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I linguaggi patriottici La fatica di fare gli italiani

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I linguaggi patriottici La fatica di fare gli italiani
Fare gli italiani. L’esercito
nazionale
Bergamo 4 marzo 2011
Alle origini del discorso nazionale:
armi ed eroi
• La genesi del discorso a proposito di una
nazione italiana è caratterizzata dalla
sovrabbondanza di riferimenti alla guerra
• La guerra è necessaria per liberare una nazione
oppressa e resa schiava – dai tiranni e dagli
stranieri
• La nazione per rinascere e ritrovare se stessa
ha bisogno di eroi guerrieri
• Gli italiani devono liberarsi dall’infame etichetta
di vigliacchi e incapaci di battersi
Il Risorgimento: un’epopea
guerriera
• Fin dal trauma dell’invasione napoleonica, a dominare il discorso
pubblico a proposito della costruzione di uno stato italiano è il tema
della difesa.
• La penisola italiana è esposta ai capricci dei principi stranieri, e
anche coloro che si presentano come liberatori si rivelano poi
invasori (il mutamento della prospettiva di Ugo Foscolo – “il
sacrificio della patria nostra è consumato; tutto è perduto” – è
un’esperienza esemplare)
• L’invasione è all’origine dello sviluppo, all’interno del campo del
discorso pubblico, della necessità di un organismo politico unitario
che assicuri la sicurezza (Melchiorre Gioia, Quale dei governi liberi
meglio convenga alla felicità d’Italia, 1798; V. Cuoco, Saggio storico
sulla rivoluzione napoletana del 1799, 1801)
• L’Italia deve diventare una per potersi difendere, creando un’armata
nazionale sull’esempio francese
Il canone culturale del Risorgimento è un
canone guerriero
[…]
L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade,
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
Già le sacre parole son porte:
O compagni sul letto di morte,
O fratelli sul libero suol
[…]
Quello ancora una gente risorta
Potrà scindere in volghi spregiati,
E a ritroso degli anni e dei fati,
Risospingerla ai prischi dolor:
Una gente che libera tutta
O fia serva tra l’Alpe ed il mare;
Una d’arme, di lingua, d’altare,
Di memorie, di sangue e di cor
In tutti i testi del canone risorgimentale si parla di
combattenti, liberatori, difensori e insorti:
• I grandi romanzi storici (Ettore Fieramosca
o la disfida di Barletta, di Massimo
d’Azeglio, 1833; L’assedio di Firenze, di
Francesco Guerrazzi, 1836…)
• L’opera (Macbeth, 1847, o La battaglia di
Legnano 1848, di Giuseppe Verdi)
• La tragadia (Il conte di Carmagnola 1816 o
l’Adelchi 1822, di Alessandro Manzoni)
E naturalmente nei testi più diffusi
della poesia a sfondo patriottico
• Marzo 1821 non è un caso isolato…anche se è forse il più famoso e
significativo (anche per il suo destino clandestino)
• Ma si pensi all’invocazione alla lotta ne Il giuramento di Pontida di
Giovanni Berchet:
“Oh spettacol di gioia! I Lombardi / son concordi, serrati a una Lega /
Lo straniero al pennon ch'ella spiega / col suo sangue la tinta darà /
Più sul cener dell'arso abituro / la lombarda scorata non siede / Ella
è sorta. Una patria ella chiede / ai fratelli, al marito guerrier. […] / Su!
Nell'irto increscioso allemanno / su, lombardi, puntate la spada
/Presto, all'armi! Chi ha un ferro l'affili / chi un sopruso patì sel
ricordi.
Non si tratta tuttavia solo di un leitmotiv letterario
• La guerra è necessaria a rigenerare
l’identità e la legittimità degli italiani che
vogliono tornare ad essere nazione
• G. Mazzini (Ai giovani, 1848): “Un popolo
non può essere ritenuto millantatore e
codardo”
• G. Montanelli, “Correte alle armi!”
(Memorie sull’Italia, 1853)
L’eroismo guerriero proprio degli italiani è
così celebrato costantemente
• Massimo d’Azeglio, nel romanzo Niccolò
de Lapi (1841) ricorda che “gli italiani sono
dei guerrieri valorosi”
• Il ricordo delle virtù marziali dei romani e
degli antichi italiani (comuni medievali e
repubbliche del Rinascimento, grandi
condottieri) deve guidare gli italiani alla
riscoperta delle loro virtù guerriere
Naturalmente, anche le arti figurative sono
mediatrici dell’ideale guerriero: La battaglia di
Legnano di Amos Cassioli (1860)
I Vespri siciliani di Francesco
Hayez (1846)
Ma in concreto?
• L’apparente omogeneità dei riferimenti al
valore guerriero degli italiani non si
riflettono in una comune visione di ciò che
dovrà essere una “armata italiana”: il mito
della “nazione armata” è particolarmente
sfuggente e polimorfo
• Gli agitatori e i pensatori del versante
“democratico” pensano ad una nazione in
armi espressione libera del popolo
La “nazione armata” dei
democratici
• Giuseppe Mazzini (Agli italiani, 1853) ma anche Bianco
de St. Jorioz (Della guerra di insurrezione per bande,
applicata all’Italia, 1830), Giuseppe Montanelli (Memoria
sull’Italia e specialmente sulla Toscana, 1853), Carlo
Pisacane (Saggi storici politico militari sull’Italia, 1854),
sottolineano tutti la necessità di:
• 1) addestrare tutto il popolo alla guerra
• 2) formare un esercito popolare che si ricolleghi agli
antichi esempi repubblicani (Pisacane propone di
ricreare delle legioni)
• 3) far ruotare la rinascita di un’Italia libera basandola
sulle virtù di una comunità di milites-civites
Tutt’altro per ciò che riguarda invece la
“nazione armata” sabauda
• Un esercito regio e regolare, dove le suggestioni del
pensiero militare democratico non trovano sbocchi
• D’altra parte, l’esercito più efficiente nella penisola del
XIX secolo, insieme a quello borbonico, è proprio
l’Armata Sarda: ambedue vengono epurati dei nuclei di
ufficiali napoleonici dopo il 1821
• Tuttavia, mentre per l’esercito meridionale, si inizia un
rapido declino, quello piemontese viene organizzato
come un organismo compatto, relativamente ben
addestrato e armato, lealmente monarchico e legittimista
• Non casualmente, la prima medaglia d’oro al valor
militare dell’esercito sardo viene assegnata al
carabiniere Scapaccino, ucciso durante il tentativo di
insurrezione mazziniana del gennaio 1834
La costruzione dell’identità
guerriera sabauda
• Si articola attorno ad una sapiente opera di
interpretazione e comunicazione del passato, attraverso
una folta pubblicistica e storiografia “sabaudista” ma si
basa anche
• Sulla genesi, già agli inizi del XVIII secolo, di una
robusta tradizione aristocratico-militare: la carriera
militare si propone per la nobiltà piemontese (e per i ceti
borghesi aspiranti ad una posizione a corte) come
strumento di distinzione e di affermazione simbolica di
sé
• In Piemonte si afferma dunque una delle poche tradizioni
di servizio militare destinate a sopravvivere all’invasione
napoleonica
La nascita dell’Esercito Italiano è segnato
dal conflitto tra le due anime militari del
Risorgimento
•
Impersonate da due miti guerrieri in
formazione destinati a destini completamente
differenti:
1) Vittorio Emanuele II, primo “soldato
dell’indipendenza nazionale” e monarca
combattente
2) Giuseppe Garibaldi, unico eroe guerriero il cui
mito sia veramente pervasivo nel campo della
cultura popolare (e fuori dai confini italiani).
Il mito di Vittorio Emanuele II
monarca-soldato
• Si appoggia su una capillare opera di diffusione della
dimensione cavalleresca dei monarchi di casa Savoia: il
sacrificio di Carlo Alberto, il valore del nuovo re
combattente sui campi di Santa Lucia, Goito, San
Martino e Solferino…(e per Umberto I, il quadrato di
Villafranca)
• La mitografia guerriera sabauda dipinge il re soprattutto
come un condottiero e come un soldato, e tale deve
apparire nella costruzione dell’immagine pubblica della
monarchia: un’opera di mitopoiesi nettamente visibile
soprattutto dopo la morte del sovrano e la sua apoteosi
come padre della patria
Il monumento nazionale a Vittorio Emanuele II a Roma (Vittoriano)
1878-1935: la celebrazione della figura guerriera del re
Il mito di Garibaldi generale
vittorioso si basa invece
• Su un’epopea romantica nota già prima del suo ritorno in
Italia nel 1848
• Su una folta letteratura celebrativa di dimensioni
internazionali
• Sulla propria dimensione carismatica di condottiero al
campo in alcuni dei pochi episodi gloriosi del
Risorgimento militare (difesa di Roma; campagna in
Trentino del 1866)
• La marginalità rispetto alla campagna del 1859-60 è
riscattata con la grandiosa avventura dei Mille
• Garibaldi, specialmente a cavallo del 1848/49, incarnò in
una vasta letteratura internazionale l’ideale dell’eroe
virile nel “secolo degli eroi” (L. Riall, Garibaldi.
L’invenzione di un eroe)
Monumento equestre a Garibaldi, di E. Ferrari
(Rovigo, 1886-1896)
La genesi conflittuale dell’Esercito
Italiano
• Da un punto di vista politico e istituzionale, questo
conflitto si riflette direttamente sulla nascita dell’Esercito
Italiano
• Il 4 maggio 1861, con una nota a firma dell’allora
ministro della Guerra, generale Fanti, nasce l’Esercito
Italiano, indicato come erede dell’Armata Sarda
• L’Esercito dovrebbe nascere dalla riorganizzazione
dell’esercito che aveva progressivamente assorbito le
forze armate preunitarie e, soprattutto, i corpi armati
volontari che avevano combattuto in Italia centrale e
meridionale (Esercito meridionale o garibaldino)
La genesi conflittuale dell’Esercito
italiano
•
1)
2)
3)
4)
5)
Situazione militare italiana al 1859:
Forze armate preunitarie: Parma 3300 unità; Modena
4300 unità; Toscana 11.600 unità; Stato Pontificio
17.000 unità; Napoli 88.000 unità)
Armata Sarda: 60.000 unità (più 11.000/16.000
volontari)
Estate/autunno 1859: alla Lombardia vengono estesi
gli ordinamenti militari sabaudi
1860: vengono incorporati nell’Armata Sarda i militari
provenienti dai vari stati dell’Italia centro-settentrionale
Autunno/estate 1860-61 scioglimento e
incorporamento degli eserciti borbonici e garibaldino
La nascita dell’Esercito Italiano in
cifre…
• Marzo 1860 Armata sarda (127.000 unità, tra cui
5000 ufficiali) + truppe della Lega dell’Italia
centrale (52.000 u., 2.200 uff.): 78 generali su 71
e 48 uff. di S.M. su 69 provengono dall’Armata
Sarda
• Dic. 1860 Assorbimento dell’ex armata
borbonica (2.300 uff. tra cui dieci generali)
• Scioglimento dell’esercito garibaldino: 45.000 u.
+ 7300 uff): meno di 2000 (forse 1600) verranno
infine ammessi nell’esercito regolare (tra essi 12
generali)
La piemontesizzazione dell’Esercito italiano ai suoi
inizi (e fino al Novecento)
• All’atto della campagna del 1866 il corpo ufficiali dell’Esercito
Italiano (c.a 16.000) era composto: per il 45% da ex-sottufficiali,
perlopiù provenienti dalla carriera del vecchio esercito piemontese;
per il 7% da provenienti dai diversi eserciti preunitari o dalle
formazioni volontarie; per il resto dalle accademie e scuole militari,
in maggioranza cioè da Torino e (in parte minore) dalla Nunziatella.
• La truppa nel 1866 (c.a. 300.000 uomini mobilitati) provenivano: per
il 6% dall’Armata Sarda, per il 5% dall’ex esercito austriaco, per il
3% dalle milizie emiliane, per il 5% dall’ex esercito borbonico, per il
40% da coscritti arruolati nelle province settentrionali, per il 31%
nelle Marche, in Umbria e nel Sud
• Ancora alla fine del secolo, nell’Esercito Italiano erano “sardi” 69
generali su 149, 16 ammiragli su 25
L’Esercito è un’accettata “scuola della nazione”,
come evocherà poi una folta letteratura?
• Leva del 1863 (la prima che estende su scala nazionale
gli ordinamenti piemontesi della riforma La Marmora):
• I categoria: fanteria 5 anni, cavalleria 7 (più 7 e 3 nella
riserva)
• II categoria: 40 giorni di servizio e 7 anni nella riserva
• Esentati gli appartenenti a varie categorie professionali
(tra cui i seminaristi)
• Chi può permetterselo, può comprarsi l’affrancazione
(completa liberazione dal servizio) o la “surrogazione” (si
versa una cifra allo Stato per far partire qualcun altro al
proprio posto).
• La renitenza complessiva alla prima leva militare è
dell’11,5%
L’Esercito Italiano: una scuola
nazionale con molte contraddizioni
• L’Esercito Italiano del 1863-1870 è un’istituzione rigorosamente
classista: nel 1863 si registrano quasi 3.000 affrancazioni o
surrogazioni, a cui si dovrebbero sommarsi almeno 1800 domande
respinte (su 40.000 reclute della I categoria). Nel 1864 saranno
complessivamente 5.000 (più o meno il 10% degli arruolati).
• E’ un’istituzione fortemente orientata geograficamente: la quasi
totalità delle province meridionali (Napoli, Palermo, Messina,
Cosenza, Potenza, Salerno, Catania…) presentano indici di
renitenza fino all’80%, ma anche Genova (come le altre città portuali
e di confine) offriva indici di renitenza fino a quattro volte la media
nazionale.
• Le riforme Ricotti del 1871: abolizione dell’affrancazione e della
surrogazione, riduzione della ferma a quattro anni (in I categoria, poi
tre nel 1875), consente il passaggio in II, istituisce il volontario di un
anno (antenato dell’ufficiale di complemento): bisogna riportare la
borghesia alle armi
Le insufficienze dell’esercito
nazionale e la disfatta del 1866
• Le lacune della preparazione militare e soprattutto le
divisioni dell’Esercito nazionale
• All’atto dell’entrata in guerra contro l’Austria (giugno)
l’armata di terra si divide in due masse: Armata del
Mincio, sotto il comando teorico di Vittorio Emanuele II e
quello operativo di La Marmora, e l’Armata del Po, al
comando di Cialdini.
• Non esiste un reale comando coordinato; i due generali,
provenienti dalle tradizioni rivali (regi vs. garibaldini) si
detestano.
• La preparazione e l’elasticità del corpo ufficiali sardo è
insufficiente; le rivalità tra i comandanti di diversa
estrazione determinano la sconfitta di Custoza.
“Di chi è la colpa?”
• Poco tempo dopo, sulle pagine de “Il
Politecnico”, Pasquale Villari pubblica il suo
celebre “Di chi è la colpa?”
• Tra le molte accuse, quelle di un’insufficiente
attenzione all’esercito che è “la vera scuola della
nazione”, dove “il gentiluomo, il pescatore e il
capraio” si incontrano e imparano a conoscersi
• Punto di partenza della riattualizzazione del mito
“della nazione in armi” e della “scuola della
nazione”, lo scritto di Villari è anche
estremamente ottimistico sulla natura del
reclutamento
Le leggi di riforma Ricotti 1
• Il trauma del 1870 e la paura della “plebe in armi”
• La paura della Comune concorre, con le evidenti prove
dell’impreparazione militare italiana, ai mutamenti voluti
dal ministro della Guerra Cesare Ricotti Magnani (18711875)
• abolizione dell’affrancazione e della surrogazione
(obbligo universale e personale alle armi)
• riduzione della ferma a quattro anni (in I categoria, poi
tre nel 1875)
• istituisce il volontario di un anno (antenato dell’ufficiale di
complemento) a pagamento: bisogna riportare la
borghesia alle armi
Le leggi Ricotti 2
• Mantengono il passaggio di categoria (a
pagamento) dalla I alla II (servizio effettivo
massimo cinque mesi)
• Mantengono le esenzioni per seminaristi, pastori
protestanti e studenti di medicina e farmacia
(esentati dal servizio, serviranno nei corpi
sanitari o come cappellani militari)
• Istituisce una III categoria di “inidonei” al servizio
immediato
• Rende obbligatorie le Scuole Reggimentali,
esistenti in teoria dal 1849 (riforma La Marmora)
A proposito delle scuole
reggimentali…
• Si tratta di uno dei più probabili casi di influsso della pubblicistica
civile sui regolamenti militari
• L’Esercito è percepito come l’unica istituzione realmente di massa
• Le scuole primarie sono (e resteranno fino ai primi del Novecento)
largamente insufficienti all’alfabetizzazione della popolazione
• Ancora prima delle riforme Ricotti il tasso di alfabetizzazione
attraverso le Scuole Reggimentali oscilla tra il 43% della classe di
leva (cl. 1843, cong. 1868) e il 55% (cl. 1846, cong. 1869) [fonte:
Min. Guerra, Della leva sui giovani nati nell’anno 1853, RomaFirenze 1875; tabelle di raffronto]
• Dopo l’obbligatorietà delle scuole (e il vincolo del ritardo di congedo
per i coscritti che non dimostrino un grado di alfabetizzazione
soddisfacente) il tasso di alfabetizzazione passerà al 70% (cl. 1848,
cong. 1871) e 81% (cl. 1849, cong. 1872)
L’esercito come “scuola di
civilizzazione”?
• Civilizzazione nel senso di disciplinamento
(educazione alla nazione; educazione
politica; istruzione alla cittadinanza;
legittimazione degli ordinamenti sociali)
E. De Amicis, Bozzetti di vita militare (1868)
A. Olivieri Sangiacomo, La vita nell’esercito.
Novelle Militari (1898); I richiamati (1907)
L’esercito come scuola di
sradicamento e di alienazione
Iginio Ugo Tarchetti, Una nobile follia (drammi di vita
militare) (1869)
La messa in dubbio del codice d’onore e del valore sul
campo della battaglia. Una voce isolata di antimilitarismo
nell’Italia risorgimentale
Verga. Una voce sui tradizionali doveri?
In Cavalleria rusticana (1880) Turiddu torna dal militare
trovando una comunità diversa (e lui stesso è diventato
diverso)?
Ne I Malavoglia (1881) il giovane Luca muore nella
battaglia di Lissa facendo il suo dovere, ma il giovane
‘Ntoni, tornato dalla vita militare, non è più in grado di
reinserirsi nella comunità di partenza
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