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La comunicazione nella mia LIS

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La comunicazione nella mia LIS
La comunicazione nella mia LIS
Severino Mingroni
2^ Conferenza Italiana sulla
Comunicazione Aumentativa ed Alternativa
Roma, 25/27 Maggio 2007
Care signore e cari signori presenti alla
seconda Conferenza italiana sulla CAA,
mi chiamo Severino Mingroni, ex normodotato:
infatti, a 36 anni e quasi 5 mesi (era il 22 di ottobre 1995),
ho avuto una trombosi alla arteria basilare destra; e, in conseguenza di ciò, sono
diventato una persona con la LIS (locked-in syndrome), con invalidità molto gravi.
Appena sveglio in rianimazione, i dottori si accorsero subito che ero del tutto
lucido, benché fossi completamente immobile allora (e anche oggi sono sempre
tetraplegico e muto); di mia volontà, a quel tempo, muovevo solo la palpebra destra
e, i medici, sfruttarono soprattutto questo fatto per rendersi immediatamente conto
che comprendevo ogni cosa, purtroppo.
Infatti, per rispondere alle loro domande (assai scarse ma necessarie), mi dissero di
abbassarla una volta in caso affermativo e due volte in caso negativo. Quando
lasciai la rianimazione e andai in vari nosocomi (pubblici o convenzionati), per
circa 8 mesi, comunicai con la palpebra unicamente con mia madre e, in maggiore
misura, con mia sorella Gianna.
All'inizio, per breve tempo, mi facevano solo delle domande a cui rispondere Si o No.
Poi, Gianna pensò di ripetermi di continuo l'alfabeto ed io, abbassando la palpebra,
sceglievo una lettera: più lettere fanno una parola, più parole una frase, più frasi fogli di
quaderno! Infatti, mia sorella e mia madre scrivevano tutti i miei pensieri: abbiamo
ancora quel cartaceo. Non erano certo pensieri filosofici i miei (e nemmeno poesie o
romanzi), perchè non ne sono alla altezza, ma molto pratici.
Tre esempi: rivelai il codice numerico segreto del mio Bancomat a Gianna; e il gusto
del cibo in scatola che preferiva la mia gatta Fufi (ancora vivente).
L'ultimo esempio richiede una premessa: verso la fine di dicembre 1995, un'altra
persona con la LIS, di nome Paolo, fu ricoverata nella mia stanza; anche Paolo
muoveva solo le palpebre, ma era restio a comunicarci; da alcuni giorni, mi era stata
tolta la tracheotomia perchè respiravo bene da solo, ma a Paolo no; un pomeriggio,
sentii che egli respirava molto male, perchè la cannula della sua tracheotomia era
intasata; così, "dissi" a mia sorella di chiamare subito l'infermiere per aspirare
immediatamente il mio compagno di stanza e di sventura.
Da sua moglie, so che Paolo ricordava piangendo questo particolare episodio fino alla
morte (avvenuta circa 8 anni dopo, a casa sua): già, un locked-in capisce subito un altro
locked-in.
Tra parentesi, da normodotato, lui era un funzionario regionale.
Comunque, i momenti più belli di quelle giornate, erano quando potevo "parlare" con le
uniche due mie interlocutrici.
Poi, per fortuna, si aggiunse anche Sandra, la mia terapista occupazionale,
italoamericana, pure informatica.
Infatti, da metà aprile 1996, per ben 14 mesi, prima di tornare definitivamente a casa
mia, i miei mi ricoverarono al Santo Stefano di Porto Potenza Picena, nelle
Marche: qui, grazie anche alla fisioterapia, i muscoli del collo dello scrivente -ma solo
quelli- cominciarono a risvegliarsi; allora, conobbi Sandra che si presentò al
sottoscritto, mi pare nel giugno 1996, come una terapista occupazionale di madrelingua
americana, il cui padre era italiano; parlava bene la nostra lingua, ma si capiva
altrettanto bene che era più statunitense che italica; Sandra decise di voler contribuire
ulteriormente a rinforzarmi i muscoli del collo, in modo da farmi acquisire di nuovo un
discreto potere direzionale, volontario, per la testa. Vi anticipo che aveva visto giusto,
perchè vi sto scrivendo con lo HeadMouse texano, ma le cose sono andate così:
l'italoamericana, per cominciare, mi fece un casco artigianale, scheletrico, nel senso che
assomigliava a quello dei ciclisti, ma con delle peculiarità; infatti, le "ossa" erano
morbide, aveva una chiusura posteriore, a strappo e regolabile, e una lunga, sottile asta
rigida e frontale; con tale asta, indicavo lettere o segni di interpunzione che Sandra
aveva scritto su di una piccola tavola di legno; così, la mia interlocutrice non doveva
più continuamente ripetere l'alfabeto, ed io ero molto più veloce nel comunicare, perchè
lei poteva scrivere di più nello stesso tempo di prima.
E poi, la parola locked-in significa letteralmente: bloccato dentro.
E, ad un bloccato all'interno di sè stesso come me, date la possibilità di esternare il
proprio pensiero, cioè di comunicare, che i suoi muscoli del collo resusciteranno.
Quando questo si verificò, Sandra pensò di avvalersi della informatica, così io stesso
avrei potuto scrivere i miei pensieri: all'inizio dell'aprile, o maggio, 1997, cominciai a
frequentare un corso per imparare un po' ad usare il programma di scrittura Word (corso
finanziato dalla Regione Marche e tenuto al S. Stefano per molti disabili di esso); il mio
computer aveva una tastiera -su schermo- a scansione, ed io bloccavo la scansione
premendo col mento un grosso bottone rosso, scegliendo così una lettera.
Sandra, invece, alla fine del corso, poco prima di tornare io a casa, mi portò nella sua
stanza di lavoro alcune volte, e mi mise davanti ad un computer lo stesso, ma io non
scrivevo col mento e con una tastiera a scansione così lenta; al posto della sottile e
lunga asta frontale, mi mise un piccolo sensore sempre frontale, grazie al quale, con i
movimenti della testa, spostavo, dove volevo, il cursore del mouse sullo schermo del
pc; su tale schermo, c'era una tastiera ed è naturale che io andassi col cursore sulle sue
lettere, per scrivere i miei pensieri e per conversare con la mia interlocutrice; ma
dovevo fare click per riportare queste lettere, parole, frasi su di un foglio Word, anche
stampabile con un altro, opportuno click; a tal fine, Sandra mi mise un sensore, molto
più sottile di quello frontale, sul pollice sinistro, poiché faceva, e fa, una piccolissima
pressione volontaria.
E il gioco era fatto, perchè potevo fare finalmente click, con un solo
inconveniente: quando, ad esempio, avevo colpi di tosse, cliccavo senza volerlo!
Così, comunque, colpi di tosse permettendo, sia pure per pochissimi giorni, io e
l'italoamericana informatica conversammo: il sottoscritto scriveva sul monitor di
un computer e lei a voce, ovviamente.
Tuttavia, la mia ASL mi reclamava e dovetti tornare a casa, esattamente il 23
giugno 1997: però, il nostro è un Paese di santi, poeti e navigatori, ma non di
terapiste occupazionali nella Sanità locale, tanto meno informatiche.
Pertanto, mia sorella chiese ai miei ex colleghi del Dipartimento di Matematica
della Università de L'Aquila (presso cui ero anche stato, come usciere) di cercare
ausili informatici per me: essi, grazie alla allora da me sconosciuta Internet,
trovarono delle Società informatiche italiane per disabili e girarono gli indirizzi di
queste ultime a Gianna; mia sorella contattò, via telefono, sia esse sia Sandra, e
optammo per il texano HeadMouse con relativa tastiera su schermo SofType (con
cui vi sto scrivendo) e Dragger; il Dragger consente, ad un disabile come me, di
fare tutti i vari click del mouse sul monitor del pc, a partire dall'autoclick, l'uovo di
Colombo.
Infatti, non c'era più bisogno di un sensore per fare click, ma ero io ad attivare o
meno esso e a stabilire ogni quanto tempo deve fare click, cioè autoclick
(insomma, il Dragger era ed è, ad esempio, a prova di colpi di tosse); e il sensore
frontale, poi, si riduce ad un adesivo argentato, molto piccolo che riflette la
minuscola luce dello HeadMouse sullo schermo del computer, e diventa il cursore
del mouse.
Scoprii da me, con l'esperienza, tutti questi dettagli tecnici quando l'ausilio
informatico arrivò nel marzo 1998, finalmente! Infatti, l'Italia era, ed è, sempre e
solo un Paese di santi, poeti e navigatori, quindi: primo, il suo vecchio e mai
aggiornato nomenclatore tariffario non prevede fondamentali ausili informatici tipo
il mio che, perciò, hanno dovuto comprare i miei, salvo poi essere rimborsati dalla
Università di Chieti (presso cui ero bidello al momento della trombosi); secondo, la
nostra Sanità locale, non prevede nemmeno insegnanti informatici per disabili.
Ragion per cui, sono un autodidatta: ho iniziato studiandomi CD su vari programmi
(tipo Word, Outlook Express, Internet Explorer e così via); poi, un software fax e
radio-tv sul desktop ma, col collegamento ad Internet (nel dicembre 1998), il mio
computer sostituì egregiamente non solo la mia bocca bensì pure, in parte, i miei
arti.
All'inizio, e per parecchio tempo, furono esclusivamente e-mail con allegati (poi,
seguirono anche sms via computer e, molto dopo, chat e blog pure): fu così che, nel
settembre 1999, mi feci mandare in pdf il libro "Lo scafandro e la farfalla" di Jean
Dominique Bauby, giornalista francese ed altro mio compagno di sventura. Riporto
alcune frasi iniziali di esso: "...e una sorta di scafandro racchiude tutto il mio
corpo. ... il paziente è bloccato all'interno di sè stesso, con la mente intatta... Lo
scafandro si fa meno opprimente, e il pensiero può vagabondare come una farfalla.
..." Si, anche Bauby era una persona con la LIS, dall'8 dicembre 1995 (era, perchè è
morto nel marzo 1997).
Però, lui comunicava solo come me i primi mesi, e cioè:
con la palpebra, sinistra nel suo caso.
Tuttavia, dubito fortemente che il libro l'abbia dettato,
in questo singolare modo, ai familiari, bensì credo
ad una terapista, forse occupazionale, dell'ospedale
dov'era ricoverato. Per la cronaca, terminò di dettare
"Lo scafandro e la farfalla" nell'agosto 1996.
Un consiglio, se non l'avete fatto leggete questo libro,
perchè Bauby era uno scrittore coi fiocchi.
Esternando il mio pensiero alato soprattutto con e-mail,
arriviamo alla fine di agosto 2002, quando me ne giunse una
da Lisbona: era una signora portoghese, pensionata ma laureata in chimica e poliglotta;
lei pure aveva letto il bel libro di Bauby perchè era anche volontaria in un ospedale di
Lisbona; qui, c'erano pure delle persone con la LIS e, quindi, lei si stava documentando
su tale sindrome; di conseguenza, aveva letto "Lo scafandro e la farfalla" e voleva
corrispondere con me, la cui mail aveva trovato su di una rivista medica virtuale. Tra
l'altro, mi scrisse: "Grazie a Bauby, queste persone hanno finalmente comunicato". Mia
riflessione: anche il Portogallo deve essere un Paese di santi, poeti e navigatori, ma non
di terapiste occupazionali! Ragion per cui, le parlai del mio HeadMouse -e affini- e,
circa tre anni dopo, di altri due ausili informatici per disabili gravi (FaceMOUSE ed
Eye Tracking).
Comunque, continuai con e-mail non solo in Portogallo, navigazioni su Internet,
televisione e radio sul desktop, sms via computer, e, a tutto ciò, si aggiunsero chat e
blog. Così, arriviamo alla fine di ottobre 2006: ricevo la visita dei familiari di altri due
locked-in abruzzesi; vengono soprattutto a vedere come comunico, come gestisco il
pc.
Considerazioni finali:
è desolante e scoraggiante che un disabile gravissimo sia il punto di
riferimento e informativo di altri disabili gravissimi o chi per loro.
Dov'è, che fa la Sanità pubblica?
Dove sono le sue terapiste occupazionali, per esempio?
Perchè, sempre ad esempio, non si aggiorna finalmente l'obsoleto
nomenclatore tariffario italiano?
Care e cari parlamentari, care e cari medici, noi disabili gravissimi -mi riferisco
a malattie tipo la mia e la SLA- non viviamo a letto, alimentati in qualche
modo, e basta, ma soprattutto quando possiamo comunicare i nostri bisogni,
necessità, volontà.
Meglio ancora se possiamo anche relazionare: ad esempio, tramite Internet,
come sto facendo io con voi della seconda Conferenza italiana sulla CAA.
Io, quando sono a letto, dormo poco e penso a quello che scriverò al
computer (a mia madre a casa come in Portogallo).
O farò altro: un qualsiasi file, un po' di "surf" pure con letture, un po' di tv o
radio sul desktop, che, invece, quasi non vedo e non sento quando sono
lontano dal pc, senza HeadMouse.
Si, che il pensiero possa vagabondare
come una farfalla
ma, in parte, materializzarsi
almeno con un computer.
Forse, quest'ultima è una vita più vivibile:
signore e signori parlamentari e medici,
non siete d'accordo con me?
Si, e allora agite e legiferate di conseguenza,
e farete ciò che è giusto: siatene certi.
Signore e signori della Conferenza, grazie per l'attenzione e scusate se sono
stato troppo lungo o noioso.
Vi auguro buon lavoro.
Severino Mingroni
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