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ZANASI.Neurofisiologia del Sogno
IL SOGNO TRA LA NEUROFISIOLOGIA E LA PSICOLOGIA Marco Zanasi 1. IL SONNO Il sonno è un particolare stato psicofisico che fa parte di quel ritmo organico endogeno, sincronizzato con l’alternarsi del giorno e della notte, definito ritmo sonno-veglia o circadiano. Fino agli anni ’50 si riteneva che il sonno fosse un processo passivo, e che rappresentasse soltanto il livello più basso di vigilanza. A partire dagli anni ’50 e ’60 numerosi dati sperimentali iniziarono a modificare il quadro teorico, mostrando che il sonno è un processo nervoso attivo, con definite caratteristiche temporali e psicofisiologiche . In condizioni fisiologiche il sonno è suddiviso in successivi stadi, distinguibili tra loro sulla base di definiti criteri elettroencefalografici. (Vedi figura n.1) Nello stato di veglia il tracciato elettroencefalografico mostra un’attività elettrica rapida e a basso voltaggio (stato di desincronizzazione cerebrale). All’addormentamento l’EEG passa attraverso gli stadi 1-4 del sonno ad onde lente, nel giro di circa 45 minuti, per poi ripercorrerli in senso inverso in modo ciclico; gli stadi 1-4 mostrano un’attività con minor frequenza e di voltaggio progressivamente crescente (stato di sincronizzazione cerebrale) (Vedi figura n. 2) Lo stadio 1, che occupa circa il 7% del sonno totale, rappresenta la fase dell’addormentamento in cui il soggetto è ancora risvegliabile, il tracciato elettroencefalografico passa da un ritmo alfa ad un ritmo theta. Lo stadio 2 occupa circa il 50% del sonno totale; il tracciato EEG è caratterizzato dal ritmo theta e da onde più brevi ed isolate chiamate complessi K. Gli stadi 3 e 4, che costituiscono circa il 15% del sonno totale, rappresentano il sonno profondo, sono caratterizzati da onde a bassa frequenza, ampie e lente, e sono accompagnati da una marcata riduzione del tono muscolare. Dopo circa 90 minuti dall’addormentamento, l’EEG diviene desincronizzato, come nello stato di veglia; si instaura una abolizione del tono della muscolatura volontaria, ad eccezione dei muscoli che controllano i movimenti degli occhi, la funzione respiratoria, l’orecchio medio ed una incapacità di regolare la temperatura corporea. Questo stadio viene anche chiamato REM (Rapid Eyes Movements) dalla dimostrazione fatta da Dement e Kleitman nel 1957 circa la presenza di rapidi movimenti degli occhi (questi movimenti sono innescati da un’attività elettrica specifica che, come sarà detto più avanti, si realizza a livello ponto-genicolo-occipitali PGO). Il tipico sonno notturno presenta fasi alternanti di sonno REM e sonno ad onde lente (NREM); la durata del primo periodo REM è in genere breve, non più di 10 minuti, ma diviene progressivamente maggiore nei cicli successivi. Gli esseri umani passano circa il 25% del tempo complessivo del sonno nello stadio REM (Aserinsky & Kleitman 1953). Figura 1 Figura.2 2. SONNO REM E SOGNO SONO ATTIVATI DA DUE DIVERSI MECCANISMI CEREBRALI Nel 70-95% dei casi il soggetto risvegliato durante la fase REM riferisce di stare sognando, mentre solo il 5/10 % dei risvegli in fase NREM è accompagnato da simili racconti. (Dement & Kleitman 1957a, 1957b; Hobson 1988). Queste osservazioni hanno, fino pochi anni fa, sostenuto l’idea che lo stadio REM sia l’equivalente fisiologico dell’esperienza soggettiva del sogno (LaBruzza 1978), e che il sogno sia un epifenomeno del sonno REM (Hobson, Stickgold & Pace-Schott 1998). La scoperta della localizzazione pontina del meccanismo che attiva il sonno REM (ritenuto fino ad allora strettamente collegato al sogno) fu alla base della teoria dell’ Attivazione - Sintesi messa a punto da Hobson e McCarley alla fine degli anni ’70, che ha dominato il campo scientifico fino alle recenti revisioni sperimentali. (Hobson 1988, Hobson & McCarley 1977). Secondo questo modello i sogni sono attivamente generati da circuiti del ponte e sintetizzati dalle strutture corticali superiori. Il punto centrale della teoria si basava sull’idea, allora prevalente, che lo stimolo causale delle immagini oniriche fosse nel ponte e non nelle aree cognitive della corteccia (Hobson & McCarley 1977, p. 1347). In questo modello teorico il sogno viene considerato come un evento privo di senso, mancante di contenuti emotivi, volitivi ed ideativi primari. Il contenuto onirico sarebbe legato all’attivazione di schemi corticali che tentano di formulare una struttura narrativa coerente, ed il più possibile sensata, partendo da un rumore di fondo intrinsecamente senza significato che nasce dalle aree più profonde e primitive dell’encefalo (Hobson 1988, p. 204). In tale modello l’idea popolare che i movimenti oculari rapidi siano il segno che il soggetto stia seguendo le immagini del sogno (meccanismo questo che richiederebbe l’intervento delle strutture corticali a causa della complessa mentalizzazione richiesta) è messa in discussione (Pivik, McCarley & Hobson 1977). Attualmente si ritiene invece che tali movimenti, con le associate onde Ponto Genicolo Occipitali (PGO) registrabili all’EEG, siano attivati da strutture della base encefalica. (Hobson 1988, Hobson & McCarley 1977). L’idea di Hobson e McCarley che i sogni sarebbero il risultato di un’attivazione neurale “neutra dal punto di vista motivazionale” (Hobson e McCarley, 1977), costituì una vera minaccia per la psicoanalisi freudiana. Dopo la presentazione fatta da Hobson della sua teoria all’American Psychiatric Association (APA) nel 1976, ai membri dell’APA fu chiesto se la teoria freudiana potesse essere ancora ritenuta scientificamente valida alla luce delle recenti scoperte. L’esito della votazione dei membri fu a netto svantaggio della teoria freudiana e ciò comportò la decisa presa di posizione della comunità scientifica americana contro Freud a partire da quel momento. Da un punto di vista neurofunzionale il meccanismo del sonno REM si attua nel modo seguente: i neuroni deputati all’attivazione e al mantenimento del sonno REM, situati al livello del tegmento mesopontino, sono neuroni acetilcolinergici. Al momento del passaggio tra il sonno REM ed il sonno NREM altre due serie di neuroni cominciano a scaricare rapidamente: i neuroni serotoninergici a livello del nucleo dorsale del che è situato a livello della sostanza grigia periacquedottale del mesencefalo, e quelli noradrenergici a livello del nucleo del locus ceruleus. Quando tali nuclei si attivano i neuroni colinergici si disattivano immediatamente a seguito ad un’inibizione reciproca. Dopo novanta minuti circa lo stato di attivazione REM ricompare in seguito ad un’inversione reciproca delle attività delle formazioni nucleari: i livelli di serotonina e noradrenalina diminuiscono, mentre quelli di acetilcolina aumentano. Queste osservazione sono in accordo con la concezione che il sonno REM derivi dall’attivazione di gruppi di neuroni distinti, che utilizzano neurotrasmettitori diversi. Questa teoria messa a punto nel 1975 da Hobson e McCarley prende il nome di modello dell’interazione reciproca. 3. IL SOGNO NON SI IDENTIFICA CON IL SONNO REM Alla luce di nuovi dati sperimentali accumulatisi soprattutto negli ultimi anni, l’idea che il sonno REM sia l’equivalente fisiologico del sogno necessita di una profonda revisione. Vi sono numerose e crescenti evidenze che suggeriscono che l’attività onirica ed il sonno REM sono stati dissociati e che il sogno è controllato da meccanismi delle strutture corticali superiori (Solms, 2000). Recenti scoperte neurofisiologiche, radiologiche e farmacologiche, suggeriscono che le vie colinergiche del mesencefalo che controllano il sonno REM, possano attivare il sogno solo attraverso la mediazione di un secondo circuito, verosimilmente dopaminergico, situato nelle strutture corticali associative. Questi dati fanno ritenere che i circuiti corticali e sottocorticali superiori siano la via finale comune per la produzione dei sogni, e che i centri mesencefalici che controllano il sonno REM, siano solo una delle molte strutture che possono attivare questa via finale. I dati attuali mostrano quindi, che, sebbene vi sia una importante connessione tra il sonno REM e il sogno, in effetti si tratta di due stati dissociabili, cioè il sonno REM può insorgere in assenza del sogno ed il sogno può avvenire senza il sonno REM. Una prima importante osservazione è che non tutti i sogni avvengono in fase REM. Tra il 5 ed il 30 % dei risvegli in fase REM non sono accompagnati da un ricordo del sogno, e tra il 5 ed il 10 % dei risvegli in fase NREM sono accompagnati dal ricordo di stare sognando (Hobson 1988, 1992; Bosinelli et al., 1982; Bosinelli e Cicogna, 1991; Foulkes, 1962; 1985). Esiste, dunque, un'attività mentale di tipo onirico durante tutte le fasi del sonno, dall'addormentamento al risveglio. Vi sono, tuttavia, differenze qualitative tra l'attività mentale nelle diverse fasi del sonno. Il sogno NREM medio è più simile al pensiero da sveglio rispetto a quello REM (più bizzarro e “oniroide”); rispetto alle fasi NREM, nelle fasi Rem la strutturazione spaziale del sogno è più dettagliata, il livello di partecipazione personale del sognatore al sogno è più elevato, il numero delle parole usate per raccontare il sogno è maggiore. I sogni REM e NREM non sono distribuiti casualmente durante la notte: i NREM sono soprattutto frequenti all’inizio del sonno e sono più corti. Questo conferma l’ipotesi che le differenze fisiologiche tra REM e NREM si riflettano in stati cognitivi differenti a livello onirico, (e questo, come vedremo, ha una grande importanza nella teoria del consolidamento della memoria). Questo dualismo del meccanismo di genesi del sogno, ha portato Hobson a modificare la teoria dell’Attivazione-Sintesi, dando vita alla teoria AIM (Activation-Input-Mode) con l’affermazione che i sogni REM e NREM sono legati alla interazione di circuiti mesencefalici costituiti rispettivamente da cellule colinergiche e aminergiche; anche in questa nuova formulazione del modello, il sogno è attribuito a strutture mesencefaliche, incapaci di pensiero complesso, si tratta infatti di aree cerebrali dedicate alla gestione di processi automatici che non richiedono mentalizzazione. Su queste basi McCarley & Hobson, 1977, affermano che il meccanismo causale del sogno è “neutrale dal punto di vista motivazionale”. 4. I CIRCUITI NEURONALI DEL SOGNO La vera rivoluzione copernicana, che ha permesso di superare i modelli precedenti e ha ricondotto il sogno ad una dimensione psicologica complessa, è stata innescata dagli studi di correlazione tra lesioni cerebrali specifiche e modificazioni delle caratteristiche formali e contenutistiche dell’attività onirica. L’autore di tale rivoluzione è stato Mark Solms (vedi fig. 3 , 4, 5). Lo studio di Solms (1997) si è svolto su 361 pazienti con lesioni cerebrali focali, con l’integrazione di una metanalisi dei risultati di 73 studi pubblicati in letteratura sull’argomento. I dati osservati da Solms, si deve dire del tutto inaspettati, mostrano che esistono cambiamenti specifici delle caratteristiche formali e contenutistiche dell’attività onirica correlati alla sede ed al tipo della lesione; ciò ha consentito di mettere a punto uno schema dei circuiti implicati nell’attività onirica. I dati più importanti messi in luce da questi studi possono essere così riassunti: 1. 200 dei 332 pazienti con lesioni cerebrali non hanno avuto cambiamenti dell’attività onirica. Questo è un reperto di grande importanza perché permette di delimitare le parti dell’encefalo realmente necessarie all’attività onirica. Al proposito è da ricordare che le concezioni precedenti ritenevano che il sogno fosse correlato ad una attivazione corticale diffusa, mentre gli studi attuali mostrano che il circuito neuronale del sogno è molto localizzato e non include vaste aree cerebrali necessarie all’attività cosciente. 2. A seguito di lesioni in aree specifiche, si osservano cambiamenti degli aspetti formali dei sogni, a conferma che il circuito neuronale del sogno ha una stretta specificità. Il dato forse di maggior interesse riguarda la perdita delle capacità visuali dei sogni nelle lesioni della zona occipitotemporale mediale, in tali pazienti si osserva anche, durante lo stato di veglia, la perdita della capacità di richiamo volontario delle immagini. Questo dato fa ritenere che esista una stretta correlazione tra le strutture neuronali del sogno e le strutture corticali per le capacità immaginali coscienti. 3. 47 pazienti con lesioni sia unilaterali che bilaterali nella zona parieto-temporo-occipitale riferivano una perdita completa della capacità di sognare e una contemporanea riduzione delle capacità visuospaziali coscienti. Questa osservazione fa ipotizzare che il circuito neuronale che presiede alle capacità di rappresentazione spaziale (localizzato nella parte inferiore dei lobi parietali), ed è necessario per la creazione volontaria di immagini nella vita cosciente, sia essenziale per il sogno. Solms ritiene anche che vi sia la probabilità che la regione parietale sinistra contribuisca alle componenti simboliche del sogno, mentre quella destra concorre alla formazione delle componenti spaziali concrete *. * [Naturalmente nei casi in cui viene riferita la perdita della capacità di sognare, bisogna eliminare la possibilità che si sia di fronte ad una alterazione della capacità di ricordare i sogni. I soggetti studiati da Solms, non presentavano segni clinici, (o nei test specifici) di alterazioni mnesiche per cui si può escludere questa ipotesi]. 4. Circa il 90 % dei pazienti leucotomizzati, avevano perso la capacità di sognare 5. 10 pazienti, con lesioni nel talamo anteriore, nel mesencefalo nella corteccia mediale frontale e nel giro cingolato, riferivano un incremento della frequenza, della vividezza e della concretezza dei sogni; alcuni riferivano di avere la sensazione di sognare sempre, anche durante la veglia, o che i loro pensieri si tramutassero improvvisamente in immagini. Questo dato può essere interpretato come conseguenza della perdita della selettività dei processi mentali e può spiegare gli aspetti allucinatori, deliranti e di disorientamento del sogno, come dovuti all’inibizione di tali aree durante il sogno. A causa della inibizione durante il sonno di parti importanti del sistema critico (parte anteriore delle strutture limbiche) le scene oniriche sono accettate acriticamente e il sognatore scambia immagini generate internamente per percezioni reali. Danni a questo sistema critico (che non è completamente inattivo durante il sonno) determinano uno stato particolare di attività onirica continua durante il sonno e di incapacità a distinguere tra sogno e vita reale da svegli. Questa è una ulteriore prova che vi è un continuo flusso di pensiero durante il sonno, che è convertito nel fenomeno sogno in particolari condizioni fisiologiche, di cui il sonno REM è solo una tra le tante 6. Lesioni del lobo temporale causano un incremento di incubi a contenuto ripetitivo, accompagnati ad epilessia generalizzata ed allucinazioni diurne. Ciò concorda con i dati di letteratura di casi di epilessia che riportavano incubi, collegati a scariche epilettogene temporali nelle fasi NREM. 7. 53 pazienti con lesioni pontine non riferivano alterazioni della capacità di sognare; ciò conferma che il sonno REM non è indispensabile per il sogno. Solms in conclusione ritiene che il sogno sia generato da strutture dopaminergiche diffuse nell’amigdala, giro cingolato anteriore e ponte che scaricano nella corteccia frontale. Tali strutture si attivano solo quando la fase REM di eccitazione corticale consente l’attivazione dei circuiti dopaminergici delle parti ventromediali della corteccia frontale. Questi dati mostrano che vi è uno specifico circuito neurale per il sogno e per alcune peculiari caratteristiche di esso, svincolando, anche se parzialmente, i contenuti onirici dalle influenze esterne di natura mentale. Vi sarebbe cioè una quota di predeterminazione organica per alcuni caratteri del sogno, dato che contrasta con l’idea diffusa che la genesi e i caratteri del sogno siano esclusivamente fenomeni psicologicamente derivabili. Il circuito generatore dell’attività onirica è costituito dalle aree associative e dalle strutture limbiche e paralimbiche e comprende anche sufficienti porzioni di aree cognitive perché gli sia possibile produrre sufficienti drammatizzazioni e capacità narrative per rappresentare racconti onici che solitamente ritraggono le concezioni e le preoccupazioni coscienti del sognatore. (Hall, 1969; Foulkes, 1985) Il circuito neurale del sogno fornisce il livello di attivazione cerebrale necessario al sogno e, verosimilmente, predetermina anche il tipo di attivazione cognitiva possibile (influenzando quindi il repertorio tematico dei sogni ) È responsabile del grado di intensità percettiva ed emotiva e della vividezza dell’esperienza onirica, e può anche essere determinante per alcuni caratteri specifici del sogno quali la mancanza di autoriflessività e le incongruenze narrative. Tuttavia, il circuito neuronale dell’attività onirica non può spiegare la natura narrativa del sogno, né dar conto dei contenuti onirici che sono i prodotti del sistema concettuale del sogno. Una numerosissima e concordante serie di studi e di laboratorio mostra che il contenuto dei racconti onirici (dream reports), sia nelle fasi REM che NREM, è in larghissima parte rappresentato da una coerente e ragionevole simulazione del mondo reale (Antrobus, 1991; Foulkes, 1985, 1990). Ciò concorda largamente con i dati ottenuti dagli studi di pazienti con lesioni cerebrali, suggerendo che esista uno stretto parallelismo tra pensiero cosciente e sogno, ciò che consente di rigettare la teoria dell’attivazione sintesi. In aggiunta gli studi sperimentali mostrano che il sogno non può essere innescato da stimoli esterni e che è molto difficile influenzare il contenuto onirico, come ad es. attraverso la somministrazione di stimoli prima del sonno, come film eccitanti o paurosi, suoni, ripetizioni di nomi di persone significative per il sognatore (Foulkes, 1985, 1996; Rechtschaffen, 1978). La più generale conclusione che si può trarre è che i sogni sono fenomeni mentali relativamente autonomi e isolati, in quanto non sono facilmente suscettibili dell’induzione o di modificazione da parte di manipolazioni pre-sonno. 1 perdita delle caratteristiche visuali 2 e 3 perdita della capacità di sognare 4 intrusività dei sogni nella veglia 5 aumento degli incubi 6 perdita del sonno REM Fig. 3 AREE ATTIVE 1 carica emotiva, aggressività, memoria a lungo termine, sessualità 2 modelli visuali complessi (fisionomie) 3 stimoli sensoriali da e verso la corteccia 4 vividezza delle immagini 5 innesco del sonno REM AREE INATTIVE 6 bizzarria del sogno 7 riduzione delle componenti visuali complessi (fisionomie) 8 ridotta memoria del sogno Fig. 4 5. IL SOGNO NELL’INFANZIA Un altro dato molto importante, frutto di studi recenti, è la scoperta che il sogno non è una funzione innata. La capacità di sognare è una tappa cognitiva che si sviluppa gradualmente nei primi 8 o 9 anni di vita. (Foulkes, 1982, 1999; Foulkes et al., 1990). Studi neurofisiologici su bambini con danni cerebrali focali hanno messo in evidenza la necessità dell’acquisizione delle capacità visuospaziali come tappa preliminare per poter sviluppare una piena capacità onirica; in particolare sembra di grande importanza l’area temporoccipitale in cui è localizzato il circuito neuronale per le costruzioni spaziali. Vari studi su larga scala effettuati nei bambini mostrano i seguenti risultati: Il tasso medio di ricordo del sogno nei bambini è solo tra il 20 % ed il 30% fino all’età di 9/11 anni, in rapporto al tasso di ricordo del 79% degli adulti in fase REM. Fino all’età di 13/15 anni, i sogni dei bambini differiscono da quelli degli adulti per frequenza e lunghezza, oltre che per caratteristiche strutturali. Sono in genere più brevi e meno frequenti. Per i bambini fino a 5 anni, i racconti da risvegli REM consistono soprattutto di scenari statici, con scarsa connotazione emotiva, con visioni di animali e pensieri riferiti al mangiare ed al dormire. Dai 5 agli 8 anni compaiono sequenze di eventi in cui i personaggi interagiscono, ma senza un completo sviluppo narrativo. Il sognatore non compare regolarmente come partecipante attivo del sogno. Rispetto ai sogni degli adulti, fino all’età di 8 anni i sogni dei bambini hanno un tasso notevolmente minore di aggressività, eventi avversi e emozioni negative (come i sogni degli anziani). Le differenze di genere cominciano a manifestarsi nella tarda fanciullezza e diventano evidenti nell’adolescenza.(Domhoff, 96; Foulkes, 1982). Questi risultati sono di notevole rilievo perché mostrano che i bambini sognano in maniera diversa da quanto veniva dato per scontato in passato soprattutto sulla base di osservazioni anedottiche di piccole serie di campioni. La capacità di sognare è una tappa cognitiva che si sviluppa gradualmente nello stesso modo in cui si svilupano la maggior parte delle altre attività cognitive. Solo dopo l’età di 11 anni la frequenza e la struttura cognitiva dei sogni si avvicinano a quelle degli adulti, e bisogna attendere i 13/14 anni perché i sogni abbiano la stessa lunghezza e complessità tematica degli adulti. Gli studi, in particolare di Foulkes, provenienti dai laboratori del sonno offrono ulteriori sorprese: le capacità linguistiche e verbali non giocano un ruolo importante nei sogni dei bambini fino a che la capacità di sognare è completamente sviluppata. Nessuna variabile di personalità è correlata con i contenuti dei sogni fino alla preadolescenza (a differenza di quanto si osserva negli adulti, ciò che mostra una sostanziale povertà ed uniformità dei contenuti). L’unico indicatore attendibile correlato al ricordo di sogni è un elevato punteggio alle scale di valutazione delle abilità visuospaziali. I dati consentono di ipotizzare che l’immaginazione visiva si sviluppi lentamente e che costituisca un necessario prerequisito cognitivo per il sognare. Si potrebbe argomentare che il basso tasso di ricordo dei sogni nei bambini sia legato a fattori cognitivi della attività cosciente piuttosto che a una mancanza di sogno. Per esempio Hunt (1989) pensa che il problema sia una difficoltà a distinguere l’esperienza incorporata in un sogno da altri stati soggettivi simili; altri sostengono che i bambini semplicemente manchino delle capacità linguistiche di tradurre le esperienze non verbali dei sogni in riassunti narrativi coerenti (Hobson et aI., 2000b; Weinstein et al., 1991) Secondo Foulkes queste ipotesi non sono verosimili perché in numerosi studi linguistici, test descrittivi, di memoria, o di narrazione somministrati, i punteggi dei bambini sono correlati alla complessità del racconto del sogno. Queste ipotesi sono anche contraddette dal fatto che i racconti di sogni REM e NREM sono, nei bambini, riportati soprattutto nelle ultime fasi del sonno, non sembra verosimile che capacità narrative o discriminatorie manchino selettivamente nelle prime fasi del sonno. L’idea che i bambini non sognino bene fino a che le loro capacità visuospaziali non siano ben sviluppate è supportata dai dati di Foulkes su bambini di età tra i 11 e 13 anni che avevano una capacità mnemonica e verbale nella media, erano normali studenti, ma avevano bassi punteggi nelle abilità visuospaziali: questi soggetti riportavano pochi report onirici sia nei risvegli in fase REM che NREM, molto al di sotto della pìmedia della loro età. Poiché nessuno di loro mancava delle capacità linguistiche sembra più ragionevole ritenere che non avessero sogni. Studi su studenti di College mostrano che in media il ricordo dei primi sogni risaliva all’età di 6,5, mentre le memorie più antiche partivano da 3,5 anni. Anche i dati sulla presenza o meno di capacità di immaginazione visiva in soggetti diventati ciechi prima o dopo il periodo cruciale che va dai 5 ai 7 anni confermano le ipotesi di Foulkes. Come è ben noto quelli che perdono la vista dopo questo periodo continuano a poter immaginare persone, cose ed eventi, sia da svegli che durante i sogni, quelli che diventano ciechi prima non hanno queste capacità. In particolare i ciechi dopo i 7 anni sono in grado di costruire immagini visive di persone che avevano incontrato dopo essere diventati ciechi. Ciò supporta l’idea che vi sia un sistema immaginale visivo indipendente dalle capacità percettive. Una volta che i bambini hanno sviluppato la capacità di sognare, le loro capacità linguistiche e descrittive si correlano compiutamente con la lunghezza e la complessità dei loro sogni. Purtuttavia, solo all’età di 11/13 anni il contenuto dei sogni mostra chiare correlazioni con i tratti personologici della persona. Per esempio i bambini più assertivi ed indipendenti si ritraggono nei sogni come più attivi, quelli con fantasie della veglia con più aggressività, hanno interazioni più aggressive nei loro sogni, e quelli che sono più ostili a dormire nel laboratorio del sonno, sognano spesso di essere arrabbiati. Questi risultati sulla continuità dei contenuti onirici con il pensiero della veglia suggeriscono che il sogno possa riflettere preoccupazioni emotive e interessi personali del sognatore solo una volta che sia stato raggiunto un adeguato livello di sviluppo cognitivo. I risultati di Foulkes sembrano confermare che lo sviluppo della capacità di sognare sia legato alla maturazione del network neurale per il sogno. L’ipotesi è sostenuta anche dal parallelismo tra la dipendenza della capacità di sognare (nei bimbi) dallo sviluppo delle abilità visuospazioli, che sono originate specificamente dai lobi parietali e dal fatto che la lesione dei lobi parietali nell’adulto comporta una cessazione completa dell’attività onirica. L’ipotesi è anche sostenuta dalla natura statica dei sogni in età prescolare, dato molto simile all’assenza di movimenti nei sogni degli adulti con lesioni specifiche della corteccia associativa visiva. L’idea che i sogni siano sempre e comunque espressione della soddisfazione di un desiderio era, secondo Freud, invariabilmente provata dai sogni dei bambini. Tuttavia la scoperta che i sogni dei bambini siano statici e senza caratteri specifici non conferma questa idea, Foulkes conclude che non vi sono segni di desideri nei report dei sogni dei bambini. 6. ATTIVITA’ ONIRICA NEGLI ADULTI Una volta raggiunto il completo sviluppo dei circuiti dedicati all’attività onirica, i sogni presentano specifiche caratteristiche formali e contenutistiche. Studi su estesissimi campioni permettono di evidenziare alcuni elementi fondamentali: Vi è nel corso del tempo una notevole uniformità dei temi. I sogni di studenti di college negli Stati Uniti sono rimasti gli stessi (misurati secondo le categorie contenutistiche di Hall-VanCastle) per tutta la seconda metà del 20° secolo nonostante i grandissimi cambiamenti culturali e sociali. Pochi, o nessuno, cambiamento nei temi onirici si osservano una volta che è raggiunta l’età adulta. I sognatori anziani, cioè, non differiscono dagli studenti di college eccetto che per un declino nel numero di aggressioni fisiche, delle emozioni negative, e delle qualità visive delle scene oniriche (Zanasi et al. 2005). Nella scala di Hall-Van de Castle (la più diffusa metodica di rilevazione dei contenuti onirici) si osserva un modello stabile di somiglianze e differenze cross culturali. Per esempio le differenze di genere sono transculturali, le donne sognano egualmente personaggi maschili e femminili, mentre gli uomini sognano maggiormente maschi (Hall, 1984). Gli uomini, rispetto alle donne, hanno sogni caratterizzati da una maggior percentuale di aggressioni fisiche. Per entrambi i sessi i sogni sono caratterizzati più da temi aggressivi che amichevoli, più da sfortuna che buona sorte, più da emozioni negative che positive. Oltre a queste maggiori uniformità transculturali, vi sono modeste differenze, per esempio nelle piccole società tradizionali i sogni contengono più figure di animali che i sogni di persone delle società industriali. Il dato più significativo che si ottiene da studi contenutistici (..) è la conferma del principio di continuità: cioè della continuità esistente tra il contenuto dei sogni e i pensieri coscienti. Tale principio è confermato da analisi in doppio cieco su diari di sogni, in cui non si sa nulla del sognatore fino a che questi non risponda a specifiche domande formulate proprio sulla base dell’analisi dei contenuti. In particolare, si giunge, così, ad un accurato ritratto delle concezioni e delle preoccupazioni rispetto alle persone significative delle loro vite. Un altro aspetto importante che emerge da ricerche contenutistiche effettuate longitudinalmente riguarda l’esistenza di un principio di ripetizione. Si tratta di osservazioni che confermano l’idea Junghiana dell’esistenza di serie di sogni in particolari fasi del processo di individuazione, ma ancora non è stata chiarito la frequenza delle ripetizioni Il principio di ripetizione non riguarda solo i contenuti, ma comprende anche tre ulteriori aspetti ripetitivi dei sogni. 1. la frequenza degli incubi nei disturbi post-traumatici da stress. (Hartmann, 1984, 1998; Kramer, 2000), Solo dopo la guerra del Vietnam ci si è resi conto dell’importanza del fenomeno.(Barrett, 1996). 2. L’esistenza di sogni ricorrenti: dal 50% all’ 80 % delle persone sostengono di aver avuto sogni ricorrenti nel corso della vita. Questi sogni spesso iniziano nella tarda fanciullezza o nella prima adolescenza e durano a volte per tutta la vita, sono di solito molto spaventosi e fortemente negativi nei contenuti (Cartwright & Romanek, 1978). 3. l’idea di un principio di ripetizione può riguardare anche le ripetizioni tematiche che si osservano in serie di sogni maggiori di 20. In altre parole non sono solo i contenuti a ripetersi, ma anche i temi generali, quali ad esempio perdersi, cucinare, sostenere un esame, ecc. In uno studio su 649 sogni per un periodo di 50 anni, per esempio, si poterono individuare 6 temi che rendevano ragione del contenuto del 71 % dei report onirici. Vecchi studi riportati da Solms (1997) mostrano un declino della complessità narrativa nei sogni di soggetti con traumi cranici, con sogni caratterizzati da maggior numero di soggetti familiari e minori contenuti emotivi, ciò che correla con le personalità della veglia di tali soggetti. Si pensa ai sogni come ad entità altamente simboliche in molte diverse culture, inclusa quella occidentale, ma i risultati delle analisi contenutistiche sembrano invece suggerire che i sogni consistano primariamente di costruzioni che nascono da categorie esperienziali. Ricerche basate su migliaia di sogni di sognatori di ogni età e condizione Foulkes (1985) concludono che la maggior parte dei sogni sono simulazioni di esperienze del mondo reale. Una volta che il sogno è stato attivato dall’eccitazione cerebrale che avviene durante la fase REM, recupera e utilizza schemi mnemonici, memorie episodiche e dichiarative, e conoscenze generali per produrre ragionevoli simulazioni del mondo Queste simulazioni esprimono le concezioni del sognatore, in particolare rispetto a sé, alla famiglia e agli amici. I giovani sognatori per lo più fanno spese, sport, giocano, visitano gli amici, litigano con i genitori, si preoccupano della fedeltà dei loro partners, o fanno fantasie di tradimenti. Il contenuto dei sogni dei bambini è ancora più realistico. L’enfasi su sé e gli altri è basata su studi che mostrano come il contenuto dei sogni di adulti rifletta poco aspetti legati ad eventi sociali o politici, lo stesso per i bambini, tra i 5 ed i 15 anni sognano soprattutto dei loro giochi e dei loro amici e molto meno della scuola, per esempio, che è l’attività in cui passano più tempo. La natura altamente personale dei sogni è confermata da uno studio su studenti di college in USA (…) che mostra come i contenuti onirici non sono cambiati negli ultimi 50 anni: la cultura è cambiata, ma gli interessi personali sono rimasti gli stessi. Questo spiega anche perché i sogni sono più simili che diversi nelle varie culture del mondo. Studi sui sogni di un piccolo gruppo di indios amazzonici portano alla conclusione che le esperienze oniriche sono meno variabili di altri aspetti della cultura. 7. TEORIE FUNZIONALI SUL SOGNO Le teorie sulla funzione del sogno sono innumerevoli. 1. I sogni sono “rumori di fondo” dell’attività della mente in quello stato di non coscienza che caratterizza il sonno. I sogni non hanno alcuna funzione evolutiva. Sono tollerati, perché “non danno fastidio”, ovvero non interferiscono con il sonno, che invece ha una sua importante funzione. 2. I sogni sono “pensieri profondi”, come ritiene tipicamente la corrente psicoanalitica . Secondo Sigmund freud, ad esempio, essi hanno una specifica funzione decisiva ed equilibratrice: consentire ai desideri di ciascuno di noi, anche e soprattutto ai desideri inconfessabili, di sciogliersi dai vincoli del controllo sociale e di correre liberi nello spazio del possibile. Sognare di notte quello che non possiamo fare di giorno, ci aiuta ad avere relazioni sociali e affettive mature. 3. I sogni ci aiutano a “leggere e reinterpretare il pensiero”. Hanno un ruolo molto più debole, nell’assolvere a questa funzione, dello stato di coscienza, essendo solo un residuo dell’attività mentale diurna. Tuttavia rileggendo il pensiero e le emozioni della giornata appena trascorsa (ma non solo di quella), i sogni ci aiutano a comprendere meglio noi stessi e gli altri. 4. Il sogno può avere un ruolo nel problem solving, trovando soluzioni alternative a problemi che la mente nella veglia trova particolarmente difficili da affrontare, specialmente problemi di carattere emozionale (Barrett, 1993; Greenberg et al., 1992). Fiss (1993) suggerisce che i sogni siano particolarmente idonei ad evidenziare segni interni ed esterni molto sottili, che passano inosservati al cervello sveglio, e che possono essere utili per mettere in luce malattie incipienti. Vi sono però molti risultati empirici che non sembrano confermare queste teorie: anzitutto va considerato che queste ipotesi nascevano al tempo in cui si credeva che la gente sognasse molto di meno di quanto oggi non si sappia; in questo contesto era quindi plausibile l’idea che un sogno (visto come evento raro ed occasionalmente ricordato) potesse essere la reazione ad uno specifico evento. Ma, se come ormai è accertato, gli adulti sognano dalle 4 alle 6 volte per notte, il tasso di ricordo è attorno all’1% di tutti i sogni. Questa bassissima quota di ricordo dei sogni fa ritenere che il sogno non sia un adattamento evolutivo per fornire informazioni alle persone da sveglie. In aggiunta, meno della metà dei sogni hanno una qualche connessione diretta con i fatti del giorno precedente (Botman & Crovitz). Se il sogno contiene importanti informazioni per la vita della veglia, allora coloro che non ricordano bene i loro sogni dovrebbero avere un qualche svantaggio psicologico. Studi su soggetti che ricordano facilmente i propri sogni in confronto a soggetti con minore facilità di recupero mnemonico non mostrano differenze statisticamente significative per quanto riguarda i principali indicatori di benessere o nei test di personalità. I sostenitori della teoria del problem solving rispondono dicendo che solo i sogni con grande componente emotiva avrebbero questa funzione. È necessario fare due importanti distinzioni: 1) un conto è che il sogno possa riflettere un problema, un conto è che fornisca una soluzione: tutti i più ingegnosi studi sperimentali (con uso di stimoli subliminali, test particolari prima del sonno, su studenti prima degli esami, ecc.) non hanno portato alcuna prova a sostegno di questa ipotesi. Probabilmente hanno avuto notevole influenza le osservazioni anedottiche attribuite a personaggi celebri, ad esempio Cartesio, Kekoulé, Poincaret, (queste osservazioni, però, sottoposte ad una verifica critica, si sono rivelate poco attendibili) 2) si deve fare una distinzione tra le soluzioni presentate direttamente dal sogno e le soluzioni trovate, durante la veglia, sulla base di associazioni o pensieri innescati dal sogno. 5. Anche i sogni non ricordati potrebbero avere una funzione: sulla base di analogie con i computer, alcuni ritengono che possano ripulire la memoria da informazioni inutili accumulate durante il giorno 6. Il sogno può avere una funzione nell’ambito dell’evitamento dei pericoli. Revonsuo (2000) ritiene che la funzione biologica del sogno sia la simulazione di eventi minacciosi e la ripetizione simulata delle strategie di evitamento di tali situazioni. Un meccanismo onirico che replicasse le situazioni minacciose affrontate dal soggetto durante la veglia e le ripetesse più e più volte nel sogno, presentando soluzioni difensive alternative, sarebbe stato utile per lo sviluppo ed il consolidamento delle capacità di evitamento delle minacce. Questa ipotesi è sostenuta da un’estesa valutazione dei contenuti dei sogni che mostra che nei sogni gli eventi minacciosi sono soprarappresentati, che la maggior parte dei sogni ricorrenti sono simulazioni di pericoli primordiali (lotte, attacchi, combattimenti) e che eventi minacciosi realmente affrontati durante il giorno invariabilmente influenzano i sogni successivi (come ad esempio è provato dai sogni nei disturbi post-traumatici da stress che possono rpetersi per anni). Revonsuo interpreta questi dati come una prova che l’originale funzione adattiva del sogno era quella di rievocare la percezione e l’evitamento delle minaccie, abilità che dovevano essere vitali nell’ambiente ancestrale dell’uomo. ATTIVITÀ ONIRICA E CONSOLIDAMENTO DELLA MEMORIA Il sogno potrebbe intervenire nel complesso fenomeno del consolidamento della memoria, in analogia a quanto è noto per il sonno ( Cartwright, 2004; Paller e Voss, 2004; Cipolli et al, 2004). Esistono due tipi di memoria (vedi fig. 5): la memoria dichiarativa (episodica e semantica) e la memoria procedurale o riflessiva. La memoria dichiarativa dipende, per ciò che riguarda la sua acquisizione ed il suo richiamo, dalla riflessione conscia e si basa su processi cognitivi come la valutazione, il paragone, l'inferenza. I fatti e le esperienze acquisite si possono riferire verbalmente. La memoria episodica si riferisce al ricordo di eventi passati che incorporino informazioni sul dove e quando questi eventi sono avvenuti. La memoria semantica consiste in conoscenze (fatti, significato di parole, ecc) che invece non sono necessariamente collegate ad un dove e un quando, ma esistono di per sé. La memoria procedurale o riflessiva, invece, possiede proprietà automatiche e la sua formazione ed espressione non dipende dalla consapevolezza o da processi come il confronto e la valutazione. Essa si accumula lentamente con la ripetizione di numerose prove successive, si esprime attraverso il miglioramento delle prestazioni e non può venire espressa verbalmente. Esempi di memoria riflessiva comprendono le abilità motorie e l'apprendimento di tecniche e regole come quelle particolari. La memoria dichiarativa e quella procedurale comportano l'intervento di circuiti neuronali diversi ( il lobo temporale nella memoria dichiarativa e l'amigdala nella procedurale). Per consolidamento della memoria si intende quel meccanismo tempo - dipendente che consente la trasformazione di informazioni da traccia labile a bagaglio di conoscenza stabile, sicuro da interferenze. I sogni potrebbero riflettere l’attività cerebrale di elaborazione e immagazzinamento delle esperienze e della conoscenza acquisita da un individuo nel corso della sua vita Il ricordo di un episodio non viene immagazzinato nel cervello in un unico punto, ma piuttosto viene suddiviso in diversi frammenti (che riguardano il dove, il quando, le immagini visuali, gli odori, le emozioni associate, ecc.) che vengono fissati in diverse aree del cervello, specializzate ciascuna nell’elaborazione di una specifica caratteristica del ricordo. Durante il sonno, l’ippocampo elabora questi frammenti di memoria attraverso un processo detto di cross-correlazione corticale, tramite il quale questi frammenti vengono collegati tra loro (si tratta di veri e propri collegamenti neurali) per cui al momento del ricordo nella vita della veglia, il richiamo di un solo frammento permette la ricostruzione dell’intero episodio. Si tratta di un meccanismo che, oltre a “risparmiare memoria”, permette un accesso più rapido ai ricordi. La memoria dichiarativa non sarebbe dormiente durante la notte, ma verrebbe costantemente esercitata attraverso un sistematico consolidamento cross-corticale della memoria. Partendo dalla premessa che il nostro cervello non può conservare tutte le memorie di tutti i dettagli di tutte le esperienze, sarebbe utile capire quali sono le modalità che determinano quali memorie dichiarative sono conservate. Una strategia utile è quella di preservare quelle memorie che sono significative per aspetti personali del sognatore. Attraverso il linking cross corticale si avrebbe la trasformazione di una nuova memoria in memoria a lungo termine, con una priorità legata ad una strategia orientata al problema. Questo processo di cross correlazione corticale consentirebbe un accesso più vantaggioso alle memorie, costruendo una sorta di network corticale,per cui accessi a singoli caratteri di un episodio, riattivano l’intera esperienza. Queste memorie, così, elaborate sarebbero quelle che si rivelano le più utili al risveglio nelle strategie di problem solving. In questa prospettiva non necessariamente i sogni hanno un significato nascosto, o sono il riflesso distorto di impulsi e desideri inconsci. Una funzione adattiva esplicata durante il sonno sarebbe quella di assemblare le recenti esperienze individuali con i problemi, le aspettative e gli obbiettivi dell’individuo. La principale funzione del sogno potrebbe essere quella di stabilire nuove connessioni tra frammenti di memoria situati in varie aree cerebrali. Il nostro magazzino delle memorie dichiarative può essere arricchito dalle nuove connessioni che si vengono a formare tra frammenti di un episodio e frammenti di un altro episodio. Queste nuove connessioni possono portare ad un incremento della priorità e rilevanza di un particolare episodio e incrementare la significanza di singole caratteristiche o creare nuove relazioni tra caratteristiche di questi episodi e nuove strategie comportamentali). La possibilità che i mattoni fondamentali dei sogni siano frammenti di memoria, piuttosto che episodi coerenti è in accordo con quanto si rileva dall’esame dei report onirici. Questi comprendono frammenti di episodi recenti, piuttosto che completi eventi autiobiografici o interi episodi che sono resi disponibili solo dopo il linking ipppocampale dei diversi frammenti corticali. L’interpretazione dei sogni può offrire uno sguardo all’interno di una attività mentale inconscia che riguarda set di strategie non dichiarative inaccessibili alla coscienza e che può essere utile rendere coscienti. Fasi REM e NREM del sonno nel processo di consolidamento della memoria Il contenuto dei sogni varia al variare delle fasi del sonno. I tipici sogni REM e NREM sono piuttosto diversi soprattutto per quanto riguarda la memoria episodica. Nei sogni REM le memorie episodiche sono molto rare ed emergono tipicamente in forma di frammenti difficilmente collegabili a reali eventi della vita da svegli ed a contenuto frequentemente bizzarro in cui, per esempio, le normali regole di spazio e tempo possono essere ignorate. Nei sogni NREM invece le memorie episodiche compaiono più frequentemente. In genere predominano i fatti recenti, ma possono comparire sporadicamente anche memorie antiche. Da questo si deduce che i sistemi mnemonici necessari per la rievocazione di memorie episodiche sono funzionanti nelle fasi NREM, ma non in quelle REM. Anche se non si conoscono con esattezza i sistemi neurochimici coinvolti, vi sono alcuni indizi sul meccanismo cerebrale implicato. Gli stadi del sonno variano nel corso del tempo: il sonno NREM è prevalente nelle fasi iniziali del sonno, mentre le fasi tardive sono ricche di sonno REM. Queste variazioni sono accompagnate da particolari fluttuazioni neurochimiche, tra cui un ruolo importante è rivestito dai livelli di cortisolo. Alti livelli di cortisolo, (come si osserva durante le fasi REM) hanno un effetto inibitorio sull’ippocampo, ostacolandone l’interazione con la corteccia cerebrale, con marcate ricadute sulla memoria dichiarativa e conseguente alterazione della coerenza episodica dei contenuti dei sogni. Quando il livello del cortisolo è basso (come avviene nelle fasi NREM), viceversa, l’asse ippocampo-corticale è pienamente attivo e consente il processo di consolidamento della memoria episodica. Non manca tuttavia in letteratura (Vertes, 2004) chi solleva dubbi circa il ruolo del sonno nel processo di consolidamento della memoria dichiarativa, appellandosi in prima istanza ai dati non sempre concordanti. Vertes apporta due ragioni principali a conforto della sua tesi : 1. Non esiste alcuna corrispondenza tra attività cognitiva durante la veglia e durante il sonno: l'ipotesi del consolidamento della memoria dichiarativa dovrebbe partire dal presupposto che il sogno riproduca eventi reali vissuti da svegli ma solo il 1-2% del materiale episodico si trasferisce dalla veglia al sonno e dunque solo poco sarebbe disponibile per il consolidamento. 2. Studi sulla soppressione del sonno REM (sia su primati non umani che sull'uomo) ottenuto attraverso lesioni di ampie zone della corteccia cerebrale e l'uso di terapia antidepressiva, non hanno alcun effetto negativo sulla memoria dichiarativa e procedurale ( Osorio a Daroff, 1980; Lavie, 1984; Valldeoriola, 1993; Wyatt, 1969; Kupfer e Bowers, 1972; Oswald, 1973). L’autore non esclude che il sonno possa avere un ruolo importante nel processo di consolidamento a lungo termine della memoria procedurale che, cominciato durante la veglia, potrebbe proseguire con un meccanismo tempo - dipendente e non stato - dipendente, durante il sonno. A sostegno di questa ipotesi stanno gli studi di Donchin et al. del 2002 che evidenziano che l'interruzione del sonno non comporta un'alterazione del processo di consolidamento della memoria procedurale. Concludendo, il modo in cui il sonno influenza il consolidamento della memoria è molto complesso e non nel panorama delle evidenze presenti in letteratura i dati non sempre sono convergenti; è possibile tuttavia individuare alcuni punti fermi largamente condivisi: ( Karni 1994; Plihal e Born 1999; Kuriyama 2004; Peigneux 2001), 1. La memoria procedurale sembra venir consolidata sia durante il sonno REM che NREM. 2. Il consolidamento della memoria dichiarativa sarebbe invece specificamente attribuibile alla fase NREM del sonno 3. Le variazioni dei livelli di cortisolo e le interazioni tra questo ormone ed altri mediatori (acetilcolina, noradrenalina, serotonina) sembrano essere implicati in questo complesso fenomeno Figura 5. I principali tipi di memoria a lungo termine: riprodotto da Richard F. Thompson, The brain. A Neuroscience Primer, 3rd edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 365. COMPATIBILITÀ PSICOLOGICI TRA I DATI NEUROFISIOLOGICI E GLI APPROCCI La precedente rassegna delle evidenze che riguardano gli aspetti biologici dell’attività onirica, contributo esclusivo delle neuroscienze, sembra lanciare una sfida ai classici modelli psicodinamici. Che relazione può esistere, ci si domanda, tra questi approcci apparentemente tanto distanti? Le neuroscienze hanno l’indiscusso merito di fornire al sogno una cornice oggettivabile (che solo la misura di parametri biologici può consentire), ammettendolo tra i fenomeni fisiologici dell’individuo. Ma sappiamo che il sogno è un fenomeno psico-biologico, e sarebbe un estremismo ridurlo a mero fenomeno organico, evitando di guardare alla sua intrinseca complessità. Il modello cognitivista pone attenzione non tanto su quello che viene sognato o sul suo significato, quanto sul modo in cui il sogno si forma e si organizza, su quali parti del cervello prendono parte nei processi di simbolizzazione, memorizzazione, codificazione semantica e narrazione del sogno. Per autori come Foulkes (1985) e Cavallero (1991) il sogno è un processo cognitivo la cui intelligenza rappresentazionale si sviluppa a partire dal secondo anno di vita attraverso la memoria evocativa o simbolica. I cognitivisti individuano le seguenti condizioni organizzative del sogno: 1. l’attivazione fisiologica della corteccia cerebrale 2. la maturazione delle strutture associative che presiedono all’organizzazione simbolica della esperienza 3. la possibilità per il cervello di creare nel sogno un’esperienza multimediale simile alla veglia. L’ipotesi proposta da Llinas e Parè (1991) sembra in linea con il modello cognitivista: secondo i due neurofisiologi il sonno Rem ed il sogno ad esso collegato possono venire considerati come uno stato di attenzione modificata, diretta non verso l’esterno bensì verso l’interno ed i propri ricordi. Anche per lo psicofisiologo Antrobus (1986) il sogno necessita di un’attivazione corticale e di un legame neurocognitivo specifico tra quest’ultima ed organizzazione cognitiva. In ambito psicoanalitico trova invece la sua ragion d’essere il significato del sogno e la sua interpretazione nell’ambito di quella situazione relazionale peculiare del setting analitico che è il transfert: così il sognatore potrà rappresentare lo stato attuale dei propri oggetti interni in rapporto alle proprie esperienze relazionali passate. Il sogno può consentire il recupero antiche esperienze relazionali, cui sarà possibile attribuire nuovo significato attraverso una processo di “ritrascrizione “della memoria. La memoria recuperata nel sogno in ambito analitico è essenzialmente memoria affettiva più che storica, legata alla riattivazione di una processualità che ha caratterizzato le tappe più significative dello sviluppo della mente infantile. Il sogno in analisi, dunque, in virtù della relazione di transfert, permette lo stabilirsi di un rapporto tra presente e passato, tra realtà affettiva attuale attivata dal transfert e quella infantile recuperata dalla memoria. “ Che tipo di memoria noi possiamo recuperare nel sogno? Una dichiarativa o esplicita ed una implicita o procedurale che non può essere portata alla coscienza, non può essere verbalizzata , che può essere solo rappresentata (…). . Fa parte di un’esperienza emozionale del soggetto che risale attraverso il sogno ed il transfert a quelle esperienze antiche che aveva dimenticato completamente. E’ una memoria implicita che comunque non può venire verbalizzata. L’analista può verbalizzarla nell’ambito di un’interperetazione , ma il paziente la può solo rappresentare. La memoria implicita è fondamentale per potere accedere ad un’esperienza davvero trasformativa.. La differenza fondamentale dunque che la psicoanalisi propone relativamente al sogno rispetto alle neuroscienze è quella di vedere il sogno come espressione di una teologia della mente, nel senso che si riferisce a quelle figure o rappresentazioni che hanno acquisito dentro di noi sognatori una dimensione sacrale in quanto relazionate ai nostri oggetti interni. La differenza dunque sta nella storia affettiva del soggetto che la psicoanalisi, diversamente dalle neuroscienze, considera centrale al significato del sogno. Ed è possibile ritrovare una certa analogia tra sogno e religione intesa nell’accezione del re-ligare cioè unire in una complessa relaziona le gli elementi più significativi che nel mondo interno dell’individuo hanno acquisito un significato sacrale” (Mancia, 1987) In ambito analitico il sogno viene considerato non solo strumento di relazione e comunicazione ma anche strumento diagnostico, quale attendibile rivelatore di sentimenti e vissuti non coscienti, o di una situazione di stallo cui è giunta la copia analitica. La teoria junghiana Jung riteneva che i processi inconsci fossero in opposizione con quelli consci. Su questa linea il sogno avrebbe una funzione compensatoria presentando all’ego punti di vista complementari rispetto alla condizione della veglia. La teoria junghiana enfatizza la natura creativa dei sogni, che sono considerati una diretta e naturale espressione dell’attuale stato della psiche. A differenza della teoria freudiana, il contenuto manifesto del sogno non ne nasconde uno latente. I sogni possono venire letti oltre che risalendo ai motivi inconsci del soggetto (secondo la teoria causalistica freudiana), anche in un’ottica prospettica, in grado di individuare possibili linee di sviluppo del soggetto a partire dal vissuto onirico. Secondo Jung il sogno può rappresentare, oltre che temi dell’inconscio individuale, anche tematiche dell’inconscio collettivo, che è quella parte della nostra mente che conserva gli Archetipi, i simboli universali, ereditati dalla specie come risultato della storia dell’umanità sin dalle origini. Agli Archetipi vanno riferiti i miti, le idee religiose, ed anche l’attività onirica, potendo persone di differenti culture attingere ad un comune patrimonio simbolico. Se la tecnica freudiana dell’interpretazione dei sogni è tipicamente l’uso delle libere associazioni, la tecnica junghiana utilizza l’amplificazione che si realizza tramite la richiesta del terapeuta al soggetto di “intrattenersi” nel proprio sogno, dicendo quello che lo colpisce in modo particolare, cercando di utilizzare attivamente l’immaginazione, arricchendo lo scenario onirico di immagini, fantasie, simboli. L’idea junghiana che i sogni abbiano una funzione compensatoria è difficile da rigettare o da accettare perché sottili forme di compensazione possono essere trovate in tutti i sogni, però cozza contro il principio della continuità che mette sperimentalmente in evidenza la continuità tra pensieri coscienti e sogni. Jung ritiene che vi siano cambiamenti nella struttura e nei contenuti del sogni a partire dalla seconda metà della vita, cambiamenti che riflettono tappe importanti del processo di individuazione. In realtà gli studi di laboratorio mostrano che vi è una notevole stabilità nei contenuti dei sogni nel corso della vita. Se quindi l’ipotesi della funzione compensatoria del sogno non riceve conferma (ma neanche disconferma) dalle recenti scoperte della neurofisiologia, un'altra concezione junghiana sulla funzione del sogno ne risulta invece supportata. Come già accennato in altra parte del capitolo, i sogni rappresenterebbero l’epifenomeno del processo di consolidamento della memoria. Tale processo, del tutto inconsapevole, verrebbe esplicitato dalle immagini oniriche che costituiscono frammenti di memorie episodiche che emergono alla coscienza. In tal senso il sogno rappresenta l’analogo di una finestra aperta sull’inconscio, confermando l’ipotesi Junghiana del sogno come “autorappresentazione simbolica dello stato interno del sognatore”. La teoria freudiana Sigmund Freud ebbe un indiscusso merito nell’assegnare all’attività onirica uno specifico significato psicologico, attraverso il lavoro dell’interpretazione. Secondo Freud i sogni, originati dall’inconscio dell’individuo, rappresentano l’appagamento mascherato di impulsi repressi, tramite immagini che, grazie al meccanismo della censura, non svelano chiaramente il contenuto. Il significato del sogno viene svelato quando dal contenuto manifesto, tramite l’interpretazioni delle libere associazioni del paziente, si arriva ai pensieri latenti inconsci, quelle idee che hanno provocato il sogno medesimo. Durante la fine del 19esimo secolo, i teorici del sogno generalmente hanno creduto che i sogni fossero brevi e che fossero solitamente una reazione ad uno stimolo interno o esterno o si presentassero solo durante il processo del risveglio. Freud (1900) ha definito il sogno:” un fuoco d’artificio che ha avuto bisogno di ore per essere preparato e che poi arde in un momento”. Contrariamente alle idee di Freud, gli studi di laboratorio hanno rivelato che il sognare avviene più frequentemente, di quanto si sia mai immaginato. L’idea che i sogni siano guardiani del sonno è contraddetta da alcuni dati sperimentali. la frequenza e la regolarità del sogno nella maggior parte delle persone suggerisce che il processo onirico non può essere un mezzo per fronteggiare richieste profonde che emergono episodicamente durante il sonno. lo studio sistematico dei contenuti onirici sembra contraddire la teoria di Freud in quanto i sogni non includono quasi mai desideri urgenti quali la sete e la fame come già discusso, i bambini sognano molto raramente e quindi si troverebbe un’età per così dire “scoperta” rispetto al supposto meccanismo fisiologico ipotizzato da Freud. i soggetti leucotomizzati non sognano quasi mai, ma mostrano normali pattern di sonno nei laboratori di ricerca sul sonno. La ripetitività delle fasi REM, la lenta maturazione della capacità di sognare nei bambini, il fatto che vi sia una grande componente predeterminata per quanto riguarda le caratteristiche formali e i contenuti del sogno, solleva alcune difficoltà rispetto all’ipotesi freudiana del desiderio com istigatore del sogno. Se il sogno è così largamente preordinato nei suoi caratteri e se è il frutto di una attività ripetitiva, come può un evento necessariamente episodico come un desiderio, essere l’innesco per lo stesso? Mark Solms risponde a queste contestazioni ricordando che la definizione freudiana di desiderio si riferisce ad un fenomeno psicobiologico: l’espressione di un bisogno istintuale che ha una origine somatica. Freud, quando si riferisce al desiderio come all’istigatore del sogno, non pensa al desiderio come a qualcosa di immateriale, ma piuttosto come ad una spinta motivazionale che sorge da dentro il corpo (in conseguenza dei processi metabolici vitali) e che origina un bisogno corporeo che richiede un lavoro da parte dell’apparato mentale per soddisfarlo. Poiché i muscoli sono paralizzati durante il sonno, Freud postulò che il flusso ideativo deve scorrere in senso inverso rispetto alla veglia, verso il terminale sensoriale, piuttosto che verso quello motorio, producendo quindi una soddisfazione allucinatoria del desiderio. Non è pensabile che siano le strutture mesencefaliche, così lontane dal pensiero complesso, ma piuttosto destinate a compiti automatici, ad attivare i complessi ed intercollegati circuiti e meccanismi necessari a compiere il lavoro mentale e neurale in gioco. Non possono essere delle semplici scariche casuali di attività neurale a costruire le complesse scene percetive che soddisfino allucinatoriamente il desiderio. Se ci rivolgiamo alla fisiologia del sogno notiamo che negli studi di Solms, solo in due casi si aveva una cessazione totale del fenomeno onirico: nelle lesioni della giunzione occipitotemporoparietale e nelle lesioni bilaterali del quadrante ventromediale dei lobi frontali. Nel 1988 un neurobiologo del Bowling Green State dell’Università dell’Ohio, Jaak Panksepp, definì questo sistema di fibre “sistema di comando della curiosità-interesse-aspettativa”, e lo associò all’appetizione istintuale (sistema appetitivo). Stimolando la zona ventrotegmentale dei topi di laboratorio, egli notò che gli animali cominciavano ad annusare e si muovevano come cercando qualcosa; questo sistema rassomiglia molto al concetto di libido freudiano (secondo un’affermazione di Solms, Panksepp scoprì nelle neuroscienze ciò che Freud scoprì in psicologia) (vedi fig 5) Il circuito di Panksepp si trova nell’area maggiormente attiva durante il sonno REM, come hanno rivelato studi con la PET. Il circuito di Panksepp comprende le aree neurali interessate dagli interventi i leucotomia. In tutti i casi i pazienti diventavano anedonici, privi di iniziativa e cessavano di sognare. Figura 5 Si può ritenere che questo circuito di curiosità-interesse-aspettativa sia un secondo sistema coinvolto nell’istigazione del sogno e nel contribuire alla componente emozionale dello stesso. Solms pensa che questo circuito neuronale sia direttamente responsabile della genesi del sogno, ipotizzando che lo stimolo appetitivo dopaminergico agisca come richiesta alla mente per un lavoro somatico di soddisfacimento durante il sonno. Laddove dunque Freud parlava di libido, termine che mantiene un’accezione prevalentemente sessuale, per denotare una funzione mentale attivata dai nostri bisogni corporei di qualsiasi tipo, Panksepp e con lui i neurobiologi in generale preferiscono parlare di appetito. Per appetito si intende quel sistema di seeking (ricerca) che fornisce un’attivazione (arousal) ed un’energia che stimola il nostro interesse per il mondo esterno. Le cellule d’origine del sistema di seeking si trovano a livello dell’area tegmentale ventrale; i loro assoni attraversano l’ipotalamo dorso-laterale, per portarsi al nucleo accumbens, dove termina la maggior parte degli assoni. Essi inoltre si portano ancora più su, verso il giro del cingolo anteriore e le altre aree corticali dei lobi frontali, mentre verso il basso si dirigono all’amigdala (nel lobo temporale) (circuito di Panksepp). Freud correttamente riteneva che vi sarebbero state critiche alla sua idea del sogno come soddisfazione di desiderio in rapporto ai sogni di ansia e di punizione. Nel primo caso riteneva semplicemente che la censura avesse fallito nel trasformare i desideri in maniera da renderli accettabili. Nel caso dei sogni di punizione riteneva che il desiderio fosse del superIo. Anche se queste spiegazioni sono accettabili all’interno del suo sistema concettuale, non si riesce con queste affermazioni a giustificare gli incubi ripetuti dei disturbi posttraumatici da stress. Freud si occupò di questi dopo la grande guerra ritenendo che questi sogni esprimessero un tentativo di elaborare stimoli esterni soverchianti. Freud pensava che la gente dimenticasse la maggior parte dei sogni a causa della rimozione. Numerosi studi sperimentali che misuravano la correlazione tra la frequenza di ricordo dei sogni e tratti di personalità e variabili cognitive, hanno invece messo in evidenza che la frequenza di ricordo dei sogni è correlata univocamente alle classiche variabili della memoria (lunghezza, distanza temporale,ed intensità) di ogni evento ricordato. Così anche le asserzioni freudiane sui sogni come riedizione delle sensazione desideri dei primissimi anni di vita (sino ai tre anni), nelle sue parole “le sensazioni e le impressioni dei primissimi anni della nostra vita possono comparire nei nostri sogni “ con un’enfasi posta sui desideri sessuali, così ad esempio i sogni di apparire nudi sarebbero sogni di esibizione basati su desideri infantili di gironzolare nudi. Questo viene contraddetto dal fatto che gli studi sulla memoria mostrano che non vi sono praticamente capacità di ricordare prima del terzo anno di vita. Le idee di Freud sulle emozioni nei sogni sono contestate dalle ricerche sperimentali. Secondo le sue formulazioni le emozioni sono spesso inadeguate o incongrue rispetto al contenuto. Egli attribuisce la cosa al fatto che i contenuti del sogno sono trasformati dallo spostamento o dalla sostituzione, mentre le emozioni restano inalterate. Tuttavia studi di laboratorio mostrano che le emozioni dei sogni sono in modo preponderante correlate al contenuto onirico. Non sembra possibile stabilire se Freud avesse torto o ragione circa le basi teoriche del sogno; è indiscusso che alcune sue intuizioni si sono rivelate ragionevoli alla luce delle ultime scoperte nel campo delle neuroscienze (come il sistema appetitivo); ciò che è auspicabile è proseguire nel percorso di conoscenza, alle cui fondamenta Freud ha senza dubbio contribuito. \ CONCLUSIONI A tutt’oggi, non esistono elementi decisivi per scegliere in modo univoco una tra le varie ipotesi scientifiche sul significato sogno e sulle sue funzioni. La posizione personale del neurofilosofo Owen Flanagan (2001) sembra, tuttavia, la più plausibile. Secondo questo autore il sogno è senza dubbio uno stato mentale, anzi, uno stato della coscienza, che, a sua volta, è un fenomeno emergente dell’evoluzione biologica. La coscienza ha consentito ad alcuni mammiferi superiori di adattarsi meglio, in senso darwiniano, all’ambiente e ai suoi cambiamenti. Tuttavia quello stato particolare della coscienza che chiamiamo sogno non ha una funzione adattiva. Non offre vantaggi né svantaggi nella «lotta per la sopravvivenza». Ma allora perché esiste? E perché è universale? Perché tutti gli uomini (e forse non solo gli uomini) sognano? È nella risposta a queste domande che la tesi di Owen Flanagan sembra convincente: il sogno è un prodotto dell’evoluzione biologica e tuttavia non ha una funzione adattiva. È una sorta di pasto gratis, una “evoluzione neutra”. Ciò è possibile perché la selezione naturale per adattamento è il motore principale dell’evoluzione, ma, come riconosceva lo stesso Charles Darwin, non è l’unico motore della stessa (per esempio, l’evoluzione culturale, che ha grande influenza sulla coscienza, non è un tipo di evoluzione adattiva). Nell’ambito dei processi evolutivi, poi, sono ormai ben note le cosiddette mutazioni neutre: mutazioni indifferenti alla selezione adattiva, che non offrono né vantaggi né svantaggi ai loro portatori. Il sogno, dunque, può ben essere uno stato non adattivo della coscienza, cioé di un prodotto, adattivo, dell’evoluzione biologica. Il fatto poi che non abbia una funzione adattiva, non impedisce che il sogno possa tornare utile, come mostrato dal posto importante occupato dall’analisi dei sogni nella maggior parte degli orientamenti psicoterapeutici. Tutte le scuole concordano nell’affermare che un interesse e un’attenzione mirata ai sogni, possa contribuire a una migliore conoscenza di aspetti interni altrimenti inaccessibili al pensiero cosciente. Bibliografia Andrew J., Clark, D. J., Zinker, J. C. (1988): Accessing transgenerational themes through dreamwork. Journal of Marital and Family Therapy, 14, 15-27 Antrobus, J(1991). 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