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La poesia della morte
I GRANDI TEMI DELLA POESIA La poesia che affronta la morte L’AMORE E LA MORTE Amore e morte, o, per dirla con i Greci, éros kài thànatos, sono due temi fondamentali – e spesso inseparabili – della lirica dell’Occidente. Così come per la lirica d’amore, da noi precedentemente affrontata, anche le poesie che affrontano il tema della morte trovano origine nella cultura letteraria greca arcaica. MIMNERMO Di Mimnermo, nato a Colofone (o a Smirne) verso il 630 a.C., sappiamo solo che scrisse delle elegie. Di lui ci sono giunti in tutto circa ottanta versi che testimoniano, con toni intensi e malinconici, la predilezione per i temi legati all’amore, al rimpianto per la giovinezza fugace e alla tristezza per l’avvicinarsi della vecchiaia e della morte. AL MODO DELLE FOGLIE (FR.2) Al modo delle foglie che nel tempo fiorito della primavera nascono e ai raggi del sole rapide crescono, noi simili a quelle per un attimo abbiamo diletto del fiore dell’età ignorando il bene e il male per dono dei Celesti. Ma le nere dee ci stanno sempre a fianco, l’una con il segno della grave vecchiaia e l’altra della morte. Fulmineo precipita il frutto di giovinezza, come la luce d’un giorno sulla terra. E quando il suo tempo è dileguato è meglio la morte che la vita. UNA SIMILITUDINE OMERICA Libro VI dell’Iliade, Glauco: Perché chiedi la mia origine? Come le foglie sono le generazioni degli uomini. Le foglie alcune le getta a terra il vento, altre la selva feconda nutre, quando giunge il tempo della primavera: così le generazioni degli uomini, una nasce, una dilegua. ANACREONTE Di Anacreonte abbiamo notizie più precise: nacque a Teo, nella Ionia, verso il 570 a.C. e si trasferì a Samo, ad Atene e in Tessaglia, dove morì nel 485 circa. Con Anacreonte nasce in Grecia un nuovo tipo di intellettuale: amico di principi e tiranni, non disdegna di avere un ruolo sociale e una posizione di prestigio. Tralascia così i temi politici per preferire quelli più leggeri dell’amore e del banchetto. TIMORE DELL’ADE (FR.44) Biancheggiano già le mie tempie e calvo è il capo; la cara giovinezza non è più, e devastati sono i denti. Della dolce vita ormai mi resta breve tempo. E spesso mi lamento per timore dell’Ade. Tremendo è l’abisso di Acheronte e inesorabile la sua discesa: perché chi vi precipita è legge che più non risalga. L’ANTOLOGIA PALATINA Nella tarda età ellenistica vennero raccolti nell’Antologia Palatina svariati epigrammi che affrontavano tematiche differenti. Il settimo libro dell’Antologia è dedicato agli epigrammi funebri. Il modello dell’Antologia Palatina è interessante, perché in epoca moderna sarà ripreso da Edgar Lee Masters nella sua Antologia di Spoon River. MELEAGRO (Antologia Palatina) 7.468 Diciott'anni avevi, Carisseno, quando tua madre ti compose nel mantello funebre, pietoso dono per Ades. Ahi, piangevano anche le pietre mentre i compagni da casa gemendo trasportarono il feretro. Canti di lutto, non di nozze, i genitori gridavano: "Ahi ahi, le vane grazie dei seni, l'inutile dolore del parto! Moira sterile, vergine crudele, tu hai sputato ai venti l'amore d'una madre". A chi ti fu amico resta il rimpianto, ai genitori il lutto, a chi ti conosceva l'avere pietà del tuo fato. MELEAGRO (II-I sec. a.C.) Pianto per Eliodora 7.476 Lacrime anche lì, attraverso la terra ti offro, Eliodora, reliquie d’amore, nell’Ade, lacrime aspre sulla tomba molto compianta, memoria dei miei desideri, memoria del mio amore. Ah, miseramente, miseramente io Meleagro qui piango su te, cara anche tra i morti, vana offerta ad Acheronte. Ah, dov’è il mio amato germoglio? Lo strappò Ade, lo strappò. Ed ora la polvere sporca il vivo fiore. Terra che ci nutri, ti supplico, accogli tenera al tuo seno, madre, quella che tutti piangono. LEONIDA (III a.C. – Antologia Palatina) La tomba di un piccolo amico (7.198) O viandante, sebbene minuscola ed umile al suolo sia questa sepolcrale pietra che mi ricopre, uomo, tu devi lodare Filenide; poi che a me grillo canterino, saltante prima su le siepi, volle bene due anni, tenendomi sopra un fuscello, e godeva felice del mio trillo soporoso. Né pure quando morii, mi respinse; ma sopra mi eresse quest’esile ricordo delle mie cantilene. LEONIDA La vecchia e il boccale, 7.455 Marònide, la vecchia vinolenta, svuota-barili, qui giace e sul suo tumulo spicca un antico boccale. Pur sotterra ella piange, e non pei figli o il marito, lasciati negli stenti, ma soltanto perché la coppa è vuota. LEONIDA Una morte orribile, 7.506 In terra e in mare io son seppellito: cotal privilegio Tersi, figlio di Carmide, ottenne dalle Moire. Per liberar dall’incaglio un’ancora, in acqua mi immersi calando giù nell’umide acque del mare Ionio. L’ancora sì la salvai; risalendo però dall’abisso, proprio mentre già ai compagni tendevo le mani, io fui sbranato: in tal modo mi assalì un feroce ed enorme squalo, che mi inghiottì su fino all’ombelico. E i marinai dall’onde tirarono su, freddo peso, metà di me, metà se la mangiò lo squalo. In questo lido così seppellirono i miseri resti di Tersi, o amico; e in patria non feci più ritorno. LEONIDA L’epitafio del poeta (7.715) Molto lontano dormo dalla terra d’Italia e dalla mia patria, Taranto. Questo è per me più amaro della morte. Tale è la vana vita d’ogni nomade. Ma le Muse mi amarono, e per tutte le mie sventure mi diedero in cambio la dolcezza del miele. Il nome di Leonida non è morto. I doni delle Muse lo tramandano per ogni tempo. ASCLEPIADE (IV-III sec. a.C.) O tu che passi, 13.23 O tu che passi, pure se t’affretti, ascolta un poco l’immenso lutto giunto sopra Botri, che vecchio ad ottant’anni seppellì fanciullo il figlio esperto già nell’arte ed eloquente. O triste il padre, e triste anche tu, suo caro figlio, di quante gioie ignaro andasti via! ANITE (IV sec. a.C., poetessa) La morte del delfino, 7.215 Ora non più per l’oceano corso da vele esultando lancerò fuori il collo, emerso dagli abissi; né lungo i fianchi di nave che avanza con belle sue prode guizzerò, lusingato dall’immagine mia: ma violacea tempesta del mare mi spinse alla secca ed esanime giaccio su questo molle lido. ANITE Epicedio per due animaletti, 7.190 Ad un grillo, usignuolo dei solchi, e ad una cicala, ospite delle querce, tomba comune eresse Miro bambina; e infantili lacrime pianse, ché l’Ade cattivo fuggì con i suoi due balocchi.