto piuttosto come un vero e proprio obbligo, di cui le stazioni appaltanti sono chiamate iin qualche misura a rendere conto negli atti preliminari del procedimento. Il valore sociale dell'appalto diviene quindi un elemento da tenere necessariamente in considerazione nella definizione di tutti i parametri della procedura espletanda (oggetto, specifiche tecniche, criteri di ammissibilità, criteri di partecipazione o condizioni di esecuzione). Nella consapevolezza della delicatezza delle questioni trattate, il Social Value Act contiene peraltro anche una forte raccomandazione ai commissioners di condurre adeguate procedure di consultazione preliminare dei principali referenti sul territorio per la specifica operazione prospettata (secondo un approccio, in questo, non dissimile da quello adottato nel nostro Paese con la previsione del cd. Dialogo strutturato con le imprese, delineato nella “Guida per l’integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici”, adottata, come detto, con decreto del 6 del giugno 2012 dal Ministero dell'Ambiente). Non sono a riguardo individuati limite o soglie di valore e tuttavia l'oggetto è per ora delimitato al settore dei contratti per la fornitura di servizi, inteso come il settore potenzialmente idoneo a fornire i migliori risultati nella prospettiva di una aumentata considerazione dei risvolti sociali complessivi dell'operazione d'appalto programmata. Restano peraltro quali limiti fondamentali quelli ormai più volte sottolineati per ogni azione conformativa di operazioni d'appalto, ovvero prima di tutto il rispetto dei 48 principi di non discriminazione e di proporzionalità, nonchè anche della regola del collegamento obiettivo con l'oggetto dell'appalto: nessuna clausola sociale potrà quindi imporsi se non quelle che trovino causa o giustificazione nell'ambito della stessa operazione d'appalto5. Quale esempio di buona prassi, nella nota illustrativa diramata dall'Autorità governativa in merito al Social Value Act, viene indicato il seguente percorso: una Autorità locale deve procedere ad acquisire servizi di ristorazione per persone anziane; nel corso del pre-procurement stage, detta Autorità decide, in quanto trattasi di servizio destinato ad assere erogato direttamente ai cittadini, di consultare questi ultimi, insieme ai potenziali fornitori e ad alcuni stakeholder; il risultato della consultazione suggerisce che molti dei potenziali beneficiari del servizio soffrono di solitudine e di isolamento sociale; feedback acquisiti nel corso della stessa consultazione stanno ad indicare che i detti problemi di isolamento e solitudine sarebbero affrontati in modo più efficace qualora il servizio in parola prevedesse la raccolta e l'accompagnamento degli anziani presso un centro comune, dove consumare i pasti, appunto, in compagnia degli altri utenti del sistema; l'Autorità committente conforma conseguentemente l'appalto alle specifiche sopra dette; inoltre, nel considerare la capacità tecnica necessaria per l'assunzione del servizio, viene stabilita la necessità di pregresse esperienze non solo in materia di trasporto di persone e di catering, ma anche nello specifico settore dei servizi rivolti a persone anziane; naturalmente, il soggetto aggiudicatario potrà avvalersi, nelle forme di legge, dei contributi specialistici di sub-contraenti, così come potrà partecipare in forma riunita con altre imprese specializzate. Tutte tali condizioni mantengono un chiaro collegamento con l'oggetto specifico dell'appalto in affidamento e risultano quindi compatibili (sotto tale proflo) con i principi generali di settore derivanti dalla normativa comunitaria in materia di appalti. La seconda esperienza a cui si vuole far cenno è stata condotta in Svezia, ed ha preso le mosse da un progetto pilota che inizialmente ha coinvolto un numero limitato di regioni, fra cui la contea di Stoccolma. In questo caso l'attenzione è stata posta sul processo di produzione di cinque categorie di prodotti (acciaio inossidabile e strumenti medicali; prodotti medicali monouso; guanti; prodotti per medicazioni; prodotti tessili; e infine, introdotti successivamente, prodotti farmaceutici e IT), ritenuti a maggior rischio sotto il profilo 5 Nel testo originale: “The authority must consider ... only matters that are relevant to what is proposed to be procured and, in doing so, must consider the extent to which it is proportionate in all the circumstances to take those matters into account." 49 delle condizioni di lavoro nei Paesi di manifattura dei prodotti intermedi o finiti (Pakistan, Thailandia, Malesia, India, Cina etc.). È stato quindi approntato un modello comune per tutti i contratti aventi per oggetto l'acquisizione dei suddetti prodotti a rischio di apposito “codice di condotta”, ispirato al rispetto delle Convenzioni internazionali in materia di tutela del lavoro, nonchè un comune modello di monitoraggio finalizzato alla verifica del rispetto delle condizioni stabilite all'interno del detto codice lungo l'intera filiera di produzione. Sono stati quindi condotti specifici audit direttamente nelle aree di lavorazione dei suddetti prodotti, riscontrando violazioni di varia specie ed entità ed applicando, a riguardo, le misure contrattuali a questo effetto previste. Il buon esito dell'iniziativa pilota ha condotto ad estendere l'impiego del modello sperimentato a tutte le regioni della Svezia. Si tratta di una best practice di particolare interesse per il nostro Paese perchè ricalca molto da vicino l'approccio alla introduzione dei criteri sociali negli appalti pubblici disegnato nella più volte menzionata Guida adottata in merito dal Ministero dell'Ambiente. Inutile peraltro sottolineare come momento qualificante di tale modello sia l'effettuazione di qualificati audit in loco, i quali tuttavia presuppongono una capacità operativa non sempre rinvenibile nel nostro tessuto amministrativo. Significative azioni in materia di inclusione di istanza sociali negli appalti sono state condotte, ad esempio, in molte regioni della Spagna, Il Comune di Siviglia, ad esempio, ordinariamente prevede l'operatività di clausole sociali nell'ambito dei propri appalti. In questo caso l'aspetto maggiormente significativo risiede nell'articolazione del sistema di clausole applicato, le quali si atteggiano specificamente a condizioni speciali di esecuzione del contratto. Salvo altre, si tratta, indicativamente, delle seguenti “condizioni”: obbligo di impiego di una quota di personale svantaggiato pari al 10 % della manodopera complessivamente impiegata nel contratto aggiudicato; qualora il contraente abbia una forza lavoro sbilanciata oltre una certa misura verso il personale maschile, obbligo di assunzione di almeno un risorsa di sesso femminile o di trasformazione a tempo indeterminato di un contratto di lavoro con una risorsa di sesso femminile prima a tempo determinato; obbligo di impiego, nell'esecuzione del contratto di una quota pari almeno al 30 % del totale di personale con contratti di lavoro stabili; promozione di azioni che favoriscono la riconciliazione di lavoro e famiglia da parte dell’impresa che realizza il contratto aggiudicato 6. 6 Le informazione relative a quest'ultima esperienza commentata sono state tratte dalle Linee Guida sulla materia adottate all'interno del Progetto PASE, promosso, per l'Italia, dalla Regione Marche nell'ambito del Programma INTERREG IVC. 50 Ovviamente, il legittimo impiego di clausole di questo tenore, nella prospettiva della compatibilità con il diritto comunitario degli appalti, dipenderà in primo luogo dal sussistenza di adeguato collegamento delle prescrizioni poste con l'oggetto specifico dell'appalto, nonchè dalla proporzione fra prescrizione e beneficio (anche di natura sociale) sempre entro il perimetro del contratto eseguendo. Un ultima azione positiva che si intende portare ad esempio fa riferimento alla Città di Parigi. Trattasi peraltro di operazione già considerata nella Guida della Commissione alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici, del 2011. Il momento di maggior interesse di tale esempio sta nel fatto che la buona pratica realizzata combina la considerazione tanto di aspetti ambientali, quanto di aspetti propriamente sociali. In concreto, il Comune di Parigi, dovendo provvedere all'acquisizione di una quantità rilevante di capi d'abbigliamento per i propri dipendenti (circa 300.000 capi distribuiti su 300 ordini) ha ritenuto di includere nelle proprie procedure di affidamento sia aspetti sociali che aspetti attinenti alla tutela dell'ambiente. A questo effetto, il Consiglio comunale di Parigi richiede ai propri fornitori di sottoscrivere preventivamente una dichiarazione contenente l'impegno alla osservanza di determinati standard di produzione, nonchè al rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori, così come individuati nelle Convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro, durante l’intero processo di esecuzione dell’appalto. Ai fornitori viene inoltre imposto di sottostare ai controlli in merito eseguiti da organismo d'audit indipendente designato dal Consiglio comunale e quindi di dare il richiesto seguito ad eventuali raccomandazioni scaturite da tali controlli. Una prospettiva dunque evoluta della questione della inclusione di criteri sociali nelle operazione d'appalto combina senza particolari difficoltà istanze sociali in senso stretto con istanze invece di tipo ecologico o ambientale. 51 6. LE CLAUSOLE SOCIALI NELLA PRASSI E NELLA GIURISPRUDENZA Ad oggi, in Italia come altrove, le clausole sociali più frequentemente ricorrenti nella pratica sono fondamentalmente di due specie: la prima, riguarda l'obbligo per l'operatore aggiudicatario di appalto pubblico di riservare ai lavoratori impiegati nel medesimo un trattamento economico non inferiore a quello minimo previsto nella contrattazione collettiva di settore, ancorchè quest'ultima non risulti immediatamente applicabile all'impresa fornitrice; la seconda, riguarda l'obbligo per l'operatore aggiudicatario al cd. mantenimento dei livelli occupazionali precedenti, mediante riassunzione del personale già impiegato nell'appalto dall'impresa fornitrice uscente. Entrambe dette speciale di clausole creano una certa obiettiva tensione fra i principi di concorrenza e di libera iniziativa economica, da una parte, ed il principio della tutela del lavoro, con particolare riferimento al diritto ad una retribuzione equa e sufficiente. La prima specie di clausole (rispetto minimi retributivi derivanti dalla contrattazione collettiva), stante l'attuale sistemazione, nel nostro Paese, della materia della contrattazione collettiva, non determina peraltro l'insorgenza di particolari problematiche ed è in genere ritenuta ammissibile. La stessa clausola ha tuttavia suscitato e suscita perplessità applicative notevoli nel caso di operazioni cd. transfrontaliere, nelle quali i lavoratori impiegati nell'appalto risultano dipendenti di operatore avente sede in altro Stato (UE anche non UE), solo provvisoriamente, quindi distaccati, presso la regione di esecuzione dell'appalto. Dubbi, difatti sono stati sollevati circa le legitimità di clausole che impongano l'applicazione alle imprese non residenti, nonchè ai subappaltatori non residenti, di parametri stabiliti all'interno di contratti collettivi non aventi efficacia erga omnes nel Paese di esecuzione dell'appalto. La stessa Corte di Giustizia Europea, in un noto precedente (sent. CGCE 3 aprile 2008, C-346/2006, Dirk Rüffert e Land Niedersachsen), risulta aver assunto una posizione negativa in merito, muovendo in particolare dall’art. 3.1, della Direttiva 96/71/CE7, nella quale è stabilito che gli Stati membri sono tenuti a garantire «ai lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi transnazionale le tariffe salariali previste da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, ovvero da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale». Nel caso osservato, non è stato possibile ritenere il livello retributivo previsto nel contratto collettivo richiamato nella clausola sociale, ma non applicato volontariamente dall’impresa straniera, quale “minimo di trattamento”, ai sensi del cit. art. 3.1 della Direttiva detta, in quanto tale livello era superiore al trattamento retributivo minimo stabilito nel Paese di origine dell'impresa ed al contratto collettivo richiamato non poteva attribuirsi efficacia erga omnes. 52 Secondo la Corte di Giustizia, in sostanza, quanto previsto all’art. 3.1, lett. a)-g), della Direttiva 96/71/CE, determina "ciò che gli Stati Membri sono autorizzati a fornire come massimo di tutela da applicarsi ai lavoratori distaccati", con la conseguenza che sono da ritenersi incompatibili con il diritto comunitario quelle clausole che prevedano oneri ulteriori a carico delle imprese cd. new comers, laddove per ulteriori sono da intendersi quegli oneri non direttamente discendenti da norme di legge o della contrattazione collettiva di applicazione generale nello Stato nel quale deve svolgersi l'appalto. La seconda specie di clausole sociali (mantenimento dei livelli occupazionali), talvolta qualificate come di seconda generazione, ha conosciuto una vicenda molto travagliata sia in ambito nazionale come in ambito comunitario. Già difatti nel 1958 la Corte Costituzionale ebbe a pronunciarsi, con la sentenza n. 78 del 16 dicembre, sulla legittimità dell'istituto cd. imponibile di manodopera, ovvero sulla legittimità di imporre (ex lege, nel caso specifico) all'impresa subentrante in appalto pubblico la presa in carico del personale dell'impresa uscente già impiegato nello stesso. E la conclusione della Consulta fu in merito negativa, sul presupposto che tale imposizione determinerebbe una lesione al principio di concorrenza e di libera iniziativa economica non proporzionata rispetto ai benefici ricercati in termini di stabilità occupazionale. Successivamente anche la Corte di Giustizia si a più riprese pronunciata sul punto, assumendo peraltro posizioni maggiormente diversificate. Se infatti in linea di principio è stata affermata la non compatibilità con il diritto comunitario delle clausole sociali in esame (o meglio: delle disposizioni normative che introducevano o autorizzavano tali clausole), ad esempio con le sentenze C-460 del 2002 e C-386 del 2003, altre pronunce, a partire dalla sentenza C-67/1996, hanno tuttavia individuato significativi margini di apertura nel caso in cui l'imponibile di manodopera risultasse quale diretta conseguenza ed espressione della contrattazione collettiva. Specifica, peraltro, la Corte nella suindicata sentenza, che ciò non significa che ogni accordo collettivo di lavoro possa godere della cd. antitrust immunity, ovvero della facoltà di determinare, in qualche misura, restrizioni alla concorrenza, potendo invece ciò ammettersi solo nel caso di contratti collettivi che “per la loro natura e per il loro oggetto siano volti a conseguire gli obiettivi di miglioramento delle condizioni di occupazione e di lavoro posti nel Trattato”. Su tali basi, la materia in questione è stata, come è ovvio, ampiamente trattata anche dai nostri Giudici nazionali, specie quelli amministrativi. In particolare il Consiglio di Stato, in una importante e piuttosto sentenza (n. 3764 del 2012), ha affermato l'ammissibilità di clausole sociali siffatte, chiarendo efficacemente le ragioni di tale posizione. Nel caso di specie la clausola sociale (detta anche di protezione o di salvaguardia sociale) traeva origine da un protocollo di intesa sottoscritto fra Ministero per i beni e le attività culturali e le principali Organizzazioni sindacali, in base al quale “in caso di subentro di un imprenditore ad un altro nella titolarità di una concessione di servizi al 53 pubblico nei luoghi di cultura statali, il subentrante si obbliga a garantire la continuità dei rapporti di lavoro i n essere al momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova […] ferma restando la facoltà di armonizzare l’organizzazione del lavoro, previo confronto sindacale, con le proposte e le esigenze dell’impresa subentrante”. Spiega in merito il Consiglio di Stato che la clausola sociale oltre ad armonizzarsi con le finalità di interesse collettivo, riconosciute come limite per la libertà di iniziativa economica privata, “trova riscontro anche nell’art. 2, comma 2, del Codice degli appalti, che subordina il principio di economicità – nel rispetto delle norme vigenti – “ai criteri….ispirati a esigenze sociali….”, non senza ampia sponda anche a livello comunitario (direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE e pronunce della Corte di Giustizia, citate dall’appellante, 7.3.1996, cause C-171/94 e C-172/94; 11.3.1997, causa C-13/95; 26.9.2000, causa C-175/99; 14.9.2000, causa C-343/98). A livello normativo primario nazionale, le esigenze di conservazione del posto di lavoro, in caso di trasferimento di azienda, sono recepite dall’art. 2112 cod. civ., la cui applicabilità è stata estesa dalla giurisprudenza ai casi in cui il trasferimento derivi non da un contratto fra cedente e cessionario, ma da un atto autoritativo della p.a., purché vi sia cessione di beni fra le due imprese. La non coincidente situazione [...] non incide sull’astratta legittimità della clausola, voluta dall’Amministrazione in ottemperanza all’intesa intervenuta con le organizzazioni sindacal i”. L'impegno alla riassunzione quindi, nei termini sopra detti, non appare contrastante con i principi fondamentali, riconosciuti a livello nazionale e comunitario in materia di lavoro e di sicurezza sociale e pertanto “poteva costituire legittimo oggetto di una scelta discrezionale dell’Autorità concedente il servizio”. E nemmeno, ad avviso del Consiglio di Stato, “appare ravvisabile, in rapporto a detta scelta, una compromissione della libertà dell’imprenditore, essendo previsto nel protocollo d’intesa che l’organizzazione del lavoro fosse armonizzata 'con le proposte e le esigenze dell’impresa subentrante' ”. Con due recentissime sentenze sempre il consiglio di Stato è tornato sull'argomento, confermando, nella sostanza, la posizione sopra riportata (cfr. sent. 2374 del 30 aprile 2013, e sent. n. 2533 del 10 maggio 2013). Nella sentenza n. 2533/2013, in particolare, è stato peraltro affermato l'importante principio secondo cui, se “la clausola sociale deve ritenersi inderogabile quando il servizio è organizzato dal nuovo gestore con le stesse sostanziali modalità con le quali lo stesso servizio era organizzato dal gestore uscente, l’esigenza di dover rispettare la clausola sociale non può escludere una diversa organizzazione del lavoro e l’ausilio di nuovi strumenti tecnici o informatici, che non rendono più necessario l’utilizzo di tutto il personale già utilizzato per il servizio.” Il mantenimento dei livelli occupazionali, di conseguenza, non può mai essere assunto come un obbligo inderogabile, dovendo comunque conciliarsi con il progetto d'intervento del fornitore subentrante. Questo posto a livello di legittimità delle clausole sociali aventi il contenuto in esame, può osservarsi che il contributo in termini di benefici sociali di tale clausole si presta a valutazioni diverse. 54 L'adozione di tali dispositivi (che rientrano ovviamente nella categoria delle condizioni di esecuzione del contratto) favorisce difatti ovviamente la stabilizzazione dei lavoratori già impiegati nell'appalto oggetto di ri-affidamento, ma non necessariamente conduce ad un saldo positivo in termini occupazionali. L'effetto ricercato è in sè positivo e merita ogni considerazione, ma il vantaggio sociale netto per la comunità e l'economia di riferimento potrà risultare, a seconda delle situazioni, anche molto limitato. 55 7. LE FILA 7.1 METODOLOGICAMENTE Le informazioni e le notazioni sopra considerate delineano evidentemente un quadro di riferimento, in ordine al tema del presente elaborato, tanto composito e denso di prospettive, come nel complesso di non agevolissima lettura. Da una parte, difatti, stanno i principi generali, discendenti - oltre che direttamente dal Trattato UE - dagli strumenti normativi di rango più elevato del sistema di riferimento, quali le direttive comunitarie, la nostra stessa Costituzione, il Codice dei contratti pubblici e via dicendo. Trattasi, si badi bene, non di astratti canoni ermeneutici, bensì di veri e propri principi normativi, in grado quindi di orientare, se non addirittura di conformare, sia le funzioni normativo-regolamentari di grado subordinato, sia la funzione giurisdizionale concreta, come anche la prassi operativa del settore. Peraltro la questione fondamentale è che il primo canone (normativo, interpretativo, comportamentale) del settore, ovvero la tutela della piena e libera concorrenza, non necessariamente procede nella medesima direzione verso la quale invece depongono altri principi a valenza altrettanto generale, come la tutela dell'ambiente, la coesione e l'inclusione sociale, oppure la tutela dei diritti di base dei lavoratori in qualunque regione del mondo essi prestino la loro attività. Stante tuttavia il rilievo del mercato degli appalti pubblici nel sistema comunitario, la cui incidenza sul PIL generale è attualmente stimata dell'ordine del 17 %, è stato ritenuto, da un lato, che trascurare dette ultime istanze avrebbe significato abbandonare a logiche troppo rigidamente economiche una porzione significativa dell'intero sistema produttivo europeo, e dall'altro che l'incremento della responsabilità sociale nel settore pubblico avrebbe facilmente condotto a variazioni nella medesima direzione e di dimensione comparabile anche nel settore privato. Si è addivenuti quindi a formulare alcune regole tendenziali, che possono così riassumersi: fin quando ciò non ridondi a discapito della libera concorrenza fra imprese, massima considerazione deve essere riservata, negli appalti pubblici, delle priorità socio-ambientali o sociali tout court; necessario contemperamento, quindi, del tradizionale principio di economicità con il principio di salvaguardia degli interessi ambientali e sociali; conformazione delle operazioni d'appalto (tanto con riguardo alla fase di selezione del contraente, come con riguardo alla fase propriamente esecutiva) massimizzando il ricorso a tutte le soluzioni ed i dispositivi socialmente responsabili, con il rispetto tuttavia di due fondamentali limiti: 56 - la non discriminazione fra imprese; - il collegamento dell'opzione socialmente responsabile dedotta nell'operazione (ad esempio: clausola sociale) con l'oggetto stesso dell'appalto. Peraltro trattasi di limiti strettamente connessi, in quanto è proprio un sufficiente collegamento con l'oggetto dell'appalto che rende i norma giustificata e quindi non discriminatoria una determinata prescrizione di gara o contrattuale (ad esempio: l'efficienza del sistema di smaltimento di rifiuti prodotti nell'ambito dei servizi affidati). Ovviamente sono configurabili ipotesi di prescrizioni discriminatorie diverse e maggiormente dirette (ad esempio: richiesta di una determinata certificazione ambientale, con esclusione di ogni attestazione equivalente) e che nulla hanno a che vedere con il tema del collegamento con l'oggetto dell'appalto. Ma la linea di discrimine fra operazione legittima ed operazione invece non compatibile con il sistema di riferimento è data appunto - specialmente per le istanze sociali in senso stretto - dalla connessione con l'oggetto del contratto. Se difatti può considerarsi l'ipotesi di prevedere che un determinato contratto venga eseguito a mezzo di un gruppo di lavoro avente una determina composizione ispirata a criteri socialmente responsabili (ad esempio: una composizione rispettosa del principio di genere oppure del principio di solidarietà intergenerazionale), differenziare la posizione dei potenziali concorrenti in ragione della composizione del rispettivo parco lavoratori di base, compreso dunque quella parte di esso composta da lavoratori non interessati all'esecuzione dell'appalto, vuol dire superare il limite consentito e realizzare con ciò un'azione discriminatoria e pertanto illegittima. L'oggetto del contratto (e in funzione di esso le prescrizioni di gara ad esso collegate) è dunque la palestra e ad un tempo il principale limite esterno per tali operazioni socialmente orientate, non importa quanto commendevoli siano le istanze sociali che la stazione appaltante intende perseguire. Come meglio verrà sottolineato nei paragrafi successivi, peraltro, la tematica ambientale appare attualmente più sviluppata di quella propriamente sociale. Questo deriva probabilmente da ordini di motivi diversi. In primo luogo, la considerazione delle istanze di salvaguardia dell'ambiente, nel settore degli appalti pubblici ed in genere nelle varie normative di settore di matrice comunitaria, ha radici storiche più lontane rispetto alla considerazione di quelle che potremmo chiamare istanze cugine, ovvero quelle sociali in senso stretto, le quali ultime sono in effetti assurte a parametro di rilievo generale dell'azione della committenza pubblica principalmente con le Direttive appalti del 2004, salvo alcuni speciali contesti applicativi (come quello relativo degli obblighi di mantenimento dei livelli occupazionali in caso di subentro in appalto preesistente, considerati al precedente paragrafo 5). In secondo luogo, le istanze verdi si prestano per loro natura maggiormente, rispetto alle istanze sociali, a sistemi di verifica, misurazione ed etichettatura in grado di attestarne la corrispondenza alla specifiche poste. Per converso, la tendenziale centralità, rispetto alle istanze sociali, più del processo di produzione che dei prodotti o servizi finali, rende in molti casi più difficile intervenire efficacemente a riguardo. 57 In terzo luogo, le istanze ambientali sono quelle che, più di ogni altra, si prestano ad essere salvaguardate intervenendo direttamente sull'oggetto del contratto (ad esempio: acquistando veicoli da lavoro verdi piuttosto che veicoli a propulsione tradizionale), vale a dire attraverso lo strumento conformativo meno critico fra quelli disponibili. Peraltro evidentemente non si tratta di ostacoli insormontabili, ma solo di un percorso - appunto quello relativo alla introduzione dei criteri propriamente sociali negli appalti - che per la massimizzazione dei risultati richiede probabilmente ancora il compimento di alcuni passi, di ordine principalmente regolamentare, di non secondario momento. Peraltro, come anticipato nella premessa del presente elaborato, il sistema volto alla protezione dell'ambiente già ad oggi disponibile per la conformazione delle operazioni di appalto pubblico rappresenta un modello paradigmatico di estrema utilità per l'elaborazione dei nuovi appalti socialmente responsabili. 7.2 IL PUNTO, RELATIVAMENTE ALLE ISTANZE AMBIENTALI Le istanze di tutela dell'ambiente riguardano ogni regione del mondo, senza distinzione, essendo se non altro direttamente connesse alle esigenze della salute pubblica e dello sviluppo sostenibile, anche in chiave di equilibrio intergenerazionale Per le Regioni dell'Obiettivo Convergenza, peraltro, sussistono speciali quanto ovvie ragioni per cui tali istanze meritano la massima considerazione. Innanzitutto, il territorio delle Regioni convergenza possiede una intrinseca vocazione turistica, per assecondare adeguatamente la quale è tuttavia necessario compiere ogni debito sforzo per non disperdere le risorse naturali disponibili. In secondo luogo, lo stesso deficit di sviluppo socio-economico che contraddistingue dette Regioni non risulterebbe indifferente ad un uso accorto della materia ambientale, sia, appunto, in vista di uno sfruttamento più razionale delle risorse lato sensu turistiche e sia in quanto, come è noto, le azioni a finalità di salvaguardia dell'ambiente possiedono una dinamicità intrinseca capace di scuotere significativamente sistemi produttivi e sociali caratterizzati invece da eccessiva staticità. La domanda ambientale risente infatti meno di altre dell'andamento generale dell'economia ed in particolare della domanda globale. Le prospettive occupazionali collegate a tale componente della domanda sono peraltro assolutamente coerenti con almeno una delle specificità del ritardo occupazionale proprio di tali Regioni, ovvero la disoccupazione giovanile. Quali sono gli strumenti attualmente a disposizione, a riguardo, nell'ambito del sistema degli appalti pubblici ? Punto di partenza non può essere considerato il “Piano di Azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (ovvero Piano 58 Nazionale d'Azione sul green public procurement – PAN – GPP)”, come detto approvato, nell'ultima revisione, con decreto del Ministero dell'Ambiente del 10 aprile 2013. Tale revisione del Piano, peraltro già prevista nello stesso Decreto di prima adozione del 2008, è risultata necessaria, secondo le indicazioni fornite dal Ministero emanante, sia in ragione della evoluzione registrata nel contesto normativo di riferimento come nelle strategie politiche ed ambientali dell'Unione Europea, e sia in ragione dei risultati delle esperienze applicative in tema di acquisti sostenibili maturate a livello nazionale e internazionale. In particolare, dalla apportata revisione emerge, rispetto al Piano precedente: il maggiore coinvolgimento delle “centrali di committenza” nell'attuazione del processo in corso di responsabilizzazione degli appalti; una più ampia diffusione (anche in una prospettiva divulgativa) dei “criteri ambientali minimi” - CAM (v.si retro paragrafo 3.4) verso alcune tipologie di amministrazioni aggiudicatrici ed in particolare verso le Università ed i grandi enti ed in ogni caso l'ampliamento delle categorie merceologiche per la quali definire detti “criteri”; un maggior impegno per l'integrazione negli appalti, oltre che dei criteri propriamente “verdi”, anche dei “criteri sociali”, con particolare riguardo, ovviamente alle categorie d'appalto maggiormente esposte al rischio di gravi compromissioni dei diritti dei lavoratori; l'aggiornamento e il perfezionamento delle attività di monitoraggio del Piano, in collaborazione con l'Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici. la promozione di eco-etichettatura ed in particolare dell'Ecolabel Europeo, presso i consumatori privati e pubblici. la promozione degli strumenti di analisi e valutazione del costo dei prodotti lungo il ciclo di vita (Life Cycle Costing – LCC), in coerenza con gli sviluppi normativi prefigurato nella proposta di nuova Direttiva Appalti (v.si retro, paragrafo 4); il rafforzamento del ruolo delle associazioni di categoria degli operatori economici nella diffusione degli “acquisti verdi”. Sotto il profilo metodologico, lo stesso Piano (revisionato) pone delle “prescrizioni”, in base alle quali tutti gli enti pubblici e gli organismi a questi equiparati sono specificamente “invitati”: A) ad effettuare un'analisi preliminare volta a valutare come razionalizzare i propri fabbisogni tenendo in considerazione gli obiettivi ambientali strategici del PAN GPP (“per esempio quali forniture possono essere dematerializzate, quali esigenze possono essere più efficacemente soddisfatte con mino r carico ambientale, quali procedure e quali soluzioni possono essere promosse per evitare sprechi di risorse naturali ed economiche”); B) a mettere in atto le azioni necessarie per conformarsi agli obiettivi ed ai principi del PAN GPP (in particolare, dovrà predisporsi un piano ove registrare i propri 59 obiettivi specifici ed il relativo livello di applicazione delle azioni intraprese; C) individuare preventivamente le funzioni coinvolte nel processo di acquisto e le modalità di perseguimento degli obiettivi prefissati, assicurando, a riguardo, adeguati livelli di formazione e conoscenza; D) a monitorare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ponendo in essere tutte le azioni migliorative a questo effetto necessarie. Le Regioni, in particolare, sono inoltre invitate ad includere gli appalti verdi e sostenibili nella propria normativa ed a "valutare l'opportunità" di adottare un piano regionale per l'applicazione del PAN, comprendente anche azioni di comunicazione e formazione. Una delle ragioni che hanno condotto all'approvazione della nuova versione del PAN GPP deve ricondursi peraltro alla medio tempore intervenuta adozione, anche a livello interno, di strumenti normativi a carattere variamente cogente nella materia degli acquisti verdi, che, seppure delimitati a categorie merceologiche ben delimitate (salvo l'ultimo sottoindicato) meritano di essere ricordati. Si tratta, ad esempio: del d.lgs. n. 311/2006, relativo al rendimento energetico nell'edilizia; del d.lgs n. 115/2008, relativo all'efficienza egli usi finali dell'energia ed ai servizi energetici; del d.lgs. n. 24/2011, relativo all'acquisto di veicolo a ridotto impatto ambientale ed a basso consumo energetico nel trasporto su strada; dello stesso d.PR. n. 207/2010, con cui è stato approvato il Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice dei contratti pubblici,il quale, come visto, contiene numerose ed importanti aperture o prescrizioni in merito alla introduzione dei criteri ambientali negli appalti. Ma lo strumentario operativo attualmente ancora di più immediata applicabilità sembra essere quello dei C.A.M. - i quali, peraltro, per definizione, costituiscono parte integrante del PAN GPP - attualmente limitati ad undici categorie produttive, ma con ampie prospettive di estensione tipologica. Detti C.A.M. assommano diverse funzioni, non ultima quella di individuazione degli specifici obiettivi ambientali concretamente perseguibili. Nell'economia del presente elaborato, tuttavia, il loro rilievo principale sta nel fatto che gli stessi rappresentano veri e propri strumenti attuativi dei principi posti nelle fonti di rango o respiro più generale e possiedono quindi un carattere di concretezza difficile da rinvenire in ogni altro strumento normativo o regolamentare approvato. Tale concretezza si manifesta in particolare nella individuazione specifica delle leve da utilizzare per rendere l'acquisizione prospettata "ambientalmente preferibile", secondo modalità, cambiando ovviamente tutto quello che deve essere cambiato, potenzialmente replicabili anche in altri settori, compreso dunque quelli per i quali ad oggi non risultano adottati criteri minimi. 60 Se non dunque il contenuto specifico, il modus procedendi indicato nei detti CAM bene potrà essere esportato con riferimento ad operazioni di diverso genere ed oggetto, profittando delle elaborazioni e categorie concettuali sviluppate con riferimento alle categorie oggetto dei CAM medesimi. Non volendo perdere l'approccio - per quanto possibile - concreto seguito per i CAM, si intende di seguito esaminare esemplificativamente uno di questi strumenti, selezionato sia perchè relativo ad una categoria produttiva a cui pressochè tutte le pubbliche Amministrazioni sono tenute a far ricorso e sia perchè coinvolge ad un tempo profili di forniture di beni e profili di erogazione di servizi. Si tratta dei "Criteri ambientali minimi per l'affidamento del servizio di pulizia e per la fornitura dei prodotti per l'igiene", adottati con decreto del MATTM del 24 maggio 2012. La prima indicazione di tipo metodologico che viene con tale strumento fornita riguarda il sistema di aggiudicazione, relativamente al quale è sottolineato come il metodo cd. dell'offerta economicamente più vantaggiosa (secondo cui, come è noto, l'offerta da preferire viene prescelta attraverso la valutazione variamente combinata tanto di elementi qualitativi come di elementi strettamente economici), in quanto ritenuto maggiormente idoneo - rispetto al metodo alternativo, basato sul solo prezzo - ad un adeguato apprezzamento delle istanze ambientali nell'ambito della procedura di selezione. La seconda indicazione generale attiene alla definizione dell'oggetto dell'appalto, a cui la stazione appaltante deve pervenire previa adeguata analisi preliminare circa la possibilità di razionalizzare il proprio fabbisogno, con riferimento in particolare alla necessaria frequenza del servizio ed al dosaggio dei prodotti utilizzati. Dopodichè soccorrono le indicazioni maggiormente specifiche, articolate secondo la struttura tradizionale, ovvero (ad oggetto dell'appalto già definito): selezione dei candidati, specifiche tecniche di base, specifiche tecniche premianti e condizioni di esecuzione / clausole contrattuali. Riguardo la fase di selezione dei candidati, la capacità ambientale potrà essere attestata dai concorrenti attraverso l'adozione di un sistema di gestione ambientale conforme ad una norma tecnica riconosciuta. In funzione della verifica di tale capacità da parte delle stazioni appaltanti, la registrazione EMAS (Regolamento n. 1221/2009 sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit) o la certificazione della serie ISO 14001, rappresentano adeguati mezzi di presunzione di conformità. E tuttavia le stazioni appaltanti accetteranno anche prove diverse, come una descrizione dettagliata del sistema di gestione ambientale attuato (politica ambientale, analisi ambientale iniziale, programma di miglioramento, attuazione del sistema di gestione ambientale, misurazioni e valutazioni, definizione delle responsabilità, sistema di documentazione). Le specifiche tecniche di base concernono invece essenzialmente i prodotti per l'igiene e quelli per la disinfezione, i quali dovranno appunto rispettare dei requisiti minimi, predeterminati, di compatibilità ambientale. 61 In ordine alle verifiche, si presumeranno conformi i prodotti per l'igiene in possesso dell'etichetta ambientale Ecolabel europeo, mentre, in mancanza, l'offerente dovrà sottoscrivere circostanziata dichiarazione di conformità. L'aggiudicatario provvisorio, per i prodotti non in possesso dell'etichetta ecologica Ecolabel, dovrà quindi presentare un rapporto di prova redatto da un laboratorio accreditato ISO 17025, che garantisca la conformità dei prodotti detergenti ai criteri ambientali minimi. Per i prodotti per la disinfezione, l'aggiudicatario provvisorio, per attestare la rispondenza di tali prodotti ai suddetti criteri, dovrà fornire etichette, schede tecniche e schede di sicurezza dei prodotti medesimi, ferma restando la possibilità per l'amministrazione di richiedere anche la presentazione di un rapporto di prova da parte di un laboratorio accreditato. Per altri prodotti, diversi sia da quelli per l'igiene come da quelli per la disinfezione, come ad esempio i prodotti in carta-tessuto, sono poste prescrizioni fondamentalmente equivalenti, rispetto alle quali un ruolo centrale risulta sempre assegnato ai sistemi di etichettatura Ecolabel, comunque sostituibili da prove equivalenti. La fase logica successiva è quella della definizione delle cd. specifiche premianti, che altro non sono se non criteri di valutazione dell'offerta direttamente tarati alla presenza di determinati elementi all'interno della medesima. Si tratta dunque non di elementi richiesti a pena di non accettazione dell'offerta, come nel caso delle specifiche tecniche di base (o specifiche tecniche in senso stretto), ma di elementi dell'offerta che, qualora presenti, comporteranno l'attribuzione di uno specifico punteggio aggiuntivo. È in particolare prevista l'attribuzione di punti tecnici in misura direttamente proporzionale al rapporto quali-quantitativo delle misure di gestione ambientale che l'offerente si impegna ad adottare nel corso dell'esecuzione del servizio. Dette misure dovranno essere descritte in un apposito Piano gestionale del servizio predisposto dall'offerente medesimo, finalizzato a ridurre gli impatti energetici ed ambientali, che diventerà parte integrante del contratto in caso di aggiudicazione dell'appalto. A titolo esemplificativo, detto Piano descriverà: i sistemi di dosaggio o le tecniche di pulizia; se prevede di utilizzare apparecchiature e macchinari elettrici, con indicazione di marca, modello e potenza e ogni altro elemento utile al calcolo dei consumi energetici; le soluzioni che si impegna ad adottare per minimizzare i consumi energetici e di acqua; le eventuali azioni che porrà in essere per la riduzione dei rifiuti o altre soluzioni finalizzate alla minimizzazione degli impatti ambientali del servizio; l'utilizzo di prodotti di pulizia conformi ai criteri di assegnazione di etichette ambientali ISO di Tipo I (ovviamente diversi da quelli prescritti per la stessa accettazione dell'offerta). 62 La stazione appaltante determinerà quindi i parametri di valutazione mediante i quali attribuire i punteggi aggiuntivi, nonchè le prove da presentare direttamente a corredo dell'offerta, ferma rimanendo ogni verifica successiva in corso di rapporto. L'ultima fase logica che resta da considerare è quella delle condizioni di esecuzione o clausole contrattuali, che i CAM in questioni declinano sia sotto forma di divieti che sotto forma di prescrizioni positive. Ad esempio è posto il divieto di utilizzare prodotti con funzione esclusivamente deodorante/profumante oppure il divieto di utilizzare segatura di legno, mentre è richiesto alla ditta appaltatrice di garantire che tutto il personale addetto alla commessa sia stato adeguatamente formato ai sensi di quanto previsto dal d.lgs. n. 81/2008 (testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), nonchè di provvedere con determinate modalità alla gestione dei rifiuti rivenienti dal servizio affidato. Inoltre l'aggiudicatario dovrà produrre un rapporto annuale sui prodotti consumati per le esigenze del servizio, indicando per ciascun prodotto, produttore, nome commerciale e quantità utilizzata, nonchè, su richiesta dell'amministrazione, anche specifiche prove in merito. L'osservanza, da parte della stazione appaltante, di tutte le indicazioni prescrittive contenute nei Criteri Ambientali Minimi approvati consentirà di qualificare l'operazione come appalto verde, anche ai fini del raggiungimento dei valori obiettivo fissati nel PAN GPP. Si tratta, come è agevole rilevare, di un complesso di disposizioni le quali, se correttamente applicate, non producono effetti discriminatori del mercato, in quanto prima di tutto: - è sempre ammessa la facoltà della cd. prova equivalente; - la preferenza accordata a prodotti a minor carico ambientale non può di per sè ritenersi discriminatoria, in quanto strettamente limitata e quindi collegata all'oggetto dell'appalto. Mutatis mutandi, si tratta di uno strumentario logico potenzialmente suscettibile di ampia e varia applicazione. 7.3 IL PUNTO, RELATIVAMENTE ALLE ISTANZE SOCIALI IN SENSO STRETTO La versione aggiornata del PAN GPP sottolinea con crescente intensità l'esigenza ed in via correlata la possibilità di introdurre nel sistema degli appalti istanze sociali in senso stretto, le quali, alle luce delle osservazioni contenute nelle pagine precedenti, con una certa approssimazione possono definirsi tutte quelle istanze che non abbiano una giustificazione prettamente economica, nè una finalità di tipo, lato sensu, ambientale. 63 Ad oggi, lo strumento metodologico di principale riferimento - ampiamente ripreso nello stesso PAN - è la nota "Guida per l'integrazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici", adottata con DM del 6 giugno 2012 e già dianzi in più occasioni richiamata e commentata. Peraltro l'approccio descritto in tale guida non copre l'intero repertorio di istanze sociali potenzialmente deducibili all'interno di operazioni di appalto, essendo invece essenzialmente rivolto ad assicurare il rispetto, nelle catene di fornitura destinate alla pubblica Amministrazione, delle otto Convenzioni fondamentali dell'ILO e di quelle altre Convenzioni dell'ILO che fanno rifermento al concetto di lavoro dignitoso. Se appare giusto e ragionevole muovere di qui, i margini per la conformazione delle operazioni di appalto secondo criteri socialmente responsabili sono evidentemente collocati all'esterno del perimetro di azione delineato con la Guida suddetta. Gli obiettivi delle linee di azione prospettate nella Guida hanno comunque una loro centralità ed è opportuno ancora sottolinearli: migliorare le condizioni di lavoro ove si riscontrano gravi violazioni dei diritti umani ed insostenibili condizioni del rapporto; risolvere la questione del cd. dumping sociale, per il quale le pessime condizioni del lavoro in alcuni Paesi crea effetti di concorrenza sleale con riferimento ai Paesi nei quali i lavoratori godono di maggiori tutele; orientare gli acquisti delle pubbliche amministrazioni verso beni prodotti in violazione dei diritti dei lavoratori; valorizzare le imprese sotto il profilo in esame virtuose e per converso penalizzare quelle che agiscono in dispregio dei diritti dei lavoratori. La complessità e criticità dell'obiettivo fondamentale - ovvero quello di far emergere situazioni di approfittamento dei lavoratori lungo l'intera filiera produttivo-distributiva del prodotto finale, non esclusi gli abusi commessi in Paesi lontanissimi (geograficamente, economicamente e culturalmente) dai Paesi dell'UE - è peraltro alla base della strategia operativa individuata. Quest'ultima infatti, come già ricordato, poggia principalmente sul cosiddetto dialogo strutturato, la cui funzione fondamentale è quella di accrescere il livello di conoscenza e di consapevolezza - sul lato dell'acquirente pubblico finale, prima di tutto - delle condizioni di lavoro retrostanti i prodotti ricercati, nonchè di responsabilizzare in merito gli stessi distributori ultimi ed intermedi dei prodotti medesimi. La stessa obiettiva complessità è il presupposto di due ulteriori raccomandazioni contenute nella: joint purchasing (centrali di committenza) e promozione del sistema delle etichette anche con riferimento agli aspetti sociali in senso stretto. Il ricorso al joint purchasing, anche oltre la misura già prevista in via generale dall'ordinamento, è indicata quale via per affrontare, con maggiore specializzazione e più adeguate risorse, le criticità dell'operazione, le quali ultime, si ricorda, 64 attengono per un parte significative alla messa in atto di sistemi di verifica idonei a conformare effettivamente la catena produttiva di riferimento o quantomeno le scelte dell'Amministrazione in merito. Secondo una prospettiva analoga, il sistema delle etichette presenta il vantaggio di centralizzare (questa volta a monte) le attività di audit in capo ad organismi specializzati, così da liberare le singole Amministrazioni (quantomeno tendenzialmente) dall'onere di compierne di autonome. A questo riguardo, nella Guida è ricordato che le etichette di tipo I 7, quali l'Ecolabel Europeo, già considerano in alcuni casi le condizioni di lavoro lungo la catena di approvvigionamento (cfr. l'art. 6, comma c, lett. e, del Regolamento UE 66/2010, relativo appunto al marchio di qualità ecologica dell'Unione Europea, Ecolabel, che prevede la possibilità di far riferimento alle Convenzioni ed agli Accordi internazionali dell'ILO). Oltre l'ambito di applicazione della Guida, stanno comunque, come detto, aspetti sociali di tutto rispetto, come ad esempio la questione dell'inclusione sociale e coesione sociale, della stabilità e dello sviluppo dell'occupazione, della tutela del tessuto produttivo costituito da piccole e medie imprese, della parità di genere, della conciliazione famiglia-lavoro, della solidarietà intergenerazionale, della tutela della fasce di lavoratori a maggior rischio di emarginazione, etc.. Nel breve excursus sin qui condotto si è avuto peraltro modo di considerare alcuni strumenti a cui già viene fatto ordinariamente ricorso a riguardo. Alcuni di essi, come ad esempio il sistema dei laboratori protetti o dei programmi di lavoro protetti o ancora delle operazioni riservate alle cooperative di tipo B, traggono la propria legittimazione direttamente da fonti normative di rango primario o addirittura comunitario (v.si retro, paragrafo 3.6). Altri strumenti, come quelle clausole cosiddette appunto sociali che impongono all'imprenditore subentrante in un appalto di rilevare, a determinate condizioni, il personale prima in carico all'esecutore uscente, si appoggiano in genere sulla contrattazione collettiva, ma in genere possono definirsi un prodotto conformato specialmente dalla prassi e dalla giurisprudenza interna e comunitaria (v.si retro, paragrafo 5). La materia beneficia attualmente di grande attenzione a tutti i livelli e sembra lecito quindi attendersi sviluppi normativi utili alla definizione di un quadro di interventi maggiormente ampio e soprattutto maggiormente certo. Ma occorre comunque chiedersi quali siano già oggi, in attesa dunque degli attesi sviluppi ed in particolare della riforma del sistema comunitario degli appalti, le altre opzioni disponibili per le singole organizzazioni o amministrazioni aggiudicatrici. 7 Si ricorda che secondo la norma ISO 140201, le eco-etichette di natura volontaria si distinguono, prima di tutto, fra quelle basate su auto-dichiarazioni e quelle invece assegnate da soggetti terzi specializzati. Le etichette ambientali di tipo I sono appunto attribuite da organismi, di natura pubblica o privata, indipendenti dal produttore e si basano su criteri sviluppati tenendo conto di tutte fasi del ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Assessment - LCA). Le etichette ambientali di tipo II sono invece il frutto di auto-dichiarazione di produttori, importatori o distributori dei prodotti, i quali riportano appunto auto-dichiarazioni e simboli di qualità ambientale su prodotti, imballaggi o materiale informativo e pubblicitario, non convalidati né certificati da organismi indipendenti (cd. self declared environmental claims). 65 Si è visto che significative aperture sono presenti in merito già nel Codice dei contratti pubblici, peraltro, sul punto, in via di stretta attuazione dalla normativa di matrice comunitaria. Se il tema dell'ambiente è peraltro ripreso in molte disposizioni del Codice, la materia sociale conosce fondamentalmente due essenziali statuizioni: ed all'art. 69, a' termini del quale le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari per l'esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto comunitario" attinenti "in particolare, a esigenze sociali o ambientali "; all'art. 2, comma 2, secondo cui "il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali [...]". In via massimamente sintetica, potrebbe quindi concludersi che: l'art. 69 apre alla possibilità di conformare la fase esecutiva dell'appalto in coerenza con istanze di responsabilità sociale; l'art. 2, comma 2. cit., apre, invece, alla possibilità di considerare le istanze sociali, in particolare, nei sistemi di valutazione delle offerte, anche occorrendo, pur con tutti i limiti sopra ricordati, subordinando a tali istanze il principio tradizionalmente (in tutto o in parte) discriminante in ogni competizione di mercato, ovvero l'elemento prezzo. In sostanza, si tratta, rispettivamente, delle specifiche tecniche di base o condizioni di esecuzioni del contratto e delle specifiche tecniche cd. premianti. Sicuramente più critica è invece la via della considerazione degli aspetti sociali nella fase di preselezione o qualifica dei candidati, quantomeno oltre quanto attualmente già stabilito nel Codice dei contratti pubblici, in particolare all'art. 38 (laddove irregolarità relative agli obblighi di legge in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria sono considerate quale causa di esclusione dalla procedura). In questo campo, infatti, da una parte l'art. 46 del Codice, comma 1-bis, stabilisce il principio della tassatività della cause di esclusione e quindi la nullità di delle clausole che prevedano cause di esclusione non previste per legge, e dall'altra risulta estremamente difficile configurare requisiti speciali di partecipazione (in termini di capacità tecnica od economica) idonei a fare la differenza fra imprese più o meno virtuose sotto il profilo sociale. L'assenza di specifico collegamento con l'oggetto dell'appalto ridonderebbe difatti facilmente in trattamento discriminatorio e pertanto incompatibile (quantomeno) con l'ordinamento comunitario. Riguardo invece le condizioni di esecuzione dell'appalto, sembra utile ricordare che già il nostro Codice prevede espressamente una ipotesi di clausola sociale di questo genere all'art. 90, comma 7, secondo il quale "il regolamento definisce le modalità per promuovere la presenza anche di giovani professionisti nei gruppi concorrenti ai bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione, concorsi di idee". 66 Ed appunto il regolamento detto (approvato con DPR. n. 207/2010) prevede, all'art. 253, quale condizione generale per la partecipazione dei raggruppamenti temporanei di imprese / professionisti alle gare per l'affidamento dei servizi tecnici di cui all'art. 90 del Codice, "la presenza, quale progettista, di almeno un professionista laureato abilitato da meno di cinque anni all’esercizio della professione secondo le norme dello Stato membro dell’Unione Europea di residenza". Si tratta di una previsione estremamente importante, per due ordini di ragioni diverse: costituisce esempio paradigmatico di istanza (sociale) in controtendenza con le istanze tradizionali, nelle quali il dato esperienziale è ordinariamente utilizzato quale limite minimo e non quale limite massimo, rappresentando elemento di garanzia per l'esecuzione del contratto; ha già superato, per definizione, il vaglio di compatibilità rispetto all'ordinamento (comunitario e non) essendo contenuta nello strumento principale di attuazione della normativa comunitaria di settore. E d'altra parte è evidente che in tale ipotesi la condizione principale per poter escludere il carattere discriminatorio della specifica posta, ovvero il collegamento con l'oggetto del contratto, è pienamente soddisfatta, trattandosi di regolare la composizione dello stesso gruppo di lavoro incaricato di rendere il servizio in affidamento. Lungo tale direttrice metodologica sembra dunque possibile incidere significativamente sul grado di responsabilità sociale degli appalti pubblici. Le scelte che è dunque possibile operare a titolo di contrasto della disoccupazione intellettuale giovanile, in un determinato profilo o settore professionale, risultano probabilmente passibili di estensione sino a ricomprendere la causa del contrasto della disoccupazione giovanile tout court, oppure della cd. disoccupazione di genere, così come analoghe soluzioni potrebbero seguirsi per la promozione dell'inclusione sociale di soggetti particolarmente svantaggiati, ovvero per promuovere la stabilizzazione di forme di lavoro precario, oppure per altre finalità ancora. Per quanto riguarda le condizioni di esecuzione dl contratto, tale possibilità, come detto, risulta del resto espressamente prevista già all'art. 69 del Codice, condizionatamente, come è ovvio, al rispetto dei principi di derivazione comunitaria. Non sembra peraltro che la traslazione dello stesso metodo dalle condizioni di esecuzioni del contratto ai criteri di valutazione delle offerte possa di per sè contrastare con tali principi, posta la generale apertura sul punto di cui al su richiamato art. 2, comma 2, dello stesso Codice. Ovviamente, in un caso e nell'altro, la regola base dello stretto collegamento con l'oggetto del contratto (secondo la quale, ad esempio, risulterebbe discriminatoria la richiesta di assunzione, da parte del fornitore, di forza lavoro non direttamente impiegata nell'esecuzione del contratto), non è l'unico presupposto di legittimità di clausole siffatte, le quali quantomeno sono soggette ad un rigoroso vaglio di ragionevolezza e proporzionalità. L'incidenza di una specifica condizione esecutiva socialmente orientata non potrà mai, infatti, risultare tale da alterare significativamente gli ordinari processi di mercato e di qui anche l'ordinario gioco della concorrenza. 67 La prescrizione di ordine sociale dovrà invece essere misurata e conformata in modo da risultare proporzionale alle caratteristiche oggettive dell'operazione, ricercando il giusto equilibrio fra considerazione del vantaggio sociale e sacrificio invece imposto all'ordinario esercizio delle forze di mercato. Quale modello estremo di condizione illegittima per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, può prospettarsi il caso di una specifica contrattuale da cui derivi l'obbligo di impiego nell'appalto di una determinata quota di forza lavoro specializzata femminile, laddove nel settore di riferimento, come ad esempio quello edile, le possibilità di reclutare risorse corrispondenti alle specifiche poste risultino ristrettissime. In modo per molti versi analogo, seppure potrà risultare ammissibile, in astratto, un criterio di aggiudicazione che attribuisca un determinato quoziente di punteggio aggiuntivo al ricorso a lavoratori appartenenti a determinate fasce sociali particolarmente svantaggiate, in concreto l'incidenza di tale criterio non potrà mai assumere una rilevanza tale da sovvertire da sè solo le ordinarie regole della competizione, basate principalmente sull'elemento qualità e sull'elemento prezzo. La misura e la proporzione delle prescrizioni di cui trattasi rispetto in primo luogo all'oggetto dell'appalto risulterà, quindi, fondamentale metro di discrimine fra legittimità o invece illegittimità delle medesime. Riguardo il percorso concreto da seguirsi per l'introduzione di clausole di questo genere, un ruolo molto significativo potrà essere svolto dall'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici, alla quale lo stesso art. 69 cit. 8 attribuisce una funzione consultiva non obbligatoria nè vincolante, ma non per questo poco importante. Peraltro, in ragione della funzione consultiva generale assegnata alla detta Autorità nel sistema del Codice, non appare precluso alle stazioni appaltanti di formulare specifiche richieste di parere alla medesima, non solo con riferimento alle condizioni di esecuzione del contratto - ex art. 69 cit. - ma anche, ad esempio, relativamente ad un determinato sistema di valutazione delle offerte approntato. La relativa novità del terreno su cui insistono le problematiche in esame e soprattutto l'intrinseca criticità di ogni operazione volta alla introduzione di istanze sociali negli appalti pubblici - trattandosi di istanze di per se stesse almeno apparentemente estranee alla logica tradizionale della competizione economica e per certi versi addirittura virtualmente collidenti con alcuni principi base del sistema comunitario degli appalti pubblici - suggeriscono difatti almeno questo livello di prudenza, in attesa dei nuovi attesi sviluppi normativi e/o giurisprudenziali in materia. Roma, 31 maggio 2013 avv. Filippo Bersani 8 Comma 3: "La stazione appaltante che prevede tali condizioni particolari può comunicarle all'Autorità, che si pronuncia entro trenta giorni sulla compatibilità con il diritto comunitario. Decorso tale termine, il bando può essere pubblicato e gli inviti possono essere spediti." 68