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Il Santo protettore dei Tartufai
6 Religione e tartufo Il Santo protettore dei Tartufai V iene subito da chiedersi cosa centra la religione col tartufo. Centra ! Centra! In gioventù mio nonno, grande raccoglitore di tartufi, aveva il problema di non riuscire a vendere tutto il raccolto, il prezzo non era sempre interessante, per cui periodicamente prendevo il treno alla stazione di Modena con destinazione Milano dove potevo vendere i tartufi in quantità e a prezzi tali da giustificare ampiamente il lungo viaggio. Questo mi era facilitato dal fatto che vi erano emigrati nostri parenti, che mi ospitavano e collaboravano per il collocamento dei tartufi presso vari ristoranti del centro. Uno dei problemi era il confezionamento, che doveva essere tale da non far emanare troppo l’odore in quanto era proibito trasportare il tartufo nella carrozza passeggeri, se il controllore mi scopriva mi sgridava e mi faceva stazionare in piedi nel ballatoio al freddo per l’intero viaggio. Mettevo quindi i tartufi dentro a scatole da scarpe, avvolte con fogli di carta e legate strettamente con lo spago e poi in valigia. Nei pressi del Duomo una domenica, dopo aver venduto tutto il tartufo, come per un ispirazione divina ho avuto il desiderio di ringraziare il Signore dei buoni affari conclusi, per cui mi sono recato in una vicina chiesa per assistere alla Santa Messa, il Santo protettore cui era consacrata la chiesetta era “San Carpoforo”; io allora non sapevo assolutamente cosa fosse un carpoforo anche se ne avevo avuto le valige piene, ma questo strano nome mi ha incuriosito, allora ho chiesto al prete di parlarmi di questo Santo dallo strano nome. Mi disse che era uno dei quattro Santi Coronati; infatti era effigiato con una vistosa corona sul capo; doveva quindi trattarsi di un Santo di nobili discendenze, probabilmente un re! Aggiunse che era il santo protettore della prosperità e dei raccolti, in quanto il termine carpoforo poteva avere vari significati; mi disse che era di derivazione greca “carpo-foro” (portatore di frutti). Consultando il dizionario enciclopedico italiano (Treccani), risulta: sostantivo maschile, (Composto da carpo- e foro). “Prolungamento del ricettacolo fiorale in forma di peduncolo sorreggente il frutto; il termine sarebbe da riservarsi al peduncolo che si sviluppa dopo la fecondazione, insieme al frutto, come nell’arachide”. San Carpoforo è anche considerato il Santo protettore dei micologi, quindi potrebbe essere anche quello dei tartufai, ma per i micologi è esclusivamente il protettore dei laureati in micologia. Si potrebbe pensare a una disputa di classe, ma non è così in quanto i tartufai hanno già un santo protettore, quello degli animali! Infatti il ns. protettore è Sant’Antonio Abate, vissuto nel 300 a.c., da non confondersi con Sant’Antonio da Padova vissuto ben 1000 anni dopo. Antonio Abate, (Padre dei Monaci) protettore fra l’alto degli animali domestici; pare che abbia soggiornato in Francia e che sia stato ospite a St. Jiulien di Arles, (luogo dove ora è sepolto), di un convento di monaci che erano dediti alla raccolta dei tartufi con l’utilizzo di maiali; è quindi molto probabile che fosse un “Tartufaio”. Pare che abbia operato la guarigione miracolosa di un notabile locale, il quale in segno di riconoscenza consentì al Monaci di portare a pascolare i maiali e a ricercare i tartufi nei suoi possedimenti e anche in vicinanza degli edifici. Sant’Antonio tra l’altro viene da sempre raffigurato contornato dagli animali fra i quali non manca mai il porcellino. Attualmente la legge italiana vieta la ricerca con l’impiego di maiali; ora utilizziamo solo il cane, che è pure un animale. Non sarà forse un caso che ci sia toccato questo protettore zoologico? A parte la battuta dobbiamo purtroppo constatare che nonostante San Carpoforo si vanti di essere grande portatore di frutti, negli ultimi anni i sui auspici si sono rivelati pessimi, infatti dal 2003 i raccolti di tartufo sono stati generalmente scarsi o pessimi, sia in quantità che in qualità. Preferiamo pertanto restare fedeli al nostro Santo Protettore, l’umile e caro Sant’Antonio abate, che anche se non è “Coronato”, è certamente uno dei Santi più prestigiosi e venerati. Inoltre, rappresenta maggiormente la tradizione popolare, quindi lo spirito del tartufaio; protegge pure il suo fido compagno di ventura. ALTRE NOTIZIE SUL SANTO! Due miei cari amici, i coniugi: Giorgio e Raffaella Olivieri, di Fiorano, assai devoti a questo prestigioso Santo, possiedono un’importante collezione di tavole votive di Sant’Antonio, hanno anche condotto numerosi studi e ricerche sulle targhe devozionali e sulla vita del Santo. Cortesemente hanno messo a ns. disposizione questo interessante documento, pensando di farvi cosa gradita e perché conosciate meglio il ns. Santo protettore, ve ne raccontiamo la vita. Abbiamo a che fare con una lunga e articolata trattazione religiosa, consideratela come una giusta penitenza per il popolo dei tartufai, popolo di grandi peccatori! Non ne sono esenti il presidente e l’intero Consiglio direttivo che indubbiamente sono coloro che ne hanno più bisogno! TARGHE DEVOZIONALI DI SANT ‘ANTONIO ABATE Sant’Antonio nacque ad Eracleopoli in Egitto nel 251. Ebbe, da giovane, una profonda crisi interiore per la morte di entrambi i genitori. La religione cristiana aveva allora una grande fioritura in tutto l’arco mediterraneo. Durante una predica, udito l’invito evangelico, egli – che era benestante – vendette ogni cosa donando tutto ai poveri (1000 anni prima di S. Francesco) e si ritirò nel deserto. Condusse vita da anacoreta sulle rive del Nilo per oltre 50 anni, fino a quando a lui si unirono i primi discepoli e fondò un monastero presso il Mar Rosso. Della sua vita ed anche dei suoi scritti le notizie sono incerte, si sa che scrisse varie lettere, delle quali si possiede una versione in latino.La popolarità del Santo non è dovuta agli scritti (Sermoni e Lettere) la cui autenticità è dubbia, ma al fatto che fu una delle più grandi figure di asceta cristiano. Nel 356, conoscendo il giorno della sua morte (17 gennaio), chiamò il fratello Atanasio, che ne descriverà la vita, e ingiungendogli di non rivelare a nessuno il luogo della sua sepoltura, gli regalò il proprio mantello ed il cappuccio di pelle (melote). La tradizione vuole che il suo corpo sia stato ricoperto di sabbia dai leoni del deserto. Dopo circa 200 anni la sua tomba fu scoperta e le reliquie furono portate in gran pompa ad Alessandria e di qui a Costantinopoli. Nel secolo XII un crociato francese trasporterà le sue spoglie in Francia, dove fin dall’arrivo si verificherà un fatto straordinario: tutti coloro che erano affetti da una dolorosissima eruzione della pelle chiamata ”mal des ardents”, guariscono all’improvviso e quell’erpete sarà chiamato subito “il fuoco di S. Antonio” All’intercessione di S. Antonio ricorsero molti ammalati e poiché guarirono si iniziò un nutrito pellegrinaggio di infermi e devoti al santuario di Vienne nel Delfinato, in cui si venerarono le reliquie del Santo. Fu tale il concorso dei pazienti che si dovette fondare un ospedale ed una compagnia di religiosi per assisterli (l’Ordine Ospedaliero degli Antoniani, che portavano come distintivo un “T” (tau) bleu su abito nero, ordine al quale si aggregarono anche le donne, con il titolo di Oblate e di Converse). Dopo la traslazione delle reliquie in Francia, intorno alla vita ed alle opere del Santo fiorirono numerose leggende e credenze. Il modello iconografico tramandatosi nel tempo ci rappresenta il Santo anacoreta con una folta e candida barba. Sant’Antonio dalla barba bianca, se non piove la neve non manca. (E’ uno dei tre santi dalla barba bianca, con S. Biagio e S. Geminiano) che regge un pastorale a cui è legato un campanello e con la lettera “T” sul saio (Tau = ultima lettera dell’alfabeto ebraico che indica il nome di Jahved). Ai suoi piedi diversi animali tra i quali un suino, un bovino ed un equino. Poco distante il fuoco che arde. Sui quattro elementi: animali, fuoco, campanello, maiale, si possono condensare i valori “demologici” attribuibili all’asceta. Il Primo elemento è connesso all’attribuzione di “protettore degli animali”, qui la religiosità popolare si concretizza in vari rituali rafforzati dal culto ufficiale attraverso 7 il rito della benedizione degli animali domestici il giorno stesso della ricorrenza del Santo. Il sacerdote (parroco curato) si recava – e tuttora si reca, in molte zone – nelle stalle ad impartire la benedizione degli animali. Era tradizione, in tale occasione, la consegna da parte del sacerdote dell’effige cartacea del Santo, davanti alle quali era acceso un lume per tutta la giornata e la notte. Il sacerdote riceveva alcuni doni costituiti prevalentemente da uova, un piccolo salame o un cotechino, oppure un insaccato triangolare (capel dal pret, il cappello del prete) Progressivamente l’immagine del santo apparirà in formelle, stampe, statuette in tutte le stalle, porcilaie, scuderie, pollai ecc. SANT ANTONIO ABATE NELLA TRADIZIONE POPOLARE Il 17 gennaio, festa di S. Antonio Abate, le filatrici dovevano astenersi dal filare per evitare di filare la barba del Santo Nelle zone rurali era festa grande, ogni lavoro veniva sospeso, mentre in città si continuava a lavorare. La popolazione contadina partecipava numerosa alla Messa grande e questo suscitava ironici commenti nei cittadini che consideravano da sempre il villano come un essere inferiore l’è la Mesà dal bestii (è la messa delle bestie) commentavano inglobando fra le bestie anche i villani. Il giorno di Sant’Antonio è giorno di arcani: il sole si sveglia dal sonno invernale e si allungano le giornate. Dice un ns. proverbio; per Sant’Antoni un’ora tonda (per Sant’Antonio un’ora tonda). Anche a tavola sarà festa: frittelle molto unte e dolci. “Per Sant’Antoni un turtel per uracia” (un tortello ripieno per orecchio) C’è di più: in quel giorno gli animali della stalla riceveranno un beverone, un pasto speciale, una farinata calda, quasi in ricordo alla remota simbiosi fra uomo e animale; e se pur era tempo propizio per la macellazione, nessuno, in quel giorno, ammazzava il porco. La tradizione popolare padana vuole che nella notte di Sant’Antonio Abate, gli animali della stalla parlino fra loro con accenti umani (forse sui futuri eventi della casa); dicono che chi si fosse avvicinato all’uscio della stalla per cogliere quelle voci sarebbe stato punito con la morte. In quei giorni gli animali della stalla, buoi e cavalli, erano “quasi” ammessi alle funzioni religiose ed erano condotti davanti al sagrato della chiesa addobbati con coperte di gala, campanuli, medaglie, mentre nei campi si accendevano fuochi (la “focara”), e a seconda delle scintille che il rogo emetteva, si traevano presagi per il futuro. D’altronde questi animali rappresentavano per il contadino indispensabili fonti di sopravvivenza: il cavallo per il trasporto, i bovini per il latte e il traino dell’aratura, il maiale per la carne. Ma la benedizione di Sant’Antonio andava ben oltre la protezione degli animali, per le malattie: con essa il Santo tutelava la salute del contadino, difendeva la casa ed il fienile dall’incendio, lo soccorreva nelle situazioni disperate e, infine, gli conservava ….. il capitale. Sant’Antonio nelle nostre campagna aveva anche l’attribuzione di favorire i matrimoni: S. Antonio non so come fare Ho tre figlie da sposare La dote non ce l’ò Sant’Antonio come fò? PROTEZIONI Come abbiamo visto Sant’Antonio Abate è venerato sia per tradizionale devozione, che per designazione ufficiale della Chiesa come protettore: degli animali, dei macellai, dei salumieri; lo si invoca contro: le malattie contagiose, i foruncoli, il prurito; per la tradizione lo si venera contro: le intemperie sui campi e sulla casa (incendi) e come protettore dei cercatori di tartufi. Nella zona di Richeranches, in Provenza, si trovano i migliori tartufi di Francia. Solitamente la domenica successiva alla festa di Sant’Antonio Abate, il parroco celebra una messa per loro: al momento della questua, non chiede denaro ma tartufi, che poi egli rivende con notevole profitto, per le offerte. Commento I tartufai del Perigord e delle altre regioni tartuficole francesi, insorgeranno dopo l’affermazione che a Richeranches si sono i tartufi migliori di Francia, si tratta di un’affermazione dell’autore non condivisa dalla FNATI che si dissocia. Viene anche spontaneo di rilevare che i preti italiani sono meno esigenti di quelli di Richeranches. In Italia durante i riti religiosi si accontentano di uova di gallina, mentre in Francia chiedo tartufi grossi come uova. Siamo poi così certi che i raccoglitori francesi sono così generosi, non doneranno forse tartufi grossi come piselli? Cercheremo di indagare! Prosecuzione Solo qui in Romagna il santo viene considerato protettore dei ceramisti, perché ha il fuoco e la ceramica senza fuoco non si fa. E’ tanto il rispetto che i ceramisti romagnoli riservano a questo Santo che solo loro lo rappresentano con i paramenti vescovili (mitria e pastorale), come una bella statua del Duomo di Brisighella e nelle targhe devozionali. ICONOGRAFIA il culto di Sant’Antonio è sicuramente fra i più antichi e più sentiti nella tradizione popolare delle nostre campagne. Antico, ma anche suggestivo e pittoresco, mantenuto vivo attraverso la preziosa considerazione di chi ha voluto nel tempo custodirne la testimonianza. Così, accanto alle figurazioni del Santo, riportate su targhe da stalla, su stampe, sui numerosi strumenti di lavoro usati nei campi (es: carri agricoli) resta ancora, segue 8 Religione e tartufo CARNEVALE Il Santo protettore dei Tartufai a tramandarne il ricordo, una ricca e preziosa iconografia, a volte perfettamente conservata, a volte recante tracce dovute all’usura ed ai segni impietosi del tempo. La deperibilità della carta portò a privilegiare la resa iconica tramite materiali più durevoli, tipo il marmo in zone ricche di questo materiale e la terracotta in pianura, ove l’argilla è facilmente reperibile. Le targhe a rilievo o plasticate, di gran lunga le più numerose, sotto il profilo tecnico fanno parte della tipologia ceramica detta “mezzamaiolica” o “bianchetto” molto meno costosa della maiolica vera e propria. Il pezzo modellato da stampo veniva ricoperto da un leggero strato di caolino (“ingobbio”), sul quale si poteva intervenire con ornati graffiti e con l’essenziale colorazione verde ramina – giallo ferraccia, vedi gli esempi tra Cinque e Seicento. Oppure come avvenne nei secoli successivi in seguito all’abbandono del graffito, si dipingeva sull’ingobbio con brillante policromia e con una gamma variata di decori, senza tuttavia escludere la scelta di una uniformità monocromatica. Il pezzo infine era ricoperto da vernice trasparente a base di piombo (“Vetrina”), che ne garantiva l’impermeabilità, e sottoposto alla cottura finale.Talora si lasciava la terracotta a vista o colorata “a freddo”, mentre la produzione in maiolica, cioè con la copertura di smalto stannifero, appare più che altro prerogativa delle botteghe faentine e sassolesi. In pratica, la lavorazione delle targhe devozionali era la stessa del vasellame ed avveniva nelle medesime botteghe. Analogamente, il loro smercio era legato ai mercati e soprattutto in concomitanza con le fiere e le sagre e raggiungeva il suo massimo con il diffondersi della fama miracolistica di una determinata immagine sacra. Oltre ai vari soggetti mariani era frequentissima la raffigurazione di Sant’Antonio Abate. Il “Santo contadino” più popolare per le sue virtù taumaturgiche è posto a protezione delle stalle ed occupa un posto rilevante nella tradizione. Vari e stilisticamente differenti sono i pezzi ceramici che lo propongono con i consueti attributi, alcuni di singolare eleganza. Nelle primitive rappresentazioni il maiale ai piedi del Santo o non compare o è appena accennato; è nella figurazione popolare che avremo il maialino in primo piano, con preponderanza su tutti gli altri animali domestici. Come ordine di frequenza al secondo posto il bue, al terzo il cavallo e poi gli altri animali da cortile. Soltanto nelle targhe per lo “stallino” del cavallo abbiamo la rappresentazione del solo equino. Nelle stampe popolari, particolarmente le più antiche, il fuoco è sempre presente, sia come fiamma che sorge sul volume che il Santo regge, sia in lontananza, su un edificio rurale, a significare la protezione contro gli incendi. Il Santo è denominato spesso come “Sant’Antoni dal campanèin” (Sant’Antonio dal campanello). Il campanello simbolo di vigilanza contro le tentazioni è alla sommità del bastone, cui il Santo, spesso raffigurato come vegliardo, si appoggia. Sant’Antoni dal campanèin an gh’hò pan e an gh’hò vein an gh’ho legna da bruser Sant’Antoni, cum’oja da fer? (Sant’Antonio dal campanello) (non ho pane e non ci ho vino) (non ho legna da bruciare) (Sant’Antonio come ho da fare?) Il campanello era anche portato dai monatti, coloro che assistevano i lebbrosi, affinché udendo il suo tintinnio la gente si allontanasse per non venire contagiata. I frati facevano questo tipo di assistenza ai bisognosi. Sant’Antoni dal pursèl l’ha sonà al campanel Sant’Antoni al se lugà e al campanel al s’è sbragà. (Sant’Antonio del porcello) (ha suonato il campanello) (Sant’Antonio si è nascosto) (e il campanello si è rotto) Il maiale è simbolo di concupiscenza. Rappresentava il demonio? “Di nuovo Non mi è dato sapere se esiste il carnevale dei tartufai. Esiste di certo la quaresima del tartufo, visto l’andamento della raccolta. L’edizione n. 73 del notiziario dell’ordine Giornalisti dell’Emilia-Romagna è uscita in periodo di carnevale, occasione ideale per parlare di satira politica. Abbiamo ritenuto per tirarvi su il morale di riprendere alcune simpatiche vignette, e affermazioni dedicate alla satira, che troverete qua e la sparse in questa edizione. La satira è componimento poetico che pone in ridicolo le debolezze e i vizi umani con l’intento di correggerli La vignetta è una figura o scenetta stampata per illustrare libri e giornali La macchietta è schizzo, figura rappresentata con tratti essenziali e caratteristici; caricatura Lo sberleffo è cicatrice, sfregio che deturpa il viso; boccaccia, smorfia, gesto di scherno L’umorismo è La disposizione a cogliere le debolezze e contraddizioni della natura umana e gli aspetti comici, bizzarri della vita con una ironia indulgente e priva di acredine il nemico (il diavolo sotto forma di bestia immonda) suggeriva la soavità del piacere, ma egli, sdegnato e contristato, meditava la minaccia del fuoco” (Atanasio, Vita di S. Antonio). Il popolo delle campagne non ha mai visto nel porcello di S. Antonio il demonio tentatore ma soltanto “al gugiol”, il maialino, cardine dell’economia della tradizionale casa contadina di ieri. Senza il lardo non si potevano fare i “mnestri mati”, minestre di tutti i giorni a base di soffritto (lardo pestato, cipolla) e senza “l’unt” (lo strutto) non si poteva friggere in padella. In riferimento ai Frati Antoniani si diceva: “Va di porta in porta come il maialino di S. Antonio”. I Frati presagivano disgrazie a chi avesse sottratto loro un maialino: “Deve aver rubato il porco di S. Antonio” si diceva in riferimento a chi era colpito da una serie di sventure. In molte zone d’Italia, e anche all’estero, troviamo testimonianza dell’iconografia di S. Antonio Abate; in particolare si segnalano: Faenza e la Romagna, Bologna, Sassuolo, la Bassa Emiliana e la Toscana. Vi mostriamo alcune immagini di questa iconografia su tavolette. La tavoletta in copertina è di mia proprietà, è fatta con polvere di marmo, realizzata con stile mirabile, è riccamente istoriata, da notare la bellezza dell’albero, un vero capolavoro. Manca alla collezione di Olivieri, che farebbe carte false per averla. Cari fratelli e sorelle, ci auguriamo che dopo questa lunga penitenza, cercherete sinceramente di correggere certi vostri comportamenti disdicevoli! Per ottenere l’assoluzione per i peccati presenti e passati, reciterete almeno: un atto di dolore, un’Ave Maria e un Padre nostro. Dite la verità, che ora vi sentite più buoni e sollevati?