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Giuseppe Ungaretti, L*Allegria

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Giuseppe Ungaretti, L*Allegria
A. A. 2011- 2012 – Semestre primaverile
Corso monografico di letteratura
moderna:
Lettura dell'Allegria di Ungaretti
Calendario delle lezioni
Merc. 22 febbraio 17:15 – 19:00 MIS 3028
Gio. 1 marzo 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 7 marzo 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 14 marzo 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 21 marzo 17:15 – 19:00 MIS 3028
Gio. 22 marzo 17:15 – 19:00 MIS 3023
Merc. 28 marzo 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 4 aprile 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 25 aprile 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 2 maggio 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 9 maggio 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 15 maggio 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 23 maggio 17:15 – 19:00 MIS 3028
Merc. 30 maggio 17:15 – 19:00 MIS 3028
Annullate:
29 febbraio 2012
18 aprile 2012
Bibliografia
L’edizione critica dell’Allegria, a cura di Cristiana Maggi Romano, è apparsa nel 1982 (Milano,
Fondazione Mondadori). La raccolta con il relativo apparato di varianti si legge inoltre in G.
Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori,
1969 (ristampata successivamente anche in veste economica); e (con commento) in G.
Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di Carlo Ossola, Milano, Mondadori, 2009. Si
segnala, inoltre, G. Ungaretti, Il Porto Sepolto, a cura di C. Ossola, Venezia, Marsilio, 1990.
La bibliografia su Ungaretti e su L’Allegria è vastissima. Si segnalano qui le voci ‘storicamente’
più importanti, utilmente fruibili nella preparazione dell’esame: Luciano Rebay, Le origini della
poesia di Giuseppe Ungaretti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962; Leone Piccioni,
Ungarettiana, Firenze, Vallecchi, 1980; C. Ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano, Mursia, 1982;
Mario Barenghi, Ungaretti, Modena, Mucchi, 1999. Su lingua e stile, poi, si ricorda Pietro
Spezzani, Per una storia del linguaggio di Ungaretti fino a «Sentimento del Tempo», nel vol. misc.
Ricerche sulla lingua poetica contemporanea, Padova, Liviana, 1966, pp. 91-160.
Tra i contributi più recenti: Paolo Briganti, Tra inquiete muse. L’Ungaretti dell’Allegria, Milano,
Unicopli, 2008; e (con un taglio decisamente introduttivo) Daniela Baroncini, Ungaretti,
Bologna, Il Mulino, 2010.
Commiato < PS 16 Poesia
Locvizza il 2 ottobre 1916
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
5
< PS16 è la limpida meraviglia
< PS16 Quando io trovo
10
Gen|ti |le
Et|to|re | Ser|ra
po|e|si|a
è il | mon|do | l’u|ma|ni|tà
la | pro|pria | vi|ta
fio|ri|ti | dal|la | pa|ro|la
la | lim|pi|da | me|ra|vi|glia
di un | de|li|ran|te | fer|men|to
3
5
4
8
5
8
8
8
Quan|dO | trO|vO
in | que|stO | mi|O | si|len|ziO
u|nA | pA|ro|lA
scA|vA|tA è | nel|lA | mi|A | vi|tA
co|me un | a|bis|so
4
8
5
9
5
C. Baudelaire, Le Gouffre [1862], trad. it. di G. Raboni
Pascal avait son gouffre, avec lui se mouvant.
- Hélas ! tout est abîme, - action, désir, rêve,
Parole ! et sur mon poil qui tout droit se relève
Mainte fois de la Peur je sens passer le vent.
En haut, en bas, partout, la profondeur, la grève
Le silence, l’espace affreux et captivant…
Sur le fond de mes nuits Dieu de son doigt savant
Dessine un cauchemar multiforme et sans trêve.
Pascal aveva il proprio abisso, e sempre
se lo portava dietro. – Abisso è tutto: l’atto e il
desiderio,
il sogno e la parola. - Quante volte, sfiorato
dalla brezza
della Paura, sento che mi si rizzano i capelli!
Da ogni parte – su, giù – la riva, il vuoto,
il silenzio, lo spazio che affascina e spaventa…
Sul nero delle notti, col suo dito sapiente,
Dio mi disegna un incubo multiforme e
accanito.
J’ai peur du sommeil comme on a peur d’un grand trou,
Tout plein de vague horreur, menant on ne sait où;
Je ne vois qu’infini par toutes les fenêtres,
Mi fa paura il sonno, buco immenso,
vago e orrendo, che porta chissà dove;
da ogni vetro non vedo che infinito,
Et mon esprit, toujours du vertige hanté,
Jalouse du néant l’insensibilité.
- Ah ! ne jamais sortir des Nombres et des Êtres !
e la mia mente, in preda al capogiro,
invidia al Nulla il nulla. – Ah, non uscire,
non uscire mai dai Numeri e dagli Esseri!
Mappa cronologica: 1916 e dintorni
1912, D’Annunzio, quarto libro delle Laudi
Marinetti, Manifesto della lett. futurista
Slataper, Il mio Carso
1913, Pirandello, I vecchi e i giovani
Papini, Un uomo finito
Rebora, Frammenti lirici
1914, Campana, Canti Orfici
Palazzeschi, Il controdolore
Sbarbaro, Pianissimo
1915, Govoni, Rarefazioni e parole in libertà
E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, 1916
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
5
10
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio 15
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
E. Montale, Non chiederci la parola…
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un doloroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
5
10
Camillo Sbarbaro, Taci, anima stanca di godere, 1913,
poi in Pianissimo, 1914
Taci, anima stanca di godere
e di soffrire (all'uno e all'altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile 5
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata.
10
Noi non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato...
Invece camminiamo.
15
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
20
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduta ha la sua voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
Nel deserto
25
io guardo con asciutti occhi me stesso.
C. Rebora, Sciorinati giorni dispersi, in FL, 1913
Sciorinati giorni dispersi,
cenci all'aria insaziabile:
prementi ore senza uscita,
fanghiglia d'acqua sorgiva:
torpor d’àttimi lascivi
fra lo spirito e il senso;
forsennato voler che a libertà
si lancia e ricade,
inseguita locusta tra sterpi;
e superbo disprezzo
e fatica e rimorso e vano intendere:
e rigirìo sul luogo come cane,
per invilire poi, fuggendo il lezzo,
la verità lontano in pigro scorno;
e ritorno, uguale ritorno
dell'indifferente vita,
5
10
15
mentr'echeggia la via
consueti fragori e nelle corti
s'amplian faccende in conosciute voci,
e bello intorno il mondo, par dileggio 20
all'inarrivabile gloria
al piacer che non so,
e immemore di me epico armeggio
verso conquiste ch'io non griderò.
Oh per l'umano divenir possente
25
certezza ineluttabile del vero,
ordisci, ordisci de’ tuoi fili il panno
che saldamente nel tessuto è storia
e nel disegno eternamente è Dio:
ma così, cieco e ignavo,
30
tra morte e morte vil ritmo fuggente,
anch'io t'avrò fatto; anch'io.
F. T. Marinetti, L’immaginazione senza fili
e le parole in libertà, “Lacerba” 1913
Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per
effetto delle grandi scoperte scientifiche. […] Il lirismo è la facoltà rarissima di
inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi. […]
[Il poeta lirico] comincerà col distruggere brutalmente la sintassi […]. Non perderà
tempo a costruire i periodi. S’infischierà della punteggiatura e dell’aggettivazione.
Disprezzerà cesellature e sfumature di linguaggio e in fretta vi getterà
affannosamente nei nervi le sue sensazioni visive, auditive, olfattive, secondo la loro
corrente incalzante. L’irruenza del vapore-emozione farà saltare il tubo del periodo, le
valvole della punteggiatura e i bulloni regolari dell’aggettivazione. Manate di parole
essenziali senza alcun ordine convenzionale. Unica preoccupazione, rendere tutte le
vibrazioni del suo io. […] E per dare il valore esatto e le proporzioni della vita che ha
vissuta, lancierà delle immense reti di analogie sul mondo. […] Io inizio una
rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e nauseante concezione del libro di
versi passatista e dannunziana. […] La mia rivoluzione è diretta contro la così detta
armonia tipografica della pagina. […] Combatto l’estetica decorativa e preziosa di
Mallarmé e le sue ricerche della parola rara, dell’aggettivo unico insostituibile,
elegante, suggestivo, squisito. Non voglio suggerire un’idea o una sensazione con delle
grazie o delle leziosaggini passatiste: voglio anzi affermarle brutalmente e scagliarle in
pieno petto al lettore. […] La nostra ebrietà lirica deve liberamente deformare,
riplasmare le parole, tagliandole, allungandone, rinforzandone il centro o le estremità.
[…] Avremo così la nuova ortografia che io chiamo libera espressiva. Questa
deformazione istintiva delle parole corrisponde alla nostra tendenza naturale verso
l’onomatopea.
Ungaretti ‘egiziano’: 1888-1912
• Nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da
Antonio e Maria Lunardini
• Frequenta fino al 1906 l’Ecole Suisse Jacot
• Legge il “Mercure de France”
• Frequenta il circolo anarchico della ‘Baracca
Rossa’ fondato da Enrico Pea, insieme all’amico
Mohammed Sceab
In memoria [Il Porto Sepolto] - Locvizza il 30 settembre 1916
del suo abbandono
Si chiamava
Moammed Sceab
5
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
PS16 e mutò nome in
Marcel
10 Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
15 dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
20 il canto
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
25 a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa
Riposa
nel camposanto d’Ivry
30 sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
35 E forse io solo
so ancora
che visse
PS16 continuamente
PS16 Saprò / fino al
mio turno / di morire
G. Ungaretti, Lezioni su Leopardi,
1945-46
“In quanto a Baudelaire e a Mallarmé, essi davano occasione a un
litigio senza fine tra me e il mio più caro compagno d’allora, quel
Moammed Sceab a cui ho dedicato il mio Porto Sepolto. Uscivamo
di scuola accesi nella lite e, spinti dal diverbio, invece di tornare a
casa si andava verso il lungomare ch’era a due passi. Saltavamo
sul parapetto del molo, e andando in su e giù sbracciandoci e
gridando, chissà come a uno di noi non sia accaduto mai di
cascare nell’acqua, che a diversi metri giù si spezzava contro gli
scogli. Sceab era un positivo e sottile argomentatore, come
sanno esserlo gli Arabi, e difatti, purtroppo, doveva finire suicida
per motivi filosofici. Non ero un loico, non lo sono mai stato, ma
un poeta, un invasato, e non trovavo se non repliche immaginose
e passionali. Sceab, per darmi il colpo di grazia, non diceva di
non capire Mallarmé; per dirlo avrebbe dovuto essere meno
pazzo d’orgoglio; ma diceva: è un poeta bello all’orecchio”.
G. Ungaretti, Nota introduttiva, 1969
Baudelaire era l’argomento di discussioni interminabili con uno dei
miei compagni, che un giorno trovarono morto, perché in nessun
paese si poteva accasare, in una stanza dello stesso albergo che
abitavamo, in rue des Carmes a Parigi: Moammed Sceab. A lui è
dedicata la poesia che apre Il Porto Sepolto. Era un ragazzo dalle idee
chiare e prediligeva Baudelaire. Non dico che Baudelaire sia uno
scrittore chiaro; è uno scrittore che ama aggirarsi nelle sue caverne, ed
è difficile esser chiari e introspettivi nello stesso tempo, ama è di sicuro
più chiaro di Mallarmé, è insomma uno scrittore che può affrontarsi
subito senza tirocinio. L’altro suo autore era Nietzsche, che lo aveva
addirittura soggiogato. I suoi autori erano Baudelaire e Nietzsche; io
rimanevo fedele a Mallarmé e a Leopardi, a Mallarmé che sentivo
anche se non tutto capivo, a Leopardi che capivo un po’ di più benché
anche lui abbia, nel punto sublime, la necessaria sostanza ermetica.
G. Ungaretti, Chiaroscuro
Anche le tombe sono scomparse
Rifà giorno
Spazio nero infinito calato
da questo balcone
al cimitero
Tornano le tombe
appiattate nel verde tetro
delle ultime oscurità
nel verde torbido
del primo chiaro
Mi è venuto a ritrovare
il mio compagno arabo
che s’è ucciso l’altra sera
Nota d’autore: Osservando dall’alto
il Cimitero Monumentale di
Milano è evocato per analogia il
camposanto d’Ivry, dove riposa
Moammed Sceab.
G. Ungaretti, Chiaroscuro, red. « Lacerba » aprile 1915
Il bianco spazio delle tombe se lo è sorbito la notte
Spazio nero infinito calato
da questo balcone
al cimitero
Mi è venuto a ritrovare il mio compagno arabo
che si è suicidato
che quando m’incontrava negli occhi
parlandomi con quelle sue frasi pure e frastagliate
era un cupo navigare nel mansueto blu
È stato sotterrato a Ivry
con gli splendidi suoi sogni
e ne porto l’ombra
Rifà giorno
Le tombe ricompariscono
appiattate nel verde tetro delle ultime oscurità
nel verde torbido del primo chiaro
Le annate dopo le annate
trovatelle a passeggio
in uniforme
accompagnate da suore di carità.
Ma ora mi reggo tra le braccia
le nuvole che il mio sole mantiene
e all’alba non voglio sapere di più.
Ungaretti commenta Ungaretti, 1963
“In memoria, rievocazione del suicidio del mio
compagno Moammed Sceab, è il simbolo di
una crisi delle società e degli individui che
ancora perdura, derivata dall’incontro e scontro
di civiltà diverse e dall’urto e conseguenti
sconvolgimenti tra le tradizioni politiche e il
fatale evolversi storico dell’umanità”.
G. Ungaretti, Ragioni d’una poesia, 1969
“Soltanto la poesia, l’ho imparato terribilmente,
lo so, la poesia sola può recuperare l’uomo,
persino quando ogni occhio s’accorge, per
l’accumularsi delle disgrazie, che la natura
domina la ragione e che l’uomo è molto meno
regolato dalla propria opera che non sia alla
mercé dell’Elemento”.
Ungaretti a Parigi: 1912-1921
• Conosce gli scrittori raccolti intorno ai “Cahiers de la
Quinzaine” di Charles Péguy
• Frequenta artisti come Picasso, Braque, Modigliani, o
altri italiani residenti a Parigi (De Chirico, Savinio,
Palazzeschi)
• Si lega di profonda amicizia a Papini e Soffici, fondatori
della rivista “Lacerba”
• Conosce Guillaume Apollinaire
• Frequenta le lezioni di Henri Bergson al Collège de
France (→ L’estetica di Bergson e Lo stile di Bergson, “Lo
Spettatore italiano”, 1924)
G. Ungaretti, Nota introduttiva, 1969
“Fra Apollinaire e me era avvenuto un
avvicinamento insolito. Sentivamo in noi il
medesimo carattere composito e quella difficoltà
che l’animo nostro aveva di trovare la via di
assomigliare a se stesso, di costituire la propria
unità. Quell’unità non l’avremmo mai trovata
altrove se non ricorrendo alla poesia. Era la
ricerca, era il ritrovamento di un linguaggio
liberatore se riusciva a manifestare l’angosciosa
ricerca di sé”.
G. Apollinaire, Les fiançailles, da Alcools
Je n’ai plus même pitié de moi
Et ne puis exprimer mon tourment de silence
Tout les mots que j’avais à dire se sont changés en étoiles
[…]
Jadis les morts sont revenus pour m’adorer
Et j’espérais la fin du monde
Mais la mienne arrive en sifflant comme un ouragan
J’ai eu le courage de regarder en arrière
Les cadavres de mes jours
Marquent ma route et je les pleure
[…]
H. Bergson, L’evoluzione creatrice: la memoria
La memoria non consiste nella facoltà di ordinare i ricordi come in
cassetti o di iscriverli in un registro […] perché una facoltà opera in
modo intermittente, quando vuole o può, mentre invece l’accumulo
del passato sul passato prosegue senza soste. In realtà il passato si
conserva da sé solo, automaticamente e, certo, ci segue tutt’intero
costantemente. […] Anche se non ne abbiamo un’idea distinta,
sentiamo pur sempre vagamente che il nostro passato ci rimane
presente: infatti, che cosa siamo, che cos’è il nostro carattere, se non
la storia condensata di quanto abbiamo vissuto? […] Certo, noi
pensiamo soltanto con una piccola parte del nostro passato, ed è
invece con tutt’intero il nostro passato, ivi compresa la particolare
curvatura della nostra anima all’origine, che desideriamo, vogliamo
ed agiamo.
H. Bergson, L’evoluzione creatrice: la personalità
La nostra personalità, che ad ogni istante cresce con l’accumularsi
dell’esperienza, muta continuamente e, mutando, impedisce che uno
stato, apparentemente identico ad un altro in superficie, ne sia
davvero, in profondità, una ripetizione: pertanto la nostra durata è
irreversibile, né potremmo riviverne la benché minima parte, perché
bisognerebbe cominciare col cancellare il ricordo di tutto quanto è
venuto poi. […] La nostra personalità, in tal modo, spunta, cresce,
matura senza posa, ed ogni suo momento è un elemento nuovo che
va ad aggiungersi a quanto essa era prima: meglio ancora, non solo
nuovo, ma imprevedibile.
C. Ossola, Ungaretti, p. 119:
sul rapporto con Bergson
In Bergson è racchiusa l’ideologia, l’episteme se si vuole, che sta
alla base di Allegria di naufragi: negare significa prospettare, sopra
la realtà che si giudica insufficiente o insoddisfacente, una “realité
inconnue” invocata a sostituire il presente: ma questa possibilità
non è profezia alternativa allo stato di cose attuale, non è
promessa d’apocalissi […]. La negazione insomma s’inflette su se
stessa e sogna l’assenza, la mera disparizione, non offre e non
attende “remplaçant”, non si proietta sul futuro, s’involge sul
passato. La sostituzione è sempre ciò che si lascia, mai ciò che si
potrebbe prendere.
Il Porto Sepolto
Mariano il 29 giugno 1916
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
5
Il Porto Sepolto
Mariano il 29 giugno 1916
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
5
G. Ungaretti, Nota introduttiva, 1969
“Si vuole sapere perché la mia prima raccoltina s’intitolasse Il porto
sepolto. Verso i sedici, diciassette anni, forse più tardi, ho
conosciuto due giovani ingegneri francesi, i fratelli Thuile.
Entrambi scrivevano. [...] Quegli amici avevano ereditato dal padre
una biblioteca raccolta con precisione di curiosità e di gusto, una
biblioteca romantica ch’essi avevano arricchita con opere dei poeti
e degli scrittori contemporanei. [...] Abitavano fuori d’Alessandria,
in mezzo al deserto. Mi parlavano d’un porto, d’un porto
sommerso, che doveva precedere l’epoca tolemaica, provando che
Alessandria era un porto già prima di Alessandro, che già prima
d’Alessandro era una città. […] Non se ne sa nulla, non ne rimane
altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico
documento tramandatoci d’ogni era d’Alessandria. Il titolo del
mio primo libro deriva da quel porto”.
Il Porto Sepolto
Mariano il 29 giugno 1916
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
5
Quel nulla / d’inesauribile segreto (I)
• Ung AL, Eterno: Tra un fiore colto e l’altro donato /
l’inesprimibile nulla.
• Rebora FL, Cielo, per albe e meriggi e tramonti: Ma qui fra nebbie
andiamo, e a chi non vede / sterile nulla è il cielo (vv. 10-11).
• Montale OS, Ma dove cercare la tomba: Tra quelle cerca un
fregio primordiale / che sappia pel ricordo che ne avanza /
trarre l’anima rude / per vie di dolci esigli: / un nulla, un
girasole che si schiude / ed intorno una danza di conigli (vv.
17-22).
• Montale OS, Forse un mattino: Forse un mattino andando in
un’aria di vetro, / arida, rivolgendomi, vedrò compiersi il
miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro (vv. 1-3).
Quel nulla / d’inesauribile segreto (II)
• Zanzotto V, Da un’altezza nuova: Il ricchissimo nihil, /
che incombe ed esalta, dove / beatificanti fiori e venti
gelidi / s’aprono dopo il terrore.
• Zanzotto V, Esistere psichicamente: Da tutto questo che
non è nulla / ed è tutto ciò ch’io sono: / tale la verità
geme a se stessa.
• Zanzotto P, Codicillo: No nessun nume né umano
allontaniamo / grazie sono i certami con lui-ciascuno /
perché ciascuno infinitamente / ci avvezzò ci svezzò /
al lucore di questo nostro insieme / e del niente.
Quel nulla / d’inesauribile segreto (III)
•
Leopardi Z 85 (gennaio 1820): Io era spaventato nel trovarmi in
mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare
considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla.
• Leopardi L a Giordani (6 marzo 1820): Questa è la miserabile
condizione dell’uomo, e il barbaro insegnamento della ragione, che i
piaceri e i dolori umani essendo meri inganni, quel travaglio che
deriva dalla certezza della nullità delle cose, sia sempre e solamente
giusto e vero. E se bene regolando tutta quanta la nostra vita
secondo il sentimento di questa nullità, finirebbe il mondo e
giustamente saremmo chiamati pazzi, in ogni modo è formalmente
certo che questa sarebbe una pazzia ragionevole per ogni verso, anzi
che a petto suo tutte le saviezze sarebbero pazzie, giacché tutto a
questo mondo si fa per la semplice e continua dimenticanza di
quella verità universale, che tutto è nulla.
Quel nulla / d’inesauribile segreto (IV)
• Tolstoj, Racconti autobiografici, Adolescenza, cap. 19:
Da nessuna corrente filosofica fui affascinato come dallo
scetticismo, che ad un certo momento mi portò ad uno stato
vicino alla follia. Immaginavo che fuori di me nessuno e nulla
esistesse in tutto il mondo, che gli oggetti non fossero oggetti,
ma immagini, le quali mi apparivano solo quando vi fissavo
l’attenzione, e che appena cessavo di pensarci quelle immagini
subito svanissero. In una parola mi trovavo d’accordo con
Schlegel nel ritenere che esistono non gli oggetti ma il nostro
rapporto con essi. C’erano momenti, quando sotto l’influenza di
questa idea fissa arrivavo a rasentare la follia, al punto che
rapidamente mi voltavo dalla parte opposta, sperando di
sorprendere il vuoto/il nulla là dov’io non ero.
G. Ungaretti, Ragioni d’una poesia, 1969
“Nessuno sente più dell’artista, se si tratta d’un vero
artista, la pena che la sua parola rimanga indecifrabile a
tanta parte degli uomini, come se la sua arte fosse opera
straordinaria per la sua specie: la sua arte stessa porta la
ferita sanguinante d’un’impotenza così ingiusta. [...]
La vera poesia si presenta innanzi tutto a noi nella sua
segretezza. È sempre accaduto così. Più giungiamo a
trasferire la nostra emozione e la novità delle nostre
visioni nei vocaboli, e più i vocaboli giungono a velarsi
d’una musica che sarà la prima rivelazione della loro
profondità poetica oltre ogni limite di significato”.
Maurice de Guérin, Journal, 28.IX.1834
Si je m’âbime dans votre sein, vagues mystérieuses,
m’arrivera-t-il comme à ces chevaliers qui,
entraînés au fond des lacs, y recontraient de
merveilleux palais, ou, comme ce pêcheur de la
fable, en tombant dans la mer deviendrai-je un
dieu?
Il paesaggio d’Alessandria d’Egitto,
“Lacerba” 7 febbr. 1915, poi in Poesie disperse
La verdura estenuata dal sole.
Il bove bendato prosegue il suo giro
Accompagna il congegno tondo stridente.
Si ferma alle pause regolari.
L’acqua mesciuta si distende barcollante.
Si risotterra durante il viaggio.
Le gocciole attimo di gioia trattenuto
Brillano sulla verdura rasserenata.
Stese verso terra come le braccia di Gesù.
Il fellà canta
Gorgoglio di passione di piccione innamorato
Nenia noiosa delizia
- Anatra vieni.
- E chi se ne frega.
- Al letto di seta colore di sfumature di
poesia.
- E chi se ne frega.
- T’insegnerò la frescura di tramonto delle
astuzie.
- E chi se ne frega.
- Lo possiedo duro grande e grosso.
- E chi se ne frega.
Il fellà è accoccolato nell’antro
Del sicomoro ritto sulle proboscidi
Che escono di terra come vermi mostruosi
Col moto uguale di anelli in su e giù.
Il mio silenzio di vagabondo indolente
Giuseppe Ungaretti, L’Allegria
Storia della raccolta
1916, Il Porto Sepolto, Udine, STU (32 testi)
1919, Allegria di Naufragi, Firenze, Vallecchi (105 testi,
alcuni in francese); struttura molto articolata: 11 sezioni con al
centro PS
1923, Il Porto sepolto, La Spezia, St. Apuana (67 testi)
Divisione in 4 sezioni: Sirene+Elegie e madrigali+AN+PS
Pref. di B. Mussolini: “Una testimonianza profonda della
poesia fatta di sensibilità, di tormento, di ricerca, di
passione e di mistero”
1931, L’Allegria, Milano, Preda (74 testi)
Ungaretti, L’Allegria, 1931: Premessa
Questo vecchio libro è un diario. L’autore non ha altra ambizione, e
crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella
di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano
dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una
buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente
alle variazioni del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come
artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta
come uomo.
Giuseppe Ungaretti, L’Allegria
Struttura della raccolta 1931
Ultime → 12 testi
Il Porto Sepolto → 33 testi
= Il Porto Sepolto 1916 con varianti nei titoli, nella disposizione dei
testi, e lo sdoppiamento di La notte bella > La notte bella + Universo
Naufragi → 17 testi
Girovago → 5 testi
Prime → 7 testi
G. Ungaretti, L’Allegria: Ultime (I sezione)
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Eterno LA 8.V.1915
Noia LA 8.V.’15
Levante LA 13.III.’15
Tappeto CM 15.III.’15
Nasce forse LA 28.II.’15
Agonia CM 15.III.’15
LA “Lacerba”
CM “La Critica Magistrale”
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Ricordo d’Affrica CM 15.III.’15
Casa mia CM 15.III.’15
Notte di maggio CM 15.III.’15
In Galleria LA 8.V.’15
Chiaroscuro LA 17.IV.’15
Popolo LA 8.V.’15
Eterno [Ultime]
da A31 poesia incipitaria della raccolta, con il titolo Eternità
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla
< I red. (1915)
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile vanità
Fiore doppio
nati in grembo alla madonna
della gioia
U. Foscolo, Alla sera, vv. 9-12
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto rugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge.
Cfr. commento di Gavazzeni (p. 406): “Il nulla eterno non è tanto
entità fisica quanto la percezione del definitivo scomparire della
propria identità individuale”.
G. Ungaretti, L’estetica di Bergson, 1924
[Il poeta] indovina la perennità del tempo e noi in essa,
parvenze fuggitive certo, ma – ci dirà Bergson teso a far
della coscienza la realtà unica, a identificarla con
quell’assoluto ch’egli chiama slancio vitale –
incarnazione momentanea dell’eternità, per quel passato
di cui siamo lo slancio, e quell’avvenire che rampollerà
dal nostro passaggio. Il nostro atomo di tempo non è
perduto nell’eternità, è una goccia del gran fiume.
Noia [Ultime]
Anche questa notte passerà
Questa solitudine in giro
titubante ombra dei fili tranviari
sull’umido asfalto
Guardo le teste dei brumisti
nel mezzo sonno
tentennare
Noia [Ultime] < Sbadiglio (L 1915)
L vv. 1-37 > AN19 vv. 1-20 > A31 vv. 1-7
AN vv. 13-20
A31/A42
Anche questa notte passerà
Questa vita in giro
titubante ombra dei fili tramviari
sull’umido asfalto
solitudine
Guardo i faccioni dei brumisti tentennare
A 31 i testoni…/ nel mezzo sonno / tentennare
A 42 le teste
Il sonno arriva
così prudente
a portarmi un po’ via
Agonia
Morire come le allodole assetate
sul miraggio
AN 1919
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
< O come le quaglie
< traversato il mare
< nei primi cespugli incontrati
< non ne hanno più voglia
Ma non vivere di lamento < Ma non morire di lamento
come un cardellino accecato
Il Porto Sepolto
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In memoria 30 sett. 1916
Il porto sepolto 29 giugno 1916
Lindoro di deserto 22 dic. 1915
Veglia 23 dic. 1915
A riposo 27 aprile 1916
Fase d’Oriente 27 aprile 1916
Tramonto 20 maggio 1916
Annientamento 21 maggio 1916
Stasera 22 maggio 1916
Fase 25 giugno 1916
Silenzio 27 giugno 1916
Peso 29 giugno 1916
Dannazione 29 giugno 1916
Risvegli 29 giugno 1916
Malinconia 10 luglio 1916
Destino 14 luglio 1916
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Fratelli 15 luglio 1916
C’era una volta 1 agosto 1916
Sono una creatura 5 agosto 1916
In dormiveglia 6 agosto 1916
I fiumi 16 agosto 1916
Pellegrinaggio 16 agosto 1916
Monotonia 22 agosto 1916
La notte bella 24 agosto 1916
Universo 24 agosto 1916
Sonnolenza 25 agosto 1916
San Martino del Carso 27 ag. 16
Attrito 23 sett. 1916
Distacco 24 sett. 1916
Nostalgia 28 sett. 1916
Perché 1916
Italia 1 ott. 1916
Commiato 2 ott. 1916
Il Porto Sepolto: cronologia
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Dicembre 1915
Aprile 1916
Maggio 1916
Giugno 1916
Luglio 1916
Agosto 1916
Settembre 1916
Ottobre 1916
2
2
3
6
3
10
5
2
Veglia [Il Porto Sepolto]
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
10
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
5
Non sono mai stato
tanto
15
attaccato alla vita
Otto Dix, Der Krieg, 1924
Veglia [Il Porto Sepolto]
Un’intera notTATA
butTATO vicino
a un compagno
massacraTO
con la bocca
digrignaTA
volTA al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetraTA
10
nel mio silenzio
ho scritTO
lettere piene d’amore
5
Non sono mai sTATO
TAnTO
15
aTTAccaTO alla viTA
Veglia: sul finale
• “È il punto dal quale scatta quell’esultanza d’un attimo, quell’allegria che, quale fonte,
non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare. Non si
tratta di filosofia, si tratta d’esperienza concreta” (G. Ungaretti).
• “L’alternarsi regolare, ossessionante ed angoscioso, della assonanza ta-to sembra
scandire il fluire del tempo, dopo essere stata introdotta da suoni nasali: non sono mai.
Se consideriamo gli apici si ha il passaggio ascendente da una vocale grave, la o, ad
una media, la a, che si ripete prima di cedere alla i. Nell’alternarsi di alte e basse
troviamo nell’ultimo verso un rafforzamento in bassa prima dell’esplosione finale in
vita” (F. Musarra).
• “È la consacrazione della funzione del poeta come il testimone degli eventi e come
colui che ha in sé tutte le croci dei morti, per consacrarli all’eternità del canto. È un
bell’esempio di restaurazione dell’idea tradizionale del poeta come colui che interroga
tombe, rovine, morti, per riferirli ai tempi futuri, per sempre. Accanto al compagno
massacrato il poeta scrive lettere piene d’amore: la scrittura poetica segna un’altra
volta, in un’altra occasione, dopo quella di Moammed Sceab, la salvezza dall’orrore
della morte” (G. Bàrberi Squarotti).
•
Stasera [Il Porto Sepolto]
Versa il 22 maggio 1916
Balaustrata di brezza
per appoggiare stasera
la mia malinconia
I red. Finestra a mare (PS 1916 > AN 1919, Sera)
Balaustrata di brezza
per appoggiare la mia malinconia > per appoggiare la malinconia
stasera
C. Govoni, Il saluto delle rondini, da L’inaugurazione della
primavera, Firenze, La Voce, 1915
Sono qui che cammino
solo e triste a capo chino
per una strada di montagna
sulla riva del mare […].
Da una balaustrata
le rose traboccanti
son come languide signore
appoggiate al parapetto d’un palco
nel teatro d’un giardino
con le candide braccia ignude
abbandonate mollemente
lungo la freschezza del marmo
che godon lo spettacolo del chiaro di luna.
E. Montale, Riviere, 1920, vv. 26-37
Oh allora sballottati
come l’osso di seppia dalle ondate
svanire a poco a poco;
diventare
un albero rugoso od una pietra
levigata dal mare; nei colori
fondersi dei tramonti; sparir carne
per spicciare sorgente ebbra di sole,
dal sole divorata…
Erano questi,
riviere, i voti del fanciullo antico
che accanto ad una rosa balaustrata
lentamente moriva sorridendo.
Silenzio [Il Porto Sepolto]
Mariano il 27 giugno 1916
Conosco una città
Che ogni giorno s’empie di sole
E tutto è rapito in quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
5
Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
10
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi
Si lenzio
Conosco una città
Che ogni giorno s’empie di sole
E tutto è rapito in quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
PS 1916 = AN 1923 > PS 1923
5
Dal bastimento
Verniciato di bianco
Ho visto
La mia città sparire
10
Lasciando
Un poco
Un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi
e dal bastimento
[verniciato di bianco urtante come un cigolio
lontanando lucente di solitudine]
con in cuore un estremo limio di cicala
strappata all’albero della sua scalmana
[col fresco miraggio di quel suo diadema
di rubini al sole]
avevo visto
1914-1915 (1932), in Sentimento del tempo
Ti vidi, Alessandria,
Friabile sulle tue basi spettrali
Diventarmi ricordo
In un abbraccio sospeso di lumi.
Da poco eri fuggita e non rimpiansi
L’alga che blando vomita il tuo mare,
Che ai sessi smanie d’inferno tramanda.
Né l’infinito e sordo plenilunio
Delle aride sere che t’assediano,
Né, in mezzo ai cani urlanti,
Sotto una cupa tenda
amori e sonni lunghi sui tappeti.
Sono d’un altro sangue e non ti persi,
Ma in quella solitudine di nave
Più dell’usato tornò malinconica
la delusione che tu sia, straniera,
La mia città natale.
[…]
Dannazione [Il Porto Sepolto]
Mariano il 29 giugno 1916
Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?
NB Il punto interrogativo finale:
compare in PS 1916 e AN 1919 [v. 2, gran cielo]
viene eliminato – come le parentesi a v. 2 – in PS 1923, A 1931 e A 1936 [da A 1931,
gran cielo > cielo]
viene reintrodotto – come le parentesi – in A 1942
P.P. Pasolini, Un poeta e Dio, in Passione e ideologia, 1960
Si osservino i tre versi, che sono piuttosto tre clausole, tre pezzi di lingua
autonomi, calati nel silenzio, ognuno (un ottonario, un endecasillabo, un
senario) con un’articolazione propria e aperta non sulla continuazione logica
o ritmica del discorso, ma sullo spazio bianco, ossia sul silenzio che conchiude
le cose espresse compiutamente, eppure così poderosamente stretti fra loro
dal nesso grammaticale (apposizione, proposizione principale, proposizione
causale) e dal giro ritmico culminante nella tronca dell’endecasillabo e
rallentato in un senario solenne e conciso. […] Si noti come l’essenzialità in
accezione di verginità linguistica non risieda né nell’isolamento della parola,
né nell’isolamento del verso, intesi come puri nuclei fonetici dotati come tali
di contenuto non logico, ma risieda nella forte e scolpita semanticità della
parola, estremamente disadorna, il cui incanto nasce da una straordinaria
coerenza prima ancora logica che musicale. Certo è che proprio con questa
lirica Ungaretti è in piena “allegria”, proprio nell’interpretazione data a questa
parola-tesi dal Contini, che cita una “allegrezza” da Leopardi, come momento
attivo dell’attivo liberatorio della poesia, come passaggio dal piano della
vicissitudine umana al piano linguistico.
G. Contini, Ungaretti, o dell’allegria [1932], in Esercizi di lettura
“Quantunque chi non ha provato la sventura non sappia nulla, è certo che
l’immaginazione e anche la sensibilità malinconica non ha forza senza un’aura
di prosperità e senza un vigor d’animo che non può stare senza un
crepuscolo, un raggio, un barlume d’allegrezza” (Zibaldone, 24 giugno 1820).
Compare dunque nella nostra letteratura un antenato illustre, ma ben diretto
dell’allegria di Ungaretti. […] È allegria il perenne ricominciare e riprendersi,
dopo ogni naufragio della propria storia. […] E nulla vieta d’interpretare questa
“favola” vitale come allusiva dell’intera produzione poetica. […] Da questi
appunti storici dovrebbe riuscire illuminata l’incomparabile fertilità dell’allegria
di Ungaretti come parola; e insieme il punto in cui la sua etica diventa poesia.
[…] La “consolazione” specifica di Ungaretti sta nel puntare tutt’i significati,
tutte le possibilità liriche sopra una parola, la quale resta ricca e carica
abbastanza perché in essa s’esaurisca il “motivo” o “situazione” poetica, e
s’annulli qualsiasi necessità di ricorso a un’enunciazione logica o storica.
P. P. Pasolini, Un poeta e Dio
Come un lettore attento capisce bene, non si tratta qui di una
questione meramente filologica; al contrario è l’intero problema
religioso ungarettiano, isolato come elemento della sua poesia, che
viene investito. È chiaro che se il poeta ha riammesso nell’edizione
definitiva la lezione del 1916, ciò non è dovuto a una preferenza
tecnica, ma alla coscienza di inserire meglio la lirica nel corso della
sua evoluzione interiore. Domandarsi perché si brama Dio è
indubbiamente diverso che affermare che lo si brama; tra queste due
situazioni psicologiche, che diventano poi due liriche, Ungaretti si è
probabilmente ritenuto costretto a scegliere la prima perché meglio
corrispondente alla particolare atmosfera della sua religiosità
giovanile.
Risvegli [Il Porto Sepolto] (Mariano il 29 giugno 1916)
Ogni mio momento
io l’ho vissuto
un’altra volta
in un’epoca fonda
fuori di me
cogli occhi attenti
e mi rammento
di qualche amico
morto
Ma Dio cos’è?
Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse
Mi desto in un bagno
di care cose consuete
sorpreso
e raddolcito
E la creatura
atterrita
sbarra gli occhi
e accoglie
gocciole di stelle
e la pianura muta
Rincorro le nuvole
che si sciolgono dolcemente
E si sente
riavere
P. P. Pasolini, Un poeta e Dio
A parte la tenue fatuità della domanda, coerente del resto con il
tono della lirica in cui le cose mortali si sono mutate nel bagno di cose
consuete che sorprendono e raddolciscono, è chiaro che qui il “Dio”
[…] è un Dio metafisico il cui pensiero può lenire l’angoscia di
trovarsi tra cose dannate all’imperfezione e al peccato […].
Nell’Allegria un Dio ignoto aspetta il poeta silenziosamente, oggetto
e identificazione della speranza, simbolo di stasi al cui pensiero la
vita sentimentale del poeta si ingorga fino a ripudiarsi, a disgustarsi,
ma non ancora fino a creare una strada di salvezza: Dio è soltanto
l’eterno. La religiosità ungarettiana è ancora, dunque, a una fase
molto giovanile, poco più che inquietudine; ma se ne osserviamo gli
effetti linguistici, non possiamo non convincerci che è già un
motivo vitale.
Destino [Il Porto Sepolto]
Mariano il 14 luglio 1916
Volti al travaglio
come una qualsiasi
fibra creata
perché ci lamentiamo noi?
Travaglio in Leopardi
• Zibaldone 68-69: Il nascere istesso dell'uomo cioè il
cominciamento della sua vita, è un pericolo della vita, come
apparisce dal gran numero di coloro per cui la nascita è cagione
di morte, non reggendo al travaglio e ai disagi che il bambino
prova nel nascere. E nota ch'io credo che esaminando si troverà
che fra le bestie un molto minor numero proporzionatamente
perisce in questo pericolo, colpa probabilmente della natura
umana guasta e indebolita dall'incivilimento.
• Il sabato del villaggio 40-42: Diman tristezza e noia / recheran l’ore,
ed al travaglio usato / ciascuno in suo penser farà ritorno.
Travaglio in Rebora e Montale
C. Rebora, Cielo, per albe e meriggi e tramonti 10-14: Ma qui
fra nebbie andiamo, e a chi non vede / sterile nulla è il
cielo: / ma qui, anelo, ciascun dalle piazze alle case /
per l’imminente pungolo / del travaglio si sfa.
E. Montale, Meriggiare pallido e assorto (1916) 13-17: E
andando nel sole che abbaglia / sentire con triste
meraviglia / com’è tutta la vita e il suo travaglio / in
questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci
aguzzi di bottiglia.
Perché ci lamentiamo noi?
• Leopardi, Canto notturno, 39-60:
Nasce l’uomo a fatica, / ed è rischio di morte il
nascimento/ […] / perché reggere in vita / chi
poi di quella consolar convenga? / Se la vita è
sventura, perché da noi si dura?
Fratelli [Il Porto Sepolto]
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete
fratelli?
PS 1916
Di che reggimento siete
Titolo: Soldato fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
5
Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
10
Fratello
tremante parola
nella notte
come una fogliolina
appena nata
Saluto
accorato
nell’aria spasimante
implorazione
sussurrata
di soccorso
all’uomo presente alla sua
fragilità
tremante
• Ungaretti, Levante, 6-8: e il mare è cenerino / trema
dolce inquieto / come un piccione
• Ungaretti, Perché? 1-5: Ha bisogno di qualche ristoro / il
mio buio cuore disperso // Negli incastri fangosi dei
sassi / come un’erba di questa contrada / vuole tremare
piano alla luce
Sono una creatura [Il Porto Sepolto]
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
5
10
Sono una creatura
• Pietra: Lettera di Ungaretti a G. Papini, 28 aprile 1916,
“Ti ho scritto ieri, amaro, non per nessuno, per me che
non mi posso sciogliere in qualche modo; mi contraggo
in un pianto ch’è una pietra, e dei giorni lunghi così è
terribile”.
• Disanimata: Dante, Purg. XV 133-135, “ Non dimandai
‘Che hai?’ per quel che face / chi guarda pur con
l’occhio che non vede, / quando disanimato il corpo
giace”.
• Sconta: Lettera di Ungaretti a G. Papini, luglio 1916,
“Pensavo: c’è qualche cosa di gratuito al mondo, Papini,
la vita; c’è una pena che si sconta, vivendo, la morte”.
In dormiveglia [Il Porto Sepolto]
Valloncello di Cima Quattro il 6 agosto 1916
Assisto la notte violentata
L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
5
ritratti
nelle trincee
come le lumache nel loro guscio
Mi pare
che un affannato
nugolo di scalpellini
batta il lastricato
di pietra di lava
delle mie strade
ed io l’ascolti
non vedendo
in dormiveglia
10
15
In dormiveglia
v. 8, come le lumache nel loro guscio
Sbarbaro, Pianissimo, 16, vv. 1-2 e 9-12
Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo
come in sonno tra gli uomini mi muovo.
[…]
M’irrita tutto ciò ch’è necessario
e consueto, tuttociò che è vita,
com’irrita il fuscello la lumaca,
e com’essa on me stesso mi ritiro.
In dormiveglia
• Dormiveglia: C. Sbarbaro, Io che come un sonnambulo
cammino, vv. 16-20, “Una luce si fa nel dormiveglia /
della mia vita. / Tutto è sospeso come in un’attesa. /
Non penso più. Sono contento e muto. / Batte il mio
cuore al ritmo del tuo passo”; U. Saba, Dormiveglia
(titolo di due poesie del Canzoniere 1921, una nella sez.
Poesie dell’adolescenza, l’altra nella sez. Poesie scritte durante la
guerra), II vv. 3-6, “Se tutta aveva il dormiveglia tutta /
l’anima mia nell’incanto allettata? / lei che già navigava
in strano mare, / da dolcezze indicibili cullata?”
I fiumi [Il Porto Sepolto]
Cotici il 16 agosto 1916
Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposta
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un’acrobata
sull’acqua
5
10
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
25
30
15
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
20
35
Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità
Questo è il Nilo
40
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle estese pianure
55
60
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo
45
50
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
65
Pellegrinaggio [Il Porto Sepolto]
Valloncello dell’Albero Isolato il 16 agosto 1916
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascinato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinalba
Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio
5
Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia
10
15
Universo [Il Porto Sepolto]
Devetachi il 24 agosto 1916
Col mare
mi sono fatto
una bara
di freschezza
San Martino del Carso [PS]
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
5
10
San Martino del Carso [PS]
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Redazione Il Porto Sepolto 1916
Di queste case
non c’è rimasto
che qualche
brandello di muro
esposto all’aria
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
nei cimiteri
Ma nel cuore
nessuna croce manca
Innalzata
di sentinella
a che?
5
15
Sono morti
cuore malato
Perché io guardi al mio cuore
come a uno straziato paese
qualche volta
20
10
Allegria di Naufragi [Naufragi]
Versa il 14 febbraio 1917
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
5
Natale [Naufragi]
Napoli il 26 dicembre 1916
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
5
10
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
15
20
Dolina notturna [Naufragi]
Napoli il 26 dicembre 1916
Il volto
di stanotte
è secco
come una
pergamena
Questo nomade
adunco
morbido di neve
si lascia
come una foglia
accartocciare
L’interminabile
tempo
mi adopera
come un
fruscio
5
10
15
Mattina [Naufragi]
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
M’illumino
d’immenso
Dormire [Naufragi]
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917
Vorrei imitare
questo paese
adagiato
nel suo camice
di neve
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Un’altra notte [Naufragi]
Vallone il 20 aprile 1917
In quest’oscuro
colle mani
gelate
distinguo
il mio viso
Mi vedo
abbandonato nell’infinito
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Rose in fiamme [Naufragi]
Vallone il 17 agosto 1917
Su un oceano
di scampanellii
repentina
galleggia un’altra mattina
Vanità [Naufragi]
Vallone il 19 agosto 1917
D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido stupore
dell’immensità
E l’uomo
curvato
Sull’acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un’ombra
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Cullata e
piano
Franta
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Prato [Girovago]
Villa di Garda aprile 1918
La terra
s’è velata
di tenera
leggerezza
Come una sposa
novella
offre
allibita
alla sua creatura
il pudore
sorridente
di madre
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Sereno [Girovago]
Bosco di Courton luglio 1918
Dopo tanta
nebbia
a una
a una
si svelano
le stelle
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
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Mi riconosco
immagine
passeggera
Presa in un giro
Immortale
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Soldati [Girovago]
Bosco di Courton luglio 1918
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
Preghiera [Prime]
Quando mi desterò
dal barbaglio della promiscuità
in una limpida e attonita sfera
Quando il mio peso si farà leggero
Il naufragio concedimi Signore
di quel giovane giorno al primo grido
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