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Il bambino che giocava sempre
IL BAMBINO CHE GIOCAVA SEMPRE1 Adriano Voltolin Quando viene portato da me Luigi ha otto anni. E’ stato indirizzato all’Istituto da un servizio sociale a causa di una situazione difficile a scuola. Il bambino ha scoppi di aggressività violenta e addirittura talvolta sono dovuti intervenire degli inservienti per trattenerlo. Un gruppo di genitori ha inviato una lettera allarmata al responsabile scolastico dicendosi preoccupato per i propri figli. Il bambino era già stato visto sia da una neuropsichiatra privata che al reparto di neuropsichiatria infantile di un centro ospedaliero. La diagnosi della neuropsichiatra era piuttosto allarmante e metteva sull’avviso di un alto rischio di rotture psicotiche. L’ospedale parlava più genericamente di disturbi del linguaggio e di tipo depressivo nella condotta quotidiana. Luigi si presenta senza eccessivo impaccio, ha un bel viso, appare leggermente sovrappeso. Quando gli chiedo se sa perché la madre lo ha portato qui mi dice di no, ma aggiunge che gli ha detto che l’avrebbe portato da un “signore con i capelli bianchi”, “vecchio”. Faccio la fantasia che la madre abbia voluto rassicurare se stessa ed il bambino vedendo nell’analista una figura di uomo anziano rassicurante, un padre/nonno. Quando gli chiedo delle maestre e gli dico che la mamma mi ha detto che non va d’accordo soprattutto con una, non riesce a dire nulla e, protettivamente, si augura che entrambe rimangano anche per il prossimo anno. Gli chiedo se ha piacere di disegnare, mi dice di sì e mi chiede cosa deve disegnare. Gli dico se vuole disegnare se stesso. Si rappresenta visto di fronte, a braccia allargate, la bocca è deformata a destra come in un sogghigno, le due mani appaiono diverse e la sinistra appare come raddoppiata e conta complessivamente otto dita. Il corpo è schematico e suddiviso nettamene in due parti da una linea che potrebbe essere il bordo di un maglione lungo. I piedi appaiono divaricati, alla Charlot2, e sembrano due tozzi mattoni. Quando disegna poi la madre la rappresenta di lato con le braccia distese e le mani che paiono tenersi mentre le dita si incrociano. Lo schema del corpo è abbastanza analogo a quello del disegno precedente. Mi viene da pensare che la mamma abbia, per Luigi, una parte nascosta. Noto poi che quando la signora paga la seduta, mi allunga i soldi quasi di soppiatto, nascondendo il gesto al figlio. Il bambino ha una storia famigliare e personale piuttosto travagliata. E’ nato da un parto gemellare ed ha due fratelli, un maschio ed una femmina maggiori di svariati anni ed abbastanza problematici. La sua gemella è una bambina. Il padre, che a sua volta aveva avuto, a diciassette anni, una diagnosi di disturbo di personalità, avrebbe preferito che la gravidanza della moglie non venisse portata a termine, ma questa non aveva voluto “per motivi religiosi”. Una volta nati i gemelli , il padre avrebbe voluto dare il maschio in adozione mentre la madre sentiva che “fare” due bambini in una volta “non era da tutti”. La prima infanzia di Luigi era trascorsa senza che particolari problemi venissero evidenziati, ma già al primo anno delle elementari degli scoppi d’ira e di aggressività si erano manifestati. Gli insegnanti avevano poi messo in rilievo una difficoltà del bambino nell’uso del carattere corsivo. Un giorno, un anno più tardi, venne trovato con delle forbici in tasca, forbici che gli servivano “per difendersi”. 1 Articolo pubblicato in "Costruzioni Psicoanalitiche" edita a Milano da Franco Angeli. L’associazione con Charlot era venuta anche a Salomon Resnik in occasione di un colloquio con un bambino gravemente autistico. La divergenza nei piedi – scrive Resnik – il bambino mostra che non riesce ad integrare il principio di non contraddizione in un contesto dialettico ed armonico (Salomon Resnik L’esperienza psicotica Bollati Boringhieri, Torino 1986, pag.148). 2 Quando aveva cinque anni era morta la nonna materna presso la quale stava quando la mamma era al lavoro. Un mese più tardi era morto il padre che, nel frattempo, si era ammalato. Del bambino aveva allora iniziato a prendersi cura con solerzia la zia materna, senza figli, che diverrà un po’ una vice-madre e che lo accompagnerà poi sempre alle sedute. Due aspetti del lavoro clinico Il bambino rimarrà in terapia per circa otto mesi a due sedute la settimana quindi per circa cinquanta sedute complessive considerando la sospensione per le vacanze di Natale. Il lavoro con Luigi sarà caratterizzato da due aspetti fondamentali che appaiono indispensabili per una valutazione del lavoro fatto. Il primo riguarda il modo di Luigi di stare in relazione con la seduta e con l’analista. Il bambino, sin dalle prime sedute, mostrava di preferire comunque il gioco con la dama. Spessissimo le sedute erano dedicate per una parte a questo gioco e per l’altra, via via più cospicua ed importante, ad una elaborazione sua personale del gioco del’oca che si trovava sull’altro lato della scatola. A dama il bambino dimostrava una capacità di attenzione e di previsione assai notevole e bastava una mia piccola disattenzione perché lui vincesse. Via via che proseguivano le sedute, la propensione di Luigi per il gioco si era fatta assoluta. Entrava nella stanza d’analisi, andava a prendere la dama che era riposta su un ripiano della libreria e mi chiedeva di giocare. Solo un paio di volte si fece, dietro mia proposta, il “disegno insieme” 3. Le parole lo stufavano presto e Luigi mostrava di apprezzare la mia disponibilità a giocare senza forzarlo a fare altro. Sottolineavo talvolta aspetti del suo modo di giocare, come la voracità nel “mangiare” le pedine ed il piacere narcisistico di “fare damone”: il bambino non pareva ascoltare le mie osservazioni, ma non ci volle molto per rendersi conto che in realtà non gli sfuggivano affatto: l’impressione che ne avevo è che le parole si manifestassero a lui come il lato visibile e scontato – si ricordi la mamma di cui di vede un lato solo – di una realtà la cui sostanza aveva un altro spessore ed un’altra natura. Il gioco non appariva affatto un evitamento dell’analista e del contatto con la seduta: come accade tra due amici che giocano frequentemente tra di loro, apriva lo spazio di comunicazione e di osservazioni apparentemente “di servizio”, ma che via via diventavano un modo di stare insieme 4. Luigi, in tutti i mesi di lavoro, non ebbe mai scoppi d’ira, ma era chiaramente infastidito quando, dovendomi spiegare qualche cosa, ad esempio le regole di un gioco, si accorgeva di non riuscire a farlo in maniera chiara abbastanza da consentirmi di capire. Una mia domanda lo rendeva insofferente e tendeva a tagliare via rapidamente. La seconda caratteristica del lavoro fu il progressivo instaurarsi di una relazione di fiducia ed anche di affetto. Il non sentirsi rimproverato, giudicato o anche solo pungolato da parte mia, lo portava ad una progressiva relazione abitabile. Un giorno attese che io aprissi la porta della stanza d’analisi appostato appena fuori, di fianco allo stipite. Era contento del piccolo scherzo fattomi ed anche di più nel vedere che mostravo di apprezzarlo e di riderne assieme a lui. Quando la madre decise, per suoi motivi, di interrompere il lavoro terapeutico, Luigi diede a vedere di dissimulare non tanto la preoccupazione, ma piuttosto il rincrescimento di perdere un amico. Più volte mi chiese se poteva tornare a trovarmi e fu molto contento quando gli dissi che poteva venire ed anche telefonarmi se lo avesse desiderato e gli diedi, scritto su un foglietto, il mio numero dicendogli che la mamma lo 3 Per la tecnica del “disegno insieme” si veda Adriano Voltolin “L’oppositività del paziente nelle prime fasi del lavoro analitico con bambini. Due casi” in Costruzione psicoanalitiche a.VII n.14/2007, pag.16 nota 7 4 Un procedimento non molto diverso ci ha descritto Laura Bellisario nel trattamento di una bambina psicotica che per molti mesi entrava nella stanza e si metteva a manipolare oggetti apparentemente incurante dell’analista c he l’attendeva seduta sulla moquette e che si limitava ad esserci senza tentare minimamente di entrare in contatto con lei. (Laura Bellisario “Autismo e stati di chiusura della mente” in Sergio Marsicano (a cura di) I nuovi pazienti della psicoanalisi Franco Angeli, Milano 1995, pag. 97). aveva, ma che potevo anche darlo anche espressamente a lui. Ciò che Luigi sentiva non era lo sviluppo di una relazione di vicinanza se non in modo relativo nel senso dei numeri algebrici: avvertiva che l’analista non cercava di entrare intrusivamente nel suo modo di essere e di pensare; gli appariva buono per la semplice – ma non tautologica - ragione che non gli sembrava cattivo e minaccioso. Non gli servivano armi, come le forbici, per proteggersi. Verso la fine del sesto mese di lavoro, per la prima volta, Luigi, mentre usciva, mi salutò pronunciando il mio nome: “Ciao, Adriano” e non più solo “Ciao”. In qualche modo cominciava ad accettare la mia presenza come qualche cosa non solo di non minaccioso, ma di vivo. Il mese dopo la madre manifestò la sua intenzione di interrompere il lavoro terapeutico: la relazione tra le due cose non potè essere osservata in maniera sufficiente, ma è assai probabile che da discorsi fatti in famiglia il b ambino avesse colto l’intenzione della madre. Il mondo interno Durante le sedute preliminari Luigi aveva disegnato un albero con un grosso tronco ed una corona di foglie piuttosto contenuta. Nel tronco vi era un buco, collocato verso l’alto, che – dicea il bambino – era la casa di uno scoiattolo che era disegnato ai piedi dell’albero. Lo scoiattolo, raccontava Luigi, era in giro per cercare del cibo: aveva un fiammifero legato alla coda che gli serviva per accendere una candela quando doveva farsi luce. Sull’albero – era notte – vi erano dei gufi. Vi erano anche altri scoiattoli, aggiungeva il bambino, ed erano tutti alla ricerca di cibo; se questi invece non vi erano, lo scoiattolo sarebbe stato solo. DISEGNO 1 Al sesto mese di analisi, nell’arco di due sedute consecutive, Luigi fece due disegni. Il primo era il “fantasma spaventabambini”. DISEGNO 2 Il grande fantasma che sta alle spalle del bambino appare una figura dilatata e priva di confini, enorme e minacciosa. Gli occhi sono asimmetrici e la bocca è vagamente porcina. Da questa escono una serie di nuvole circolari che appaiono parole tanto roboanti quanto prive di senso, vuote. Il bambino viene investito e mutilato da questa alluvione orale – il braccio destro è dimezzato rispetto al sinistro – ma si salva, sostiene Luigi – per mezzo del salvagente che è disegnato ai suoi piedi. L’interpretazione che diedi sottolineava il pericolo dal quale il bambino si sentiva minacciato e che lo spaventava, ma anche la possibilità che egli aveva di proteggersi e salvarsi attraverso un oggetto esterno, il salvagente - che probabilmente rappresentava l’analisi - del quale era in grado di avvalersi. Alla seduta successiva il bambino disegnò un “villaggio subacqueo”. DISEGNO 3 Ciò che viene rappresentato è un autobus che assomiglia in realtà ad un mezzo blindato e privo di aperture. Vi è una porta, ma appare simile alle aperture chiuse ermeticamente che vi sono nei sommergibili. Dei pesci nuotano intorno all’autobus/villaggio che ha delle ruote con le quali si può muovere sul fondo e che lancia fiamme e gas dai tubi di scarico. Nei tre disegni Luigi rappresentava assai bene la propria situazione interna che appariva estremamente critica – a rischio di rotture psicotiche, come aveva diagnosticato la neuropsichiatra – perché vi era una parte del bambino che si protegge va dalle aggressioni di potenti nemici esterni – i gufi, la notte, il buio – mettendosi dentro un solido riparo: l’interno del fusto dell’albero, l’autobus/sommergibile. E’ bene in evidenza nei disegni anche la parte capace di Luigi: non mancano il coraggio di uscire dalla tana alla ragionevole ricerca di cibo e comunque i rifugi non sono totalmente chiusi all’esterno. Il guscio protettivo è anche provvisto di meccanismi interni di sicurezza simili a quelli delle pentole a pressione: se l’angoscia diviene troppo minacciosa, essa può venire espulsa analmente di modo che le condizioni di vivibilità all’interno del rifugio tornino ad essere accettabili. Lo scarico anale della tensione era ben mostrato da Luigi in seduta quando mostrava di innervosirsi sbuffando in presenza di quel che avvertiva come una mia richiesta di maggiore precisione nello spiegarmi qualcosa. In una seduta aveva voluto giocare a scacchi, ma non conosceva a sufficienza anche quelle regole elementari che consentono di muovere correttamente i pezzi. Si era molto irritato quando avevo sottolineato il fatto e si era poi rasserenato, dopo aver sbuffato ed avermi accusato di non sapere e di non capire niente, quando aveva visto che non insistevo oltre. La mia non insistenza era stata allora subito ricambiata da lui a suo modo: dopo avermi ribadito, nella seduta successiva, che suo fratello aveva detto che aveva ragione lui, non andò più a prendere il gioco degli scacchi. Durante tutti i mesi di lavoro avevo potuto entrare in relazione con lui perché, in qualche modo, avevo la funzione di un buon oggetto esterno che garantisce la possibilità di tornare a rifugiarsi dentro alla struttura patologica narcisistica. Gli scoppi d’ira irrefrenabile a scuola mostravano che, quando la relazione con un oggetto esterno protettivo veniva impedita, ci si doveva alleare con il tiranno interno che consentiva di annullare il dolore attraverso la collusione con la parte onnipotente di sé5. Un rifugio sicuro L’autobus/sommergibile e la tana nell’albero rappresentano dei modi parziali e provvisori di stare in relazione con il mondo. Le case-grotte di Matera sono un esempio, al livello di una psicologia sociale psicoanalitica, di un rapporto di diffidenza verso un mondo ed una natura esterni troppo più potenti di colui che vi si rifugia e sostanzialmente ostili (i gufi nel commento di Luigi al proprio disegno). La casa-grotta è un posto buono per proteggersi e dal quale si può uscire, come lo scoiattolo, per procurarsi, guardinghi, del cibo. La relazione con il mondo esterno può essere mantenuta al solo scopo di sopravvivenza, per proteggersi in realtà dal rischio di catastrofe psicotica. Ciò che è all’esterno della tana potrebbe allagare quest’ultima – l’autobus/sommergibile – è completamente sottacqua – e distruggere la forma di sopravvivenza, patologica, che in qualche modo questa assicura. La chiusura totale del rifugio e la conseguente separazione radicale dal mondo circostante ci riporta all’esempio attraverso il quale Freud ci illustra l’essenza della psicosi autistica. In Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico egli afferma difatti che, al fine di conservare il principio di piacere senza sottoporlo a quello di realtà, è necessario il completo svincolamento psichico dai genitori: L’analogia che Freud impiega per illustrare questo stato mentale è quella di un uccellino rinchiuso nel guscio con la sua provvista di alimenti, e per il quale la cura materna si limita alla 5 Si veda al proposito Donald Meltzer “Terrore, persecuzione, paura: disamina delle angosce paranoidi” in Elizabeth Bott Spillius (a cura di) Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi vol. I, Astrolabio Roma 1995, pag.255 produzione di calore6. La situazione mentale di Luigi appare quantitativamente diversa da quella illustrata da Freud, ma strutturalmente – e lo vedremo più avanti quando sarà più chiara la complessissima procedura attraverso la quale poteva ammettere che qualche cosa entrasse dentro di lui – non appare dissimile. L’unico modo di proteggersi dalla distruttività di un mondo esterno ostile è quello di ridurne l’impatto al minimo indispensabile; tendenzialmente a zero. John Steiner è forse l’autore che si è occupato in modo più sistematico di quelli che ha felicemente chiamato psichic retreat e che definisce come un luogo in cui stare relativamente tranquillo, protetto contro le tensioni, nei periodi in cui ogni contatto con l’analista è vissuto come una minaccia7. Nel breve periodo nel quale Luigi rimase in trattamento fu solo possibile raggiungere, da parte sua, una sufficiente fiducia in un analista non minaccioso, ma non si ebbe, ovviamente, modo di affrontare la questione transferale maggiormente complessa di una relazione negoziale. Il suo modo di rapportarsi all’analista fu del tipo a suo tempo descritto da Clifford M. Scott come quello di un bambino che col gioco poteva mostrare un contenuto molto più complicato di quello che avrebbe potuto esprimere a parole8. Luigi, contrariamente al bambino descritto da Scott, parlava, ma la sua interazione verbale era abbastanza stereotipata: mi ricordava i madonnari, quei disegnatori da strada che dipingono meravigliose madonne sui marciapiedi, ma dei quali si dice che in realtà non sappiano affatto dipingere o disegnare e che siano in grado concretamente di riprodurre in modo perfetto quell’unico disegno: soggetti cioè che funzionerebbero solamente per identificazioni parziali scisse. Steiner vede in coloro che utilizzano dei rifugi mentali siffatti il dispiegarsi di strutture difensive che, incapaci di sopportare l’angoscia causata dall’ avvicinarsi alla posizione depressiva, si rifugiano in quelle che Rosenfeld ha chiamato relazioni oggettuali narcisistiche9. Il rifugio della mente, sempre secondo Steiner, è un luogo che da sensazioni claustrofobiche se vi si è rinchiusi dentro, ma il cui abbandono comporta crisi d’angoscia insostenibili10. Un sogno di un paziente di Betty Joseph illustra assai bene questo stato mentale: il paziente sogna di trovarsi in una specie di lungo anfratto, quasi una caverna dove vi erano dei briganti che avevano preso prigioniero lui ed altri11. Molto felicemente Rey ha definito, riprendendo il concetto di Winnicott di oggetto transizionale, spazio marsupiale quello spazio di non separazione completa dalla madre che dovrebbe preludere ad una completa autonomizzazione 12. Luigi mostrava, nei suoi disegni, come una madre interna solamente in parte conosciuta e sentita come propensa ad emettere suoni/pensieri vuoti, ma non abitabili – si pensi ai disegni – non consenta di allontanarsi serenamente, ma nemmeno di esserle interni in maniera non angosciosa. Hanna Segal ha fatto la supposizione che pazienti che costruiscono un sistema difensivo di tipo fantastico abbiano subito in età infantile una catastrofe a causa della quale l’Io sia stato inondato da impulsi distruttivi ed autodistruttivi13. Il disegno dell’autobus sottacqua pare rappresentare esattamente la situazione descritta nel lavoro della Segal. Meltzer, nella sua revisione della propria teoria precedente sull’autismo, coglie qualche cosa che il lavoro svolto con Luigi pare avallare. La sua idea, sostenuta dalla teoria di Bion di contenuto/contenitore, è che nella relazione madre/bambino 14: 6 Sigmund Freud Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico in OSF vol. VI, Boringhieri, Torino 1974, pag.454-455 nota 4 7 John Steiner I rifugi della mente Bollati Boringhieri, Torino 1996, pag.17 8 Clifford M. Scott “Concetto psicoanalitico dell’origine della depressone” in Melanie Klein, Paula Heimann, Roger Money- Kyrle Nuove vie della psicoanalisi Il Saggiatore, Milano 1966, pag.83 9 Herbert Rosenfeld Comunicazione e interpretazione Bollati Boringhieri, Torino 1989 10 John Steiner op. cit., pag.78 11 Betty Joseph “Drogarsi di quasi-morte” in Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi op. cit., pag.333 12 J. H. Rey Liberté et processus de pensée psychotique cit. in . Steiner op. cit., pag.77 13 Hanna Segal “Il sistema delusorio come difesa contro il riemergere di una situazione catastrofica” in Costruzioni psicoanalitiche n.19/2010, pag.46 14 Donald Meltzer Studi di metapsicologia allargata. Applicazioni cliniche del pensiero di Bion Cortina, Milano 1987, pag.138 Una volta trovato questo oggetto-contenitore ricettivo che gli consente di resistere all’impulso di sfuggire al dolore delle sue esperienze mentali rovesciando la funzione alfa, il neonato è assalito da tre problemi: 1) l’oggetto non è sempre presente quando ne ha bisogno; 2) qualche volta l’oggetto non riesce a svolgere la sua funzione in modo soddisfacente; 3) la sua bellezza è allo stesso tempo emozionante e angosciante. La tendenza naturale del neonato (derivata da livelli primitivi di tropismo unidimensionale) è quella di scindere l’oggetto in buono e cattivo, ma ciò scinde anche lui steso in parti che sono attratte da quegli oggetti e con essi si identificano sia quando sono internalizzati (identificazione introiettiva), sia quando sono penetrati (identificazione proiettiva), sia quando ambedue le operazioni avvengono contemporaneamente. La protezione che la psicosi autistica può dare rispetto alla sofferenza imposta dal funzionamento della funzione alfa non è necessariamente sempre assoluta, ma si può articolare in maniera diversa e con gradazioni diverse in funzione della risposta soggettiva del neonato alla funzione del contenitore ed alle difficoltà che al neonato si presentano proprio in relazione allo svilupparsi di questa funzione. Il risultato che Meltzer ne trae è che nel quadro delle psicosi infantili è necessario distinguere quel che dieci anni prima aveva definito autismo infantile precoce: a parte i casi di autismo vero e proprio, Meltzer distingue le psicosi geografiche confusionali, gli insuccessi primari di sviluppo mentale e gli insuccessi dell’adattamento mentale postnatale15. La differenza più sostanziale che Meltzer nota rispetto alla formulazione precedente è che questi stati non sono determinati dall’assenza materna, bensì dalla sua presenza 16 che pone al bambino le questioni prima esposte. Contrariamente all’idea di Bettelheim di una fortezza vuota17 , Meltzer è qui più vicino all’idea di Lacan che il bambino autistico non stia rinchiuso in una fortezza che è vuota in quanto lo isola dai tormenti del mondo, ma in una grotta entro la quale la mafia (nell’accezione molto interessante, anche sul piano di una psicologia sociale psicoanalitica, che ne da Rosenfeld), sottomettendolo, lo protegge dal troppo di angoscia che gli verrebbe dal mondo esterno 18. Il piccolo Luigi, come tutti i pazienti riportati in letteratura che soffrono di una patologia borderline del tipo rifugio della mente, non era rinchiuso in un oggetto unisensuale e la relazione sensoriale con il mondo appariva conservata in maniera sufficiente (anche se, in occasione di un disturbo provocato da un intervento odontoiatrico, la noncuranza del bambino appariva eccessiva e, quindi, non del tutto chiara), ma il richiamo di un rifugio interno entro il quale proteggersi appariva così forte da far temere una definitiva richiusura entro la quale allora anche la relazione sensoriale avrebbe potuto essere perduta. In alcuni casi in verità può avvenire anche una perdita della relazione sensoriale a fronte della conservazione di una pseudocapacità di scambi, sia pure stereotipati, con l’ambiente circostante. Luigi, come scrive Meltzer a proposito del fallimento dell’adattamento postnatale, sembrava, se incalzato da richieste che gli apparivano insopportabili, essere stato strappato dal paradiso terrestre, il quale non è un giardino di piaceri, ma piuttosto di assenza di dolore. Essi [i bambini in questo stato mentale A.V.] sono insensibili alla bellezza del mondo esterno, vivono le sue sensazioni solo come un bombardamento, lo respingono e desiderano solo di sentirsi nuovamente rinchiusi, di sentirsi bagnati, inerti, protetti contro la forza di gravità19. L’organizzazione criminale e la funzione alfa negativa Durante una seduta Luigi volle descrivermi la nuova casa che avrebbe dovuto andare ad abitare assieme alla sua famiglia comprendendo in questa anche la zia ed altri personaggi non meglio definiti. Il bambino non riusciva apparentemente a spiegare con chiarezza come era fatta questa casa, chi l’avrebbe abitata, la disposizione dei locali e così via. Tentò anche di disegnar la, ma la confusione espositiva trovava una perfetta corrispondenza nel disegno. In realtà tutto ciò che 15 Idem, pag.136 Idem, pag.139 17 Bruno Bettelheim La fortezza vuota Garzanti, Milano1987 18 Si veda al proposito Antonio Di Ciaccia “Il bambino autistico e l’Altro” in Isabella Ramaioli, Domenico Cosenza, Pietro Bossola (a cura di) Jacques Lacan e la clinica contemporanea Franco Angeli, Milano 2003 19 Donald Meltzer Studi di metapsicologia allargata op.cit., pag.140 16 apparteneva alla sua famiglia interna appariva come una realtà confusa: in un disegno rappre sentò montagne, fiori, spiagge tutti all’interno delle mura merlate di un castello; in basso a sinistra vi era una freccia che indicava una grossa bomba20. La confusione – che appariva regolarmente i n spiegazioni e disegni – non era affatto da attribuire a ritardi di ordine linguistico (in verità il bambino parlava abbastanza correttamente), ma alla rappresentazione di una situazione interna dove l’indistinzione promiscua appariva come una struttura difensiva. Se veniva forzato ad essere più chiaro Luigi immediatamente si innervosiva. Steiner sostiene che l’organizzazione “contiene” l’angoscia offrendosi come un protettore, e lo fa secondo modalità perverse21. L’organizzazione che protegge, è evidente in Luigi ed è chiaramente esposto da Steiner, lo fa erigendo una barriera contro esigenze di chiarezza e distinzione (funzione alfa) e spingendo anzi in senso opposto verso l’indistinzione magmatica (viene messa in atto cioè una funzione alfa negativa). Il carattere di perversione non è dato qui, come comunemente inteso, dalla fissazione a stadi dello sviluppo psicosessuale di tipo pregenitale, ma dall’impiego di sentimenti il cui sviluppo non è di tipo evolutivo, bensì regressivo. Steiner, diversamente da Money-Kyrle secondo il quale il perverso si differenzia del nevrotico in quanto la sua sessualità viene espressa largamente nella sua forma originaria pregenitale 22, pare più in accordo con la Chasseguet Smirgel secondo la quale nel perverso si assiste alla riconduzione all’indifferenziato ed al magmatico, a qualche cosa quindi che assomiglia al progressivo disfacimento dei cibi nella loro singolarità e differenziazione nel processo digestivo e intestinale e nella loro trasformazione in materia fecale: vi è in sostanza una riconduzione, da parte del perverso, all’indifferenziato ed al magmatico 23. L’essenza della perversione, come aveva mostrato Freud nel lavoro sul feticismo, è quella di porre una falsa verità che ponga al riparo dall’insostenibilità di quella autentica 24. Essa appare da un punto di vista bioniano come l’effetto di un’inversione della funzione del pensiero. Ce ne da un’importante testimonianza lo scrittore ungherese Imre Kertész il quale, deportato nei lager nazisti, testimonia di aver sentito, nei momenti più disperati, l’essere confinato in uno spazio ristrettissimo insieme agli altri prigionieri malati, in una confusione di braccia, gambe e teste, come una paradossale protezione contro l’orrore della disciplina del campo di concentramento 25. L’indistinzione fecale o il mucchio di malati di Kertész, al pari della confusa casa di Luigi, ci mostrano come la difesa contro l’angoscia che può provenire dal confronto con la posizione depressiva appare come un funzionamento organizzato nel quale il male costituito dall’organizzazione – la segregazione, la prigionia, lo sfruttamento esposti nel sogno del paziente della Joseph – appare comunque preferibile a quello che dovrebbe essere affrontato se lo sviluppo mentale promosso dalla funzione alfa proseguisse. Come si è detto in precedenza, Rosenfeld, sulla scorta del sogno di un suo paziente che, progredendo nell’analisi, teme di dover affrontare l’angoscia depressiva, propone l’idea di una banda criminale di tipo mafioso interna che protegge dalla realtà più complessa26. Il gruppo criminale mafioso, che nel lessico interno si chiama non a caso famiglia, come ha benissimo mostrato Saviano 27 nel suo notissimo libro sulle organizzazioni criminali camorristiche, ha una capacità di protezione dei suoi membri e delle loro famiglie, anche quando questi sono carcerati a causa dell’attività criminale promossa dall’organizzazione , che il miglior welfare invidierebbe. La condizione per essere protetti è quella di servire gli scopi dell’organizzazione criminale; ciò che non si può fare è tradire il pactum sceleris. Se ciò avvenisse, 20 Anche una paziente di Salomon Resnik descrive il proprio spazio interno come una fortezza circolare, un antico torrione medioevale che ha la funzione di far sentire la paziente isolata dal mondo,,,più sicura (Salomon Resnik, op.cit., pag. 149 21 John Steiner I rifugi della mente op. cit., pag. 26 22 Roger Mney-Kyrle Scritti 1927-1977 Bollati Boringhieri, Torino 2002, pag.65 23 Janine Chasseguet Smirgel Creatività e perversione Cortina, Milano 1987 24 Sigmund Freud Feticismo OSF vol.X, Boringhieri, Torino 1978 25 Imre Kertész Essere senza destino Feltrinelli, Milano 2004 26 Herbert Rosenfeld “Un approccio clinico alla teoria degli istinti di vita e di morte” in Elizabeth Bott Spillius (a cura di) Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi op. cit., pag.267 27 Roberto Saviano Gomorra Mondadori, Milano 2006 come nel sogno del paziente di Rosenfeld, si verrebbe atrocemente puniti dalla stessa organizzazione in quanto, per i suoi canoni, si diverrebbe un infame. Questioni di transfert In questo quadro è evidente che la posizione dell’analista appare come quella di un pericoloso agente del mondo esterno – si pensi, per rimanere nel quadro dell’analogia con la mafia, al rapporto complesso di un pentito importante come Tommaso Buscetta rispetto al giudice Falcone – che di fatto minaccia il paziente proponendogli di passare dall’altra parte della barricata. Ho già detto come per tutto il corso del lavoro con Luigi dovetti sempre evitare l’interpretazione che, anche se superficiale, veniva avvertita con un moto di fastidio e di rifiuto. La mia attenzione a non essere né sollecitante né, tantomeno, invadente, ebbe gradatamente una risposta positiva giacché Luigi cominciò lentamente a fidarsi del fatto che l’analista e la stanza d’analisi non costituivano una minaccia e che lui veniva rispettato per quello che era senza venire forzato a comportarsi differentemente. Dopo qualche mese mostrava molta soddisfazione nel venire, una volta mi propose una serie di indovinelli che aveva trovato in un giornalino per bambini, rideva divertito quando io non indovinavo e si congratulava quando invece ci riuscivo. Mi mostrava la sua solidarietà dicendomi che anche lui, come me, non era riuscito ad indovinarne taluni. Coglie sicuramente un aspetto importante Antonio Di Ciaccia quando sostiene che prima di parlare di terapia, di analisi o di altro, è necessario un incontro. Un incontro…con una presenza “viva” 28 con pazienti di questo tipo. Quello che l’analista lacaniano chiama presenza viva è la figura di un analista che, secondo Steiner, privilegia la necessità del paziente di farsi comprendere piuttosto che quella di comprendere. L’analista inglese propone quindi, nell’ambito del transfert di privilegiare rispetto alle interpretazioni centrate sul paziente quelle centrate sull’analista29 : le prime sono quelle che tendono a chiarire al paziente ciò che lui pensa o fantastica, mentre le seconde privilegiano i timori del paziente riguardo all’analista e la sua rappresentazione inter na di quest’ultimo. Luigi mostrava di apprezzare i miei tentativi di proporgli in forma paradossale e scherzosa l’immagine che lui si faceva di me o di se stesso all’interno della relazione di transfert. Fu molto contento quando un giorno – lui era un po’ in ritardo a causa del treno – mi aveva visto dietro il vetro della finestra e mi aveva salutato con il braccio con contentezza: io avevo ricambiato il suo saluto e gli avevo detto che era stato contento di vedermi mentre lo attendevo. Un’altra volta era arrivato sudato ed assetato perché aveva fatto una partita a pallacanestro prima di venire in seduta: rilevai la cosa dicendogli che l’orario della seduta lo aveva costretto ad una corsa e si sentiva quindi un po’affannato. L’opportunità di non interpretare sollecitando una pulsione epistemofilica peraltro scarsa o scarsamente sviluppata, è condivisa dalla comunità analitica. Oltre a Steiner e Di Ciaccia, anche Betty Joseph sottolinea come l’interpretazione precoce pone il paziente di fronte alla constatazi one che l’analista possiede delle capacità di mettersi in contatto con alcune parti di sé che lui invece non ha 30. Talvolta il ripetersi nelle sedute del consueto gioco mi dava la sensazione di un’analisi che non stesse procedendo e della necessità di fare qualche cosa che favorisse un’uscita da quella che veniva sentita come un’impasse. Sentimenti di frustrazione e di impotenza possono facilmente essere riscontrati con pazienti di questo tipo; in effetti si potrebbe pensare che in questi momenti l’analista è messo nelle condizioni mentali abituali per il paziente che si sente di fronte a qualcuno che non è penetrabile dalla identificazione proiettiva. Tali sentimenti potrebbero portare alternativamente o a colludere con la parte malata portando avanti indefinitamente un’analisi/caverna nella quale il paziente si sente sicuro da minacce provenienti dall’analista, ma senza che si verifichi progresso 28 Antonio Di Ciaccia op. cit., pag.57 John Steiner, op. cit., pag. 169 30 Betty Joseph Equilibrio e cambiamento psichico Cortina, Milano 1991, pag.99 29 alcuno, oppure a provocare nel paziente una reazione difensiva energica entro la quale l’analista sarebbe vissuto come il rappresentante del mondo esterno minaccioso che deve e può essere tenuto a bada attraverso il ricorso alle risorse dell’organizzazione criminale interna. Di queste alternative ci danno un resoconto Edna O’Shaughnessy e lo stesso Steiner. Scrive la prima31: Lavorai molto su questa situazione transferale ripetitiva e, in senso lato, immutabile. Ci furono delle sedute in cui il signor M mi portò quasi alla disperazione. La mia disperazione nasceva dalla preoccupazione per l’immobilità dell’analisi: mi chiedevo se fosse il caso di andare avanti. Ma si trattava anche della disperazione del paziente proiettata dentro di me, che analizzai: egli si sarebbe aggrappato all’analisi e l’avrebbe posseduta (non parlava più di andarsene), l’avrebbe usata perfidamente per accrescere la sua onnipotenza e il suo narcisismo, senza mai però permetterle di muoversi e di diventare viva, con la conseguenza che anche lui non si sarebbe mai sentito vivo. Steiner invece coglie nella reazione di una paziente alla quale aveva interpretato il suo aver dapprima perduto l’assegno nella borsetta e l’averlo poi compilato in modo incompleto come un sentimento ambivalente nei suoi confronti, il fatto di aver favorito la lotta narcisistica della paziente contro la sua parte maggiormente propensa ad un’alleanza terapeutica. Vediamo quindi – dice Steiner – come io divenissi parte dell’organizzazione patologica e svolgessi un ruolo essenziale nel mantenerla32. Il lungo gioco Dopo i primi due o tre mesi di sedute, gradatamente Luigi aveva cominciato ad orientarsi su un gioco che di fatto prendeva in maggiore considerazione la relazione tra di noi rispetto a quanto avviene comunemente nelle partite a dama. L’elaborazione definitiva delle regole del gioco richiese alcune settimane giacché il bambino le perfezionava gradatamente. Era, di fatto, un progetto di relazione che via via gli si faceva più chiaro. Nella sua formulazione finale il gioco consisteva in questo. Si lanciava un dado e si avanzava, nel gioco dell’oca, di tante caselle quante ne indicava il dado lanciato; quando si arrivava al traguardo bisognava arrivarci in modo preciso: se, per esempio, mancavano tre caselle all’arrivo ed il dado diceva cinque, si arrivava al traguardo e si arretrava di due ed era così fino a quando il lancio del dado indicava esattamente il numero di caselle mancanti all’arrivo. Quando uno dei due era arrivato alla casella finale poteva tracciare un segmento dei sei totali che componevano un rettangolo entro il quale era iscritta una sorta di croce di San Giorgio. I segmenti erano a loro volta inscritti in un cerchio vuoto sottostante che era stato precedentemente tracciato. Quando il disegno composto dai sei tratti era completato – ognuno aveva diritto a comporre gradatamente un suo riquadro – si poteva inscrivere un circolino (Luigi) od un rettangolino (Adriano) entro un grande cerchio che rappresentava, pensò durante una seduta Luigi, una testa. Gli piacque molto quando suggerii che stavamo mettendo dei pensieri nel la testa; gli apparve però allora necessario suddividere i simboli/pensiero suoi da quelli miei . Come si può vedere dal disegno 4, la massa dei simboli/pensiero rigidamente divisi, da luogo a qualcosa che ricorda sia un elmo con la celata alzata, sia un cranio/teschio con la bocca aperta e vuota. DISEGNO 4 Come si è già sottolineato, Luigi comincia ad elaborare questo gioco quando la relazione con l’analista si fa meno preoccupata e quest’ultimo appare meno mi naccioso (l’”uomo vecchio”). Il presentarsi di una relazione più morbida costringeva Luigi ad articolare un processo entro il quale 31 Edna O’Shaughnessy “Studio clinico di un’organizzazione difensiva” in Elizabeth Bott Spilllius op. cit., pag.322 John Steiner “Organizzazioni patologiche e posizioni schizoparanoide e depressiva” in Elizabeth Bott Spillius op. cit., pag.353 32 inserirla. Durante le sedute di “perfezionamento” del sistema vi era il momento della competizione, i lanci dei dadi per arrivare alla meta (Luigi si complimentava cavallerescamente con me quando arrivavo all’ultima casella) e quello della collaborazione, la compilazione dei complessi protocolli. La fase di gioco/competizione era cioè segmentata in momenti elementari, i singoli tratti. Questi tratti, che in quanto tali non erano ulteriormente scomponibili, dovevano poi essere ricomposti in un quadro complessivo ciascuno composto da sei tratti. E’ da notare che la serie di cerchi vuoti pre disegnati da Luigi sono assai simili all’altra serie di cerchi vuoti che fuoriescono, nel disegno 2, dalla bocca del “fantasma spaventabambini”. Le parole vuote e minacciose del fantasma possono riempirsi di contenuti se prima questi sono sufficientemente analizzati, segmentati e infine ricomposti. A questo punto si è però in presenza di entità depotenziate della loro pericolosità originaria, ma che fluttuano nel vuoto senza che appaiano in alcun modo definite. Il piccolo erede di Spinoza costruisce cioè delle monadi (i tratti) che possono essere uniti con altre monadi per costituire dei corpi (i rettangoli con la croce di San Giorgio), ma manca poi loro un’anima , la sostanza spinoziana. L’anima è trovata da Luigi con grande soddisfazione quando gli interpreto l’inserimento dei rettangoli, convertiti a questo punto in cerchietti e rettangolini marcati da una lettera, in un cerchio come l’inserimento di pensieri dentro una testa. Quando, disegnando all’interno della “testa” i primi simboli, Luigi si accorge che si possono mescolare tra di loro andando a formare un grumo indistinto, traccia una linea divisoria ben evidente sopra la quale stanno i simboli/pensiero che provengono dalle sue vittorie e sotto la quale stanno invece i simboli/pensiero che, oltre le trasformazioni subite, sono marchiati con il mio segno. Come in un prevedibile scherzo di un destino altrettanto prevedibile, l’insopportabilità di una vicinanza eccessiva tra pensieri/simbolo miei e suoi produce un disegno nel quale se non vi sono più cerchi vuoti emessi dalla bocca dello “spaventabambini”, vi è una bocca vuota pronta ad inghiottire nuovamente pensieri destinati però a non produrre nulla giacché non possono essere digeriti, cioè sottoposti ad un processo elaborativo che prevede il contatto e la reciproca contaminazione. Luigi, in termini kleiniani, mette qui in mostra come il fallimento nel raggiungimento della posizione depressiva causato da un timore eccessivo di contaminazione riporta a meccanismi di separazione della posizione schizoparanoide in cui un pensiero autentico non esiste e l’oralità ha una funzione compensatoria. Ciò che viene inghiottito dalla testa/scheletro non serve, in questo meccanismo, a far sviluppare carne, muscoli e pensieri, ma solo a rafforzare la struttura ossea periferica che non contiene nulla e che non possiede nemmeno l’ornato della carne: quasi una duplicazione della figura del cavaliere inesistente entro la cui armatura, ci racconta Calvino, non vi è che il vuoto. Considerazioni Il gioco tanto complesso e raffinato di Luigi riporta, nel vivo del q uadro clinico, ad importanti questioni - che non sono solo cliniche - con le quali la psicoanalisi, a partire da Freud, si è confrontata e si sta confrontando. E’ ben evidente come il nucleo dell’operazione compiuta dal paziente consiste nel prendere un oggetto – la pericolosa presenza dell’analista – smontarlo nei suoi elementi minimi per rimontarlo infine secondo una grammatica ed una sintassi completamente diverse. Meltzer ha descritto la propensione all’autismo come una reazione del bambino all’assenza mentale della madre, alla sua impenetrabilità alle proiezioni e quindi alla sua incapacità o impossibilità a funzionare come un buon contenitore 33. Si è visto nell’anamnesi familiare di Luigi come la sua nascita fosse sentita dalla madre come un obbligo religioso e poi come soddisfazione narcisistica. Ripetutamente Meltzer sottolinea come un’evoluzione autistica avvenga prevalentemente con bambini assai intelligenti e come gli esiti dell’operazione di smontaggio autistico siano spesso una grande capacità ed intelligenza operativa, una memoria-ancora ed uno sviluppo abnorme di abilità 33 Donald Meltzer Esplorazioni sull’autismo Bollati Boringhieri, Torino 1977 pag.25 isolate. Come si è visto, in Luigi erano molto evidenti il primo ed il terzo sintomo e possedeva anche, seppure non al livello discusso con il caso di Kim Peek 34, una memoria assai ragguardevole. Il modo attraverso il quale il bambino autistico riesce a proteggersi è quello, ben evidente nel gioco di Luigi, di smontare il contenitore materno in una serie di singoli elementi non ulteriormente scomponibili e tutti quanti controllabili. La segmentazione, sottolinea Melzer, non avviene secondo l’esperienza ed il pensiero – alla maniera cioè secondo la quale, secondo Roland Barthés, si giunge al piacere della lettura – ma secondo linee di frammentazione che obbediscono al principio dell’annullamento del pericolo. Una vittoria nel gioco dell’oca doveva essere controllata affinché non emergessero in modo eccessivo dei sentimenti di invidia e di tipo distruttivo. Lo smontaggio della vittoria nei suoi elementi minimi, il tassello unario per la costruzione del rettangolo (più o meno come un “quindici” al gioco del tennis costituisce un tassello per aggiudicarsi eventualmente un game) e la contentezza per la vittoria-propria/congratulazioni-con-l’avversario, formavano due oggetti ben distinti. L’oggetto contentezza, come quello dell’invidia, potevano da Luigi essere mantenuti in limiti convenienti e sobri proprio attraverso la conversione del punto in un elemento contabile. Scrive Meltzer 35: Un oggetto che è stato segmentato o smontato è un oggetto che è stato ridotto in piccole porzioni semplificate…Questi segmenti di oggetto possono allora essere tenuti separati e controllati uno per uno in modo onnipotente. Lo smontaggio ha lo scopo di rendere un’esperienza priva di significato attraverso la sua riduzione in frammenti al di sotto del senso comune e di impedirle di funzionare come una “forma simbolica” per ridurla ad un funzionamento di tipo causale e meccanico36. Con un’analogia suggestiva Meltzer suggerisce che il funzionamento autistico sia simile a quello di un plotone di soldati che arrivi ad uno stretto ponte sul quale non si può transitare mantenendo la formazione. L’ufficiale potrebbe ordinare di scioglierla, ogni soldato passerebbe allora per conto proprio e al di la si ricostituirebbe una formazione. La reiterazione del gioco della dama durata per almeno quattro mesi mostra quanto Luigi utilizzasse il gioco non come esperienza piacevole ed interessante, ma come chiusura verso un maggiore scambio con l’analista. Doveva servire a tastare l’analista, la sua pelle psichica. Il gioco in sé, come dimostra anche la modificazione del gioco dell’oca, non era un oggetto penetrabile dalla curiosità: poteva essere condotto meccanicamente ed anche con grande abilità, ma non consentiva alcuna identificazione proiettiva. Come si è visto l’oggetto/analista, per Luigi, diveniva buono quando cessava di essere minaccioso/cattivo e così tutti gli oggetti esterni. Freud nel Notes magico pone in rilievo come l’inconscio vada a conoscere il mondo come attraverso delle antenne che vengono ritratte non appena l’eccitamento è eccessivo37. Nel lavoro sulla Negazione Freud afferma che non si tratta tanto di stabilire se un oggetto, una cosa (ein Ding) possa o meno essere accolto nell’Io, quanto se questa stessa cosa esista nel mondo interno e possa quindi, o meno, essere ritrovata (wiedergefunden) nel mondo esterno. Il non-reale (das Nichtsreale), la rappresentazione (la phantasy nel linguaggio kleiniano) appartengono solo al mondo interno (ist nur innen), il resto appartiene invece anche al mondo esterno (auch im Draussen vorhanden)38. Freud recide qui un nodo decisivo nella storia del pensiero filosofico soprattutto medioevale e lo fa con un’argomentazione implicita per certi versi non dissimile da quella degli averroisti radicali: il soggetto conosce solamente quel che le sue facoltà interne gli consentono di conoscere, il resto, die andere, il Reale, non potendo essere introiettato, o è respinto, messo fuori pulsionalmente, oppure negato attraverso il giudizio. Se osassimo dire di conoscere tutto, aveva 34 Adriano Voltolin “Memoria e teoria delle trasformazioni” in Costruzioni psicoanalitiche n.19/2010 Donald Melter Esplorazioni sull’autismo, op. cit., pag. 191 36 Idem, pag.247 37 Sigmund Freud Nota sul “Notes magico” in OSF vol.X, op. cit. pag.64 38 Sigmund Freud La negazione in OSF vol.X, op. cit., pag.199 35 detto Boezio di Dacia, dovremmo sostenere di conoscere perfettamente la sostanza divina e tutta la sua potenza 39. Il gioco di Luigi mostra bene come la sua costruzione difensiva doveva servire a proteggerlo da un esterno troppo minaccioso proprio in quanto Reale, quindi non conoscibile attraverso la proiezione. L’oggetto esterno non penetrabile non esiste dentro: si può allora negarne onnipotentemente l’esistenza come nella psicosi paranoica, oppure rifugiarsi in una grotta mentale come nel caso di Luigi. La negazione conserva in effetti la medesima strategia – non consentire che qualche cosa di potenzialmente nemico entri: Boezio dice pressoché che l’opera di Dio sarà certamente tutta meravigliosa, ma che ciò che non possiamo avvertire lo possiamo solo accettare per fede: con le nostre, certamente ridotte, lo dirà anche Bion, capacità di percezione possiamo solamente negarne quindi l’esistenza – ma ci preserva da una distorsione patologica in quanto eccessiva. La realtà esterna va gradatamente accettata in dipendenza dalla capacità di sopportarne internamente il peso (debbo poter sopportare una frustrazione enorme per accettare che il seno che nutre non è al mio interno. I bambini ruminatori studiati da Eugenio Gaddini non erano in effetti in grado di sopportare questa consapevolezza e morivano per l’impossibilità di alimentarsi 40). Il caso di Luigi, così come tutta l’argomentazione di Meltzer sulla psicosi, mette inoltre in forse l’idea della Klein di un oggetto buono preesistente. Avevo già messo in rilievo come l’affermazione da parte della Klein che le funzioni dell’Io esistano sin dall’inizio della vita non sia conciliabile con la tesi secondo la quale è l’angoscia a promuovere una scissione dell’oggetto e quindi dell’Io41. Un oggetto diviene buono man mano che si mostra scarsamente o per niente minaccioso secondo un adattamento che Freud aveva individuato ne L’Io e l’Es42. La tesi quindi di Betty Joseph secondo la quale vi sono pazienti che fanno fatica a mettersi in contatto con gli oggetti buoni interni 43 andrebbe almeno parzialmente corretta; come ha mostrato Hanna Segal in un suo caso (e personalmente ne ho incontrato uno anch’io) esistono pazienti nei quali il terrore dell’oggetto buono è tale che questo non può mai essere creato e ancor meno stabilizzato al proprio interno, ma viene attaccato e distrutto non appena il paziente ha percezione di una sua possibile esistenza 44. In qualche modo anche i casi di sindromi autistiche descritte da Meltzer e lo stesso caso di Luigi mostrano come, per poter essere accettato, un oggetto deve venire smontato e quindi privato della penetrabilità che lo renderebbe un contenitore e quindi una funzione alfa in atto. L’ultima considerazione riguarda l’operazione di smontaggio dell’oggetto nelle sindromi autistiche. Come si è sottolineato Luigi mostrava segni di innervosimento se gli chiedevo di spiegarmi meglio qualche cosa che non avevo capito: la relazione psichiatrica con la quale era arrivato da me parlava di difficoltà nella costruzione della frase sia pure in presenza di una competenza lessicale sufficiente e della tendenza a leggere dapprima silenziosamente le parole per acquisirne meglio il significato. Nel gioco da lui inventato si può osservare come i singoli passaggi di un gioco da tavolo vengano ridotti ad elementari figure geometriche che poi si compongono in rettangoli per andare a riempire dei cerchi vuoti. L’operazione del capire presuppone sempre qualche cosa che è assente: lo ha lucidamente spiegato Mario Cirlà a proposito dell’ascolto musicale 45: Capire la musica significa svolgere un’operazione attiva e costante della mente, e cioè, essenzialmente percepire i rapporti che legano un suono all’altro secondo le leggi dell’armonia…si tratta di sentire la necessità della loro 39 Boezio di Dacia Sull’eternità del mondo Unicopli, Milano 2003, pag.131 Eugenio Gaddini “La ruminazione nell’infanzia” Cortina, Milano 1989 41 Adriano Voltolin Melanie Klein Bruno Mondadori, Milano 2003, pagg.115-116 42 Sigmund Freud L’Io e l’Es in OSF vol.IX, Boringhieri, Torino 1977, pag.488 43 Betty Joseph “Il paziente difficile da raggiungere” in Elizabeth Bott Spillius (a cura di) op. cit. 44 Hanna Segal “What is therapeutic and counter therapeutic in psychoanalysis?” in Yesterday, Today and Tomorrow Routledge, London 2007 45 Mario Cirlà “L’oblio dell’immemorabile: capire la musica” in Costruzioni psicoanalitiche n.19/2010, pag.68-69 40 successione ed il loro conglobamento in un superiore organismo sonoro, per quella specie di vittoria sul tempo, o meglio, di conservazione del tempo che è la musica La necessità della successione è qualche cosa che può essere riportato, in psicoanalisi, alla preconcezione del seno, cioè a qualche cosa che non c’è ma che avverrà. Se manca l’incontro della bocca con il capezzolo l’assenza di questo ci dice Bion, tenderà a divenire un oggetto persecutorio, il no-breast. Nel caso di Luigi vediamo che l’attacco non è portato tanto al morfema linguistico, ma alla sua inserzione in un sistema che rende comprensibile anche il singolo morfema. I silenzi, sottolinea Cirlà, vanno uditi; e questo vale sia per l’ascolto musicale che per la relazione transferale nella seduta. Se ci immaginiamo i silenzi come dei buchi nel tessuto sonoro, essi sono usati nell’ascolto musicale come orifizi attraverso i quali inserire proiettivamente l’attesa del suono successivo. Lo smontaggio dell’oggetto è fatto precisamente per rimediare alla sua impenetrabilità; si tratta di costruire, da parte del paziente, un sistema diverso nel quale l’oggetto ( das Ding l’aveva chiamato Freud ne La negazione e Lacan si è soffermato con grande acutezza sulla scelta di questo termine da parte di Freud) possa essere sistemato. Ma si è allora, almeno potenzialmente, al punto di partenza. Avevo in effetti imparato che se avessi chiesto a Luigi che cosa significasse il gioco, la sua reazione sarebbe stata di grande agitazione ed insofferenza. Possiamo pensare al gioco di Luigi come al tentativo di liberarsi in ogni modo di quel gioco di opposizioni e di tempi che, secondo De Saussure, rende tale il linguaggio e che sta, per Adorno, alla base del lavoro di Schönberg 46: Il predominio della dissonanza sembra distruggere i rapporti relazionali “logici” all’interno della tonalità, cioè le relazioni semplici di accordi perfetti. L’operazione di Schönberg conduce però ad esiti drammatici e paradossali giacché: In questo però la dissonanza resta ancora più razionale della consonanza: essa pone infatti dinanzi agli occhi in maniera articolata seppure complessa la relazione dei suoni in essa presenti, invece di conseguirne l’unità mediante un impasto “omogeneo”, cioè distruggendo i momenti parziali che contiene. Il linguaggio, come la musica e la pittura, non può astrarre dall’attività di proiezione e di introiezione del soggetto. Sulla scorta di quanto abbiamo visto sostenere da parte di Freud, è solo teoricamente possibile separare drasticamente ciò che è dentro da quel che è fuori. Costruire un oggetto mentale che sia impermeabile all’attività proiettiva/introiettiva è impossibile per il malato alla stessa maniera per la quale è impossibile, sottolinea Adorno, costruire ciò che sarebbe un assurdo assoluto: l’opera d’arte totale47. Essa diviene statica, non conosce più la storia48 , così come diviene inerte, afasica, la bocca della testa rappresentata nel disegno 4, così come era inerte e afasica la bocca del fantasma spaventabambini. L’organizzazione patologica interna, la banda mafiosa, non ha in effetti alcuna velleità schönberghiana, non mira a creare un sistema espressivo alternativo, una melodia rivoluzionaria, ma solo a favorire, come fa appunto la mafia cinese, a far lavorare lo schiavo/paziente per il profitto della sola organizzazione patologica. Sintesi Sulla base dei concetti di autismo nella formulazione di Meltzer e di rifugio della mente (Steiner), l’autore propone il caso di un bambino di otto anni che, visto per circa cinquanta sedute, propone un complicato gioco attraverso il quale smonta qualche cosa che avviene nel mondo esterno per proporne un rimontaggio che possa essere tollerato dalla sua mente. L’organizzazione patologica 46 Theodor W. Adorno Filosofia della musica moderna Einaudi, Torino 2002, pag.61 Idem, pag.72 48 Idem, pag.62 47 che il bambino costruisce ha la doppia funzione di proteggerlo da una realtà insostenibile da un lato e di proporgli un funzionamento onnipotente dall’altro. Il paziente, in questo stato, non essendo in grado di sostenere l’impatto con il mondo, si rifugia nell’organizzazione patologica che si comporta come una mafia mentale (Rosenfeld). Parole chiave: autismo, rifugio mentale, organizzazione patologica. Summary According to the concepts of autism by Meltzer and psychic retreat by Steiner, the author proposes the case of a child aged eight, in analysis for about fifty sessions. During the sessions the little boy created a particular play: he disassembled something coming from the external world and reassembled it in a way tolerable by his mind. The pathological organisation in the mind has a double function: protect himself from the aggression of the external word and permit him an omnipotent functioning. The patient, in this state of the mind, doesn’t tolerate the impact with the world, put himself inside the pathological organisation felt as mafia gang (Rosenfeld). Key words: autism, psychic retreat, pathological organisation